Archivio del Tag ‘welfare’
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Massacro a orologeria, per noi euro-prigionieri della Troika
Tutto il mondo politico italiano rappresentato nel nuovo Parlamento, compreso il “Movimento 5 Stelle”, vive in una nuvola lontana anni luce dalle drammatiche scadenze della crisi economica e dai vincoli europei. Pare che tutte le principali forze abbiano dimenticato le politiche di austerità che ci hanno portato ai confini della catastrofe sociale in cui già è sprofondata la Grecia e in cui stanno scivolando Portogallo e Spagna, in un terribile contagio destinato ad estendersi. Così si ignora che il prossimo governo, ammesso che se ne faccia uno, ha già i compiti e le decisioni assegnate dagli impegni assunti dal governo Monti e approvati quasi alla unanimità dal precedente Parlamento. Questi impegni sono stati furbescamente ignorati in una campagna elettorale concentrata sul ruolo dei partiti. La crisi economica è diventata così quasi una derivata della crisi di questi ultimi. Troppo facile, purtroppo.
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Stiglitz: basta trucchi, dobbiamo nazionalizzare le banche
«La notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione sia disperata: come è evidente da tempo, l’unica soluzione è che il nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni ‘90». Parola di Joseph Stiglitz, docente della Columbia University e Premio Nobel per l’economia. Nazionalizzare le banche: «Bisogna farlo, e farlo in fretta, prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio», dopo la catastrofe planetaria provocata da «anni di comportamenti sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l’avere giocato d’azzardo con i derivati». Teoricamente, siamo già alla bancarotta: se il governo rispettasse le regole del gioco, sono moltissime le banche che uscirebbero dal mercato. Nessuno sa con certezza quanto sia grande il buco: almeno due-tremila miliardi di dollari, se non di più.
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Mosler: zero tasse sul reddito, e la crisi sarà sconfitta
Cari concittadini americani, andrò dritto al punto. Ho tre nuove audaci proposte per riottenere tutti i posti di lavoro persi, e crearne altri ancora. Di fatto, abbiamo bisogno di almeno 20 milioni di nuovi posti di lavoro per recuperare la nostra prosperità e riportare l’America in alto. Prima di tutto, lasciatemi dire che la ragione per cui si sono persi posti di lavoro nel settore privato è sempre la stessa: si perdono posti di lavoro quando le vendite calano. Gli economisti descrivono la situazione con termini ricercati – la chiamano mancanza di domanda aggregata. In realtà, il concetto è molto semplice: un ristorante non licenzia nessuno quando è pieno di clienti, e non importa se il proprietario odia il governo, la burocrazia e la regolamentazione sanitaria. Uno studio di ingegneri non lascia a casa nessuno se ha ordini arretrati.
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Cremaschi: questi sindacati non servono più a nessuno
Scomparsi, proprio mentre c’è più bisogno di loro: «Bisognerebbe forse rivolgersi a “Chi l’ha visto?” per avere notizie dei gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Uil», i grandi sindacati ormai spariti anche dallo spettacolo mediatico, dopo aver puntato sulle elezioni: «La Cisl è stata promotrice della lista Monti, mentre la Cgil ha investito tutto sulla vittoria di Bersani». Sindacati da rottamare? Dopo la boutade di Grillo, spara senza pietà sulle grandi confederazioni lo stesso Giorgio Cremaschi, già leader della Fiom, da tempo critico contro gli ex colleghi: si sono buttati in politica in un tentativo disperato di affrontare la crisi del sindacalismo, «che ora sta precipitando dopo anni e anni di scivolamento verso il basso». Tentativo fallito, peraltro, «perché un gran numero degli iscritti alle loro organizzazioni non li ha seguiti e ha votato “5 stelle”», non “fidandosi” più di quelle che ormai appaiono soltanto nomenklature, timide nella denuncia di una crisi devastante, che sta provocando l’estinzione del lavoro e una inaudita catastrofe sociale.
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Renzi fa le pulci a Bersani, mentre l’Europa spolpa l’Italia
Il peso economico degli assunti del Pd vale ogni anno circa 12,5 milioni di euro, cui vanno sommati i soldi pubblici che escono dalle Camere: solo per Montecitorio, scrive il “Fatto Quotidiano”, il gruppo ha ricevuto per ogni anno di legislatura 9,5 milioni di euro, ovvero un milione in più delle stime del “dossier” Renzi, fatto circolare per terremotare la segreteria Bersani alle prese con le manovre post-elettorali, tra gli amletici grillini e il “malato” Berlusconi inseguito dai magistrati. Dilagano sui media – da “Dagospia” in giù – le cifre dei presunti stipendi di segretarie e funzionari: se Bersani accettasse di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, sostiene il sindaco di Firenze, significherebbe «fare la pace non con me, ma con gli italiani». Questo il tenore del dibattito politico, in un paese dove una regione avanzata come il Piemonte è costretta a cedere alla finanza privata i propri ospedali, visto che lo Stato – devastato dal regime dell’euro e piegato dal “Rigor Montis” – non è più in grado di ripianare le spese vitali per la salute pubblica.
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Lo spassoso governo Santoro, con Zingales all’economia
C’è un pigia pigia impudico per inserirsi nel vuoto lasciato dalla tremenda spallata che il movimento di Beppe Grillo ha assestato al sistema dei partiti. Michele Santoro, che evidentemente ha un alto concetto di sé, ha proposto un suo governo che, a sentir lui, dovrebbe essere sostenuto dal M5S e dal Pd. Premier Stefano Rodotà, interni Anna Maria Cancellieri, difesa Fabio Mini, istruzione Milena Gabanelli, welfare Maurizio Landini, sviluppo Fabrizio Barca, economia Luigi Zingales e via elencando. Ancora un passo e Santoro si sarebbe autonominato premier o, almeno, ministro delle comunicazioni. A sentir questi nomi nel programma televisivo condotto da Paola Saluzzi, Paolo Flores d’Arcais si è illanguidito, inumidito quasi fino alla lacrime: «Sarebbe un governo meraviglioso», ha mormorato, in estasi. Invece la proposta di Santoro è grottesca, in sé e nei designati, peraltro incolpevoli.
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Padoa Schioppa: servono riforme che vi facciano soffrire
«I giovani italiani sono bamboccioni», «le tasse sono bellissime». Queste amenità, pronunciate durante il secondo governo Prodi, di cui Tommaso Padoa Schioppa era ministro dell’economia, sono probabilmente l’unico lascito alla memoria collettiva di uno degli ideatori della moneta unica. Oltre a questo, poco rimane; qualche convegno alla memoria tra economisti iniziati, e l’impressione che il personaggio fosse una brava persona colpita da un’avversa sorte (è morto all’improvviso alla fine del 2010). Eppure, scrive Claudio Martini su “Mainstream”, Padoa Schioppa era ben altro. Era l’uomo che, nel 2003, sul “Corriere della Sera” scriveva: «Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l’intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione».
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Euro-rigore, i predoni della nostra vita truccano le carte
Politici e tecnocrati che parlano a agiscono come boss, recitando una commedia che, nella realtà, si trasforma nella nostra tragedia quotidiana: roba da leggere ai bambini come fiabe della buonanotte, dice Monia Benini, non fosse che il racconto della nostra crocifissione è fatto apposta per generare incubi. Come quelli che affiorano all’indomani della famigerata cena a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia nel giugno del ’92, con a bordo Mario Draghi e la super-lobby degli “invisibili” che avrebbe fatto un sol boccone delle privatizzazioni italiane. Le risorse del risparmio delle famiglie italiane, liberate dai titoli di Stato grazie anche al crescente interesse degli “investitori esteri” verso i titoli del nostro debito, sarebbero confluite nelle casse delle banche, attraverso i “fondi”, e questi li avrebbero a loro volta investiti nelle partecipazioni delle imprese privatizzate. Partita di giro, col trucco: i risparmi alle banche, per regalare loro l’industria statale. «Speculazione, scommesse sul nulla, gioco d’azzardo con imprese, con gli Stati e contro gli Stati».
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Münchau: bravo Grillo, scuoterà l’Europa contro la Merkel
Karl Marx con le elezioni italiane si sarebbe molto divertito. Il suo saggio “Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” inizia con una frase: «Hegel da qualche parte scrive che tutti i personaggi e i fatti del mondo tornano sempre una seconda volta. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come una misera farsa». Marx si riferiva al colpo di stato di Luigi Napoleone del 1851 e al paragone con il putsch del suo ben più cattivo zio nel 1799. Si può fare un parallelismo simile fra la Germania di inizio anni ’30 e l’Italia di oggi. In entrambi i casi c’era un sistema di cambi fissi, allora il Gold Standard, oggi l’euro. Ci fu anche allora una politica prociclica guidata dalla follia dell’establishment: l’austerità durante la recessione. Finì con una disoccupazione di massa e la trappola del debito. In Germania la grande depressione terminò con una tragedia. L’Italia ha eletto un comico.
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Austerity demenziale: così l’Italia ha sconfitto la Merkel
Angela Merkel è la vera perdente nelle elezioni italiane. Quanto la sua euro-politica sia sbagliata, nei giorni scorsi è diventato chiaro a tutti. Mi aspetto che questa strada ci porti al disastro. La sua politica consisteva nel tentare di risolvere la crisi debitoria e di competitività nei paesi del sud Europa con un processo di aggiustamento unilaterale. Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, attraverso una politica di austerità, garantiscono il rimborso del debito e spingono verso una politica di riduzione salariale nel settore pubblico, che si propaga verso il resto dell’economia. In questo modo si pensava di prendere due piccioni con una fava. La speranza era che dopo uno shock breve e acuto, i debiti e i livelli salariali sarebbero tornati in equilibrio. Davvero intelligente, oppure no? Nei sogni. Né l’economia, né la politica funzionano nel modo in cui ci si immagina in Germania. Economicamente è stata un’analisi molto superficiale, senza considerare le conseguenze devastanti sull’economia complessiva.
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Più rigore, più crescita: le deliranti profezie di Harvard
Nell’autunno del 2010, quando la crisi dei debiti sovrani era già scoppiata ed erano iniziati i primi programmi di rigore per rientrare dai deficit, Alberto Alesina si lanciò in una previsione piuttosto azzardata col senno del poi. Secondo l’economista, professore ad Harvard e diventato noto in Italia come editorialista de “Il Sole 24 Ore” e del “Corriere della Sera”, l’austerità imposta dalla Germania conservatrice di Angela Merkel e dalla Bce di Trichet stava dispiegando i suoi frutti positivi sulla crescita dell’Eurozona. Grazia ai tagli alla spesa pubblica la crisi si sarebbe risolta in fretta, mentre in realtà è scoppiata la più grave contrazione economica dalla Grande Depressione. «Sembra che la velocità della ripresa europea sia sostenuta, più rapida di quella degli Stati Uniti», scriveva Alesina, «e la Bce ha recentemente aumentato le previsioni di crescita dell’Eurozona».
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Vera sovranità democratica: la lunga marcia che ci attende
Un valido difensore della valle di Susa aggredita dalla Torino-Lione, colossale spreco di denaro pubblico, ben peggio del mitico Ponte sullo Stretto. E un nemico giurato della “casta”, quella che vive – anche – di finanziamento pubblico a quei partiti che non hanno voluto cambiare la legge elettorale tenendosi l’orrido “Porcellum”, per poter comodamente imbottire il Parlamento di “nominati” di stretta fiducia, inclusi indagati e pregiudicati. Questo in sostanza il profilo politico iniziale del “Movimento 5 Stelle”, che si è via via evoluto – durante la campagna elettorale, di piazza in piazza – per voce del leader, sempre più incline a puntare sul “reddito minimo di cittadinanza” per tenere in piedi un’Italia sul punto di crollare. Elementi di decrescita e riconversione ecologica dell’economia, certo. E poi: scuola pubblica e sanità pubblica, investimento culturale, Internet veloce e gratuito per tutti. Con che soldi? Forse si comincia a capirlo solo ora, dopo le elezioni.