Archivio del Tag ‘Usa’
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Lerner: dopo Renzi arriverà Draghi, il podestà della Troika
Nuovo primo ministro “tecnico” non appena Renzi sarà rottamato dalla crisi o nuovo presidente, dopo Napolitano, per correggere dal Quirinale il “dilettante” di Firenze? Mario Draghi, che – di fronte all’euro-catastrofe raccomanda ancora più potere a Bruxelles – torna in pole position, sulla scena italiana, come primattore dei poteri forti: fine dellla residua sovranità nazionale, sbaraccamento definitivo dello Stato, estizione storica della democrazia elettorale e parlamentare. Ormai se ne parla apertamente anche in seno al Pd, racconta Gad Lerner, che di recente ha partecipato a un’assemblea dei deputati, raccogliendo anche «istruttuive conversazioni informali» prima dell’incontro. «Per la prima volta – scrive Lerner nel suo blog – in Transatlantico da più parti mi sono pervenuti accenni al “dilettantismo” con cui il governo formula i provvedimenti legislativi e al suo eccesso di improvvisazione». Ma soprattutto, aggiunge, «ho sentito dare per scontato il nome dell’uomo della provvidenza nel caso, ormai apertamente ipotizzato, di un fallimento di Renzi: Mario Draghi».
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Il Pentagono ci spia, teme il dissenso in tutto il pianeta
«Fin dal 2008 le università americane hanno collaborato con il Pentagono per studiare le dinamiche dei movimenti sociali nel mondo», spiega Glen Ford, commentatore radiofonico americano, fondatore di “Black Agenda Report” e autore di “The Big Lie: An Analysis of U.S. Media Coverage of the Grenada Invasion”. Gli ultimi avvenimenti, il quadro internazionale, le scelte politiche e militari degli anni recenti lo hanno spinto ad un’analisi provocatoria e molto dura. «L’obiettivo degli studi sul terrorismo sta nell’individuare possibili vettori di resistenza, che vengono identificati e eradicati, come una malattia. Il cosiddetto “Minerva Initiative” considera l’intero pianeta come un territorio nemico». Ford spiega come il Dipartimento della Difesa americano consideri «sostenitore della violenza politica» chiunque «si opponga alla politica militare americana nel mondo, alle politiche repressive degli alleati americani, al sistema giudiziario americano improntato alla repressione razziale».«Il Pentagono definisce questo nuovo campo della ricerca come “studi sul terrorismo” e ne spiega la finalità, cioè il rafforzamento di quella che viene chiamata “guerra al terrore”». Attraverso il “Minerva Initiative”, continua Ford, «i militari hanno commissionato alle università studi su come gestire le popolazioni insoddisfatte nel mondo, inclusi gli Stati Uniti, e quel progetto è stato l’oggetto di un articolo sul “Guardian” del dottor Nafeez Ahmed, accademico che studia questioni di sicurezza internazionale». Guerra totale contro il pianeta: «Il progetto Minerva ha pagato ricercatori della Cornel University per scoprire quando i movimenti sociali raggiungono una massa critica di persone, a quale livello divengono un pericolo per lo status quo. Nel linguaggio degli studi sul terrore, questi individui diventano contagiosi, come i vettori delle malattie. E neutralizzarli diventa lavoro per gli warfighters».«L’università di Washington – aggiunge Ford – sta studiando i movimenti su larga scala che coinvolgono moltissime persone in 58 paesi. Ecco quindi perché le agenzie di intelligence americane stanno intercettando i telefoni e le comunicazioni Internet di pressochè tutta la popolazione del pianeta. Stanno mappando i network umani, le miriadi di associazioni per trovare possibili vettori di resistenza». I militari Usa e l’intelligence hanno ad esempio «consultato gli accademici per studiare le dinamiche della rivoluzione egiziana nel 2011, delle elezioni russe nel 2011, della crisi dei sussidi petroliferi in Nigeria nel 2012 e delle proteste al Gazi Park in Turchia nel 2013, sempre con l’intento di prevenire il contagio per diffusione. L’esercito americano si sente coinvolto in una guerra totale contro il pianeta Terra. Quando i legislatori americani dicono di voler difendere la sicurezza nazionale da tutti i potenziali nemici, in realtà stanno difendendo l’ordine capitalistico prevalente contro tutti i movimenti sociali che potrebbero opporvisi, dovunque sul pianeta».(“Gli studi sul terrore per neutralizzare il dissenso”, da “Il Cambiamento” del 22 luglio 2014).«Fin dal 2008 le università americane hanno collaborato con il Pentagono per studiare le dinamiche dei movimenti sociali nel mondo», spiega Glen Ford, commentatore radiofonico americano, fondatore di “Black Agenda Report” e autore di “The Big Lie: An Analysis of U.S. Media Coverage of the Grenada Invasion”. Gli ultimi avvenimenti, il quadro internazionale, le scelte politiche e militari degli anni recenti lo hanno spinto ad un’analisi provocatoria e molto dura. «L’obiettivo degli studi sul terrorismo sta nell’individuare possibili vettori di resistenza, che vengono identificati e eradicati, come una malattia. Il cosiddetto “Minerva Initiative” considera l’intero pianeta come un territorio nemico». Ford spiega come il Dipartimento della Difesa americano consideri «sostenitore della violenza politica» chiunque «si opponga alla politica militare americana nel mondo, alle politiche repressive degli alleati americani, al sistema giudiziario americano improntato alla repressione razziale».
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Via dall’euro e addio Troika, se solo avessimo un leader
«Come si sa, questo è un paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola». Fatti da parte, suggerisce Scalfari a Renzi, confermando l’allarme di De Bortoli sull’imminente arrivo della Troika, caldeggiato da Draghi. «E’ stato come se il travolgente successo alle europee, non solo non consacrasse la leadership di Renzi, ma quasi la indebolisse: arginato il M5S, Renzi non serve più», secondo Aldo Giannuli. «E il preannuncio del licenziamento è arrivato con la bacchettata di Draghi, che ha detto papale papale: “Caro Renzi, non mi incanti con la riforma del Senato, sono altre le riforme che devi fare” e, il sottinteso, neanche tanto dissimulato, era “altrimenti togliti di mezzo”». Renzi prima si è messo sull’attenti, poi ha tentato di dire che sulle riforme deciderà lui. «Povero illuso, non si rende conto di avere pochissime frecce al suo arco e di avere troppi avversari: gli americani lo detestano per le sue aperture a Putin, la Merkel non lo digerisce, la Buba gli darebbe fuoco, la finanza che sogna di avventarsi sul peculio berlusconiano non gli perdona il tentativo di salvare il Cavaliere, adesso ci si mette anche Draghi».Renzi «pensava di affascinare l’Europa con la sua riforma del Senato», ma «non se l’è bevuta nessuno», scrive Giannuli nel suo blog. All’Ue, invece, «interessa la precarizzazione totale del lavoro in Italia, arraffare quel po’ che ancora ha un valore (Eni, Cdp, Telecom, forse qualche pezzetto di Finmeccanica) e che gli italiani si spremano sino all’ultima goccia di sangue, diano fondo ai risparmi e si vendano casa per pagare gli interessi sul debito pubblico e, se possibile, ne restituiscano una parte attraverso il Fiscal Compact». Tutto il resto sono solo chiacchiere. Problema: con l’economia in recessione, il debito esplode. E presto metterà fine alla bonaccia dello spread. Sul “Sole 24 Ore”, l’economista neoliberale Luigi Zingales scrive che «non saremo mai in grado di soddisfare il Fiscal Compact», e inoltre «la situazione del nostro debito pubblico è insostenibile, a meno di una significativa ripresa dell’inflazione», che è sempre stata il maggior alleato dei paesi debitori. «Ma questo – puntualizza Giannuli – presuppone la sovranità monetaria del debitore, cosa che l’euro ci ha tolto».Il problema, continua l’analista, è che, mentre gli italiani hanno capitalizzato i loro risparmi in beni reali (essenzialmente immobili), i tedeschi li hanno impiegati per l’acquisto di titoli finanziari, prevalentemente in euro. Per cui, un’inflazione al 3% sarebbe una grande boccata di ossigeno per i paesi indebitati come Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, ma «alle orecchie dei tedeschi suonerebbe come una tassa patrimoniale di pari importo sui titoli». E siccome la moneta comune «non è mai la “moneta di tutti”, ma sempre e solo del più forte», questo non si può fare: «Per i tedeschi la soluzione sta nella spoliazione dei paesi debitori, del loro patrimonio pubblico (aziende, immobili, riserva aurea, Cdp) e di quello privato (risparmi, proprietà immobiliari e, fosse per loro, anche vendita dei figli al mercato degli schiavi)». Per liquidare l’Italia, occorre «azionare con la massima decisione la leva fiscale (ovviamente al rialzo) e svendere subito il patrimonio pubblico», due cose che Monti aveva iniziato a fare «con grande sollievo della platea “europea”». Ovviamente, «dopo una “cura” del genere un paese entra in una fase di estrema decadenza economica per interi decenni», ma questo non interessa all’“Europa”. «Per i tedeschi, i partner europei sono solo sgabelli su cui arrampicarsi per reggere la sfida della globalizzazione».Certo, Renzi «non sta dando le risposte attese», limitandosi «a giocare al “piccolo leader”, cosa sommamente irritante». Per la verità, l’“Europa” non ha soluzioni politiche di ricambio, spiega Giannuli: «La destra berlusconiana l’ha già cacciata una volta ed è decotta, il centro non esiste e nel Pd non c’è nessuno che possa dare il cambio al fiorentino». E allora che si fa? Semplice: «Si commissaria l’Italia. Si fa governare il paese dalla Troika». A costringere l’Italia a invocarne “l’aiuto”, basterà «un nuovo “assedio dello spread”»: quando il differenziale sul rendimento dei titoli di Stato risalirà oltre i 500-600 punti, «gli italiani, soprattutto grazie al loro ineffabile Capo dello Stato, faranno quello che devono fare e si troverà il Monti di turno che faccia il lacchè della Troika». Niente di difficile, peraltro: «A preparare il terreno ci sta già pensando Scalfari». Un segnale chiaro, riguardo al pensiero dei poteri forti europei e dei loro esponenti italiani. E Renzi? «Il “bersagliere del nulla” ha solo due scelte davanti: o fa quello che la Bce gli dice, alla lettera e senza capricci, oppure fa saltare il tavolo». Il ricatto del debitore: se io vado in default, mi trascino dietro tutti, comprese le banche tedesche, così salta anche l’euro. Oppure: ristrutturiamo il debito senza ricatti e rivediamo tutti gli accordi, inziando a negoziare l’uscita dall’infame moneta unica.«La forza negoziale dell’Italia sta proprio nel fatto che è un grande debitore, con i suoi oltre 2.000 miliardi di debito», continua Giannuli. «La Ue e l’euro potrebbero resistere agevolmente a un default greco, pari a 300 miliardi, e forse potrebbero incassare anche un tracollo portoghese, ma un colpo da 2.000 miliardi è decisamente troppo». Si sa: un piccolo debito è un problema del debitore, ma un grande debito è un problema del creditore. Forse, a quel punto, «potrebbero accodarsi spagnoli, greci e portoghesi», insieme ai variegati movimenti “euroscettici”. «Dunque, la via sarebbe quella di sedersi tutti al tavolo e assumere il problema del debito come problema comune a debitori e creditori. Questo non è un tempo normale: la grande crisi chiede scelte radicali. Nel nostro caso, o servi della Troika o ribelli decisi a far saltare il tavolo, tertium non datur». Questo, però, «richiederebbe una intelligenza, una preparazione, un coraggio politico di cui non sospettiamo lontanamente Renzi». La sua «patetica impennata in difesa della sovranità nazionale» resta del tutto irrilevante. Il Fiorentino «sarà travolto prima di aver finito di parlare, ma quello che verrà dopo sarà anche peggiore: prepariamoci».«Come si sa, questo è un paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola». Fatti da parte, suggerisce Scalfari a Renzi, confermando l’allarme di De Bortoli sull’imminente arrivo della Troika, caldeggiato da Draghi. «E’ stato come se il travolgente successo alle europee, non solo non consacrasse la leadership di Renzi, ma quasi la indebolisse: arginato il M5S, Renzi non serve più», secondo Aldo Giannuli. «E il preannuncio del licenziamento è arrivato con la bacchettata di Draghi, che ha detto papale papale: “Caro Renzi, non mi incanti con la riforma del Senato, sono altre le riforme che devi fare” e, il sottinteso, neanche tanto dissimulato, era “altrimenti togliti di mezzo”». Renzi prima si è messo sull’attenti, poi ha tentato di dire che sulle riforme deciderà lui. «Povero illuso, non si rende conto di avere pochissime frecce al suo arco e di avere troppi avversari: gli americani lo detestano per le sue aperture a Putin, la Merkel non lo digerisce, la Buba gli darebbe fuoco, la finanza che sogna di avventarsi sul peculio berlusconiano non gli perdona il tentativo di salvare il Cavaliere, adesso ci si mette anche Draghi».
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Grazie a Renzi, anche l’Eni potrebbe lasciare l’Italia
Quello di Monti era il governo della Goldman Sachs. Quello di Letta, il nipote, era il governo dell’Aspen Institute. Per dire che erano entrambi molto orientati a fare gli interessi della finanza anglo-americana. Non a caso il governo Monti realizzò lo scorporo della Snam, che gestisce la rete di distribuzione del gas in Italia, dalla holding Eni. Una richiesta che era venuta «non soltanto dagli esponenti della canaglia liberista in Italia (legati mani e piedi agli ambienti di Wall Street e della City) ma anche da azionisti dell’Eni come il fondo di investimento americano Knight Winke, che si era assunto il ruolo di assillare il governo con tale questione che poi Monti aveva finito per risolvere a suo modo all’inizio del 2012». Anche Matteo Renzi, che nel 2009 il settimanale americano “Time” aveva definito “l’Obama italiano”, si è mostrato fedele alla linea “atlantica” e ha avviato le grandi manovre per mettere in vendita quote azionarie di società sotto controllo pubblico come Eni, Enel, Poste, Finmeccanica e Fincantieri, ma anche Enav, Cdp Reti, Rai Way e Stm.In particolare, scrive Giuliano Augusto su “Rinascita”, Renzi è intenzionato a vendere una quota del 5% di Eni ed Enel portando in tal modo la quota pubblica dal 30% al 25%. Attualmente l’Enel è controllato dal Tesoro con una quota del 31,244% mentre l’Eni è controllata al 26,369% dalla Cassa Depositi e Prestiti (il cui principale azionista è il Tesoro con l’80,1%) e dal Tesoro con il 3,94%. Collegata a queste operazioni c’è la questione dell’Opa obbligatoria che il Pd al governo vorrebbe fare scendere al 25% dall’attuale 30%, mentre il relatore del provvedimento alla Camera, Massimo Mucchetti, voleva portarla al 20%. Il che avrebbe obbligato il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti a vendere la quota azionaria eccedente quella percentuale, sia che si tratti di quota diretta (Tesoro) che indiretta (Cdp). Obiettivo: tutelare «gli interessi esteri anglofoni». Renzi? «L’uomo giusto al posto giusto». Per la prima volta, nell’ente fondato da Enrico Mattei come leva strategica della rinascita italiana nel dopoguerra, i soci privati stranieri sono diventati maggioritari: potrebbero essere le premesse per trasferire l’Eni all’estero, «tanto per gettare le premesse di un futuro assorbimento da parte di un colosso concorrente come l’americana Exxon».«La linea di Renzi – scrive Augusto – è in buona sostanza quella di trasformare Eni, Enel e le altre società a controllo statale in “pubblic company”», società ad azionariato diffuso «nelle quali non ci sia più un socio di riferimento ma dove i tanti soci privati eleggano di volta in volta gli amministratori». Così, addio Eni sullo scenario internazionale, con buona pace di «qualsiasi possibilità dell’Italia di avere una politica energetica autonoma in Europa e nel mondo». Questa sarebbe la risposta dell’“amerikano” Renzi alle critiche venute dagli europei “atlantici” e dagli stessi Stati Uniti per l’eccessiva “simpatia” italiana verso la Russia di Putin? Il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ha stimato in appena 10 miliardi il ricavato delle privatizzazioni (svendite). Soldi che sarebbero usati per coprire una parte irrisoria dell’enorme debito pubblico italiano. Tra le cessioni, la vendita a gruppi cinesi del 49% di CdP-Reti, società che controlla appunto la Snam. «Tra americani e cinesi cambia poco. Continua la colonizzazione del nostro paese».Quello di Monti era il governo della Goldman Sachs. Quello di Letta, il nipote, era il governo dell’Aspen Institute. Per dire che erano entrambi molto orientati a fare gli interessi della finanza anglo-americana. Non a caso il governo Monti realizzò lo scorporo della Snam, che gestisce la rete di distribuzione del gas in Italia, dalla holding Eni. Una richiesta che era venuta «non soltanto dagli esponenti della canaglia liberista in Italia (legati mani e piedi agli ambienti di Wall Street e della City) ma anche da azionisti dell’Eni come il fondo di investimento americano Knight Winke, che si era assunto il ruolo di assillare il governo con tale questione che poi Monti aveva finito per risolvere a suo modo all’inizio del 2012». Anche Matteo Renzi, che nel 2009 il settimanale americano “Time” aveva definito “l’Obama italiano”, si è mostrato fedele alla linea “atlantica” e ha avviato le grandi manovre per mettere in vendita quote azionarie di società sotto controllo pubblico come Eni, Enel, Poste, Finmeccanica e Fincantieri, ma anche Enav, Cdp Reti, Rai Way e Stm.
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Ledeen, l’amico americano che tiene al guinzaglio il Pd
Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.In un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, Ali evoca una lobby come il “Gruppo di Georgetown”, capitanato da quel Kissinger che definì Napolitano «il mio comunista preferito», corretto immediatamente da Napolitano (ex comunista, prego). «E Renzi. Matteo Renzi con la sua rete di amicizie internazionali, attraverso Marco Carrai. Davide Serra (con forti interessi in Israele e che porta in dote i legami con la Morgan Stanley), Marco Bernabè (sempre con Tel Aviv con il fondo Wadi Ventures e il padre, Franco, e le sue dorsali telefoniche Italia-Israele), Yoram Gutgeld (israeliano e suo consulente economico – porta in anche dote l’esperienza McKinsey di cui era socio anziano fino al marzo 2013)». Ma sopratutto Ledeen, cioè «la figura più inquietante», che «si allunga dietro tutte le stragi, tutti i depistaggi che hanno attraversato l’Italia e non solo». L’ammiraglio Fulvio Martini, all’epoca capo del Sismi, lo definì «non gradito all’Italia». Ledeen, racconta Ali, fu «sdoganato da Berlusconi appena giunto al potere», e così «imperversò nelle sue televisioni sotto la forma di “commentatore politico internazionale”».Secondo Ali, Ledeen è stato in grado di «ordinare a Matteo Renzi» la cessione degli aeroporti toscani al magnate argentino Eduardo Eurnekian. Secondo il blogger, «Henry Kissinger, Michael Ledeen e le strutture israeliane sono di nuovo (e da sempre) i padroni della scena». C’è chi dice che il Pd è la nuova Dc? Peggio: il partito fondato da Veltroni «ha ormai da tempo tradito le origini, ma con il binomio Renzi-Napolitano è diventato l’antitesi della storia della sinistra». Secondo Stefano Ali, «è l’erede di tutto quel fronte anticomunista che si asservì e asservì l’Italia alla destra conservatrice Usa di Kissinger e Ledeen e del Mossad». Il “muro di gomma” delle stragi impunite? Frutto del blocco di potere «“garante” della subalternità e della sottomissione dello Stato italiano agli interessi del “Gruppo di Georgetown”». Linea diretta coi rottamatori? «Per le referenze su Federica Mogherini, Renzi dice: “Chiedete a John Kerry”». L’esponente Pd fu «ammessa agli incontri segreti con agenti Usa sin dal 2006», scrive Ali, che illumina il retroterra del presunto potere occulto di ieri e di oggi basandosi anche sul testimonianze come quelle del senatore Giovanni Pellegrino, fino al 2001 presidente della Commissione Stragi, autore del libro-denuncia “Segreto di Stato”.«Ciò che può sembrare intreccio di fantascienza complottistica è solo il frutto di un lavoro certosino fatto dalla Commissione Stragi», avverte Ali. «Teniamolo sempre a mente, anche quando sembra di precipitare nelle allucinazioni ansiogene». Nella sua analisi, Pellegrino parte da una premessa ancora attuale: l’Italia non è mai stata una democrazia “normale”, perché – dal Trattato di Yalta – è stata sempre considerata “marca di frontiera”, al doppio crocevia est-ovest e nord-sud. Sovranità limitata: «Una specie di portaerei Nato nel Mediterraneo». A questo, oltre alla pesante presenza del Vaticano, si aggiunga «una spaccatura verticale interna, determinata da post-fascismo e post-Resistenza», tra italiani «anticomunisti» e italiani «antifascisti». Tutta la storia del dopoguerra, secondo Pellegrino, va interpretata in quest’ottica. E’ per questo che certi fili non si spezzano: l’attuale capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia e allora giornalista dell’“Espresso”, secondo un report del Sisde risalente al lontano 1984 ebbe «rapporti molto stretti» con Ledeen, dopodiché fu promosso consigliere di amministrazione dell’“Editoriale L’Espresso” e ricoprì l’incarico di addetto stampa di Francesco Cossiga durante il sequestro Moro. Stefano Ali parla di connessioni sotterranee con la P2, che faceva da tramite col super-potere Usa, di cui il Mossad israeliano sarebbe stato un braccio operativo nella stagione della strategia della tensione, fra attentati e depistaggi.Se la stagione della guerra fredda aveva permesso lo sviluppo della cosiddetta “Gladio Rossa”, formata da “Lotta Continua”, “Potere Operaio” e le prime Brigate Rosse, fino cioè all’arresto di Curcio e Franceschini, «con la svolta parlamentare del Pci, l’isolamento di Secchia e soprattutto la morte di Feltrinelli», di fatto l’eversione “rossa” «si dissolse, per confluire nelle Brigate Rosse», che però finirono sotto il controllo di Mario Moretti, scampato alla retata che fruttò la cattura dei fondatori grazie a Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, un classico infiltrato. Da quel momento, scrive Ali, al di là della facciata “di sinistra” delle Br di Moretti, «connotazione ideologica utilizzata solo per fomentare i militanti», i vertici delle strutture “eversive” passarono – tutti – sotto il controllo «degli ambienti della destra repubblicana Usa». Versione controversa: secondo altri analisti, rimase forte anche l’influenza dell’Urss, attraverso la Stasi, l’intelligence della Germania Est. L’Italia, in ogni caso, era un campo di battaglia. E gli attori – sulla sponda occidentale – sono ormai noti. La notizia? Un vecchio arnese come Ledeen, molto «vicino» a Zanda in quegli anni secondo il Sisde, è un super-consigliere di Renzi.«Mossad e destra repubblicana Usa – continua Ali – erano già riusciti a instaurare (in Grecia, Spagna e Portogallo) regimi fascisti». Le stragi italiane, fino al 1969 dovevano quindi servire «affinché, nel dicembre del 1969, Mariano Rumor dichiarasse lo “stato d’emergenza” che ne consentisse l’instaurazione anche in Italia». Rumor, però, non dichiarò lo stato d’emergenza. E il tentato “golpe Borghese” del 1970 fu l’ultimo tentativo, anche quello andato a vuoto. «Da notare che già dagli anni ‘60 la P2 di Gelli era molto attiva: con la sua rete di iscritti soprattutto nelle forze armate e nei servizi segreti, era nelle condizioni di garantire tutta la copertura necessaria». Secondo Ali, da vari documenti risulta che Kissinger e Ledeen «fossero iscritti alla P2 nel “Comitato di Montecarlo” (o “Superloggia”)», un “braccio” della P2 «che si occupava di traffico internazionale di armi e al quale venne fatta risalire in modo diretto l’organizzazione della strage di Bologna». Se Gelli era «solo una sorta di segretario», significa che «le “menti” stavano altrove». Il vero leader? Rimasto nell’ombra, fino ad oggi. In compenso, conclude Ali, molti nomi di allora sono rimasti al loro posto. E qualcuno, oggi, è vicinissimo al governo Renzi. Pronti a tutto, nel caso gli eventi precipitassero in Ucraina con l’offensiva Usa contro la Russia di Putin?Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.
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Anche Wall Street scommette sulla Terza Guerra Mondiale
Della crisi ucraina ho già scritto a più riprese. La prima cosa che mi colpì, nel momento in cui Viktor Yanukovic fu rovesciato da un colpo di stato plateale, appoggiato patentemente dagli Stati Uniti (meglio dire da loro promosso) con l’attiva partecipazione della Polonia, della Lituania e dell’Estonia, e dei fantocci al potere a Bruxelles, fu la sua apparente inutilità. Perché mettere in atto un golpe se Yanukovic poteva essere tranquillamente tolto di mezzo tra un anno con regolari elezioni? E altre domande portavano tutte a conclusioni analoghe. Perché rovesciare il tavolo quando l’Ucraina era già nelle mani degli americani, completamente – Yanukovic o non Yanukovic – da diversi anni? Sicuramente dai tempi della cosiddetta “rivoluzione arancione” di Yushenko-Timoshenko, che consegnarono nelle mani della Cia gli ultimi rimasugli di sovranità nazionale, dopo quelli svenduti dai precedenti presidenti dell’Ucraina “indipendente”, Kravchuk e Kuchma?Perché infine rovesciare Yanukovic quando lo stesso quarto e ultimo presidente dell’Ucraina aveva già venduto il Donbass alla Chevron e alla Shell? La bellezza di quasi 8.000 chilometri quadrati di territorio per la durata di 50 anni, un accordo segreto in gran parte valutato 10 miliardi di dollari, alla ricerca del gas da scisti bituminosi che avrebbe liberato “per sempre” l’Ucraina dalla dipendenza energetica dall’odiata Russia. Insomma: Yanukovic – presentato come «l’uomo di Mosca» da tutti i media occidentali – non era poi quel grande amico di Putin. Perché farlo fuori così brutalmente? Che bisogno c’era? Solo perché non aveva firmato a Vilnius il documento giugulatorio di “associazione” all’Unione Europea? Ma fino al novembre dell’anno precedente Viktor Yanukovic aveva negoziato, lasciando sperare in un successo europeo totale. Il documento era già pronto, anche se in parte assai segreto. Bastava aspettare qualche mese e sarebbe stato imposto, con le buone o con le cattive.No, tutti questi interrogativi non avevano risposte adeguate. Doveva esserci qualcos’altro. La fretta con cui Washington aveva premuto, e Varsavia aveva agito ai suoi ordini, indicava qualche altra impellente necessità. A me fu subito chiaro che il golpe – non a caso un golpe con le stigmate naziste così visibili – era diretto non contro Yanukovic, pedina di nessun peso, ma contro la Russia. I neocon, tramite la esecutrice Victoria Nuland, volevano una crisi di valenza internazionale, se non addirittura mondiale. Ma perché la fretta? Perché accelerare lo scontro e portare la Nato praticamente sul portone del Cremlino? Era, in fondo, uno scenario che io stesso avevo previsto sarebbe accaduto. Ma assistevo a un’improvvisa e drammatica accelerazione. Doveva esserci qualcos’altro a spiegare la fretta. E le dimensioni della rottura che si stava creando. Non si trattava di una crisi regionale, non un episodio passeggero. Le potenziali ripercussioni erano evidenti: uno scontro di portata non minore di quello della crisi dei missili a Cuba del 1962.Bisognava spiegare il senso e le ragioni dell’accelerazione. Io non sono un economista (lo ripeto sempre, per non eccitare le rimostranze degli scopritori dell’aria calda). Non sono neanche un esperto dei sotterfugi della finanza mondiale. Credo poco o nulla ai numeri che arrivano da quella parte, convinto ormai da tempo che sono in gran parte falsi o comunque molto manipolati. Ma tutto il nervosismo che da tempo leggo nei commenti di coloro che dicono d’intendersene (anche perché su quei trucchi ci hanno vissuto e ci vivono), mi ha fatto pensare che qualcosa non funzionava nei ragionamenti sopra esposti. Così mi sono trovato, con qualche sorpresa, in buona compagnia a parlare di “inizio della Terza Guerra Mondiale”. Devo prima di tutto esprimere i miei ringraziamenti a Roberto Savio, ideatore di quel fondamentale bollettino che si chiama “Other News”, con sottotitolo esplicativo: “L’informazione che i mercati eliminano”. Il primo di agosto, “Other News” ha pubblicato una rassegna che riprende numerosi spunti dal “Washington’s Blog”, così intitolata: “Un gruppo di esperti finanziari ai massimi livelli afferma che la Terza Guerra Mondiale è in arrivo, a meno che non la fermiamo”. Saccheggerò questa rassegna, che mi pare estremamente istruttiva.In primo luogo i nomi sono effettivamente grossi calibri, a giudicare dalla frequenza con cui i mercati li citano. Prendiamo per esempio Nouriel Rubini, che a gennaio di quest’anno twittava da Davos: «Molti oratori qui paragonano il 2014 con il 1914, quando la Prima Guerra Mondiale esplose e nessuno se l’aspettava. Siamo di fronte a un cigno nero nella forma di una guerra tra Cina e Giappone?» Fuochino. Ma gli fa eco Kile Bass, multimiliardario manager di hedge funds, che prima cita un «influente analista cinese» e poi lo stesso premier giapponese Abe, che «non escludono un confronto militare tra Cina e Giappone». Aggiungendo previsioni molto ben descritte, che in bocca a un gestore finanziario di quel calibro non possono essere trascurate. «Miliardi di dollari di depositi bancari saranno ristrutturati – ci informa Kile Bass – e milioni di prudenti risparmiatori finanziari perderanno grandi percentuali del loro reale potere d’acquisto esattamente nel momento sbagliato delle loro vite [sempre che ci sia un momento giusto per perdere i propri averi, ndr]. Neanche questa volta il mondo finirà, ma la struttura sociale delle nazioni influenti sarà posta in acuta tensione e in qualche caso fatta a pezzi. (…) Noi crediamo che la guerra sia un’inevitabile conseguenza dell’attuale situazione economica globale».Gli fa eco l’ex capo dell’Office for Management and Budget ai tempi di Reagan, David Stockman. Anche per lui lo scontro in atto tra America e Russia condurrà alla terza guerra mondiale. Un po’ più generico sulle modalità, ma convinto anche lui che si sta andando verso «una grossa guerra» (“a major war”) è l’ex analista tecnico di Goldman Sachs, Charles Nenner, che, ora in proprio, vanta tra i suoi clienti numerosi importanti hedge funds, banche, e un certo numero di ricchissimi investitori internazionali. Altrettanto, con qualche variazione, pensano investitori americani di primo piano come James Dines e Marc Faber. Quest’ultimo afferma apertamente che il governo americano comincerà nuove guerre in risposta alla crisi economica in atto. «La prossima cosa che il governo farà per distrarre l’attenzione della gente dalle cattive condizioni economiche – scrive Marc Faber – sarà di cominciare una qualche guerra da qualche parte».Tutto chiaro, ma allora come mai i giornali e le tv ci dicono che l’America va fortissimo? Pochi giorni fa Martin Armstrong – un gestore di fondi d’investimenti sovrani multimiliardari – dice la stessa cosa: «Occorre distrarre la gente dall’imminente declino economico». Gli ultimi due pezzi che ha scritto li ha intitolati così: “Andremo in guerra contro la Russia” e “Prepariamoci alla terza guerra mondiale”. Non è ben chiaro se tutti questi profeti stiano enunciando prognosi sincere o siano semplicemente festeggiando in anticipo i futuri successi economico-finanziari che si aspettano dalla guerra, essendo evidente, da sempre, che le guerre ingrassano prima di tutto i banchieri e poi i produttori di armi. Ma l’insistenza con cui il tema viene sollevato indica comunque che il puzzo di bruciato tutti costoro lo sentono in anticipo.Altri, per esempio la presidentessa del Brasile, Dilma Rousseff, osservano che il mondo è attraversato da una «guerra delle valute» che sta diventando globale, cioè di tutti contro tutti. Da non dimenticare che la seconda guerra mondiale arrivò dopo una serie violenta di svalutazioni competitive. Sta accadendo ora la stessa cosa, quando le nazioni svalutano per rendere più competitive le loro merci e per incentivare le esportazioni. E molti si stanno accorgendo che la nuova banca, creata dal Brics, con capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, basata in Cina, costituisce una novità impressionante nel panorama globale, dove un numero crescente di transazioni avviene in yuan, in rubli, invece che in dollari Usa. Come scrive Jim Rickards – che nel 2009 partecipò ai primi “giochi di guerra finanziari” organizzati dal Pentagono – c’è il rischio che gli Stati Uniti si trovino «trascinati» in «guerre asimmetriche» di valute, in grado di accrescere le incertezze globali. È evidente che Rickards sta dalla parte americana. Ma, se il Pentagono – e non la Federal Reserve – organizza questo tipo di “giochi”, vuol dire che ci siamo già dentro fino al collo e che il loro carattere militare è fuori discussione.Del resto (questa volta parla il multimiliardario Hugo Salinas Price) «sono molti a chiedersi quali siano state le ragioni vere che hanno portato all’eliminazione di Gheddafi. Egli stava pianificando una valuta pan-africana. La stessa cosa accadde a Saddam Hussein. Gli Stati Uniti non tollerano alcun’altra solida valuta in grado di competere con il dollaro». Altri mettono il dito sulla crescente scarsità di risorse, soprattutto energetiche. Altri ancora guardano alla Cina come a un avversario bisbetico e sempre più incontrollabile – forse il protagonista di quella guerra asimmetrica citata da Jim Rickards. Gerald Celente, autore di accurate previsioni finanziarie e geopolitiche da molti anni, va anche lui seccamente alla conclusione: «Una terza guerra mondiale comincerà presto». Jim Rogers, un altro investitore internazionale miliardario, punta gli occhi sull’Europa: «Se si continua a salvare uno Stato dietro l’altro si finirà in un’altra guerra mondiale». Dunque continuiamo a strozzare i popoli europei, con l’obiettivo di evitare la guerra. Un pacifismo molto sospetto, ma comunque allarmato. Ovviamente sarà utile guardarsi da certi “pacifisti”. Ma questa rassegna è utile per capire che l’allarme è in aumento.La Cina, senza fare troppo rumore, fa provvista di risorse, energetiche e territoriali, solo che invece di mandare le proprie cannoniere (non è il tempo), quelle risorse se le compra, con i denari del debito americano. Putin deve fronteggiare la prima offensiva e non ha tempo da perdere. Tra l’altro un tribunale olandese, senza alcuna autorità o potere, ha decretato che la Russia dovrà pagare 50 miliardi di dollari, più gl’interessi, alla Yukos, cioè a quel bandito di Mikhail Khodorkovskij che la Russia ha scarcerato qualche mese fa con un gesto di distensione verso l’Europa (si noti che il tribunale sedeva nello stesso paese che aveva avuto il più alto numero di vittime nell’abbattimento del Boeing delle linee aeree malaysiane). Sarà stato un caso? Comunque, uno dei più vicini consiglieri di Putin, di fronte alla domanda “cosa farà la Russia di fronte a quella sentenza?”, ha risposto stringendosi nelle spalle: «C’è una guerra alle porte in Europa. Lei pensa realmente che una tale decisione abbia qualche importanza?».Giuridicamente non ce l’ha, ma sarà usata dai centri di comando dell’Occidente per colpire i beni russi all’estero, per sequestrare e congelare conti bancari, proprietà azionarie. Ecco una guerra asimmetrica appena iniziata senza essere stata nemmeno dichiarata. Un influente settimanale americano ha dedicato la sua copertina a Vladimir Putin, con questo commento: “Il Paria”. Un titolo che è, invece, una dichiarazione di guerra. Solo che non è stata pronunciata dal Dipartimento di Stato, bensì dal “ministero della propaganda”, cioè dai media occidentali. È stato Paul Craig Roberts a usare questa definizione in un articolo di qualche giorno fa. Chi è Paul Craig Roberts? È stato Assistente Segretario al Tesoro durante la presidenza Reagan, ex editore del “Wall Street Journal”, considerato dal “who’s who” americano come uno dei mille pensatori politici più influenti del mondo. L’articolo era intitolato: “La guerra sta arrivando” (“War is coming”).(Giulietto Chiesa, “Chi parla di Terza Guerra Mondiale?”, da “Megachip” del 6 agosto 2014).Della crisi ucraina ho già scritto a più riprese. La prima cosa che mi colpì, nel momento in cui Viktor Yanukovic fu rovesciato da un colpo di stato plateale, appoggiato patentemente dagli Stati Uniti (meglio dire da loro promosso) con l’attiva partecipazione della Polonia, della Lituania e dell’Estonia, e dei fantocci al potere a Bruxelles, fu la sua apparente inutilità. Perché mettere in atto un golpe se Yanukovic poteva essere tranquillamente tolto di mezzo tra un anno con regolari elezioni? E altre domande portavano tutte a conclusioni analoghe. Perché rovesciare il tavolo quando l’Ucraina era già nelle mani degli americani, completamente – Yanukovic o non Yanukovic – da diversi anni? Sicuramente dai tempi della cosiddetta “rivoluzione arancione” di Yushenko-Tymoshenko, che consegnarono nelle mani della Cia gli ultimi rimasugli di sovranità nazionale, dopo quelli svenduti dai precedenti presidenti dell’Ucraina “indipendente”, Kravchuk e Kuchma?
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Faletti, le ultime parole: io, l’uomo più fortunato al mondo
«Per lo più piango. Un’amica psicologa mi ha detto di non trattenere niente. Così, una sera sono uscita sul terrazzo e ho rotto un servizio di piatti orrendo, che non piaceva neanche a Giorgio. Mi ha fatto sentire meglio». A quasi un mese dalla morte di Giorgio Faletti, sua moglie Roberta sceglie “Vanity Fair” e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme. A partire dal primo invito a cena: «Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano». Ecco un estratto dell’intervista, pubblicata nel numero in edicola da mercoledì 30 luglio.Poi, un giorno del 2002, l’hai ritrovato disteso in camera per via dell’ictus. «Sì, era il giorno in cui avrebbe dovuto fare la sua prima presentazione di “Io uccido” alla Mondadori di via Marghera. Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita». Cioè? «C’era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi». Come reagì Giorgio quando lo seppe? «Mi chiese di sposarlo. Parallelamente, la sua guarigione venne accelerata dai risultati clamorosi delle vendite di “Io uccido”».Il mondo letterario però non l’ha mai apprezzato veramente. «Infatti ne soffriva. Lui faceva comodo agli editori e ai festival, perché portava pubblico e faceva vendere tante copie. Però gli intellettuali non lo hanno mai veramente accettato». Quando ha scoperto di avere un tumore? «A gennaio, per caso. Doveva fare una risonanza magnetica perché aveva un’ernia da controllare, e da un po’ aveva un fastidioso mal di schiena». Qual è stata la tua reazione? «Ho detto solo: “Cazzo”. Poi ci siamo presi qualche giorno per decidere che cosa fare, io e lui. Ci hanno consigliato un medico di Los Angeles che lavorava con le eccellenze di tutto il mondo. Ma la nostra decisione di curarci in America era dettata soprattutto dalla necessità di avere un po’ di privacy». Quando è precipitata la situazione? «Nell’ultimo mese. Ha iniziato a non sentirsi più bene… faticava a camminare, a parlare. Hanno fatto diversi esami prima di capire che aveva metastasi al cervello. Era il 20 giugno».È lì che ha deciso di tornare? «Lui aveva già deciso di tornare per fare la radioterapia in Italia, ma sono sicura che in cuor suo avesse capito che non c’era più nulla da fare. Desiderava tantissimo tornare in Italia, lo desiderava con tutto se stesso. Tant’è che ha tenuto duro fino a che siamo arrivati qui. Poi ha mollato. Vorrei però che tutti sapessero che non ha mai avuto un momento di rabbia o di sconforto. Mi diceva: “Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l’uomo più fortunato del mondo”».(“Giorgio Faletti: dovevo morire 12 anni fa, sono l’uomo più fortunato del mondo”, intervista di Luca Bianchini alla moglie, Roberta Faletti, concessa per “Vanity Fair” del 30 luglio 2014 a quasi un mese dalla scomparsa dell’attore, cantante e scrittore).«Per lo più piango. Un’amica psicologa mi ha detto di non trattenere niente. Così, una sera sono uscita sul terrazzo e ho rotto un servizio di piatti orrendo, che non piaceva neanche a Giorgio. Mi ha fatto sentire meglio». A quasi un mese dalla morte di Giorgio Faletti, sua moglie Roberta sceglie “Vanity Fair” e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme. A partire dal primo invito a cena: «Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano». Ecco un estratto dell’intervista, pubblicata nel numero in edicola da mercoledì 30 luglio.
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Tra Kissinger e Robin Williams ci siamo noi, zona grigia
Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».Altrimenti, continua Barnard, l’uomo o la donna di enorme talento «ammazzano, nel senso che proprio disintegrano ogni grammo della loro umanità, e con esso i demoni dell’anima, l’anima stessa». Il risultato? «Sono persone robotiche, prive di qualsiasi sentimento, con l’anima vitrea e incenerita. Tutto il loro talento a quel punto può solo fare una cosa: fare del male. Kissinger». Morale: «Fine delle scelte. Viva la vita, eh?». Questo, però, vale per le eccellenze assolute, le persone straordinarie. E tutti gli altri? Il nazismo, ricorda Primo Levi, non regnò grazie al “genio” di Hitler o al sadismo efferato di qualche gerarca fanatico: riuscì a imporsi, per lunghi anni, solo grazie all’acquiescenza decisiva della cosiddetta “zona grigia”, quella che trasforma i testimoni dei carnefici in loro complici, se restano passivi di fronte all’abominio. «Che ne dite di un po’ di porca verità?», propone Barnard. Oggi sappiamo esattamente come funziona la struttura del super-potere oligarchico, sappiamo perfettamente che è di natura totalitaria, eppure non muoviamo un dito.«C’è l’Impero americano, quello russo, e altri. C’è il Bilderberg. C’è la Trilaterale. C’è la Massoneria. C’è il complesso finanziario, mostro globale. C’è il complesso militare industriale. Ci sono decine di migliaia di lobby di servizi, finanza e industria. Ci sono i colossi dell’Agribusiness, coi loro veleni. Ci sono le Mafie. C’è la speculazione multimiliardaria di Big Pharma sulla nostra salute. Insomma, ci sono gli squali dell’umanità, i vampiri che uccidono, straziano, succhiano sangue degli esseri umani». E noi, che facciamo? «Oggi voi sapete tutti», sottolinea Barnard. «Ci sono i giornalisti che v’informano rischiando la vita, la carriera, sfinendosi sul lavoro, e sono persino in Tv (“La Gabbia”, La7). Ci sono le band rock che lo fanno, “Muse”, “Linkin Park” e altri. C’è la Rete, che vi avvisa su centinaia di migliaia di siti accessibili gratis. Ci sono le Ong con grande visibilità che tentano di farvi capire».Ormai non ci sono più scuse: esistono «mezzi di comunicazione e organizzazione civica di massa che sono CENTOMILA volte quelli dei proletari del ‘900». Eppure, aggiunge Barnard, grande attivista “sovranista” della Mmt, l’economia democratica, «tutto quello che facciamo per voi diventa cenere». Perché? «Perché tutto viene distrutto dalle vostre orde, da voi: la gggènte. Tutto. Nulla sopravvive alla gggènte, soprattutto ai gggiòvani, che macinano in sguardi istupiditi tutto, tutto, non gliene frega un cazzo di sapere niente». E allora diciamocela, “la porca verità”: «Chi sono i porci del mondo? No, non i Padroni, non gli Imperi, ma la ggggènte, e i gggiòvani. Se ne fottono DEI MEZZI CHE GLI DIAMO PER SALVARSI LA VITA E LA DIGNITA’. La gggènte e i gggiòvani macinano secoli di lotte, e di intelletti immensi che hanno lottato per loro, in merda. Pur di avere un iPad, il pub, le spiagge, le chat, e altre porcate del genere. Non danno un solo minuto della loro vita all’impegno umano e sociale, NON UN MINUTO, loro, la gggènte e i gggiòvani. Non gli frega un cazzo di nient’altro».Milioni di persone stanno andando tranquillamente al macello, ogni giorno, nell’immenso mattatoio socio-economico chiamato Eurozona, mentre il mondo intorno – il vecchio mondo, uscito dalla fine della guerra guerra – sta letteralmente crollando, schiantato dalla geopolitica globalista imperiale e dal dominio assoluto delle élite. Una carneficina, che si nutre di continui sacrifici umani, dall’Ucraina ai bambini di Gaza. Ma nessuno fa mai nulla per opporsi alla “dittatura” del vero potere. «E’ nazista – si domanda provocatoriamente Barnard – dire che il massacro di ’ste masse, che non hanno più giustificazioni oggi, è solo giustizia?». Disse il rivoluzionario francese Danton: «Tu hai i diritti per cui sei stato disposto a combattere». Viceversa, chiosa Barnard, «vivi da cane, e muori da cane. Ed è…GIUSTO. Non date la colpa al Potere». A cui, del resto, non mancheranno mai Kissinger. Quanto ai Robin Williams, difficilmente arrivano all’età della pensione, in un mondo trasformato in immensa “zona grigia”.Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».
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Vaticanomics, l’Opus Dei a lezione dalla Goldman Sachs
Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.Il problema sta nella personalità del professore che erudirà le future tonache sul significato etico dell’economia e della finanza nel mondo contemporaneo. Sarà infatti Brian Griffiths of Fforestafch, un cognome impronunciabile che è tutto un programma, ad intrattenere gli studenti su “Le sfide etiche e culturali per la finanza contemporanea”. Il punto è che il signore in questione è stato vicepresidente esecutivo di Goldman Sachs International, ossia della banca di affari che nell’immaginario del cittadino medio Usa rappresenta il simbolo stesso della più schifosa speculazione che strozza i piccoli risparmiatori e crea le condizioni per portargli via la casa. In Italia, come in Europa, la Goldman Sachs è la banca che ha speculato a man bassa contro i titoli di Stato, i Bonos spagnoli e i Btp italiani, con l’intento di affossare l’euro. Insomma, Brian Griffiths of Fforestafch è un banchiere che vanta non poche responsabilità nell’aver contribuito ad aggravare una situazione interna, come quella italiana, già di per sé grave per l’altissimo debito pubblico.È quasi superfluo aggiungere che Griffiths è membro della Camera dei Lords (appartiene quindi alla nomenklatura inglese) ed è stato consigliere di Margareth Thatcher per le privatizzazioni e per deregolamentare il mercato interno. Si tratta di uno di quei tecnocrati che sostengono la creazione di un grande mercato globale senza vincoli di frontiere e di dazi doganali. Un mercato globale che implica la cancellazione degli Stati nazionali e la loro sottomissione ad un complesso di strutture sovranazionali, di fatto in mano all’Alta Finanza. Una strategia che il mondo cattolico dovrebbe teoricamente vedere con ostilità. Questo in teoria perché ci sono, e non sono pochi, banchieri cattolici che sognano lo stesso traguardo, sia pure con una attenzione paternalista verso i poveri e gli emarginati. E in Italia i banchieri legati all’Opus Dei sono molti e potenti, anche se spesso quasi sconosciuti al grande pubblico. Tra i più noti svetta Antonio Fazio, ex governatore della Banca d’Italia. In Spagna, fa parte dell’Opus Dei il presidente del Banco di Santander, Emilio Botin.Questo per dire che non esiste una finanza “laica” e una finanza “cattolica”, ma esiste soltanto una finanza che realizza affari e profitti e intende continuare a farli. Come dimostra l’enorme patrimonio mobiliare e immobiliare della chiesa cattolica e delle sue tante diramazioni. Ma nemmeno i protestanti scherzano, visto che Griffiths ha presieduto in passato il Lambeth Fund, controllato dall’arcivescovo di Canterbury. E allora questo connubio tra Opus Dei e Goldman Sachs trova la sua ragione di essere nel medesimo approccio universalista. Del resto il capitalismo liberista si è sempre fatto forte, basti vedere Max Weber, di una profonda impronta evangelica e biblica. Ma l’Opus Dei non è l’unica struttura in ambito cattolico a tenere buoni rapporti con certi ambienti e ad allevare futuri banchieri. Mario Draghi, anche lui un ex Goldman Sachs, ha studiato dai gesuiti. E questo non gli ha impedito di caratterizzare la sua attività nella direzione di rafforzare il potere delle banche e della finanza e al tempo stesso di impoverire i cittadini italiani ed europei, come sappiamo ormai a menadito.(Irene Sabeni, “L’etica di Opus Goldman Sachs Dei”, da “Il Nodo Gordiano” del 4 agosto 2014).Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.
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Craig Roberts: vogliono la guerra, è un’élite di pazzi
La propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e britannico e dai ministeri della propaganda noti come “media occidentali” ha lo scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l’Europa sarà la prima ad essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per garantire la sua “sicurezza”. Come riportato da Tyler Durden di “Zero Hedge”, la risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese, che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della Yukos (un’entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le tasse), è molto significativa. Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un consigliere del presidente Putin ha risposto: «C’è una guerra che sta arrivando in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?».L’Occidente si è coalizzato contro la Russia perché è totalmente corrotto. La ricchezza delle élite è ottenuta non solo depredando i paesi più deboli, i cui leader possono essere comprati (per istruirvi su come funziona il saccheggio leggete “Confessions of an Economic Hit Man” di John Perkins), ma anche derubando i loro stessi cittadini. Le élite americane eccellono nel saccheggio dei loro connazionali e hanno spazzato via gran parte della classe media statunitense nel nuovo 21° secolo. Al contrario, la Russia è emersa dalla tirannia e da un governo basato sulle menzogne, mentre gli Usa e il Regno Unito sono sommersi da una tirannia schermata da menzogne. Le élite occidentali vorrebbero depredare la Russia, un premio succulento, e Putin sbarra loro la strada. La soluzione è sbarazzarsi di lui, come in Ucraina si sono sbarazzati del presidente Yanukovich. Le élite predatorie e gli egemonisti neoconservatori hanno lo stesso obiettivo: fare della Russia uno Stato vassallo.Questo obiettivo unisce gli imperialisti finanziari occidentali con gli imperialisti politici. Ho raccolto per i lettori la propaganda che viene usata per demonizzare Putin e la Russia. Ma perfino io sono rimasto scioccato dalle strabilianti e aggressive bugie del giornale britannico “The Economist” del 26 luglio. In copertina c’è il viso di Putin in una ragnatela e, avete indovinato, il titolo di copertina è “Una rete di bugie”. Dovete leggere questa propaganda per constatare sia il livello di spazzatura della propaganda occidentale, sia l’evidente spinta verso la guerra. Non viene presentata la minima prova per supportare le accuse estreme dell’“Economist” e la sua richiesta che l’Occidente smetta di essere conciliante con la Russia e intraprenda le azioni più dure possibili contro Putin. Questo genere di menzogne incoscienti e di lampante propaganda non ha altro scopo che di condurre il mondo alla guerra. Le élite occidentali e i governi non sono solo totalmente corrotti, sono anche pazzi. Come ho scritto precedentemente, non aspettatevi di vivere ancora a lungo.(Paul Craig Roberts, “La guerra sta arrivando”, dal blog di Craig Roberts del 28 luglio 2014, ripreso da “Controinformazione.info”. Craig Roberts è stato viceministro dell’economia del governo Reagan. Nel post, mostra anche un video nel quale uno dei consiglieri di Putin e alcuni giornalisti russi parlano apertamente dei piani statunitensi per attaccare la Russia).La propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e britannico e dai ministeri della propaganda noti come “media occidentali” ha lo scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l’Europa sarà la prima ad essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per garantire la sua “sicurezza”. Come riportato da Tyler Durden di “Zero Hedge”, la risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese, che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della Yukos (un’entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le tasse), è molto significativa. Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un consigliere del presidente Putin ha risposto: «C’è una guerra che sta arrivando in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?».
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La tripletta di Renzi: Italia senza Senato, Unità e Fiat
Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’“Unità”, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.Nella loro diversa pesantezza e dimensione, tutti e tre gli eventi hanno un loro aspetto non chiaro (e anzi, misterioso) e stupisce che così tanta parte dei media italiani si prestino a celebrare due degli eventi e a ignorare il terzo. Nonostante la memoria corta di un mondo su cui piovono Twitter e hashtag come la cenere dopo Hiroshima, credo che si ricorderà la fine del Senato. Perché non se ne conosce la ragione; perché c’erano cose ben più urgenti da fare; perché ha sradicato in modo rozzo e violento i molti legami, ascendenze e conseguenze nella Costituzione; perché, come ha detto bene, chiaro e al momento giusto, il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani, questa legge porta due firme: quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi. Lo testimonia un’immagine destinata a restare come quelle dei Marines di Iwo Jima: Maria Rosaria Rossi, di casa Berlusconi, abbraccia Maria Elena Boschi, di casa Renzi, con il furore femminile di poche grandi occasioni della vita.La commenta bene, in un desolato e bellissimo testo, sul “Corriere della Sera” (7 agosto) Corrado Stajano: «Perché, ci si chiede, discutere della legge fondamentale della Repubblica in modo così affannoso e dilettantesco, con il ritmo di una tappa a cronometro su pista, tra minacce e blandizie?». Nell’entusiasmo del momento si erano persino dimenticati che Giorgio Napolitano, a un certo momento, avrebbe dovuto diventare senatore a vita. E la Finocchiaro è dovuta correre indietro a inserire un’eccezione per ex presidenti della Repubblica, che restano d’ora in poi i soli senatori a vita. Ma dove? Nel festoso suk di portatori di interessi nominati dalle Regioni.Intanto Renzi ha chiuso “L’Unità”. Ma quando mai?, ti direbbero al Nazareno, se ti accogliessero e non temessero che qualcuno gli guardi le carte sul tavolo. “L’Unità”, ti direbbero, ha finito la corsa, punto e basta. Svelto com’è, Renzi non ha neanche perduto tempo a verificare se e come l’organo del Partito Democratico svolge il suo ruolo. Sì, qualche volta avrà notato con la coda dell’occhio, che non era tutto scritto da lui, che non c’entrava, neppure dopo anni di Ds e poi di Pd remissivo e sempre pronto a qualche pacificazione, con la nuova vita insieme, lui e Berlusconi, Berlusconi e lui. Non tutti cambiano radicalmente in una o due assemblee, come i membri di direzione del suo partito. Dopo tutto quel giornale ha mai aperto con grande foto del sorriso fisso sulla non realtà della Boschi o della incompetente e dannosa gentilezza della Madia?Diciamo la verità: il giornale stava nei ranghi ma non lo aveva ancora portato in trionfo. E poi, a certe scadenze, veniva fuori con certi ricordi e immagini e voci di cui non senti il bisogno, mentre condividi questa nuova Italia rinnovata e pacificata con Berlusconi. Intanto se i competenti del mondo fanno notare le tue disattenzioni economiche e il rischio grave dell’Italia, sei già circondato di “grandi giornali” italiani detti indipendenti che si occupano di non dirlo. Infine deve avere notato che nessuno, anche tra i più miti redattori dell’“Unità”, era mai stato boy scout. Renzi ha imparato solo la prima parte del celebre motto: “Tutti per uno”. È svelto, e passa subito alla conclusione: chiudere, e farla finita, come gli dice Verdini da un pezzo, con la paccottiglia comunista. La Fiat, che era l’immagine dell’Italia industriale nel mondo e il punto di riferimento per l’industria italiana (se lo fa la Fiat, come fa la Fiat…) si è sfilata con agilità dalle tasse (paga a Londra), dai legami con l’Italia (ha sede amministrativa e legale in Olanda) e dalla produzione (che ha luogo alla periferia di Detroit).Di fronte a un evento di tale enormità i politici non c’erano, non al Parlamento di una o due Camere, non al governo. Renzi lavorava a cambiare verso, a cambiare l’Italia, a forgiare le riforme che tracciano qualche solco ma non si sa per dove. Anche perché gli hanno portato a Palazzo Chigi tre immensi gipponi, che sarebbero destinati alla produzione italiana (famosa nel mondo per la Cinquecento, ricordate?). Ma la produzione italiana non esiste. Piani, progetti e investimenti sono stati tenuti fermi. E gli operai della Fiat, noti nel mondo per il loro lavoro, ora sopravvivono in buon numero con la cassa integrazione di questa Repubblica, mentre la Casa Tudor-Marchionne paga al governo inglese. Renzi? Per lui va bene. Il paese gli sembra più fresco, più giovane. Senza Fiat, senza “Unità”, senza Senato, lui ci ha riportati come bambini al mattino di una giornata che ci promette bellissima. Se righiamo dritto, senza ostruzionismi e senza menarla sulla Costituzione.(Furio Colombo, “Renzi, la tripletta: via Senato, Unità e Fiat”, da “Il Fatto Quotidiano” dell’11 agosto 2014).Renzi pensa molto di sé ma neppure lui avrebbe creduto a un simile colpo: liberare l’Italia negli stessi giorni, del Senato, dell’Unità e della Fiat. Non era facile perché non c’è apparente legame fra i tre grandi scomparsi, una istituzione, un giornale-memoria e una azienda che, da sola, rappresentava e garantiva l’Italia come paese industriale. Non ditemi che mettere insieme le tre chiusure (o partenze per sempre) è solo una trovata polemica. Renzi è bravo, come dicono tutti (chiamandolo continuamente Matteo perché è così giovane, e dandogli ideali pacche sulle spalle) e se si chiude il Senato è solo per una sua decisione (il perché, dovremo estrarlo dalle macerie); se chiude l’“Unità”, ciò che resta di un pezzo glorioso del suo partito, è perché tutto quel passato di altri gli dà noia; se se ne va la Fiat, un esodo unico in Europa e mai accaduto in un grande paese, è perché il suo disinteresse per ciò che non controlla – o lui o la Boschi – lo innervosisce e, francamente, non gli interessa.
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Sicilia, futura Wall Street (ma la mafia non lo capisce)
La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.Bene, la Sicilia dove sta? Proprio sulle soglie della più grande ricchezza del futuro, fra l’Africa e l’Occidente, al confine marittimo. Saranno decine di migliaia di aziende mondiali che nei prossimi 200 anni si accavalleranno disperatamente per arrivare nel business Africa. Ok, la Mafia la pianta di vivere di puzzette come prostitute, armi, droga e appalti da Topolino, e si mette la cravatta, manda i suoi alla Bocconi, e infine fa della Sicilia la Wall Street più importante del mondo. Cioè…. Fa banche! Fa servizi finanziari! Fa ponti finanziari fra l’Europa e il megabusiness dell’Africa. Cioè, la piantate di fare le puzze di capra a Roma coi puzzoni di Palazzo Chigi, e fate i veri soldi. Come dire… fate a Palermo o a Messina delle Goldman Sachs che invece di avere come Ceo Lloyd Blankfein e altri, hanno un tal Ciro Roccomanno, o una Rosanna Maniscalco. E pagate le vostre tasse, e date da lavorare a TUTTA LA SCILIA, e la Dia non vi rompe più i coglioni, e fate 30.000 (trentamila) volte i soldi che fate oggi coi vostri traffici di armi, puzze, pizzini, prostitute, barconi di disperati, e appalti dei Puffi. Lo capite o no, stolti mafiosi? E’ quello che fece la malavita inglese negli anni ‘50, passando dalla puzza di cui sopra alla City di Londra. La City, sapete cos’è?B) Investite nella bellezza della Sicilia. Per il turismo di tutto il mondo le Maldive diventerebbero un laghetto di pesca sportiva confronto alla Sicilia, che se abbellita, curata, attrezzata, sarebbe il Paradiso delle vacanze del Pianeta. E voi, coi vostri soldi puliti – senza prostitute, armi vendute a psicopatici in giro per il mondo, senza pizzo alle vedove, senza puzze di questo genere – investirete nella più bella isola del mondo. E il Roe (il “return on equities”) sarà 2.000 volte quello che avete oggi dalla puzza in cui sguazzate, senza avere la Dia, la polizia, e ogni sorta di scocciatura alle calcagna. Senza dare, come dovete fare adesso, alle griffe di moda internazionali 400 milioni di cui vi riciclano 200 e gli altri li buttate al cesso aprendo un megastore a Singapore (in cui non compra nessuno). Cara Mafia, sveglia. E’ tempo che i vostri rampolli mandino in pensione le prostate di capra di 70 anni che ancora vi governano e che facciate… BUSINESS. E Wall Street guarderà a Palermo o a Catania con un metro di lingua fuori dalla bocca.Non avete mai capito nulla, signori capi mandamento. I soldi, quelli tanti e veri e tranquilli, si fanno in finanza, con la faccia alla luce del sole, con tante bella fondazioni e ASSICURAZIONI (tipo Carisbo? o Monte dei Paschi? Unipol?) e con la sicurezza che né lo Stato né il pubblico, vi obiettino nulla. Anzi, con la certezza che, se le cose vi vanno male, lo Stato e la Bce interverranno per salvarvi il deretano. Con la certezza che l’Europa manderebbe a puttane centinaia di milioni di famiglie e aziende – CON UN BEL TRATTATO LEGALE – per salvarvi il deretano. Non so se voi, capi mandamento puzzoni, avete mai sentito parlare di Ltro per le banche o di Tremonti? Voi oggi ci smenate la paghetta, confronto a quello che Draghi farebbe per voi se diventaste banche, puliti, con la cravatta, come Unicredit? Intesa? Ubi? Lo sapete che alle banche Usa e Ue dal 2007 sono stati regalati 14.000 miliardi di dollari? Quanto fate voi, Camorra, Mafia, ‘Ndrangheta e altre puzze messe assieme all’anno? 100 miliardi? Dai, siete agli spiccioli del caffè, ma dai… Cristo, mafiosi, ma siete proprio idioti. Non avete capito un cazzo di soldi. Ma c’è un p.s. (Ps: Mafia, rimani quello che sei, perché come sei fai diecimila volte meno danni della finanza che ho descritto, e del Pd, di De Benedetti, di Saviano, di Benigni, o di Renzi – i paggi del Vero Potere qui da noi. Dammi un pizzo tutti i giorni, piuttosto che un Padoan o un Marco Buti).(Paolo Barnard, “Lettera alla Mafia: per favore, rimani Mafia”, dal blog di Barnard del 6 agosto 2014).La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.