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Dezzani: il piano è spolpare l’Italia grazie al governo Di Maio
«Un ipotetico governo Di Maio non sarebbe nient’altro che la continuazione del processo iniziato con il governo Monti, anzi, ne sarebbe l’epilogo». Secondo Federico Dezzani, i grillini sarebbero uno strumento di “autodistruzione programmata” dell’Italia. «Prima i poteri “liberal” (gruppo Bilderberg e Trilaterale) indeboliscono il paese con l’austerità di Monti, poi aumentano la dose di veleno con i governi di centrosinistra e, quando il paziente è sufficientemente indebolito, inseriscono il virus: il Movimento 5 Stelle, con il suo mix letale di incapacità e cupio dissolvi». Secondo l’analista geopolitico, tutto nasce dalla crisi del sistema euro-americano: «Più il potere atlantico si indebolisce e più aumenta la volontà di fare terra bruciata, per impedire che i vecchi sudditi, una volta liberati, convergano verso la Russia e la Cina. L’Italia, il cui valore geopolitico è enorme, non fa eccezione: se non la si controlla, è meglio distruggerla, magari spartendosi le spoglie con i vicini (Francia e Germania)». A penalizzare gli italiani, tradizionalmente “esterofili”, c’è anche «un complesso di inferiorità nei confronti delle potenze straniere», ormai ferocemente in lotta tra loro ma coalizzate contro l’Italia, tra le macerie di quella che doveva essere una Unione Europea, e cui il Belpaese rischia di essere, definitivamente, la prima vittima.Il processo di annichilimento della Penisola, avviato nei primi anni ‘90 con Tangentopoli e la destabilizzazione della Somalia, secondo Dezzani ha accelerato a partire dal 2011: austerità, cessione delle imprese strategiche (Telecom, Edison, Unicredit, alimentare e lusso), guerra in Libia e conseguenti flussi migratori incontrollati. Arrivati nel 2018, sta per iniziare l’ultima fase del processo di “demolizione controllata” dell’Italia. «E le imminenti elezioni del 4 marzo, decretando chi dovrà gestire il pericolosissimo aumento generalizzato dei tassi ed il conseguente crollo delle piazze finanziarie, giocano un ruolo cruciale». La legge elettorale difettosa, che impedisce la governabilità? Non è un caso, sostiene Dezzani nel suo blog: «L’ingovernabilità è un valore – scrive – perché obbliga le istituzioni ad adottare, una volta chiuse le urne, soluzioni “impensabili”». Ovvero: «Costringe a sdoganare definitivamente il Movimento 5 Stelle, usandolo come perno attorno cui costruire un governo». Secondo Dezzani, l’opinione che i “poteri forti” premano per una grande coalizione “di centro”, basata su un patto tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, è errata: «Entrambi sono indigesti a chi conta davvero», come «i circoli finanziari rappresentati dal settimanale “The Economist” che, per inciso, sono gli stessi che hanno partorito la Casaleggio srl e il Movimento 5 Stelle».Per Dezzani, la strategia dell’alta finanza non contempla una grande coalizione tra partiti “moderati”, ma «una grande coalizione incentrata sui grillini, la cui forza, si noti, nasce da quelle stesse politiche di austerità imposte dall’alta finanza». Dopo Monti e Letta, Renzi e Gentiloni, ecco il “virus” 5 Stelle, «gonfiato a dismisura dalle politiche dei precedenti esecutivi “europeisti”». Sempre secondo Dezzani, sarebbe illuminante l’atteggiamento del “Corriere della Sera”, che l’analista definisce «storico giornale della borghesia anglofila e “badogliana”». Si parte nel 2011 con l’incondizionato sostegno a Mario Monti, poi si sostiene la linea di austerità, privatizzazioni e ultra-europeismo di Letta, Renzi e Gentiloni, e adesso, quando il Pd è ormai logoro, si vira verso il Movimento 5 Stelle, «preparando così il terreno ad un governo grillino con la benedizione del primo quotidiano d’Italia», svolta incarnata dalla direzione di Luciano Fontana, con accanto un editorialista come Ernesto Galli della Loggia, «principale artefice dello “sdoganamento” del M5S: il movimento non è eversivo, è democratico e incarna la volontà di “palingenesi” del paese». Analogo percorso da La7 di Urbano Cairo, mai anti-grillina fin dall’inizio «essendo nata come tv della Telecom che ha giocato un ruolo chiave nella nascita del M5S».Domanda: «Perché il giornale della borghesia “anglofila” si prodiga per sdoganare i 5 Stelle, nonostante il clamoroso fallimento della giunta Raggi a Roma e di quella Appendino a Torino (che deve le sua nascita al decisivo avvallo degli Agnelli-Elkann)?». Ovvero: «Perché l’establishment liberal lavora per portare i grillini al potere, nonostante la loro manifesta incapacità di governare?». Perché sono deboli e fragili, quindi facilmente manovrabili da chi mira a spolpare definitivamente il paese. E’ la tesi che Dezzani formula, prendendo spunto dal caso-Roma: «Supponiamo che l’esperimento “Raggi” sia ripetuto a scala nazionale, per di più in un contesto macroeconomico sempre più ostile (aumento tassi e recessione economica); quale sarebbe il destino dell’Italia? Come una nave senza comandante in mezzo alla tempesta (dopo anni, peraltro, di incuria e malgoverno), l’Italia sarebbe travolta dai marosi della crisi: caos, saccheggio e default. La lunga stagione di “destrutturazione” del paese, iniziata nel 1992-1993, culminerebbe così in un epico schianto, grazie al M5S (dopotutto, non fu grazie ad Antonio Di Pietro, l’uomo simbolo di Mani Pulite, se Gianroberto Casaleggio si affacciò alla politica?)».E come si arriverebbe, concretamente, a un governo 5 Stelle? «Attraverso il “contratto” proposto da Luigi Di Maio», scrive Dezzani, ricordando che il leader grillino «ha smentito un’alleanza con la sinistra ma, per scongiurare scenari di “caos”, ha parallelamente aperto ad un programma di legislatura con chi è disponibile, da mettere nero su bianco in un contratto. E chi potrebbe essere disponibile a quest’avventura, se non proprio la sinistra?». Conti alla mano: “Liberi e Uguali” (5%) e un Pd al 20-25% «depurato dall’ormai esausto Matteo Renzi», tutto sommato «fornirebbero un numero di parlamentari sufficienti a formare una maggioranza», sommandoli all’ipotetico 25-30% del Movimento 5 Stelle. «Così, le disastrose amministrazioni Raggi e Appendino verrebbero replicate nei dicasteri romani, con il preciso intento di portare l’Italia alla bancarotta e spalancare le porte alla speculazione più selvaggia».Qualcuno potrebbe obiettare: ma non è interesse dell’establishment atlantico preservare la calma sui mercati, spingendo verso un governo “moderato”? Non è l’Italia “too big to fail”? Dezzani ritiene di no: «Dieci anni di liquidità a costo zero hanno creato un’enorme bolla azionaria e obbligazionaria che, alzati i tassi di interesse, cerca soltanto un pretesto per scoppiare: l’Italia del 2018 potrebbe essere la Lehman Brothers del 2008». Inoltre, aggiunge l’analista, «l’oligarchia finanziaria atlantica ha spinto al default negli ultimi 20 anni la Russia, i paesi del sud-est asiatico (1997-1998) e l’Argentina (2001). Non si capisce per quale motivo dovrebbe risparmiare l’Italia che, come ricordano sinistramente molti commentatori, vale ormai soltanto il 2-3% del Pil mondiale. E se il Movimento 5 Stelle sarebbe «il cavallo di Troia per portare il paese alla bancarotta», conclude Dezzani, «le nostre istituzioni massoniche e la borghesia “badogliana”, da sempre alleate col nemico, sono suoi complici».«Un ipotetico governo Di Maio non sarebbe nient’altro che la continuazione del processo iniziato con il governo Monti, anzi, ne sarebbe l’epilogo». Secondo Federico Dezzani, i grillini sarebbero uno strumento di “autodistruzione programmata” dell’Italia. «Prima i poteri “liberal” (gruppo Bilderberg e Trilaterale) indeboliscono il paese con l’austerità di Monti, poi aumentano la dose di veleno con i governi di centrosinistra e, quando il paziente è sufficientemente indebolito, inseriscono il virus: il Movimento 5 Stelle, con il suo mix letale di incapacità e cupio dissolvi». Secondo l’analista geopolitico, tutto nasce dalla crisi del sistema euro-americano: «Più il potere atlantico si indebolisce e più aumenta la volontà di fare terra bruciata, per impedire che i vecchi sudditi, una volta liberati, convergano verso la Russia e la Cina. L’Italia, il cui valore geopolitico è enorme, non fa eccezione: se non la si controlla, è meglio distruggerla, magari spartendosi le spoglie con i vicini (Francia e Germania)». A penalizzare gli italiani, tradizionalmente “esterofili”, c’è anche «un complesso di inferiorità nei confronti delle potenze straniere», ormai ferocemente in lotta tra loro ma coalizzate contro l’Italia, tra le macerie di quella che doveva essere una Unione Europea, e cui il Belpaese rischia di essere, definitivamente, la prima vittima.
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Giannini: il reddito di cittadinanza può far gola alla mafia
Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.Di Maio il candidato premier, Ruocco, Sibilia e Fico sono stati 4 dei 5 membri del vecchio direttorio e sono tutti campani. Mi chiedo come possa essere stato possibile che da questi rappresentanti non siano state previste delle “clausole di salvaguardia” per l’erogazione del RdC nelle aree del paese a forte infiltrazione mafiosa; mi domando se questa gravissima lacuna sia stata frutto di incompetenza o di distrazione (a causa della campagna elettorale). Non critico l’opportunità di un Reddito Minimo Garantito Workfare quale è il RdC (di cui sono promotore dal 2011) ma parte dei 29 miliardi del RdC non possono diventare un business per la criminalità organizzata. Potevano essere previsti diversi tipi di contrappeso: la possibilità per il prefetto di sospendere l’erogazione a tempo indeterminato nelle aree infiltrate; un tetto massimo di prelievo giornaliero e settimanale; l’utilizzo di una carta di credito apposita con cui si possano spendere i 780 euro ma non ritirare banconote. Comprendo che quando tocchiamo grossi interessi della malavita ci si espone a un pericolo ma ho nel cuore le parole della vedova Caponnetto: «Hai i 5 valori di mio marito, non ti far cambiare e mantieni il tuo coraggio»; non esiste una equazione Sud = malavita, ma in molti Comuni del meridione esiste una mentalità “anti Stato” in cui la malavita è vista come lo Stato (io ho vissuto alcuni periodi della mia vita in province campane pur essendo da sempre residente in Toscana).Lo “Stato Camorra” è percepito come la “comunità locale”, come colei che “provvede”, in antitesi ad uno Stato italiano “canaglia”, descritto come invasore, oppressore, responsabile della “depressione” delle aree del Sud. «E’ Stato la Mafia», direbbe Travaglio. Da questa forma di Stato-AntiStato parallelo vengono “forniti” lavori saltuari, a volte derrate alimentari sotto traccia, sostegno economico e “protezione”. Ad essere tagliaggiate sono le imprese; non dubito che sarà così anche per gli aventi diritto al reddito: saranno avvicinate persone che altrimenti sarebbero fuori dal raggio di azione concreto dei gangli mafiosi. La mafia esiste e, in quanto tale, impone ai cittadini la propria sopravvivenza, motivandola come la sopravvivenza di tutti: chiaramente è falso, chiaramente ancora oggi vive di rancori storici verso lo Stato unitario italiano. Esiste una zona grigia sociale da cui nessuno è immune: può accadere a chiunque, perfino durante un singolo pomeriggio, di essere malavitoso per un quarto d’ora per poi tornare a non esserlo: ad esempio fingendo di non sapere con chi si sta prendendo un caffè (obtorto collo) perché magari presente nel gruppo di un amico, ecc. Le persone in queste realtà si conoscono tutte, ed è certo come lo sono “il giorno e la notte” che in questi contesti la frase sarebbe del tipo: «Sei disoccupato? Quanto ti dà lo Stato? 780 euro? Sai che noi siamo lo Stato. Noi dobbiamo proteggere tutti, proteggiamo anche te, tua moglie, ecc. Devi dare una mano anche tu alla Comunità perché noi siamo la tua famiglia, non lo Stato».Possiamo speculare, ipotizzare possano essere 100 euro, 50, 200 euro al mese, ma la mia sensazione è che ciò puntualmente accadrà. Chi si fa promotore della proposta del Reddito di Cittadinanza è il M5S, che nelle regioni del Sud non viene votato granché quando si tengono elezioni locali (dal comunale, al regionale fino al voto europeo) mentre in vista del Reddito di Cittadinanza alle elezioni nazionali (da quello che scrivono su Facebook e dai sondaggi) pare fare il pieno. Temo che solo in parte ciò sia dovuto all’elevato tasso di disoccupazione presente al Sud; credo che la mafia stia favorendo un consenso in questa direzione agendo nella società e che sempre la malavita stia pregustando l’erogazione del Reddito di Cittadinanza. Senza voler creare allarmismo potrebbe accadere, addirittura, che le Regioni che contribuiscono in modo massiccio alle entrate dello Stato, se emergessero i primi scandali, chiederanno a gran voce l’autonomia, mettendo in discussione l’integrità territoriale italiana prevista dalla Costituzione e lasciando il Sud in mano proprio alla peggior forma di Parastato, proprio ai carnefici di Falcone e Borsellino sulla cui fine ancora oggi dubito sia stata fatta pienamente luce.(Marco Giannini, riflessione su “Il potenziale legame tra Reddito di Cittadinanza e Mafie”, pubblicato sa “Libreidee” il 3 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, sottotitolo “Corso di sopravvivenza per chi non sa niente di economia”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.
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Crisi bancaria, ricatto Bce: il prossimo governo nasce morto
Comunque andranno le elezioni, il vincitore è già sul trono: la Bce. L’élite finanziaria ha appena stabilito, se mai ce ne fosse bisogno, che i partiti impegnati nella tornata elettorale del 4 marzo non potranno in nessun caso tener fede alle (clamorose) promesse appena fatte agli elettori: i veri super-padroni, infatti, stringeranno i cordoni della borsa tagliando i viveri al sistema-Italia. Lo afferma l’avvocato Marco Della Luna, esaminando le ultime notizie trapelate sulle intenzioni dei supremi manovratori. «Il regime bancario europeo, quello che ordì la crisi del debito pubblico italiano nel 2011 per rovesciare il governo e imporre Monti – scrive Della Luna – ha preparato lo strumento per mettere in ginocchio e ai suoi comandi il prossimo governo italiano già dalla sua gestazione, condizionandone la formazione». Nel suo blog, Della Luna cita media specializzati come “Marketinsight”, nonché agenzie come “Reuters” e “Ansa”: «Hanno annunciato che la Bce vuole mandare in vigore da aprile (ma i termini temporali non sono chiari) una nuova normativa sull’ammortamento dei crediti in sofferenza delle banche». Risultato: «I crediti deteriorati dovranno essere interamente ammortizzati, cioè passati a perdite, in non più di 7-8 anni se assistiti da garanzie, in due soli anni se non assistiti da garanzie».Dato l’alto livello di sofferenze già emerse (e che emergeranno nel sistema bancario italiano, soprattutto nel Monte dei Paschi di Siena), «queste nuove regole in prospettiva scateneranno una crisi bancaria generale, perché molte banche semplicemente non hanno i soldi per coprire le perdite e salteranno». Va anche considerato che «molte banche, da tempo, stanno concedendo crediti in modo piuttosto spensierato, allo scopo di raggiungere budget elevati». Le nuove regole annunciate per la primavera «indurranno le banche a restringere il credito, e ciò strozzerà l’economia». Secondo Della Luna, «nessun governo reggerebbe a un tale disastro, quindi il prossimo governo italiano dovrà inginocchiarsi ai grandi banchieri per impetrare rinvii dell’applicazione delle nuove regole e aiuti per adeguarsi ad esse nel tempo». Ma gli “aiuti”, si sa, «sono condizionati all’obbedienza politica, cioè a che il governo faccia le riforme, le cessioni di sovranità e le privatizzazioni che richiedono i grandi banchieri. E’ già avvenuto nel 2011».Sempre secondo Della Luna, quindi, «il prossimo governo dovrà dimenticare e far dimenticare alla gente tutte le promesse elettorali di farsi sentire in Europa, di sforare il 3%, di varare la Flat Tax, di fare grandi investimenti, di sostenere i poveri». I programmi elettorali sono stati bollati come velleitari, perché non indicano concretamente le coperture? Certo: «Sono velleitari, anzi illusori, soprattutto perché non tengono conto del fatto che l’Italia, come la Grecia, è sottoposta gerarchicamente al comando e al bastone di interessi esterni ad essa, che si stanno prendendo i suoi migliori assets aziendali». Da diversi decenni, «e ancor più con l’imposizione della guerra alla Libia e con il colpo di stato del 2011», l’Italia è stata «completamente sottomessa a quegli interessi». Peggio: «I suoi vertici istituzionali collaborano con essi». In più, «la ribellione a tutela dell’interesse nazionale, anche solo parziale, non è tollerata e viene repressa attraverso la Bce, l’Ecofin, il Fmi». Volete un governo che faccia gli interessi del vostro paese, per cui pagate le tasse? «Allora cambiate paese», taglia corto Della Luna.Comunque andranno le elezioni, il vincitore è già sul trono: la Bce. L’élite finanziaria ha appena stabilito, se mai ce ne fosse bisogno, che i partiti impegnati nella tornata elettorale del 4 marzo non potranno in nessun caso tener fede alle (clamorose) promesse appena fatte agli elettori: i veri super-padroni, infatti, stringeranno i cordoni della borsa tagliando i viveri al sistema-Italia. Lo afferma l’avvocato Marco Della Luna, esaminando le ultime notizie trapelate sulle intenzioni dei supremi manovratori. «Il regime bancario europeo, quello che ordì la crisi del debito pubblico italiano nel 2011 per rovesciare il governo e imporre Monti – scrive Della Luna – ha preparato lo strumento per mettere in ginocchio e ai suoi comandi il prossimo governo italiano già dalla sua gestazione, condizionandone la formazione». Nel suo blog, Della Luna cita media specializzati come “Marketinsight”, nonché agenzie come “Reuters” e “Ansa”: «Hanno annunciato che la Bce vuole mandare in vigore da aprile (ma i termini temporali non sono chiari) una nuova normativa sull’ammortamento dei crediti in sofferenza delle banche». Risultato: «I crediti deteriorati dovranno essere interamente ammortizzati, cioè passati a perdite, in non più di 7-8 anni se assistiti da garanzie, in due soli anni se non assistiti da garanzie».
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Elezioni da medioevo, vince la religione del debito pubblico
“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.I pricipi sono chiari e anche semplici da comprendere, hanno una loro logica, ma sono fondati su presupposti mistificanti della realtà: “Lo Stato è come una famiglia/azienda, non può spendere più di quello che guadagna”, oppure (soprattutto in Italia): “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”, la celebre metafora della cicala e della formica, oppure ancora, la frase che apre questo articolo, riportata urbi et orbi da politicanti, pennivendoli, intellettualoidi vari ed eventuali. Una questione, dunque, religiosa, come precedentemente anticipato: abbiamo il Dio Mercato, la dottrina (che ha assunto una dimensione sacrale) e i suoi sacerdoti, che professano la fede e offrono sull’altare della divinità le (tante) vittime sacrificali, al fine di alimentare il sistema. Questa dinamica, in atto da più di 40 anni, è andata avanti lentamente ed inesorabilmente, con un’accelerazione improvvisa e preoccupante nel corso dell’ultimo decennio (dalla “crisi dei mutui subprime” in poi). Inoltre, il sistema di “Inquisizione 2.0” condanna tutti coloro che si azzardano a proporre politiche economiche “anti-cicliche” di stampo keynesiano, poiché la spesa a deficit “graverà sulle spalle dei nostri figli”.Il tutto ignorando le grandi lezioni della Storia. Ignorando, anzi, cancellando totalmente, la memoria collettiva relativa alla Grande Depressione (o crisi del ‘29) e tutto il periodo post-bellico – definito Liberal Consensus – in cui partiti di destra, moderati e di sinistra condividevano sostanzialmente le ricette ispiratrici del New Deal di rooseveltiana memoria (e del boom economico successivo), cancellando le teorie di politica economica di Keynes, anzi rendendole addirittura anti-costituzionali in Italia (con la recente approvazione dell’articolo 81 della Costituzione, sul pareggio di bilancio), e cancellando anche il concetto di Welfare State teorizzato da William Beveridge. Cancellando, in ultima analisi, la dimensione umana, in favore di una visione economicistica della società, che ignora volutamente il diritto degli individui a vivere una vita dignitosa e li costringe a fare sacrifici per espiare colpe che non hanno. Ci troviamo, dunque, nell’epoca del Neoliberal Consensus, in cui partiti di destra, moderati e di sinistra (con la condivisione, da parte di questi ultimi, della “Third Way” di Anthony Giddens) condividono lo stesso paradigma.Per “Liberal” si intende quell’ideologia democratica, social-liberale, progressista, attenta alle istanze di giustizia sociale e ai diritti civili e politici di tutti: parola usata per la prima volta, in questi termini, da Franklin Delano Roosevelt, in contrapposizione a “Conservative”. Per “Neoliberal”, invece, si intende “neoliberismo” (non “neoliberalismo”, che non significa nulla ed è frutto di un’errata traduzione dall’inglese), ovvero il “lassez-faire” portato alla sua radicalizzazione: in altre parole, il fondamentalismo del mercato, sotto forma di teologia dogmatica. Il Neoliberal Consensus prevede un consenso comune in merito a una serie di ricette, che possiamo riassumere così: privatizzazioni, austerity, deregulation finanziaria, riduzione della spesa pubblica, Stato minimo, concezione dello Stato paragonato a un’azienda, vera e propria isteria sui conti pubblici e sul debito pubblico e conseguente “feticismo” delle coperture economiche. Dunque, in conclusione, mentre un “contatore del debito pubblico” lampeggia sui maxi-led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, iniziativa di terrorismo psico-economico intrapresa dall’Istituto Bruno Leoni – il quale simpaticamente ci informa anche del fatto che abbiamo 40 mila euro di debito a testa – l’invito è quello di riflettere criticamente sui programmi economici presentati dai vari partiti e di riflettere sulle pressioni mediatiche e internazionali su determinati temi. Riflettere e sforzarsi di capire perché siamo in presenza di questa condivisione paradossale, che assottiglia le differenze tra “destra” e “sinistra” e le implicazioni nei rapporti con l’Unione Europea. Qualsiasi partito decidiate di votare.(Rosario Picolla, “Verso il 4 marzo: Orwell, il Neoliberal Consensus e le scemenze elettorali”, dal blog del Movimento Roosevelt del 1° marzo 2018).“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.
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Onu: italiani in via di estinzione, nel 2050 saremo 40 milioni
Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.«Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico e l’equilibrio generale dell’Europa ne sarebbe scosso», scriveva Mendras. «L’Italia del nord, oggi così opulenta, ha il più basso tasso di fecondità in Europa: in media, meno di un bambino per donna». Le grandi città italiane “resistono” soltanto grazie all’immigrazione, continua Meotti nella sua analisi sul “Foglio” pubblicata nel 2017. «Prendiamo Venezia: 2.102 nuovi nati nell’ultimo anno, a fronte di 2.878 morti. Nel giro di quindici anni, a Bologna nasceranno il 10% di bambini in meno, il 20% in provincia. Gli anziani tra 65 e 79 anni cresceranno del 15%. Senza immigrazione, l’Emilia Romagna in vent’anni perderebbe 871.000. Si passerebbe dai quattro milioni e 454.000 residenti emiliano-romagnoli del 2016 a tre milioni e 583.000. Una contrazione del 20%». E’ un trend nazionale. Crollano le nascite a Milano: 17.681 nel 2006, 13.682 nel 2014, 12.688 nel 2015 e poco oltre le diecimila nel 2016. Genova è diventata la “città più vecchia d’Europa”. In Val d’Aosta, dal 2008 al 2015 la natalità è diminuita del 24%, il dato peggiore in Italia. «Nel ricchissimo Veneto le nascite sono calate del 20%». Sta “dimagrendo” la Toscana, meno 5,8%. Per Mendras, siamo di fronte a «una rivoluzione ideologica che rischia di mettere in pericolo la civiltà italiana».Una rivoluzione “culturale”: «Nascerà un nuovo tipo di famiglia: senza fratelli, zii, cugini». Un’Italia composta per due terzi da anziani e con pochissimi bambini. E’ esplicito l’economista americano Nicholas Eberstadt: «Ci sarete ancora domani? Un popolo può scomparire». Perché accade questo? Per soldi: «Una delle ragioni è che i figli sono bellissimi, ma non sono economicamente convenienti», afferma Eberstadt. «E in una società che premia ciò che è conveniente, non è una buona idea costruire una nuova famiglia». Se ieri non avere figli era una tragedia, oggi è anche uno stile di vita: si è più “liberi”. Secondo Eberstadt, continua il “Foglio”, «in una società grigia il welfare diventerà insostenibile: dovrete aumentare l’età pensionabile a 72, 73, 74 anni». Continundo su questa strada, «non penso che la società italiana sopravvivrà così come è oggi», aggiunge Eberstadt: «E’ possibile che l’Italia sarà osservata dal resto del mondo come un esperimento, per capire come una società sopravvive a questo terremoto. Sarete una cavia per il resto del genere umano». Sarà un’Italia di centenari, sostiene il noto demografo James Vaupel, già a capo dell’Istituto tedesco Max Planck: «La maggior parte delle persone vive oggi in Italia sarà probabilmente ancora viva nel 2050». La popolazione dell’Italia? «Potrebbe essere di 10 milioni alla fine del XXI secolo, un quinto della popolazione oggi».«Non conosco nessuna società pre-moderna che ha smesso di avere figli», dichiara al “Foglio” lo storico Bruce Thornton, studioso di antichità alla California State University e autore di “Decline and fall of Europe”. «Si vede questo fenomeno tra le élite, per esempio nella Roma tardo-repubblicana, con Augusto che ha cercato di incoraggiare gli aristocratici romani ad avere più figli. Prima dell’età moderna, la gente ha visto i bambini come risorsa più importante di ogni cultura. Solo i moderni possono essere così stupidi da ignorare questa saggezza». Entrerà in crisi la democrazia, in una simile spirale di invecchiamento e sterilità. «La democrazia sarà in pericolo», afferma Thornton, perché welfare sanitario, assistenza e pensioni dipendono dai lavoratori più giovani che pagano le tasse. «Cosa succede quando una maggioranza di vecchi voterà per averne sempre di più, a scapito dei giovani ormai ridotti al lumicino?». Troviamo difficile sacrificarci per le generazioni successive, dice Thornton: «Per questo abortiamo così tanti bambini. Per questo non distribuiamo più la ricchezza dai ricchi ai poveri, ma dai non nati ai vivi». Un paese di vecchi, geopoliticamente irrilevante e vulnerabile. In Francia, gli immigrati islamici – con alto tasso di natalità – sono il 10% della popolazione francese: avranno «il potere politico per iniziare a cambiare la cultura del paese ospitante».Per Thornton, «vedremo grandi investimenti per aumentare la lunghezza della vita, con la produzione ad esempio di reni e cornee artificiali». Esisteranno ancora le pensioni? «Lavorerete di più, come vediamo in America dal 2008. Ma chi pagherà le pensioni? Qui sorgeranno i conflitti». Che cultura produrremo? «Già oggi non ne produciamo più. Ci sarà molta cultura popolare per intrattenere gli anziani». E la religione? «Se n’è andata dall’Occidente: quando i baby boomers saranno vecchi, l’edonismo avrà vinto completamente». Dice il celebre psichiatra inglese Anthony Daniels: «La situazione in Italia mi sembra senza precedenti», simile a quelle di Spagna, Germania e Giappone. «Questa Italia prevalentemente di anziani avrà difficoltà a difendersi dalle popolazioni più giovani. I capelli saranno grigi, ma le persone saranno molto più vigorose di quelle di una volta. Ci saranno adolescenti geriatrici o una geriatria di adolescenti. La gente cercherà un qualche tipo di trascendenza, la troverà nella cosiddetta ‘spiritualità’, paganesimo, culto della natura, il potere curativo dei cristalli, candele, carillon tibetani. La piramide della popolazione tradizionale sarà invertita, gli anziani dovranno lavorare fino a tardi nella vita e saranno assistiti da robot importati dal Giappone».In questo quadro, la Chiesa romana latita. Dovrebbe usare la crisi demografica per una rinascita. Lo sostiene George Weigel, saggista cattolico. «Una nazione che non si riproduce versa in una crisi morale e culturale», dice Weigel al “Foglio”. «La Chiesa dovrebbe prestare attenzione a questo, ma significherebbe rimuovere la polvere dalla propria mentalità museale». Pochi prelati oggi parlano della catastrofe demografica. «Penso che in Occidente abbiamo un desiderio di morte», dice Rod Dreher, giornalista conservatore americano: «Abbiamo scelto il comfort sulla vita». Ratzinger ha detto che ci troviamo di fronte a una crisi spirituale: una grande crisi di civiltà, peggiore di qualsiasi altra dalla caduta di Roma. «Ratzinger è un profeta», sostiene Weigel. «Siamo diretti verso giorni molto bui. I musulmani che arrivano in Europa oggi credono in qualcosa. Troppi di noi occidentali non credono in niente, non nel Dio della Bibbia, ma neanche in se stessi». Per l’americano David Goldman, editore di “Asia Times”, «il declino della popolazione è l’elefante nel salotto del mondo. E’ una questione di aritmetica, sappiamo che la vita sociale della maggior parte dei paesi sviluppati si romperà entro due generazioni. Due italiani su tre e tre giapponesi su quattro saranno anziani nel 2050».Se gli attuali tassi di fertilità continuano, dice Goldman, il numero di tedeschi scenderà del 98% nel corso dei prossimi due secoli. «Nessun sistema pensionistico e sanitario è in grado di supportare tale piramide rovesciata della popolazione». Aritmetica, appunto: «Il tasso di natalità di tutto il mondo sviluppato è ben al di sotto del tasso di sostituzione, e una parte significativa di essa ha superato il punto di non ritorno demografico». La teoria geopolitica convenzionale, dominata da fattori materiali quali il territorio, le risorse naturali e la tecnologia, «non affronta il problema di come i popoli si comporteranno sotto questa minaccia esistenziale, in cui la questione cruciale è la volontà o mancanza di volontà di un popolo che abita un determinato territorio di sfornare una nuova generazione». Il declino demografico, inesorabile, nel XXI secolo «porterà a violenti sconvolgimenti nell’ordine del mondo». E l’Italia? «E’ sulla buona strada, secondo le Nazioni Unite: il numero di donne in età fertile si ridurrà di due terzi nel corso di questo secolo, e diminuirà di circa la metà dal mezzo secolo in poi», Ciò implica «una riduzione della popolazione paragonabile al declino di Roma nel Quinto e Settimo secolo». La causa immediata? E’ la crisi economica, dice Goldman. «L’Italia sarà simile a una casa di riposo, con il 45% popolazione sopra i sessant’anni». Conseguenza: «Il ruolo internazionale dell’Italia si ridurrà con la sua economia».Mentre l’economia continuerà a contrarsi, conclude Goldman, il rapporto deficit-Pil aumenterà. «L’Italia richiederà acquirenti stranieri per le sue attività, il che significa prima di tutto la Cina. L’Italia, insomma, si trasformerà in un parco a tema». Se il Giappone sarà abitato da filippine e indonesiane «pagate da una oligarchia di vecchi», agli italiani resterà il turismo per i cinesi: Roma, Firenze e Venezia. Secondo Goldman, il suicidio demografico italiano ha a che fare anche con il declino della religione. «I più bassi tassi di fertilità si incontrano tra le nazioni dell’Europa orientale, dove l’ateismo è stato l’ideologia ufficiale per generazioni». Al contrario, «Israele avrà più giovani dell’Italia o della Spagna. Un secolo e mezzo dopo l’Olocausto, lo Stato ebraico avrà più uomini in età militare e sarà in grado di mettere in campo un esercito di terra più grande di quello della Germania. Quando la fede scompare, la fertilità svanisce». La spirale di morte in gran parte del mondo industriale, aggiunge Goldman, ha costretto i demografi a pensare anche in termini di fede. «Decine di nuovi studi documentano il legame tra fede religiosa e fertilità. La religione ha cessato di svolgere un ruolo significativo nella società italiana. La metà dei seminaristi di Roma sono africani. Non c’è un Papa italiano da quarant’anni. Ci sarà sempre un nucleo di cattolici in Italia, ma la religione non è ora e non sarà un fattore significativo».Eppure, osserva Meotti, in Italia nessuno parla di suicidio demografico. «Due guerre mondiali – dice ancora Goldman – hanno mostrato agli europei che la loro cultura era deperibile e, per certi versi, costruita su illusioni di superiorità nazionale, e quando queste illusioni sono state chiamate in causa, gli europei hanno visto che non c’era alcuna ragione di sacrificare i piaceri per la cultura». Ancora: «Gli individui intrappolati in una cultura di morte vivono in un crepuscolo del mondo. Abbracciano la morte attraverso l’infertilità, la concupiscenza e la guerra». I membri di una cultura “malata” «cessano di avere figli, si stordiscono con l’alcool e la droga, diventano scoraggiati e spesso la fanno finita con se stessi». Una buona parte del mondo sembra aver perso il gusto per la vita, sostiene Goldman. «La fertilità è scesa finora in alcune parti del mondo industriale in maniera tale che lingue come ucraino ed estone saranno in pericolo in un secolo, e l’italiano nel giro di due». Le culture di oggi «stanno morendo di apatia, non per le spade dei nemici». E l’apatia europea «è il rovescio della medaglia dell’estremismo islamico». Potrà la geriatria italiana essere democratica? «Certamente», conclude Goldman. «Potrete votare democraticamente per chiedere all’ultima persona di spengere la luce».Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.
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Di Maio, Ciocca e la decrescita infelice dell’Italia in svendita
Nonostante ben 5 anni di esperienza nelle istituzioni e di evidenze empiriche il M5S come proposta “di punta” ha ancora oggi quella sui vitalizi immediatamente “fagocitata” dalla protesta come “Dio Marketing” vuole. Facendo credere al cittadino medio “conti qualcosa”, lo si è portato a inveire contro questioni secondarie ma comprese da tutti e volutamente distratto. E’ stato portato a credere che 70 milioni di euro di vitalizi (quanto potrebbe costare il cartellino di Alex Sandro della Juventus) siano più odiosi delle decine e decine di miliardi che lo Stato annualmente paga a pochi soggetti della finanza internazionale. Una speculazione parassitaria (cioè ottenuta senza dietro un “lavoro”), imposta ai nostri contribuenti mediante leggine da abolire presenti tanto nell’Italia pre moneta unica, quanto in quella post moneta unica; nel secondo contesto la situazione è divenuta critica perché causante perdita di competitività e debito estero. Trasformando quindi la materia “economia” in un reality, il M5S ha potuto compiere un’opera di trasformismo senza precedenti, proponendo per il relativo ministero Pier Luigi Ciocca senza essere praticamente notato. Chi è Ciocca?Per capirlo partiamo dalla Germania: dal dopoguerra in poi i tedeschi hanno percorso una strada di costante “austerity sostenibile”, mantenendo i salari bassi rispetto ai profitti delle imprese (“quota salari”). Invece di alimentare politiche di domanda interna spesso poco etiche (e di aumento dei prezzi), i teutonici hanno conquistato fette di mercato estero incamerando ricchezza: in tal modo si sono ritrovati un salario reale molto più alto senza deprezzare o svalutare la propria moneta. L’Italia, tuttavia, riusciva ad essere altamente competitiva grazie ai cambi flessibili e ad una struttura produttiva in parte differente. Quando l’Italia sull’onda emotiva di Mani Pulite (…) chiese di far parte della moneta unica,la Germania, che per 50 anni era stata “austera”, chiese al nostro paese di pagare un dazio di altrettanta “sobrietà” immediatamente: competizione al ribasso dei diritti e dei salari mediante alta disoccupazione (ed ingresso di manodopera a basso costo dall’Africa), taglio dei servizi anche essenziali, totale separazione della moneta rispetto all’economia, distruzione delle economie locali. Per ottenere tale risultato serviva come “precursone” un valore di ingresso (nell’euro) marco/lira che non rispecchiasse il reale rapporto di forza tra le due economie (1 marco = 1.200 lire circa) ma ipervalutasse la nostra valuta (mettendo così in difficolta la nostra bilancia commerciale, prodromo di tutte le crisi economiche, con tutti i sacrifici annessi).Ad accordarsi per un valore di 1 marco = 990 lire furono proprio Prodi, Ciampi, Draghi e… Ciocca! Per legittimare questo rapporto “drogato”, nei mesi precedenti la decisione, ci avevano pensato i mercati finanziari “drogando” il rapporto cioè vendendo appositamente marchi e comprando lire. Una volta compreso il contributo storico di Ciocca per il proprio paese, quello che va rimarcato è che il M5S è riuscito a proporre un simile prospetto senza essere notato dall’opinione pubblica. Per fare un esempio eloquente, se i pentastellati avessero cercato un ex di Forza Italia per quel ministero (senza responsabilità sulla crisi rispetto ai summenzionati) ci sarebbero state le barricate. Secondo la stessa logica tocca sentire un Prodi (cui affidammo il futuro dei nostri figli e nipoti) dichiarare «abbiamo svalutato la lira sul marco del 600% rispetto a quando ero uno studente universitario», confondendo moneta ed economia sempre profittando della totale ignoranza (in materia) del cittadino medio. In questo contesto quindi ha buon gioco chi riesce a far passare inosservate, insieme a figure come Ciocca, le pericolose carenze di un programma economico confusionario ed impraticabile.Alcuni media hanno espresso preoccupazione per l’estrema fragilità interna del M5S, una fragilità che, secondo loro, si andrebbe a ripercuotere sul paese una volta al governo; altri hanno ravvisato nella ricetta M5S numerosi copia incolla eseguiti da programmi di altre forze politiche e da Wikipedia (inquietanti indizi di incompetenza) ma nessuno si è cimentato nell’analisi della proposta economica. A prima vista parrebbe che a dettare la linea economica sia sempre Beppe Grillo visto il suo “innamoramento” per il default, eppure non credo che stiano così le cose: inizialmente fu la “decrescita felice”, una teoria rudimentale, di pochi capitoletti, che durante la stagnazione ci costerebbe il default; successivamente fu il turno del default stesso, auspicato da Grillo; poi fu la volta del referendum sull’euro che avrebbe portato sempre al fallimento; adesso è il turno di questa proposta che favorirebbe una speculazione internazionale senza precedenti con “scenari greci” (cioè il dimezzamento dei livelli pensionistici) o addirittura “argentini”, cioè il… default! Come noto, se si escludono le persone che hanno conti all’estero, il default comporta l’immediata evaporazione di tutti i risparmi degli italiani: una crisi debitoria in Italia a qualche soggetto estero conviene sempre…Per uscire dalle recessioni, secondo l’approccio keynesiano, è opportuno “fare deficit” per incrementare la domanda aggregata (acquisto di beni e servizi da parte dei cittadini) dando lavoro, infrastrutture, detassando, ecc. In questo modo tornano a circolare danari, l’economia riparte, i contribuenti aumentano di numero e con essi le entrate dello Stato che vanno a ripianare non solo il nuovo deficit ma anche a ridurre lo stock debitorio. In altre parole si va ad incidere sul denominatore del rapporto debito/Pil incrementandolo, e non sul numeratore (cercare di ridurlo significa fare austerità). Purtroppo l’economia non è una materia da affrontare in modo virtuale bensì chirurgico, considerando in primo luogo in che contesto ci si muove: al minimo errore si rischia una macelleria sociale senza precedenti. Su un piano strettamente economico, nell’ambito dell’Eurozona, se espandiamo la domanda aggregata ed i partner europei non fanno altrettanto, la conseguenza è il peggioramento dei conti verso l’estero e della bilancia commerciale, a causa dell’impennata dell’import rispetto all’export con probabile crisi debitoria (di tipo economico).Il candidato premier pentastellato pare quindi mettere il carro davanti ai buoi visto che i principali partner europei optano senza titubanze verso dinamiche ultra-competitivie e marcatamente mercantiliste. Di Maio, insistendo sullo sforamento del parametro del 3%, denota che a sfuggirgli è pure un importante dettaglio: “fare deficit” non significa erogare beni e servizi aggiuntivi rimanendo scoperti, ma vuol dire ottenere un prestito da un investitore (sotto forma di Bot, Btp, ecc) per poterli pagare. Successivamente lo Stato, per evitare il fallimento, è obbligato a saldare il debito col creditore quando egli chieda indietro i soldi o alla scadenza prestabilita del prestito con interessi annessi. Se uno Stato paventa la violazione di regole comunitarie, perde credibilità e diviene costosissimo per esso ottenere finanziamenti, visto che una simile prospettiva può comportare dinamiche punitive da parte di numerosi soggetti finanziari (compresi gli Stati creditori). Di Maio è corso ai ripari evidenziando come anche Francia e Spagna in passato abbiano disatteso il 3% ma non ha tenuto conto del fatto che questi Stati possiedono un debito pubblico minore del nostro. Poco importa ai partner dell’Eurozona che il concetto di debito pubblico sia emotivamente enfatizzato e confuso con il debito estero.Un altro punto estremamente critico del candidato premier è dare per scontato che i propri interventi siano “ad altissimo moltiplicatore” e che in brevissimo tempo comportino una crescita del Pil tale da ottenere maggiori entrate fiscali (utili ad onorare le scadenze con vecchi e nuovi creditori e quindi ad evitare il default). Al netto del fatto che le dinamiche di questo tipo sono estremamente imprevedibili, il moltiplicatore si esprime in tutta la sua forza quando il danaro “gira”, cioè quando proviene da capitali fino ad allora giacenti e finisce nelle tasche di chi consuma fino all’ultimo euro di stipendio per poter vivere. Se va ad accumularsi nei forzieri delle multinazionali che stanno dietro larga parte della Green Economy, della Virtual Economy e delle infrastrutture, l’effetto è contrario (al netto del fatto che se sono capitali esteri la moneta “emigra” peggiorando ancor più lo stato delle cose). In altre parole, è lecito attendersi che i licenziamenti presenti nel piano Cottarelli e gli investimenti nei settori auspicati da Di Maio e dal suo staff economico, comportino una riduzione degli effetti del moltilicatore nel breve/medio periodo (e con essa una riduzione dei livelli occupazionali, proprio secondo Keynes!), una contrazione del Pil, minori entrate e tagli ai servizi e alle infrastrutture che nelle intenzioni si vorrebbero potenziare.Per quanto eticamente auspicabile, la “moralizzazione” della spesa pubblica nel breve può comportare al massimo un incremento della soddisfazione dei cittadini che, se si rivolgono a un fannullone, non ottengono un servizio pronto e decente. Solo nel medio-lungo periodo una burocrazia efficiente, un paese sicuro e ricco di infrastrutture possono attrarre investimenti sensibili ma finché ciò non avviene, di effetti moltiplicatori “nemmeno l’ombra”, quindi non si hanno maggiori entrate mentre i creditori, aumentati di numero, pretendono subito il pagamento delle scadenze pena il fallimento dello Stato e questo contesto innesca fenomeni speculativi. Non saper “moltiplicare” l’economia e prospettare la violazione di norme comunitarie (perdita di credibilità) è il viatico certo per ritrovarci con il cappio al collo delle scadenze verso i creditori. Quando uno Stato è nell’urgenza di ottenere finanziamenti, i potenziali “prestatori” (detti “investitori” ma anche detti “speculatori”) chiedono interessi sempre più alti (speculazione/spread), il paese sotto attacco finisce per avvitarsi nei debiti e per onorare scadenze sempre più pressanti ed evitare il default è costretto a svendere assets strategici a prezzi di saldo (con ulteriore desertificazione dell’economia), di norma proprio ai soggetti che hanno compiuto questa aggressione. E’ l’azione della tipica “finanza volatile” con sede a Londra che non comporta un incremento dell’economia reale (industrie, lavoro) bensì emorragia di benessere verso l’estero e deflazione salariale. In questo caso la crisi debitoria ha tratti più finanziari che economici e di nuovo il M5S pare incamminato in quella direzione.Di Maio è reduce da incontri con non ben definiti “investitori” a porte chiuse quando in gioco c’è l’interesse nazionale: perché questo gap in termini di trasparenza proprio quando la posta in gioco è così alta? Ricordo che nel 1992 il governo italiano optò per l’uscita dallo Sme e consapevole che la grande svalutazione che ne sarebbe seguita avrebbe comportato un pari sconto sui “gioielli di Stato”, sul panfilo Britannia, si accordò con soggetti esteri per la svendita degli stessi. A completare un quadro di estrema incertezza la salita agli onori della cronaca di Fioramonti come responsabile della politica economica pentastellata, per i legami (da lui smentiti) con lo speculatore internazionale Soros, con i Rockefeller, i Rothschild ed Anspen Institute. Egli insegna economia in Sud Africa ma è laureato in scienze politiche (quindi non è un economista) ed è un teorico della della “decrescita felice”. Superfluo rimarcare come tale teoria non scopra niente (è lapalissiano che gli sprechi vadano ridotti e che il Pil non sia un indice della felicità ma economico) ma viene percepita da creditori e partner europei (che spesso coincidono) come indizio di approssimazione e come indice di un potenziale disimpegno sul lato dei conti pubblici da parte degli “italiani”. Insomma, più che del “Moltiplicatore di Di Maio” e di un clima alla Mani Pulite 2.0 (utile a difendere la Religione della Moneta Unica) questo paese necessita di maggiore lealtà nei confronti di chi non “mastica” economia: volendo esprimere un giudizio nazional-popolare, si dichiari chiaramente che dal punto di vista della “crisi” il problema del nostro paese non sono tanto i “corrotti”, che evidenze scientifiche mostrano pesare tra un 5% e un 10% alla voce “debito”, ma i “venduti” (a soggetti esteri) che hanno approvato una Maastricht irriformabile.(Marco Giannini, “Di Maio e la decrescita (infelice) dell’Italia in svendita”, riflessione pubblicata su “Libreidee” il 27 febbraio 2018).Nonostante ben 5 anni di esperienza nelle istituzioni e di evidenze empiriche il M5S come proposta “di punta” ha ancora oggi quella sui vitalizi immediatamente “fagocitata” dalla protesta come “Dio Marketing” vuole. Facendo credere al cittadino medio “conti qualcosa”, lo si è portato a inveire contro questioni secondarie ma comprese da tutti e volutamente distratto. E’ stato portato a credere che 70 milioni di euro di vitalizi (quanto potrebbe costare il cartellino di Alex Sandro della Juventus) siano più odiosi delle decine e decine di miliardi che lo Stato annualmente paga a pochi soggetti della finanza internazionale. Una speculazione parassitaria (cioè ottenuta senza dietro un “lavoro”), imposta ai nostri contribuenti mediante leggine da abolire presenti tanto nell’Italia pre moneta unica, quanto in quella post moneta unica; nel secondo contesto la situazione è divenuta critica perché causante perdita di competitività e debito estero. Trasformando quindi la materia “economia” in un reality, il M5S ha potuto compiere un’opera di trasformismo senza precedenti, proponendo per il relativo ministero Pier Luigi Ciocca senza essere praticamente notato. Chi è Ciocca?
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Euro e bugie: Grillo ha illuso e tradito gli italiani indignati
Ricerca: “Genealogia di un rincoglionimento”. Definizione di rincoglionimento: “Rendere qualcuno imbecille, incapace di nuocere”. Fenomenologia di un rincoglionimento: nel maggio 2014 Beppe Grillo dichiara: «Il Fiscal Compact è una follia. Noi non abbiamo firmato un cazzo, andiamo in Europa e il Fiscal Compact glielo strappiamo in faccia davanti alla Merkel». Gli italiani si svegliano e s’indignano. Finalmente un politico che dice pane al pane e vino al vino. Nel dicembre 2014, Beppe Grillo specifica: «Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall’incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia. Fuori dall’euro o default». Gli italiani esultano: c’è vita intelligente nell’Europa deficiente. Nel febbraio 2015, Grillo chiarisce: «Il premier sta eliminando tutte le tutele di legge che ci proteggono dalla colonizzazione dei poteri forti, cedendo completamente la sovranità nazionale agli euroburocrati senza legittimazione». Gli italiani non stanno più nella pelle: ecco un “hombre vertical” che mette i dittatori a novanta gradi. Nel maggio 2015, Beppe Grillo sentenzia: «Di euro si muore».«Il primo paese che uscirà dalla trappola dell’euro dimostrerà che è solo una zavorra che costringe a sacrificare pensioni, diritti dei lavoratori ed economie nazionali al pagamento di interessi ai paesi creditori del Nord Europa, Germania in primis. L’unico loro obiettivo. Fuori dall’euro, quindi, per ritornare a vivere». Gli italiani non credono alle loro orecchie: allora è tutto vero, un leader ci indica la via per scappare dall’eurocrazia. Nel luglio 2015, Beppe Grillo ci va giù duro: «Guy Verhofstadt (il leader dell’Alde) è il politico che più incarna l’eurostatocentrismo, dentro al Parlamento Europeo». L’euforia degli italiani è alle stelle (cinque): mai nessuno aveva osato tanto contro la burokratura comunitaria. Gennaio 2017: Grillo chiede e ottiene dagli iscritti, con votazioni on line, il consenso all’ingresso nel gruppo dell’Alde di Guy Verhofstadt. Gli italiani cominciano ad avvertire un lieve giramento di capo.Nel settembre 2017, a Cernobbio, il candidato premier grillino Di Maio dichiara: «Il referendum sull’euro va usato come peso contrattuale e come via d’uscita nel caso in cui i paesi mediterranei non dovessero essere ascoltati in sede europea, ma noi non siamo contro la Ue». Gli italiani faticano a raccapezzarsi e a mantenere l’equilibrio. Nel gennaio 2018, da Bruno Vespa, Di Maio enuncia: «Io non credo sia più il momento per l’Italia di uscire dall’euro perché l’asse franco-tedesco non è più così forte». Gli italiani sono definitivamente sedati: incapaci di nuocere. A quel punto, passa Di Battista e – alla domanda se i 5 Stelle riusciranno a governare – risponde: «Io non lo so, perché gli italiani li vedo molto rincoglioniti». E a un trenta per cento circa di italiani viene un dubbio amletico: «Se rincoglioniti si diventa, coglioni si nasce?».(Francesco Carraro, “Rincoglioniti si diventa”, da “Scenari Economici” del 12 febbraio 2018).Ricerca: “Genealogia di un rincoglionimento”. Definizione di rincoglionimento: “Rendere qualcuno imbecille, incapace di nuocere”. Fenomenologia di un rincoglionimento: nel maggio 2014 Beppe Grillo dichiara: «Il Fiscal Compact è una follia. Noi non abbiamo firmato un cazzo, andiamo in Europa e il Fiscal Compact glielo strappiamo in faccia davanti alla Merkel». Gli italiani si svegliano e s’indignano. Finalmente un politico che dice pane al pane e vino al vino. Nel dicembre 2014, Beppe Grillo specifica: «Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall’incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia. Fuori dall’euro o default». Gli italiani esultano: c’è vita intelligente nell’Europa deficiente. Nel febbraio 2015, Grillo chiarisce: «Il premier sta eliminando tutte le tutele di legge che ci proteggono dalla colonizzazione dei poteri forti, cedendo completamente la sovranità nazionale agli euroburocrati senza legittimazione». Gli italiani non stanno più nella pelle: ecco un “hombre vertical” che mette i dittatori a novanta gradi. Nel maggio 2015, Beppe Grillo sentenzia: «Di euro si muore».
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Mafia nigeriana? Gli 007: è solo politica, xenofobia elettorale
Se la prenderanno coi migranti, perché “conviene”: serve a sfogare su falsi bersagli la rabbia di strati sociali sempre più vasti, colpiti dalla crisi economica. Parola dei servizi segreti italiani: previsione datata 2016. Lo ricorda Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto”, a proposito dell’atroce fine di Pamela Mastropietro, omicidio rituale subito trasformato in caso politico. L’impresa di Luca Traini, che a Macerata ha sparato su migranti africani, «ha innescato una vera e propria campagna di odio, basata su assunti completamente falsi». Il più assurdo? «Quello che vede tra i protagonisti del fatto la cosiddetta mafia nigeriana», su cui i media si sono gettati: un’organizzazione crimimale «addirittura più potente della mafia cinese», stando a un noto criminologo. Immediata l’eco sui media, con pagine su vudù e cannibalismo. «La questione è stata cavalcata da una parte della destra, ed è quindi diventata l’occasione per farne un cavallo di battaglia elettorale». Peccato che non esista nessuna “mafia nigeriana”, stando al codice penale: l’associazione è di tipo mafioso – recita l’articolo 416 bis – quando chi ne fa parte «si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti».E’ mafia, dice il codice, se ostacola il libero esercizio del voto, condizioando le elezioni. E’ mafia se è armata, se dispone di arsenali ed esplosivi. E’ mafia «se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti». Sintetizzando, dice Stefania Nicoletti, per poter parlare di “mafia” occorrono vari requisiti, tra cui il controllo del territorio, delle attività economiche, degli appalti e dei servizi pubblici: «Non risulta che la criminalità nigeriana sia infiltrata negli appalti o nell’economia italiana». Controllo del voto e quindi della politica? «Non risulta da inchieste, giornalistiche o giudiziarie: nessun controllo della criminalità nigeriana sulla nostra politica». Armi o esplosivi? «Anche su questo punto, non risulta che la “mafia nigeriana” disponga di questi arsenali da far tremare i polsi alla società italiana». Più in generale, per parlare di mafia «occorre un controllo capillare del territorio, con il potere di condizionare la politica, la magistratura e la società civile; tutte caratteristiche che, per quanto riguarda la criminalità nigeriana, non ci risultano».«Sorvoliamo poi sull’assurdità dell’affermazione che la mafia nigeriana sarebbe più potente di quella cinese», aggiunge Nicoletti: «Ricordiamo che la Cina ha acquistato parte della Pirelli, parte della Banca d’Italia, parte delle aziende che producono il Chianti, il Milan, ha acquisito partecipazioni in Eni, Generali, Telecom». Il peso delle Triadi, poi, è fuori discussione: «La mafia cinese in realtà è la più potente del mondo, perché ha un’origine millenaria, e si avvale anche di poteri esoterici, psichici e materiali, sconosciuti anche all’esoterismo occidentale». La criminalità nigeriana, tutt’al più, «gestisce un traffico di prostitute, sotto il controllo delle nostre mafie, che devono dare l’assenso per permettere ai nigeriani di operare. E le nostre mafie, lo sappiamo da tempo, viaggiano a braccetto con la politica». In realtà, rileva Stefania Nicoletti, lo scontro sociale (in funzione elettorale) tra immigrati e società civile, era stato previsto in un rapporto dei servizi segreti, che lo avevano preannunciato da tempo. Il testo della relazione del Sisr è disponibile in rete. E parla da solo: l’emergenza migratoria «è ritenuta tra i temi più remunerativi in termini di visibilità e consensi». Infatti, annota la fonte di intelligence, la questione migranti è sempre più centrale «nelle strategie politiche delle principali organizzazioni».I partiti, «nel tentativo di cavalcare in modo strumentale il fenomeno, facendo leva sul malessere della popolazione maggiormente colpita dalla congiuntura economica e dalla contrazione del welfare», hanno ormai «sviluppato un’articolata campagna propagandistica e contestativa (manifestazioni, presidi, attacchinaggi, flash mob) contro migranti e strutture pubbliche e private destinate all’accoglienza, influenzando indirettamente anche la costituzione di “comitati cittadini” di protesta”». In generale, continua la fonte governativa, «il diffondersi in ambito europeo di istanze populiste e nazionaliste, nonché di sempre più estesi timori ed insofferenze verso la presenza extracomunitaria, tende ad essere percepito tra i gruppi della destra radicale come un’opportunità per accrescere il proprio spazio politico, determinando pertanto un incremento della correlata attività di mobilitazione». Una previsione precisa: «Continueranno a verificarsi episodi di contrapposizione (provocazioni, aggressioni e danneggiamenti di sedi) con frange dell’estrema sinistra, per effetto sia della mobilitazione concorrenziale su tematiche sociali, da parte di entrambi gli schieramenti, sia delle visioni contrapposte in tema di immigrazione». E poi: tanto baccano sulla “mafia nigeriana” e sugli “omicidi rituali vudù” – chiosa Stefania Nicoletti «e mai un accenno, nei vari media mainstream, ai delitti rituali nostrani (quelli sì, diffusi e comuni)». Di colpo, i giornali scoprono che i delitti rituali esistono? Certo: ma solo quelli nigeriani.Se la prenderanno coi migranti, perché “conviene”: serve a sfogare su falsi bersagli la rabbia di strati sociali sempre più vasti, colpiti dalla crisi economica. Parola dei servizi segreti italiani: previsione datata 2016. Lo ricorda Paolo Franceschetti, sul blog “Petali di Loto”, a proposito dell’atroce fine di Pamela Mastropietro, omicidio rituale subito trasformato in caso politico. L’impresa di Luca Traini, che a Macerata ha sparato su migranti africani, «ha innescato una vera e propria campagna di odio, basata su assunti completamente falsi». Il più assurdo? «Quello che vede tra i protagonisti del fatto la cosiddetta mafia nigeriana», su cui i media si sono gettati: un’organizzazione criminale «addirittura più potente della mafia cinese», stando a un noto criminologo. Immediata l’eco sui media, con pagine su vudù e cannibalismo. «La questione è stata cavalcata da una parte della destra, ed è quindi diventata l’occasione per farne un cavallo di battaglia elettorale». Peccato che non esista nessuna “mafia nigeriana”, stando al codice penale: l’associazione è di tipo mafioso – recita l’articolo 416 bis – quando chi ne fa parte «si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti».
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Italia in declino da 25 anni, privatizzati 170.000 miliardi
E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.L’Italia raggiunse un altro storico traguardo nel 1991 allorquando in piena Tangentopoli divenne la quinta potenza industriale del pianeta e sfiorando il quarto posto nella classifica delle nazioni più ricche. Fu l’ultimo capitolo di una stagione che vedeva la politica ancora con le redini per poter intervenire nei processi economici del paese. L’epitaffio più prestigioso prima che il pool di Mani Pulite facesse piazza pulita della classe dirigente e imprenditoriale con il chiaro intento di aprire la strada a potentati economici e finanziari di marca anglosassone. Si chiudeva la stagione dell’intervento pubblico e di tutti quei meccanismi partecipativi che permisero alla nostra economia di vivere i fasti del boom economico degli anni ’70 e del consolidamento degli ’80. Gran merito di questo successo va attribuito alle strutture, alle leggi e a quegli istituti (Iri su tutti) creati durante il fascismo che in un modo e nell’altro sopravvissero ancora nei decenni successivi al Ventennio. Nel 1987 l’Italia entra nello Sme (Sistema monetario europeo) e il Pil passa dai 617 miliardi di dollari dell’anno precedente ai 1.201 miliardi del 1991 (+94,6% contro il 64% della Francia, il 78,6% della Germania, l’87% della Gran Bretagna e il 34,5% degli Usa). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo di 7 miliardi mentre la lira si rivaluta del +15,2% contro il dollaro e si svaluta del -8,6% contro il marco tedesco.Tutto questo, come detto, ha un suo apice e un suo termine coincidente con la nascita della Seconda Repubblica. La fredda legge dei numeri ci dice difatti che dal 31 dicembre del 1991 al 31 dicembre del 1995, solo quattro anni, la lira si svaluterà del -29,8% contro il marco tedesco e del -32,2% contro il dollaro Usa. La difesa ad oltranza e insostenibile del cambio con la moneta teutonica e l’attacco finanziario speculativo condotto da George Soros costarono all’Italia la folle cifra di 91.000 miliardi di lire. In questi quattro anni il Pil crescerà soltanto del 5,4% e sarà il fanalino di coda della crescita all’interno del G6. In questi anni di governi tecnici la crescita italiana perderà terreno nei confronti della Francia (-21%,), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Usa (-25,8%). Sono questi gli anni più tragici per l’economia italiana. Da allora la crescita, quando c’è stata, si è contabilizzata sulla base di cifre percentuali da prefisso telefonico. L’Italia perse in pochi mesi la classe politica del trentennio precedente che venne rimpiazzata nei posti strategici soprattutto da gente proveniente da noti istituzioni bancarie che seguirono – facendo addirittura meglio – alla lettera l’esempio thatcheriano.Non è un caso che proprio la Gran Bretagna della Lady di ferro perse, nel periodo che va dal 1981 al 1986, il 29% di crescita nei confronti dell’Italia, il 4.9% nei confronti della Francia e il 5% nei confronti della Germania. La fredda legge dei numeri che una volta per tutte smentisce chi ancora oggi glorifica la svolta liberista intrapresa dalla Thatcher. Svolta liberista che a partire dai governi tecnici e di sinistra colpì pesantemente l’Italia. Tutte le riforme strutturali avviate in quegli anni portarono il nostro paese a perdere posizioni che mai più avrebbe riguadagnato. A seguire, tutte le privatizzazioni con relativo valore al momento della cessione in miliardi di lire dell’epoca: 1993 Italgel, Cirio-Bertolli-De Rica, Siv (2.753 miliardi); 1994 Comit, Imi, Ina, Sme, Nuovo Pignone, Acciai Speciali Terni (12.704 miliardi); 1995 Eni, Italtel, Ilva Laminati piani, Enichem, Augusta (13.462 miliardi); 1996 Dalmine Italimpianti, Nuova Tirrenia, Mac, Monte Fibre (18.000 miliardi); 1997 Telecom Italia, Banca di Roma, Seat, Aeroporti di Roma (40.000 miliardi); 1998 Bnl + altre tranche (25.000 miliardi); 1999 Enel, Autostrade, Medio Credito Centrale (47.100 miliardi); 2000 Dismissione Iri (19.000 miliardi).Con la scusa di reperire capitali in vista della futura introduzione della moneta unica, il governo presieduto da Romano Prodi (17 maggio 1996 – 20 ottobre 1998) iniziò a spingere sull’acceleratore delle privatizzazioni e sulle cartolarizzazioni, ovvero la sistematica svendita del patrimonio di tutti gli italiani. Il governo Prodi non riuscì a completare la sua missione perché ad ottobre del 1998 cadde, ma con una mossa a sorpresa, evitando di fatto il ricorso alle urne, si diede l’incarico di creare una nuova maggioranza all’ex comunista Massimo D’Alema, che che proseguì la barbarie fin quando gli fu permesso (aprile del 2000) e conseguentemente proseguito dal governo “tecnico” Amato, quest’ultimo finito con la chiamata alle urne nel maggio del 2001. Questa fu la stagione legata alla più colossale svendita del patrimonio pubblico italiano. Furono incassati 178.019 miliardi di lire, pari a 91 miliardi di euro. “Meglio” della liberale Inghilterra della Thatcher. Milioni di posti di lavoro cancellati negli anni a venire che fecero perdere quella crescita che viceversa aveva contraddistinto i decenni precedenti.Le privatizzazioni non sono mai cessate. Dopo il 2000 proseguirono e continuano ancor oggi a piè sospinto. Cambia solo la ragione per la quale i governi ci dicono che dobbiamo procedere obbligatoriamente per questa strada: l’abbattimento del debito pubblico. Vale a dire come far passare il fatidico cammello attraverso la cruna dell’ago. Ma le privatizzazioni non solo non sono servite a nessuna delle cause fin qui addotte, ma come detto prima, cancellano posti di lavoro abbassando l’occupazione reale nell’arco di qualche anno. Nessuna delle ex aziende pubbliche ristrutturate dai privati ha difatti provveduto ad assumere più dipendenti della vecchia gestione. Centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in favore del precariato e di tutti quei contratti a termine che hanno tolto certezze e diritti. Un altro elemento che oggi favorisce questa continua barbarie ai danni del lavoro ci è data dall’immigrazione favorita e voluta dalla Ue, accompagnata dal solito finto e perfido buonismo, che ha la funzione di servire sempre alla stessa finalità: alzare la disoccupazione marginale per far accettare ai lavoratori salari e diritti calanti. L’Italia ha avuto nel suo passato degli ottimi spunti che ci hanno posto ai vertici delle nazioni più competitive, e questo malgrado le cassandre che enfatizzavano gli aspetti legati all’elevata corruzione, alla criminalità organizzata e all’ignavia tipica dei mediterranei.Un paese che era vivo e presente, con il giusto slancio per affrontare qualsiasi sfida posta a livello internazionale. E questo era stato ampiamente compreso dai nostri diretti competitor, Germania, Gran Bretagna e Francia in testa che hanno fatto di tutto per smantellarci pezzo dopo pezzo. Nel 1997 il Pil italiano ha ancora una brutta caduta e passa dai 1.266 miliardi dell’anno precedente ai 1.199 miliardi. Recupera qualcosa nel ’98 (1.225 miliardi) per poi scendere ancora a 1.208 miliardi di dollari nel 1999. L’intero periodo segna una decrescita complessiva del -4,6%. L’11 dicembre del 2001, dopo 15 anni di negoziati, la Cina entrava a far parte del Wto (World Trade Organization), l’organizzazione mondiale del commercio. Da allora tutto è cambiato. Le economie anglosassoni, grazie alla deregolamentazione dei mercati voluta da Bill Clinton e Tony Blair, si sono votate esclusivamente sul finanziario. Si è creata di fatto una asimmetria tra rendita finanziaria e profitto capitalistico che ha favorito la Cina, che con i presupposti della concorrenza sleale ha sparigliato tutti, soprattutto nel campo manifatturiero, da sempre fiore all’occhiello dell’Italia. Chi non ha retto questi primi tragici anni del terzo millennio o ha chiuso i battenti o ha delocalizzato la produzione proprio nel paese del Dragone. Dal 2001 in poi i protagonisti dell’economia mondiale saranno altri. L’Italia esce mestamente dal G6 accompagnata verso un ruolo di marginalità politico-economica sempre maggiore.(Giuseppe Maneggio, “Il declino nazionale? Tutto è cominciato negli anni ‘90”, da “Il Primato Nazionale” del 18 marzo 2015).E’ opinione diffusa tra gli accoliti della sinistra italiana che i mali economici del Belpaese siano stati in larga misura acuiti e creati dai governi presieduti da Silvio Berlusconi. Mentre un’altra grossa fetta della popolazione è convinta che si debba viceversa far risalire le cause del declino alla pazza spesa pubblica della stagione dei governi del Pentapartito, quindi grosso modo in quel periodo storico che va dal 1980 alla nascita della cosiddetta e fantomatica Seconda Repubblica (1993). Quest’ultima tesi è quella che va per la maggiore negli ambienti dei liberali moderati che indistintamente possono essere collocati all’interno del centro-destra o del centro-sinistra. In questa piccola analisi ci occuperemo invece di quel periodo che va dalla fine degli anni ’80 fino alla fine dei ’90. Scopriremo come e perché le cause di tutti i nostri mali economici siano da attribuire alle politiche intraprese durante quegli anni. Anni che hanno visto il crollo del nostro Pil e del valore della lira contro il marco tedesco e dollaro Usa e il drammatico avvento delle privatizzazioni. L’Italia perderà terreno nei confronti della Francia (-21%), della Germania (-29,3%), della Gran Bretagna (-11,1%), del Giappone (-27,7%) e degli Stati Uniti (-25,8%). Per ricchezza prodotta il nostro paese raggiungerà il suo punto più elevato nel 1986 entrando a pieno titolo al quinto posto delle nazioni del G6 e scavalcando anche la Gran Bretagna per 47 miliardi delle vecchie lire.
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Lacrime e sangue: Silvio, Renzi e Di Maio sottomessi all’Ue
Renzi e Gentiloni, Berlusconi e Salvini, Grillo e Di Maio apparentemente si scontrano su tutto. Se però andiamo a vedere la sostanza dei loro programmi economici, beh l’ubbidienza ai vincoli dell’austerità europea è comune. Il Pd ha lanciato la campagna elettorale assieme ai suoi cespugli rispolverando dalle ragnatele l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Naturalmente nella versione da figurine Panini, la sola che possa essere compresa dal segretario democratico. Gli Stati Uniti socialisti di Europa erano l’idea originaria di Altiero Spinelli. Come si sa la Ue ha imposto il potere autoritario liberista delle banche sugli Stati Sottomessi d’Europa. Quindi Renzi con questa battuta, naturalmente epurata di ogni legame con il socialismo, semplicemente issa la bandiera Ue a copertura della continuità delle politiche di austerità. Come hanno sempre fatto tutti i governanti in questi anni. Nel settembre del 2016 l’allora presidente del Consiglio incontrò su una nave da guerra, al largo di Ventotene, Hollande e Merkel. Allora non poteva parlare di Stati Uniti alla presenza dei padroni della Ue, lo avrebbero ridicolizzato, quindi fece solo qualche spot elettorale per il referendum che poi avrebbe perso. Ora ci riprova.Nel 1700 un conservatore inglese, Johnson, affermò che il patriottismo era l’ultimo rifugio dei mascalzoni. Oggi vale per l’europeismo. Non toccare la Fornero e il Jobs Act, avanti con i tagli alla spesa pubblica, mantenere gli impegni di applicazione del Fiscal Compact che Gentiloni e Padoan hanno sottoscritto a Bruxelles e che la Ue verrà a riscuotere il 5 marzo. Missioni di guerra europee come quella sporchissima in Niger. Il centrosinistra vuole semplicemente continuare a fare ciò che ha fatto e si è impegnato a fare. La bandiera degli Stati Uniti d’Europa, che hanno minori possibilità di realizzarsi di quelli mondiali, serve a raccogliere un poco di elettorato liberaldemocratico, quello che una volta si chiamava atlantico per la sua fedeltà ai soli “Stati uniti” esistenti, quelli d’America. Ma soprattutto serve ad accreditare il Pd come solo riferimento per i padroni della Ue, Macron, Merkel, Rajoy. Cui però oggi si rivolge anche Berlusconi. Il capo del centrodestra ha lasciato a Salvini il lavoro sporco sulla xenofobia e sul razzismo, peraltro oggi perfettamente compatibile con la Ue che fa accordi coi tagliagole libici, o con Erdogan, per fermare i migranti.Così, mentre il leghista urla “padroni in casa nostra”, Berlusconi va dai padroni veri a concordare il programma. Ha bisogno di ottenere il via libera Ue alla colossale riduzione delle tasse per i ricchi e al piccolo aumento delle pensioni più basse, nonché ad una abolizione della Fornero più simbolica che effettiva. I vertici europei non sono affezionati a questa o a quella misura, dall’epoca di Monti e dei massacri greci hanno appreso che si possono avere migliori risultati, se si allunga il guinzaglio con cui si tengono legati i governi degli Stati sotto controllo. Berlusconi questo lo sa benissimo, quindi ha fatto alla Ue una proposta che non può rifiutare. L’obbedienza assoluta al Fiscal Compact e un gigantesco piano di privatizzazioni a garanzia di essa. Quindi per banche e multinazionali tedesche e francesi, e naturalmente per tutte le altre, si preparano nuove occasioni di ottimi affari. Perché la commissione Ue dovrebbe fare obiezioni a chi realizza la parte fondamentale del suo programma liberista, mettendo all’asta il proprio paese così come ha fatto per la sua squadra di calcio?Berlusconi ha promesso alla Ue che il suo governo rispetterà rigidamente il vincolo del deficit di bilancio al di sotto del 3%. Il Movimento 5 Stelle invece propone di superarlo per far crescere l’economia. Sembrerebbe che con questa e altre misure la forza politica guidata da Di Maio abbia davvero deciso di rompere con l’austerità europea. Ma non è così. Si chiama “clausola di dissolvenza” la parte di un trattato o accordo che può mettere in discussione tutto il resto. Il programma in 20 punti varato dai Cinque Stelle ha la propria “dissolvenza” al punto 16. Lì si propone di ridurre il debito pubblico di ben 40 punti in dieci anni. È la pura applicazione del peggior vincolo del Fiscal Compact, che non impone solo il pareggio di bilancio, ma la riduzione dell’ammontare del debito fino al 60 % del Pil. Con un rapporto attualmente al 130% nessuno nella Ue pensa che l’Italia possa, e neppure debba, raggiungere quell’obiettivo. Ma la riduzione del rapporto debito-Pil al 90% farebbe felice anche Schaeuble. E questo è quanto propongono Di Maio e i suoi, cioè un taglio di spesa pubblica di 40 e più miliardi all’anno, aggiuntivo a tutti gli altri.O pensano alla più ingegnosa finanza creativa del nuovo millennio, o credono ad un tasso di sviluppo del 5% all’anno, oppure i Cinque Stelle hanno programmato dieci anni di lacrime e sangue… E tutte le altre loro proposte sono aria fritta, perché solo il punto 16 conta davvero e li accredita preso la Ue. Diversi sono gli strumenti, Jobs Act e Fornero, privatizzazioni, tagli draconiani alla spesa pubblica, ma tutti i principali schieramenti elettorali hanno in comune la volontà di essere accettati dalla Ue come fedeli esecutori del suo comando e dei suoi vincoli, primo fra tutti il Fiscal Compact. Il liberismo europeo in Italia può giocare su tre tavoli, sicuro di vincere in ogni caso. “Liberi e Uguali” a sua volta non rappresenta certo un’alternativa ai tre schieramenti liberisti che si contendono il governo, non solo perché su questi temi non sono pervenuti, ma perché come massima ambizione i suoi leader si propongono di rifare il centrosinistra col Pd. La bufala degli Stati Uniti d’Europa vale anche per loro. Solo “Potere al Popolo” propone la rottura con trattati e vincoli Ue come condizione per realizzare davvero un’altra politica economica e sociale. Per questo oggi è la sola forza di alternativa, destinata a crescere nonostante tutto le si opponga.(Giorgio Cremaschi, “Tre diversi liberismi a gara per obbedire alla Ue”, da “Micromega” del 23 gennaio 2018).Renzi e Gentiloni, Berlusconi e Salvini, Grillo e Di Maio apparentemente si scontrano su tutto. Se però andiamo a vedere la sostanza dei loro programmi economici, beh l’ubbidienza ai vincoli dell’austerità europea è comune. Il Pd ha lanciato la campagna elettorale assieme ai suoi cespugli rispolverando dalle ragnatele l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Naturalmente nella versione da figurine Panini, la sola che possa essere compresa dal segretario democratico. Gli Stati Uniti socialisti di Europa erano l’idea originaria di Altiero Spinelli. Come si sa la Ue ha imposto il potere autoritario liberista delle banche sugli Stati Sottomessi d’Europa. Quindi Renzi con questa battuta, naturalmente epurata di ogni legame con il socialismo, semplicemente issa la bandiera Ue a copertura della continuità delle politiche di austerità. Come hanno sempre fatto tutti i governanti in questi anni. Nel settembre del 2016 l’allora presidente del Consiglio incontrò su una nave da guerra, al largo di Ventotene, Hollande e Merkel. Allora non poteva parlare di Stati Uniti alla presenza dei padroni della Ue, lo avrebbero ridicolizzato, quindi fece solo qualche spot elettorale per il referendum che poi avrebbe perso. Ora ci riprova.
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Moiso: partiti da buttare, candidati no. Ripartiamo da loro
All’incontro con i candidati della circoscrizione Estero, ripartizione Europa, sapevamo che ci sarebbero stati molti giovani e volevamo parlare con loro di lavoro e futuro; volevamo parlare della differenza tra liberalismo sociale e neoliberismo e di come i dogmi economici di quest’ultimo stiano lacerando la società. Volevamo parlare dell’urgenza e della necessità di ristabilire la primazia della politica sull’economia, e di concetti come sovranità politica e monetaria- concetti che in passato sono stati declinati a livello nazionale, ma che oggi vanno abbracciati e declinati ad un livello federativo. Volevamo parlare di molte cose, ma ci siamo resi conto di quanto la narrativa dei partiti, articolata spesso intorno a questioni “minori”, tenga lontano le coscienze dai veri problemi del paese e dell’Europa, e quindi da una proposta politica articolata che li possa risolvere. Nessun partito al momento riesce a conciliare l’idea di una Europa forte, con il bisogno di sovranità politica e monetaria. Programmi di controllo dell’immigrazione, con piani per la sua legalizzazione ed un vero Piano Marshall per l’Africa, che non punti a “conquistarla” ma ad aiutarla. Proposte di assistenza sociale alle classi più deboli, come il reddito garantito, con politiche volte a raggiungere la piena occupazione e a valorizzare il lavoro come attività nobilitante dell’uomo.Ancora: la riduzione delle tasse, e la lotta all’evasione, sopratutto delle multinazionali, con la redifinizione del ruolo delle tasse. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, con il bisogno di intervenire a tutela dei più deboli, ogni laddove non vengono rispettati i diritti umani. Il riconoscimento del valore e del ruolo del mondo della finanza, con il bisogno che questo sia giustamente tassato e comunque subordinato all’economia reale. La lotta agli sprechi, all’inquinamento e alla distruzione del pianeta, con investimenti strategici nella ricerca che consentano, sia ai paesi sviluppati che a quelli in via di sviluppo, di godere dei frutti dell’ingegno umano, anche tramite il consumo. Insomma, ci siamo resi conto che nessun partito oggi si fa portavoce della proposta politica organica e complessiva che questo momento storico richiede. Eppure, ci siamo anche accorti che molte persone, ed anche alcuni candidati che per varie sensibilità e percorsi di vita possono oggi ritrovarsi in partiti diversi, condividono i nostri stessi valori e le nostre stesse aspirazioni.Molte persone oggi credono che l’economia debba essere subordinata alla politica e agli interessi delle persone; che le istituzioni debbano garantire la sovranità del popolo; e che é tempo di abbracciare e comprendere proposte politiche che oggi vengono presentate come in antitesi, ma che debbono necessariamente coesistere. Sono molti coloro che credono che gli ideali e le idee socialiste possano solo realizzarsi in una società libera e aperta; e sono molti coloro che credono che si possa essere liberi solo in una società socialmente giusta. Sarà bene allora non combattere i partiti, e tutti coloro che vi aderiscono, ma invece trovare in essi persone che credono in queste idee, affinché si cominci a lavorare insieme per il bene della collettività: per una società libera, democratica e socialmente giusta, in cui il popolo sia sovrano tramite l’attività politica, sovraordinata agli interessi economici di specifici gruppi di interesse privato. A tale proposito, come Movimento Roosevelt, siamo pronti a lavorare con tutti coloro che condividono questi valori, a prescindere, e nel rispetto, della loro appartenenza partitica.(Marco Moiso, “Ripartiamo dalle persone”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 febbraio 2018. Temi ripresi da Moiso, coordinatore generale del movimento e supervisore per il Regno Unito, in un collegamento web-streaming su You Tube con Gioele Magaldi).All’incontro con i candidati della circoscrizione Estero, ripartizione Europa, sapevamo che ci sarebbero stati molti giovani e volevamo parlare con loro di lavoro e futuro; volevamo parlare della differenza tra liberalismo sociale e neoliberismo e di come i dogmi economici di quest’ultimo stiano lacerando la società. Volevamo parlare dell’urgenza e della necessità di ristabilire la primazia della politica sull’economia, e di concetti come sovranità politica e monetaria- concetti che in passato sono stati declinati a livello nazionale, ma che oggi vanno abbracciati e declinati ad un livello federativo. Volevamo parlare di molte cose, ma ci siamo resi conto di quanto la narrativa dei partiti, articolata spesso intorno a questioni “minori”, tenga lontano le coscienze dai veri problemi del paese e dell’Europa, e quindi da una proposta politica articolata che li possa risolvere. Nessun partito al momento riesce a conciliare l’idea di una Europa forte, con il bisogno di sovranità politica e monetaria. Programmi di controllo dell’immigrazione, con piani per la sua legalizzazione ed un vero Piano Marshall per l’Africa, che non punti a “conquistarla” ma ad aiutarla. Proposte di assistenza sociale alle classi più deboli, come il reddito garantito, con politiche volte a raggiungere la piena occupazione e a valorizzare il lavoro come attività nobilitante dell’uomo.
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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte il massone Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».