Archivio del Tag ‘Vittorio Mangano’
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Travaglio: giusto scavare su Berlusconi, mafia e terrorismo
Com’era prevedibile soprattutto da lui, il violento attacco di Renzi alla Procura di Firenze che indaga sull’ipotesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ‘92-93 ha scavalcato Salvini, Meloni e i vertici di Forza Italia (molto più prudenti) e suscitato l’entusiasmo del “Giornale” di Sallusti, oltre che le congratulazioni di molti “garantisti” dell’area Pd. Marco Travaglio, sul “Fatto”, spiega perché non sarebbe affatto “assurda” l’iniziativa degli inquirenti toscani contro il Cavaliere. «Forse, a distanza di 26-27 anni», afferma Travaglio, l’ipotesi investigativa «non troverà prove sufficienti per sfociare in un processo». Eppure, alla luce dei fatti accertati, è «pienamente logica, plausibile e coerente» con la storia del rapporto tra Cosa Nostra e la politica berlusconiana. La premessa del direttore del “Fatto” è semplice: crollata la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite, sia la mafia che il patron di Mediaset vedevano crollare i loro tradizionali partiti di rifemento: «E’ così assurdo pensare che concordassero sull’urgenza di farne uno nuovo che li garantisse entrambi?». D’accordo, ma che c’entra Berlusconi con la mafia? Nella sentenza che lo condanna in via definitiva, la magistratura afferma che Marcello Dell’Utri, dal 1974 al 1992, era stato il «mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa Nostra».Patto? Secondo altri analisti, è possibile che Berlusconi si sia visto costretto a fronteggiare le cosche, dalle quali era stato pesantesente minacciato in senso estorsivo. All’inizio del ‘93, scrive invece Travaglio, i boss mafiosi Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella progettarono il partito autonomista “Sicilia Libera”, per poi scioglierlo a fine anno «per fare campagna elettorale alla neonata Forza Italia». Nel novembre di quell’anno, le agende di Dell’Utri registrano due incontri con Vittorio Mangano, uscito di galera 19 anni dopo l’ingaggio come “fattore” ad Arcore. «Di che parlavano i due? Del partito che Dell’Utri stava creando o – come giura lui – dei problemi di salute di Mangano?». Il 19-20 gennaio del ’94, Giuseppe Graviano, è a Roma: il boss di Brancaccio convoca il suo killer di fiducia, Gaspare Spatuzza (già autore materiale delle bombe in via D’Amelio, via dei Georgofili, via Palestro e alle due basiliche romane) al Bar Doney di via Veneto. Il bar, osserva il direttore del “Fatto”, è proprio «di fronte all’hotel Majestic, dove all’epoca soggiorna Dell’Utri per selezionare i candidati di Forza Italia». Lì – racconterà Spatuzza – il boss gli confida che Berlusconi e Dell’Utri «ci stanno mettendo l’Italia nelle mani», ma occorre il «colpo di grazia», ovvero: l’attentato all’Olimpico di Roma.Perché Spatuzza, pentito sempre puntualmente “riscontrato” a partire dalla confessione su via D’Amelio che spazzò via i depistaggi, dovrebbe inventarsi proprio quella frase? Il 23 gennaio, a due mesi dalle elezioni anticipate – continua Travaglio – Cosa Nostra tenta ma fallisce l’attentato all’Olimpico. «La strage è rinviata a una domenica successiva. Ma il 26 gennaio, col famoso videomessaggio, B. “scende in campo”. Il 27 i fratelli Graviano vengono arrestati a Milano (dove hanno procurato un lavoro a un loro favoreggiatore che deve seguire il figlio calciatore, dopo un provino nei pulcini del Milan ottenuto grazie all’interessamento di Dell’Utri). Cosa Nostra annulla la strage allo stadio e depone le armi: i boss sparavano da due anni a casaccio, o erano un po’ stanchini, o non volevano disturbare il partito amico?». Vinte le elezioni del ‘94 Berlusconi va al governo «e vara subito il decreto Biondi, con tre norme pro mafia, anticipate da Dell’Utri a Mangano nei loro incontri nella villa di Como», scrive Travaglio. Intanto, anche da premier e dopo tutte le stragi, Berlusconi «continua a pagare 250 milioni di lire ogni sei mesi a Cosa Nostra». Si domanda il direttore del “Fatto”: «La pax mafiosa sta dando i primi frutti, o anche queste sono coincidenze?».Nel 1996 il boss Salvatore Cancemi, già membro della Commissione di Cosa Nostra e ora pentito (il più alto in grado della storia d’Italia), parla di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi. «Lo seguiranno decine di altri collaboratori di giustizia», scrive Travaglio. «Ma, anche fingendo che non esistano, c’è il boss irriducibile Giuseppe Graviano che, intercettato in carcere nel 2016-2017, racconta le stragi al compagno d’ora d’aria come di “una cortesia” chiesta da “Berlusca”». A quanto pare, Cancemi freme d’ira contro Berlusconi perché 25 anni prima, dice, «mi sono seduto con te, mangiato e bevuto», «ti ho portato benessere», e ti invece «hai fatto il traditore», «mi hai pugnalato», «mi stai facendo morire in galera». Conclude Travaglio: perché mai, parlando delle stragi, Cancemi dovrebbe tirare in ballo Berlusconi e infuriarsi per il presunto tradimento, al punto di progettare un ricatto ai suoi danni? «Si annoiava? Voleva divertirsi?». O davvero, invece, Berlusconi e Dell’Utri «nel ‘93-94 gli avevano chiesto e promesso qualcosa?». Per questo, Travaglio invita «Renzi e gli altri mafiologi della mutua» a fornire «la loro versione dei fatti», visto che l’iniziativa giudiziaria su Berlusconi li scandalizza tanto.Com’era prevedibile soprattutto da lui, il violento attacco di Renzi alla Procura di Firenze che indaga sull’ipotesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni delle stragi del ‘92-93 ha scavalcato Salvini, Meloni e i vertici di Forza Italia (molto più prudenti) e suscitato l’entusiasmo del “Giornale” di Sallusti, oltre che le congratulazioni di molti “garantisti” dell’area Pd. Marco Travaglio, sul “Fatto”, spiega perché non sarebbe affatto “assurda” l’iniziativa degli inquirenti toscani contro il Cavaliere. «Forse, a distanza di 26-27 anni», afferma Travaglio, l’ipotesi investigativa «non troverà prove sufficienti per sfociare in un processo». Eppure, alla luce dei fatti accertati, è «pienamente logica, plausibile e coerente» con la storia del rapporto tra Cosa Nostra e la politica berlusconiana. La premessa del direttore del “Fatto” è semplice: crollata la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite, sia la mafia che il patron di Mediaset vedevano crollare i loro tradizionali partiti di riferimento: «E’ così assurdo pensare che concordassero sull’urgenza di farne uno nuovo che li garantisse entrambi?». D’accordo, ma che c’entra Berlusconi con la mafia? Nella sentenza che lo condanna in via definitiva, la magistratura afferma che Marcello Dell’Utri, dal 1974 al 1992, era stato il «mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa Nostra».
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Il Gigante Silvio: se torna da Santoro vince le elezioni
Ha detto diverse clamorose cazzate, è vero: ma che bravo. Straordinario. Un controllo totale della scena, una capacità di parlare a braccio fuori dal comune, una proprietà di linguaggio esemplare. Mai nervoso, sempre pronto a schivare le trappole, impietoso nel mettere in difficoltà l’avversario. Silvio Berlusconi è un nano della politica ma un gigante della comunicazione e da Santoro lo ha dimostrato in maniera strepitosa. Una trasmissione secondo me impostata malissimo, con una prima parte molto lenta, e che il conduttore ha dovuto riprendere in pugno per evitare che si inabissasse. Silvio intanto furoreggiava, prendeva a pallate tutti, capace perfino di dire cose sensate e di dare lezioni di economia internazionale (sul comunismo avrà pure delle convinzioni datate, ma sui meccanismi che regolano i mercati non si può certo dire che non abbia le idee chiare).
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I giudici: Dell’Utri mediò fra Cosa Nostra e Berlusconi
Il senatore Marcello Dell’Utri avrebbe svolto una attività di “mediazione” e si sarebbe posto quindi come “specifico canale di collegamento” tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Palermo nelle motivazioni, depositate il 19 novembre, della sentenza con la quale Dell’Utri è stato condannato il 29 giugno scorso a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, Dell’Utri «ha apportato un consapevole e valido contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso».
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Intercettazioni, Ingroia: chi ha paura della verità
Le intercettazioni sono decisive per la lotta alla mafia: senza di esse, le prove sarebbero spesso soltanto indiziarie, affidate alle sole rivelazioni dei pentiti. La mafia le teme, perché sa che proprio dalle intercettazioni sono nate le vittorie dell’antimafia, e non solo. Alcuni “misteri” italiani, tra cui l’assassinio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, potrebbero essere risolti grazie alla rilettura di registrazioni. Lo afferma da Palermo il procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia, autore di un lungo intervento su “Il Fatto Quotidiano” che ricostruisce il ruolo strategico delle intercettazioni nella lotta al crimine in Italia.
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Stato-mafia, il caso Borsellino e tutte quelle coincidenze
Le date sono importanti. Proviamo a fare un breve riepilogo dei fatti che sono stati finora accertati su quei due anni di stragi e di trattative, poi i magistrati decideranno se ci sono pure dei reati e chi li ha commessi. Si parte dal 30 gennaio del ’92. Prima di Mani Pulite, la Cassazione conferma a sorpresa le condanne del maxi-processo per i boss di Cosa Nostra. Riina fa subito ammazzare Salvo Lima e Ignazio Salvo, fedelissimi di Andreotti in Sicilia. Avevano promesso l’assoluzione e non hanno mantenuto, oppure questa è una coincidenza?