Archivio del Tag ‘vittime’
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Dall’11 Settembre, demolizione controllata dell’umanità
Te la ricordi, quella vecchia storia? Gli aerei che picchiano contro i palazzi? L’America indifesa, il mondo attonito. L’inferno del fumo, le vittime, i soccorritori intossicati e sepolti dalla cenere. Quanto tempo è passato, da allora? Vent’anni. Cioè niente, in teoria, per i tempi della storia. In questo caso, invece, vent’anni sono tutto. Perché ci sono eventi che forgiano il presente, lo rifondano. Sono avvenimenti esiziali, rispetto ai quali esiste un dopo e un prima. Come si viveva, prima? Si era relativamente liberi, mediamente infelici oppure allegri, spensierati, ordinariamente annoiati o magari indignati dalla contabilità delle ingiustizie. La sensazione era che ogni avversità fosse comunque affrontabile, ogni opinione esprimibile e ogni soluzione discutibile, e che le conseguenze non fossero immediatamente globali. Buoni e cattivi recitavano insieme, nell’avanspettacolo della geopolitica, cioè ai piani bassi dove conta davvero il soldo, la paga del mercenario, il cospicuo fatturato occulto dei mandanti.
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Linee di sangue: dominano da 2000 anni, sempre loro
Finì nelle mani dell’“odinico” Ataulfo, cognato di Alarico e sposato con una donna di origine giudaica, il tesoro che il romanizzato capo dei Visigoti aveva sottratto ai forzieri di Roma? E in quell’immane bottino (tonnellate di oro di argento, ufficialmente sparite nel nulla) c’era anche il tesoro del Tempio di Gerusalemme, che l’ebreo Giuseppe Flavio aveva ceduto a Vespasiano? E in cambio di cosa? Di un ruolo di leadership nell’impero che, più tardi, sarebbe diventato cristiano per volere di Costantino e di Teodosio, a loro volta imparentati con le “famiglie farisee” che avevano fondato a tavolino la nuova religione basata sul peccato originale, quindi sul senso di colpa, a scopo di sottomissione. Quello che pochi raccontano – rivela Nicola Bizzi – è la comune origine delle dinastie reali europee: normanni e scandinavi, inglesi e russi, casati come gli Asburgo e i Lorena, e prima ancora Merovingi e Carolingi. «Hanno retto il potere per secoli, vantando la loro discendenza (vera o presunta) con la famiglia di Cristo. E questi signori sono al timone ancora oggi».«Cosa lega tanti personaggi che tuttora reggono le redini del pianeta? Sono poche famiglie, sempre le stesse, da secoli. Sono unite da legami di sangue, ed esercitano il potere sostenendo di discendere direttamente da Gesù Cristo, o comunque dalla stirpe davidica. Ne emerge una realtà insospettabile, imbarazzante. Ne hanno trattato autori come Diego Marin e Riccardo Tristano Tuis, cogliendo alcuni aspetti essenziali. E ne ha parlato anche Paolo Rumor nel libro “L’altra Europa”, scritto con Giorgio Galli e Loris Bagnara. Secondo un dossier rimasto segreto per decenni, un’unica entità di potere – la Struttura – reggerebbe il mondo da qualcosa come 12.000 anni, attraverso imperi, Stati e religioni. La data non è casuale: corrisponde alle recenti acquisizioni della geofisica, secondo cui la Terra sarebbe stata sconvolta da una “pioggia cometaria” attorno al 10800 avanti Cristo; la seconda ondata, nel 9600, avrebbe provocato immani cataclismi e l’innalzamento degli oceani di 150 metri, fino a ridisegnare la geografia terrestre.L’importanza delle civiltà preesistenti viene regolarmente omessa, nella storiografia ufficiale, ormai messa in crisi da scoperte archeologiche come quella di Göbekli Tepe, in Turchia: un enorme complesso cerimoniale, prediliviano, interrato in prossimità della catastrofe, il Grande Diluvio. E’ lecito supporre che fu proprio l’immane calamità a spingere i pochissimi sopravvissuti a riunirsi: e i primi a farlo devono esser stati i Re-Sacerdoti, depositari della vera conoscenza, ereditata dal sistema precedente. Da loro sono convinto che derivi il ruolo delle fratellanze esoteriche, comprese quelle giunte fino ai giorni nostri, tutte riconducibili alle antiche confraternite prediluviane. Un sapere da mettere in cassaforte, all’ombra del potere che poi sarebbe stato esercitato da certe grandi famiglie? Sempre le medesime, peraltro: e tutte convinte delle loro origini giudaiche (vere o presunte). Ma quelle famiglie sono sempre state segretamente contrastate, lungo i millenni, da altre famiglie, a loro volta provenienti da un’ascendenza altrettanto antica: per esempio quella eleusina, cioè titanico-atlantidea.Si tratta di famiglie rivali, rispetto a quelle al potere. Famiglie di cui nessuno parla mai. Sono convinte di discendere dalle 8 tribù sacerdotali di Eleusi, che la tradizione descrive come investite direttamente dalla dea Demetra, di origine titanica, comparsa a Eleusi (alle porte di Atene) nel 1216 avanti Cristo. Da lì sarebbero nate le origini di molte nobili famiglie dell’aristocrazia europea, che hanno conteso il potere (e continuano a farlo tutt’oggi) alle linee di sangue dominanti. Intendiamoci: non si capisce una cosa se non si conosce l’altra, visto che si tratta di due aspetti complementari. Certo, gli antagonisti vengono regolarmente oscurati: perché considerati molto scomodi. Ma, tralasciando per il momento Eleusi e quindi la filiera antagonista, rispetto alle famiglie al potere negli ultimi due millenni, è proprio di quelle che parla Diego Marin in libri come “Il segreto degli illuminati” e “Il sangue degli illuminati”. Sintetizzando molto, il ricercatore cita le famiglie Odiniche, Olvunghe, Pseudo-Despósine, Farisaiche, Machiriche e Chionite. In altre parole: tutti i regnanti europei saliti al trono dalla fine dell’Impero Romano a oggi, più le famiglie di potere collaterali che hanno nominato Papi e cardinali, tenendo le redini economico-politiche di tutte le nazioni europee.Le Famiglie Farisaiche, in particolare, sarebbero originarie dell’area siro-palestinese (Giudea, Galilea): un ceppo arrivò a Roma al tempo delle guerre giudaiche, sotto Nerone. Le Famiglie Odiniche – in parte, secondo una loro diramazione – sarebbero riconducibili al sacerdozio del dio nordico Odino; una linea parallela le collegherebbe anche al Vicino Oriente: sta lì, infatti, la chiave di comprensione della maggior parte del problema. Erano “odinici” i Visigoti, e anche gli anglosassoni (di cui non c’è bisogno di sottolineare l’importanza). In maniera un po’ mitologica, gli alberi genealogici “odinici” vengono fatti convergere su un certo Rohes, che alcuni testi identificano come un Re-Sacerdote di Odino che sarebbe vissuto in Danimarca nel IV secolo dopo Cristo. All’epoca l’Impero Romano era in crisi terminale, tra le feroci persecuzioni che i cristiani infliggevano ai seguaci degli altri culti. Rohes era il padre di Cattarico, a sua volta padre del condottiero Marcomero.Attenzione al ramo femminile: la compagna di Marcomero sarebbe stata Frothmund, figlia di Fridholin. E soprattutto: Frothmund sarebbe stata discendente di quel pesonaggio passato alla storia come Giacomo il Giusto, fratello di Gesù Cristo. Vero o no? Questo è relativo: perché, proprio fregiandosi di questa genealogia (vera o presunta), queste famiglie – poi convertitesi formalmente al cristianesimo – hanno esercitato il loro dominio. Della storicità di Cristo parlano alcune pagine di Giuseppe Flavio, ma probabilmente sono interpolazioni, semplici aggiunte operate da monaci cristiani nel V-VI secolo per tentare di dimostrare la consistenza storica di una figura che, se è esistita, era probabilmente molto diversa da come è poi stata presentata dalla religione costruita a tavolino da personaggi come San Paolo, Giuseppe Flavio e il filosofo Seneca. Quello che conta è che quelle famiglie dominanti hanno costruito il loro potere sulla presunta discendenza dalla famiglia del Cristo o dalla Stirpe di Davide.C’è poi un altro ramo: Diego Marin le chiama Famiglie Olvunghe (a cui avrebbe appartenuto, per esempio, Guglielmo il Conquistatore). Sarebbero una diramazione delle Famiglie Odiniche, fiorita quando si proclamò Re dei Visigoti il celebre Ataulfo (letteralmente “Nobile Lupo”: proveniva da un clan totemico). Ataulfo originario delle steppe degli Unni. Era cognato di quel criminale di Alarico, autore del sacco di Roma e dalla distruzione di Eleusi. Proprio in Alarico sta la chiave del potere di certe famiglie, assimilate agli Olvunghi di Ataulfo. Di nuovo, attenzione al ramo femminile: la moglie di Ataulfo, Maria degli Elkasaiti, vantava una discendenza diretta dalla casa reale di David (Giudea). Secondo l’umanista Giusto Giuseppe Scaligero (visstito nel 5-600), gli Elkasaiti non sarebbero altro che i discendenti diretti di Cristo e della Maddalena.Su questo mito della discendenza di Cristo e della Maddalena (non vedo come altrimenti classificarlo) si è fondata buona parte della storia medievale europea. Da lì nacquero importantissimi ordini religiosi. In parte vi affondava anche l’ideologia dei Catari. Su quel mito nacquero gli stessi Templari. E nasce il cristianesimo “giovannita”, a lungo contrapposto al cristianesimo “paolino” (romano, vaticano). Sempre su questo mito sono state combattute le peggiori guerre, sia visibili – fra eserciti – sia sotterranee, clandestine, fra ordini iniziatici, che non hanno certo fatto meno vittime delle prime. Ora, gli Elkasaiti vengono chiamati anche Despósini: a farlo è lo stesso storico Sesto Giulio Africano. Per intenderci: sono i personaggi della storia narrataci da Dan Brown nei suoi romanzi.Cristo e la Maddalena? Lo sbarco in Provenza è solo leggendario, senza nessuna prova a supporto. Ma il mito interseca anche la figura della dea Iside: le tante Madonne nere presenti in Francia sono riconducibili a un antico culto isiaco, anche se ufficialmente vengono ricondotte alla Maddalena. Maria di Magdala, peraltro, doveva essere una sacerdotessa di alto rango, appartenente a una nobile famiglia, forse di sangue addirittura regale. In ogni caso, per secoli, in Europa il potere politico, militare ed economico è stato fondato proprio sulla presunta discendenza dalla linea di sangue del Cristo, che sarebbe sbarcata in Europa attraverso il sud della Francia. Nella realtà, invece, il cristianesimo divenne addirittura obbligatorio nel 380, con l’Editto di Tessalonica firmato da Teodosio: la più grande aberrazione giudirica che la storia ricordi, visto che l’85% della popolazione non era cristiana e, da un giorno all’altro, di vide privare di ogni diritto civile, se non si fosse forzatamentre convertita.Teodosio – ancora oggi incredibilmente celebrato come “il Grande” – fece uccidere decine di migliaia di persone. Il suo editto fu emanato proprio a Salonicco (Tessalonica), città che non lo amava affatto. L’imperatore offrì alla popolazione giochi circensi, poi fece circondare l’area dai soldati e fece e sterminare tutti gli spettatori. L’altro spietato devastatore dell’epoca, Alarico, era in combutta coi vescovi e al soldo di Teodosio. Compì il famoso sacco di Roma: dai forzieri dell’impero fece sparire tonnellate d’oro e centinaia di tonnellate d’argento (incluso probabilmente il tesoro del Tempio di Gerusalemme, quello che era stato sottratto da Vespasiano). Secondo la leggenda Alarico poi puntò verso il Nordafrica, ma in Calabria (nei pressi di Cosenza) fu colpito da febbri, forse malariche, e morì. Ufficialmente, quell’immenso tesoro non è mai più stato trovato. Ebbene: proprio questa storia poi si interseca con quella dei Templari. O meglio: con la storia di alcuni monaci calabresi (di un monastero nei pressi della presunta sepoltura di Alarico) che sarebbero stati all’origine della vera fondazione dei Templari.Le tracce di quelle strane presenze (i Visigoti e le donne di origine palestinese) non si esaurisce certo in Calabria, e neppure con la moglie di Ataulfo, di nascita giudaica. Nel VI secolo, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’ascendenza davidica viene utilizzata – sempre per legittimare il potere dalla principessa danese Burghilde e dal sovrano burgundo Sigismondo, trisnipote di Ataulfo. Da quel matrimonio scaturisce una geneaologia sbalorditiva, nell’arco di appena 5 secoli, che include tutte le famiglie reali dei maggiori paesi europei: Danimarca, Norvegia, Svezia, Russia, Inghilterra, Normandia e Italia meridionale. Tutte famiglie di origine normanna, che si glorificano della diretta discendenza da questa stirpe, la quale – a sua volta – si fregiava di una sua ipotetica discendenza dalla presunta linea di sangue del Cristo.I Normanni regnarono su Sicilia, Campania e Calabria. In Scandinavia le dinastie reali sono ancora lì: sempre gli stessi. In Russia il potere della famiglia imperiale è stato interrotto dalla Rivoluzione d’Ottobre, ma in realtà prosegue sotto altre forme, con i suoi eredi. Poi c’è quella che, per secoli, è stata la stirpe regnante sul trono inglese. E oltre alle Famiglie Olvunghe (o Despósine), emerge un sottogruppo altrettanto importante: le famiglie che vengono definite pseudo-Despósine: cioè i Merovingi, a lungo regnanti in Francia (poi sostituiti dai Carolingi, loro maggiordomi di palazzo), nonché potentati di rango continentale come quelli degli Asburgo e dei Lorena, e i loro rami colletareli, alcuni dei quali divenuti potentissimi nel Rinascimento.Tutte famiglie, quelle, ricondotte alla figura di Meroveo, terzo re dei Franchi (popolo di ceppo germanico), poi inglobati e federati all’ecumene di Roma. I Merovingi avevano sempre vantato la loro discendenza diretta da Cristo, quindi dalla casa reale di Davide: si consideravano della stessa stirpe di sangue. Il capostipite Meroveo aveva sangue romano, perché suo padre era il senatore noto come Quintus Tarus. Ma pare che Quintus Tarus fosse un giudeo: vantava una vera e propria discendenza da Giuda di Gamala, che secondo le Scritture era il prozio del Cristo, nonché fratello di Giacobbe (il padre di Giuseppe il carpentiere, quello che la tradizione indica come il padre putativo di Gesù). Nel 6-7 dopo Cristo, proprio Giuda di Gamala aveva organizzato a più riprese imponenti rivolte anti-romane. Lo stesso Giuseppe non era “falegname”: se è esistito era probabilmente un costruttore, detentore di segrete conoscenze costruttorie, muratorie: e su questa presunta discendenza alcune fratellanze iniziatiche hanno fondato il loro potere.La stessa famiglia di Giuseppe, quindi, a sua volta viene fatta discendere dalla casa reale di Giudea. E tutte le famiglie, anche quelle poi chiamate Olvunghe-Despósine (più le pseudo-Despósine, più quella di Guisa) si sono sempre richiamate, nella loro mitologia familiare, alla Stirpe di David, linea di sangue che riconduce al mitico Re David. E’ vero, tutto questo? Non è vero? Poco importa: quel che conta è che ci credono. E in nome di questa convinzione hanno sempre dominato il mondo allora conosciuto, cioè l’Europa, e continuano tuttora a farlo. Poi ci sono altri ceppi, ad esse intersecati: per esempio le Famiglie Farisaiche. Il loro arrivo in Europa risale a Giuseppe Flavio, nato Josef Ben Matityahu. Era un sacerdote ebraico di altissimo rango, nomché comandante militare nelle guerre giudaiche scatenate da Nerone per tentare di sedare le continue sommosse in Palestina. Nerone si illudeva di risolvere la cosa in pochi anni, coi soldati: invece venne ucciso nell’ambito di congiure relative a quelle guerre, poi vinte da un generale, Tito Flavio Vespasiano, futuro imperatore (appartenente alla Gens Flavia).Alla fine, Vespasiano riuscì a conquistare Gerusalemme, distruggendo il Tempio e portandone il tesoro a Roma. In una delle ultime roccaforti ebraiche resisteva Josef Ben Matityahu (non ancora ribattezzato Giuseppe Flavio), che chiese di conferire a porte chiuse con il generale Tito-Vespasiano. Giuseppe Flavio si arrese a Roma e venne inspiegabilmente adottato dalla Gens Flavia: venne adottato da Vespasiano come un figlio. In cambio di cosa? Di un enorme quantitativo di oro, probabolmente una parte del tesoro di Gerusalemme (messa in salvo da alcuni sacerdoti prima dell’irruzione dei romani). A Vespasiano, l’oro interessava per comprarsi l’elezione a imperatore: si trattava di ottenere non solo i favori delle legioni, ma anche quello del Senato, che avrebbe legittimato il suo avvento al soglio imperiale. Così, insieme a Giuseppe Flavio arrivarono a Roma altre famiglie sacerdotali, sempre provenienti dalla Giudea.Questi leader ebraici facevano parte dell’accordo: non solo si garantirono la salvezza (dal carcere, dalla crocifissione), ma si guadagnarono anche la fiducia della casa imperiale, l’adozione da parte del casato dei Flavii e la concessione di grandi ricchezze (ville, enormi poderi). Ebbero anche una discendenza: assunsero nomi romani, da cui poi discesero personaggi come Costantino e Teodosio. Si erano fatti adottare con una precisa missione politica: mettere le mani sull’Impero Romano. E lo hanno fatto. Come? Creando a tavolino la nuova religione. Lo fecero con la complicità di una rete molto estesa, che poi si riconduce alla Struttura citata da Paolo Rumor. Diego Marin riporta per esteso la lista completa dei documenti di Rumor. E dimostra che il personaggio che i testi storici identificano come il padre di Paolo di Tarso è indicato come appartenente alla Struttura.Cittadino romano di religione ebraica, proveniente da Tarsus in Cilicia (Anatolia), poi convertitosi ufficialmente al cristianesimo, Paolo creò quello che poi divenne il cristianesimo politico. Era molto diverso dal cristianesimo delle origini, giovannita, che si riconduce al Catari, ai Templari, a quelle linee di sangue. Ebbene, le Famiglie Farisaiche svilupparono proprio il cristianesimo “paolino”. Si badi: Paolo agiva in sintonia con Giuseppe Flavio. Quando Paolo (vero nome, Saulo) venne arrestato dai romani, chiese di essere processato a Roma: gli spettava di diritto, essendo cittadino imperiale. Così, chiese udienza all’imperatore. Giuseppe Flavio (che era già stato adottato, ma in quel momento si trovava in Palestina) tornò immediatamente a Roma per perorare la causa dell’amico Paolo di Tarso. E ruscì a farlo liberare, prosciolto da ogni accusa.Paolo era anche in combutta con il filosofo Seneca: tra i due esiste un carteggio, che incredibilmente gli storici considerano apocrifo. Dimostra come Seneca e Paolo fossero in piena sintonia, da anni, per pianificare una religione finalizzata al dominio delle masse, quindi fondata sul peccato originale (dunque sull’asservimento, sul senso di colpa). Di fatto, la nuova religione ha decretato la fine dell’Impero Romano d’Occidente e il controllo, per un altro millennio, del Medio Oriente. E’ il vettore che ha portato all’affermazione diretta delle linee di sangue che discendono dai Flavii. Gli stessi Carolingi, regnanti dopo la morte di Dagoberto II, ultimo dei Merovingi, vengono ricondotti alle Famiglie Farisaiche, discendenti di quel ramo della Gens Flavia originato da Giuseppe Flavio. Infine, si segnalano le Famiglie Machiriche e Chionite, da cui discendono direttamente i Rockefeller e i Rothschild. In sostanza: tutto il potere al comando in Europa, dall’Impero Romano fino ad oggi, è basato su un esiguo ceppo di famiglie che hanno sempre vantato una discendenza diretta dalla ipotetica linea di sangue del Cristo o comunque dalla stirpe reale di Davide.(Nicola Bizzi, estratti dalla trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, dal 5 settembre 2021 disponibile sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”, di Gianluca Lamberti).Finì nelle mani dell’“odinico” Ataulfo, cognato di Alarico e sposato con una donna di origine giudaica, il tesoro che il romanizzato capo dei Visigoti aveva sottratto ai forzieri di Roma? E in quell’immane bottino (tonnellate di oro di argento, ufficialmente sparite nel nulla) c’era anche il tesoro del Tempio di Gerusalemme, che l’ebreo Giuseppe Flavio aveva ceduto a Vespasiano? E in cambio di cosa? Di un ruolo di leadership nell’impero che, più tardi, sarebbe diventato cristiano per volere di Costantino e di Teodosio, a loro volta imparentati con le “famiglie farisee” che avevano fondato a tavolino la nuova religione basata sul peccato originale, quindi sul senso di colpa, a scopo di sottomissione. Quello che pochi raccontano – rivela Nicola Bizzi – è la comune origine delle dinastie reali europee: normanni e scandinavi, inglesi e russi, casati come gli Asburgo e i Lorena, e prima ancora Merovingi e Carolingi. «Hanno retto il potere per secoli, vantando la loro discendenza (vera o presunta) con la famiglia di Cristo. E questi signori sono al timone ancora oggi».
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Il sonno di Biden: via libera a Israele, nel mirino l’Iran
Come sempre accade in questo paese, è partita la gara al crucifige del potente decaduto di turno. Joe Biden ormai è trattato come un anziano in preda ad attacchi di narcolessia, incapace di gestire una delle operazioni militari più importanti dal Vietnam in poi e totalmente in preda al panico di fronte alle conseguenze dirette e immediate del suo errore. Il giorno dopo la sua elezione era praticamente Napoleone con residenza nel Delaware. Oggi, un vecchietto che guarda i cantieri con le borse della spesa in mano. In effetti, sic transit gloria mundi. Il carro del vincitore è comodo ma anche rischioso come mezzo di locomozione a lungo termine: in questo caso, peggio di una Tesla con pilota automatico. C’è però un problema, molto serio. La stampa spara su Biden, ma non si pone la domanda più importante. E inquietante: chi comanda davvero in America? Perché è ovvio che non sia Biden a farlo, almeno stando all’ultima settimana.Altrimenti occorrerebbe davvero invocare il ritiro delle sue prerogative presidenziali, visto che avrebbe deciso di testa sua di ritirarsi dall’Afghanistan contro tutte le indicazioni di intelligence e buona parte degli alti papaveri del Pentagono: uno così, meglio che non sia dotato dei codici nucleari. E se invece Joe Biden fosse stato messo a Pennsylvania Avenue proprio perché serviva un pensionato presentabile e innocuo, in servizio permanente ed effettivo? Dopo il ciclone Trump, in grado di garantire una falsa guerra commerciale con la Cina che sostenesse gli indici in attesa che la Fed tornasse a sua volta operativa nel settembre 2019, serviva un normalizzatore che tranquillizzasse il mondo. Occorreva la percezione esterna di una primavera americana, citando il titolo di un incensato libro apologetico invecchiato precocemente. E non particolarmente bene.Già, perché al netto di tutti i difetti di Donald Trump, occorre riconoscergli una certa predisposizione all’essere una mina vagante, proprio come assicurazione sulla vita: difficile mettere in campo strategie parallele con uno così, il rischio che salti tutto all’aria diventa preponderante. E non vale la candela. Joe Biden, invece, è perfetto. È il nonno che comincia i preparativi per il pranzo di Natale già a fine novembre, l’uomo dalla lacrima facile e dall’eloquio talmente soporifero che rende superfluo ogni contenuto espresso. Nessuno lo ascolta. Chi comanda allora? I corpi intermedi, si sa, in America dopo gli insediamenti presidenziali cominciano le loro guerre interne di posizionamento per decidere chi darà le carte almeno fino al voto di mid-term. Agenzie in testa, quindi Fbi e Cia. Più la Dea, quando di mezzo c’è il Sud America. C’è poi il Pentagono, un’idrovora di denaro capace però di garantire storicamente un effetto leva al Pil tramite il warfare, la guerra permanente.Di colpo, terrorismo e Isis – in accezione K, quasi fosse la versione light di una bibita – sono tornati sulla scena a colpi di bombe. Note a tutti, talmente note da essere annunciate. E poi distrutte preventivamente come domenica: peccato che l’auto centrata dai droni fosse una normale utilitaria vuota e i pericolosi terroristi uccisi, solo sei bambini e tre adulti altrettanto disgraziati. Perché altrimenti, se fosse davvero stata imbottita di esplosivo per un attentato devastante, la conta delle vittime sarebbe almeno tripla. C’è però una cosa che la stampa, tutta, si è dimenticata di raccontarvi di queste giornate convulse seguite alla presa di Kabul. Abbandonando in fretta e furia la seconda conferenza stampa sul tema, Joe Biden si è congedato dai giornalisti con un perentorio «ora ho un altro impegno, davvero». Ed era vero. Doveva incontrare il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, costretto suo malgrado a un giorno in più di attesa a Pennsylvania Avenue.Ecco le poche parole che Biden, formalmente impegnato h24 nella risoluzione del caos afghano, avrebbe utilizzato come discorso introduttivo al dialogo nello Studio Ovale: «Discuteremo anche della minaccia rappresentata dall’Iran e del nostro impegno per assicurare che Teheran non sviluppi mai un’arma nucleare… Se la diplomazia fallirà, siamo pronti a indirizzarci verso altre opzioni». E che la discussione non fosse puramente un atto di cortesia del presidente Usa verso l’ospite e l’ossessione del suo paese verso gli ayatollah, lo dimostrano le parole dello stesso Bennett sull’argomento, riferite solo pochi giorni prima di imbarcarsi per Washington e riprese dal “New York Times”: «I nostri attacchi clandestini contro l’Iran proseguiranno, continueremo a punire Teheran attraverso attività da zona grigia». Tradotto: spionaggio, sabotaggio e false flags.E se il concetto fosse stato poco chiaro, ecco che il “Jerusalem Post” ha pubblicato un retroscena nel quale il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano (Idf), generale Aviv Kohavi, confermava come «i progressi del programma nucleare iraniano ci hanno spinto ad accelerare i nostri piani operativi e il budget della difesa recentemente approvato garantisce copertura a queste attività». Quindi, con ogni probabilità, nel meeting tenutosi allo Studio Ovale – nel corso del quale Joe Biden si sarebbe appisolato, suscitando ieri l’ilarità sulla prima pagina di un quotidiano italiano (meno pronto nel rendere noti gli intenti bellicosi di Tel Aviv, però) – si sarebbe parlato di una campagna di operazioni militari e para-militari sotto copertura che Israele intende intensificare contro l’Iran e obiettivi iraniani.Il tutto mentre la Russia, player di primo piano rispetto a quanto sta accadendo in Afghanistan, chiedeva l’esatto contrario alla comunità internazionale: ovvero, il ritorno immediato al tavolo delle trattative di Vienna per discutere, appunto, sull’accordo relativo al nucleare di Teheran. Strana coincidenza: forse Israele vuole sabotare quell’accordo ed è andata a comunicare allo storico e potente alleato il via alle operazioni, ottenendo un tacito via libera a colpi di russate? Chissà se Biden avrà capito, viene da chiedersi a questo punto. Soprattutto le conseguenze di una possibile provocazione strutturale e di larga scala contro Teheran, le cui implicazioni geopolitiche e militari renderebbero la presa di Kabul e l’evacuazione di massa una passeggiata nel parco. Sempre casualmente, poi, domenica scorsa un attacco congiunto di artiglieria e droni ha ucciso 30 soldati della coalizione saudita in Yemen, ferendone una sessantina.Ovviamente, la responsabilità è stata immediatamente attribuita ai guerriglieri Houthi, i quali però – a differenza del solito – non hanno immediatamente rivendicato l’atto. Chi finanzia e sostiene i guerriglieri Houthi nella loro lotta contro Ryad? L’Iran. Guarda caso, dopo settimane e settimane di silenzio, la Penisola Arabica torna a far parlare di sé. A colpi di mortai. E questa volta, anche con l’ausilio di droni. Ovviamente, trattasi di mera casualità. Cosa? Ma il fatto è che a pochi giorni, forse solo ore, dalla conferma di Israele – da parte nientemeno che del primo ministro e del capo dell’esercito – di una campagna di “grey actions” contro Teheran, di colpo i rozzi guerriglieri Houthi diventano infallibili perpetratori di attacchi chirurgici. Addirittura contro una base militare saudita. Roba da professionisti. Un po’ come certe operazioni con i droni a Kabul. Chi comanda in America, dunque? Per la seconda volta in pochi giorni, vi rimando al mio articolo del 31 luglio scorso. Sempre più apparentemente profetico, purtroppo.(Mauro Bottarelli, “Il sonno di Biden e il rischio che Teheran sia peggio di Kabul”, dal “Sussidiario” del 31 agosto 2021).Come sempre accade in questo paese, è partita la gara al crucifige del potente decaduto di turno. Joe Biden ormai è trattato come un anziano in preda ad attacchi di narcolessia, incapace di gestire una delle operazioni militari più importanti dal Vietnam in poi e totalmente in preda al panico di fronte alle conseguenze dirette e immediate del suo errore. Il giorno dopo la sua elezione era praticamente Napoleone con residenza nel Delaware. Oggi, un vecchietto che guarda i cantieri con le borse della spesa in mano. In effetti, sic transit gloria mundi. Il carro del vincitore è comodo ma anche rischioso come mezzo di locomozione a lungo termine: in questo caso, peggio di una Tesla con pilota automatico. C’è però un problema, molto serio. La stampa spara su Biden, ma non si pone la domanda più importante. E inquietante: chi comanda davvero in America? Perché è ovvio che non sia Biden a farlo, almeno stando all’ultima settimana.
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Londra, report: il Covid colpisce quasi solo i vaccinati
Ma tu guarda: il “vaccino genico” non ferma la diffusione del Covid. Anzi: le persone che hanno subito l’inoculo sperimentale sono le più colpite dalla presunta epidemia virale. Lo scrive “Affari Italiani”, illustrando l’ultimo report del ministero della salute britannico, datato 21 agosto, che monitora i dati dell’ultimo semestre. «Nel paese l’89% delle persone risultate contagiate per Covid erano vaccinate contro il virus. L’altro 11% è relativo a persone non vaccinate». La cosiddetta “variante Delta” sarebbe dominante, nel Regno Unito, dove avrebbe contagiato 386.735 soggetti, di cui 337.834 con un’età inferiore ai 50 anni. «Parlando degli over 50, 48.264 sono coloro che seppur vaccinati si sono contagiati, mentre solo 4.891 dei contagiati non erano stati vaccinati». Aggiunge “Affari Italiani”: «In proporzione, coloro che finiscono in emergenza sono un decimo, rispetto all’ammontare dei contagiati; ma la statistica depone ancora una volta a favore dei non vaccinati: il rapporto è di circa 4 vaccinati in emergenza contro uno non vaccinato».
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Cabras: disastro Afghanistan, e l’Italia ci rimette sempre
Una sconfitta clamorosa dell’Occidente, delle sue istituzioni e organizzazioni internazionali, delle sue scelte. Nelle relazioni dei ministri non ho sentito un’autocritica, se non una qualche ammissione tardiva, limitata e insufficiente. Questa è una disfatta. La prima cosa da evitare è annacquare l’analisi e pensare che lo show vada avanti comunque, “business as usual”. Il ministro Guerini vuole salvare comunque i “valori liberali dei paesi occidentali”. Lo prendo in parola, benissimo. Allora, perché l’Occidente ha scelto di criminalizzare un suo figlio, Julian Assange, anziché ascoltarlo? Le cose giuste sull’Afghanistan, Assange le ha dette dieci anni fa. Ripartiamo da lì, facciamo davvero i liberali e offriamogli lo status di rifugiato politico: c’è una mozione che una maggioranza parlamentare rinvia da mesi. Discutiamo su Assange, ora, a settembre: facciamo un’operazione verità. È il modo migliore per affermare una svolta nel modo di trattare le questioni dell’Afghanistan.Partiamo dai dati duri di questi vent’anni trascorsi. Ho sentito parlare di “conquiste”: qualche scuola, qualche pozzo. Ma di quali conquiste parlate? Pozzi? Quanti pozzi si sarebbero potuti costruire con 2,5 trilioni di dollari spesi dagli Usa e con gli 8,7 miliardi buttati via dall’Italia? Avremmo risolto la crisi idrica di interi continenti e di centinaia di popoli. Invece abbiamo avuto centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Un modello di “nation building” disastroso. Un modello di “State building” e “army building” disastroso. Gli Usa hanno addestrato e armato 180.000 soldati e 120.000 membri delle forze dell’ordine per resistere in una transizione di un anno e mezzo. Sono stati travolti in dieci giorni dopo essere rimasti sguarniti dalle 200 basi Usa. Vogliamo far finta di nulla su questo fallimento clamoroso? È una guerra nata già su premesse false: l’11 Settembre, una strage piena di opacità, che in anni in cui non era stata inventata l’etichetta di “complottista” sarebbe stata vista come un tipico e gigantesco episodio di “strategia della tensione” con gravi complicità in apparati vicini. Invece è stata posta come pretesto alla base dell’intervento in Afghanistan, uccidendo ogni discussione.Venti anni di guerre, in cui la partecipazione italiana ha sommato tante gravi perdite senza alcun vantaggio. Possiamo leggere in un unico quadro le costose guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e le costose sanzioni a Iran e Russia. Il piatto piange. Non si discute ancora della sproporzione tra la subalternità dentro una Nato che espande i fronti e la totale inesistenza di dividendi ottenuti. La Repubblica italiana perde sempre, in ogni avventurismo militare e diplomatico, per due lunghi decenni: la Nato, così com’è, risulta essere un pessimo affare, per l’Italia. Vanno ridiscusse profondamente le condizioni di sicurezza dell’Europa, uscendo dai vicoli ciechi militaristi. La riforma della Nato è una questione urgente, da non diluire nei resoconti burocratici della coda di una sconfitta e in un’esaltazione acritica di un’America idealizzata. Sono pulsioni “anti-americane”, come dice Di Maio? No, questa è l’autonomia di una visione.(Pino Cabras, intervento pronunciato il 24 agosto 2021 nel corso della sessione delle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa di Camera e Senato, in occasione dell’audizione del ministro degli esteri, Luigi Di Maio, e del ministro della difesa, Lorenzo Guerini, sulla crisi afghana e i suoi sviluppi. Eletto con i 5 Stelle, Cabras – fuoriuscitone all’epoca della nascita del governo Draghi – è l’animatore della nuova formazione “L’Alternativa C’è”).Una sconfitta clamorosa dell’Occidente, delle sue istituzioni e organizzazioni internazionali, delle sue scelte. Nelle relazioni dei ministri non ho sentito un’autocritica, se non una qualche ammissione tardiva, limitata e insufficiente. Questa è una disfatta. La prima cosa da evitare è annacquare l’analisi e pensare che lo show vada avanti comunque, “business as usual”. Il ministro Guerini vuole salvare comunque i “valori liberali dei paesi occidentali”. Lo prendo in parola, benissimo. Allora, perché l’Occidente ha scelto di criminalizzare un suo figlio, Julian Assange, anziché ascoltarlo? Le cose giuste sull’Afghanistan, Assange le ha dette dieci anni fa. Ripartiamo da lì, facciamo davvero i liberali e offriamogli lo status di rifugiato politico: c’è una mozione che una maggioranza parlamentare rinvia da mesi. Discutiamo su Assange, ora, a settembre: facciamo un’operazione verità. È il modo migliore per affermare una svolta nel modo di trattare le questioni dell’Afghanistan.
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Sangue sul Chianti: anatomia di un’Italia in emergenza
“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.Il colpo di genio? Far rilevare le impronte digitali alla salma, nel dubbio che fosse stato proprio lui – il dottore – a sfidare il pool di Firenze, spedendo ai magistrati alcuni macabri frammenti dei cadaveri straziati delle coppiette uccise. Bingo: quando il super-detective corse a frugare nell’archivio super-blindato dei reperti, scoprì che era stato appena saccheggiato. Le lettere-chiave, sparite. Altro avvertimento: nel cortile della questura, le gomme dell’auto del commissario erano state tagliate. Poco dopo, Michele Giuttari lasciò la polizia. E insieme al magistrato di Perugia, fu perseguitato con accuse giudiziarie pretestuose (poi sgonfiatesi, ma solo dopo aver allontanato lui e il giudice dal vero Mostro di Firenze). Oggi, Michele Giuttari è un autore di bestseller tradotti e venduti in tutto il mondo, in oltre cento paesi diversi. Un prodigioso macinatore di trame mozzafiato e di parole asciutte, esatte, precise come le indagini che ne avevano fatto un campione della polizia italiana.Un implacabile cacciatore di mafiosi, Giuttari. Criminali di primo livello, come i killer di Cosa Nostra che avevano fatto scoppiare le bombe stragistiche di Milano, Firenze e Roma, all’inzio degli anni ‘90, quando l’Italia – caduto il Muro di Berlino – “doveva” finire in pasto ai poteri finanziari che controllano l’Ue, e andare incontro alla buia morsa dell’austerity. Poteri che utilizzarono largamente tutto il marcio su cui aveva galleggiato la mitica Prima Repubblica, prospera e corrotta. Analisti e politologi, negli ultimi anni, hanno ricostruito il quadro: la demolizione dei vecchi partiti, ormai inutili e spesso impresentabili, non sarebbe mai potuta avvenire se la magistratura di Milano non si fosse “accorta”, di colpo, del dilagare del pubblico malaffare. Gli inafferrabili mafiosi? I capi storici sarebbero stati arrestati, anche quelli, ma solo dopo aver “sistemato” Falcone e Borsellino, che si erano spinti oltre, seguendo la pista dei soldi che probabilmente collegava Brooklyn e Bruxelles, magari passando anche per il vecchio Ior e gli affari di Calvi e Sindona, altri due personaggi (di taglia ben diversa) messi a tacere a tempo debito.Oggi è di moda parlare di Deep State: il punto di saldatura tra super-tecnocrati “collaborazionisti”, colletti bianchi della nuova mafia e mercenari dell’establishment al soldo di un potere apolide, quello del denaro, insieme a precisi segmenti dell’apparato statale, le “barbe finte”, gli 007 senza bandiera incaricati delle operazioni più inconfessabili. Un sottobosco che, pian piano, emerge anche dalle pagine di “Sangue sul Chianti”, ultima fatica letteraria di Michele Giuttari, che opera sul campo attraverso il suo alter ego cartaceo, il commissario Ferrara. Non un giallo politico, beninteso: trattasi di noir puro, composto – con un’orchestrazione perfetta, cronometrica e implacabile – per la gioia degli amanti di questo genere narrativo che, secondo la francese Fred Vargas, viene ormai utilizzato sempre più spesso, dagli scrittori, per “rifugiarsi” nel pretesto di una trama poliziesca. Un luogo protetto, da cui dire la loro su come va il mondo, per davvero, anche portando allo scoperto i fili invisibili che legano un assassino ai suoi insospettabili, illustri mandanti.E così, anche “Sangue sul Chianti” – un libro che letteralmente si lascia divorare, alla velocità della luce – mette in scena un teatro d’ombre in cui finiscono per muoversi affaristi di provincia e piccoli drogati, brutali spacciatori stranieri ma anche clan mafiosi con libero accesso a paradisi fiscali. Tutti retroscena perfettamente noti ai soliti apparati, quelli d’intelligence, che – lungi dall’intervenire – sfruttano la situazione: e se proprio si mette male, se cioè spunta qualche “sbirro” troppo sveglio, sono anche pronti a far scorrere il sangue, sul Chianti e non solo, magari per occultare tracce che renderebbero evidente la reale natura del gioco, non presentabile al cittadino comune che si ciba di cronaca, magari nera. Ed è quella, infatti, a dominare il libro, che sa offrire benissimo la percezione della crescente insicurezza sociale, nella Firenze del 2005, mentre l’Italia sta scivolando giorno per giorno verso l’inesorabile crisi economica che, di lì a non molto, la porterà a genuflettersi davanti alle nuove, o forse antiche divinità bancarie dell’Unione Europea.Nel fondamentale memoir “Confesso che ho indagato”, titolo che rifà il verso alla strepitosa autobiografia di Pablo Neruda, Giuttari insiste su un punto cardine: guai a delegare alla sola tecnologia il compito di risolvere le indagini, perché niente potrà mai sostituire il lampo dell’intelligenza (non artificiale) che nasce dalla sensibilità – umanissima – del poliziotto che scava nel buio, nel dolore dei parenti delle vittime e tra le pieghe della scena del crimine, attingendo anche al talento naturale da cui nascono le migliori intuizioni. Certo, occorre essere maestri nell’arte dell’interrogatorio, prima che intervenga – in modo magari maldestro e ingombrante – il protagonismo della magistratura inquirente (non altrettanto dotata, nella specialità in cui eccellono gli “sbirri” purosangue, che sanno fiutare la preda). Così, anche stavolta, gli appassionati del legal thriller e del poliziesco classico troveranno pane per i loro denti, osservando in azione gli uomini del commissario Ferrara: riconosceranno il piglio inconfondibile di indagini condotte a misura d’uomo, inclusi gli inevitabili errori, lontanissimo dagli effetti speciali di tante, recenti polizie televisive.Puntare l’uomo, marcarlo stretto, indovinargli l’anima: sapendo che la possibile cantonata è sempre dietro l’angolo, e che l’assassino potrebbe anche essere la persona di cui, da sempre, ti fidi di più. “Sangue sul Chianti” mostra, in modo esemplare, di che pasta erano fatti gli investigatori italiani della vecchia guardia, come i segugi che – in Sicilia – finirono spesso nel tragico cimitero dell’antimafia, durissima trincea dalla quale proveniva lo stesso Giuttari, messinese d’origine. Il suo ultimo noir punta in alto: lo sporco si annida proprio lassù, nel vertice della piramide, in tutte le sue declinazioni (pubbliche e private). Brillano diamanti e sfavilla il lusso, nel paradiso dorato del “Chiantishire”, che d’un tratto può colorarsi di rosso come il Sangiovese. Ma il male ha sempre bisogno di collaborazione, anche da parte della gente minuta: le debolezze umane sono in agguato ovunque, a poco prezzo. E fanno parte, anche loro, di una trama formidabile, che tiene insieme cacciatori e lepri, vivi e morti, guardie e ladri. Il piccolo delinquente, l’uomo comune che cede alla tentazione solo per una volta, nella vita. E il più pericoloso criminale tuttora a piede libero: il potere.Sbaglierebbe, chi vedesse nell’autore Michele Giuttari una specie di anarchico travestito da ex poliziotto: la severità del suo sguardo politico è la stessa di chi ha creduto, in modo incrollabile, nelle istituzioni di un’Italia risorta dalle macerie dell’ultima guerra mondiale. In tutt’altra maniera, ne dà prova anche uno scrittore come Giuseppe Genna nel thriller “Nel nome di Ishmael”, che lambisce il dramma della sparizione dei bambini: lo fa in una pagina memorabile, dedicata al “sacrificio” di Enrico Mattei come eroico edificatore civile dell’Italia democratica del dopoguerra. Se oggi – 2021, anno secondo dell’Era Covid – il paese è diventato letteralmente irriconoscibile, in fondo anche le pagine di “Sangue sul Chianti” sembrano suggerire che forse non tutto è perduto, se a far tardi la notte (anche rischiando la pelle) ci sono uomini come quelli della Squadra Mobile del commissario Ferrara.(Il libro: Michele Giuttari, “Sangue sul Chianti”, Fratelli Frilli Editore, 467 pagine, euro 18,90).“Scarabeo”, “La loggia degli innocenti”, “Le rose nere di Firenze”: quello che non ha potuto dire apertamente, come investigatore, il commissario Michele Giuttari lo ha scritto – usando nomi di fantasia – nei suoi fortunatissimi romanzi polizieschi. Lo afferma l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dell’ombra: quella da cui nascono alcuni fra i più atroci incubi italiani, tra cui i cosiddetti omicidi rituali. Spaventosi gialli in parte ancora irrisolti, come quelli attribuiti alla banda chiamata Mostro di Firenze. A un passo dalla svolta definitiva arrivò proprio lui, Giuttari, insieme al procuratore perugino Giuliano Mignini, quando i Compagni di Merende allusero al “dottore di Perugia” come possibile mandante: le acque del Lago Trasimeno restituirono un corpo, frettolosamente attribuito a quel giovane medico. Non annegato, si seppe poi, ma strangolato. Una volta riesumato e messo a confronto con le foto del cadavere ripescato, si scoprì che si trattava di due persone diverse. Il morto del lago (mai scoperto chi fosse) doveva solo servire a convincere tutti che il povero medico fosse davvero caduto in acqua, trovandovi la morte.
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Covid, guarirete da casa: la tardiva verità dei mascalzoni
Giuseppe Conte lavorava col favore delle tenebre? Mario Draghi, in compenso, approfitta del solleone estivo: risale al 16 agosto la firma dell’accordo Stato-Regioni, con il quale l’indecente ministro della sanità (non a caso sempre lo stesso, dal 2019) prende finalmente atto della sensazionale notizia: di Covid si può anche morire, ma solo se si viene abbandonati a se stessi, a casa, senza cure, per giorni e settimane (Tachipirina e vigile attesa, lo storico protocollo della vergogna). Dopo un anno mezzo – e 130.000 morti, stando ai dati ufficiali – la scoperta dell’acqua calda diventa legge: se curati subito, i pazienti colpiti dalla sindrome Covid difficilmente finiranno all’ospedale. Lo avevano gridato decine di medici, per un anno, mentre i pazienti – non curati, e ormai gravi – finivano al pronto soccorso, spesso fuori tempo massimo, a ingrossare il bollettino di guerra e il tragico show inaugurato a Bergamo con la sfilata notturna dei camion militari carichi di bare. Qualcuno pagherà mai, per tutto questo?Non è finita: si scopre che i famosi farmaci monoclonali (basati sull’intuizione di Giuseppe De Donno, quella del plasma iperimmune) sono già disponibili dal 7 agosto. E non solo: il direttore dell’Aifa, Giuseppe Magrini, in un’intervista al “Corriere della Sera” (l’8 agosto) ha annunciato che il 30 settembre avrà termine la Grande Campagna Vaccinale di Massa, incentivata dalla “macelleria democratica” introdotta con il Green Pass e il Tso obbligatorio imposto brutalmente a medici, infermieri, insegnanti e studenti, da parte di un governo che ora preme anche sui bambini e, in ogni caso, vieta ai “renitenti” l’accesso a bar e ristoranti, cinema e teatri, mostre e musei, palestre, discoteche, stadi sportivi, concerti e mezzi di trasporto pubblici (per ora, i treni a lunga percorrenza). Misure che sfidano la Costituzione e irritano una parte del sistema giudiziario (Magistratura Democratica), dato il carattere pericolosamente discriminatorio, che ha spinto più d’uno a parlare di “apartheid”.A insorgere (come in Piemonte) sono gli stessi operatori preposti ai controlli, che annunciano che si rifiuteranno di effettuare le verifiche per scoprire chi è davvero in possesso del lasciapassare: l’avvertimento – pubblico – arriva da Protezione Civile, Croce Rossa, Anpas e Associazione Nazionale Carabinieri, mentre la stessa Regione Piemonte scrive al Garante della Privacy per spiegare perché gli esercenti piemontesi non intendono trasformarsi in gendarmi, rendendo grottesco un provvedimento adottato (in questi termini) solo dalla Francia di Macron, oltre che dall’Italia di Draghi e Mattarella. Sullo sfondo, i segnali in arrivo parlano chiaro: cure domiciliari, farmaci monoclonali e fine del tour de force del generale Figliuolo, che ormai intuisce prossima la soglia che vedrà il 70% degli italiani disposti a subire l’inoculo genico, impropriamente chiamato “vaccino”. Tutti indizi che lasciano presagire l’avvicinarsi della fine dell’incubo psico-sanitario inaugurato dal folle lockdown nazionale del 2020 e proseguito con zone rosse e coprifuoco.Scontata la responsabilità dei medici ospedalieri, incolpevoli, che nel marzo 2020 si calcola abbiano contribuito alla morte di moltissimi pazienti, cui fu somministrato ossigeno anziché eparina: i sanitari scambiarono per polmoniti le tante trombo-flebiti improvvisamente c comparse. Resta però il nodo – tutto politico – della questione: i corpi furono inceneriti senza esequie, e soprattutto senza effettuare autopsie, come richiesto dal ministero della sanità. Proprio la violazione di questa pazzesca disposizione permise poi, ai sanitari, di cominciare a “leggere” correttamente la patologia, trovando infine le contromisure cliniche. Con però un enorme limite oggettivo: all’ospedale finivano persone (quasi sempre anziane e già molto malate) ormai alle prese con difficoltà respiratorie acute e la compromissione grave degli organi vitali. Ai medici ospedalieri – rianimatori, in primis – fu quindi chiesto qualcosa di mostruoso: dover necessariamente scegliere chi salvare e chi no, data la marea dei ricoveri simultanei.E tutto questo, dopo che il governo Conte aveva “dimenticato” di aggiornare e comunque attuare il piano dell’Oms per l’emergenza pandemica, che avrebbe verosimilmente limitato i danni, attraverso misure tempestive e selettive. Ma peggio: nonostante la catastrofe della primavera 2020, le negligenze criminose e i reiterati avvertimenti di moltissimi medici (come quelli che ad aprile segnalarono a Speranza l’efficacia di farmaci come il cortisone, senza ricevere uno straccio di risposta dal ministro), si è continuato stolidamente – nell’ultimo semestre di Conte e nel primo di Draghi – a ignorare la scoperta dell’acqua calda, che poi sarebbe questa: se si viene curati in modo ordinario ma tempestivo, a casa, e con farmaci normalissimi, è quasi impossibile finire all’ospedale, anche se si è molto anziani. Lo dimostra il bilancio esibito dai medici-eroi dell’associazione Ippocrate: 60.000 guarigioni domiciliari su 60.000 pazienti, senza neppure un ricovero.Una verità semplicemente insopportabile – ha spiegato Massimo Mazzucco, nel reportage “Covid, le cure proibite” (nel frattempo rimosso da YouTube) – per chi aveva già deciso, da chissà quanto tempo, che dall’incubo di dovesse uscire in un solo modo: con l’inoculo del materiale genico abusivamente chiamato “vaccino”. Spiega Mazzucco: se fosse stata ammessa per tempo, in via ufficiale, l’esistenza di efficaci terapie (quella che viene ammessa oggi, con oltre un anno di ritardo), sarebbe stato impossibile ottenere dall’Ema, e quindi dall’Aifa, l’autorizzazione per i “vaccini genici”, che per legge hanno lo status di farmaci “sperimentali” fino al 31 dicembre 2023. Chiaro, no? Convalidando le cure precoci, sarebbe stato impossibile somministrare quei farmaci, non ancora testati per anni, come invece i vaccini veri e propri. Domanda Mazzucco: quante persone sono morte, nel frattempo, perché lasciate senza cure per troppi giorni e quindi ricoverate ormai tardi? Quante vittime è costato, questo scherzetto che intanto ha fruttato decine di miliardi?E a proposito di business: quello dei tamponi, finora usati come bocca della verità per quantificare i contagi, vale almeno dieci volte tanto, rispetto a quello dei “non-vaccini”. Kery Mullis, Premio Nobel per la Chimica, è l’inventore del test Pcr: ha dichiarato che, se si vuole, si scopre qualsiasi virus in chiunque. Affermazione clamorosa, che i debunker del mainstream (quelli che fanno sparire i video da YouTube) si sono affrettati a smentire in ogni modo: Mullis non avrebbe mai sconsigliato di utilizzare il tampone come cartina di tornasole per il coronavirus. Peccato che a confermarlo siano fior di medici: se si aumentano le “amplificazioni” del campione, portandole a 40-45 (contro le 20-25 consigliate) dal prelievo biologico può emergere di tutto, anche tracce di vecchie influenze, che è facilissimo protocollare come “Covid”. Il dottor Mariano Amici – 2.000 pazienti Covid curati e guariti nelle loro case, a Roma, nel giro di un anno – è diventato famoso, in televisione (fino a essere “cacciato” da Bruno Vespa) facendo risultare “positivo al Covid” un frutto come il kiwi, sottoposto a tampone.I grandi media – tutti asserviti al potere della narrazione dominante (salvo rarissime eccezioni) – hanno partecipato all’operazione psico-terroristica, incoraggiata da Conte anche con moneta sonante: per un anno e mezzo, non hanno fatto altro che amplificare il panico e silenziare chiunque annunciasse soluzioni. Negli ultimi mesi, non potendo più esibire tenebrose processioni di feretri, hanno finto di scambiare i contagi (chiamandoli “casi”) per vere e proprie patologie ospedaliere, sposando in pieno il delirio dei due governi-Covid e dei loro tecnocrati, installati nei posti di comando, a cui hanno fatto eco – ininterrottamente – i virologi televisivi nostrani (tra gli scienziati meno quotati al mondo, stando al ranking ufficiale che si basa sulla reale attività scientifica prodotta). Mai ascoltato un Nobel come Montagnier, e men che meno gli eminenti epidemiologi anti-Ebola che, attraverso la Great Barrington Declaration, già nel 2020 denunciarono la follia delle restrizioni, completamente inutili per il Covid, raccomandando invece l’unica via maestra: le terapie domiciliari sollecite.Così si è arrivati al doppio disastro: la strage sanitaria, divenuta anche umanitaria – con numeri in realtà non controllabili – e la strage politico-democratica, con le proibizioni imposte da Conte (inaudite e terribili, ma temporanee) ora trasformate nella versione di Draghi (meno drastiche ma altrettanto vessatorie, e in più a carattere potenzialmente permanente), di fronte a un ipotetico virus che – lo ha ammesso il Cdc, l’istituto superiore di sanità Usa – non è mai stato neppure “isolato” con certezza, ma solo “sequenziato”. Non a caso, infatti, il “rivoluzionario” preparato genico spacciato per vaccino, celebrato da Big Pharma come vanto della Scienza, non contiene l’agente patogeno, come invece i normali vaccini antinfluenzali: non lo contiene perché, tecnicamente, non esiste? Domanda non peregrina: il professor Stefano Scoglio, candidato al Nobel per la Medicina nel 2018, ha ricordato che lo stesso virus Hiv potrebbe non essere mai esistito, come tale.Non si tratterebbe di una frode scientifica, ha chiarito un chimico farmaceutico come Matt Martini, ma di un possibile, colossale abbaglio: le particelle molecolari oggi chiamate ancora “virus Rna”, un giorno, potrebbero rivelarsi una chimera? Ossia: impronte di materia mai davvero isolate, e “lette” come tali solo in base ad algoritmi digitali, cioè senza ordinari riscontri biologici da laboratorio? Se questa ipotesi fosse confermata, come suggeriscono alcuni scienziati di livello mondiale – aggiunge Martini – la stessa scienza potrebbe trovarsi di fronte alla storica necessità di rivedere i propri paradigmi. Ma intendiamoci: si tratta di riflessioni che in Italia hanno spazio solo su media indipendenti e minuscoli, di nicchia, subito bollati come “complottisti” da chi riesce a non vomitare di fronte allo spettacolo della menzogna offerto dall’establishment, salvo accanirsi verso chi tenta di trovare risposte, in un habitat dove la verità è diventata reato, dove i medici-coraggio come De Donno vengono trovati impiccati, e dove le cure precoci – la scoperta dell’acqua calda – arrivano solo dopo i “vaccini genici” (che non immunizzano nessuno dalla possibilità di contrarre il contagio, e di contagiare il prossimo) imposti con il disgustoso ricatto del Green Pass.Giuseppe Conte lavorava col favore delle tenebre? Mario Draghi, in compenso, approfitta del solleone estivo: risale al 16 agosto la firma dell’accordo Stato-Regioni, con il quale l’indecente ministro della sanità (non a caso sempre lo stesso, dal 2019) prende finalmente atto della sensazionale notizia: di Covid si può anche morire, ma – in pratica – solo se si viene abbandonati a se stessi, a casa, senza cure, per giorni e settimane (Tachipirina e vigile attesa, lo storico protocollo della vergogna). Dopo un anno e mezzo – e più di 130.000 morti, stando ai dati ufficiali – la scoperta dell’acqua calda diventa legge: se curati subito, i pazienti colpiti dalla sindrome Covid difficilmente finiranno all’ospedale. Lo avevano gridato decine di medici, per un anno, mentre i pazienti (non curati, e ormai gravi) finivano al pronto soccorso, spesso fuori tempo massimo, a ingrossare il bollettino di guerra e il tragico show inaugurato a Bergamo con la sfilata notturna dei camion militari carichi di bare. Qualcuno pagherà mai, per tutto questo?
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Fine del mondo: perché proprio adesso, e proprio a noi?
Il grande dolore non viene nemmeno dal potere, ma dal vicino di casa: pensa davvero che tu sia una specie di squilibrato, un mitomane, un esibizionista presuntuoso, un originalone. Non solo non approva il tuo ostinato diniego, di fronte alle imposizioni sempre più surreali e illogiche, soffocanti e dispotiche, ma prova nei tuoi confronti anche una sorta di sordo risentimento, che potrebbe persino sfociare in ostracismo aperto non appena il direttore d’orchestra dovesse alzare nuovamente il volume della sirena d’allarme, facendo correre i topolini a rintanarsi, pieni di paura per la loro sorte (e di veleno, per chi rifiuta di sottomettersi). C’è chi la chiama “speciazione”: è il bivio evolutivo terminale tra due umanità differenti, diverse nel sentire e nell’agire, che il Dominio riesce a separare irrimediabilmente, rompendo tutti i ponti del dialogo e della reciproca, amichevole comprensione. Altra tristezza: insieme alla Francia, l’Italia è l’altro paese europeo che ha imboccato la strada della coercizione violenta.C’è da piangere, appena ci si mette ad ascoltare medici indipendenti, scienziati e liberi ricercatori: non una, di tutte le misure imposte a partire dalla primavera 2020, ha mai avuto il minimo significato, in termini di contenimento di un problema sanitario. Tutto ha avuto sempre un altro sapore: quello della vessazione, dell’arbitrio autoritario, e con un’estetica sinistramente affine a quella dei totalitarismi del Novecento. Tutto vi si è piegato: la burocrazia sanitaria, la medicina ufficiale, la politica, l’industria, il sistema mediatico, il mondo culturale e quello dello spettacolo. Pochissime le voci dissonanti, immediatamente bollate come eretiche e colpite senza pietà: con l’irrisione, la censura, la denuncia e la radiazione, l’esilio, l’esecrazione pubblica. Chi avrebbe mai potuto pensare, seriamente, anche solo un paio d’anni fa, che i presunti non-dormienti avrebbero dovuto far ricorso a parafrasi e sinonimi, sui celebrati social, evitando le parole “Covid” e “vaccino” per non incorrere nell’immediata ghigliottina del censore?Di fronte a questo, è come se l’intera categoria della politica – la politica democratica occidentale, larvatamente affacciatasi alla fine del 1700, poi cresciuta nell’800 e infine fiorita nel “secolo breve”, sia pure con i drammatici contraccolpi delle dittature e delle guerre mondiali – fosse giunta a uno stadio terminale, alla fine di un ciclo storico, riguardo alla sua reale possibilità di riflettere l’umano, nella sua libera vita sociale. La devastazione è antropologica: quando si corre a subire un inoculo di materiale imprecisato, per obbedire a un ordine che si racconta impartito allo scopo di prevenire un malanno curabilissimo in modo ordinario, forse siamo arrivati oltre il civile e il consueto, oltre l’orizzonte conosciuto del ragionevole, del plausibile. Se poi si accetta di subire un simile ricatto per andare in pizzeria o in palestra, o allo stadio, la verità diventa esplosiva: un conto è sottoporsi a un’angheria inquietante per salvare in modo drammatico il proprio stipendio (all’ospedale, a scuola); un altro è apprestarsi anche a strisciare a terra, se richiesti, solo per poter continuare a frequentare un bar, una trattoria, con gli amici di sempre.Il trionfo del Dominio sull’umanità dormiente è totale, apocalittico: lo testimonia splendidamente la vile improntitudine degli imbecilli, i mentalmente devastati, che arrivano ad accusare i renitenti di avere “paura del vaccino”, mostrando così di detestare la loro residua libertà. Gonfi di livore, indifferenti alle notizie verificabili (e alle morti eccellenti, come quella di Giuseppe De Donno), i più miseri utilizzano con disinvoltura quella parola nobile, nella storia della medicina, come se la pozione-Covid fosse davvero un vaccino. Ma soprattutto: dopo un anno e mezzo di eccellenti terapie domiciliari, i poveretti preferiscono fingere di credere (o magari credere davvero, sinceramente) all’obbligatoria necessità di una profilassi di massa, assolutamente fondamentale, per arginare il terribile contagio di un ipotetico virus (mai isolato in laboratorio) la cui letalità è stata definita quasi irrisoria dai più eminenti epidemiologi del pianeta, rigorosamente messi fuori dalla porta (come i luminari della Great Barrington Declaration, pionieri della lotta contro una minaccia ben più temibile, l’Ebola).E’ durata meno di 24 ore, sul web, l’esposizione del filmato in cui il professor Stefano Scoglio (candidato nel 2018 al Nobel per la Medicina) spiegava come lo stesso virus Hiv fosse poco più che immaginario, frutto di un semplice “sequenziamento”, anziché di un “isolamento” biologico vero e proprio. Scoglio era intervenuto alla trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, dopo aver firmato un prezioso contributo nell’esemplare libro-denuncia “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale e curato da Nicola Bizzi e Matt Martini. In particolare, Martini – chimico farmaceutico, esperto in modellazione cellulare – insiste sul punto: persino gli Usa, attraverso il Cdc, hanno ammesso che l’ipotetico virus responsabile della sindrome Covid (quella sì, reale) non è mai stato isolato, in nessuna sede scientifica. Nonostante ciò, una parte dell’informazione – di ogni specie: mainstream, “gatekeeper” e reporter in buona fede – già sta raccontando del “virus manipolato”, sfuggito al laboratorio di Wuhan o addirittura diffuso intenzionalmente dai perfidi cinesi, con i loro complici occidentali.Se poi l’inventore del test Pcr raccomanda di non superare i 20-22 “cicli di amplificazione” del campione biologico, e invece i sanitari sottopongono il tampone anche a 45 “amplificazioni” (andando così a pescare tracce molecolari di virus antichi, residui di influenze stagionali del passato, contrabbandati per Covid), ecco che la “pandemia di asintomatici” supera di gran lunga la follia, entrando in quella che alcuni configurano come una dittatura in piena regola. Una tirannide che manipola la verità per suscitare allarme e imporre comportamenti normalmente inaccettabili, puntando a revocare – per sempre – i diritti umani e le libertà a cui la popolazione (occidentale) era abituata. Vero: davamo per scontati i nostri lussuosi privilegi, frutto in realtà di una precisa “finestra” storica, quella in cui si affermò – faticosamente e sanguinosamente – il tipo di regime politico chiamato democrazia. Un sistema che ovviamente non è il paradiso, ma è decisamente meno peggiore di qualsiasi altro possibile regime.A cosa doveva servire, l’infarto della democrazia? A pervenire infine al Green New Deal, cioè il Grande Reset imposto in modo fraudolento con l’alibi bugiardo dell’emergenza climatica, venduta anch’essa come dogma religioso da un clan di scienziati reclutati dall’Onu e pagati a peso d’oro per fare dichiarazioni a comando? Dove ci vorrebbero portare, i tagliatori seriali di alberi che dal 2019 hanno raso al suolo i parchi pubblici italiani per impedire alle fronde – come documentato dal governo britannico – di ostacolare la trasmissione delle onde 5G, la cui innocuità non è ancora stata dimostrata? Come tutti sanno, un semplice indizio non costituisce una prova; una somma di inidizi, invece, forse sì. Tutto punta verso l’essere umano, o meglio: il corpo umano. Secondo alcuni teorici, siamo di fronte alla cosiddetta biopolitica: archiviato il Giuramento di Ippocrate, dopo aver chiesto agli stessi medici di abdicare alla loro missione, è il nostro organismo – corpo e mente – il vero target della grande operazione in corso, che manifesta la sua intenzione di violare l’integrità dell’habeas corpus, il più sacro dei diritti della persona.Niente di nuovissimo, peraltro: la nostra civiltà proviene da millenni di dispotismo brutale, nudo e crudo. E i lampi migliori della gloriosa democrazia occidentale novecentesca, di marca anglosassone, secondo il memoriale di Giacomo Rumor (pubblicato dal figlio, Paolo Rumor, nel libro “L’altra Europa), provenivano dal cosiddetto “contingente americano”, che l’esoterista e gollista francese Maurice Schumann faceva discendere anch’esso dalla fantomatica Struttura che reggerebbe il mondo ininterrottamente, indossando le maschere più svariate (imperi, religioni) da qualcosa come 12.000 anni. Fantascienza? Fino a ieri, lo erano anche gli Ufo: oggi invece li sdogana il Pentagono, ribattezzandoli Uap, mentre il generale israeliano Haim Eshed parla di basi extraterresti e di alleanze spaziali, tra umani e non, nell’ambito di una Federazione Galattica. E alcuni illustri massoni, improvvisamente loquaci, parlano di storici accordi nel dopoguerra tra la dirigenza degli Usa e imprecisate entità aliene, per la governance condivisa del pianeta.Come sperare di raccontarlo, tutto questo, ai poveri ipnotizzati che – in pieno agosto – vanno ancora in giro, all’aperto, con quella ridicola pezzuola sul volto? Sono la prova vivente del pieno successo del Dominio: aveva ragione, l’ipotetico grande regista, nel ritenere che la gran parte dei sudditi avrebbe creduto proprio a tutto. Come dargli torto, del resto? Siamo riusciti a credere che un solitario fanatico saudita abbia potuto mettere in ginocchio gli Stati Uniti agendo da una grotta afghana, fino a beffare le difese della superpotenza, grazie a un manipolo di pecorai e talebani. Siamo riusciti a credere che due piccoli aerei di linea potessero abbattere due mostri d’acciaio come le Torri Gemelle, per la cui eventuale demolizione controllata era stato reputato (dal Comune di New York) che l’unica soluzione potesse essere il ricorso a mini-atomiche, da collocare in appositi vani predisposti nelle fondamenta. Abbiamo anche creduto che potesse essere autentico, tra le macerie di Ground Zero, il ritrovamento “fortunoso” dei passaporti dei misteriosi, feroci attentatori.Aveva visto giusto Giulietto Chiesa: da quel Rubicone non sarebbe stato facile, tornare indietro. Convalidando una falsità così mostruosa, avremmo finito per credere a qualsiasi frottola. E infatti: abbiamo steso il tappeto rosso al signor Mario Monti, venuto a disastrare l’economia nazionale per produrre crisi e afflizione sociale, dopo aver creduto che il debito pubblico fosse davvero un dramma, e che la Bce fosse una specie di forziere con capacità limitate, da cui la necessità di risparmiare – in modo oculato e parsimonioso, “come un buon padre di famiglia” – il tesoretto dell’euro-moneta, appannaggio di cosche finanziarie privatissime. In parallelo, era sorta la prima contro-narrazione, in Italia splendidamente interpretata da un lottatore come Paolo Barnard, vero pioniere in una trincea che poi si è affollata di illustri compagni di strada, dal sociologo Luciano Gallino all’eurocrate pentito Paolo Savona. E noi dov’eravamo? Al solito posto, davanti al televisore: ipnotizzati dalla finta guerriglia tra pseudo-destra e pseudo-sinistra; un film (comico) aperto dalla Berlusconimachia e proseguito, in un crescendo irresistibile, fino all’epica disfida tra Savini e le Sardine.E ora eccoci qui, dopo un anno e mezzo, ancora a contare “casi” e “contagi”, dentro la narrazione del Grande Male che falcia lo zero-virgola della popolazione mondiale e da noi minaccia gli ottantenni, ma solo a patto che vengano abbandonati per giorni a marcire a casa, da soli, senza cure, in modo che poi possano davvero arrivare all’ospedale fuori tempo massimo, alle prese con problemi respiratori e la compromissione funzionale di vari organi. Eccoci qui, a sputare in faccia a chi non la pensa come noi: a chiamare “no-vax” i renitenti alla follia, a definire “negazionisti” i poveretti che si ostinano inutilmente a pretendere spiegazioni. Siamo maestri, nell’arte della manipolazione spicciola: arriviamo tranquillamente a insultare i dissidenti e a deridere chi dà voce agli incubi, chiamando “complottista” chi vede una cospirazione in atto.Naturalmente ci sono, i visionari: ma difficilmente continuerebbero a esistere, se dall’alto giungessero informazioni precise, corrette e trasparenti. Dall’alto invece piovono solo bugie, insieme alle minacce (ogni giorno più inquietanti); ma noi facciamo finta che i “cospirazionisti” siano dei malati di mente, dei mentecatti in vena di protagonismo, anche se – cent’anni fa – un personaggio come Rudolf Steiner, per primo, aveva profetizzato l’avvento di “vaccini” specialissimi, in grado di “separare il corpo dall’anima”, depotenziando l’emotività. Il chimico Corrado Malanga la chiama “zombizzazione”, osservando il dilagare di persone ormai inebetite dalla paura, rassegnate a non pensare più. Nella sua visione spiritualistica di matrice steineriana, Fausto Carotenuto (già analista d’intelligence) sostiene che l’attacco in corso sia frutto di apprensione: come se il Dominio temesse un grande risveglio, e sapesse di avere le ore contate. Un altro esponente della cultura alternativa italiana, l’alchimista Michele Giovagnoli, preferisce sforzarsi di guardare al bicchiere mezzo pieno: un cittadino su tre si sta letteralmente sottraendo alle grottesche imposizioni quotidiane.Questo stesso blog, che ha ormai esaurito la sua missione (fornire informazioni e analisi non facilmente rintracciabili, dieci anni fa) ormai ha acquisito la piena consapevolezza della fine di un ciclo, e la completa inutilità dell’insistere su determinati temi. E’ vano indugiare nella narrazione politologica, visto che da un lato la maggioranza resta sorda a ogni richiamo alla ragione, e dall’altro la minoranza dispone finalmente di strumenti più adeguati per misurare la realtà. Tra le convinzioni raggiunte, c’è anche la seguente: è perfettamente inutile scommettere ancora sulle possibilità di redenzione della politica, nel momento in cui è irrimediabilmente mutata la stessa antropologia della platea. Per contro, è proprio la brutalità della crescente coercizione ad accelerare l’evoluzione dell’umanità trainante, che giustamente diffida di ogni forma associativa convenzionale, partiti e movimenti, avendo compreso l’essenziale valore della vicinanza tra esseri umani, non più mediata da alcuna struttura, e la necessità di procedere nell’espressione virtualmente contagiosa di onde benefiche, di narrazioni parallele orientate non al presente, ma al futuro prossimo.Il Novecento, severissimo maestro, ha mostrato come può essere facile manipolare milioni di individui, fino a scatenare le peggiori carneficine (mondiali) dell’era industriale. Ha anche allevato schiere di avanguardisti coraggiosi, pronti a rischiare la propria vita pur di resistere alla tirannia. Primo Levi, uno dei massimi scrittori contemporanei, ha spiegato quanto sia sempre invisibile, all’inizio, il recinto che viene silenziosamente steso, giorno per giorno, allo scopo di intrappolare le vittime senza allarmarle. Finestra di Overton, o Teoria della Rana Bollita: la differenza, rispetto a ieri, è che oggi il pentolone è planetario. E vorrà pur dire qualcosa, nei giorni in cui i militari statunitensi pubblicano le prove dei loro incontri ravvicinati con i simpatici Uap. E noi, qui, nel frattempo che si fa? Ce ne stiamo quieti, in attesa dell’Alieno Buono che ci verrà a salvare, come l’Extraterrestre della canzone di Finardi? Ci allineiamo “in fila per tre”, come chiede il governo e come cantava Edoardo Bennato? Continuiamo a credere a Babbo Natale, cioè al Telegiornale, o seguitiamo a torturarci con le atrocità quotidiane che i medici-coraggio denunciano, da ormai un anno?Cari amici, viene da dire, io tolgo il disturbo: qui non resto un attimo di più; perché mi sento soffocare, in questo grappolo di narrazioni e contro-narrazioni. Quello è davvero il nocciolo della questione: in base a decisioni prese chissà quando, qualcuno ha stabilito che – dai primi mesi del 2020 – non si dovesse più parlare d’altro. Il mondo andava semplicemente fermato, rintronato, ipnotizzato, piegato. Non tutto il mondo, in realtà: l’Occidente. Paesi-continente come la Russia e India, per esempio, non si sono lasciati sottomettere. Esiste sempre, una quota considerevole di renitenti: anche se oggi può sembrare difficile accettarlo, la cosiddetta “fine della storia” resta un mito, una suggestione ideologica. Un caposaldo della strategia militare, in ogni tempo, è questo: mai accettare di combattere una battaglia nelle modalità indicate dallo sfidante, che ha scelto il giorno e il luogo. E’ un vantaggio che, per l’aggressore, rappresenta un regalo clamoroso. La domanda di fondo, però, resta inevasa: perché è capitato proprio a noi, oggi, di vivere l’incubo di una tempesta come questa?La grande amarezza non viene nemmeno dal potere, ma è provocata dal vicino di casa: pensa davvero che tu sia una specie di squilibrato, un mitomane, un esibizionista presuntuoso? Non solo non approva il tuo ostinato diniego, di fronte alle imposizioni sempre più surreali e illogiche, soffocanti e dispotiche, ma prova nei tuoi confronti anche una sorta di sordo risentimento, che potrebbe persino sfociare in ostracismo aperto non appena il direttore d’orchestra dovesse alzare nuovamente il volume della sirena d’allarme, facendo correre i topolini a rintanarsi, pieni di paura per la loro sorte (e di veleno, per chi rifiuta di sottomettersi). C’è chi la chiama “speciazione”: è il bivio evolutivo tra due umanità differenti, diverse nel sentire e nell’agire, che il Dominio riesce a separare irrimediabilmente, rompendo tutti i ponti del dialogo e della reciproca, amichevole comprensione. Ulteriore tristezza: insieme alla Francia, l’Italia è l’altro paese europeo che ha imboccato la strada della coercizione violenta.
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De Donno ucciso dal sistema che ora userà le sue cure
«Io mi sono esposto molto, in prima persona, ovviamente rinunciando ai miei affetti e alla mia vita privata», ha detto Giuseppe De Donno in un recente video, mentre lasciava l’ospedale di Mantova. «Ho ricevuto tantissime critiche, tantissimi attacchi. E capisco anche che, quando uno si espone così, in modo mediaticamente violento, può starci che venga poi attaccato a sua volta. Però, quello che mi interessava era salvare più vite possibile». Come tutti ormai sanno, il dottor De Donno è stato trovato morto nella sua abitazione. Ufficialmente si è trattato di suicidio, ma ci sono moltissime persone – oggi, in rete – che dubitano di questo, e pensano invece che sia stato ammazzato. Il motivo, secondo queste persone, è che De Donno fosse un personaggio scomodo, che dava fastidio al potere perché aveva proposto una cura che le case farmaceutiche, ovviamente, non volevano. Inoltre, dice qualcuno, in un un futuro processo, De Donno sarebbe stato un testimone scomodo, perché aveva tante cose da raccontare.In realtà, per adesso, di processi del genere in vista non ce ne sono. Ma ormai, De Donno non era più una minaccia per nessuno, visto che la sua cura al plasma è stata affossata mediaticamente, e sepolta per sempre, con la complicità dell’intera classe giornalistica. E’ proprio questo, secondo me, il motivo che l’ha ucciso, che l’ha portato a togliersi la vita. De Donno non riusciva a capire, non riusciva ad accettare che, pur avendo trovato una cura valida per il Covid, nessuno fosse interessato a utilizzarla. Io gli avevo parlato, qualche mese fa, in occasione del mio video “Covid, le cure proibite”, e già allora avevo avuto la netta sensazione di parlare con un morto. L’uomo era fisicamente vivo: dalla sua bocca uscivano parole sensate e comprensibili. Ma l’anima era già morta, se n’era già andata: non c’era più fiamma, dentro di lui. De Donno era un uomo spento: distrutto dalla sua incapacità di comprendere perché nessuno fosse interessato ai risultati che aveva ottenuto nel suo ospedale.Me l’avrà ripetuto almeno tre volte, nella telefonata. «Io non capisco», mi diceva: «Ci sono i risultati, ci sono le persone guarite, sono lì da vedere: che cos’altro vogliono?». Io provai a spiegargli che la sua cura in realtà rappresentava un problema, per il grande piano che era in svolgimento, in quel momento. Ma non è facile spiegare certe cose a una persona che crede ciecamente nella medicina e che, fino a quel giorno, ha pensato che lo scopo primario della scienza medica sia quello di salvare vite umane. Se si vuol cercare di capire le origini di un gesto estremo come il suo, provate veramente a pensare a cosa significhi, per una persona che per tutta la vita ha creduto fermamente in qualcosa, se di colpo quella cosa gli sgretola davanti come una statua di pastafrolla. Non rimane niente in cui credere, non rimane niente per cui lottare. E quindi, l’anima se ne va: l’anima si ritira. E poi aspetta, pazientemente, che anche il corpo la raggiunga. In ogni caso, che si sia trattato di omicidio o di suicidio, il succo della questione non cambia: Giuseppe De Donno è stato ucciso da un sistema sanitario e mediatico che ha voluto toglierlo di mezzo perché lui proponeva qualcosa che il sistema, in quel momento, non voleva.E adesso sveliamo perché non lo volevano, visto che proprio oggi abbiamo davanti agli occhi la conferma di questo. Avrete letto tutti che, nel prossimo autunno, saranno autorizzate dall’Unione Europea cinque terapie per curare il Covid. Bene, quattro di queste terapie sono anticorpi monoclonali. Cosa sono, esattamente? Facciamocelo spiegare dall’infettivologo Lorenzo Mondello, intervistato dalla rivista “InSanitas”. «Gli anticorpi monoclonali – spiega – sono la copia, realizzata dall’industria della biologia molecolare, dell’anticorpo presente nel siero iperimmune del guarito da Covid-19». Ma guarda che coincidenza: proprio quello che usava De Donno, il siero iperimmune dei guariti da Covid. C’è una grossa differenza, però, tra il siero dei guariti utilizzato da De Donno e la copia fatta in laboratorio: il siero dei guariti costa 80 euro a sacca e non si può brevettare (perché è una donazione, da un cittadino a un altro cittadino), mentre gli anticorpi monoclonali si possono brevettare e, guardacaso, verranno a costare circa 2.000 euro a dose.Quindi, pensate a De Donno: cornuto, e pure mazziato. Non solo gli hanno negato la possibilità di veder applicata con successo la sua cura, quando l’ha scoperta, ma – dopo che tutti si sono affannati a dire che non funzionava – ha visto la stessa tecnologia replicata in laboratorio, che verrà venduta con grandi profitti in tutto il mondo. Secondo me ti viene voglia di suicidarti non una, ma dieci volte, di fronte a una cosa del genere. E pensate che lo stesso Burioni era stato lungimirante, l’anno scorso: mentre da una parte minimizzava il potenziale della scoperta di De Donno, dall’altra già anticipava l’avvento delle monoclonali prodotte in laboratorio. Era il maggio del 2020, e Burioni diceva: abbiamo già iniziato, ma ci vorrà almeno un annetto, prima di riuscirci; però ci arriveremo. Sentitelo: «Dov’è che questa cosa diventa molto interessante? Diventa interessantissima perché, nel momento in cui riusciremo a stabilire con certezza che utilizzare i sieri dei guariti fa bene, avremo aperto una porta eccezionale per una terapia modernissima: quella che prevede, praticamente, l’utilizzo di un siero artificiale».«Si aprirebbe una porta fantastica per una terapia che avrebbe un’altissima probabilità di essere sicura ed efficace: quella della produzione di anticorpi monoclonali umani (quindi, un siero artificiale) contro il coronavirus. Non è una cosa immediata, perché ci vorrebbe un annetto; ma si è già cominciato, e quindi a questo punto l’orologio sta andando avanti a nostro favore». “L’orologio sta andando avanti a nostro favore”, ma ovviamente bisogna prima togliere di mezzo l’originale: altrimenti la copia non potremo mai venderla a nessuno. E così, togliendo di mezzo l’originale, non solo hanno distrutto l’esistenza di De Donno, ma hanno anche condannato a morte tutte le persone che sono morte da allora ad oggi, e che in molti casi avrebbero potuto essere salvate con il siero naturale. Devo veramente aggiungere altro?(Massimo Mazzucco, estratto dal video “E’ morto Giuseppe De Donno”, su “Contro Tv”, ripreso su “Luogo Comune” il 26 luglio 2021).«Io mi sono esposto molto, in prima persona, ovviamente rinunciando ai miei affetti e alla mia vita privata», ha detto Giuseppe De Donno in un recente video, mentre lasciava l’ospedale di Mantova. «Ho ricevuto tantissime critiche, tantissimi attacchi. E capisco anche che, quando uno si espone così, in modo mediaticamente violento, può starci che venga poi attaccato a sua volta. Però, quello che mi interessava era salvare più vite possibile». Come tutti ormai sanno, il dottor De Donno è stato trovato morto nella sua abitazione. Ufficialmente si è trattato di suicidio, ma ci sono moltissime persone – oggi, in rete – che dubitano di questo, e pensano invece che sia stato ammazzato. Il motivo, secondo queste persone, è che De Donno fosse un personaggio scomodo, che dava fastidio al potere perché aveva proposto una cura che le case farmaceutiche, ovviamente, non volevano. Inoltre, dice qualcuno, in un un futuro processo, De Donno sarebbe stato un testimone scomodo, perché aveva tante cose da raccontare.
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Addio Italia: se siamo all’apartheid, la democrazia è finita
E’ semplice: basta cedere su un punto cruciale (la verità) e la rovina sarà garantita. La verità omessa è questa: il Covid è curabilissimo, da casa. La menzogna: il “vaccino” (che vaccino non è) resta l’unica soluzione. Falso: la terapia genica sperimentale introdotta nel 2021, che mai sarebbe stata autorizzata se si fosse ammessa l’esistenza delle normali terapie, non solo non riduce affatto i contagi, che di per sé oltretutto non significano nulla; il “non-vaccino” è anche la corda con cui impiccare quel che resta della democrazia italiana. Addio giustizia, diritti, libertà, privacy. Addio economia, addio socialità. Addio cinema e teatro, addio bar e ristoranti. Addio Italia. Imperdonabile, la scelta di Mario Draghi: puntare tutto solo sul “non-vaccino”, trascurando in modo sciagurato le terapie. L’associazione medica “Ippocrate” ha appena presentato il suo bilancio, dopo 60.000 pazienti Covid curati e guariti da casa: nessun ricovero, nessuna vittima. Lo scandalo: l’Italia non ha ancora adottato un protocollo come quello di “Ippocrate”.
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La Bibbia Nuda: quando finirà l’equivoco del “libro sacro”
Il noto docente e divulgatore scientifico Alessandro Barbero ha ribadito ultimamente un celebre “mantra” universalmente noto, ovvero che la storia la scrivono i vincitori. Da sempre e in ogni senso. La storia dell’umanità è stata scritta, riscritta, trascritta e insegnata, divulgata in tanti modi, certamente affascinanti, ma pur sempre pilotati. I “vincitori” sono coloro che poi impongono la loro politica, i loro usi e costumi e, per scendere nello specifico sono “le caste”, i detentori della publica fides e che nel nostro paese sono rappresentate in modo particolare dalla Chiesa Cattolica Romana e dalle Università. Qualcuno diceva che «la casta è casta e va sì rispettata», ma qui ormai «si è perso il senso e la misura»… è semplicemente una questione di spartizione dei poteri. Non è voler denigrare il meraviglioso Ateneo italiano, il più antico del mondo, se notiamo come spesso, purtroppo, e con vivo rammarico di tanti, esso sia ridotto a mero “esamificio”, puntellato da baronie con la passione dell’immortalità, che si autoperpetuano per nepotismo (e non solo). E così non mancano gli studenti ridotti a polli in batteria, spesso abbandonati a loro stessi, ridotti a macchine di memorizzazione…E quando, pertanto, gli ambienti “certificatori” della conoscenza umana si pongono come i soli detentori della sapienza, non si pongono nemmeno il problema di accettare ciò che si permette di mettere in discussione una tradizione granitica e monolitica, fiera dei suoi secoli. Ammettere che la storia debba essere riscritta proprio non può andare. Troppe cattedre tremerebbero, troppi fiumi di inchiostro sigillati dagli stessi apparati accademici sarebbero da buttare nella raccolta differenziata della carta. Eh no. Decisamente questi signori non gradiranno mai che coloro che non siano “esplicitamente designati” mettano le mani nella loro marmellata! L’allearsi pertanto di atei e bigotti nella comune difesa dogmatica di questa “Tradizione” non concede sconti. Magari alla fine si può anche bonariamente accettare l’idea di un Omero vissuto nel Nord Europa, di un Galileo occultista che praticava arti magiche ma che in fin dei conti era un buon uomo, ma ci sono argomenti tenuti volontariamente tabù. Le Scritture sono uno di questi.Quindi, affermare o solo ipotizzare che la Sacra Scrittura non sia poi così tanto sacra e che da secoli si perpetuano errori madornali di traduzione è anti-scientifico, è da complottisti. È da stupidi. Peccato che chiunque abbia avuto a che fare con il mondo delle traduzioni, in special modo quando si opera con le lingue antiche, saprà troppo bene come esistono termini che sono intraducibili per definitionem; oppure più semplicemente che noi, con gli occhi di chi vive comunque un’altra realtà, non sappiamo rendere quello che volevano dire loro. Sono centinaia gli esempi che vengono insegnati in filologia classica. Ne vorrei citare uno, molto banale ma bello. Nell’Iliade, dire “glaucopide Atena” non significa nulla. Tradotto alla lettera da Rosa Calzecchi Onesti con “Atena dagli occhi azzurri”, è stato proposto di renderlo con “Atena dall’aspetto del color del mare”, un epiteto che meglio rende una divinità. Alla luce di tutto ciò è lecito domandarci se, tutto sommato, il libro “Antico Testamento” doveva divenire qualcosa in più rispetto alle centinaia di poemi epici antichi e che in qualche modo la sua storia, il suo essere tramandato e tradotto, è stato modificato.A dire quindi che «la Bibbia è un libro ispirato da Dio» va bene anche alla scienza, in quanto sono secoli di granitica tradizione che ha dato lavoro e fama a troppe persone. Ma se una supposizione è una deduzione logica sulla base degli argomenti, io ho il diritto di pormi il “se davvero” è così. Nessuno lo ha fatto prima? Almeno non in modo così dichiarato, aperto, trasparente? E’ perché forse nessuno ne ha avuto il coraggio. Il coraggio di alzare la voce e rivendicare che la grammatica è grammatica, e dichiarare che alcuni termini ebraici sono intraducibili. E se ci si ostina a tradurli è per creare una sub-grammatica ad hoc, una grammatica falsa creata per far stare in piedi l’impalcatura Bibbia-Libro Sacro. I cattolici romani sono in evidente malafede (e lo sanno). I protestanti sono dei buonisti (e lo sanno pure loro, e fa comodo soprattutto ai cattolici). Rimangono le frange di Evangelici con movimenti praticamente indipendentisti, chiese acefale di stampo carismatico, lefevriani e integralisti.Poi, se vogliamo dare retta ai teologi e agli esegeti “professionisti”, essi ci rassicurano dicendoci che la Bibbia in fondo è come l’armadio di famiglia, ovvero un luogo dove “c’è un po’ di tutto”, in cui si sono stratificate le cose più e meno importanti. Ma che sollievo (mi viene da dire)! Quindi, chi crede deve basare la sua fede su un’accozzaglia di storie sparpagliate chiaramente mitologiche, allegoriche, mitopoietiche. Non so perché, ma non mi sentirei così tranquillo a sapere che il “mio” libro sacro, da cui dipende la mia vita, la mia condotta morale, il mio destino futuro, è un guazzabuglio di storie e miti! Ma un po’ di buon senso non guasterebbe, se prendessimo effettivamente atto che, se prendi la Bibbia alla lettera, è anacronistica e piena di errori scientifici, storici e geografici. Se interpretata ci dobbiamo porre delle domande: con quale criterio scegliamo cosa interpretare e cosa no? O, se interpretiamo tutto, non rischiamo di farne nascere migliaia di religioni diverse? Se tutto è un simbolo, possiamo dubitare di tutti i personaggi menzionati, no?La Bibbia non è niente altro che un testo mitologico di una delle tante “religioni” che dovrebbero essere studiate antropologicamente, storicamente e culturalmente… stop! Per il resto, non dovrebbe essere in alcun modo presa a riferimento. Quello che nessun detrattore di Mauro Biglino potrà mai dire è che egli si voglia professare ennesimo “nuovo profeta” di una qualche corrente. Nulla di più fuori strada. Il “biglinanesimo” non esiste. Perché non può esistere! Ciò che esiste è invece ragionamento e studio, è l’uso della razionalità, è assenza di pregiudizio. E a me, per natura scettico e libero pensatore, piace molto ragionare usando il criterio, navigare nell’oceano del dubbio, alla ricerca continua e ossessiva di nuove ipotesi e nuove tesi che spighino tanti perché su cui religioni, filosofie e la stessa scienza non hanno ancora dato una risposta. E forse questa risposta non la troveremo. Oppure un domani ci andremo molto vicini. Quante volte è stato detto che la scienza è dovuta tornare indietro sui suoi passi? Perché non era possibile spiegare tutto, o meglio: non bastavano più le spiegazioni tradizionali.Gustavo Rol, a chi gli domandava come facesse a realizzare quei prodigi di cui decine di persone sono state testimoni oculari, diceva: «Ci sono cose che io oggi ho trovato e posso fare. Domani le scoprirà e le potrà fare anche la scienza». Perché in fondo diamo troppo per scontato il principio di Lavoisier, che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma: un concetto che, nella sua semplicità disarmante, è profondamente vero. Certamente siamo ad un passaggio, a un giro di boa storico. Da storico mi emoziono moltissimo quando passeggio per chiese e cimiteri e leggo vecchie e antiche lapidi di religiosi, sacerdoti, membri di confraternite, che hanno scritto la storia nel piccolo e nel grande, hanno creduto in un ideale che non potevano che avere come certezza assoluta; hanno predicato per vite intere, fatto sicuramente del bene, in nome di una elaborazione ben costruita a tavolino. Tanto rispetto per il loro operato, ma tanto sgomento per il fatto che l’essere umano ha, per sua natura, bisogno fisiologico di cercarsi, individuarsi, categorizzarsi in un determinato gregge. E se fra 10, 50 o 100 anni l’Antico Testamento non si leggerà più come testo sacro, cosa succederà? Perché la questione non è se, ma quando.Credo personalmente che, alla luce del libro “La Bibbia nuda” e dei ragionamenti puliti e lineari di Mauro Biglino, ci dobbiamo serenamente preparare. Col ragionamento, con lo studio, con la maturazione di un senso critico giusto, nessuno si meraviglierà se, purtroppo, la Bibbia ha causato milioni di morti. Se si sono imposte delle caste. Se veniamo trattati come vitelli all’interno di recinti ben precisi. Biglino ci insegna in un modo squisitamente “paterno”, razionalmente disarmante, a stimolare il nostro senso critico. Con un metodo che oserei definire kantiano. Elegantemente pulito e lineare. Non posso poi non menzionare, seguendo i ragionamenti condotti da Biglino, curiose coincidenze che mi ritornano alla mente… Ad esempio una filmografia hollywoodiana che, da sempre, si rivela ampiamente informata sui fatti… Chi si ricorda la scena di “Ghostbusters”, di Ivan Reitman, quando un terrorizzato Dan Aykroyd si sente chiedere dal famigerato “Gozer il gozeriano”: «Sei tu un dio?».E tutta la trama sembra perfettamente rispettare l’immagine di questi “esseri con poteri sovrumani”, venerati come divinità pagane nell’antichità, che si risvegliano e pretendono il loro tributo. E allora che dire di cult quali “Cocoon” (1985), ovviamente “Stargate” (1994), “The Arrival” (1996), “Contact” (1999), fino a “Prometheus” (2012)… Sapevano già trent’anni fa che gli antichi Elohim erano degli extraterrestri? Insomma, ancora una volta, da questo libro, uscito nel momento storico giusto, emerge un Biglino vincente. Che “si commenta da solo” con ragionamenti che si offrono al pubblico raziocinio della coscienza. Caro Mauro, ancora una volta “facesti come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte”. E quindi, alla fine, noi “facciamo finta”.(Gianluca D’Elia, recensione a “La Bibbia nuda”, libro-intervista di Giorgio Cattaneo con Mauro Biglino, Tuthi, 345 pagine, 23 euro. D’Elia è bibliotecario all’Augusta di Perugia, prima biblioteca italiana ad aver inserito tra i suoi volumi “La Bibbia Nuda”, ora disponibile anche su “Il Giardino dei Libri”).Il noto docente e divulgatore scientifico Alessandro Barbero ha ribadito ultimamente un celebre “mantra” universalmente noto, ovvero che la storia la scrivono i vincitori. Da sempre e in ogni senso. La storia dell’umanità è stata scritta, riscritta, trascritta e insegnata, divulgata in tanti modi, certamente affascinanti, ma pur sempre pilotati. I “vincitori” sono coloro che poi impongono la loro politica, i loro usi e costumi e, per scendere nello specifico sono “le caste”, i detentori della publica fides e che nel nostro paese sono rappresentate in modo particolare dalla Chiesa Cattolica Romana e dalle Università. Qualcuno diceva che «la casta è casta e va sì rispettata», ma qui ormai «si è perso il senso e la misura»… è semplicemente una questione di spartizione dei poteri. Non è voler denigrare il meraviglioso Ateneo italiano, il più antico del mondo, se notiamo come spesso, purtroppo, e con vivo rammarico di tanti, esso sia ridotto a mero “esamificio”, puntellato da baronie con la passione dell’immortalità, che si autoperpetuano per nepotismo (e non solo). E così non mancano gli studenti ridotti a polli in batteria, spesso abbandonati a loro stessi, ridotti a macchine di memorizzazione…
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Pass, “vaccini” e niente cure: se l’Italia resta nella follia
Blinda la supercazzola brematurata, con vaccinazione a sinistra. La signora si sta avvicinando agli ottant’anni, ma finora ha evitato l’inoculo. Lo scorso inverno non ha nemmeno avuto un semplice raffreddore stagionale, grazie all’elevato dosaggio di vitamine e zinco. La dottoressa aveva insistito: davvero, non se la sente di ricevere la dose? Davvero. Al che, la sanitaria dell’Asl ha vuotato il sacco: da due mesi, dopo l’iniezione – ha ammesso – soffre per uno stato infiammatorio diffuso. Quanto all’anziana paziente, se ha problemi di salute (solo fastidi, nonostante l’età) si rivolge a un altro medico, in forma privata. Quel dottore ha alle spalle decenni di esperienza ospedaliera, e oggi esplora le nuove frontiere della medicina complementare, che limita al minimo la biochimica farmacologica. Dice il dottore: ho appena ricevuto l’ultimatum dall’Ordine dei Medici, per sottopormi all’inoculo. Il che – aggiunge – significa una sola cosa: che non resterò più a lungo nell’albo, perché non vedo alternative alla inevitabile radiazione. Subire quello che ancora chiamano vaccino? Non se ne parla nemmeno: ci tengo, alla salute, quanto alla mia libertà, che è sacra.Il dottore, naturalmente, cura a domicilio anche l’influenza: quella che nel 2020 è diventata il problema numero uno dell’umanità. Come è riuscita, l’influenza, a compiere la sua storica impresa? Facilissimo: è bastato non curarla, praticamente mai (né a casa, né all’ospedale). Certo il dottore – ancora per poco nell’elenco nazionale dei medici – non si vanta affatto di saperla curare, questa influenza, registrando il 100% delle guarigioni: pur sempre di influenza si tratta, dice, anche se con sintomi particolari, ormai perfettamente trattabili con i farmaci adatti, se prontamente somministrati. Cioè: esattamente quello che anche il governo italiano – quello che impone ai medici di “vaccinarsi” – continua a non fare: ancora non esiste un protocollo nazionale per mettere il medico di famiglia nelle condizioni di curare efficacemente i pazienti, utilizzando i medicinali opportuni (secondo la prassi terapeutica ormai collaudata da centinaia di medici onesti, costretti a operare in semi-clandestinità: come se guarire i pazienti da casa fosse un reato, visto che nessuno di loro necessita del ricovero e recupera la piena salute nel giro di pochi giorni).Non che negli ospedali la situazione sia migliore, racconta un amico. Da qualche anno è alle prese con un tumore, ha già subito un intervento chirurgico e i medici lo seguono con grande attenzione. Uno, in particolare, lo ha avvertito: mi raccomando, se dovessi contrarre l’influenza chiamami. E per favore, ha aggiunto, non sognarti di chiamare il 118. Se poi dovessi stare davvero male, a maggior ragione: chiama me, prima di andare al pronto soccorso, perché nel nostro ospedale – in assenza di un protocollo sanitario – i pazienti colpiti dall’influenza vengono curati “a sentimento”, in base alle impressioni del medico di turno e al quadro clinico del malato. Ha detto proprio così: a sentimento. Come se lavorasse in un’infermeria da campo del Burundi, e non in Italia nel 2021, terzo millennio, in una rinomata struttura ospedaliera del paese la cui nazionale di calcio è appena diventata campione d’Europa.Si cura “a sentimento”, in quell’ospedale: e a essere curati “a sentimento” sono quegli sfortunatissimi pazienti abbandonati per giorni nelle loro case, senza terapie, in compagnia dei loro sintomi. Tachiripina e vigile attesa: è come fare il tifo per l’influenza, sperando che si aggravi al punto da indurre il poveretto a chiamare il 118. A quel punto sarà l’ambulanza a trasportarlo – ormai tardi – nel pronto soccorso dove verrà curato “a sentimento”. E non è tutto: perché in questo Burundi che è diventata l’Italia, con l’avvento dell’influenza 2020 (con quel suo nome sinistro, targato 2019), ora si prova anche a limitare ulteriormente la libertà di movimento, imponendo il cosiddetto pass vaccinale per poter salire su un treno. C’è chi preme per imitare la Francia, che il lasciapassare medievale lo pretende anche per sedersi al bar a prendere un caffè, e chi invece frena e protesta, gridando al liberticidio.Da qualche mese c’è un governo diverso, che sembra voler evitare a tutti i costi le operazioni di macelleria condotte in modo spietato dall’esecutivo che era in carica nel 2020. Però nessuno – né il nuovo governo, né le forze politiche che si oppongono alle discriminazioni che verrebbero introdotte con il pass – accennano alla vera e unica soluzione del problema: l’adozione di un normalissimo protocollo per le cure domiciliari precoci, quelle che dall’influenza guariscono praticamente tutti. Le terapie ormai sono tante, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma sono tutte ferocemente osteggiate. Il ministero della sanità le ha addirittura proibite, facendo appello alla magistratura attraverso cavilli procedurali. Sarebbe un bel guaio, in effetti, se all’ospedale non venisse ricoverato più nessuno: dove finirebbero i titoli dei giornali e le aperture dei telegiornali, da un anno e mezzo impegnati a strombazzare il quotidiano bollettino di guerra?Prima erano esibiti i morti, i ricoveri in terapia intensiva. Poi i tamponi, i cosiddetti “casi”, cioè i contagi (largamente asintomatici). E infine le dosi giornaliere del farmaco genico sperimentale che, se fosse stata ammessa l’esistenza delle normali cure, non sarebbe stato autorizzato prima del 31 dicembre 2023. Quante vittime è costata, questa spaventosa farsa? Quanti pazienti sono stati lasciati morire senza cure, per poter arrivare all’autorizzazione d’emergenza per i farmaci genici sperimentali che solo un cinico impostore (o un ignorante) può ancora continuare a chiamare vaccini? E’ come se i migliori medici italiani – tantissimi – fossero stati presi a ceffoni: avete trovato le cure adatte per guarire i pazienti da casa? Male, malissimo. Non solo non le autorizziamo, le vostre cure (che salvano vite umane), ma vi costringiamo anche a subire un trattamento sanitario obbligatorio illegittimo, visto che si tratta di un farmaco ancora solo sperimentale.Viene da domandarsi dove speri di andare, un paese così. Puoi vincere gli europei di calcio, puoi evitare la catastrofe socio-economica delle chiusure (e non è poco, visti i precedenti recentissimi). Ma non puoi – non vuoi? – guarire nessuno. La malattia, quella vera, non è l’influenza. E’ una patologia ben più temibile: si chiama follia. Ha un nome antico, ma miete vittime a milioni. E viene da lontano: non è certo di oggi. Non è solo italiana, ha contagiato gran parte del pianeta, specie l’Occidente. E’ un male oscuro, psico-politico e mediatico. Impone teoremi, dogmi, superstizioni. E intanto umilia i medici, massacra i malati, terrorizza gli sprovveduti e vessa tutti, nessuno esclsuso, limitando la libertà di ciascuno. Fino a quando? L’unica terapia efficace in questo caso non è clinica, è squisitamente politica: si chiama verità. Più verità sarà somministrata, e più la guarigione farà progressi. Punto cardinale: bonificare il sistema dal cancro della menzogna, diffuso a reti unificate anche censurando la verità e imbavagliando chi la rivela e la pratica.La madre di tutte le menzogne è ancora dominante: il cosiddetto vaccino, come unica possibile soluzione per debellare l’influenza. E dunque la coercizione, la minaccia, l’intimidazione, le ritorsioni contro chi si ribella all’abuso di potere fondato sulla falsità. La sintomatologia è speculare – sia pure sul piano della narrativa sanitaria, stavolta – all’anamnesi socio-religiosa dell’austerity: un problema altrettanto inventato e fasullo (la scarsità di moneta) maneggiato per incutere timore e imporre sottomissione. Il signor Mario Draghi, ieri in prima linea in questa disgustosa specialità, oggi ha palesemente cambiato squadra: lavora per rimediare al disastro trentennale provocato dalla crisi artificiosa del rigore. Quanto all’altro problema (l’influenza, o meglio: la follia criminale): il solo fatto che sia costretto a tenersi lo stesso “ministro della paura” in carica nel governo precedente dimostra quanto sia maledettamente complicato, nel giro di qualche mese, provare a smontare il paradigma universale della menzogna.E’ come se l’adesione (stolida e cieca, in apparenza) alla religione del “vaccino” fosse una sorta di atroce tributo inevitabile, da pagare alla potente holding del terrore globale, sorretta dall’Università delle Frottole e dal Telegiornale del Panico, per poter cominciare a uscire – per gradi – dall’incubo della grande follia. Per questo, probabilmente, l’Italia attenuerà il più possibile la legge del taglione (quella del pass), alleggerendo le conseguenze per i renitenti. Purtroppo, però, il falso vangelo della salvezza tuttora impone il sacrificio umano dei medici e anche degli insegnanti, arrivando a insidiare direttamente i minorenni, già sottoposti a torture devastanti come il vuoto pneumatico della “didattica a distanza” e l’attentato alla salute costituito dall’imposizione della museruola in classe. La grande tristezza consiste nel vedere come, tuttora, nessuna forza politica intenda fare le barricate per smantellarla, la menzogna, pretendendo finalmente l’adozione delle cure. Terapie che renderebbero superflua qualunque profilassi: compresa quella del vaccino (se esistesse realmente, un vero vaccino). Il farmaco salva-vita è un altro: la verità. Senza la quale, è scontato, tutti soffriranno ancora moltissimo, e chissà per quanto.Blinda la supercazzola brematurata, con vaccinazione a sinistra. La signora si sta avvicinando agli ottant’anni, ma finora ha evitato l’inoculo. Lo scorso inverno non ha nemmeno avuto un semplice raffreddore stagionale, grazie all’elevato dosaggio di vitamine e zinco. La dottoressa aveva insistito: davvero, non se la sente di ricevere la dose? Davvero. Al che, la sanitaria dell’Asl ha vuotato il sacco: da due mesi, dopo l’iniezione – ha ammesso – soffre per uno stato di malessere diffuso. Quanto all’anziana paziente, se ha problemi di salute (solo fastidi, nonostante l’età) si rivolge a un altro medico, in forma privata. Quel dottore ha alle spalle decenni di esperienza ospedaliera, e oggi esplora le nuove frontiere della medicina complementare, che limita al minimo la biochimica farmacologica. Dice il dottore: ho appena ricevuto l’ultimatum dall’Ordine dei Medici, per sottopormi all’inoculo. Il che – aggiunge – significa una sola cosa: che non resterò più a lungo nell’albo, perché non vedo alternative alla inevitabile radiazione. Subire quello che ancora chiamano vaccino? Non se ne parla nemmeno: ci tengo, alla salute, quanto alla mia libertà, che è sacra.