Archivio del Tag ‘Wall Street’
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Allarme rosso: stanno per mangiarsi tutte le nostre banche
Allarme rosso: stanno per “mangiarsi” le nostre banche, prosciugando i conti correnti a tutto vantaggio dei colossi della finanzia mondiale. Ossigeno e denaro vero – il nostro – per tamponare la maxi-falla di Wall Street. Lo lascia intendere il nuovo piano di “salvataggio” messo a punto dal Canada, che prevede che in caso di crisi ai risparmiatori sia prelevato il denaro sul conto, lasciando loro solo un pugno di azioni-spazzatura. Lo afferma il professor Michel Chossudovsky, professore emerito di economia all’università di Ottawa e direttore del centro ricerche sulla mondializzazione “Global Research”. La ricapitalizzazione delle banche cipriote? Solo un prova generale di quello che ci attende. E’ possibile prevedere un “furto dei risparmi” in seno alla Comunità Europea e in Nord America in grado di portare alla confisca completa dei depositi bancari? E’ quello che starebbe per succedere a livello planetario, grazie a una manovra che coinvolge la banca centrale del Canada, Wall Street, la Goldman Sachs, il Fmi e la Bce.
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Siamo già in guerra, ma speriamo tocchi prima a loro
C’è una guerra in atto. Terroristi in giacca e cravatta fanno annunci, programmano azioni di carta e mietono vittime. Barclays, Deutsche Bank e Jp Morgan hanno investito massicciamente nel settore delle commodities agricole, negli ultimi anni, per sfidare Goldamn Sachs e Morgan Stanley: queste cinque banche controllano il 70% degli scambi sui prodotti agricoli in tutto il mondo. Dall’oggi al domani, questi terroristi da 800.000 dollari l’anno possono decidere di mandare a puttane 40 milioni di persone in un botto solo, e l’hanno già fatto alltre volte. Milioni di persone, nei paesi poveri, vedono il prezzo dei prodotti alimentari salire alle stelle, e si trovano in crisi senza neanche sapere perché. E la loro crisi non è come la nostra – dove devi rinunciare all’iphone-8 e accontentarti dell’iphone-7 per mandare sms con scritto “viva la mona” – no, la loro crisi è diversa: è che, da un giorno all’altro, non sai se mangerai oppure no.
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Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Gino Giugni, un eroe democratico per salvare l’Italia
«Mi auguro, almeno, di non vedere più un partito socialista schierato con la destra». Sembrano scritte ieri queste parole di Gino Giugni, padre della più importante conquista nella storia democratica del paese: lo Statuto dei Lavoratori. Quello di Giugni – così simile a Stefano Rodotà per temperamento, trasparenza, sobrietà, fermezza e cultura politica – sarebbe il profilo perfetto per l’uomo chiamato, dal Quirinale, a guidare l’Italia nella spaventosa tempesta del 2013. «Il problema è che oggi questa figura non esiste», dice Paolo Barnard. Nostalgia Giugni: ovvero, il socialismo umanitario aggiornato al terzo millennio. La risposta democratica alla crisi, impugnando la dignità fondamentale della vera politica. «Sarà un po’ antico, ma l’unica via di salvezza resta il socialismo», è arrivato a confidare il più impervio degli intellettuali italiani, Guido Ceronetti, in un recente incontro coi ragazzi torinesi del Movimento per la Decrescita Felice fondato da Maurizio Pallante.
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Quirinale e governo: ecco i veri potenti che decidono tutto
Commissione Trilaterale, Bruegel, Aspen, Astrid. E in primo piano la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Questi i soli e veri tavoli abilitati a giocare la partita per la guida del paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale: una ragnatela di interessi di potere e personaggi collocati in ruoli di vertice, dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei paesi occidentali. A sorpresa, scrive “Dagospia” in un’analisi sui retroscena delle manovre, dentro gli organigrammi dei più “prestigiosi” istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato uscente. «Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato: proprio come ai tempi del Britannia», quando la transizione tra Prima e Seconda Repubblica fu “commissariata” dalle lobby mondiali delle privatizzazioni sul panfilo dei reali inglesi, nella cena in cui fu scelto il loro uomo: Mario Draghi.
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Colombo: crescita o decrescita? Pagano solo i poveri
Abbiamo aspettato la crescita come un Messia salvatore sotto forma di prodotti, di vendite, di profitti, di lavoro che torna, una terra promessa per la quale bastano alcune leggi, alcune sagge mosse di governo, alcuni sacrifici, magari duri ma necessari, che ti traghettano sulla parte salva del mondo. Su una sponda la corsa della civiltà lascerà indietro i neghittosi di un mondo antico e obsoleto che vogliono garanzie prima di dare. Sull’altra il mondo orgoglioso del nuovo profitto e del nuovo reddito, dove ognuno è protettore di se stesso, dunque affidabile. Chiaro? C’è qualche dubbio. «In tutti i casi la ricetta economica che ne discende è brutale: per avere crescita occorre più disuguaglianza, perché solo più disuguaglianza è in grado di imprimere il necessario dinamismo alla società. Tutto ciò spiega perché la parola eguaglianza – che pure figura, insieme a libertà e a fraternità tra le categorie chiave della modernità – sia caduta così in disuso nel lessico contemporaneo, compreso quello della sinistra».
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Ida Magli: scelto dal Bilderberg il successore di Napolitano
In un recente passato, che appare però lontanissimo, era stata promessa agli italiani l’elezione diretta del capo dello Stato. Naturalmente non se n’è fatto nulla. In una cosa sola i nostri governi, quali che siano le loro ideologie e i loro orientamenti politici, sono tutti “montiani”: decisi e rapidissimi soltanto nell’aumentare le tasse. Per tutto il resto tempi biblici, in attesa che svanisca anche il ricordo delle promesse fatte. Dunque niente elezione diretta del Presidente. Ma c’è invece chi lo sceglie per noi e senza chiedere il permesso a nessuno: quel Potere che in silenzio ha progettato e imposto l’unificazione europea, che ha progettato e imposto la moneta unica e che continua a presiedere a tutte le vicende più importanti dei singoli Stati, i quali obbediscono anch’essi nel più assoluto silenzio.
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Denaro per noi: stop all’euro-estorsione di Maastricht
Smantellato lo Stato e privatizzato il denaro fin dalla sua emissione, i risparmiatori diventano polli da spennare, in balia degli speculatori. La crisi di Cipro? «Non indica solo la fine della ricreazione: è la prova definitiva che il sistema bancario internazionale è una vera e propria truffa globale, gestita (male) da un gruppo di manigoldi», accusa Giulietto Chiesa. «E’ la prova che il debito che ci strozza non è che un’opinione di quei manigoldi e dei loro servi, installati nei centri del potere e nelle istituzioni finanziarie e politiche internazionali». L’“Herald Tribune” rivela che la decisone di dimezzare il debito greco fu presa all’insaputa di tutti già nell’ottobre del 2011, alle tre di notte, da cinque persone: Merkel, Sarkozy, Lagarde, Juncker e Barroso. Decisero di chiedere ai privati, cioè alle banche creditrici, di farsi carico della perdita. «Ma se si chiede a un creditore di ridurre del 50% le sue pretese, vuol dire che si sa che è un creditore illegale: quel debito era stato estorto, anche alla Grecia. E questo vale per tutti: Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo».
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Vogliono i nostri soldi: loro hanno un piano, noi non ancora
Esplode la voglia di fuggire dall’Europa, adesso che i suoi padroni aizzano i cani della crisi contro i popoli. I proprietari universali hanno fatto alcuni esperimenti da Shock Economy per vedere se gli azzannati riuscivano a difendersi. Volevano collaudare – su scala ridotta, ma non troppo – il modo in cui una società potrebbe essere annichilita da una burocrazia ottusa e feroce e trovarsi impedita se vuole rovesciare la politica dominante. La Grecia avrebbe potuto riassorbire la fase acuta della crisi in pochi mesi, e invece le sono state somministrate per anni ricette economiche prive di qualsiasi apparente logica. Mentre si licenziavano centinaia di migliaia di lavoratori, a quelli che conservavano il posto si imponevano stipendi decurtati e orari ben oltre le 40 ore settimanali. E ora siamo giunti al test di Cipro, non ancora concluso, eppure già adottato dagli eurocrati che gongolano perché lo vogliono ripetere su larga scala.
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Stiglitz: basta trucchi, dobbiamo nazionalizzare le banche
«La notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione sia disperata: come è evidente da tempo, l’unica soluzione è che il nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni ‘90». Parola di Joseph Stiglitz, docente della Columbia University e Premio Nobel per l’economia. Nazionalizzare le banche: «Bisogna farlo, e farlo in fretta, prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio», dopo la catastrofe planetaria provocata da «anni di comportamenti sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l’avere giocato d’azzardo con i derivati». Teoricamente, siamo già alla bancarotta: se il governo rispettasse le regole del gioco, sono moltissime le banche che uscirebbero dal mercato. Nessuno sa con certezza quanto sia grande il buco: almeno due-tremila miliardi di dollari, se non di più.
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Renzi fa le pulci a Bersani, mentre l’Europa spolpa l’Italia
Il peso economico degli assunti del Pd vale ogni anno circa 12,5 milioni di euro, cui vanno sommati i soldi pubblici che escono dalle Camere: solo per Montecitorio, scrive il “Fatto Quotidiano”, il gruppo ha ricevuto per ogni anno di legislatura 9,5 milioni di euro, ovvero un milione in più delle stime del “dossier” Renzi, fatto circolare per terremotare la segreteria Bersani alle prese con le manovre post-elettorali, tra gli amletici grillini e il “malato” Berlusconi inseguito dai magistrati. Dilagano sui media – da “Dagospia” in giù – le cifre dei presunti stipendi di segretarie e funzionari: se Bersani accettasse di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, sostiene il sindaco di Firenze, significherebbe «fare la pace non con me, ma con gli italiani». Questo il tenore del dibattito politico, in un paese dove una regione avanzata come il Piemonte è costretta a cedere alla finanza privata i propri ospedali, visto che lo Stato – devastato dal regime dell’euro e piegato dal “Rigor Montis” – non è più in grado di ripianare le spese vitali per la salute pubblica.