Archivio del Tag ‘Vladimir Putin’
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Privatizzare la Russia: assalto a Putin, da Usa e oligarchi
Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.Nel frattempo, scrivono Hudson e Craig Robert in un’analisi su “Counterpunch” tradotta da “Come Don Chisciotte”, la combinazione fra debito in crescita e deficit della bilancia dei pagamenti ha fornito ai sostenitori delle privatizzazioni un ulteriore argomento per insistere con le dismissioni. Motivo addotto: la Russia non potrebbe monetizzare il proprio deficit, ma deve vendere le sue risorse migliori per sopravvivere. «Noi vogliamo mettere in guardia la Russia dall’accettare questa nefasta argomentazione neoliberista», scrivono i due economisti. «Le privatizzazioni non aiuteranno a re-industrializzare la Russia, ma ne aggraverebbero la trasformazione in una “economia di rendita” nella quale i profitti vanno a beneficio di proprietari stranieri». Per cautelarsi, Putin ha posto una serie di condizioni per scongiurare che le nuove privatizzazioni avvengano come le disastrose svendite dell’era Eltsin: stavolta gli asset non verrebbero venduti a prezzo di saldo, ma rispecchierebbero l’eventuale valore reale. E le aziende cedute resterebbero sotto la giurisdizione russa: gli investitori stranieri potranno partecipare, ma non scavalcare le regole russe, tra cui i vincoli per mantenere i capitali nel paese.«Putin ha saggiamente evitato la vendita della maggiore banca russa, la Sberbank, che detiene gran parte dei depositi privati nazionali: l’attività bancaria evidentemente resta un servizio principalmente pubblico – come dovrebbe – vista la capacità di creare moneta-credito, che la rende un monopolio naturale e intrinsecamente pubblica nel carattere». Nonostante queste precauzioni, però, «vi sono serie ragioni per non procedere con le privatizzazioni appena annunciate», che avverrebbero «in condizioni di recessione economica dovuta ai bassi prezzi del petrolio e alle sanzioni occidentali». L’alibi sarebbe la copertura del deficit di bilancio nazionale? «Questa scusa mostra come la Russia non si sia ancora ripresa dal disastroso mito, occidentale e atlanticista, che essa debba dipendere dalle banche estere e dai detentori di bond per creare moneta, come se la banca centrale russa non possa fare ciò da sé, tramite la monetizzazione del disavanzo di bilancio», obiettano Hudson e Craig Roberts. «La monetizzazione del deficit di bilancio è esattamente quello che ha fatto il governo degli Stati Uniti e ciò che si faceva presso le banche centrali occidentali nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale».La monetizzazione del debito è una pratica comune in Occidente: i governi possono agevolare la ripresa economica creando moneta. Molto meglio che far indebitare il paese verso creditori privati, che poi «prosciugano il finanziamento del settore pubblico attraverso l’emorragia del pagamento di interessi a creditori privati». Perché mai ricorrere alla finanza privata, quando può essere la banca centrale a creare finanziamento pubblico? «Gli economisti russi, tuttavia, sono stati indottrinati dal credo occidentale che solo le banche commerciali possano creare denaro, e che i governi per procurarsi le risorse debbano emettere dei buoni sui quali alla scadenza pagheranno degli interessi». Questa deformazione della finanza pubblica “privatizzata” «sta portando la Russia sullo stesso sentiero che ha portato l’Europa ad un’economia in stato comatoso». Attraverso la privatizzazione della creazione del credito, infatti, «l’Europa ha trasferito la propria pianificazione economica dai governi democraticamente eletti al settore bancario». La Russia? «Non ha bisogno di accettare questa filosofia economica orientata alla rendita, che può mandare in dissesto le finanze pubbliche di una nazione». Infatti, i neoliberisti non la promuovono certo per aiutare la Russia, «ma per metterla in ginocchio».Essenzialmente, spiegano i due analisti, quei russi cosiddetti “integrazionisti atlantici”, cioè alleati dell’Occidente, «puntano a sacrificare la sovranità della Russia per integrarla nell’impero occidentale», e così «utilizzano il neoliberismo per “intrappolare” Putin e annientare il controllo della Russia sulla propria economia, un elemento che Putin aveva ripristinato dopo gli anni di Eltsin nei quali la Russia era stata depredata da interessi stranieri». Nonostante il Cremlino sia riuscito a ridurre il potere degli oligarchi creato dalle privatizzazioni di Eltsin, il governo ha comunque bisogno di mantenere importanti imprese statali, proprio per controbilanciare il potere economico degli oligarchi. «La ragione per cui i governi costruiscono ferrovie e altre infrastrutture di base è quella di abbassare i costi basilari per vivere e lavorare. Lo scopo delle “corporation private” – di contro – è invece quello di aumentare tali costi quanto più possibile». Questa viene definita “estrazione di rendita”: «I proprietari privati impongono dazi per aumentare il costo del servizio di un’infrastruttura che viene privatizzata». Di fatto, «è l’opposto di quello che gli economisti classici definiscono come “libero mercato”».In base a un accordo di cui si parla, gli oligarchi «acquisiranno delle quote di compagnie statali con il denaro delle precedenti privatizzazioni nascosto all’estero, e faranno un altro “affare del secolo” quando l’economia russa si riprenderà abbastanza da consentire profitti corposi». Problema: «Quanto più potere economico si sposta dalle mani pubbliche al privato, minore è il potere del governo di controbilanciare gli interessi privati». Per questo, «nessuna privatizzazione dovrebbe essere consentita, in questa fase», e ancor meno si dovrebbe consentire «l’acquisizione di asset nazionali russi da parte di stranieri». Ma il rischio esiste: «Al fine di guadagnare un pagamento immediato in valuta estera, il governo russo cederà agli stranieri il flusso dei futuri guadagni che verranno ricavati in Russia e mandati all’estero». Attenzione: «Vendere degli asset pubblici in cambio di un pagamento in un’unica soluzione è quello che ha fatto l’amministrazione della città di Chicago quando ha ceduto per 75 anni la gestione dei parcheggi pubblici in cambio di una cifra corrisposta immediatamente. Sacrificando le entrate pubbliche, l’amministrazione di Chicago ha risparmiato le proprietà immobiliari e le ricchezze private dalla tassazione e ha inoltre consentito alle banche di investimento di Wall Street di fare una fortuna», spingendo però la città verso la bancarotta.«Nessuna sorpresa che gli atlantisti auspichino una sorte simile alla Russia», scrivono Hudson e Craig Roberts. «Usare le privatizzazioni per coprire un problema di bilancio di breve termine, ne porta invece uno di lungo termine. I profitti delle compagnie russe fluirebbero fuori dal paese, riducendo il tasso di cambio del rublo. Se i profitti vengono generati in rubli, questi possono essere cambiati in dollari nel mercato dei cambi. Ciò deprimerà il tasso di cambio del rublo aumentando il valore relativo del dollaro. In sostanza, consentire a degli stranieri di acquisire delle risorse statali della Russia, li aiuterebbe a speculare contro il rublo». Inoltre, anche i nuovi proprietari russi degli asset privatizzati potrebbero mandare all’estero i loro profitti. «Almeno, il governo russo si rende conto che dei proprietari soggetti alla giurisdizione russa vengono disciplinati più facilmente rispetto a dei proprietari in grado di controllare le aziende dall’estero e di tenere il loro capitale attivo a Londra o in altri centri finanziari (tutti soggetti alla pressione diplomatica Usa e alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda)».A monte, comunque, il governo russo dovrebbe finanziare i propri deficit di bilancio semplicemente attraverso «la banca centrale che crea il denaro necessario, così come fanno gli Usa e la Gran Bretagna». Al contrario, «alienare per sempre dei flussi di ricavi futuri per coprire solo il deficit di un anno», secondo Hudson e Craig Roberts, «è la strada per l’impoverimento e la perdita dell’indipendenza politica ed economica». La globalizzazione? «E’ stata inventata come uno strumento dell’impero americano». La Russia se ne dovrebbe difendere, piuttosto che aprirvisi. E le privatizzazioni «sono il mezzo per minare la sovranità economica e accrescere i profitti tramite l’aumento delle tariffe». Che se ne rendano conto o meno, concludono i due analisti, gli economisti neoliberisti di Mosca si comportano «come le Ong finanziate dall’Occidente», che «agiscono in Russia come una quinta colonna contro l’interesse nazionale». In altre parole, «la Russia non sarà al riparo dalla manipolazione occidentale fino a quando la propria economia non sarà impermeabile ai tentativi da parte dell’Occidente di piegarla ai propri interessi piuttosto che a quelli nazionali».Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.
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Gli americani frodati dall’élite che mette in pericolo il mondo
Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinchè ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la dustruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.Personalmente ho sempre lavorato a documentare questi crimini nei miei articoli e nei mei libri (pubblicati da Clarity Press). Chiunque creda ancora nella purezza delle intenzioni della politica estera di Washington è semplicemente un caso perso. Russia e Cina adesso hanno forgiato una allenza che è semplicemente troppo forte per Washington. Russia e Cina insieme non consentiranno a Washington nessun ulteriore ingerenza nella loro sicurezza e nei loro interessi nazionali. I paesi che essi ritengono strategicamente importanti saranno protetti dall’alleanza. Mentre il mondo pian piano si sveglia e comprende il male che l’Occidente oggi rappresenta, sempre più paesi cercheranno la protezione di Russia e Cina. L’America, inoltre, sta fallendo sotto il fronte economico. Nei miei articoli ed il mio libro “Il fallimento del capitalismo lassez-faire”, che è stato pubblicato in inglese, cinese, coreano, ceco e tedesco, ho dimostrato come Washington abbia sempre promosso e incoraggiato un processo nel corso del quale i profitti a breve termine di manager e grandi investitori, e Wall Street in senso ampio, svisceravano l’economia reale Usa, delocalizzando la vera produzione, le conoscenze manifatturiere, le tecnologie e annesse posizioni di lavoro qualificato, verso Cina, India ed altri paesi, lasciando l’America con una economia ormai talmente spolpata che la media dei redditi delle famiglie è in costante caduta da anni.Ad oggi il 50% degli americani di 25 anni vivono con genitori o nonni in quanto non riescono a trovare impieghi sufficienti a permettersi una esistenza indipendente. La dura realtà è puntualmente coperta dai media prostituiti Usa, fonte di storielle fantasiose su una fantomatica ripresa economica americana. I fatti reali dell’esistenza sono talmente dissimili da ciò che i media vorrebbero far apparire che non posso che restare perplesso. Avendo insegnato economia, essendo stato editore del “Wall Street Journal” e assistente del segretario per la politica economica del ministero del Tesoro Usa, non posso che essere perplesso dalla corruzione sistematica che governa il settore finanziario, il Tesoro, le agenzie preposte alla regolamentazione finanziaria e la Federal Reserve. Ai miei tempi sarebbero fioccati avvisi di garanzia e sentenze di tribunale contro banchieri e burocrati di alto rango.Nell’America di oggi non esistono mercati finanziari liberi. Tutti i mercati sono manipolati dalla Federal Reserve e dal Tesoro in concerto. Le agenzie di regolamentazione, controllate dalle stesse persone ed entità sulle quali dovrebbero teoricamente vigilare, chiudono un occhio su qualunque cosa, e anche nei rari casi in cui non lo fanno è tutto ugualmente inutile poichè non hanno alcun potere di far rispettare la legge dal momento che gli interessi privati sono sempre, immensamente, più forti delle leggi. Anche le agenzie statistiche del governo sono state corrotte. Manipolazioni sono state messe in atto allo scopo di sottostimare il tasso di inflazione. La bugia non soltanto risparmia a Washington l’onere di reindicizzare i sussidi adeguandoli al costo della vita reale, liberando altri soldi per le infinite guerre, ma specialmente, sottostimando l’inflazione il governo fa apparire dal nulla incrementi del Pil spacciati come reali, contando l’inflazione come crescita reale, allo stesso modo, d’altronde, in cui il governo fa figurare un 5% di disoccupazione escludendo dal computo tutti gli scoraggiati che hanno cercato troppo a lungo e per i quali continuare a cercare rappresenta ormai solo una perdita di tempo.Come mai la quota di disoccupati ufficiale è del 5% ma nessuno riesce a trovare un lavoro? Come fa ad essere del 5% quando la metà delle persone di 25 anni sono costrette a vivere in casa dei parenti perchè non riescono a permettersi una vita indipendente? Come riferisce John Williams di “Shadowfacts”, se il tasso di disoccupazione includesse i cosiddetti “scoraggiati” che non cercano più attivamente impiego (perchè non ci sono lavori da trovare) il tasso di disoccupazione sarebbe al 23%. La Federal Reserve, strumento privato nelle mani di un gruppetto di grosse banche, è riuscita a creare l’illusione di una ripresa economica almeno da giugno 2009 ad oggi, semplicemente stampando migliaia di miliardi di dollari dei quali non un centesimo è confluito ad alimentare l’economia, ma tutti a gonfiare i prezzi delle azioni delle multinazionali. Le gonfiature artificiali dei prezzi di azioni e obbligazioni sono le “prove” di una economia rigogliosa che la stampa finanziaria prostituita continua senza sosta a sciorinare.Quelle pochissime persone di cultura e buon senso rimaste in America, e dico per esperienza diretta che parliamo davvero di pochissime persone, capiscono benissimo che non è mai esistita una ripresa dall’ultima recessione e che, al contrario, una ulteriore recessione è alle porte. John Williams ha evidenziato come la produzione industriale Usa, debitamente parametrata all’inflazione, non ha mai recuperato i livelli del 2008 ed è ben lontana dal picco del 2000, ed è in costante calo. Il consumatore americano è esausto, schiacchiato da debiti contratti e impossibilità a guadagnare di più. L’intera politica economica americana è concentrata sulla tutela costante di qualche banca a New York, non nel salvataggio dell’economia americana. Economisti blasonati e compari di Wall Street liquiderebbero il problema del declino della produzione industriale con il fatto che “l’America ormai è una economia dei servizi”. Gli economisti pretendono che tali servizi siano servizi altamente tecnologici della New Economy, ma la realtà è che camerieri, baristi, commessi part-time e servizi sanitario-inferimieristici hanno rimpiazzato gli impeghi manufatturieri ed ingegneristici e pagano una frazione rispetto a quest’ultimi, cosa che provoca un collasso della domanda aggregata in tutti gli Usa.Se gli economisti neoliberali (cosa che non accade quasi mai pubblicamente) vengono messi spalle al muro e costretti ad ammettere i problemi, si arrampicano sugli specchi cercando il colpevole nella Cina. Non è chiaro se a questo stadio esistano possibilità di rivitalizzare l’economia americana. Rivitalizzarla richiederebbe una ri-regolamentazione del settore finanziario e fare di tutto per riportare a casa i posti di lavoro e la produzione che sono state svendute a paesi d’oltremare. Richiederebbe, come Michael Hudson sa dimostrare nel suo ultimo libro “Killing the Host”, una rivoluzione nelle politiche fiscali che impedirebbe al settore finanziario di appropiarsi in maniera parassitaria dei surplus generati dall’attività economica reale, poi capitalizzandoli in obbligazione debitorie che garantiscono la perpetua percezione di interessi per il settore finanziario. Il governo Usa, controllato com’è da interessi economici tra i più sporchi e immorali, non permetterebbe mai politiche che anche soltanto si azzardino a sfiorare i bonus faraonici dei managers e i profitti di Wall Street.Il capitalismo Usa di oggi basa i suoi profitti sulla vendita dell’economia americana e con essa tutta la gente che ne dipende per il proprio sostentamento. Nell’ America della “libertà e democrazia” il governo e i poteri economici servono interessi che non hanno assolutamente nessun punto di contatto con gli interessi del popolo americano. La svendita in corso è protetta e mascherata da un panopticon propagandistico fornito dagli economisti neoliberali, prostituti finanziari ed editoriali che si guadagnano da vivere solo e soltanto mentendo dalla mattina alla sera. Quando l’America fallirà, a ruota la seguiranno i vassalli di Washington in Europa, Canada, Australia e Giappone. A meno che nella peggiore delle ipotesi Washington non distrugga il mondo con un conflitto nucleare, a quel punto i rapporti mondiali di forza saranno interamente ridefiniti, e l’Occidente corrotto e dissoluto non sarà nient’altro che la parte più insignificante di questo nuovo mondo.(Paul Craig Roberts, “Ventunesimo secolo, un’epoca di frodi”, dal blog di Craig Roberts del 18 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinché ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la distruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.
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Craig Roberts: sono pazzi, vogliono una guerra atomica
Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato vita ad una pericolosa ideologia statunitense chiamata neoconservatorismo. L’Unione Sovietica era servita fino ad allora come vincolo alle azioni unilaterali da parte degli Usa. Con la rimozione di questo vincolo su Washington, i neoconservatori hanno intrapreso il loro piano di egemonia statunitense sul mondo. Gli Usa erano improvvisamente diventati “l’unica superpotenza”, “l’unico potere”, che avrebbe potuto agire “senza limiti, ovunque nel mondo”. Il giornalista neoconservatore del “Wahington Post” Charles Krauthammer ha riassunto la “nuova realtà” come segue: «Abbiamo uno schiacciante potere a livello mondiale. Siamo i custodi designati dalla storia del sistema internazionale. Quando l’Unione Sovietica è caduta, è nato qualcosa di nuovo, qualcosa di totalmente nuovo – un mondo unipolare dominato da una sola superpotenza scevra dal controllo di rivali e con possibilità di raggiungere ogni angolo del globo. Questo è uno sconvolgente sviluppo nella storia, mai visto dai tempi della caduta di Roma. Persino Roma non può essere presa a modello di quello che rappresentano gli Usa oggi».L’incredibile potere unipolare che la storia ha dato a Washington deve essere protetto ad ogni costo. Nel 1992 uno dei massimi ufficiali del Pentagono, il sottosegretario Paul Wolfowitz, ha scritto la Dottrina Wolfowitz, la quale è diventata la base della politica estera degli Usa. La Dottrina Wolfowitz sentenzia che il “primo obiettivo” della politica estera e militare degli Stati Uniti è «prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica o da qualche altra parte, che possa creare minaccia [alle azioni unilaterali degli Stati Uniti] nell’ordine di quella creata precedentemente dall’Unione Sovietica. Questa considerazione è fondamentale per sottolineare la nuova strategia di difesa regionale e richiede uno sforzo atto a prevenire che qualsivoglia potenza ostile possa controllare una regione, le cui risorse potrebbero, se sfruttate a dovere, essere sufficienti a generare un potere globale». (Una “potenza ostile” è una nazione abbastanza forte da avere una politica estera indipendente dai dettami di Washington).La dichiarazione unilaterale del potere statunitense è iniziata seriamente durante l’amministrazione Clinton, con l’intervento in Yugoslavia, Serbia, Kosovo e la “no-fly zone” imposta sull’Iraq. Nel 1997 i neoconservatori hanno stilato il “Progetto per un nuovo secolo statunitense”. Nel 1998, tre anni prima dell’11 Settembre, i neocon hanno inviato una lettera al presidente Clinton chiedendo un cambio di regime in Iraq e «la rimozione di Saddam Hussein dal potere». I neoconservatori hanno preparato un programma per rimuovere sette governi in cinque anni. Gli eventi dell’11 Settembre 2001 sono considerati dalla gente informata come “la nuova Pearl Harbor”, che i neocon hanno definito come necessari per iniziare le loro guerre di conquista in Medio Oriente. Paul O’Neil, il primo segretario del Tesoro del presidente George W. Bush, ha dichiarato pubblicamente che il programma del primo meeting con il suo gabinetto riguardava l’invasione dell’Iraq. Questa invasione era stata pianificata prima dell’11 Settembre. Dall’11 Settembre Washington ha distrutto in toto o in parte 8 nazioni e ora si oppone alla Russia sia in Siria sia in Ucraina.La Russia non può permettere che un Califfato jihadista si stabilisca nell’area tra Siria e Iraq, perché sarebbe la base per esportare le destabilizzazioni nella parte musulmana della Federazione Russa. Henry Kissinger stesso lo ha detto ed è abbastanza chiaro ad ogni persona dotata di buon senso. Comunque i neocon, fanatici e impazziti per il potere, che hanno controllato le amministrazioni Clinton, Bush e ora controllano l’amministrazione Obama, sono così presi dalla loro stessa arroganza che per pungolare la Russa sono stati disposti a far abbattere un aereo russo da un loro burattino, la Turchia, e a rovesciare un governo eletto democraticamente in Ucraina, il quale era in buoni rapporti con la Russia, sostituendolo con un governo fantoccio, controllato dagli Usa. Con questo background, possiamo capire che la situazione pericolosa a cui si affaccia il mondo è il prodotto delle arroganti politiche dei neoconservatori di egemonia statunitense sul mondo. La mancanza di giudizio e i pericoli nei conflitti siriano e ucraino sono conseguenze stesse dell’ideologia neoconservatrice.Per perpetuare l’egemonia, i neocon hanno gettato al vento le garanzie che Washington aveva dato a Gorbachev che la Nato non si sarebbe spinta nemmeno di un centimetro verso est. Questi hanno fatto in modo che gli Usa si tirassero fuori dal Trattato anti-missili balistici (Abm), il quale specificava che né Usa né Russia avrebbero sviluppato o dispiegato missili anti-balistici. I neocon hanno riscritto la dottrina militare statunitense e innalzato le armi nucleari dal loro ruolo di minaccia a forza di attacco preventiva. Hanno iniziato a posizionare basi Abm ai confini russi, sostenendo che le basi servivano per difendere l’Europa da inesistenti missili balistici intercontinentali (Icbm) iraniani. La Russia e il suo presidente Putin sono stati demonizzati dai neocon e dai loro burattini del governo e dei media. Per esempio, Hillary Clinton, un candidato presidente del Partito Democratico, ha definito Putin “il nuovo Hitler”. Un ex ufficiale della Cia ha inneggiato all’omicidio di Putin. I candidati alle presidenziali di entrambi gli schieramenti litigano per chi sarebbe più aggressivo nei confronti della Russia e il più scurrile contro il presidente russo.L’effetto è stato la distruzione della fiducia tra potenze nucleari. Il governo russo ha imparato che Washington non rispetta le proprie stesse leggi, men che meno il diritto internazionale, e che non può essere considerata affidabile nel rispettare gli accordi. Questa mancanza di fiducia, unita alle aggressioni contro la Russia vomitate da Washington e dai media prostituiti, ripetuti a pappagallo nelle capitali europee, hanno preparato il terreno per una guerra nucleare. Dato che la Nato (di base gli Usa) non ha la possibilità di sconfiggere la Russia in una guerra convenzionale, ancor meno in caso di alleanza Russia-Cina, la guerra sarebbe nucleare. Per evitare la guerra, Putin evita le rappresaglie e mantiene un basso livello quando risponde alle provocazioni occidentali. Il comportamento responsabile di Putin, comunque, è mal interpretato dai neocon come segno di debolezza e paura. Questi suggeriscono al presidente Obama di mantenere la pressione sulla Russia, per farla arrendere. Putin, tuttavia, ha dichiarato chiaramente che non intende mollare.Il messaggio è stato mandato in più occasioni. Per esempio il 28 settembre 2015, al settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, Putin ha affermato che la Russia non può più tollerare la situazione a livello mondiale. Due giorni dopo Putin ha preso il comando della guerra contro l’Isis in Siria. I governi europei, specialmente Germania e Regno Unito, sono complici del declino verso una guerra nucleare. Questi due stati vassalli degli Usa spingono l’aggressione senza sosta da parte di Washington contro la Russia, ripetendone la propaganda e supportandone le sanzioni e gli interventi militari contro altri paesi. Fino a che l’Europa non sarà altro che un’appendice di Washington, la prospettiva dell’Apocalisse sarà sempre più concreta. A questo punto della storia una guerra nucleare può essere evitata solo in due modi. Uno è che Russia e Cina si arrendano ed accettino l’egemonia di Washington. L’altro è che un leader indipendente in Germania, Regno Unito o Francia decida di abbandonare la Nato. Ciò scatenerebbe un fuggi-fuggi dalla Nato, la quale è il primo mezzo che Washington possiede per creare conflitto con la Russia e, dunque, è la forza più pericolosa sulla faccia della Terra per qualsiasi nazione europea e per l’intero globo. Se la Nato continuerà ad esistere, questa e l’ideologia neoconservatrice di egemonia statunitense renderanno la guerra nucleare inevitabile.(Paul Craig Roberts, “Perché la Terza Guerra Mondiale si profila all’orizzonte”, da “Information Clearing House” del 29 dicembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato vita ad una pericolosa ideologia statunitense chiamata neoconservatorismo. L’Unione Sovietica era servita fino ad allora come vincolo alle azioni unilaterali da parte degli Usa. Con la rimozione di questo vincolo su Washington, i neoconservatori hanno intrapreso il loro piano di egemonia statunitense sul mondo. Gli Usa erano improvvisamente diventati “l’unica superpotenza”, “l’unico potere”, che avrebbe potuto agire “senza limiti, ovunque nel mondo”. Il giornalista neoconservatore del “Wahington Post” Charles Krauthammer ha riassunto la “nuova realtà” come segue: «Abbiamo uno schiacciante potere a livello mondiale. Siamo i custodi designati dalla storia del sistema internazionale. Quando l’Unione Sovietica è caduta, è nato qualcosa di nuovo, qualcosa di totalmente nuovo – un mondo unipolare dominato da una sola superpotenza scevra dal controllo di rivali e con possibilità di raggiungere ogni angolo del globo. Questo è uno sconvolgente sviluppo nella storia, mai visto dai tempi della caduta di Roma. Persino Roma non può essere presa a modello di quello che rappresentano gli Usa oggi».
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I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra
E’ fuor di dubbio che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran. Quando si annuncia l’esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di protesta quando aveva 19 anni, non sono necessarie analisi sofisticate per capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini? Facciamo un passo indietro. L’Arabia saudita è da sempre in cima alla lista nera dei paesi che violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che valida per indurre Washington a chiudere per quarant’anni entrambi gli occhi. Negli ultimi due anni, però, il quadro è cambiato. Lo sfruttamento del cosiddetto shale oil, l’olio di scisto, di cui l’America è ricca, ha reso meno importante il regime saudita.I prezzi del greggio hanno iniziato a scendere e Riad ha reagito tentando il tutto per tutto: siccome i giacimenti di shale oil sono redditizi solo oltre un certo prezzo al barile, il regime saudita anziché tentare di contrastare la caduta dei prezzi con il taglio della produzione, come sarebbe stato logico, ha percorso la via inversa: l’ha aumentata nella speranza di far fallire i produttori americani. Scommessa in buona parte persa per ragioni mai esplicitate ufficialmente ma che sono facilmente intuibili: quello dell’olio di scisto, sebbene molto inquinante, ha un valore strategico per il governo degli Stati Uniti che ha fatto e farà di tutto per non vanificarlo. A tremare finanziariamente, invece, ora è proprio Riad, dove quest’anno è esploso il deficit pubblico e che vede compromessa a medio termine la propria stabilità economica. Un gigante che appariva incrollabile ora scopre di essere strutturalmente fragile e teme per il proprio avvenire.L’Iran cosa c’entra? C’entra, c’entra. Perché i sauditi sono sunniti e loro sciiti in un dissenso paragonabile, per intenderci, a quello che a lungo ha opposto cattolici e protestanti in Europa. Ma soprattutto perché l’Iran proprio quest’anno è stato sdoganato dagli Stati Uniti, grazie allo storico accordo sul nucleare. Quegli Usa che, però, assieme ai sauditi, ai turchi e agli Emirati fino a ieri hanno armato e finanziato l’Isis nel tentativo di rovesciare Assad, ovvero il leader di un paese da sempre amico proprio di Teheran. La fine delle sanzioni ha peraltro spinto ulteriormente al ribasso il prezzo del petrolio, accentuando le difficoltà dell’Arabia Saudita. Aggiungete il fatto che Riad ha speso cifre enormi in armamenti e la criticità della situazione apparirà evidente.Riad sta fallendo su tutti i fronti. L’offensiva lanciata nello Yemen contro gruppi sciiti vicini a Teheran e che ha provocato una guerra terribile ignorata dall’Occidente, non ha dato i risultati sperati. Da quando Putin ha cominciato a bombardare massicciamente, l’Isis ha perso terreno e tutti hanno capito che Assad resterà al potere ancora a lungo. E’ così svanito il sogno dei sauditi di creare uno Stato Islamico a nord (nell’area tra Siria e Iraq), che avrebbe dovuto chiudere a tenaglia l’Iran. La Russia appare più forte, l’America, in un anno elettorale, più debole mentre il prezzo del petrolio continua calare. I governanti della Casa Regnante non brillano certo per acume strategico: per quanto ricchi restano dai capi tribali imbevuti di fanatismo religioso. Il timore è che abbiano scelto la via peggiore per tentare di uscire dai guai: quella di approfittare della propria supremazia militare per provocare una guerra con l’Iran che faccia salire il prezzo del petrolio e che si concluda con il dominio sunnita anche a Teheran e, di conseguenza, a Baghdad. Un delirio, che pone l’Occidente di fronte alle proprie responsabilità storiche. Un delirio da fermare ad ogni costo.(Marcello Foa, “I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 5 gennaio 2016).E’ fuor di dubbio che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran. Quando si annuncia l’esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di protesta quando aveva 19 anni, non sono necessarie analisi sofisticate per capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini? Facciamo un passo indietro. L’Arabia saudita è da sempre in cima alla lista nera dei paesi che violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che valida per indurre Washington a chiudere per quarant’anni entrambi gli occhi. Negli ultimi due anni, però, il quadro è cambiato. Lo sfruttamento del cosiddetto shale oil, l’olio di scisto, di cui l’America è ricca, ha reso meno importante il regime saudita.
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Donald Trump: l’Isis deve tutto a Obama e a Hillary Clinton
«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».Grande imbarazzo, da parte dellintervistatore della Fox News, di fronte alle affermazioni di Trump «che contrastano e smentiscono tutta la falsa propaganda del Pentagono delle “guerre civili” causate dai “tiranni sanguinari” (Gheddafi ed Assad)», scrive “Sponda Sud”. Alla fine, osserva Luciano Lago sul magazine di geopolitica, «alcune verità vengono fuori anche nel marasma della disinformazione e della becera propaganda condotta dai grandi media», persino grazie a un “mostro” politico come Trump. «La guerra in Siria, realizzata mediante l’appoggio di alcuni paesi occidentali e di alcuni paesi arabi ai terroristi sostenuti ed armati dall’estero, ha causato la morte di oltre 250.000 persone fino al momento attuale», ricorda Lago su “Sponda Sud”. «La narrazione dei media occidentali aveva cercato di presentare il conflitto siriano come una “guerra civile”, ignorando il fatto che in Siria erano stati infiltrati decine di migliaia di mercenari jihadisti, di varie nazionalità, armati dagli Usa e finanziati dalle monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Qatar e Kuwait), sulla base di un progetto concepito dal Pentagono di rovesciare il regime di Assad».Obiettivo occulto degli Usa, «arrivare ad uno smembramento del paese arabo per facilitare il controllo delle risorse e creare uno stato sunnita sotto la “protezione” saudita e occidentale, isolando la parte sciita e filo-iraniana del paese». I terroristi dei vari gruppi jihadisti «erano stati inizialmente addestrati in appositi campi creati dalla Cia nel 2012 in Giordania, successivamente in Turchia, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Bashar al-Assad, giudicato ostile agli interessi degli Usa e delle potenze regionali come (fra gli altri) l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia», continua Lago. «I servizi di intelligence Usa già da anni avevano finanziato i gruppi radicali sunniti della Siria per sobillare un conflitto inter-confessionale e provocare una rivolta popolare all’interno del paese». A questo scopo «avevano fatto infiltrare, nel 2011, diversi loro agenti con il compito di creare scontri a fuoco ed episodi di rivolta, in modo da screditare il governo di Assad e provocare una rivolta popolare».Le cose però non sono filate lisce: il piano ha trovato un forte ostacolo nella resistenza della popolazione siriana e nella dura reazione dell’esercito di Damasco «contro i gruppi terroristi inviati dall’estero, veri e propri tagliagole al servizio dei monarchi sauditi». Anche la creazione dello Stato Islamico e del suo esercito jihadista, sembra certo che abbia trovato la collaborazione della Cia, della Dia e dei servizi israeliani, prosegue Lago. Il tutto sotto la copertura degli Usa, «interessati a creare il pretesto per l’intervento militare della Nato e per attuare il piano di divisione dei due paesi-chiave della regione, Siria e Iraq, entrambi collegati con l’Iran». Poi è arrivato l’intervento militare russo, iniziato il 30 settembre. La mossa di Putin «ha guastato i piani del Pentagono, oltre a quelli dell’Arabia Saudita e della Turchia che già contavano di spartirsi il territorio e le risorse della Siria». L’intervento russo «ha impedito il crollo del regime siriano e ha imposto un alt all’avanzata dello Stato Islamico che, in teoria, le potenze occidentali dichiaravano di voler combattere ma che contava su forti complicità e sul patrocinio delle monarchie del Golfo».«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».
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Linkiesta: caso Banca Etruria, ma Saviano ci è o ci fa?
Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.Prima questione. Banca Etruria e le altre banche erano tecnicamente fallite? Probabilmente sì. E se il governo non fosse intervenuto com’è intervenuto, agli azionisti, agli obbligazionisti, ai correntisti, alle famiglie e alle imprese cui le banche avevano concesso credito sarebbe andata molto peggio, come ha spiegato molto bene il direttore di “Formiche” Michele Arnese in uno degli articoli più chiari e completi sulla vicenda. Voleva questo, Saviano? Sperava che le quattro banche fallissero? Che anche i correntisti, le famiglie e le imprese pagassero come hanno pagato gli azionisti e gli obbligazionisti? Evidentemente sì. Allora non si capisce perché, solo poche righe dopo, il giornalista-scrittore parli con trasporto della «tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria», come se fosse stato il governo, salvando le quattro banche, a spingerlo al suicidio, come se qualunque altra soluzione non avrebbe messo lui e molti altri nella medesima situazione. Quindi, giusto per mettere un punto e a capo: non è il governo che ha spinto al suicidio Luigino D’Angelo, bensì i guai della banca a cui aveva affidato tutti i suoi risparmi. L’intervento del governo, semmai, ha evitato disastri peggiori.Seconda questione. Se Josefa Idem si è dimessa per un piccolo caso di evasione fiscale, la ministra Boschi dovrebbe dimettersi perché suo padre «è» il vicepresidente di una delle quattro banche tecnicamente fallite e salvate dal governo. «È», dice Saviano. Indicativo presente. E non pago, definisce Banca Etruria «la banca di suo padre», come se la sede dell’istituto di credito fosse nel giardino di casa Boschi. Piccolo dettaglio: Pier Luigi Boschi è stato sì in passato, vicepresidente di quella banca, ma per soli otto mesi. Dettaglio non irrilevante, ai fini dell’invettiva. Peraltro, se la Idem si è dimessa per un caso che riguardava lei stessa, non vediamo perché la Boschi dovrebbe dimettersi per un caso che – fino a che il diritto non dirà che le colpe dei padri ricadono sui figli, perlomeno – non la riguarda personalmente. Per opportunità? O meglio, per rispondere alla «carica moralizzatrice del Movimento Cinque Stelle», che altro non è che la presunzione di colpevolezza, sempre, comunque e a prescindere, pure indiretta in questo caso? No grazie, caro Roberto.Terza questione: fino a ieri, dice Saviano, c’era una folta schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali che «si sono sentiti investiti di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana». Perché c’era Berlusconi, il Caimano. È grazie a loro, sostiene, se non siamo diventati la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Cosa che, sottintende, potrebbe succedere oggi, perché «l’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti». «Perché – si chiede – sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità politica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre?». Tradotto: belli i tempi in cui si poteva beatamente sorvolare il merito delle questioni in nome dell’emergenza democratica.Delle due, una, quindi. Se Saviano è davvero convinto di quel che dice – che le banche non andassero salvate, che è stato il salvataggio di Banca Etruria ad aver ammazzato Luigino D’Angelo, che Banca Etruria sia «la banca di Pier Luigi Boschi», che per questo sua figlia dovrebbe rimettere il mandato e che chi non la pensa come lui è connivente con una specie di regime peggiore di quello di Berlusconi – possiamo chiuderla qui, stendendo un velo di pietosa indifferenza sul suo intervento. Se invece ha usato una tragedia umana – non umanitaria, come dice il ministro Padoan, ma umana – per attaccare il governo Renzi – o, peggio ancora, per legittimarsi come capopopolo dei suoi oppositori, di veli pietosi ne servirebbero ben più d’uno.(Francesco Cancellato, “Caso Banca Etruria: ma Saviano ci è o ci fa?”, da “Linkiesta” del 12 dicembre 2015).Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.
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Deputato turco: Ankara ha dato all’Isis il gas letale Sarin
Putin che evoca il ricorso all’atomica? Notizia accolta dal mainstream occidentale nel solito modo: pericolose follie dell’Orso russo, nostalgico dell’Urss. Sennonché, emerge che Ankara – con cui la tensione è altissima, dopo la provocazione dell’abbattimento del bombardiere russo Sukhoi-24 impegnato a contrastare i collegamenti fra Isis e Turchia – avrebbe fornito ai jihadisti il materiale per produrre il gas letale Sarin. «Lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un’intervista a “Russia Today”, emittente vicina al Cremlino», scrive “Sponda Sud”. Il Sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in Parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti. Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato turco assicura che le intercettazioni confermano che un militante di Al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del Sarin.Tutto sarebbe contenuto nel faldone “2013/120”, l’indagine che venne poi archiviata. «Ci sono dati sostanziali in quelle carte», dice Erdem a “Rt”. «Si capisce che il materiale usato per le armi chimiche passa attraverso la Turchia e viene assemblato nei campi dell’Isis, che allora era conosciuto come “Al-Qaeda irachena”. È tutto registrato. Ci sono intercettazioni che dicono “non ti preoccupare per la frontiera, ci pensiamo noi”, e si comprende chiaramente come vengono usati i burocrati». A questo punto, aggiunge “Sponda Sud”, il procuratore di Adana Mehmet ArOkan ordina un blitz e 13 persone vengono arrestate. Poi, secondo Erdem, avviene “l’inspiegabile”: una settimana dopo, il caso viene chiuso. E i sospettati passano immediatamente la frontiera turco-siriana. «Le intercettazioni chiarivano come sarebbe avvenuta la consegna, quali camion sarebbero stato usati». Tutto «documentato dalla A alla Z: nonostante gli indizi, i sospettati sono stati rilasciati. E la consegna del carico è avvenuta, perchè nessuno li ha fermati. Forse l’uso del Sarin in Siria dipende da questo».Sempre secondo Erdem, i turchi coinvolti nel traffico sarebbero poi legati alla “Makina ve Kimya Endustrisi Kurumu” (Mkek), ovvero la principale holding governativa di industrie per la difesa. Gli indizi porterebbero verso un intervento delle autorità per insabbiare il caso, con il possibile coinvolgimento del ministro della giustizia turco Bekir Bozdag. «Il procuratore ArOkan – continua Erdem – non era, per quanto ho capito, uno potente; così una settimana dopo gli arresti un altro pm è stato assegnato al caso e il caso è stato chiuso. Per l’attacco coi gas di Ghouta sono state incolpate le truppe governative siriane», conclude Erdem. «Ma c’è un’alta probabilità che quell’attacco sia stato compiuto con questi materiali transitati dalla Turchia. Con queste prove sappiamo chi ha usato il Sarin e lo sa anche il nostro governo». Forse si capisce meglio, dunque, perché oggi Putin – che ha almeno duemila uomini sul terreno siriano – esprime la “speranza” che non si debba ricorrere all’arma estrema, quella nucleare.Putin che evoca il ricorso all’atomica? Notizia accolta dal mainstream occidentale nel solito modo: pericolose follie dell’Orso russo, nostalgico dell’Urss. Sennonché, emerge che Ankara – con cui la tensione è altissima, dopo la provocazione dell’abbattimento del bombardiere russo Sukhoi-24 impegnato a contrastare i collegamenti fra Isis e Turchia – avrebbe fornito ai jihadisti il materiale per produrre il gas letale Sarin. «Lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un’intervista a “Russia Today”, emittente vicina al Cremlino», scrive “Sponda Sud”. Il Sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in Parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti. Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato turco assicura che le intercettazioni confermano che un militante di Al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del Sarin.
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Craig Roberts: gangster Nato e Isis, tutti uniti contro Putin
Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto. Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis. La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.Washington è stata colta di sorpresa dalla fermezza della Russia. Temendo che il rapido successo di tale decisiva azione russa avrebbe scoraggiato i vassalli Nato di Washington dal continuare a sostenere la sua guerra contro Assad e dall’usare il suo governo fantoccio a Kiev per tenere sotto pressione la Russia, Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e Nato che non ci sarebbero stati scontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria.Anche se nega ogni responsabilità, Washington ha usato la bassa intensità della risposta russa all’attacco, per il quale la Turchia non si è scusata, per rassicurare l’Europa che la Russia è una tigre di carta. Le “presstitute” occidentali hanno strombazzato: la Russia è una tigre di carta.La bassa intensità nella risposta del governo russo alla provocazione è stata usata da Washington per rassicurare l’Europa che non vi è alcun rischio nel continuare la pressione sulla Russia in Medio Oriente, Ucraina, Georgia, Montenegro e altrove. L’attacco di Washington ai soldati di Assad viene utilizzato per rafforzare la convinzione che si sta inculcato nei governi europei che il comportamento responsabile della Russia per evitare la guerra è invece un segno di paura e di debolezza. Non è chiaro fino a che punto i governi russo e cinese capiscano che le loro politiche indipendenti, ribadite dai presidenti di Russia e Cina il 28 settembre, siano considerate da Washington come “minacce esistenziali” per l’egemonia statunitense. La base della politica estera degli Stati Uniti è l’impegno ad evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare l’azione unilaterale di Washington. La capacità di Russia e Cina di fare proprio questo li rende entrambi un obbiettivo.Washington non si oppone al terrorismo. Ha creato appositamente il terrorismo per molti anni. Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina. Washington sta usando la Siria, come una volta l’Ucraina, per dimostrare l’impotenza della Russia all’Europa – e anche alla Cina, essendo una Russia impotente un alleato meno attraente per la Cina. Per la Russia, la risposta responsabile alle provocazioni è diventata una forma di passività, perché incoraggia ulteriori provocazioni. In altre parole, Washington e la sprovvedutezza dei suoi vassalli europei hanno messo l’umanità in una situazione molto pericolosa, in quanto le uniche scelte rimaste a Russia e Cina sono quelle di accettare il vassallaggio americano o di prepararsi per la guerra.Putin deve essere rispettato per aver riservato più valore alla vita umana di quanto non facciano Washington e i suoi vassalli europei, e per aver evitato risposte militari alle provocazioni. Tuttavia, la Russia deve fare qualcosa per rendere i paesi della Nato consapevoli che ci sono gravi costi nel loro essere così accomodanti verso l’aggressione di Washington contro la Russia. Ad esempio, il governo russo potrebbe decidere che non ha senso vendere energia ai paesi europei che si trovano in uno stato di guerra di fatto contro la Russia. Con l’inverno alle porte, il governo russo potrebbe annunciare che la Russia non vende energia ai paesi membri della Nato. La Russia avrebbe perso i suoi soldi, ma è più conveniente che perdere la propria sovranità o una guerra. Per porre fine al conflitto in Ucraina, o per aumentarne l’intensità oltre la volontà dell’Europa a parteciparvi, la Russia potrebbe accettare le richieste delle province separatiste di ricongiungersi con la Russia. Per Kiev, continuare il conflitto significherebbe che l’Ucraina dovrebbe attaccare la stessa Russia.Il governo russo ha fatto affidamento su risposte responsabili e non provocatorie. La Russia ha adottato un approccio diplomatico, confidando su governi europei realisti, capaci di rendersi conto che i loro interessi nazionali divergono da quelli di Washington e in grado di cessare di consentire la politica egemonica di Washington. La politica della Russia non ha avuto successo. Le risposte responsabili della Russia sono state utilizzate da Washington per dipingere la Russia come una tigre di carta che nessuno deve temere. Ci ritroviamo con il paradosso che la determinazione della Russia ad evitare la guerra ci sta portando direttamente in guerra. Che i media russi, il popolo russo e la totalità del governo russo lo capiscano o meno, questo deve essere evidente per i militari russi. Tutto ciò che i capi militari russi devono fare è guardare la composizione delle forze inviate dalla Nato per “combattere l’Isis”.Come fa notare George Abert, gli aerei americani, francesi e britannici che sono stati dispiegati sono aerei da combattimento il cui scopo è il combattimento aereo, non l’attacco al suolo. I caccia non sono stati dispiegati per attaccare l’Isis a terra, ma per minacciare i cacciabombardieri russi che stanno attaccando i bersagli dell’Isis al suolo. Non vi è dubbio che Washington stia spingendo il mondo verso l’Armageddon e l’Europa ne sia l’attivatore. I pupazzi “acquistati-e-pagati-come-marionette” di Washington in Germania, Francia e Regno Unito sono stupidi, indifferenti o impotenti a sfuggire alla morsa di Washington. A meno che la Russia non svegli l’Europa, la guerra è inevitabile. I guerrafondai neocon totalmente malvagi e stronzi hanno insegnato a Putin che la guerra è inevitabile? Guardate questo video, in cui Putin dice: «Cinquant’anni fa anni fa le strade di Leningrado mi hanno insegnato una lezione: se la lotta è inevitabile, colpisci per primo!».(Paul Craig Roberts, “La guerra è all’orizzonte: è troppo tardi per fermarla?”, intervento pubblicato sul blog di Craig Roberts, tradotto da “Spondasud” e ripreso da “Megachip” il 14 dicembre 2015. Eminente economista e analista geopolitico, Craig Roberts è stato membro del governo di Ronald Reagan).Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto. Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis. La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.
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Magaldi: Isis e austerity, doppia impostura e identici registi
Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).Loro, gli uomini del clan fondato dai Bush all’epoca dell’elezione di Reagan, avrebbero organizzato il disastro dell’11 Settembre. E oggi serebbero alle prese col nuovo copione del terrore, quello del Califfato. Per questo non bisogna mai credere all’Uomo Nero, aggiunge un altro massone, Gianfranco Carpeoro, schierato con Magaldi nel “Movimento Roosevelt”, associazione sorta per “risvegliare alla verità” la politica italiana (clamorosa la proposta, rivolta al Movimento 5 Stelle, di candidare a sindaco di Roma un valoroso combattente della democrazia come il grande economista Nino Galloni). L’Uomo Nero – ieri Bin Laden, oggi Al-Baghdadi – è sempre una creazione “magica” del potere: «Il loro obiettivo – ricorda Carpeoro a “Border Nights”, trasmissione radio via web – è sempre lo stesso: indurci a odiare il “nemico” di turno, anziché il sistema che l’ha prodotto». Ma l’Uomo Nero, per farci paura, ha bisogno di vaste coperture: politiche, diplomatiche, industriali, militari, finanziarie, mediatiche. I cosiddetti poteri forti. Attenzione, avverte Magaldi: non si tratta di una semplice élite di potere. I grandi burattinai sono tutti massoni, affiliati a superlogge segrete internazionali. E convinti che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi. Solo loro, gli “eletti”, auto-promossi in una sorta di “aristocrazia spirituale”, si credono in grado di stabilire cos’è bene e cos’è male.Sono gli uomini come il “venerabile” Mario Draghi, che Magaldi chiama “contro-iniziati”, cioè traditori della missione massonica originaria: “libertè, egalitè, fraternitè”, ideali su cui le logge del ‘700 basarono la storica guerra sotterranea contro l’assolutismo monarchico, innescando la Rivoluzione Francese e quella americana, quindi i Risorgimenti dell’800 e le grandi rivoluzioni del ‘900, compresa quella russa. Magaldi l’ha ripetuto in una lunga video-intervista che Claudio Messora ha realizzato e pubblicato sul seguitissimo blog “Byoblu”, vicino all’area grillina. Un’ora di rivelazioni a catena, per spiegare (anche) la candidatura romana di Galloni: «Se fosse eletto sindaco della capitale, esordirebbe con un gesto necessario e dirompente: la rottura del “patto di stabilità” che costringe artificiosamente gli enti pubblici a deprimere la spesa, mettendo in sofferenza i cittadini, non in nome di criteri economici ma solo di diktat ideologici imposti da quell’élite oligarchica che vuole semplicemente la fine della democrazia». L’autore di “Massoni” cita il politologo statunitense John Rawls e la sua “teoria della giustizia”: nulla in contrario alla ricchezza, se sudata, purché nella società non restino persone senza reddito, senza il diritto a un’esistenza dignitosa. Diritto al lavoro, da inserire nella Costituzione: «Oggi serve un’alta autorità deputata alla creazione della piena occupazione, in Italia», ben sapendo che la crisi – rigore, austerity, disoccupazione – è stata espressamente voluta: il bisogno e la paura del futuro trasformano i cittadini in sudditi, secondo la visione neo-feudale dell’élite dominante.Era un massone, Rawls, e purtroppo lo era anche Robert Nozick, il teorico dello “Stato minimo”: tagli drastici alla spesa sociale, come raccomandato anche dalla scuola austriaca, quella di Friedrich Von Hayek, altro massone, punto di riferimento di un esponente nostrano della massoneria neo-oligarchica, Mario Monti. Proprio la “libera muratoria”, insiste Magaldi, è il convitato di pietra dei nostri giorni: benché assente, clamorosamente, dalla storiografia, la massoneria ha letteralmente “fatto la storia”, creando le basi della modernità (democrazia, elezioni, Stato di diritto), e poi ha partorito un’élite di potere di segno opposto, reazionario, che ha dominato gli ultimi decenni. Un’élite di rinnegati e “contro-iniziati”, appunto: «Tradiscono l’ispirazione umanitaria della massoneria storica, che ha conferito ad ogni singolo cittadino, prima la prima volta, una quota di sovranità: prima non esistevano cittadini, ma solo sudditi, esposti all’arbitrio del monarca». Se non ci si decide a riconoscere finalmente il ruolo positivo e decisivo della “libera muratoria” come leva dello sviluppo civile democratico, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promossa da Eleanor Roosevelt, è impossibile capire fino in fondo chi abbiamo di fronte oggi, insiste Magaldi: è fondamentale la matrice massonica del nuovo super-potere, quello delle Ur-Lodges apolidi e affaristiche, pronte a manipolare la storia sociale del mondo in nome delle proprie convinzioni iniziatiche, corrotte dal suprematismo neo-aristocratico.Enorme, comunque, anche tra i commenti sul blog di Messora, la diffidenza nei confronti di Magaldi e della massoneria in generale. «In materia, in Italia, c’è un’ignoranza abissale», ammette lo stesso Magaldi, che nel suo libro denuncia il ruolo di Gelli e della P2 come longa manus della superloggia reazionaria e golpista “Three Eyes”, quella di Kissinger, a cui sarebbe stato affiliato anche Giorgio Napolitano. In polemica col “Grande Oriente d’Italia”, Magaldi ha condotto una battaglia per la trasparenza, fondando il “Grande Oriente Democratico”. Poi ha concepito il progetto editoriale “Massoni”, per scuotere le acque, affiliandosi anche alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Il “Movimento Roosevelt” è l’ultima creatura, apertamente politica, per contrastare l’emergenza attuale, fondata sull’artificio ideologico del rigore. Non è casuale, ovviamente, il richiamo al grande presidente americano: «Quando gli Usa agonizzavano, in preda alla Grande Depressione, il repubblicano Hoover condusse la sua campagna elettorale nel silenzio imbarazzato del suo stesso partito: nessuno più credeva alla ricetta dell’austerity, ed era il 1929. La riscossa venne proprio dal massone Roosevelt, grazie al genio economico di un altro massone, John Maynard Keynes, l’uomo della spesa pubblica espansiva: solo lo Stato ha il potere di risollevare le sorti dell’economia. A loro, l’Europa deve lo sviluppo e la prosperità del dopoguerra».Grandi personaggi, leader storici indiscussi, di cui però viene sempre regolarmente omessa l’appartenenza massonica. Un “buco nero” a cui probabilmente ha contribuito la massoneria stessa, con la sua tradizionale riservatezza, ereditata dall’epoca in cui gli inventori della democrazia rischiavano il cercere e la forca. Oggi la massoneria torna a fare notizia, ma generalmente in negativo: sinonimo di potere occulto, di network deviato e pericoloso. «Io sono orgogliosamente massone», protesta Magaldi, «e, come me, tanti “fratelli”, in Italia e nel mondo, decisi a contrastare questa leadership egemonica nefasta». Grande complotto, da parte dei neo-aristocratici? L’autore di “Massoni” preferisce parlare di “progetto”: «E’ comprensibile che, chi ha creato la modernità, pensi di poterla pilotare a suo piacimento. Comprensibile, ma sbagliato: il potere deve assolutamente e rapidamente tornare al popolo, per via democratica. E questo, anche se i libri di storia non lo spiegano, è un orientamento non soltanto giusto, ma anche profondamente massonico, nonostante il pessimo esempio fornito dai contro-iniziati come Draghi e Monti». Il viaggio di Gioele Magaldi continua, come le tappe della presentazione del suo libro, oscurato dai media mainstream. «Lei non ha paura?», gli domanda Messora. «Ricevo minacce di morte, ma vado avanti», assicura Magaldi, deciso a completare la missione: strappare il velo che ci impedisce di vedere che i burattinai dell’Isis e quelli dell’austerity europea sono le stesse persone.Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).
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Tutti in guerra, contro l’Isis (anzi, no: contro la Russia)
Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).«Cameron – scrive Blondet – ha ottenuto dal suo parlamento il via a “bombardare le basi Isis” in Siria e lo fa senza coordinarsi con i russi. In pratica, un atto di ostilità». E la Ue ha deciso («a porte chiuse, senza consultare i parlamenti per volontà di Angela Merkel»), di prolungare le sanzioni contro Mosca. «Che cosa precisamente la Ue rimproveri alla Russia, non si sa più». Una cosa è evidente: «E’ la Nato a determinare totalmente la politica estera della Ue», commenta “Deutsche Wirtschaft Nachrichten”. Berlino s’impegna per la prima volta a mandare i suoi Tornado a bombardare la Siria, «ormai chiaramente una operazione occidentale per ostacolare la vittoria russa contro l’Isis», anche se dei 93 Tornado che aveva in origine acquistato ne restano operativi solo 29, «aerei vecchi anche di 34 anni, considerati obsoleti». Dei 68 Eurofighter più moderni, continua Blondet, ne restano operativi appena 37. «Però anche Berlino ha annunciato che bombarderà “senza coordinarsi con la Russia”». Conclusione: «La miserabile debolezza con cui gli europei si prestano a queste dementi provocazioni anti-Putin è dimostrata dal fatto che da quando Mosca ha posizionato gli S-400 per contrastare gli aerei turchi, la francese Charles De Gaulle ha smesso di “bombardare l’Isis”».Sono trascorsi almeno otto o nove giorni senza incursioni sulla Siria: senza il permesso di Assad, lo stesso Hollande (che aveva promesso una “risposta spietata” dopo gli attentati di Parigi) non osa rischiare la sua unica portaerei, scrive Blondet. «Per giorni, anzi, la Charles De Gaulle è stata introvabile. Poi si è scoperto che aveva lasciato il Mediterraneo orientale per “rifugiarsi dietro i Patriots Usa in Turchia”». Così Erdogan, «a cui non par vero di trovare ogni giorno più membri della Nato coinvolti nella sua sporca guerra», ha subito consentito ai caccia francesi di andare a “bombardare l’Isis” (e cioè intralciare i russi) dalla base turca di Incirlik. «Insomma tutto l’Occidente, in perfetta malafede, è schierato a dar ragione ad Erdogan e a sostenere di fatto Daesh che cede sotto i colpi russi». Secondo Blondet, il numero delle provocazioni è ormai troppo elevato, per non vedere una volontà precisa. In più, «emerge che quando gli F-16 turchi abbatterono il Sukhoi, erano appoggiati da F-16 americani come deterrente per una rappresaglia russa». Se è vero, «significa che Obama non ha alcuno scrupolo a cominciare un conflitto diretto con Mosca», ha commentato Michael Jabara Carley, docente di politica internazionale alll’Università di Montreal.L’ultima provocazione, per il momento, è forse la più inquietante: «Due sommergibili turchi (Dolunay e Burakreis), scortati dall’incrociatore americano Uss Carney che porta missili balistici Aegis, stanno tallonando la nave da guerra Moskva, armata di missili S-300, al largo di Cipro, in acque internazionali». La cosa è allarmante, sostiene Blondet, perché può essere il preludio alla ritorsione più temuta da Mosca fin dai tempi degli Zar: che la Turchia chiuda alla navigazione russa il Bosforo e i Dardanelli. Il premier turco Davutoglu ha minacciato: «Anche la Russia ha da molto da perdere», da eventuali contro-sanzioni. Se Erdogan chiudesse gli stretti, violerebbe la convenzione internazionale di Montreux, sulla libertà di navigazione, che risale al 1936. In quale sede potrebbe protestare, Mosca? L’Onu? L’Europa? La chiusura degli Stretti renderebbe arduo l’impegno militare russo in Siria. Una trappola pericolosa, secondo Blondet: ricorda le sanzioni con cui Roosevelt lasciò il Giappone con riserve di petrolio per soli 8 mesi, spingendolo in guerra: «E fu l’attesa, auspicata, desideratissima Pearl Harbor».Fingono, ancora una volta, di contrastare l’Isis. Ma l’unico vero obiettivo da colpire è la Russia. Per questo, il gioco si sta facendo pericoloso. Ne è convinto Maurizio Blondet, secondo cui l’improvviso attivismo militare occidentale in Siria ha il solo scopo di proteggere “Daesh” e i suoi sponsor, cominciando dalla Turchia, e ostacolare l’offensiva di Mosca che ha costretto in ritirata le truppe del Califfo. Di fatto, stiamo andando «alla guerra a passi da gigante», ma si tratta di un «gigante demente», che dopo l’atto di pirateria di Ankara – l’abbattimento del Sukhoi russo – ha deciso di schierare batterie di Patriot al confine tra Turchia e Siria, «come voleva Erdogan (e non aveva finora ottenuto)». Peggio: la Nato vuole inglobare «il microscopico Montenegro (630 mila abitanti)» e lo coinvolge in esercitazioni militari in Ucraina col regime di Kiev, a cui ha già fornito armi letali. Dal canto loro, gli ucraini si offrono di “aiutare la Turchia” con invio di «mais, girasole e petrolio», mentre la Francia si eclissa dietro gli Usa e si prepara a schierarsi con Germania e Gran Bretagna, pronte a effettuare, in Siria, bombardamenti non concertati con Mosca (contro cui Bruxelles, intanto, decide di protrarre le sanzioni).
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In Turchia, se indaghi sull’Isis finisci impiccato nella toilette
Ciò che sta accadendo in Turchia ci riguarda molto da vicino. Un tiranno, Recep Tayyip Erdogan, non un semplice dittatore, bensì una sorta di satrapo ha il potere, tutto il potere nelle sue mani avide, sue e dei familiari, a cominciare dal figlio Ahmet, coinvolto in molti loschissimi affari. Egli ha creato un vero e proprio modello politico, secondo qualche analista: l’erdoganismo, che appare una sorta di bismarckismo iperautoritario, che prova a giocare sull’inclusione delle masse e sulla messa fuori gioco, con qualsiasi mezzo, di ogni forma non solo di opposizione, ma di dissenso. Le ultime elezioni, di cui la nostra ineffabile signora Mogherini ha certificato la democraticità, sono state stravinte da Erdogan, grazie alle azioni terroristiche contro le opposizioni: la strage dei giovani che marciavano per la pace ad Ankara del 9 ottobre scorso, con 95 morti, e centinaia di feriti, è un esempio mostruoso; saranno stati anche i kamikaze, ma come si sono comportate le autorità? Quali misure prima e dopo hanno preso? La polizia addirittura impediva i soccorsi, e aggrediva i superstiti.Le vittime sono diventate imputati, in sostanza, come in altri episodi assai meno gravi ma diffusi, sotto la tirannia di Erdogan: dopo l’attentato, costui ebbe l’insolenza di dichiarare che si trattava di un atto “contro l’unità del paese”, lo stesso stucchevole, ma pericolosissimo, ritornello usato contro i partiti curdi. Tutto, in un clima di crescente intolleranza verso chi la pensava diversamente dal capo, verso magistrati che si permettevano di mettere il naso negli affari di famiglia, verso alti militari giudicati pericolosi per il potere del capo, e così via. Impressionante, la serie di chiusure di giornali e di siti internet, gli arresti e le pesanti condanne detentive di giornalisti, le intimidazioni d’ogni genere verso chi non è del partito del capo o verso chi si azzarda a esprimere, anche in modo sommesso, una critica: di questo passo in Turchia, la Turchia che vorrebbe aderire all’Ue, neppure lo ius murmurandi sarà più concesso. L’attentato contro il corteo di giovani che chiedevano la pace, ossia la fine delle azioni militari del governo contro i curdi, essenzialmente, fu un episodio che colpì enormemente l’opinione pubblica internazionale, in qualche modo evocatore della strage dei giovani socialisti norvegesi da parte del neonazista Andres Breivik, nell’estate 2011.Ma quali furono gli atti della “comunità internazionale” volti a chiedere conto dell’accaduto a Erdogan e al suo governo? E che dire della brutale eliminazione, degna di un poliziesco, della giornalista e attivista britannica Jacky Sutton, all’interno dell’aeroporto Ataturk di Istanbul? Con tanto di suicidio inscenato, per impiccagione, nella toilette… La Sutton indagava sui possibili nessi tra governo turco e Is, guarda caso. Anche in questo caso non risultano inchieste serie all’interno, né proteste “vigorose” della solita comunità internazionale, a cominciare da quella europea. Ogni volta, insomma, Erdogan alza l’asticella, e ogni volta, regolarmente, incontra acquiescenza, connivenza, al massimo imbarazzati silenzi. E stupisce anche l’assenza della stampa di inchiesta su un caso che, anche con lo sguardo cinico del professionista della comunicazione, è dannatamente “interessante”. E il rullo compressore erdoganiano procede, schiacciando tutto ciò che incontra sul proprio cammino.Nel disegno politico di colui che si considera il nuovo Ataturk, Racep Erdogan appunto, la “sua” Turchia – sua in senso proprio, proprietario, si direbbe – deve diventare potenza egemone nell’area mediorientale, per poi sedere al banchetto dei “grandi”, forte di un esercito potentissimo, e di una crescita economica che finora ha sostenuto le sorti governative; finora, ma le cose stanno cambiando. Per raggiungere lo scopo, Erdogan non ha esitato a stabilire rapporti, più o meno coperti, con Daesh, mentre conservava e rafforzava i suoi legami con Usa e Nato: non buoni invece quelli con l’Unione Europea, che stenta ad accogliere uno Stato come questo nel suo seno (con notevole ipocrisia, d’altronde). E, soprattutto, Erdogan, con straordinario cinismo, stabilisce e rompe intese ed alleanze: il suo attacco alla Russia (l’abbattimento di un aereo della Federazione impegnato in azioni contro l’Isis è stata una dichiarazione di guerra, evidentemente compiuta con l’assenso della Nato e degli Usa) e l’eliminazione dell’avvocato Tahir Elci, uno dei più noti difensori della causa del popolo curdo, è stata un’altra dichiarazione di guerra, contro un intero popolo, la cui esistenza in Turchia neppure viene riconosciuta (i curdi sono chiamati “turchi del Nord”!). Un vero e proprio “caso Matteotti” in salsa turca.Ci si sarebbe aspettato una generale levata di scudi, specie dopo aver visionato il video dell’azione: gli assassini scappano verso gli agenti di polizia che sparano verso di loro senza mai colpirli, al punto che vien da pensare che le loro armi fossero caricate a salve. “L’uccisione rimarrà un mistero”, si è subito bofonchiato. Lo rimarrà perché le autorità vogliono che nulla trapeli della verità, perché esse sono implicate direttamente nell’omicidio, che con la solita faccia tosta Erdogan ha attribuito al Pkk ossia il partito curdo di sinistra estrema, che Elci difendeva sia in tribunale, nelle tante cause in corso, sia nelle pubbliche occasioni, in una delle quali era egli stesso incappato nell’accusa di tradimento e quant’altro, ed era stato arrestato. Ma un altro video è da guardare, con estrema attenzione, quello dei suoi funerali. Esso costituisce un bellissimo quanto dolente omaggio al combattente caduto, che è anche una dimostrazione di coraggio per chi vi ha partecipato, e una lezione per chi, nelle nostre tepide case, lo guarda, ammirato della sua grandiosa semplicità, e della sua forza.Ma il potere di Erdogan e del suo cerchio magico non si lascia condizionare, come non lo aveva smosso l’ondata di proteste dello scorso anno di piazza Taksim in difesa del Gezi Park, ma in realtà di quel poco di libertà che ancora rimaneva nel paese. Proteste represse, come le precedenti e le successive, con durezza estrema dalla polizia: feriti, morti, e centinaia di arresti. Tutto ciò, ribadisco, nella silenziosa acquiescenza delle “democrazie occidentali”, che si stanno rendendo complici del tiranno. L’odio per i “comunisti” (del Pkk), da un canto, la russofobia dall’altro giocano sempre un ruolo importante. La democratica Europa tace. La democratica Italia, balbetta. I democraticissimi Stati Uniti, invece, si schierano a fianco del tiranno. E così costui, nel suo megagalattico palazzo presidenziale da 1200 stanze – il più gigantesco del mondo – una reggia fortificata, per giunta edificata in zona vietata (il diritto che nasce dalla forza, non viceversa…), sogna come “Il Grande Dittatore”, aggirandosi per saloni, corridoi, scale, parco… Sogna di avere, nelle sue avide mani adunche prima il Medio Oriente, e poi?La sua corsa tuttavia rischia di fargli fare passi falsi: colpire con un missile un aereo russo è stato un gesto a dir poco spregiudicato, volto a far schierare tutto l’Occidente al suo fianco, in nome dell’antica paura e odio per i russi; l’arroganza con cui Erdogan ha, con toni truculenti, rivendicato il “diritto” della Turchia a “difendere i propri confini”, perché un aereo che in teoria combatte dalla stessa parte turca contro l’Is, aveva sconfinato (per 27 secondi, ossia, 2,7 km), è apparso quasi grave quanto quel missile. Ma quando preso ormai da una sorta di delirio di onnipotenza, Erdogan ha sentenziato: «La Russia scherza col fuoco», allora l’inquietudine è cresciuta. Non v’è dubbio che oggi, vi sia un solo soggetto politico-militare che possa fermare Erdogan: la Federazione Russa di Vladimir Putin: piaccia o non piaccia. Così come è chiaro che soltanto la Russia oggi sta combattendo l’Is, seriamente, al di là delle motivazioni, e che solo la Russia può impedire alla Turchia di impadronirsi di un quarto del territorio siriano, di un quinto di quello iracheno e così via. Solo la Russia, in definitiva, può impedire la Terza Guerra Mondiale, verso la quale, invece, la Turchia di Erdogan sembra voler trascinare il mondo.(Angelo d’Orsi, “Crimini e misfatti, la Turchia di Erdogan”, da “Micromega” del 2 dicembre 2015).Ciò che sta accadendo in Turchia ci riguarda molto da vicino. Un tiranno, Recep Tayyip Erdogan, non un semplice dittatore, bensì una sorta di satrapo ha il potere, tutto il potere nelle sue mani avide, sue e dei familiari, a cominciare dal figlio Ahmet, coinvolto in molti loschissimi affari. Egli ha creato un vero e proprio modello politico, secondo qualche analista: l’erdoganismo, che appare una sorta di bismarckismo iperautoritario, che prova a giocare sull’inclusione delle masse e sulla messa fuori gioco, con qualsiasi mezzo, di ogni forma non solo di opposizione, ma di dissenso. Le ultime elezioni, di cui la nostra ineffabile signora Mogherini ha certificato la democraticità, sono state stravinte da Erdogan, grazie alle azioni terroristiche contro le opposizioni: la strage dei giovani che marciavano per la pace ad Ankara del 9 ottobre scorso, con 95 morti, e centinaia di feriti, è un esempio mostruoso; saranno stati anche i kamikaze, ma come si sono comportate le autorità? Quali misure prima e dopo hanno preso? La polizia addirittura impediva i soccorsi, e aggrediva i superstiti.
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Putin: Isis, la recita è finita. Erdogan gli compra il petrolio
«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.E’ la prima risposta, devastante, che la Russia rivolge alla Turchia dopo l’abbattimento del bombardiere Sukhoi-24 sul confine con la Siria. “Incidente” non seguito da scuse ufficiali di Ankara, che ha evidentemente cercato la rissa per sparigliare le carte sul terreno, dopo l’energica azione militare di Mosca che ha radicalmente cambiato lo scenario, mettendo in fuga l’invincibile Califfato sostenuto sottobanco da sunniti e occidentali. Mentre ora i bombardieri di Mosca volano scortati dai caccia, equipaggiati con missili aria-aria, e i cieli sono stati sigillati dallo scudo missilistico allestito dall’esercito russo (batterie di S-400 e sorveglianza speciale da parte della Flotta del Mar Nero), la Russia reagisce con misure durissime contro Ankara: bando su frutta e verdura, stop ai voli charter e ai pacchetti turistici, ripristino dei visti e divieto di assumere manodopera turca. E’ solo il primo passo, avvisa Mosca, perché la lista può essere estesa. Per ora il Cremlino evita di colpire i prodotti manifatturieri. E nulla trapela sui grandi progetti a rischio, come la prima centrale nucleare turca e il gasdotto Turkish Stream, che avrebbero ripercussioni anche sull’economia e sugli interessi geopolitici russi.Una bastonata mirata, dunque, senza danneggiare troppo l’economia. La stampa russa ipotizza contromisure turche che spaziano dal boicottaggio del Turkish Stream, che costringerebbe Mosca a rivedere la propria strategia energetica verso l’Europa, alla chiusura del Bosforo e dello stretto dei Dardanelli alle navi da guerra russe dirette in Siria, sfruttando le differenti interpretazioni della controversa legislazione marittima. Malgrado tutto, Ankara sembra però voler tentare il disgelo, non avendo percepito il sostegno dei leader occidentali dopo l’annuncio delle sanzioni russe. Evidente l’imbarazzo nell’area Nato: così come ha colpito la Turchia, l’informazione russa sul sostegno all’Isis (con dossier anche fotografici) potrebbe colpire anche gli altri sostenitori occulti del Califfato, che ora si affannano a inseguire i russi sulla via dei bombardamenti, dopo aver sostenuto per anni, sottobanco, la guerra del Califfo per rovesciare Assad e ridurre la Siria come la Libia. Qualcosa è cambiato, dopo lo storico accordo tra Obama e l’altro grande sponsor della Siria, l’Iran. Licenziato il generale Allen, che dirigeva il sostegno americano all’Isis, Obama ha dato il suo ok all’intervento militare di Putin.Nessuno, peraltro, si aspettava che Mosca mettesse in campo una tale potenza di fuoco, e con tanta celerità. Tutti spiazzati, gli ex “amici” dell’Isis, a cominciare da Israele, che ha regolarmente bombardato le milizie libanesi di Hezbollah impegnate in Siria contro il Califfato. Secondo svariati osservatori, proprio il progressivo venir meno del sostegno occulto allo Stato Islamico può aver generato tensioni e ricatti, dalla strage di Parigi contro la Francia di Hollande alle possibili minacce contro Erdogan, grande “padrino” dell’Isis attraverso la frontiera-colabrodo fra Siria e Turchia, comodamente utilizzata dai jihadisti per trovare ripario, ottenere armamenti e finanziarsi attraverso il traffico di petrolio. Ora, l’ennesima svolta di Mosca – l’offensiva mediatica, dopo quella militare – mette a nudo la farsa che ha finora tenuto in piedi l’Isis, che utilizza vasta manovalanza da paesi portati alla disperazione dalle guerre occidentali ma è stato lasciato crescere impunemente solo per un cinico calcolo. Il sacrificio del jet russo abbattuto (dopo quello dell’altro aereo, il volo di linea fatto esplodere sul Sinai, con più morti di quelli nelle strade di Parigi) ha indotto Mosca a cambiare passo. La recita è finita. Chi ha organizzato e sostenuto l’Isis, d’ora in poi, dovrà aspettarsi di tutto.«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.