Archivio del Tag ‘Vladimir Putin’
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Carotenuto: Iran-Israele, gli oligarchi della prossima guerra
La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.Ognuno ha una parte di ragione, ma nessuno la racconta giusta: la destra israeliana investe sulla paura ben sapendo che Israele «dispone di un territorio così piccolo che, in caso di guerra, potrebbe essere invaso in mezza giornata». Al tempo stesso, Tel Aviv – che denuncia il pericolo del nucleare iraniano – finge di non sapere di disporre di 230 testate atomiche: «Un potenziale pari almeno a quello della Francia e probabilmente della Gran Bretagna, tale da mettere Israele in grado di colpire anche le capitali europee, con missili o almeno con aerei». Sul fronte opposto, non è che l’Iran sia un modello tranquillizzante: «E’ un paese imperialista, fautore di un Islam ostile all’Occidente, e che persegue un suo cinico disegno di potenza regionale». La Russia? «In tanti vedono in Putin una sorta di pacificatore». Ma, al di là dell’effettivo ruolo di stabilizzazione attualmente svolto, il Cremlino «non fa altro che gli interessi della potenza russa». A sua volta, il fronte islamico è spaccato: e gli sciiti iraniani sono quelli che più si sono avvantaggiati dall’aggressione occidentale contro paesi sunniti come l’Iraq. Per l’Occidente, una sequenza di autogol a catena: oggi i soldati di Teheran combattono in Siria al fianco di Assad, il presidente che Obama voleva rovesciare. E in Siria si sono saldati con la potente milizia sciita di Hezbollah, proveniente dal Libano.Gli apprendisti stregoni che dopo l’11 Settembre hanno dato alle fiamme il Medio Oriente devastando l’intera regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, oggi vedono Israele accerchiato da nemici filo-iraniani. A sua volta, lo Stato ebraico enfatizza il pericolo per invocare come sempre il supporto degli Usa, senza il quale Tel Aviv non potrebbe disporre del temibile apparato militare che ne fa la principale potenza dell’area. Facile profeta, anni fa, il generale americano Wesley Clark: rivelò che i neocon firmatari del Pnac, il Piano per un Nuovo Secolo Americano, prima ancora del Duemila avevano messo nel mirino tutti i paesi – dall’Afghanistan alla Siria – poi effettivamente colpiti dalle guerre “per conto terzi” a cui stiamo assistendo, con strascichi grottechi che si estendono alla Somalia, dove miliziani filo-sauditi combattono contro guerriglieri armati dal rivale Qatar. Smisurate follie innescate dalla Cia e dal Mossad, che hanno regalato consenso e influenza territoriale proprio all’Iran, l’unico paese – della famosa lista nera – non ancora attaccato direttamente. Succederà a breve? Il rischio è concreto, ammette Carotenuto: ma in caso di guerra, aggiunge, Teheran si rivelerà un osso durissimo. E in ogni caso, prima o poi, avrà l’atomica: raggiungerà cioè una parità strategica con Israle, che già oggi potrebbe cancellare l’Iran a suon di bombe.Carotenuto invita a leggere la situazione evitando semplificazioni o, peggio, l’errore tipico delle tifoserie che parteggiano per gli ipotetici buoni contro gli altrettanto ipotetici cattivi. Si fa presto a dire “Israele”, “l’Iran”, “gli Usa”, come se in guerra fossero intere nazioni. Si tratta di élite pericolose, di oligarchie nascoste. La guerra la fanno davvero, ma il più delle volte sotto falsa bandiera – utilizzando il terrorismo – e comunque agitando retoriche patriottiche che non corrispondono mai alle vere intenzioni degli oligarchi che intessono trame dinamitarde, ogni giorno più pericolose. Da decenni il Medio Oriente petrolifero è la polveriera del mondo: possono cambiare gli attori e il copione può subire variazioni, ma la sostanza non cambia. L’uomo che volle fermare una volta per tutte questa follia – Yitzhak Rabin – fu assassinato nel ‘95 a Tel Aviv: non da palestinesi, ma da un estremista ebraico. Da allora, la situazione è preciptata: l’11 Settembre, le guerre “americane”, l’orrore dell’Isis e l’affermarsi della potenza iraniana, a sua volta – sostiene Carotenuto – controllata da un gruppo di potere “oscuro” che non finirà mai in televisione. Tutti si guardano in cagnesco, col dito sul grilletto. Il pericolo di un’esplosione cresce. Ma i popoli della regione non hanno mai avuto una sola occasione per parlarsi e chiarirsi, in modo trasparente. A dominare, più che mai, è il vecchio copione della guerra, fondato sulla menzogna di chi agita bandiere ma pensa soprattutto ai soldi, sapendo che in ogni caso il “vortice della tensione” è l’alimento perfetto per rendere eterna la logica aberrante del conflitto, che pare destinata a non finire mai. Fino a quando?La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.
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Gorbaciov: ho paura. Francesi in Siria con i terroristi Nato
L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?«E’ evidente che la sconfitta dello Stato Islamico, ad opera dei russi, e la situazione che si è creata sul terreno, non piace né a Washington, né a Parigi né Londra», dichiara Gorbaciov. «Adesso agiscono in due direzioni: una diplomatica, come si è visto a Bruxelles nella conferenza che hanno chiamato “Aiutare il futuro della Siria e dell’intera regione” e il cui scopo è quello di mettere fine al processo di Astana», la capitale del Kazakhstan che ha ospitato il vertice russo-turco-iraniano. «Là erano solo Mosca, Ankara e Teheran. Ora vogliono sostituirlo con una gestione, formalmente sotto egida Onu, ma sostanzialmente funzionale a una ripresa del controllo americano sulla crisi siriana. Nello stesso tempo – aggiunge Gorbaciov – stanno cercando di cambiare i rapporti di forza militare sul terreno». La situazione è questa: «Adesso l’Isis, di fatto, non esiste più. L’esercito siriano avanza su tutti i fronti, sostenuto dalla presenza russa sia dall’aria che sul terreno. Lo sostituiscono direttamente le truppe occidentali». In altre parole: truppe occidentali stanno prendendo il posto della loro creatura, l’Isis, sconfitta sul campo. Il rischio di scontro diretto Usa-Russia si va facendo altissimo, sostiene l’uomo che ha posto fine alla guerra fredda.«Vladimir Putin si trova di fronte alla domanda delicatissima su come fermarli», spiega Gorbaciov. «Un conto era avere di fronte l’esercito dello Stato Islamico. Era una finzione, perché sappiamo chi lo sosteneva, ma evitava il contatto diretto con le forze occidentali che erano già sul terreno ma invisibili, sotto forma di servizi segreti. Adesso il rischio è di un confronto militare diretto tra Russia e Stati Uniti, Russia e Francia, Russia e Gran Bretagna». Sono tutti eserciti Nato, quindi un eventuale scontro coinvolgerebbe indirettamente anche l’Italia, finora rimasta fuori dalla mischia benché ancora presente con la missione di peacekeeping in Libano, il paese da cui proviene la milizia sciita Hezbollah schierata in Siria con Assad. Come risponderà Putin al drammatico cambio di marcia dell’Occidente? «Non lo so», ammette Gorbaciov. «Mi pare chiaro che non potrà abbandonare la Siria». Tra l’altro, aggiunge, «la Russia è sul campo per diretta richiesta da parte del governo legittimo di Damasco, mentre tutti gli altri stanno occupando il territorio siriano in aperta violazione di tutte le norme internazionali. Nulla li legittima. È una operazione di aggressione».Tira una brutta aria, «e non riguarda solo la Siria», purtroppo. Gorbaciov ricorda la Nato sta premendo per incorporare l’Ucraina e la Georgia, in aperta violazione delle solenni assicurazioni fatte da George Bush all’epoca della distensione, il disarmo missilistico bilaterale: la Casa Bianca aveva promesso che non avrebbe esteso verso Est il perimetro Nato, a ridosso delle frontiere russe. Nel frattempo, le sanzioni economiche contro Mosca «stanno diventando asfissianti, al punto che siamo ormai nella situazione in cui il ministero del Tesoro americano decide della sorte dell’industria russa dell’alluminio». Sempre secondo Gorbaciov, la “ritirata” dell’industriale russo Oleg Deripashka, che ha perduto la maggioranza azionaria della sua impresa a Londra, «è un segnale di preavviso mandato a Vladimir Putin alla vigilia della inaugurazione del suo quarto mandato». In altre parole, «la “guerra ibrida” è in pieno sviluppo». E stavolta Mikhail Gorbaciov teme che la crisi – particolarmente incancrenita in Siria – possa nascondere esiti pericolosi e inimmaginabili. Tutto è precipitato – dal caso Skripal al bombardamento di Trump – dopo l’annuncio di Putin sui missili “imparabili”, ipersonici, di cui dispone la Russia. L’Occidente terrorista sfiderà il Cremlino a impiegarle, le armi-killer in grado di affondare le portaerei?L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai in Siria hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?
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Siria, la Nato usa i terroristi: rubare all’Iran il gas del Golfo
Sveliamo la verità sulla guerra in Siria per amore di chiarezza, perché la gente è confusa. I media presentano la situazione in maniera distorta, facendo apparire tutto il contesto come un grande caos (contro l’Isis combatterebbero gli Usa e i curdi, più i “ribelli” siriani, la Turchia e alcuni paesi arabi del Golfo, mentre Assad e Putin sarebbero in secondo piano, insieme all’Iran e ai libanesi di Hezbollah). Ma il problema è semplice: è solo questione di petrolio e di gas. Nel Golfo Persico c’è il North Gas Field: è il giacimento di gas più grande al mondo. Oggi il Qatar ne possiede una parte. Ne parlò con la Turchia nel 2009, due anni prima che cominciasse la guerra in Siria. Il Qatar avrebbe voluto vendere quel gas attraverso un condotto, attraversando Arabia Saudita, Siria e Turchia, fino a raggiungere il mercato europeo. Il problema è che, per far passare il gasdotto attraverso la Siria, avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione ad Assad, che disse di no. Ovviamente il Qatar non ha gradito la risposta, anche perché la proprietà dell’altra metà del giacimento è rivendicata dall’Iran. Si tratta di un giacimento molto speciale: date le sue dimensioni, può avere accesso sia dal Qatar che dall’Iran. Chi riuscirà a pompare il gas più velocemente avrà un vantaggio concorrenziale.Anche l’Iran, chiaramente, avrebbe intenzione di vendere quel gas all’Europa, attraverso un proprio condotto. Ha chiesto a sua volta il permesso ad Assad, e questa volta il presidente siriano ha detto sì. Quindi le cose sono più chiare, adesso: Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e gli altri paesi arabi sunniti – insieme a Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Turchia (almeno fin quando Ankara ha collaborato con la Nato, dato che adesso la Turchia si è rappacificata con la Russia) – non vogliono che Assad resti suo posto. Viceversa, gli sciiti (l’Iran, Hezbollah) sono alleati con la Russia per mantenere Assad al potere. La Russia ha due basi militari, in Siria, e possiede Gazprom, che già da molti anni vende gas all’Europa, e a cui certo vorrebbe continuare a venderne. Alcune cose sembrano complicate, ma solo perché i media ci inducono in errore. E’ solo geopolitica: da una parte c’è una coalizione che vuole cambiare i vertici in Siria, e dall’altra c’è una coalizione che non lo vuole. Questa guerra sta durando ormai da quattro anni e mezzo, con più di 500.000 morti tra civili, donne e bambini.I media ci dicono che Assad è il cattivo, il boia di Damasco. Nessuno ci dice niente, a proposito del petrolio e del gas. I media ci dicono che Usa e Nato non sono intervenuti per molto tempo, ci raccontano che sono entrati in azione solo quando Assad avrebbe iniziato a massacrare il suo popolo. Sotto l’egida della Nato, Arabia Saudita e Turchia hanno deliberamente inviato jihadisti radicali in Siria. Il loro fine era quello di destabilizzare il tessuto sociale siriano, e ci sono riusciti. Fornendo armi letali a jihadisti radicali, è possibile destabilizzare qualsiasi paese – come l’Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi. I paesi Nato come Usa, Gran Bretagna e Francia appoggiano i ribelli, i jihadisti. E quando la gente capirà cosa sta succedendo davvero, da quelle parti, ci sarà un putiferio. I media ci dicono che la Nato combatte il terrorismo, ma alla fine questa storia si è rivelata solo un mucchio di bugie. Il meccanismo si ripete. Ricordate Colin Powell che mostra platealmente una fialetta e dice che Saddam ha le armi chimiche? Oggi tutti sappiamo che non era vero niente, ma loro continuano a “venderci” la stessa roba, guidandoci verso la disinformazione attraverso i mass media.(“La verità dietro alla guerra in Siria: perché America, Inghilterra, Israele e Francia mentono per fare la guerra alla Siria”, sintesi del “profetico” video di “Sustainable Media” prodotto il 14 ottobre 2016 e diffuso anche su Facebook).Sveliamo la verità sulla guerra in Siria per amore di chiarezza, perché la gente è confusa. I media presentano la situazione in maniera distorta, facendo apparire tutto il contesto come un grande caos (contro l’Isis combatterebbero gli Usa e i curdi, più i “ribelli” siriani, la Turchia e alcuni paesi arabi del Golfo, mentre Assad e Putin sarebbero in secondo piano, insieme all’Iran e ai libanesi di Hezbollah). Ma il problema è semplice: è solo questione di petrolio e di gas. Nel Golfo Persico c’è il North Gas Field: è il giacimento di gas più grande al mondo. Oggi il Qatar ne possiede una parte. Ne parlò con la Turchia nel 2009, due anni prima che cominciasse la guerra in Siria. Il Qatar avrebbe voluto vendere quel gas attraverso un condotto, attraversando Arabia Saudita, Siria e Turchia, fino a raggiungere il mercato europeo. Il problema è che, per far passare il gasdotto attraverso la Siria, avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione ad Assad, che disse di no. Ovviamente il Qatar non ha gradito la risposta, anche perché la proprietà dell’altra metà del giacimento è rivendicata dall’Iran. Si tratta di un giacimento molto speciale: date le sue dimensioni, può avere accesso sia dal Qatar che dall’Iran. Chi riuscirà a pompare il gas più velocemente avrà un vantaggio concorrenziale.
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Magaldi: Siria, smascherare il potere dei massoni terroristi
«Hanno fatto la loro “bombardatina” teatrale, naturalmente previo avviso ai russi (onde evitare che se la prendessero troppo). Per poi scivolare addirittura nel ridicolo, con la Casa Bianca che smentisce Macron: “Mai promesso ai francesi di restare in Siria”, dice Trump, confemando che i militari statunitensi lasceranno la regione». Per la prima volta, pur demifisticando la retorica dell’ennesimo “strike” occidentale motivato dall’uso presunto di armi chimiche, Gioele Magaldi ammette di essere preoccupato dalla possibile escalation della crisi. Attorno al dramma umanitario della Siria, infatti, si scontrano potentissime oligarchie in lotta fra loro. Acuto analista geopolitico, Magaldi è autore del bestseller “Massoni” sui retroscena occulti del vero potere. Spesso profeticamente cauto su “fuochi d’artificio” come quelli della Corea del Nord («è solo spettacolo, pilotato dalla Cina»), stavolta il presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”, ammette: la situazione potrebbe diventare più grave di quanto non lasci credere la “recita” dei missili, sparati per ora su un bersaglio insignificante e peraltro in gran parte intercettati dalla contraerea siriana, risalente all’era sovietica. Come se ne esce? In un solo modo: «Smascherando le oligarchie massoniche reazionarie che si stanno facendo la guerra, l’un l’altra, sulla pelle dei siriani».Impossibile “leggere” correttamente il raid del 15 marzo su Damasco senza avere sott’occhio le puntate precedenti. Una su tutte: «L’annuncio congiunto dei leader della Russia, dell’Iran e della Turchia, che si sono riuniti per dire: la guerra in Siria l’abbiamo vinta noi». Di qui i missili “dimostrativi” targati Trump, May e Macron: «E’ come se avessero tenuto a precisare: ricordatevi che in Siria ci siamo anche noi». Un attacco dell’Occidente? Magaldi non ci sta: «La nozione di Occidente non è riducibile a un singolo gesto di tre leader, ciascuno dei quali peraltro alle prese con terribili problemi di politica interna». La Germania, per dire, si è tenuta in disparte. «E il persino il diafano Gentiloni, evitando di concedere le basi italiane a supporto l’attacco, è riuscito a rinnovare la migliore tradizione morotea, orientata verso una politica di mediazione nel Mediterraneo: quello è il ruolo che dovrebbe competere all’Italia, non a caso il paese più danneggiato dalla guerra contro la Libia di Gheddafi». E la Siria di Assad? Anche se i media evitano di ricordarlo, «si tratta di uno dei pochi paesi laici della regione, con aspetti di pluralismo, dove le donne godono degli stessi diritti degli uomini: un paese avanzato, governato da un regime autoritario ma ispirato dal nazionalismo arabo socialisteggiante del partito Baath».Come trasformare la Siria in un cumulo di macerie? «E’ bastato cavalcare alcune legittime istanze iniziali, sorte nel tentativo di democratizzare il paese, per poi deviarle immediatamente verso lo jihadismo più feroce». Com’è che, poi, i paladini della democrazia si mettono a finanziare, armare e proteggere i tagliagole dell’Isis da scatenare contro Assad, facendo strage della popolazione siriana? E’ noto che le formazioni “radicali” insorte contro il governo di Damasco sono state sciaguratamente messe in piedi dall’amministrazione guidata da Barack Obama, che secondo Magaldi è un esponente della superloggia “Maat”. Il grande difensore di Assad, Vladimir Putin, sempre a detta di Magaldi milita invece nella “Golden Eurasia”, altra influente formazione supermassonica, mentre il ras turco Edogan è affiliato alla “Hathor Pentalpha”, di gran lunga la più pericolosa delle Ur-Lodges oligarchiche, alla quale sarebbe stato iniziato lo stesso “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, leader del sedicente Isis. «Il vero problema? Nessuno degli attori sul campo – né in quota all’Occidente, né all’Oriente – fa quello che dovrebbe fare, ovvero: gettare le basi per una pace giusta, fondata sui diritti democratici. Obiettivo al quale, attualmente, non è interessato proprio nessuno. Né si può contare sulle Nazioni Unite, ridotte all’ombra di se stesse».Più volano missili, intanto, e più cresce il pericolo di un incidente irrimediabile, senza una politica alternativa al massacro permanente che ha traformato la Siria e l’intero Medio Oriente in un cimitero dal quale scappare. A meno che, prima o poi, non si riesca a smascherare la vera natura dei contraenti: dietro alle varie bandiere, dice Magaldi, si nascondono quasi sempre «interessi inconfessabili, verminosi». Affari e logiche di clan, contese regolate in ambito supermassonico – ove possibile con accordi segreti o, appunto, con il ricorso alla più spietata guerra per bande, senza risparmio di colpi. Lo scenario è ormai così confuso e caotico da lasciare virtualmente spazio anche all’ipotesi peggiore: l’errore imperdonabile, cioè il confronto diretto e pericolosissimo, militare, tra russi e americani. Buio fitto, peraltro, dai media: anche stavolta hanno largamente accreditato la storiella delle “armi di distruzione di massa”, ignorando il report ufficiale – datato 13 marzo – nel quale l’agenzia Onu per la probizione delle armi chimiche ha escluso che il centro Barzah, quello colpito dai missili, potesse produrre gas letali (armamenti di cui, peraltro, proprio gli Usa sono il massimo detentore mondiale). Finzioni pericolose, sanguinose e regolarmente impunite, almeno fino a quando non verrà smascherata la massoneria “terrorista” che sta trasformando il Medio Oriente nella polveriera del mondo.«Hanno fatto la loro “bombardatina” teatrale, naturalmente previo avviso ai russi (onde evitare che se la prendessero troppo). Per poi scivolare addirittura nel ridicolo, con la Casa Bianca che smentisce Macron: “Mai promesso ai francesi di restare in Siria”, dice Trump, confermando che i militari statunitensi lasceranno la regione». Per la prima volta, pur demifisticando la retorica dell’ennesimo “strike” occidentale motivato dall’uso presunto di armi chimiche, Gioele Magaldi ammette di essere preoccupato dalla possibile escalation della crisi. Attorno al dramma umanitario della Siria, infatti, si scontrano potentissime oligarchie in lotta fra loro. Acuto analista geopolitico, Magaldi è autore del bestseller “Massoni” sui retroscena occulti del vero potere. Spesso profeticamente cauto su “fuochi d’artificio” come quelli della Corea del Nord («è solo spettacolo, pilotato dalla Cina»), stavolta il presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”, ammette: la situazione potrebbe diventare più grave di quanto non lasci credere la “recita” dei missili, sparati per ora su un bersaglio insignificante e peraltro in gran parte intercettati dalla contraerea siriana, risalente all’era sovietica. Come se ne esce? In un solo modo: «Smascherando le oligarchie massoniche reazionarie che si stanno facendo la guerra, l’un l’altra, sulla pelle dei siriani».
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Siria, guerra Usa-Russia? Tomaiuolo: tutta colpa di Obama
Né Putin né Trump, e nemmeno Assad. Se c’è qualcuno da “ringraziare”, per il disastro in corso che sta trasformando la Siria nel detonatore di uno scontro di portata mondiale tra Usa e Russia – le cui conseguenze nessuno è in grado di calcolare – si chiama Barack Obama. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, analista esperto di geopolitica e dirigente del Movimento Roosevelt. Lucida la sua analisi sulla pericolosissima crisi siriana, offerta in una conversazione in streaming con Marco Moiso, coordinatore del movimento fondato da Gioele Magaldi. «Se finora Putin ha potuto giocare sempre così bene le sue carte, peraltro in partenza molto povere, lo si deve essenzialmente agli errori di Obama», protagonista di una politica estera inconsistente e contraddittoria, ostile a Mosca ma velleitaria e mai autorevole, né in Europa né in Medio Oriente. Primavere arabe manipolate e incompiute, guerre finite nel caos come quella libica. Provocazioni e opache manovre come la finta rivoluzione in Ucraina alla quale si è opposto con successo il Cremlino riannettendo la Crimea, dopo esser sceso in campo direttamente per difendere la Siria, cioè uno Stato laico ed enormemente più moderno e avanzato degli altri paesi arabi, anche sul piano dei diritti. A chi giova, rimuovere la famiglia Assad? E poi: fino a che punto la Russia farà muro per proteggere il presidente siriano?Domande alle quali è difficile rispondere, in un magma composto da troppi attori sul terreno: «Non si capisce mai fino in fondo chi fa cosa e per conto di chi, in una situazione dove spesso i ruoli si invertono e “l’amico” di oggi è semplicemente l’avversario di ieri, divenuto “nemico del nemico”». Il casus belli dell’ultimo ipotetico attacco con armi non convenzionali? «Di certo Assad non va per il sottile, e probabilmente dispone di arsenali chimici. Ma perché scatenare un simile disastro su ribelli che ormai si stavano ritirando, e per giunta dopo l’annuncio di Trump sul ritiro imminente dei duemila militari statunitensi presenti nella regione?». Ombre cinesi, verità a doppio fondo: c’è il rischio che – in caso di raid americani sul territorio siriano – Israele provi a colpire obiettivi militari dell’Iran e dell’alleato libanese Hezbollah. Senza dimenticare i curdi, le giravolte della Turchia e un altro grande protagonista che agisce dietro le quinte: la ricchissima, imperscrutabile Arabia Saudita, imbarazzante alleato ultra-islamico e “medievale” delle potenze Nato. Troppi eserciti in un fazzoletto di terra, troppa sanguinosa confusione: è arduo ottenere informazioni precise, non manipolate dall’assordante propaganda contrapposta.Su un aspetto, Tomaiuolo scommette: «La Russia sta pagando un prezzo altissimo, per il suo impegno militare in Siria. Non credo – afferma – che Putin si lascerà intrappolare ancora a lungo, nel pantano siriano. Negozierà la permanenza della sua base nel Mediterraneo e poi, probabilmente, prima o poi si preparerà a “sacrificare” Assad». Magari in cambio della normalizzazione dei rapporti con l’Occidente, se Usa ed Europa dovessero accettare come legittimo il ritorno della Crimea alla Russia? «La partita è vasta, difficile calcolare le consseguenze di una singola mossa. Comunque – aggiungono Tomaiuolo e Moiso – certo non aiutano, in un momento di altissima tensione, le espulsioni del personale diplomatico: si toglie spazio al dialogo e si cede il passo al linguaggio delle armi», anche se la “crociata” diplomatica contro i russi «più che da reali motivazioni geopolitiche sembra nascere da esigenze di politica interna, viste le difficoltà di Trump e della May nei rispettivi paesi». Altra incognita, stringente: il tipo di reazione, da parte di Mosca, di fronte a un attacco. «Certamente Trump cercherà di non colpire i russi», premette Tomaiuolo: «Avendo comunque minacciato di attaccare, dovrà farlo. Ma si limiterà probabilmente a qualche missile, andando solo un po’ più in là del raid simbolico compiuto lo scorso anno». E i russi? «E’ vero che non sono disposti a difendere Assad all’infinito. Ma sono orgogliosi, attaccati alla patria: non staranno certo a guardare».Né Putin né Trump, e nemmeno Assad. Se c’è qualcuno da “ringraziare”, per il disastro in corso che sta trasformando la Siria nel detonatore di uno scontro di portata mondiale tra Usa e Russia – le cui conseguenze nessuno è in grado di calcolare – si chiama Barack Obama. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, analista esperto di geopolitica e dirigente del Movimento Roosevelt. Lucida la sua analisi sulla pericolosissima crisi siriana, offerta in una conversazione in streaming con Marco Moiso, coordinatore del movimento fondato da Gioele Magaldi. «Se finora Putin ha potuto giocare sempre così bene le sue carte, peraltro in partenza molto povere, lo si deve essenzialmente agli errori di Obama», protagonista di una politica estera inconsistente e contraddittoria, ostile a Mosca ma velleitaria e mai autorevole, né in Europa né in Medio Oriente. Primavere arabe manipolate e incompiute, guerre finite nel caos come quella libica. Provocazioni e opache manovre come la finta rivoluzione in Ucraina alla quale si è opposto con successo il Cremlino riannettendo la Crimea, dopo esser sceso in campo direttamente per difendere la Siria, cioè uno Stato laico ed enormemente più moderno e avanzato degli altri paesi arabi, anche sul piano dei diritti. A chi giova, rimuovere la famiglia Assad? E poi: fino a che punto la Russia farà muro per proteggere il presidente siriano?
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Siria, il generale Camporini: molto rumore, ma solo teatro
Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».Intervistato da Gian Micalessin, Camporini non prevede un intervento di grande portata contro la Siria. E soprattutto, non vede alcuna rischio di coinvolgimento del nostro paese: «Non siamo di fronte a un’operazione concordata in sede Nato», sottolinea l’alto ufficiale: «Siamo di fronte ad una azione unilaterale decisa dalla presidenza degli Stati Uniti». In queste ore si parla di aerei Poseidon P8 decollati dalla base di Sigonella. «I Poseidon sono aerei antisommergibile – spiega Camporini – e di certo non parteciperanno a questo tipo di attacchi». Non solo: «Per usare le basi di Aviano o Sigonella, gli americani dovrebbero chiedere l’autorizzazione del nostro governo. E un esecutivo dimissionario come quello del premier Paolo Gentiloni, chiamato soltanto a sbrigare gli affari correnti, non potrebbe concederla». Inoltre, ipotizzare una partecipazione italiana «significherebbe prefigurare un intervento molto più ampio di quello previsto dalla Casa Bianca». Dunque sarebbe un atto solo dimostrativo? «Sì, assolutamente», risponde Camporini. «Non siamo di fronte ad un raid in grado di cambiare la situazione sul terreno. Trump quasi sicuramente si limiterà a dimostrare di aver punito una nazione colpevole di esser andata oltre i limiti».Si parla, però, di un possibile intervento concordato con l’Inghilterra e la Francia: pronte a partecipare all’azione. «La natura dell’operazione dal punto di vista militare non cambierebbe», chiarisce il generale. «Gli inglesi potrebbero utilizzare le basi di Cipro e i francesi degli aerei decollati da una loro portaerei nel Mediterraneo. Potrebbero venir utilizzati dei missili Storm Shadow con un raggio di 560 chilometri utilizzati a suo tempo anche dall’Italia per colpire le installazioni militari di Gheddafi in Libia». Diretti contro quali obbiettivi? «Gli americani preferiranno basi militari per evitare perdite civili collaterali», dice Camporini. «Poi bisogna vedere quanti missili Tomahawk riusciranno a superare le difese dell’antiaerea». Dunque i russi parteciperanno alle operazioni di difesa del territorio siriano? «Su questo ho pochi dubbi», afferma il generale. «I radar e i missili russi garantiranno la copertura delle installazioni militari siriane». C’è il rischio che vengano colpite basi in cui sono presenti militari russi o iraniani? «Non penso siano previsti attacchi rivolti a colpire direttamente personale non siriano». E la reazione russa? «Ritengo che Putin, per quanto abbia minacciato di reagire, preferisca lasciar sfogare gli americani nella consapevolezza che la loro azione non cambierà gli scenari», sostiene Camporini. «Quindi non vedo il rischio di un allargamento dello scontro e tantomeno il rischio di un conflitto mondiale».Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».
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Fake-war, dopo l’annuncio di Trump sul ritiro dalla Siria
«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».Alla Casa Bianca, avverte Foa, ora c’è John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale: è l’architetto delle inesistenti super-armi di Saddam. «Trump riuscirà anche questa volta a resistere ai ricatti o dovrà mettersi a bombardare la Siria?». Se lo domanda lo scrittore Paolo Mosca, sul blog “Mosquicide”, che offre un’insolita analisi sul profilo psico-politico di Trump: «In questo momento storico Jeremy Corbyn è forse il mio politico preferito – premette – e lui non si sognerebbe mai di dire cose diverse da quelle che fa. E questo forse è un suo punto debole». Al contrario, “The Donald” «dissocia parola, tweet e atto». E così facendo «mette totalmente in crisi il Deep State che cerca costantemente di manovrarlo dietro le quinte». Infatti: «Trump abbaia contro il dittatore nord coreano, ma poi fa in modo che si distendano le relazioni tra le due Coree», quindi espelle i diplomatici russi «ma poi invita Putin a New York». Ancora: «Apre verso Israele, ma poi cerca di tirarsi fuori dalla guerra siriana». E non appena lo fa, sottolinea Mosca, accadono due cose: «La notizia di un nuovo attacco chimico in Siria (smentito dalla Russia che invoca l’intervento di ispettori) e la visita dell’Fbi al suo avvocato personale, Michael Cohen, a cui vengono sequestrati documenti riguardanti il presidente».E’ sempre il Deep State, secondo Paolo Mosca, a premere per i missili sulla Siria, in una pericolosissima sfida con la Russia: «Se il modo di parlare di Trump è da cattivo uomo di destra, il suo modo di agire è da presidente moderato che cerca di barcamenarsi tra le forze vischiose del potere che lo circonda». Aggiunge Mosca: «Credo che per molti aspetti queste elezioni avrebbe preferito perderle», magari per poi contrattare maxi-appalti da posizioni di forza, come leader dell’opposizione. Meno possibilista Foa, spaventato dagli sviluppi: annunci di attacchi imminenti, navi da guerra in avvicinamento, aerei d’attacco pronti al decollo. Il tweet dell’altro giorno in cui Trump ha accusato Putin di proteggere “un animale” come Assad è di una violenza incredibile, «volto chiaramente ad aprire il terreno a un attacco missilistico». Per Foa, «il Trump di queste ore non ha più nulla a che vedere con quello che è stato eletto 18 mesi fa». La nomina di un supefalco come Bolton (cioè «l’uomo, pericolosissimo, che sussurra all’orecchio del capo della Casa Bianca) secondo Foa «segna la conversione del presidente americano sulle posizioni che egli stesso e i suoi consiglieri della prima ora dichiaravano di aborrire».Il Trump di una volta, agiunge Foa, desiderava che il suo paese non fosse trascinato in nuovi inutili conflitti, mentre «il Trump di oggi è irriconoscibile: è diventato un neoconservatore, ovvero ha fatto proprio lo spirito aberrante che ha guidato la mano di Bush, in buona parte quella di Obama, e che eccitava quella di Hillary Clinton». Il copione della guerra “umanitaria” è invariato, nella sua monotonia: il presunto attacco chimico sulla popolazione civile «ha tutta l’aria di essere una fake news istituzionale creata ad arte per creare un casus belli». Gli spin doctor dimostrano scarsa fantasia: usano sempre il solito schema, ricorda Foa. «Nel 2013 l’attacco con le armi chimiche che provocò la morte di 1300 persone e per il quale Obama era sul punto di scatenare l’inferno, risultò essere, in seguito, un caso di “false flag”, ovvero un attacco lanciato dai ribelli affinché la colpa ricadesse su Assad al fine di giustificare un intervento della Nato. L’anno scorso, la dammatica notizia dei forni crematori in cui venivano inceneriti i prigionieri politici alle porte di Damasco, lanciata da Amnesty ed enafatizzata dal Dipartimento di Stato Usa, è risultata essere una bufala per sorprendente ammissione dello stesso governo Usa».Nei giorni scorsi, aggiunge Foa, abbiamo assistito al caso Skripal – che ricorda, nello “spin”, quello di Douma: «Una furia accusatoria implacabile e urgente nasconde quasi sempre un bluff». Ricordate? «Mosca ha 24 ore di tempo per discolparsi, ma non ci sono dubbi, sono stati i russi», tuonavano il premier May e il ministro degli esteri Johnson, rilanciati da una stampa occidentale come sempre straordinariamente priva di senso critico e analitico. A ruota, Washington e i paesi europei decisero l’espulsione dei diplomatici, e il governo americano adottò nuove sanzioni. «Ma la prova che l’attentato sia stato compiuto dal Cremlino non è mai arrivata. Gli esperti hanno dovuto ammettere che è impossibile stabilire chi abbia davvero prodotto il gas, che peraltro non è risultato nemmeno letale». Ora ci risiamo, sottolinea Foa: l’attacco al cloro è molto dubbio.«Dovrebbe essere verificato da una commissione indipendente, a cui però gli Usa non sono interessati. Bastano le immagini, commoventi, di bambini intubati per trascinare l’opinione pubblica. Molto probabilmente un giorno scopriremo la verità, ma la verità non interessa agli spin doctor». Concorda Gaiani, su “Analsi Difesa”: notizie e immagini di presunti attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei “ribelli”, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.«Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani», scrive Gaiani, certo non sospettabile di posizioni filo-siriane o filo-russe. «Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità». Ma peggio: Jaysh al-Islam, la formazione colpita a Douma, «è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016». Il cloro? «Non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico. I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco, puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad».Quanto al “cui prodest”, Gaiani non ha dubbi: «Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti, non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali». Assad sta “ripulendo” le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché mai – si domanda “Analisi Difesa” – dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? «Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?». Israele ha intanto bombardato la base siriana T-4 vicina a Palmira, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese, mentre Trump ora accusa anche Russia e Iran «in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare». Tutto questo, scrive Gaiani, «induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche».La situazione sembra stia precipitando: Washington parla apertamente di azioni militari contro Damasco, caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia mette in guardia gli Usa contro un «intervento militare sulla base di pretesti inventati» in Siria, che potrebbe «portare a conseguenze più pesanti». Letteralmente, i russi avvertono: intercetteranno i missili americani e colpiranno anche le loro basi di lancio. Uno scenario teoricamente esplosivo, “perfetto” per chi sogna lo scatenarsi dell’apocalisse. Per Gaiaini, la cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, «specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà». Ed ecco il punto: «La denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani»Il ritiro dei duemila soldato americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del paese e a quelle di Damasco nell’est, «per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump», che ora sembra “costretto” a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della “comunità internazionale” per i bambini “uccisi dal cloro di Assad”, cioè “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare. E’ la tesi di Paolo Mosca: l’ennesima strage (forse addirittura inventata – secondo i russi, non ci sono neppure vittime) si è verificata con puntualità cronometrica, a orologeria, non appena Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria. Legge dietro l’ufficialità è difficile. A frenare è il ministro della difesa, l’ex generale dei marines James Mattis: «Niente è ancora stato deciso», fa sapere. «Prima bisogna verificare cos’è successo davvero, in Siria».«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».
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Skripal, tutto falso: Londra perde la faccia, Gentiloni pure
Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.Del resto, aggiunge Blondet sul suo blog, hanno ancora cancellato neppure la “dichiarazione di guerra” dell’ambasciatore britannico a Mosca, Laurie Bristow, che il 22 marzo aveva convocato la stampa estera per confermare l’accusa. «Boris Jonson ha molte domande a cui dovrà rispondere», dice ora detto Jeremy Corbyn, il leader dell’opposizione laburista, che da settimane era sotto un inverosimile uragano di attacchi e insulti da parte dei media britannici (da “traditore” ad “antisemita”) per essersi rifiutato di unirsi al coro di condanne senza prove. Adesso tutti vedono che Corbyn aveva ragione: il governo May cadrà? Ma intanto 28 Stati occidentali, fra cui 15 dell’Unione Europea, si sono uniti all’accusa del tutto infondata abbandonandosi ad espulsioni in massa di diplomatici russi. Per bocca di Donald Tusk e Federica Mogherini, l’Ue ha dichiarato il suo appoggio assoluto al Regno Unito nelle sue false accuse, e la stessa Nato ha espulso sette addetti russi e rifiutato l’accredito a nuovi membri dello staff. «In pratica – osserva Blondet – tutte le nazioni occidentali hanno trattato la Russia da Stato canaglia, Stato criminale, paria delle nazioni, da appestato; hanno comminato nuove e più gravi sanzioni. Senza mai dar credito, nemmeno per un attimo, alle proteste russe di estraneità».E’ andata in scena «una spaventosa prova di aggressività demente, di inciviltà nei rapporti internazionali, che non poteva che preludere a qualche gravissima azione o provocazione bellica, tanto era palesemente mal fondata fin dalle prime fasi». Tanto più spaventosa, aggiunge Blondet, «perché tutti i media mainstream si sono uniti alla canea di accuse, con la bava alla bocca». Uno spettacolo inquietante: «Abbiamo avuto qui una prova dal vivo della criminosa irresponsabilità e del delirio di cui sono capaci i poteri forti, della loro attitudine al pericoloso sragionare in coro dei nostri politici, come ad un segnale convenuto, obbedendo ad automatismi di cui non scorgiamo l’origine, e per questo fanno più paura». Scherza col fuoco, l’Occidente: il governo cinese ha esplicitamente giudicato con sdegno questo comportamento incivile, sul piano internazionale, da parte di europei e statunitensi. E che l’abbia giudicato allarmante lo conferma la visita a Mosca, il 3 aprile, di una delegazione cinese capeggiata dal ministro della difesa Wei Fenghe, il quale ha detto ad alta voce: «La parte cinese è venuta ad informare gli americani di quanto siano stretti i legami tra le forze armate russe e cinesi». Un linguaggio senza edulcorazioni, chiaro e netto: «Quello che Pechino giudica il solo adatto ai gangster occidentali», avverte Blondet.Il punto è che, adesso, nessuno in Europa si sta scusando con Putin per questa «delinquenziale falsità, di cui non sappiamo ancora lo scopo vero». Gentiloni e Alfano? Pur “uscenti”, si sono vilmente accodati: hanno espulso due diplomatici russi, in ossequio alle menzogne di Londra. «Mogherini e Donald Tusk, Macron e Stoltenberg, Merkel, sono in grado di ammettere pubblicamente il loro errore – peggio che errore, solidarietà in una menzogna e complicità in un “false flag”? Per aver inscenato tutti insieme, delinquenti, una provocazione gravissima che solo la fermezza e i nervi d’acciaio di Putin e Lavrov hanno evitato di far precipitare in un conflitto armato, come era probabilmente nei piani di lorsignori?». Blondet è pessimista: «Non credo sapremo mai a cosa mirassero questi delinquenti che ci governano, recitando questa scenata. Forse a preparare una rivincita in Siria? Forse ad allargare fino a rendere irreversibile la frattura fra Russia ed Europa, mira storica della “geopolitica” britannica da McKinder?». Purtroppo, aggiunge Blondet, ci sono dei precedenti «altrettanto inspiegati, risalenti al 1994.Su un aereo proveniente da Mosca, ricorda Blondet, il 10 agosto di quell’anno la polizia di Monaco di Baviera “trovò” 363 grammi di plutonio. «Ovviamente, si scatenò un attacco concertato, da parte dei politici e dei media, sul presunto “commercio del terrore” che veniva dai mal guardati reattori nucleari sovietici; da cui malviventi evidentemente trafugavano plutonio (plutonio!) da vendere sul mercato del terrore». Questo clamore, osserva il giornalista, contribuì a far vincere le elezioni ad Helmuth Kohl. Ci volle quasi un anno di tempo prima che lo “Spiegel” uscisse con la vera storia: sull’aereo russo, il carico di plutonio era stato “piazzato” dai servizi di spionaggio tedeschi (Bnd). A quale scopo? «Varie serie di “rivelazioni” e “gole profonde” non fecero altro che rendere più complesso, e infine indecifrabile, il movente: un classico metodo di insabbiamento a cui in Italia dovremmo essere abituati, da Ustica al caso Moro», scrive Blondet. «Ovviamente ed italicamente, fu messa insieme anche una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso – dopotutto sarebbe bene sapere come mai 336 grammi di plutonio fossero nelle disponibilità del Bnd – e come potete già indovinare, finì nel nulla. Il capo del Bnd fu mandato in pensione anticipata, e fu tutto».Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.
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Esultanza immortale: gran bel video, il palestinese colpito
«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come per un goal sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?Odio, macelleria e menzogne. L’industria delle fake news. «Assad è un animale», proclama l’autorevole zoologo Donald Trump, rifiutando però un’indagine dell’Onu che chiarisca chi ha usato davvero le armi chimiche, nella zona siriana della Ghouta, la stessa in cui – come appurato proprio dalle Nazioni Unite – furono i “ribelli” a gasare civili siriani, sperando di innescare la vendetta del giustiziere Obama. Stesso copione nel replay di qualche tempo fa, nel nord della Siria: sono i “ribelli” a detenere quegli arsenali tossici, basta una cannonata finita su un deposito per fare una strage. Da dove vengono molti di quei gas? Dalla Libia del dopo-Gheddafi, hanno svelato fior di inchieste giornalistiche. Ne sapeva qualcosa l’ambasciatore americano di Bengasi, saltato in aria con la dinamite, insieme ai suoi carteggi imbarazzanti elettronici con la Clinton, che a sua volta “sbianchettò” le email, azzerando le memorie dei suoi server. Qualcuno vuole che sia l’Onu a fare luce sull’ultimo massacro? Ingenui: la verità è ormai una barzelletta, dosata a rate dal telegiornale in modo smart, in mezzo alla pubblicità. E la strage impunita è figlia di quella precedente, la macelleria non raccontata. L’omissione è menzogna. Per noi è solo un’opinione, per altri è la strada che porta al cimitero.L’ultimo grande voto, in Medio Oriente, fu quello che volò con la pallottola diretta al cranio di Yitzhak Rabin. Dopo di allora fu archiviata la pratica palestinese, la storiella umoristica dei due Stati gemelli. Un imponente smottamento: le false primavere, la grandine di fosforo su Gaza. E i tagliagole in costume medievale sceneggiati a Hollywood, pagati e armati fino ai denti, protetti da droni onniveggenti. Putin e l’Iran, l’abominevole Erdogan socio dell’Isis, spalleggiato da una Nato clandestinamente a zonzo sulle alture della Siria, bombardate dai caccia israeliani in violazione di qualsiasi legge. La verità non interessa più, è insopportabile: come l’antico marinaio cui dà voce Coleridge, che tenta di convincere gli increduli gettando loro in faccia l’immane ferocia del naufragio. E se qualcuno poi dovesse sopravvivere, in ogni caso non sarà mai creduto: era il cinismo sfrontato dei nazisti, a tormentare Primo Levi. La verità è una pattuglia di scolari in gita, sorpresi a festeggiare mentre sparano su gente disarmata, filmando le balistiche prodezze in un’allegra gara di barbarie. Un video come quello può valere tonnellate d’odio, sangue futuro sparso a orologeria. Jeremy Corbyn, da Londra, è l’unico a suonare le dolenti note del poeta: peggio per tutti, se nessuno ascolterà la verità. Bombe e menzogne a oltranza, mentre un Senato alieno – dall’altra parte dell’oceano – ascolta il mesto pigolio di Zuckerberg.«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come fossero in tribuna sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?
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Michael Hudson: soldi, lo sporco affare dietro al caso Skripal
Chiunque abbia visto i film di James Bond sa che 007 può uccidere i propri nemici. E gli Stati Uniti ammazzano gente da anni, vedasi Allende e le decine di migliaia di leader sindacali e professori universitari. L’amministrazione Obama ha preso di mira paesi stranieri persino per i propri attacchi di droni, sminuendo le vittime civili come danno collaterale. Nessun paese straniero ha interrotto le proprie relazioni con Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele o qualsiasi altro paese che usa l’assassinio mirato come scelta politica. Questa pretesa, senza alcuna prova, che la Russia abbia ucciso qualcuno è dunque irricevibile. La domanda quindi è: perché stanno facendo questo? Perché stanno imponendo sanzioni e montando una gran campagna pubblicitaria? Per avere la risposta, facciamo un passo indietro ed analizziamo meglio questa reazione, che sembra così fuori dell’ordinario per britannici, americani e Nato. Per i neofiti, le sanzioni fanno parte di un gioco diplomatico progettato per contrastare i guadagni russi. Quando Stati Uniti e Gran Bretagna hanno imposto le proprie sanzioni bancarie, hanno giustificato la cosa dicendo che quella era un atto dimostrativo: se voi russi pensate di poter fare dei profitti, vi faremo perdere ancor più di quanto potreste guadagnare.Bisognerebbe capire quale beneficio dia alla Russia uccidere un’ex spia del governo britannico, restituita all’Occidente in uno scambio di spie e che, a quanto si dice, voleva tornare in Russia. Ovviamente non ce n’è alcuno. Le sanzioni sono pertanto indipendenti da questo evento. La legge occidentale peraltro si basa sulla presunzione di innocenza e sulla certezza delle prove. Non dovrebbe essere dato alcun giudizio senza l’ausilio delle prove. Altrimenti ci si basa su dicerie. Il secondo principio della legge occidentale è che ambo le parti possano presentare la propria versione. Nell’affare Skripal la Russia non può farlo, non essendole stati dati campioni del veleno che potrebbero scagionarla. Non è stato nemmeno concesso loro di vedere Skripal, sebbene sia un cittadino russo, o sua figlia, che ora è sveglia e in via di guarigione. Gli inglesi neanche permetteranno ai suoi parenti di venire in Gran Bretagna. La reazione è così sproporzionata che è ovvio non ci sia una relazione logica. Questo è un doppio standard bello e buono. Penso dunque che invece di una rappresaglia ci sia una strategia predeterminata antirussa, ed un tentativo di isolarne l’economia.La domanda è: perché sta succedendo? E quali sono igli obiettivi ultimi? In un primo momento, pensavo fosse la vendetta per il fallito tentativo americano di usare Isis ed Al-Qaeda come legione straniera per sostituire Assad. O forse è una scusa per appropriarsi del suo petrolio? O la frustrazione per la scelta della Crimea di unirsi alla Russia? Quel che è certo è che sembra ci sia una guerra fredda economica che si sta intensificando. Il risultato è che Russia, Cina e Iran si stanno avvicinando. Quel che abbiamo è dunque una minaccia di isolare la Russia se non fa certe cose. E quindi per risolvere l’affare Skripal bisogna chiedersi: quali sono queste cose che Stati Uniti e Gran Bretagna vogliono? Beh, una è che la Russia spinga la Corea del Nord a smantellare il proprio programma nucleare, cosa che, come è normale che sia, avverrà solo se l’esercito Usa lascerà la penisola. Un altro obiettivo di Washington è che Mosca se ne vada dalla Siria. Trump ha dichiarato la settimana scorsa di volersi ritirare dalla Siria. La domanda però è: se l’America se ne va, cosa farà Mosca? Queste sanzioni sono un segnale: avete visto cosa possiamo fare per ferirvi, vi lasceremo stare se ve ne andrete dalla Siria. Un altro obiettivo è forse quello di far desistere la Russia dall’aiutare l’Ucraina orientale.Gli Stati Uniti, quando vogliono isolare un paese, di solito lo accusano di guerra chimica. Basti pensare a quando Bush disse che l’Iraq aveva armi chimiche di distruzione di massa. Sappiamo che era una bugia. Oppure ad Obama quando disse che Russia ed Assad stavano usando armi chimiche in Siria. Penso dunque che quando dicono che la Russia o Assad o l’Iraq stanno usando armi, questo sia un modo per generare paura, di modo che l’esercito possa venir dispiegato. Trump ha ripetuto ciò che ha detto quando era candidato alla presidenza. Vuole che i paesi europei paghino di più i costi militari della Nato. Lo va dicendo da più di un anno. E penso che sia questa il vero nocciolo dell’affaire Skripal. Usando una cosa abietta come le armi chimiche, si vuole creare un’isteria anti-russa che consenta ai governi Nato di raccogliere molto più budget militare di quanto non facciano ora dagli Stati Uniti. Costringerà tutti i loro paesi a pagare il 2% del proprio Pil al complesso militar-industriale americano. Quindi, in sostanza, l’affare Skripal è stato messo in piedi per spaventare le popolazioni e consentire alla Nato di aumentare le spese militari nell’industria della difesa Usa.Le popolazioni diranno: aspettate un attimo, i bilanci europei non possono monetizzare un deficit di bilancio; se raccogliamo più spese militari per la Nato allora dovremmo ridurre le nostre spese in welfare. Il caso Skripal è dunque una scusa per cercare di addolcire il popolo europeo, di spaventarlo dicendo “sì, è meglio che paghiamo per le pistole, possiamo fare a meno delle cose importanti”. È la stessa situazione in cui erano gli Stati Uniti negli anni ’60, ai tempi della guerra del Vietnam. Queste accuse credo servano anche per comminare sanzioni che interrompano il commercio occidentale con Russia e Cina, impedendo a compagnie assicurative come la Lloyd’s di assicurare spedizioni e trasporti. Le banche direbbero che non daranno più questi servizi a Russia. E la sanzione parallela sarebbe quella di bloccare le banche statunitensi. Dal ’91, anno in cui l’Unione Sovietica è stata sciolta, il deflusso di capitali verso l’Occidente è stato di circa 25 miliardi di dollari l’anno. Ciò significa un quarto di trilione di dollari in un decennio e mezzo trilione di dollari in 20 anni. Il deflusso è continuato fino a poco tempo fa al ritmo di 25 miliardi all’anno. Proprio nelle ultime due settimane avete letto sui giornali il chiasso sulle banche lettoni, “veicoli per il riciclaggio di denaro russo”… come se l’Occidente fosse veramente sorpreso. È il motivo esatto per cui le banche lettoni sono state istituite!Già prima della caduta dell’Unione Sovietica, nell’88 ed ’89, Grigory Luchansky, che lavorava per l’Università della Lettonia a Riga, fu il vettore che diede vita al Nordex come modo per il Kgb e l’esercito russo di spostare i propri soldi fuori del paese. Miliardi di dollari all’anno hanno attraversato le varie banche lettoni negli ultimi 25 anni. La loro attività principale è stata quella di ricevere i depositi russi, per poi trasferirli in Occidente nelle banche britanniche o nelle corporations del Delaware. Sono stato per un certo periodo direttore di ricerca e professore di economia per la facoltà di legge di Riga – circa sei o sette anni fa – per cui ho avuto regolarmente a che fare col governo lettone, col primo ministro e coi regolatori delle banche. Tutti mi hanno spiegato che il precipuo scopo delle banche lettoni era quello di incoraggiare i deflussi di capitali della Russia verso l’Occidente. Dal punto di vista americano, questo era un modo per prosciugare il nemico. L’idea era quella di spingere la privatizzazione neoliberista su servizi pubblici, risorse naturali e proprietà immobiliari russi. Si diceva: «Prima di tutto, privatizzate beni pubblici come Norilsk Nickel e compagnie petrolifere come Khodorkovsky. Ora che le avete in mano, l’unico modo per guadagnare denaro, dato che non ci sono soldi rimasti in Russia, è venderli all’Occidente».E così, in pratica, hanno svenduto queste aziende accumulando enormi capitali, tramite falsa fatturazione delle esportazioni, spostando il denaro principalmente nelle banche britanniche. È per questo che si vedono i cleptocrati russi acquistare proprietà molto cospicue a Londra e rilanciare sul prezzo del patrimonio immobiliare londinese. Ora tutto questo ha tremendamente prosciugato la Russia, che ora minaccia di confiscare i beni dei cleptocrati. Questi ultimi adesso sono spaventati e stanno riportando i propri soldi in patria, lontano dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalle corporation del Delaware, dalle Isole Cayman o da dovunque li abbiano messi. Questo mentre ci sono sanzioni contro quelle banche americane che prestano soldi alla Russia. Si assiste dunque a questo immenso afflusso di dollari e sterline verso Mosca, che ora li sta usando per costruire le proprie riserve di oro. Nel tentativo di far male alla Russia, minacciandone gli oligarchi, in realtà si sta fermando l’esodo di capitali, e ciò sta avvenendo come conseguenza delle privatizzazioni.(Michael Hudson, dichiarazioni rilasciate a Michael Palmieri per l’intervista “Il retroscena economico dietro all’avvelenamento di Skripal”, pubblicata da “Counterpunch” il 6 aprile 2018 e tradotta da Hmg per “Come Don Chisciotte”. Eminente economista, professore emerito all’università del Missouri-Kansas City, il professor Hudson è stato analista finanziario e consulente finanziario a Wall Street. Tuttora presidente dell’Istituto per lo Studio delle Tendenze Economiche di Lungo Termine, nel 2012 ha partecipato al primo summit italiano sulla Mmt, Modern Money Theory, promosso a Rimini da Paolo Barnard).Chiunque abbia visto i film di James Bond sa che 007 può uccidere i propri nemici. E gli Stati Uniti ammazzano gente da anni, vedasi Allende e le decine di migliaia di leader sindacali e professori universitari. L’amministrazione Obama ha preso di mira paesi stranieri persino per i propri attacchi di droni, sminuendo le vittime civili come danno collaterale. Nessun paese straniero ha interrotto le proprie relazioni con Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele o qualsiasi altro paese che usa l’assassinio mirato come scelta politica. Questa pretesa, senza alcuna prova, che la Russia abbia ucciso qualcuno è dunque irricevibile. La domanda quindi è: perché stanno facendo questo? Perché stanno imponendo sanzioni e montando una gran campagna pubblicitaria? Per avere la risposta, facciamo un passo indietro ed analizziamo meglio questa reazione, che sembra così fuori dell’ordinario per britannici, americani e Nato. Per i neofiti, le sanzioni fanno parte di un gioco diplomatico progettato per contrastare i guadagni russi. Quando Stati Uniti e Gran Bretagna hanno imposto le proprie sanzioni bancarie, hanno giustificato la cosa dicendo che quella era un atto dimostrativo: se voi russi pensate di poter fare dei profitti, vi faremo perdere ancor più di quanto potreste guadagnare.
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Lo 007 disse alla moglie: tra poco mi uccidono. E così fu
Il 4 marzo 2018, in Inghilterra, viene trovato accasciato su una panchina l’agente segreto russo Sergeij Skripal, insieme a sua figlia. Entrambi sarebbero stati avvelenati da un gas nervino appartenente a un tipo sviluppato e prodotto dall’esercito russo (denominato A234). L’agente segreto sarebbe stato avvelenato perché avrebbe fornito informazioni ai servizi segreti di altri paesi facendo il doppio gioco e quindi tradendo Mosca. A seguito di questo fatto, assistiamo alla lapidazione del presidente russo Putin per un fatto senza senso né logica, e assistiamo alla cacciata dei diplomatici russi dalle varie ambasciate (un vero e proprio atto di guerra). Questo fatto mi ricorda una vicenda della mia infanzia, quando il padre di un mio amico del liceo, funzionario dei servizi segreti, pochi giorni prima di essere trovato morto su una panchina del paese di Bracciano, in provincia di Viterbo, disse alla sua famiglia: «Fra pochi giorni mi uccideranno; non credete alle bugie che racconteranno su di me, sappiate che sarò morto in servizio, perché nel mio lavoro funziona così. Non ci sono licenziamenti, liquidazioni, preavvisi, indennità… semplicemente, ci uccidono». E chiese alla moglie di fare una battaglia legale, per far dichiarare non il suicidio ma la “morte in servizio”. Da quel giorno, ovverosia dal giorno in cui la moglie vinse la battaglia legale con lo Stato, facendosi riconoscere la morte per stato di servizio, è invalsa nel linguaggio del servizio segreto l’espressione “è stato suicidato” per indicare un omicidio travestito da suicidio.Ora, premesso che: l’uccisione di agenti segreti è un fatto che è sempre avvenuto in tutti i tempi e in tutti i paesi, e nessuno si è mai sollevato e indignato per questo; gli agenti segreti vengono assassinati non solo dalle potenze avversarie, ma dagli stessi governi per i quali essi lavorano: quando un agente/collaboratore/consulente/funzionario è scomodo, viene semplicemente ucciso. La vita degli agenti segreti, per i governi dei vari Stati, non vale nulla (come la vita dei cittadini, del resto). Tanto meno vale la vita dei familiari, che viene spesso utilizzata come strumento di ricatto verso gli agenti stessi, per intimidirli, costringerli a determinate azioni, ecc. Basti pensare – tra i casi di cui ci siamo occupati nel nostro sito – al caso di Davide Cervia; al caso Nicola Calipari; all’assassinio di Mario Ferraro, trovato impiccato al portasciugamani del suo bagno; a Giovanni Aiello detto “faccia da mostro”; a Luciano Petrini, ucciso a colpi di portasciugamano mentre stava facendo una perizia informatica sulla morte del colonnello Ferraro… Tutti agenti o collaboratori dei servizi segreti, uccisi perché, molto semplicemente, erano diventati scomodi. Per uccidere un uomo, ci sono decine se non centinaia di modi, alcuni invisibili, altri più eclatanti, come le armi da sparo, ma molto più sicuri (vedi il nostro articolo “Come uccidere un uomo senza lasciare traccia”); ci sarebbe da domandarsi perché Putin abbia scelto un mezzo così eclatante per un’operazione del genere; e perché proprio adesso (dato che il doppio gioco di Skripal era noto da anni ai russi, tanto è vero che nel 2004 aveva subito un procedimento penale proprio per alto tradimento).La domanda da farsi quindi è: cosa cela veramente questa vicenda? Dal momento che i fatti veicolati dai mass media nascondono in realtà messaggi tra vari poteri, il cui contenuto possiamo intuirlo dal tipo di parole e messaggi utilizzati nella veicolazione delle varie informazioni, la domanda che possiamo porci è: premesso che Putin ha da poco concluso con la Germania un accordo (North Stream 2) per la costruzione di un gasdotto, e tale accordo è mal visto dagli Usa, dato che nelle notizie relative alla spia russa si parla di “gas”, è possibile che questa vicenda nasconda una serie di messaggi intimidatori a Putin, proprio per la vicenda del gasdotto? La nostra è solo una domanda, e forse siamo anche fuori strada, trattandosi solo di un’intuizione. Ma certamente non siamo fuori strada nel capire che questa vicenda è solo una montatura, e Putin non c’entra probabilmente nulla con l’assassinio della spia. A Londra, come a qualunque altro governo, non interessa certamente la vita di un agente segreto, per giunta appartenente ad un altro governo. La vicenda è quindi solo il pretesto ufficiale, per condurre un altro tipo di guerra per interessi che non possono essere esplicitati alle masse.(Paolo Franceschetti, “Caso Skripal, perché si uccide un agente segreto”, dal blog “Petali di Loto” del 30 marzo 2018).Il 4 marzo 2018, in Inghilterra, viene trovato accasciato su una panchina l’agente segreto russo Sergeij Skripal, insieme a sua figlia. Entrambi sarebbero stati avvelenati da un gas nervino appartenente a un tipo sviluppato e prodotto dall’esercito russo (denominato A234). L’agente segreto sarebbe stato avvelenato perché avrebbe fornito informazioni ai servizi segreti di altri paesi facendo il doppio gioco e quindi tradendo Mosca. A seguito di questo fatto, assistiamo alla lapidazione del presidente russo Putin per un fatto senza senso né logica, e assistiamo alla cacciata dei diplomatici russi dalle varie ambasciate (un vero e proprio atto di guerra). Questo fatto mi ricorda una vicenda della mia infanzia, quando il padre di un mio amico del liceo, funzionario dei servizi segreti, pochi giorni prima di essere trovato morto su una panchina del paese di Bracciano, in provincia di Viterbo, disse alla sua famiglia: «Fra pochi giorni mi uccideranno; non credete alle bugie che racconteranno su di me, sappiate che sarò morto in servizio, perché nel mio lavoro funziona così. Non ci sono licenziamenti, liquidazioni, preavvisi, indennità… semplicemente, ci uccidono». E chiese alla moglie di fare una battaglia legale, per far dichiarare non il suicidio ma la “morte in servizio”. Da quel giorno, ovverosia dal giorno in cui la moglie vinse la battaglia legale con lo Stato, facendosi riconoscere la morte per stato di servizio, è invalsa nel linguaggio del servizio segreto l’espressione “è stato suicidato” per indicare un omicidio travestito da suicidio.
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Bugie su Mosca da un’Europa in pezzi. L’Italia? Obbedisce
Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».Quanto alle dichiarazioni del governo britannico, la stessa May continua a dire che «è altamente probabile» che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. «Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi», aggiunge Foa. E nel comunicato congiunto diffuso da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma “sviluppato” non significa prodotto in Russia: «Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come “fabbricato” – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa», che pertanto «andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa, non come un verdetto». La stampa dovrebbe mostrare maggior cautela, specie dopo le maggiori “fake news” che ha propagato, dalle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein fino alle prove “incontrovertibili” (ma altrettanto inesistenti) della responsabilità di Assad nella strage coi gas nel 2013 (armi chimiche in realtà usate dai “ribelli” siriani per provocare un intervento della Nato).Come risalire addirittura a Putin nel giro di poche ore, soprattutto conoscendo l’efficienza dell’ex Kgb? Molto eloquente, sottolinea Ivan Giovi sul blog di Aldo Giannuli, la volontà di non mostrare la provetta che dimostrarebbe la produzione russa del gas nervino utilizzato contro Skripal, nonostante Boris Johson si sia scagliato contro il Cremlino, non a caso alla vigilia delle elezioni russe. Marcello Foa insiste: siamo regolarmente sommersi da “fake news” veicolate non dal web, ma dai grandi media. Penultimo esempio: sempre in Siria, nel 2107, Amnesty International e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un “formo crematorio” in cui venivano “bruciati i ribelli”, «rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano». Avverte Foa: «Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”».Le istantanee adesioni europee alla condanna unilaterale inglese contro la Russia, scrive Giovi, fanno pensare a un tentativo di compattamento dei ranghi della Nato, «che sembra ormai tutto tranne che un’alleanza». Ovvero: più che un alleato, la Turchia «ormai sembra sempre più una spina nel fianco di Europa e Usa», mentre la Germania «ha intrapreso una guerra commerciale con gli Stati Uniti trascinando con sé tutta Europa». Dal canto loro, gli Usa «si lamentano in continuazione con gli Stati europei perché non contribuiscono abbastanza alla difesa comune». Tendenza in corso: ricompattare i ranghi della Nato ingigantendo il reale potere dei russi e «trovando pretesti assurdi per incolparli di qualsivoglia evento accaduto nel mondo occidentale (leggasi hacker russi che interferiscono con elezioni di mezzo mondo)». Senza peraltro riuscire nello scopo, «perché l’influenza russa negli ultimi anni si è estesa sempre di più, basti pensare alla Turchia che ha palesemente cambiato sponda o alla in Siria dove il vincitore a breve sarà nettamente Vladimir Putin». In questo quadro, Maurizio Blondet inserisce anche il giro di vite contro l’uomo che per primo ha smontato la propaganda militare Usa, mettendo in piazza i crimini commessi in Iraq: Julian Assange. L’averlo isolato – senza più Internet – per ragioni diplomatiche (buon vicinato con gli inglesi) rappresenta «una stretta imposta dal governo britannico nell’ambito dell’offensiva europea e americana contro tutte le voci libere».Per Blondet, si tratta di «un atto di barbarie identico (e connesso) alle espulsioni dei diplomatici russi sotto accuse spudoratamente false: una vera congiura della dittatura totalitaria occidentale in corso di consolidamento, una volontà di precipitare il conflitto con la Russia». Lo stesso Blondet ricorda che la Commissione Europea ha appena presentato un “Piano d’azione sulla Mobilità Militare” che obbligherà tutti i paesi membri a lasciare libero il passo agli eserciti Nato sul proprio territorio. Come sottolinea Thierry Meyssan, non si parla solo di eserciti europei: nella Nato, oltre agli Usa, c’è la Turchia. Per Blondet, questa misura «è l’identificazione finale della “Unione Europea” con l’Alleanza Atlantica, l’inglobamento dell’organizzazione essenzialmente economica nella lega militare oggi in postura offensiva». A 25 Stati membri viene ordinato di fornire carte delle loro vie di comunicazione (ferrovie, porti, aeroporti) nonché di precisare i lavori necessari per rendere praticabili ponti e le loro gallerie per i mezzi cingolati. «Dovranno anche cancellare le leggi e i regolamenti in vigore che vietano – o regolamentano – il trasporto di armamenti e materiali bellici sul loro territorio: è una Schengen per la guerra».Trionfante, Federica Mogherini – ancora lei, benché il governo che l’ha piazzata a Bruxelles non esista più – accoglie il progetto con entusiasmo: «Facilitando la mobilità militare nella Ue, siamo più efficaci nel prevenire crisi, più efficienti nel dispiegare le nostre missioni e più rapidi nel reagire quando sorgono delle sfide». “Prevenire crisi”, secondo Blondet, va inteso nei due sensi: «Secondo documenti interni all’Alleanza, la mobilità militare non serve solo per far correre le forze alle frontiere contro la Russia; servirà anche in caso di sollevazione popolare all’interno di uno degli Stati membri». Noi italiani non potevamo fare altrimenti che espellere diplomatici russi, pur con il già defunto governo Gentiloni? Non è vero, sottolinea Blondet: sono sono tutti così servili. Austria, Grecia e Portogallo si sono rifiutati di accodarsi a Londra, Parigi, Berlino e Roma. L’ha fatto anche la Repubblica Ceca: «Voglio vedere le prove», ha avvertito il presidente ceco Milos Zeman, rifiutando di compiere azioni ostili contro Mosca. Una dignità politica inesistente in Italia, la cui nave della Saipem per trivellazioni marittime è stata allontanata dalle acque di Cipro (sotto minaccia della flotta turca) senza che fiatasse il governo di Roma, in cui soccorso non è intervenuto nessuno – né l’Ue, né la Nato, cioè le potenze che dall’Italia poi ottengono obbedienza immediata se si tratta di colpire Mosca.E vogliamo parlare del “partner” Germania? «Mentre noi applichiamo le sanzioni alla Russia – aggiunge Blondet – Berlino ha appena firmato e confermato il North-Stream 2, il gasdotto baltico con la Russia, a dispetto delle proteste di Polonia, paesi baltici e Usa. Con quale motivazione? Che il gasdotto è una realizzazione “economica”, non politica». Dalla “guerra” con la Russia, invece, l’Italia ha riportato enormi danni. Secondo dati ufficiali Eurostat, fino a inizio 2017 il trend delle esportazioni italiane nella Federazione Russa era in crescita, con 10,8 miliardi di euro. Le importazioni, invece, ammontano a circa 20 miliardi di euro, principalmente nel settore degli idrocarburi e delle materie prime. Oltre 400 sono le imprese italiane che operano in Russia e circa 70 gli stabilimenti produttivi realizzati nella Federazione (tra questi le installazioni Eni, Indesit, Marcegaglia, più le filiali Intesa SanPaolo e Unicredit). «E’ chiaro che il vero nostro partner è la Russia», non certo i nostri “alleati” euro-atlantici. E se il Pd è rimasto sempre allineato ai diktat “imperiali”, solo Salvini ha eccepito sull’ultima offensiva antirussa. Di Maio? «Sulla questione degli espulsi russi ha taciuto: zitto zitto, per non dispiacere all’ambasciatore Usa e ai padroni del vapore in generale». In sostanza: neppure la nuova politica emersa il 4 marzo protegge l’Italia dalle “pazzie” geopolitiche in corso, riesplose subito dopo l’annuncio di Putin: grazie a nuovissimi missili nucleari iper-sonici “imparabili”, la Russia è al riparo da attacchi atomici. Putin chiede pace? L’Occidente risponde con una guerra di menzogne.Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti, contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».