Archivio del Tag ‘vittime’
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Noi, docili cretini cerebrolesi: avvelenati da cibo e farmaci
Avvelenati per decenni dal cibo e dai farmaci, per costruire una società di automi. E’ la tesi di Roberto Marocchesi, basata su ricerche che studiano gli effetti neurologici dell’assunzione di sostanze chimiche contenute negli alimenti e nei medicinali. «Ci sono più di cinquemila specie di mammiferi sul pianeta, ma solo una di loro è “pazza”»: solo l’homo sapiens «volutamente avvelena pure i suoi figli, iniettando tossine e sostanze chimiche neurolesive nella maggior parte dei membri della specie». Mammiferi, uccelli, rettili e insetti hanno almeno cinque caratteristiche in comune: nessuno di loro mangia alimenti trasformati, assume farmaci, contamina la prole con vaccini tossici tenuti insieme da prodotti chimici nascosti, pratica l’agricoltura meccanizzata chimica e la monocoltura. E nessuno di loro, ovviamente, filtra la realtà in modo artificiale attraverso la Tv o Internet. L’uomo, invece, «la specie più folle del pianeta», s’impegna abitualmente in tutte e cinque queste cose, «avvelenando il corpo, la mente e i propri figli con metalli pesanti, pesticidi, mercurio, conservanti, farmaci che alterano la mente, solventi chimici, Ogm e deliri di programmazione mentale».
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Siria, come regalare il Medio Oriente a sauditi e terroristi
E’ il 1990 quando la giovane kuwaitiana Nayirah racconta di aver aver visto i soldati iracheni «strappare i bambini dalle incubatrici per lasciarli morire sul pavimento». Indignazione mondiale, rafforzata dalla conferma di Amnesty International. Quanto basta a George Bush per scatenare la prima guerra contro Saddam. Poi, a cose fatte, si scopre che quella testimonianza era falsa, inventata di sana pianta: i soldati iracheni non avevano mai allungato le mani sui neonati. Peggio: la giovane “testimone” Nayirah al-Sabah era in realtà la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano, e aveva «recitato un pezzo preparato dalla società di comunicazione Hill & Knowlton, ingaggiata dall’emirato per favorire la liberazione del paese». Ancor più celebre, ricorda il condirettore di “Geopolitica”, Daniele Scalea, è il caso delle “armi di distruzione di massa” attribuite all’Iraq, cioè il casus belli la seconda Guerra del Golfo, nel 2003. Un copione che ricorda quello di oggi a Damasco: gli ispettori Onu che non trovano prove di responsabilità e Washington che punta sull’uso unilaterale della forza.
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Così Obama disonora la memoria di Martin Luther King
Le differenze tra Martin Luther King e Barack Obama non potrebbero essere più evidenti: «L’unica cosa che hanno in comune è il colore della pelle», sentenzia Tony Cartalucci, anche se «i canali d’informazione occidentali sono riusciti a tracciare delle linee di congiunzione tra queste due figure diametralmente opposte». Con la sua apparizione al Memoriale di Lincoln, secondo l’Associated Press l’attuale presidente Usa «era certo di rappresentare la realizzazione del sogno di centinaia di migliaia di persone che manifestarono lì nel lontano 1963», perché Obama «incarna il sogno e la lotta di King». Solo perché è nero, obietta Cartalucci, «o perché interpreta davvero quegli ideali di giustizia, uguaglianza e pace per cui Martin Luther King Jr. si è battuto durante tutta la sua vita e per i quali è morto?». Risposta: «Non esiste modo peggiore di offendere la memoria di Martin Luther King di quello di paragonarlo al presidente Obama, servo di un meccanismo che produce le più gravi disuguaglianze e ingiustizie sulla Terra, alimentato proprio da quegli “interessi corporativi” tanto avversati da King in tutta la sua vita e a causa dei quali probabilmente fu ucciso».
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Meyssan: ma gli occidentali sono pronti a colpire Damasco?
Chi ha usato le armi chimiche alla periferia di Damasco il 21 agosto 2013? Riuniti in emergenza all’Onu su richiesta degli occidentali, racconta il giornalista francese Thierry Meyssan, gli ambasciatori sono rimasti sorpresi nel vedere il loro collega russo presentar loro delle foto satellitari che mostrano il tiro di due obici alle ore 01:35 del mattino, dalla zona ribelle di Duma verso le zone ribelli colpite dai gas, cioè Jobar e l’area compresa tra Arbin e Zamalka, in orari coincidenti con la strage. Le foto, aggiunge Meyssan, non ci consentono di sapere se quei cannoni fossero stati dotati di proiettili chimici, ma lasciano pensare che la “Brigata dell’Islam” che occupa Duma abbia preso ben tre piccioni con una fava: rimuovere il sostegno dei suoi rivali in seno all’opposizione, far accusare la Siria di aver fatto ricorso alle armi chimiche e interrompere l’offensiva dell’esercito siriano volta a liberare la capitale.
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Stiamo precipitando verso la guerra: Grillo se n’è accorto?
Sulla “soggezione” verso la Bonino del “Movimento Cinque Stelle” (dove, forse, c’è ancora qualcuno che rimpiange non vederla presidente della Repubblica) avevo già scritto ai tempi della prima “uscita pubblica” dei parlamentari della Commissione Esteri. Credevo che, da allora, le cose fossero migliorate. Non è così. E riparliamo quindi della Bonino e, soprattutto, di un avverbio da lei usato: “attivamente”. Ecco un estratto del suo testo da lei letto, il 26 agosto 2013, al “Forum sulla politica estera”: «Comunque, l’Italia non prenderebbe attivamente parte ad azioni militari contro la Siria deliberate al di fuori del Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Testo da lei riletto, il 27 agosto 2013, nella riunione su Egitto e Siria della “Commissioni affari esteri congiunte Senato e Camera” alla presenza – ahinoi! – di deputati e senatori Cinque Stelle (che, ci auguriamo, avevano già avuto modo di documentarsi sulle posizioni espresse dalla Bonino il giorno prima).
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Lavrov: chi teme la pace non esita a uccidere i bambini
Perché proprio adesso la strage con le armi chimiche, che secondo le Ong avrebbe fatto almeno 350 morti – tra cui molti bambini – alla periferia di Damasco? Forse, per sabotare la conferenza di Ginevra in programma tra gli Usa e il principale protettore della Siria, la Russia: conferenza che, ammette il ministro degli esteri di Mosca, Sergej Lavrov, si sarebbe tenuta a settembre, ma ormai sembra destinata ad essere cancellata dal rumore delle armi, dopo che Obama ha dichiarato che il regime di Assad avrebbe “oltrepassato la linea rossa” rappresentata dall’uso di armi di distruzione di massa. Vero? «Non esistono prove». E, mentre Damasco smentisce facendo leva sulla ragione («Non siamo pazzi, abbiamo addosso gli occhi del mondo: come potremmo commettere un autogol simile?»), lo stesso Lavrov precisa un dettaglio che i media occidentali trascurano: anche se Obama sostiene di poter attaccare la Siria senza l’ok delle Nazioni Unite, gli osservatori Onu a Damasco non hanno neppure il mandato per scoprire chi sia stato, davvero, a compiere la strage.
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E ora eccoci serviti, dopo settant’anni di quasi-democrazia
Il 2 agosto 1980 è la data che viene segnata dalla peggior strage avvenuta in Italia dal secondo dopoguerra. Alla stazione di Bologna morirono 85 persone dilaniate da un ordigno collocato nella sala di seconda classe e furono oltre 200 i feriti. A tutt’oggi è rimasta inascoltata la domanda di verità che i parenti delle vittime e un’intera città chiedono con forza a uno Stato sordo e volutamente reticente. E ogni anno si rinnova questa richiesta, ritorna in piazza una protesta sacrosanta verso le autorità del momento, che tanto parlano ma nulla fanno. Il segreto di Stato rimane la pietra tombale su questa e altre vicende. Molto è stato detto e scritto su quella maledetta mattina, e non è qui mia intenzione entrare nel merito di questo specifico evento. Questo mio contributo intende piuttosto delineare un quadro generale e una traiettoria dalla “democrazia” e della politica italiana, condizionata da sempre dall’azione legale e criminale di poteri forti del tutto interni e ai posti di comando nella società italiana e in un contesto internazionale.
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Calabresi solo una pedina, chi c’era nella stanza di Pinelli?
Scriveva Louis-Ferdinand Céline che la verità si dice arrangiandola. Non pochi libri-inchiesta, romanzi storici e film documentari sulla “madre di tutte le stragi” – ovvero la bomba che esplose il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano – sembrano aver preso alla lettera il suggerimento dello scrittore francese, al punto da arrangiare a proprio uso e consumo uno dei fatti storici che hanno segnato la Repubblica italiana nel secondo dopoguerra. A che fine? Per confondere ancor più le acque di una vicenda così torbida sul piano giuridico (ben sette i processi conclusi con l’assoluzione di tutti gli accusati, peraltro alcuni in seguito condannati per altre stragi, mentre altri si gioveranno della prescrizione) ma così limpida sul piano storico, da esser scritta sui muri di questo paese fin dai giorni successivi al terribile atto terrorista: “La strage è di Stato. Valpreda è innocente. Pinelli non si è suicidato”.
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Libro-choc: c’era George Bush dietro all’omicidio Kennedy
A mezzo secolo dal fatale attentato di Dallas del 22 novembre 1963 si scopre che, oltre ai nomi già noti – Lyndon Johnson, Allen Dulles e Edgar Hoover – c’era un politico di prima grandezza dietro al complotto per assassinare John Fitzgerald Kennedy. Si tratta nientemeno che di George Bush padre, secondo la clamorosa ricostruzione offerta da un libro che uscirà negli Usa in ottobre, firmato dall’ex stratega repubblicano Roger Stone, già braccio destro di Richard Nixon, a sua volta coinvolto per la “copertura” del piano. Secondo Stone, fu Nixon – quand’era ancora un semplice deputato al Congresso – ad assoldare Jack Ruby, cioè Jacob Leon Rubinstein, l’uomo che poi assassinò il “capro espiatorio” Lee Harvey Oswald poche ore dopo il suo arresto-lampo. Ma – questa è la novità clamorosa – dietro le quinte c’era la regia occulta del futuro presidente Bush, padre di George W., poi capo della Cia prima di ascendere alla Casa Bianca. All’epoca fu spedito a Dallas come leader dei repubblicani del Texas e garante della potentissima lobby dei petrolieri texani, direttamente minacciata dai Kennedy. Un incrocio pericoloso – tenuto nascosto per decenni – fatto di depistaggi, omissioni, intimidazioni, menzogne e omicidi per eliminare testimoni scomodi.
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Siria, gas nervini: la sinistra efficacia di un evidente falso
Potrebbe avere conseguenze ancora peggiori delle “solite” l’attuale, ancora virulenta, campagna condotta da numerosi media mainstream (in testa, ovviamente, le “anime belle” della “sinistra”) sull’uso di gas nervini da parte del governo Assad. Le solite stantie “notizie” sulle “armi di distruzioni di massa” in mano al Saddam di turno per giustificare un ennesimo intervento dell’Occidente, una guerra? Forse, questa volta, non è così. Partiamo dalle considerazioni più ovvie. Intanto, cui prodest? Che interesse avrebbe oggi Assad, sotto gli occhi degli osservatori dell’Onu appena arrivati in Siria, a usare i gas alla periferia di Damasco? E poi per ottenere militarmente cosa? Dopo due anni di guerra l’esercito siriano sta riconquistando tutte le roccaforti prese dai “ribelli” (che, tra l’altro, si stanno letteralmente scannando tra di loro) e gli stessi media mainstream occidentali sono costretti a riprendere, sempre di più, il vero volto di questa guerra di invasione.
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Lo Stato più canaglia di tutti, da Hiroshima in poi
Occorre smetterla di definire le atomiche su Hiroshima e Nagasaki “operazioni belliche”. Eccidi di massa di così vasta portata non meritano questo appellativo, che ha il sapore di “accordi di Ginevra” e di regole che gli Stati si sono dati nei secoli, almeno sulla carta, e che hanno cercato quanto meno di non coinvolgere direttamente i civili nei conflitti bellici. Per altro il Giappone era ormai stremato e fare leva sullo spirito di sacrificio dei soldati del Sol Levante è puramente strumentale. Volendo anche solo per un istante guardare la cosa da un punto di vista bellico, agli Usa sarebbe bastato far deflagrare un ordigno atomico al largo delle coste nipponiche, a distanza di sicurezza dalla popolazione. I giapponesi avrebbero capito e capitolato, nonostante la fanatica caparbietà dei gruppi dirigenti e della casta militare. Del resto era solo questione di settimane, la guerra stava già volgendo al termine.
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El Sebaje: la brutalità dei militari o la fine dell’Egitto
«Immagino ora vogliate sapere come andrà a finire in Egitto: e allora, se non avete il cuore tenero, ve lo dico». L’unica alternativa alla guerra civile, sostiene un osservatore speciale come Sherif El Sebaje, giornalista e attivista per i diritti umani, è una repressione durissima, sperando che la strage sia “contenuta”, nonostante tutto, nella sua durata e nel “tributo di sangue”. Unica soluzione, dice, per aggirare quello che considera un cinico calcolo dei Fratelli Musulmani: suscitare l’indignazione del mondo e distruggere un Egitto che non potrebbero più governare. «Premetto che la soluzione che qui di seguito verrà illustrata non è quella che mi piace o quella che suggerisco, ma è quella che verrà molto probabilmente adottata in base ai dati e ai segnali che percepisco». Ed è anche quella che ha storicamente funzionato con la Fratellanza egiziana: «Stiamo parlando della cura Nasser. E non a caso, visto che il generale El Sissi viene spesso paragonato dagli egiziani che lo sostengono al leader degli anni ‘50 e che persino la figlia di Nasser l’ha pubblicamente invitato a candidarsi come presidente».