Archivio del Tag ‘Usa’
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Usa ed Europa già si sfilano dall’incubo del dopo-Gheddafi
Nessun invio di truppe di pace internazionali, mantenimento della sicurezza affidato alle forze “ribelli” e nuova risoluzione dell’Onu (sulla ricostruzione civile) che vedrà gli europei assumersi «le maggiori responsabilità». E’ questa la “road map” per il dopo-Gheddafi in Libia come si delinea dai contatti in corso fra le capitali della Nato e nei briefing del presidente americano Barack Obama in vacanza a Martha’s Vineyard. L’accelerazione dell’offensiva dei ribelli contro Tripoli, scrive Maurizio Molinari su “La Stampa”, ha obbligato Obama a esaminare il nuovo scenario col suo stratega sulla sicurezza, John Brennan: se le preoccupazioni immediate riguardano il rischio di una carneficina a Tripoli, la Casa Bianca si concentra ormai sul “dopo”.
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Strana guerra senza vincitori, unico sconfitto il Colonnello
Se la guerra di Libia come sembra è terminata, sappiamo chi l’ha perduta: il Colonnello, il suo clan familiare, i profittatori del regime, le tribù alleate, gli amici internazionali che hanno scommesso sulla sua vittoria. Non sappiamo invece chi l’ha vinta. I ribelli hanno combattuto coraggiosamente, ma sono una forza raffazzonata composta all’inizio da qualche nucleo islamista, senussiti della Cirenaica, nostalgici del regno di Idris, una pattuglia democratica. Le loro file si sono ingrossate quando l’intervento della Nato è sembrato garantire una vittoria sicura, ma molti notabili rimasti alla finestra per mesi hanno cambiato campo solo nelle ultime settimane: la prova che il risultato era incerto e che, nella migliore delle ipotesi, il Paese sarà ora governato da una coalizione di opportunisti post-gheddafiani, a lungo complici dell’uomo che ha dominato la Libia per 42 anni.
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Sfrattare Gheddafi? Non ancora: è l’alibi perfetto per il caos
Contrariamente a una «diffusa leggenda», non sono tanto i ribelli che combattono contro l’esercito libico e i suoi riservisti, quanto semmai la Nato. «Lo schema è ormai ben rodato: gli elicotteri Apache investono una località mitragliando tutto ciò che si muove, la popolazione fugge e l’esercito si ritira. I “ribelli” invadono allora la città, alzano la bandiera monarchica davanti alle telecamere della Cnn e poi saccheggiano le case abbandonate. Ma appena la Nato si ritira, l’esercito libico ritorna e i “ribelli” scappano, lasciandosi alle spalle una città devastata». Ogni giorno il Consiglio nazionale di Bengasi afferma di aver preso una città che perde il giorno successivo: Zwaya e Brega, le raffinerie e la stessa Misurata, di cui i “ribelli” non avrebbero tuttora il pieno controllo.
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La Borsa è zona di guerra: gli Stati vacillano, vicini alla resa
Trecento miliardi di capitalizzazione “bruciati” in un solo giorno sulle piazze europee: “La Borsa è zona di guerra”, titola la Cnn il 19 agosto, assistendo al crollo simultaneo dei centri finanziari di tutto il mondo. «Di fatto – scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto” – gli Stati sono stati mobilitati per “salvare il sistema finanziario”; per farlo hanno distrutto i propri bilanci, gonfiando oltre misura il debito pubblico mentre tagliavano disperatamente la spesa sociale per “reperire risorse”». Dopo la prima ondata di tagli, il sistema finanziario ha ricominciato il gioco della speculazione, solo che adesso «gli Stati non sono più una risorsa di denaro fresco, ma una parte del problema: per questo le misure avanzate da Merkel e Sarkozy non avrebbero potuto “rassicurare i mercati” neanche se fossero state cento volte più intelligenti».
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Addio testimoni: morti i Navy Seals che “uccisero” Bin Laden
Attenti: i mitici Navy Seals, gli incursioni della marina americana protagonisti della spettacolare “uccisione” di Osama Bin Laden saranno eliminati nel corso di un tragico ma «provvidenziale incidente militare». La “profezia” era stata annunciata dal sito “Infowars” subito dopo la clamorosa operazione che le forze Usa avrebbero condotto ad Abbottabad, in Pakistan, dove il 2 maggio 2011 avrebbero localizzato, catturato e ucciso Bin Laden, facendone poi sparire il corpo senza neppure diffonderne una fotografia. Per arrivare all’incidente, “provvidenziale” o meno, sono bastati tre mesi: il 7 agosto è caduto in Afghanistan un elicottero “Chinook” con a bordo una trentina di uomini, 17 dei quali appartenenti all’unità speciale reduce dal “blitz” di Abbottabad. Una “vendetta dei talebani” o il seppellimento definitivo di una colossale menzogna?
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Cittadini d’Europa, uniamoci: non paghiamo il loro debito
Perché pagare noi il disastro creato da altri, a nostra insaputa? Primo obiettivo: fare chiarezza sul passato. E scoprire cosa ne è stato del denaro di un dato prestito, a quali condizioni è stato concesso, quanti interessi sono stati pagati, a che tasso, e in che proporzione sono stati già rimborsati. E poi: come è stato gonfiato il debito, senza che fosse utile alla popolazione? Quali strade hanno seguito i capitali? A chi sono serviti? Quale proporzione è stata indebitamente appropriata, da chi e come? E quindi: come ha fatto lo Stato a trovarsi in così grandi difficoltà? A causa di quali decisioni, prese a che titolo? Per esempio: com’è che sono diventati pubblici i debiti privati? Chi si è impegnato in progetti inadatti? Chi ne ha approfittato ha addirittura commesso crimini, delitti? Perché non vengono stabilite le responsabilità civili, penali e amministrative?
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Reichlin: schiavi del denaro, nel vuoto della non-politica
L’avatar di Berlusconi che davanti al Parlamento balneare dice che va tutto bene, Bersani che replica che «le banche vanno male perché le aziende vanno male, e il mondo lo sa», e poi Casini, l’unico che propone qualcosa (a parte la sostituzione del premier): tanto vale, dice, bere subito la medicina amara dei super-tagli di Tremonti, imposti da Bruxelles ma assurdamente posticipati al 2013. Un funerale in diretta, a reti unificate: nessuna soluzione per uscire dalla crisi. Nessuna diagnosi, a parte la rituale condanna del Cavaliere ad personam. E soprattutto, nessuna alternativa: stando ai partiti che siedono in Parlamento, domani l’Italia avrà di fronte la stessa non-politica di oggi, al massimo emendata dall’ingombro dell’uomo di Arcore. Più che altrove, a Roma si riflette quello che Alfredo Reichlin chiama «il vuoto mondiale».
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Solo un mega-attentato potrà salvare il marchio Obama
Lo avevano accolto come un Cristo salvatore, ma ormai solo 17 americani su cento hanno ancora fiducia in Barack Obama. La sua gestione della crisi del debito gli sta regalando una certezza matematica: alle presidenziali del 2012 sarà clamorosamente sconfitto. A meno che, rivelano alcuni consiglieri del partito democratico, il capo della Casa Bianca non inciampi in un “regalo” mediatico clamoroso: un attentato. Solo se scampasse a un agguato spettacolare, scrive Paul Joseph Watson su “Prison Planet”, Obama potrebbe riguadagnare il perduto sostegno popolare. Ma dev’essere un vero terremoto: simile a quello dell’11 Settembre, o almeno all’attentato dinamitardo di Oklahoma City che nel 1995 fece 168 vittime e rafforzò la leadership di Bill Clinton.
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Crisi Usa? Cina e Iran: basta dollari, meglio il baratto
Mentre gli Usa rischiano il default, la bancarotta “tecnica” che – se non verrà innalzata la possibilità di indebitamento – impedirebbe al governo federale di poter pagare ad esempio stipendi pubblici e pensioni di guerra, s’è scoperto che Cina e Iran stanno studiando un nuovo sistema, in realtà antichissimo, per scambiarsi beni senza ricorrere al denaro: il baratto. Uno scambio alla pari: la Cina importerebbe il petrolio di Teheran insieme ad altre materie prime, come il cromo; in cambio, Pechino offrirebbe all’Iran i manufatti della propria industria, in piena espansione. Paradossale, nell’era della finanzia globale? No, se a far paura è proprio l’inaffidabilità della moneta commerciale: il dollaro.
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L’era della penuria: stop all’export, guerra delle risorse
Piccolo ma significativo esempio di come le notizie importanti non vengono date o, quando vengono date, sono nascoste in modo che non si vedano. Per esempio non mi risulta che alcun giornale italiano, per non parlare dei telegiornali, abbia dato rilievo alle cose che seguono. Recentemente il Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio – uno dei tre membri della sacra autorità del Consenso Washingtoniano, insieme al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale – ha pubblicato un rapporto speciale il cui titolo tecnico è apparentemente anodino e concerne le restrizioni alle esportazioni.
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Cia e Wikileaks: nuova Gladio per piegare la Norvegia?
False flag, depistaggio: mentre i media inquadrano gli occhi gelidi del “mostro” Breivik, il “killer solitario” di Oslo e Utøya, si sospetta che sull’isola della strage i macellai armati fossero almeno due, e nient’affatto isolati. La polizia norvegese è costretta a fare i conti con una struttura denominata “Simas”, creata dall’intelligence Usa reclutando agenti in congedo, un po’ come la Gladio italiana. La bomba nel centro di Oslo? E’ esplosa 48 dopo una strana esercitazione “antiterrorismo”. E Washington aveva messo la Norvegia in cima a una lista nera, da quando la piccola democrazia scandinava aveva annunciato il ritiro dalla Libia. Prima ancora, la Norvegia aveva rifiutato di enfatizzare l’allarme “Al-Qaeda”, irritando americani e inglesi. Fino ai sinistri avvertimenti di Wikileaks: la Norvegia sottovaluta il terrorismo. Vuoi vedere che prima o poi sarà costretta a cambiare idea?
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Troppi costi inutili: il mondo rinuncia all’alta velocità
Lontano dalle eco della val di Susa, in altri luoghi del mondo i progetti di linee ferroviarie ad alta velocità subiscono brusche battute d’arresto. Pur senza un’insurrezione popolare che li ostacola, sono diversi i lavori sospesi o annullati, e che mettono in dubbio un modello di sviluppo che fino a qualche tempo fa l’economia dei trasporti considerava inattaccabile. Le necessità di tagli alla spesa pubblica legati alla crisi del debito e i vincoli ambientali sempre più stringenti costringono i Paesi a rivalutare il rapporto costi-benefici dell’alta velocità. È accaduto per esempio in Inghilterra, dove il sindaco di Londra Boris Johnson, con una lettera al quotidiano “Daily Telegraph”, ha spiegato le ragioni del suo rifiuto al progetto dell’alta velocità che dovrebbe unire Londra con Birmingham, Leeds e Manchester.