Archivio del Tag ‘Washington’
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Gaza top secret, massacro made in Italy firmato Alenia
Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.«Al confronto, l’armamento palestinese equivale a quello di chi, inquadrato da un tiratore scelto nel mirino telescopico di un fucile di precisione, cerca di difendersi lanciandogli il razzo di un fuoco artificiale», aggiunge Dinucci, nel servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ma attenzione: un consistente aiuto militare a Israele viene anche dalle maggiori potenze europee. «La Germania gli ha fornito 5 sottomarini Dolphin (di cui due regalati) e tra poco ne consegnerà un sesto. I sottomarini sono stati modificati per lanciare missili da crociera nucleari a lungo raggio, i “Popeye Turbo” derivati da quelli Usa, che possono colpire un obiettivo a 1.500 km». E l’Italia, che consente ai top gun di Tel Aviv di condurre esercitazioni con armamenti letali in Sardegna, sta fornendo a Israele i primi dei 30 velivoli M-346 da addestramento avanzato, costruiti da Alenia Aermacchi (Finmeccanica). Aerei che possono essere usati anche come caccia per l’attacco al suolo in operazioni belliche reali.La fornitura dei caccia M-346, continua Dinucci, costituisce solo una piccola parte della cooperazione militare italo-israeliana, istituzionalizzata dalla legge 94 promulgata nel 2005. Legge che «coinvolge le forze armate e l’industria militare del nostro paese in attività di cui nessuno (neppure in Parlamento) viene messo a conoscenza». La norma stabilisce infatti che tali attività sono «soggette all’accordo sulla sicurezza», e quindi segrete. «Poiché Israele possiede armi nucleari – conclude il giornalista del “Manifesto” – alte tecnologie italiane possono essere segretamente utilizzate per potenziare le capacità di attacco dei vettori nucleari israeliani», e inoltre «possono essere anche usate per rendere ancora più letali le armi “convenzionali” usate dalla forze armate israeliane contro i palestinesi», che come vediamo sono soprattutto civili, donne e bambini inclusi, sacrificati anche questa volta per la pulizia tecnica di stampo terroristico mirata a sfrattare la popolazione palestinese da quella che viene definita “la più grande prigione a cielo aperto esistente al mondo”.«La cooperazione militare italo-israeliana – aggiunge Dinucci – si è intensificata quando il 2 dicembre 2008, tre settimane prima dell’operazione israeliana “Piombo Fuso” a Gaza, la Nato ha ratificato il “Programma di cooperazione individuale”». Il programma comprende lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence, la connessione di Israele al sistema elettronico Nato, la cooperazione nel settore degli armamenti e l’aumento delle esercitazioni militari congiunte. In quel quadro rientra “Blue Flag”, la più grande esercitazione di guerra aerea mai svoltasi in Israele, cui hanno partecipato nel novembre 2013 Stati Uniti, Italia e Grecia. «La “Blue Flag” è servita a integrare nella Nato le forze aeree israeliane, che avevano prima effettuato esercitazioni congiunte solo con singoli paesi dell’Alleanza, come quelle a Decimomannu con l’aeronautica italiana». Le forze aeree israeliane, sottolinea il generale Amikam Norkin, stanno sperimentando nuove procedure per potenziare la propria capacità, «accrescendo di dieci volte il numero di obiettivi che vengono individuati e distrutti». Ciò che sta facendo in questo momento a Gaza, grazie anche al contributo italiano, di cui la stampa mainstream evita accuratamente di parlare.Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.
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Henn: nazisti di Kiev allevati e protetti dalla Germania
“Frega il tuo vicino”, è da sempre la strategia della Germania: secondo Dagmar Henn, il tentativo di Berlino di ridurre l’intera Europa a sua colonia economico non è altro che un tentativo di rovesciare l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Di cui la Germania sembra ripercorrere tutti i passi falsi, a cominciare dalla sfida contro la Russia: perché se gli Usa sono la superpotenza mondiale che sta minacciando Mosca sulla frontiera ucraina, a tirare le fila sono soprattutto i tedeschi, anche se per ora restano nell’ombra. In realtà non è stata la Casa Bianca ma l’Unione Europea a far firmare alla giunta golpista di Kiev l’accordo che lega l’economia ucraina a quella tedesca. Ed è stata la stessa Ue a imporre l’accordo-capestro col Fmi. L’uomo della Merkel per l’operazione-Ucraina è stato il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, coordinatore dei servizi segreti fino al 2005 e quindi «profondamente coinvolto nei fatti del Kosovo». Proprio lui «ha spinto perché l’Ucraina entrasse nella Ue: non parliamo di un agnellino e nemmeno di un pacifista», perché è stato lui il primo a parlare di “integrità territoriale” subito dopo il golpe compiuto dai neonazisti ucraini.«Tutti ricordano la famosa telefonata della Nuland che chiedeva a Jatsenjuk di andare al governo», scrive la Henn in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ma «quasi tutti hanno dimenticato» che l’emissaria di Obama diceva: «No Svoboda», ovvero: niente mano libera ai neo-nazisti di Kiev. «Fu Steinmeier che apri la porta a Svoboda», nel silenzio totale dei media, americani e tedeschi. Secondo l’analista, pochi vedono davvero quello che sta accadendo: la Germania, che finora ha “spremuto” i vicini europei «per stabilizzare l’industria e le banche tedesche», al di là delle polemiche di facciata sulle ingerenze spionistiche Cia-Nsa è perfettamente d’accordo con Washington nella politica di ostilità verso Mosca: «Tra Germania e Usa c’è complicità, non dipendenza: come accadde per la Jugoslavia, dove gli Usa ottennero le basi militari e la Germania le colonie». Attenzione: già allora, i «fascisti croati» che furono scatenati contro la Serbia «si erano rifugiati per decenni a Monaco di Baviera», pronti per «essere utilizzati ancora».«Chiedetelo ai greci: raramente la retorica politica tedesca dice la verità», continua Dagmar Henn, che denuncia il silenzio imposto ai media di Berlino. Nessuno fa notare l’autoritarismo tedesco, «e il risultato è la trasformazione della Ue in una struttura semi-coloniale con un solo centro politico ed economico, la Germania: basti pensare a Hollande che non può più nemmeno telefonare, se non autorizzato dalla Merkel». Questa struttura però «è tutt’altro che stabile, perché ormai stanno per finire i vicini di casa che ancora non sono ridotti alla miseria, mentre la crisi economica è tutt’altro che finita». Quindi, «entrambi i soci di questa aggressione», Usa e Germania, condividono lo stesso problema, «e nessuna bilancia commerciale con la Russia potrà colmare questa lacuna: entrambi hanno bisogno di una vera e propria distruzione dei valori reali su larga scala, e ne hanno bisogno subito». Storia: quando la Wehrmacht cominciò a vedere che stava perdendo la guerra nel 1943, concluse che non avrebbe mai dovuto attaccare la Russia, ma piuttosto controllare l’intero potenziale economico europeo. «Quindi è un po’ inquietante vedere oggi che, negli ultimi anni, non si è fatto altro che ripetere gli stessi errori di allora».Secondo Dagmar Henn, è impossibile dimostrare «quanto sia stretto il collegamento tra le autorità tedesche e i nazisti ucraini», perché gli archivi tedeschi sono ben chiusi «e lì si annida tutto lo sporco accumulato dal 1945 in poi». Ci sono però «forti indicazioni» che suggeriscono che «la parte peggiore delle forze ucraine» sia costituita da «pupazzi dei tedeschi, non degli americani, a cominciare dalla Timoshenko». I neonazisti, compresi quelli di Kiev, «non devono essere controllati direttamente: si mettono subito a correre nella “giusta” direzione, non appena vengono tirati fuori». Avverte la Henn: «Nelle zone intorno a Monaco ci sono sempre stati più nazisti ad occupare le posizioni ufficiali e più esuli ucraini, seguaci di Bandera, di quanti mai abbiano raggiunto gli Stati Uniti». I servizi segreti tedeschi (Bnd) si trovano a Pullach, a pochi chilometri da Monaco, e «non hanno mai lasciato cadere i loro antichi collegamenti». Secondo la Henn, «sono ancora profondamente legati alle stesse persone che tennero i collegamenti durante la guerra». A Monaco c’è stato un governo ucraino in esilio, con sede a Zeppelinstraße, e c’è ancora una università ucraina. Monaco, inoltre, è stata «il quartier generale dei terroristi ucraini dopo il 1945».Fin dalla sua indipendenza, in Ucraina c’è sempre stata una forte influenza tedesca: nel 1992 all’ambasciata tedesca di Kiev lavoravano più impiegati che in tutte le altre ambasciate occidentali messe insieme, inclusa quella americana. Mentre i funzionari governativi inglesi e americani allora cercavano di rafforzare le tendenze nazionaliste nei paesi ex Urss, il governo tedesco «aveva già fatto tutto quello che poteva fare in questo senso, non solo in Ucraina ma anche negli Stati baltici». Per questo, continua Henn, la gran quantità di agenti della Cia a Kiev «potrebbe non essere un segno di forza degli Usa in questo dramma», ma sembra piuttosto «un tentativo di recuperare il ritardo rispetto ai collegamenti già presi dai tedeschi». La Henn segnala una «strana eco storica» negli avvenimenti ucraini, che rimanda in modo sinistro al calendario del nazismo germanico. A cominciare dal massacro di Odessa, il rogo del palazzo dei sindacati lo scorso 2 maggio: sempre il 2 maggio (del 1919) Monaco di Baviera «fu conquistata dai controrivoluzionari», e la successiva repressione fece 3.000 vittime. Ancora il 2 maggio (del 1933) i nazisti «presero d’assalto gli edifici dei sindacati tedeschi».Coincidenze, o frutto di una “mente” germanica? «I nazisti tedeschi sono ossessionati dai riferimenti storici», avverte Dagmar Henn. «Sapete perché il primo campo di concentramento fu costruito a Dachau? In quel posto l’Armata Rossa bavarese vinse una battaglia all’inizio del 1919». I gerarchi di Hilter, dunque, «volevano cancellare chi era stato sconfitto, anche la sua memoria, e ci riuscirono». Conclude Henn: «Potrei sbagliarmi, mi piacerebbe sbagliarmi, ma la strategia russa al momento sembra essere mirata a creare una spaccatura tra Germania e Stati Uniti. Se avessi ragione, questa strategia sarebbe completamente inutile: non vedo nessun piano-B e non vedo nemmeno un qualche serio tentativo di informare la popolazione tedesca. Questo mi preoccupa profondamente. Ai governi tedeschi piace parlare di pace. Fino alle 5:44 del mattino».“Frega il tuo vicino”, è da sempre la strategia della Germania: secondo Dagmar Henn, esponente della sinistra tedesca (Linke), il tentativo di Berlino di ridurre l’intera Europa a sua colonia economica non è altro che un tentativo di rovesciare l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Di cui la Germania sembra ripercorrere tutti i passi falsi, a cominciare dalla sfida contro la Russia: perché se gli Usa sono la superpotenza mondiale che sta minacciando Mosca sulla frontiera ucraina, a tirare le fila sono soprattutto i tedeschi, anche se per ora restano nell’ombra. In realtà non è stata la Casa Bianca ma l’Unione Europea a far firmare alla giunta golpista di Kiev l’accordo che lega l’economia ucraina a quella tedesca. Ed è stata la stessa Ue a imporre l’accordo-capestro col Fmi. L’uomo della Merkel per l’operazione-Ucraina è stato il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, coordinatore dei servizi segreti fino al 2005 e quindi «profondamente coinvolto nei fatti del Kosovo».
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Il business avverte Obama: basta sanzioni contro Putin
«Nessuno al mondo ha una vera ragione per amare gli Stati Uniti, meno che mai gli stessi americani dissanguati per le pretese di dominio di Washington sul mondo». Mentre 3 russi su 4 vorrebbero che Putin restasse al Cremlino anche dopo il 2018, il tasso di popolarità di Obama scivola al 41%. E l’economia americana traballa: la strombazzata crescita del primo trimestre 2014, di almeno il 2,6% secondo gli economisti mainstream, viene sbriciolata dalla dura realtà, che rivela uno scivolone pari al -2,9%. Non se ne stupisce Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan: «Qualsiasi economista libero e non a libro paga di Wall Street, del governo e dei poteri forti sapeva che il 2,6% era una buffonata». La verità è che «l’economia americana non può crescere perché le multinazionali spinte da Wall Street hanno portato l’economia reale fuori dai confini Usa: tutta la produzione americana è stata trasferita all’estero». E ora – questa la notizia – i poteri forti chiedono a Obama di cessare l’offensiva contro la Russia di Putin, prima che l’America ci rimetta l’osso del collo.«Le povere previsioni per l’economia americana – segnala Craig Roberts in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – hanno indotto due tra le più grandi lobby d’affari, la Camera di Commercio degli Stati Uniti e l’associazione nazionale dei produttori (o quello che rimane di essa) a prendere posizione contro l’amministrazione Obama per la paura di ulteriori sanzioni contro la Russia». E’ stata “Bloomberg News” ad annunciare la campagna promossa dai gruppi d’affari con pagine su “New York Times”, “Wall Street Journal” e “Washington Post” contro ulteriori sanzioni nei confronti del Cremlino. «Queste organizzazioni dicono che le sanzioni diminuiranno i loro profitti avendo come risultato la perdita di posti di lavoro americani». Si tratta delle due maggiori corporazioni commerciali Usa, «fonti importantissime di finanziamento delle campagne elettorali dei vari partiti politici», e ora «hanno finalmente aggiunto la loro voce a quella del mondo degli affari tedesco, francese e italiano».«Tutti, tranne l’opinione pubblica americana – dice Craig Roberts – sanno che la crisi in Ucraina è totalmente un “business” creato da Washington. Gli imprenditori europei e americani si stanno chiedendo “perché i nostri profitti e i nostri lavoratori debbano soffrire a causa della propaganda di Washington contro la Russia”». Secondo l’ex viceministro di Reagan, «Obama non sa cosa dire». Magari qualche risposta verrà dalla «feccia neocon» imbarcata alla Casa Bianca: Victoria Nuland, Samantha Powers, Susan Rice. «Obama può affidarsi al “New York Times”, al “Washington Post”, al “Wall Street Journal” e al “Weekly Standard” per spiegare perché milioni di americani ed europei debbano soffrire affinché il “ratto” dell’Ucraina vada a buon fine». In realtà, «le bugie di Washington si stanno ritorcendo contro Obama». Se la cancelliera Merkel «è completamente assoggettata ai voleri Usa», in compenso «l’industria tedesca sta dicendo all’amica americana che il valore dei propri affari in Russia è maggiore del valore sofferto a causa delle pretese imperialistiche del governo Usa».Idem il mondo imprenditoriale francese: «Sta chiedendo a Hollande cosa voglia fare con la mancanza di posti di lavoro e se lui stesso porta avanti gli interessi americani». Le sanzioni contro la Russia, inoltre, «costituiscono un colpo mortale al settore italiano più famoso e universalmente riconosciuto al mondo, quello del lusso e della moda». Così, in Europa «si sta spandendo a macchia d’olio il dissenso nei confronti di Washington». Secondo recenti sondaggi, 3 tedeschi su 4 «sono contrari alla permanenza delle basi Nato in Polonia e negli Stati baltici». L’ex Cecoslovacchia, attualmente divisa in Slovacchia e Repubblica Ceca, benché membro Nato si è opposta alla presenza americana sul suo territorio. «Recentemente, un ministrro tedesco ha detto che fare un piacere a Washington è come fare sesso orale senza ricevere nulla in cambio». Di fatto, «la pressione che i pazzi a Washington stanno mettendo sulla Nato potrebbe mandare in frantumi l’organizzazione: preghiamo perché sia così», dichiara Craig Roberts. «La scusa all’esistenza della Nato è scomparsa 23 anni anni fa con il collasso dell’Unione Sovietica. Washington ha fatto espandere la Nato molto oltre i limiti segnati dal Trattato del Nord-Atlantico».La Nato ora interviene su un territorio che va dal Baltico all’Asia Centrale: «Quindi, per giustificare la continua espansione delle operazioni, Washington ha dovuto fare della Russia un nemico». Il problema? «La Russia non vuole assolutamente essere un nemico della Nato o di Washington». A premere per lo scontro è il complesso apparato militare di sicurezza statunitense, che assorbe più di un trilione di dollari dalle tasche degli americani: la lobby della guerra «ha bisogno di una scusa per continuare a far lievitare i profitti». Avverte Craig Roberts: «Sfortunatamente, gli imbecilli di Washington hanno scelto un nemico pericoloso: la Russia è una potenza nucleare, un paese di vaste dimensioni che vanta un’alleanza strategica con la Cina. Solo un governo imbevuto di arroganza e hybris, o gestito da psicopatici e sociopatici, sceglierebbe un nemico del genere».Per fortuna, al Cremlino c’è Putin, forte del consenso del 76% dei russi «nonostante le forti opposizioni delle Ong russe finanziate da Washington». Putin ha più volte fatto notare all’Europa come le politiche americane in Medio Oriente e in Libia non siano state solo un completo fallimento, ma anche devastanti e pericolose per l’Europa e la Russia. «I pazzi a Washington hanno rimosso dei governi che tenevano a bada gli jihadisti, e ora questi violenti sono sguinzagliati e senza alcun tipo di controllo». In Medio Oriente, gli jihadisti «sono al lavoro per ridefinire i confini stabiliti dagli inglesi e dai francesi dopo la Prima Guerra Mondiale». Attenzione: «Europa, Russia e Cina hanno tutte una percentuale di popolazione musulmana e ora si preoccupano che la violenza che Washington ha scatenato in Medio Oriente possa destabilizzare anche loro stesse».Per di più, il dollaro americano è nei guai: il biglietto verde «è tenuto a galla attraverso la manipolazione del mercato finanziario e Washington sta mettendo sotto pressione i suoi Stati vassalli perché sostengano il valore del dollaro attraverso la stampa delle loro monete e il conseguente acquisto di dollari». Per tenere il dollaro in vita, aggiunge Craig Roberts, larga parte del mondo patirà le conseguenze dell’inflazione: «Quando la gente finalmente lo capirà e correrà a comprare oro, in quel momento ce lo avranno tutto i cinesi». A sentire Sergej Glazyeb, un consigliere del Cremlino, «solo un’alleanza contro il dollaro potrebbe fermare le ambizioni degli Stati Uniti». Anche per Craig Roberts «non ci può essere pace fino a che Washington continua a stampare moneta per finanziare nuove guerre: come ha detto il governo cinese, è tempo di “de-americanizzare il mondo”». Secondo Roberts, la leadership degli Stati Uniti ha completamente fallito, producendo null’altro che bugie, violenze e morte, devastando 7 paesi nel XXI secolo. «A meno che la leadership degli Stati Uniti non venga sostituita con una più a misura d’uomo, la vita sulla Terra non ha futuro».«Nessuno al mondo ha una vera ragione per amare gli Stati Uniti, meno che mai gli stessi americani dissanguati per le pretese di dominio di Washington sul mondo». Mentre 3 russi su 4 vorrebbero che Putin restasse al Cremlino anche dopo il 2018, il tasso di popolarità di Obama scivola al 41%. E l’economia americana traballa: la strombazzata crescita del primo trimestre 2014, di almeno il 2,6% secondo gli economisti mainstream, viene sbriciolata dalla dura realtà, che rivela uno scivolone pari al -2,9%. Non se ne stupisce Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan: «Qualsiasi economista libero e non a libro paga di Wall Street, del governo e dei poteri forti sapeva che il 2,6% era una buffonata». La verità è che «l’economia americana non può crescere perché le multinazionali spinte da Wall Street hanno portato l’economia reale fuori dai confini Usa: tutta la produzione americana è stata trasferita all’estero». E ora – questa la notizia – i poteri forti chiedono a Obama di cessare l’offensiva contro la Russia di Putin, prima che l’America ci rimetta l’osso del collo.
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Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini
«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.
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Cheney: presto un altro 11 Settembre, ancora più letale
Il primo passo è semplice, costruire un nemico: ieri l’Islam, oggi la Russia di Putin. La seconda mossa è scritta nella storia, da Pearl Harbor al falso attacco contro navi americane nel Golfo del Tonchino, casus belli per la guerra in Vietnam. L’avvertimento questa volta viene da un personaggio particolarmente inquietante come l’ex vicepresidente Dick Cheney, secondo molti analisti la vera “mente” della gestione politica degli attentati dell’11 Settembre, perfetti per avviare l’assedio strategico della Cina con l’occupazione dell’Afghanistan e quindi ipotecare il petrolio del Golfo grazie alla campagna contro le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. E’ il “Daily Mail”, il 25 giugno 2014, a rivelare che, secondo Cheney, entro il 2010 molto probabilmente ci sarà un attacco terroristico di gran lunga peggiore rispetto a quello contro le Twin Towers, attribuito al “fantasma” di Bin Laden, già emissario della Cia in Afghanistan. In altre parole: starebbe per tornare d’attualità lo stesso copione del terrore, il pretesto per una nuova guerra.«Penso che ci sarà un altro attacco», ha detto Cheney. «E la prossima volta credo che sarà ben più letale dell’ultima». Aggiunge l’ex vice di Bush: «Immaginate cosa sarebbe se qualcuno riuscisse a portare nel paese una testata atomica, la mettesse dentro un container e la portasse sin alle porte di Washington». Parole più che inquietanti, osserva Salvatore Santoru in un post su “Informazione consapevole” ripreso da “Vox Populi”, vista l’identità del dichiarante: «Un personaggio che anche Richard Clarke, principale consigliere anti-terrorismo sotto l’amministrazione Bush, ha definito come “criminale di guerra”». Inoltre, aggiunge Santoru, «bisogna ricordare che Cheney, vicepresidente durante gli attacchi dell’11 Settembre, è anche un membro di spicco del “Project for The New American Century“ (Pnac), il famigerato gruppo di potere alla base del movimento neocon». Il gruppo – formato anche da Rumsfeld, Wolfowitz, Condoleezza Rice – è noto per aver redatto nel 2000 il documento “Rebuilding America’s Defenses”, «in cui si auspicava una “nuova Pearl Harbor” da usare come casus belli per giustificare la politica imperialista statunitense in Medio Oriente».Nel 2007, ricorda Santoru, in un’intervista per l’emittente televisiva “Democracy Now”, l’ex generale Wesley Clark, citando proprio quel documento, rivelò che la guerra in Iraq era stata pianificata con largo anticipo sugli “incidenti” costruiti ad arte, così come altri conflitti, dall’Afghanistan sino alla Libia e all’Iran. «Tenendo presente che gli attacchi dell’11 Settembre secondo molti ricercatori non furono altro che delle operazioni “false flag”, forse si dovrebbero prendere in seria considerazione le parole di Cheney, e intenderle anche come una seria minaccia per il popolo statunitense, sperando che questa volta i progetti sinistri di certi personaggi e gruppi di potere non raggiungano il proprio obiettivo, come è stato per il 9/11, e si riesca a fermarli il prima possibile». Impresa proibitiva: il Premio Nobel per la Pace che attualmente siede alla Casa Bianca sostiene di aver assassinato Bin Laden (senza una sola foto che ne documenti la morte) e un anno fa ha cercato di bombardare la Siria dopo aver armato i miliziani jihadisti per scatenare la guerra civile a Damasco. Oggi, Obama è direttamente alle prese con la Cina: mentre sta spostando nel Pacifico la proiezione navale statunitense, sta minacciando direttamente la Russia dopo aver insediato in Ucraina un governo golpista dominato da neonazisti. In questo scenario, le dichiarazioni di Cheney rivelano tutta la loro pericolosità.Il primo passo è semplice, costruire un nemico: ieri l’Islam, oggi la Russia di Putin. La seconda mossa è scritta nella storia, da Pearl Harbor al falso attacco contro navi americane nel Golfo del Tonchino, casus belli per la guerra in Vietnam. L’avvertimento questa volta viene da un personaggio particolarmente inquietante come l’ex vicepresidente Dick Cheney, secondo molti analisti la vera “mente” della gestione politica degli attentati dell’11 Settembre, perfetti per avviare l’assedio strategico della Cina con l’occupazione dell’Afghanistan e quindi ipotecare il petrolio del Golfo grazie alla campagna contro le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. E’ il “Daily Mail”, il 25 giugno 2014, a rivelare che, secondo Cheney, entro il 2020 molto probabilmente ci sarà un attacco terroristico di gran lunga peggiore rispetto a quello contro le Twin Towers, attribuito al “fantasma” di Bin Laden, già emissario della Cia in Afghanistan. In altre parole: starebbe per tornare d’attualità lo stesso copione del terrore, il pretesto per una nuova guerra.
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I Brics: addio dollaro, così fermeremo i missili Usa
Porre fine al monopolio del dollaro come valuta internazionale. Obiettivo: frenare l’aggressività militare degli Usa, che sta mettendo in pericolo la stabilità geopolitica del mondo. Russia e Cina guidano i Brics verso la de-dollarizzazione del pianeta, allo scopo di sottrarre linfa all’apparato industriale-militare statunitense. Grandi manovre sono ormai in corso, conferma “Zero Hegde”, per re-impostare il commercio mondiale costruendo un’alternativa al dollaro come moneta di scambio. «Mentre i governi di tutto il mondo sono occupati a nascondere alla loro devastata classe media la vera faccia del mercato e a distrarla dal progressivo impoverimento della sua esistenza, dietro le quinte sta avvenendo qualcosa di veramente importante, di cui solo pochissimi si rendono conto». Un nuovo sistema di scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Il nuovo sistema «potrà agire anche come sostituto de facto del Fmi», segnando la fine di un’epoca.Sono molti, segnala “Zero Hedge” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, i paesi che stanno «gettando le basi per questa guerra valutaria finale». Valentin Madrescu, di “Vor”, spiega che la “riconversione” sta avvenendo «lentamente ma inesorabilmente, nei paesi del Brics». Lavori in corso: Elvira Nabiullina, governatore della banca centrale russa, ha concertato con Putin l’imminente accordo rublo-yuan con la Banca Popolare Cinese. Sergej Glaziev, consigliere economico di Putin, sostiene la necessità di «creare un’alleanza internazionale di paesi disposti a sbarazzarsi del dollaro per i loro commerci internazionali e a rifiutarsi di continuare a stoccare dollari come riserve valutarie». L’obiettivo finale, rileva “Zero Hedge”, sarebbe quello di «far ingrippare la macchina-stampa-soldi di Washington che serve ad alimentare il suo complesso militare e industriale, che sta permettendo agli Usa di diffondere il caos in tutto il mondo, fomentando le guerre civili in Libia, Iraq, Siria e in Ucraina».La missione tecnica dei banchieri russi e cinesi: semplificare il finanziamento del commercio internazionale. «Stiamo discutendo con la Cina e con i nostri parter del Brics sull’istituzione di un sistema di scambi multilaterali, che permetterà di trasferire risorse da un paese all’altro, se necessario», dice Glaziev a “Prime News Agency”. «Una parte delle riserve valutarie potrà essere destinata a questo scopo», cioè la creazione del nuovo sistema.«Sembra che il Cremlino abbia scelto l’approccio all-in-one per costruire la sua alleanza anti-dollaro», scrive Tyler Durden. «Uno scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Allo stesso tempo, il nuovo sistema potrà anche agire come sostituto de facto del Fondo Monetario Internazionale, perché permetterà ai membri dell’alleanza di usare le risorse per finanziare i paesi più deboli». I Brics probabilmente useranno le loro attuali riserve in dollari per sostenere il nuovo sistema, «riducendo drasticamente la quantità di strumenti in dollari acquistati dai più grandi creditori esteri degli Stati Uniti».Gli scettici, aggiunde Durden, sicuramente diranno che l’alleanza dei Brics contro il dollaro non riuscirà a privare il biglietto verde del suo status di valuta di riserva globale. In compenso, bisogna ammettere che Washington «sta facendo del suo meglio per allargare le fila dei nemici del dollaro». Quando il canale televisivio “Russia 24” ha chiesto a Sergej Kostin di commentare le dichiarazioni della Nabiullina, tra le più convinte sostenitrici della svolta anti-dollaro, ha ottenuto una risposta illuminante sui contraccolpi in Europa: l’asse tra la valuta russa e quella cinese è ormai imminente, la modalità dei pagamenti rublo-yuan «sarà lasciata libera», mentre la stessa Banca di Francia – per proteggere Bnp Paribas da Wall Street – per bocca del governatore Christian Noyer annuncia che il commercio con la Cina sarà «gestito in yuan o in euro», non più in dollari. «Se la tendenza attuale dovesse continuare – rileva Durden su “Zero Hedge” – presto il dollaro sarà abbandonato dalle più importanti economie globali e sbattuto fuori dalla finanza del commercio globale. Il bullismo di Washington porterà anche i suoi alleati storici a dover scegliere l’allenza dei Brics, invece del sistema monetario attuale basato sul dollaro». Secondo Durden, «il punto di non-ritorno per il dollaro potrebbe essere molto più vicino di quanto si creda».Porre fine al monopolio del dollaro come valuta internazionale. Obiettivo: frenare l’aggressività militare degli Usa, che sta mettendo in pericolo la stabilità geopolitica del mondo. Russia e Cina guidano i Brics verso la de-dollarizzazione del pianeta, allo scopo di sottrarre linfa all’apparato industriale-militare statunitense. Grandi manovre sono ormai in corso, conferma “Zero Hegde”, per re-impostare il commercio mondiale costruendo un’alternativa al dollaro come moneta di scambio. «Mentre i governi di tutto il mondo sono occupati a nascondere alla loro devastata classe media la vera faccia del mercato e a distrarla dal suo progressivo impoverimento, dietro le quinte sta avvenendo qualcosa di veramente importante, di cui solo pochissimi si rendono conto». Un nuovo sistema di scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Il nuovo sistema «potrà agire anche come sostituto de facto del Fmi», segnando la fine di un’epoca.
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Non credete a Obama, è pronto a usare la bomba atomica
«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».Secondo Roberts, la Casa Bianca si è fatta convincere dai neo-conservatori che le forze nucleari russe sono ferme e impreparate, quindi un ottimo bersaglio per un attacco. «Questa falsa opinione – scrive l’analista, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – si basa su informazioni vecchie di dieci anni», prima cioè del poderoso riarmo difensivo promosso da Putin, che ha permesso alla Russia di giocare un ruolo-chiave per impedire che la Siria diventasse la scintilla della possibile Terza Guerra Mondiale. In ogni caso, «indipendentemente dalle reali condizioni delle forze nucleari russe, dal successo del “primo attacco” di Washington e dal livello di protezione dello “shield” americano», uno studioso come Steven Starr conferma che «il carattere letale delle armi nucleari» non è arginabile: un conflitto atomico non avrebbe vincitori, perché tutti soccomberebbero nella catastrofe.Lo ribadiscono autorevoli scienziati atmosferici, in studi come quello pubblicato già nel 2008 da “Physics Today”: nonostante la riduzione degli arsenali nucleari programmata con Gorbaciov nel lontano 1986 (ridurre a circa 2.000 entro il 2012 le 70.000 testate dell’epoca) non si è ancora ridotta la minaccia che una guerra nucleare rappresenta per la vita umana sulla Terra. E’ scontata la distruzione simultanea di centinaia di milioni di persone, mentre il fumo atomico emanato dalle esplosioni nella stratosfera «causerebbe l’inverno nucleare e il collasso dell’agricoltura». Sicché, «gli esseri umani scampati alla morte e alle radiazioni morirebbero comunque di fame». Reagan e Gorbaciov l’avevano ben compreso, ma «purtroppo non c’e’ stato un degno successore tra i governi americani che seguirono», sostiene Craig Roberts. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, i 9 paesi dotati di armi nucleari ancora possiedono un totale di 16.300 testate atomiche.E il maggior pericolo viene proprio dagli Usa: «E’ ormai appurato che a Washington ci siano dei politici che pensano, erroneamente, che la guerra nucleare sia una guerra che si può vincere, e che sia un valido strumento per arrestare l’ascesa di Russia e Cina che mette a repentaglio l’egemonia americana nel mondo». Il governo degli Stati Uniti, indipendentemente dal partito in carica, è «una grossa minaccia per la vita sulla Terra», accusa Roberts. E i governi europei, «che si reputano civilizzati», in realtà «non lo sono affatto, poiché permettono a Washington di perseverare nella sua sete di egemonia». E’ quello il problema: «L’ideologia che concede all’eccezionale e indispensabile America questa supremazia è un’enorme minaccia per il mondo».Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, Yemen e Somalia, per non parlare della Jugoslavia. «La distruzione parziale o totale di sette paesi del mondo operata dall’Occidente nel 21° secolo, con l’appoggio di altre “civiltà e mezzi d’informazione occidentali”, è la prova lampante che la leadership del mondo occidentale è completamente svuotata di coscienza morale e di compassione per il genere umano», dichiara Craig Roberts. «Ora che Washington è armata della sua falsa dottrina di “supremazia nucleare”, si prospetta un triste futuro per l’umanità». Secondo l’ex consigliere di Reagan, infatti, «Washington ha dato il via alla preparazione di una Terza Guerra Mondiale, e gli europei sembrano ben disposti a prenderne parte». A fine 2012, il danese Rasmussen a capo dell’Alleanza Atlantica aveva detto che la Nato non considerava la Russia come un nemico, ma «ora che la folle Casa Bianca insieme ai suoi folli vassalli ha dimostrato alla Russia che l’Occidente è ancora un nemico», Rasmussen ha cambiato posizione, dichiarando: «Dobbiamo accettare il fatto che la Russia ci considera suoi avversari», per aver sostenuto militarmente l’Ucraina (golpista) insieme agli altri paesi dell’Europa orientale.L’escalation è ormai avviata: per Alexander Vershbow, ex ambasciatore statunitense in Russia e attuale vicesegretario Nato, la Russia è «un nemico». Pertanto, «i contribuenti americani ed europei devono sostenere l’ammodernamento degli armamenti, non solo per Ucraina ma anche per Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaijan». L’apparato militare americano sta riesumando la guerra fredda, scrive Roberts, proprio perché ha appena perso la cosiddetta “guerra al terrore” in Iraq e Afghanistan. «Questo probabilmente è il punto di vista delle industrie di armamenti e di qualcuno a Washington». Ma i neocon sono ancora più ambiziosi: «Non perseguono solo il profitto nel sistema della sicurezza e degli armamenti, il loro scopo è l’egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ovvero azioni sconsiderate come la minaccia strategica che il regime di Obama, con la complicità dei vassalli europei, ha lanciato contro la Russia in Ucraina».Dall’autunno scorso, continua Roberts, il governo americano «non ha fatto che mentire sull’Ucraina, dando la colpa alla Russia per le conseguenze delle azioni di Washington e demonizzando Putin nello stesso modo in cui Washington ha demonizzato Gheddafi, Saddam Hussein, Assad, i Talebani e l’Iran». Il governo conta su formidabili complici: «La stampa “prostituita” e le capitali dei paesi europei hanno assecondato queste menzogne e questa propaganda, ripetendole senza sosta». Così, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Russia è diventato apertamente negativo. «Come pensate che vedano tutto questo Russia e Cina? La Russia ha visto la Nato spingersi fino ai suoi confini, una violazione degli accordi sottoscritti da Reagan e Gorbaciov». Peggio: Mosca «ha visto gli Stati Uniti violare gli accordi del trattato “Shield” e costituire un proprio “scudo” da guerre stellari». Se poi questo “shield” funzioni o meno «è del tutto irrilevante: il suo scopo è quello di convincere i politici e l’opinione pubblica che gli americani sono al sicuro».La notizia peggiore, continua Craig Roberts, è che i russi hanno visto gli Stati Uniti cambiare il ruolo delle armi nucleari, da mezzi deterrenti a strumenti di attacco preventivo. «E ora la Russia sente ogni giorno fiumi di menzogne ripetute in Occidente e assiste al massacro di civili nell’Ucraina russa da parte del vassallo ucraino degli Stati Uniti». Civili che Washington definisce “terroristi”, e che invece vengono sterminati «con armi come il fosforo bianco». E tutto questo «senza alcuna protesta da parte dei paesi dell’Occidente». E’ cronaca, benché oscurata dai media mainstream: «Attacchi massicci di artiglieria e aerei sulle case dell’Ucraina russa si sono compiuti nel giorno del 25° anniversario di Piazza Tienanmen, mentre Washington e i suoi paesi-marionetta hanno condannato la Cina per un evento che non è mai accaduto». La farsa della presunta “strage” di Pechino è infatti stata smascherata da fonti diplomatiche Usa: il governo cinese non ha mai sparato sulla folla degli studenti, ma ha contrattato con loro l’abbandono della piazza.«Come oggi sappiamo, non c’era stato alcun massacro in piazza Tienanmen», sottolinea Craig Roberts. «Era solo un’altra bugia di Washington, come quella del Golfo del Tonchino, come le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, come l’uso di armi chimiche di Assad, come le armi nucleari iraniane». Si stupisce, l’ex viceministro di Reagan: «E’ davvero sorprendente vedere come il mondo stia vivendo una falsa realtà creata dalle bugie di Washington. Il film “Matrix” è una fedele rappresentazione della vita in Occidente: la popolazione vive in una falsa realtà creata dai suoi governanti». L’opinione pubblica è così assuefatta da non riuscire a distaccarsene, come spiega – in quel film – Morfeo, il capo dei ribelli “risvegliati”: «La maggior parte della gente non è pronta a staccare la spina», molti di loro sono «così completamente schiavi del sistema che lotteranno per proteggerlo».Confessa Craig Roberts: «Vivo quest’esperienza ogni volta che scrivo un articolo: ecco che arrivano le proteste di quelli che non sono disposti a staccare la spina, attraverso e-mail o dai quei siti che nella sezione dei commenti accusano gli scrittori di calunnia verso i loro governi-troll». Se non altro, aggiunge l’analista, ad abboccare è l’Occidente, ma non le popolazioni russe e cinesi, quelle che vedono benissimo il cappio che si sta stringendo giorno per giorno. «Come pensate che reagirà la Cina quando Washington dichiarerà che il Mar Cinese Meridionale è una zona di interesse nazionale degli Stati Uniti, e invierà il 60% della sua flotta nel Pacifico e costruirà nuove basi aeree e navali americane dalle Filippine al Vietnam?». Finora, aggiunge Roberts, russi e cinesi «si sono comportati in modo ragionevole». Sergej Lavrov, il ministro degli esteri di Putin, è estremamente chiaro: «In questa fase, vogliamo dare ai nostri partner la possibilità di calmare gli animi. Vedremo cosa succederà in seguito. Se continueranno le accuse contro la Russia e i tentativi di pressione su di noi attraverso la leva economica, allora potremo rivalutare la situazione».«Se la folle Casa Bianca, le prostitute mediatiche di Washington e i vassalli d’Europa convinceranno la Russia che la guerra è inevitabile, la guerra diventerà davvero inevitabile», avverte Craig Roberts. «E poiché non esiste possibilità alcuna che la Nato sia in grado di montare un’offensiva convenzionale contro la Russia nemmeno lontanamente vicina alle dimensioni e alla potenza delle forze d’invasione tedesche del 1941, che poi incontrarono la distruzione, la guerra non potrà che essere nucleare, e questo significa la fine per tutti. Tenetelo bene a mente, mentre Washington e i suoi canali d’informazione continuano a far rullare i tamburi di guerra». La storia è lì a dimostrare che, oltre ogni dubbio, «tutto quello che Washington e le sue prostitute mediatiche hanno detto e dicono, non sono che bugie al servizio di un fine non dichiarato». E la cosa, purtroppo, «non si risolve votando democratico invece che repubblicano». Thomas Jefferson suggerì una soluzione: «L’albero della libertà di tanto in tanto si deve bagnare con il sangue dei patrioti e dei tiranni. E’ il suo concime naturale». Per Roberts, il guaio è che oggi «a Washington ci sono pochi patrioti e molti tiranni».«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».
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Argentina, Washington difende gli sciacalli del debito
Fondi-avvoltoio: avevano speculato sull’agonia dell’Argentina nel 2001, acquistando a prezzi stracciati i titoli di Stato di Buenos Aires. Poi il governo democratico di Nestor Kirchner ha “ristrutturato” il debito tra il 2005 e il 2010, ma ora la Corte Suprema statunitense ha respinto il ricorso del governo argentino contro una sentenza che imponeva il pagamento di 1,3 miliardi di dollari, più interessi, agli obbligazionisti non avevano accettato i termini della ristrutturazione. Non si tratta di piccoli risparmiatori, ma di fondi speculativi che hanno messo in atto un’operazione già andata in porto in altre occasioni, rileva Alessia Lai. Il fondo Nml Capital del miliardario statunitense Paul Singer cerca di ottenere un risultato simile a quelli raggiunti anni addietro in Perù e in Congo. Nel primo caso, per alcuni buoni in default acquisiti per 11,4 milioni, il fondo ottenne 58 milioni. E nel paese africano, grazie a forti pressioni, riuscì a convertire in un pagamento di 90 milioni un debito comprato ad appena 20 milioni di dollari.«L’Argentina non intende fare lo stesso», scrive Alessia Lai su “Sponda Sud”: «Lo ha detto e ribadito in una lotta che va avanti da 12 anni». Dopo la sentenza di Washington, il caso tornerà in tribunale e, soprattutto, tornerà nelle mani di Thomas Griesa, giudice che ha già condannato due volte l’Argentina a pagare quanto richiesto dai fondi speculativi statunitensi. La “presidenta” argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha definito «un’estorsione» l’annuncio della Corte Suprema americana e, a caldo, ha ribadito che il governo porterà avanti «tutte le strategie necessarie affinché chi ha avuto fiducia nel paese riceva i propri soldi», riferendosi a quel 92,4% dei creditori post-default che hanno accettato la rinegoziazione dei tango-bond. Il quadro è tuttavia intricato: la Corte statunitense ha revocato la misura precauzionale che aveva permesso al governo argentino di non compiere i pagamenti in sospeso ai “fondi avvoltoio”, ostili alle ristrutturazioni del debito.Gli Usa non accettano le due istanze fondamentali presentate da Buenos Aires. La prima sosteneva che non si può considerare un paese colpevole di non ottemperare alla clausola che richiede la parità di trattamento dei creditori, se questo effettua periodici pagamenti degli interessi a coloro che hanno accettato la ristrutturazione. La seconda contestava la possibilità per un tribunale distrettuale come la corte di New York, di ordinare la disponibilità di beni di un paese quando questi sono coperti dalla legge di immunità sovrana. Thomas Griesa, infatti, aveva ordinato che il denaro usato da Buenos Aires per pagare gli obbligazionisti che avevano accettato la ristrutturazione venissero sequestrati e girati ai fondi creditori. Ora, col rifiuto della Corte di accogliere il ricorso argentino, è stata di fatto accolta la sentenza che ha favorito i “fondi avvoltoio”: entra quindi in vigore l’ordine di pagamento ai fondi speculativi disposta da Griesa.Secondo un alto funzionario del ministero argentino dell’economia, Jorge Capitanich, la revoca della sospensione dei pagamenti ai fondi-avvoltoio «impedisce all’Argentina di eseguire il pagamento della prossima trance di debito», a meno che non vengano pagati contemporaneamente anche i fondi speculativi, “premiati” con profitti astronomici (fino al 600.000%). L’imposizione del trattamento paritario potrebbe costare all’Argentina qualcosa come 30 miliardi di dollari, se il 93% dei creditori – quelli che hanno accettato la conversione del debito – rivendicassero a loro volta il pieno pagamento sulle obbligazioni sottoscritte. Da anni, aggiunge Alessia Lai, il governo argentino continua a esplorare tutte le istanze giudiziali possibili, mentre continua a proporre la rinegoziazione cercando di ottenere il rientro dei bond oggi in mano agli speculatori: «Così come stabilito dal nostro ordinamento, dai trattati internazionali e dal diritto comparato, il giudice nazionale può controllare che la decisione straniera non metta a repentaglio l’ordine pubblico», sostiene Alejandra Gils Carbò, procuratrice nazionale argentina.Per la procuratrice, «la prerogativa del governo argentino di ristrutturare il suo debito di fronte a una situazione di emergenza estrema attiene all’ordine pubblico locale e alla sovranità dello Stato: sono gli organi rappresentativi del governo designato per la Costituzione nazionale – e non un creditore individuale, o un tribunale straniero – a stabilire le politiche pubbliche». Un concetto ribadito da Jorge Capitanich, che nota come «il provvedimento del giudice Griesa, tecnicamente, incorre nei limiti dello Stato argentino». Capitanich aggiunge che l’Argentina è disposta a cancellare il debito mantenendo gli impegni assunti con la Banca Interamericana di Sviluppo, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e altre agenzie economiche. Tuttavia, in un’economia globale come quella attuale, «gli attori in campo sono le grandi entità finanziarie, i fondi speculativi capaci di mettere in ginocchio intere nazioni con le loro manovre». Entità per la grande maggioranza statunitensi, continua Alessia Lai, che godono di legami stretti con i governi nordamericani.L’Argentina, un paese risollevatosi da un default causato dalle politiche iperliberiste dei governi filo-Usa, negli anni recenti aveva registrato una importante crescita economica. Negli ultimi anni è stata vittima di attacchi speculativi sulla sua moneta, il peso, che hanno indebolito la valuta nazionale e fatto impennare il valore del dollaro al mercato nero. Il ministro dell’economia, Axel Kicillof, denuncia alcuni settori finanziari che, indebolendo la moneta nazionale, cercano di «destabilizzare il governo». Per il finanziere Paul Singer, quello dei fondi-avvoltoio “miracolati” dalla Corte Suprema Usa, la tempesta finanziaria che minaccia di abbattersi su Buenos Aires è frutto delle politiche «orrende» del governo. Oggi, la sentenza statunitense espone ancora una volta Buenos Aires agli attacchi del mondo finanziario: il Fmi – liquidato e cacciato dall’Argentina dal presidente Nestor Kirchner – si è detto «preoccupato» per le potenziali ripercussioni della sentenza sul sistema finanziario. E puntuale, l’agenzia “Standard & Poor’s” ha tagliato il rating dell’Argentina a CCC- da CCC+ evidenziando, con il downgrade, i maggiori rischi di default sul debito argentino in valuta estera. Cristina Kirchner resiste, convinta che a insidiare l’Argentina «non è un problema finanziario o giuridico», ma qualcosa che «riguarda un modello di business a scala globale» che potrebbe portare a «tragedie inimmaginabili». Così, la lotta di Buenos Aires contro la finanza speculativa va avanti.Fondi-avvoltoio: avevano speculato sull’agonia dell’Argentina nel 2001, acquistando a prezzi stracciati i titoli di Stato di Buenos Aires. Poi il governo democratico di Nestor Kirchner ha “ristrutturato” il debito tra il 2005 e il 2010, ma ora la Corte Suprema statunitense ha respinto il ricorso del governo argentino contro una sentenza che imponeva il pagamento di 1,3 miliardi di dollari, più interessi, agli obbligazionisti non avevano accettato i termini della ristrutturazione. Non si tratta di piccoli risparmiatori, ma di fondi speculativi che hanno messo in atto un’operazione già andata in porto in altre occasioni, rileva Alessia Lai. Il fondo Nml Capital del miliardario statunitense Paul Singer cerca di ottenere un risultato simile a quelli raggiunti anni addietro in Perù e in Congo. Nel primo caso, per alcuni buoni in default acquisiti per 11,4 milioni, il fondo ottenne 58 milioni. E nel paese africano, grazie a forti pressioni, riuscì a convertire in un pagamento di 90 milioni un debito comprato ad appena 20 milioni di dollari.
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Mosul, dalla Siria con furore: l’Isil-Cia e il fantasma Blair
Tony Blair, il Fantasma dell’Opera – una tragedia infinita chiamata Medio Oriente. Per Pepe Escobar, il Fantasma è tornato, ispirando la guerriglia in Iraq. Il fatto che Blair «continui a gironzolare con la sua sequela di intricate menzogne, invece di starsene a marcire in qualche hotel di lusso», secondo il giornalista di “Asia Times” «ci sbatte in faccia tutto ciò che dobbiamo sapere circa le cosiddette “élite” occidentali, delle quali è un fedele, e ragguardevolmente ricompensato, servo». Tutto, nella regione, è precipitato con l’operazione “shock and awe”, la guerra del 2003 per uccidere Saddam Hussein sulla base di invenzioni (le armi di distruzioni di massa, inesistenti). Guerra promossa da Blair insieme a “Dubya” Bush. «Il Fantasma aveva sempre desiderato che l’amministrazione Obama bombardasse la Siria, così come aveva spinto affinchè “Dubya” distruggesse l’Iraq». La logica del Fantasma, continua Escobar, non aveva previsto che lo stesso Isil creato a Damasco (Stato Islamico dell’Islam e del Levante) ora si sarebbe spinto verso Baghdad.Proprio l’influente Blair, lo statista più amato da Renzi, continua a elargire lo stesso sanguinoso regalo, «la Guerra al Terrore, eternamente riciclata e riconfezionata, della quale il Fantasma è stato il primo sostenitore, che si tira dietro l’ultima moda Usa che bolla l’Isil come la personificazione di un nuovo 11 Settembre». Dato che Blair «sperava in Damasco come ripetizione del 2003 di Baghdad», se la logica dei bombardamenti avesse avuto la meglio in Siria, oggi Aleppo sarebbe una replica di Mosul, continua Escobar in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Più ci si addentra, più il Fantasma sembra l’erede degli – altrettanto spiazzati – comandanti britannici nell’Afghanistan degli anni ’90». Escobar ricorda le involontarie conseguenze dei bombardamenti Usa del 2001 in Afghanistan, con Hazaras (sciiti afghani) fianco a fianco con gli iraniani, insieme all’esercito siriano di Bashar al Assad, contro i “ribelli” siriani «sostenuti dal Fantasma». Nemmeno Peter Mandelson, “signore dell’oscurità”, e mente politica del “New Labour” di Blair, «avrebbe potuto giustificare una cosa del genere».In ogni caso, prosegue Escobar, «il Fantasma è sempre stato convinto della “malvagità” dell’Iran, “avvertendo” costantemente che Teheran era sul punto di assemblare un’arma nucleare (vecchie abitudini – come per la sindrome di Saddam – dure a morire)». Stupito come Dick Cheney, il vecchio Blair, quando Washington e Teheran erano sul punto di discutere a Vienna una sorta di fronte comune per combattere l’Isil in Iraq e addirittura “super-falchi” come il senatore repubblicano Lindsey Graham affermare le impensabili parole «avremo probabilmente bisogno dell’aiuto [dell’Iran] per tenere Baghdad». Secondo Escobar, nonostante la pericolosità di Blair «non c’è alcuna strategia di fondo, nessun piano anglo-statunitense a lungo termine di politica estera in quello che il Pentagono chiama ancora “arco di instabilità”». O con noi o con i terroristi, era il motto di Bush. Peccato che in Libia e in Siria l’Occidente era schierato proprio coi terroristi islamici, secondo la filosofia del “divite et impera”.Washington, continua Escobar, ha ammesso di star inviando “assistenza” letale ai ribelli “moderati” in Siria (come, in teoria, i sicari del Fronte Islamico, non l’Isil o Jabhat al Nusra), «come se gli asset holliwoodiani della Cia non sapessero che queste armi saranno sicuramente vendute ai jihadisti più estremi – o rubate da loro». L’Isil nel deserto senza confini tra Siria e Iraq è già un proto-califfato. Armare i cosiddetti “moderati”? «Non ci sono “moderati”, come non c’erano Talebani “moderati”». Lo scenario sarà quindi ulteriormente destabilizzato: «Delle vittime fanno parte i curdi in Siria, Iraq, Turchia e Iran, i turkmeni in Iraq (come sta già avvenendo questa settimana) e ovviamente i cristiani in ogni nazione (come è già successo in Siria)». Il Fantasma? «Ora sta pregando gli Stati Uniti per un “intervento” in Iraq: prima li affami, poi li bombardi fino a una devastazione che chiamerai “democrazia” e li occupi, poi infesti il tutto di jihadisti, che poi scacci, poi gli jihadisti scatenano l’inferno (425 milioni di dollari rubati da una cassaforte governativa a Mosul, oltre a un sacco di soldi presi ai Wahabiti del Golfo per comparsi tutte quelle Toyota e quegli Rpg), poi li rioccupi lentamente. Questo è il regalo che continua ad essere distribuito».Altro scialo di retorica bugiarda, diffusa da Blair e dai neocon statunitensi: l’Isil «una minaccia per la sicurezza dell’Occidente», parole di Kerry. Ridicolo: «E’ uno scherzo enorme quanto la massa di satelliti incapaci di tracciare una colonna di Toyota bianche che avanzano nel bel mezzo del deserto iracheno – dirette verso la distruzione di quattro divisioni dell’esercito. Le hanno viste, le hanno seguite e hanno fatto finta di nulla, come insegna il libro degli schemi dell’impero del caos. Perchè non spingere il “divide et impera” tra sunniti e sciiti? Lasciamoli mangiare i cadaveri – e uccidersi tra di loro, come nella guerra pluriennale tra Iran e Iraq». La spinta dell’Isil è un remix della guerra civile tra sunniti e sciiti nel 2006 e 2007, i cui effetti, prima dell’invasione Usa, Escobar ha documentato nel reportage “Red Zone Blues”. «Il Fantasma, tuttavia, ha ottenuto ciò che voleva; l’Iraq è a pezzi, irrimediabilmente frammentato», e i curdi hanno preso il controllo del petrolio di Kirkuk.Conclude Escobar: «Il “medio oriente” – di fatto il sudest asiatico – è una finzione occidentale imposta dal potere coloniale alle popolazioni locali. Quello che il Pentagono descrive fin dagli anni 2000 come l’“arco di instabilità” è un sistema anarchico che si autoalimenta, con alcuni scampoli di “pace” rappresentati dalle petro-monarchie meglio conosciute come Consigli di Cooperazione del Golfo (dopotutto abbiamo bisogno del “nostro” petrolio). A seguire c’è il lento e inevitabile processo di integrazione eurasiatico, lungo la miriade di nuove vie della seta che fanno riferimento alla Cina. Questa è una maledizione per l’impero del caos e i suoi leccapiedi, per cui il sudest asiatico in perenne caos è più che apprezzato». E dato che c’è sempre di mezzo anche il Fantasma di Tony Blair, «l’arrogante ectoplasma», aspettiamoci pure un bell’aumento dei carburanti da aggiungere «a questo mescolone occidentale già abbastanza delirante».Tony Blair, il Fantasma dell’Opera – una tragedia infinita chiamata Medio Oriente. Per Pepe Escobar, il Fantasma è tornato, ispirando la guerriglia in Iraq. Il fatto che Blair «continui a gironzolare con la sua sequela di intricate menzogne, invece di starsene a marcire in qualche hotel di lusso», secondo il giornalista di “Asia Times” «ci sbatte in faccia tutto ciò che dobbiamo sapere circa le cosiddette “élite” occidentali, delle quali è un fedele, e ragguardevolmente ricompensato, servo». Tutto, nella regione, è precipitato con l’operazione “shock and awe”, la guerra del 2003 per uccidere Saddam Hussein sulla base di invenzioni (le armi di distruzioni di massa, inesistenti). Guerra promossa da Blair insieme a “Dubya” Bush. «Il Fantasma aveva sempre desiderato che l’amministrazione Obama bombardasse la Siria, così come aveva spinto affinchè “Dubya” distruggesse l’Iraq». La logica del Fantasma, continua Escobar, non aveva previsto che lo stesso Isil creato a Damasco (Stato Islamico dell’Islam e del Levante) ora si sarebbe spinto verso Baghdad.
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Die Zeit: Obama non ci conviene, molto meglio la Russia
Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».Per Chris Luenen, «sarebbe abbastanza facile assicurare gli interessi occidentali in fatto di energia e sicurezza tramite la costruzione di un partenariato con la Russia (e con l’Iran), pittosto che che continuare a mirare a sottomettere la Russia agli interessi e alle strutture occidentali». Come riferisce il newmagazine “Sinistra.Ch”, espressione della sinistra svizzera ticinese, sullo “Zeit” l’editorialista sostiene che «la decisione di allargare la zona di influsso occidentale verso Est, tramite una progressiva espansione dell’Ue e della Nato» è praticamente «il più grave errore strategico dell’Occidente sin dalla fine della guerra fredda». Solitamente, aggiunge la rivista elvetica, “Die Zeit” «difende concetti e posizioni che sono rappresentati anche nell’establishment della politica tedesca». Finora, nel conflitto dell’Ucrania, il settimane si era allineato nel giustificare «il regime golpista di Kiev», attaccando la Russia di Putin e i russi d’Ucraina, definiti “separatisti”. Se oggi invece quel giornale ribalta la sua posizione, significa che «siamo di fronte senza dubbio a qualcosa di sensazionale».Niente però di così inatteso, in fondo, secondo “Sinistra.Ch”: «Importanti settori dell’industria tedesca, infatti, si sono nettamente opposti alla tendenza di seguire ciecamente il diktat di Obama, relativo alle sanzioni economiche contro la Russia». E il recente affare di spionaggio da parte della Nsa «si rivolge non a caso in prima linea contro la Germania», colpendo anche la sfera privata della cancelliera Merkel. Inoltre, in Germania, «la tendenza fortemente anti-russa dei media tedeschi viene fortemente contestata dai lettori: da mesi, i blogger si rivoltano in massa contro le direttive informative delle maggiori redazioni». La maggior parte dei commenti dei lettori contestano la politica occidentale. Per moltissimi di loro, quindi, l’apertura dello “Zeit” è «un vero raggio di luce nell’oscurità». Per Massimiliano Ay, segretario del partito comunista della Svizzera italiana, la crisi ucraina «si è scatenata per la esplicita volontà degli Usa di bloccare il rifornimento energetico russo all’Europa, inchiodando così in modo ancora più vincolante il vecchio continente al petrolio e al gas nordamericano: un passo necessario per evitare lo sviluppo dell’asse Berlino-Mosca-Pechino che potrebbe accerchiare Washington». Che ora lo sostenga anche “Die Zeit”, lascia sperare che Berlino potrebbe tentare di frenare la pericolosa guerra fredda di Obama.Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».
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Stanno progettando di colpire la Russia con armi nucleari
Sorpresa: Washington pensa che in una guerra nucleare ci possa essere chi vince. E sta progettando un primo attacco alla Russia, o forse alla Cina, per evitare qualsiasi sfida alla sua egemonia sul mondo. Il piano è molto avanzato, avverte Paul Craig Roberts, citando “La letalità delle armi nucleari” di Steven Starr: «Basterebbe l’1% degli arsenali nucleari degli Usa o della Russia per provocare una “piccola guerra nucleare” che porterebbe a un disfacimento catastrofico del clima globale e alla distruzione massiccia dello strato di ozono, con conseguenti danni, tanto gravi per l’agricultura del mondo, che due miliardi di persone potrebbero morire di fame». La brutta notizia è che la dottrina strategica degli Stati Uniti è cambiata: con Obama, «il ruolo dei missili nucleari è stato portato da strumento di reazione ad arma offensiva, da usare al primo colpo». Per questo sono stati piazzati i missili anti-balistici Abm nelle basi americane in Polonia, e altri missili verranno dislocati nell’Est Europa. «Una volta completato il lavoro, la Russia sarà circondata da basi missilistiche americane».I missili anti-balistici, noti come “star wars”, sono armi progettate per intercettare e distruggere missili balistici intercontinentali, spiega Craig Roberts, già viceministro del Tesoro con Reagan e “associated editor” del “Wall Street Journal”. Secondo la nuova strategia di guerra di Washington, continua Roberts in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, gli Stati Uniti dovrebbero colpire la Russia per primi. Qualunque sia la capacità di risposta russa, l’artiglieria missilistica di Mosca non riuscirebbe più a raggiungere il territorio statunitense, perché i missili russi verrebbero intercettati dallo scudo degli Abm dislocati in Europa orientale. Il pretesto agitato da Washington è quello della minaccia terroristica: come se i terroristi fossero una nazione che disponga di un esercito minaccioso. Ufficialmente, i missili Abm sono in Polonia come “scudo” contro i missili intercontinentali iraniani: ma Washington, «come ogni altro governo europeo, sa bene che l’Iran non ha nessun Icnm e che l’Iran non ha mai detto di aver intenzione di attaccare l’Europa».Nessun governo crede nelle ragioni di Washington, continua Craig Roberts. Qualsiasi governo, invece, capisce che le motivazioni dell’America sono «deboli tentativi di nascondere il fatto che sta posizionando le sue basi per poter vincere una guerra nucleare». Il governo russo, naturalmente, è consapevole che questo cambio di strategia di guerra degli Stati Uniti e le basi Abm americane poste ai suoi confini siano orientate contro la Russia. «Sono segnali evidenti che Washington intende essere pronta per un primo attacco con armi nucleari contro la Russia». Anche la Cina, aggiunge l’analista statunitense, ha perfettamente capito che Washington ha le stesse intenzioni contro Pechino. Proprio in risposta alla minaccia di Washington, «la Cina ha attirato l’attenzione del mondo sulla sua capacità di distruggere gli Stati Uniti, nel caso che Washington dovesse intraprendere un conflitto di questo genere». Il peggio è che Obama «crede di poter vincere una guerra nucleare con pochi o senza danni per gli Stati Uniti: ed è questa convinzione che rende probabile una guerra nucleare».Secondo Steven Starr, questa convinzione è basata sull’ignoranza: una guerra nucleare non avrà nessun vincitore. «Anche se le città degli Stati Uniti fossero salvate dallo scudo contro gli Abm, le radiazioni e gli effetti prodotti dall’inverno nucleare delle armi che avranno colpito la Russia o la Cina distruggerebbero gli Stati Uniti allo stesso modo». Prosegue Craig Roberts: «I media, opportunamente concentrati in poche mani durante il corrotto regime di Clinton, sono complici perché stanno ignorando il problema. Anche i governi degli stati vassalli di Washington in Europa occidentale e orientale, del Canada, dell’Australia e del Giappone sono complici, perché accettano il piano di Washington e mettono a disposizione le basi militari per la sua attuazione. Un governo polacco demente, probabilmente, ha già firmato la condanna a morte per l’umanità». E’ corresponsabile anche il Congresso degli Stati Uniti, «perché non è stata presentata nessuna audizione contro il progetto esecutivo per l’avvio di una guerra nucleare». Per Roberts, Washington ha creato una situazione pericolosa: «Dato che Russia e Cina sono state chiaramente minacciate di un primo lancio nucleare, anche loro potrebbero decidere di colpire per prime: perché Russia e Cina dovrebbero restare sedute ad attendere l’inevitabile, mentre l’avversario sta creando i presupposti per proteggersi, sviluppando il suo scudo Abm?».Una volta che Washington abbia terminato lo scudo, Russia e Cina possono essere certe che «saranno attaccate, a meno che non si arrendano prima». Il network “Russia Today” spiega che il piano segreto di Washington per colpire la Russia per prima non è affatto un segreto: il reportage chiarisce anche che Washington è pronta a eliminare qualsiasi leader europeo che non si allineerà con gli Usa. Che fare, dunque? Innanzitutto, «non ascoltare il Ministero della Propaganda spegnendo Fox News, Cnn, Bbc , Abc, Nbc e Cbs, smettendo di leggere il “New York Times”, il “Washington Post”, il “Los Angeles Times”», scrive Craig Roberts. «Basta uscire dal circuito dell’informazione dei media ufficiali. Non credere una parola di quello che dice il governo. Non votare. Rendersi conto che il male è concentrato a Washington. Nel 21° secolo Washington ha distrutto in tutto o in parte sette paesi. Ha ucciso milioni di persone, li ha mutilati, li ha fatti fuggire dalle loro case e Washington non ha mai dato segni di rimorso. E nemmeno le chiese “cristiane”. Tutta la devastazione che Washington ha provocato nel mondo è raccontata come se fosse stato un grande successo: ha vinto Washington». Gli Usa sono determinati a vincere, conclude Craig Roberts. «Ma è lo stesso male, che Washington rappresenta, che sta portando il mondo verso la sua distruzione».Sorpresa: Washington pensa che in una guerra nucleare ci possa essere chi vince. E sta progettando un primo attacco alla Russia, o forse alla Cina, per evitare qualsiasi sfida alla sua egemonia sul mondo. Il piano è molto avanzato, avverte Paul Craig Roberts, citando “La letalità delle armi nucleari” di Steven Starr: «Basterebbe l’1% degli arsenali nucleari degli Usa o della Russia per provocare una “piccola guerra nucleare” che porterebbe a un disfacimento catastrofico del clima globale e alla distruzione massiccia dello strato di ozono, con conseguenti danni, tanto gravi per l’agricultura del mondo, che due miliardi di persone potrebbero morire di fame». La brutta notizia è che la dottrina strategica degli Stati Uniti è cambiata: con Obama, «il ruolo dei missili nucleari è stato portato da strumento di reazione ad arma offensiva, da usare al primo colpo». Per questo sono stati piazzati i missili anti-balistici Abm nelle basi americane in Polonia, e altri missili verranno dislocati nell’Est Europa. «Una volta completato il lavoro, la Russia sarà circondata da basi missilistiche americane».
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Ttip, una bomba a orologeria contro libertà e democrazia
«Siamo di fronte a un conflitto tra le imprese transnazionali e gli Stati. Questi ultimi sono stati tagliati fuori nelle loro decisioni fondamentali – politiche, economiche e militari – da organizzazioni globali che non dipendono da nessuno Stato e le cui attività non sono controllate da nessun Parlamento, né nessuna istituzione rappresentativa dell’interesse collettivo». Così il presidente cileno Salvador Allende nel 1972 all’assemblea generale delle Nazioni Unite, un anno prima di essere assassinato dal golpe di Augusto Pinochet organizzato da Henry Kissinger attraverso la Cia. Ora ci siamo: il pericolo denunciato da Allende sta per diventare legge con il Tttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue. Che interpreta alla perfezione l’auspicio espresso da David Rockefeller a “Newsweek” nel 1999: «Qualcosa deve sostituire i governi, e il potere privato mi sembra l’entità adeguata per farlo». Tribunali speciali, autorizzati a scavalcare ogni legge per affermare solo quella del business. «Contro quelle sentenze, Stati e Parlamenti non potranno più nulla», scrive la francese Danièle Favari in un saggio sul trattato euro-atlantico.La Favari, ricorda Laurent Pinsolle in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, cita tra gli altri anche Martin Hart-Landsberg, il quale denuncia «il dominio delle multinazionali», che «nel 2010 hanno generato un valore aggiunto di circa 16.000 miliardi di dollari, corrispondenti a più di un quarto del Pil mondiale». Nell’accordo in via di definizione tra Washington e Bruxelles, sul quale Matteo Renzi ha rassicurato Obama sostenendo che l’Italia preme perché venga chiuso in fretta, «oltre ai rischi sanitari e il fatto di agevolare le multinazionali, c’è un meccanismo poco conosciuto ma rivoltante, la sopravvivenza dei defunti Ami», accordi multilaterali sugli investimenti, e gli Rdie, «tribunali che sottomettono le democrazie». Règlement des Différends entre Investisseurs et Etats, cioè: regolamento controversie tra investitori e Stati, in inglese Isds, “Investor-State Dispute Settlement”. Giustizia privatizzata: l’arbitrato privato tra imprese e Stati «si sostituirebbe alle giurisdizioni esistenti, permettendo così agli investitori privati di liberarsi da tutte le leggi, di aggirare le decisioni per loro ingombranti e di consacrare la privatizzazione del potere legislativo».Solo nel 2012, sono stati esaminati 6.514 casi: Danièle Favari nota che «15 arbitri hanno deciso il 55% di tutte le controversie conosciute» e che «le rivendicazioni degli investitori sono state accettate nel 70% delle decisioni arbitrali conosciute». Ci sono indennizzi da 1,77 miliardi di dollari, come quello concesso all’Occidental Petroleum da parte dell’Ecuador. Secondo la Commissione Europea, l’accordo deve proteggere gli investitori da molte delle atuali leggi, che tutelano i consumatori. Questo principio ha permesso alla Philip Morris di perseguire l’Uruguay e l’Australia per le loro normative anti-tabacco. E il Ceta, accordo di libero scambio Ue-Canada, potrebbe permettere alle grandi compagnie del gas e del petrolio di contestare i divieti al fracking, la fratturazione idraulica, in Europa». Per Danièle Favari, l’arbitrato investitore-Stato è «un ingiustificato attentato alla sovranità» dei governi, visto che mette Stato e imprese sullo stesso piano. Peggio: si prenderanno «decisioni senza appello, che potrebbero fare giurisprudenza». Il che equivale a «subordinare i diritti dei popoli al commercio, all’economia e alla finanza». Ultimo atto, il Tafta, “Transatlatic Free Trade Area”, zona di libero scambio transatlantica: decreterebbe «la distruzione finale del nostro modello, delle nostre scelte di società e del diritto dei popoli di disporre di se stessi».«Siamo di fronte a un conflitto tra le imprese transnazionali e gli Stati. Questi ultimi sono stati tagliati fuori nelle loro decisioni fondamentali – politiche, economiche e militari – da organizzazioni globali che non dipendono da nessuno Stato e le cui attività non sono controllate da nessun Parlamento, né nessuna istituzione rappresentativa dell’interesse collettivo». Così il presidente cileno Salvador Allende nel 1972 all’assemblea generale delle Nazioni Unite, un anno prima di essere assassinato dal golpe di Augusto Pinochet organizzato da Henry Kissinger attraverso la Cia. Ora ci siamo: il pericolo denunciato da Allende sta per diventare legge con il Tttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue. Che interpreta alla perfezione l’auspicio espresso da David Rockefeller a “Newsweek” nel 1999: «Qualcosa deve sostituire i governi, e il potere privato mi sembra l’entità adeguata per farlo». Tribunali speciali, autorizzati a scavalcare ogni legge per affermare solo quella del business. «Contro quelle sentenze, Stati e Parlamenti non potranno più nulla», scrive la francese Danièle Favari in un saggio sul trattato euro-atlantico.