Archivio del Tag ‘Usa’
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Giannuli: la grazia a Berlusconi, poi Amato al Quirinale?
La grazia a Berlusconi, in cambio del “proprio” candidato alla successione al Qurinale: Giuliano Amato. Secondo Aldo Giannuli, per designare il suo “erede” sul Colle, Napolitano avrebbe in tasca «il vero asso da calare», il colpo di spugna per il Cavaliere: «Otterrebbe i voti di Fi e vicini, garantirebbe il Nazareno e caricherebbe la responsabilità della decisione sulle spalle di un presidente in uscita, togliendo le castagne dal fuoco del successore». E Renzi? Per lui, «il presidente perfetto è quello che non esiste, l’ideale sarebbe lasciare il Quirinale sede vacante: per questo pensa a candidati come la Pinotti, Franceschini, Fassino», cioè «gente che non gli farebbe ombra», candidati impalpabili. In Parlamento, Amato «conta molti più nemici che amici», sicuramente è inviso a Lega, FdI e M5S, «Berlusconi non lo odia particolarmente, ma neppure lo ama tantissimo», accoglienza tipeida nel centro, «dove però non ha neppure nemici giurati». Certo «non è simpatico né a Sel né alla sinistra Pd», forse «può contare su qualche tiepida simpatia di Bersani e D’Alema, che però a loro volta di amici ne hanno davvero pochi». Ma, soprattutto, «è Renzi che lo vede come il fumo negli occhi».Eppure, scrive Giannuli nel suo blog, il “dottor sottile” di Craxi potrebbe anche essere la carta coperta di Napolitano, sempre che il capo dello Stato non ceda alle pressioni di Renzi per restare al Colle fino a maggio, anziché lasciare a gennaio. Certo, la grande partita è aperta: «Gli interessati, quasi tutti, a cominciare da Prodi, smentiscono di essere interessati, il che è la conferma più sicura che sono candidati». Il toto-presidente già impazza, da Veltroni alla Finocchiaro. E Amato? Possibile che non sia nella rosa dei papabili? «In tutta la sua interminabile carriera – osserva Giannuli – l’abilità di Giuliano Amato è sempre stata quella di galleggiare a pelo d’acqua senza avere un esercito proprio. E’ stato anche presidente del Consiglio e varie volte ministro, ma non è mai stato segretario di un partito, è stato vicesegretario del Psi ma senza mai avere una propria corrente». La sua abilità? «Coltivare contatti coi più diversi settori della classe dominante: è molto amico dei francesi, come Bassanini, ma non è certo inviso a tedeschi ed americani, ha molti amici in Loggia ma non è sgradito in Curia, ha sempre operato nell’area laico-socialista ma ha sempre avuto solide amicizie tanto nella Dc quanto nel Pci», essendo anche «amico dei sindacati», ma non-nemico della Confindustria.«Riuscirebbe a essere trasversale anche tra Inferno e Paradiso, amico del Padreterno ma simpatico anche a Satana», scherza Giannuli. Amato «gode di un carisma molto particolare, dovuto alla sua fama consolidata di grande giurista e di esperto di finanza». Fine, disinvolto, raffinato e convincente. «Sarebbe capace di dimostrarti che la camicia che porti addosso, in realtà, gli appartiene, anche se tu non lo sai, e alla fine ti convincerebbe a dargliela, e poi gli pagheresti anche la parcella per la consulenza». Un uomo così, insiste Giannuli, è destinato a emergere nei momenti di crisi, quando l’impasse impone la scelta di un super-partes, un “tecnico”. Grande galleggiatore, Amato: dal Psiup di Antonio Giolitti passò al Psi di Bettino Craxi, di cui fu consigliere nei giorni del “decreto di San Valentino”, per poi diventare anticraxiano e alleato del Pds, quindi occhettiano, poi dalemiano, e così via.«Questa disinvolta prassi politica, se condotta con la necessaria abilità, può garantire una carriera lunga e carica di successi ma, anche quando non manchi la maestria, conquista molti nemici che, prima o poi, diventano troppi». Sulla carta, ragiona Giannuli, oggi Amato metterebbe insieme non più di 60-70 voti. Anche nell’ipotesi del candidato “istituzionale”, sarebbe appesantito dal suo passato: troppi incarichi politici per poter essere speso come “potere neutro” (più adatti, in qual caso, Casini e Monti). Ma i giochi sono aperti. E Amato «ha un importante sponsor in Napolitano». Intanto, il presidente uscente potrebbe presentarlo «come il suo successore nel ruolo di regista del Nazareno» e, per di più, «giocare la carte dei suoi rapporti in Europa», di cui Renzi potrebbe aver bisogno. Un ruolo, rispetto a Bruxelles, «che sicuramente non potrebbe essere assicurato da mezze scartine come la Pinotti e Franceschini, e probabilmente neppure da quel budino di Veltroni». Se il Cavaliere resta in sella e il Patto del Nazareno sopravvive, ipotizza Giannuli, sarebbe dunque avventato scartare l’ipotesi-Amato, eventualmente sostenuta da Napolitano in cambio della piena riabilitazione di Berlusconi.La grazia a Berlusconi, in cambio del “proprio” candidato alla successione al Qurinale: Giuliano Amato. Secondo Aldo Giannuli, per designare il suo “erede” sul Colle, Napolitano avrebbe in tasca «il vero asso da calare», il colpo di spugna per il Cavaliere: «Otterrebbe i voti di Fi e vicini, garantirebbe il Nazareno e caricherebbe la responsabilità della decisione sulle spalle di un presidente in uscita, togliendo le castagne dal fuoco del successore». E Renzi? Per lui, «il presidente perfetto è quello che non esiste, l’ideale sarebbe lasciare il Quirinale sede vacante: per questo pensa a candidati come la Pinotti, Franceschini, Fassino», cioè «gente che non gli farebbe ombra», candidati impalpabili. In Parlamento, Amato «conta molti più nemici che amici», sicuramente è inviso a Lega, FdI e M5S, «Berlusconi non lo odia particolarmente, ma neppure lo ama tantissimo», accoglienza tipeida nel centro, «dove però non ha neppure nemici giurati». Certo «non è simpatico né a Sel né alla sinistra Pd», forse «può contare su qualche tiepida simpatia di Bersani e D’Alema, che però a loro volta di amici ne hanno davvero pochi». Ma, soprattutto, «è Renzi che lo vede come il fumo negli occhi».
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Zero disoccupazione: via l’euro, e 2 milioni di assunzioni
Disoccupazione zero. Uno slogan politico, che riassume il programma di piena occupazione messo a punto per l’Italia dai sostenitori della Mmt, Moderm Money Theory, partendo da un presupposto imprescindibile: il controllo pubblico e sovrano della moneta, senza il quale ogni sforzo è vano perché, eliminato lo Stato, a dominare sono i mercati finanziari, i poteri forti mondiali. Padre fondatore di questa impostazione è John Maynard Keynes, cervello del boom economico occidentale del ‘900: il sistema funziona e produce benessere solo se, a monte, il potere pubblico investe denaro creato dal nulla, attraverso il deficit positivo. Per un altro colosso dell’economia democratica, Hyman Minsky, la missione dello Stato è quella di diventare “datore di lavoro di ultima istanza”. Concetti lunari, se riletti oggi in pieno neoliberismo terminale globalizzato, con in più il guinzaglio mortale dell’euro che, come prima missione, elimina dalla scena proprio l’attore fondamentale del processo democratico macroeconomico, lo Stato, costretto a dipendere dal sistema bancario. Una farsa le immissioni di liquidità pilotate dalla Bce, perché sono destinate alle banche, ai loro buchi di bilancio e alla loro speculazione finanziaria, anziché al credito per l’economia reale.Nel regime dell’euro, caso unico al mondo – moneta senza Stato, per Stati senza più moneta, dunque ostaggio delle banche – si saldano due pulsioni egemoniche negative, quella “imperiale” atlantica (che proprio con l’euro ha azzoppato l’Europa, partner potenziale della Russia dopo la caduta dell’Urss), e quella neoconservatrice europea incarnata dall’élite post-coloniale franco-tedesca, fondata sul mercantilismo del super-export (lavoro a basso costo, salari da fame) e sul neoclassicismo, che pretende di estendere allo Stato l’antica dottrina di David Ricardo, risalente all’epoca napoleonica: prima di poter investire, anche lo Stato deve “risparmiare”, come se fosse un’azienda qualsiasi anziché l’unica istituzione democratica abilitata a emettere moneta a costo zero, in regime di monopolio. Di qui la politica di rigore preparata per decenni, a partire dal divorzio tra Tesoro e banche centrali, e culminata oggi nella catastrofe dell’Eurozona a guida tedesca, con un paese come l’Italia retrocesso oltre le prime 20 posizioni nella graduatoria dei redditi Ocse, e alle prese con una disoccupazione spaventosa.Con l’euro, risalire la china è materialmente impossibile: l’intera costruzione della non-moneta europea è stata concepita in base al preciso scopo politico di impedire allo Stato di continuare a sostenere l’economia nazionale, mettendola in crisi e ripristinando condizioni di dominio neo-feudale. Oggi infatti sono i pesi massimi del business euroatlantico a speculare sul disastro, anche con le privatizzazioni, acquisendo a prezzi stracciati beni, aziende, servizi e infrastrutture, cioè il patrimonio sviluppato nei “decenni del benessere” in regime di sovranità monetaria, prima della grande globalizzazione americana. Lo Stato piange perché non può più reggere i conti in rosso – non avendo più il debito pubblico denominato in moneta propria – e quindi non può fare altro che tagliare i servizi e aumentare le tasse, fino a provocare il progressivo collasso dell’economia. Non potendo più svalutare la moneta, né immetterla liberamente nel sistema, né tantomeno utilizzarla come in passato per investimenti strategici, nel regime padronale dell’Eurozona non resta che svalutare il lavoro, seppellendo in questo modo qualsiasi residuo fondamento dell’economia marxista e riducendo il lavoratore ad automa sempre meno pagato, intercambiabile al ribasso sul nuovo mercato dei migranti precari globalizzati.Per questo ha carattere apertamente rivoluzionario la proposta sovranista sviluppata da Warren Mosler e diffusa in Italia da Paolo Barnard: restituire la moneta allo Stato, cioè alla generalità dei cittadini, significa sottrarla al monopolio abusivo del sistema finanziario, che ha “sequestrato” la fondamentale leva monetaria agli Stati europei proprio quando la Russia cessava di essere un avversario formale della Nato. Inaffidabili, per il super-potere di Wall Street, le democrazie europee col loro welfare e le loro tutele sindacali. Un modello funzionante, pericolosamente prossimo alle nuove frontiere dell’Est Europa, da mettere in crisi – con il “golpe” monetario – prima ancora che la crisi della crescita e la finanziarizzazione dell’economia esplodessero in modo dirompente e palese. Secondo il “programma di piena occupazione” della Mmt, il semplice recupero sovrano della moneta può dare ossigeno a un singolo sistema-paese, a prescindere dal contesto internazionale, posto che esistano ovviamente le condizioni politiche per sfidare i poteri forti al punto da “restituire” ai cittadini, insieme alla moneta, un assetto economico funzionale e sociale: il denaro a disposizione del lavoro, e non viceversa. Si tratta dunque di un programma tecnico, in attesa di adozione. Primo punto: tamponare la voragine e dare un lavoro a tutti, subito. Come? Pagando uno stipendio a qualsiasi disoccupato disposto a lavorare e produrre l’equivalente del reddito ricevuto.Il salario sarebbe leggermente inferiore al compenso garantito dai contratti del settore privato. E sarebbe transitorio, cioè assicurato soltanto fino al momento in cui il disoccupato non viene assunto da un’impresa privata. Si tratterebbe in ogni caso un impiego produttivo, ma in campi che non creano concorrenza al settore privato (esempio: la tutela idrogeologica). Dotato nuovamente di moneta propria, lo Stato potrebbe ampliare la base monetaria nazionale, aumentando subito il deficit: dall’attuale 3% del Pil si passerebbe immediatamente all’8-10%. Prima conseguenza: taglio immediato della pressione fiscale, ridotta di almeno il 5%, agendo sull’Iva e sulle tasse sul lavoro. Valore della manovra: 75 miliardi, pari a 2 milioni di posti di lavoro. In parallelo, investimenti annuali da 30-40 miliardi per pilotare una riconversione sostenibile dell’economia: e quindi istruzione, risparmio energetico, sicurezza idrogeologica, ambiente e salute, con ricadute a cascata sul sistema delle aziende e sull’occupazione. Detassazione e investimento pubblico: con moneta sovrana (e politici onesti e capaci) si può fare. Senza moneta sovrana, la missione sarebbe fuori della portata del miglior politico. All’orizzonte, in ogni caso, non se ne vedono. Il che induce ormai molti economisti a ipotizzare che l’uscita dall’euro, giudicata inevitabile e prossima, avverrebbe attraverso un crollo del sistema, con conseguenze disastrose, non esistendo una struttura politica capace di sostenere un piano di salvezza nazionale come quello tracciato dalla Mmt di Mosler.Disoccupazione zero. Uno slogan politico, che riassume il programma di piena occupazione messo a punto per l’Italia dai sostenitori della Mmt, Moderm Money Theory, partendo da un presupposto imprescindibile: il controllo pubblico e sovrano della moneta, senza il quale ogni sforzo è vano perché, eliminato lo Stato, a dominare sono i mercati finanziari, i poteri forti mondiali. Padre fondatore di questa impostazione è John Maynard Keynes, cervello del boom economico occidentale del ‘900: il sistema funziona e produce benessere solo se, a monte, il potere pubblico investe denaro creato dal nulla, attraverso il deficit positivo. Per un altro colosso dell’economia democratica, Hyman Minsky, la missione dello Stato è quella di diventare “datore di lavoro di ultima istanza”. Concetti lunari, se riletti oggi in pieno neoliberismo terminale globalizzato, con in più il guinzaglio mortale dell’euro che, come prima missione, elimina dalla scena proprio l’attore fondamentale del processo democratico macroeconomico, lo Stato, costretto a dipendere dal sistema bancario. Una farsa le immissioni di liquidità pilotate dalla Bce, perché sono destinate alle banche, ai loro buchi di bilancio e alla loro speculazione finanziaria, anziché al credito per l’economia reale.
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Barnard: crediti marci e banche in rosso, preparatevi a tutto
No, no, per carità, il problema è Roma, Casta, pensioni d’oro, costi politica, costi lavoro, ecc. Dette queste risolutive verità sulla macroeconomia globale, e tralasciando che ora la Russia può anche chiudere i rubinetti del gas all’Europa avendo completato il secondo più grande accordo di fornitura di gas con la Cina nella storia… insomma, tralasciando queste sciocchezze, chiedo a chi ha 5 minuti di tempo per sollevare gli occhi dai testi delle epiche mozioni dei 5S in Parlamento, di osservare i seguenti semplici punti. La banche italiane sono fra le prime fra quelle dell’Eurozona in termini di volumi di debiti ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni (debiti emessi dalle banche per finanziarsi). Il totale sud-europeo di debiti bancari ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni è di 18 miliardi di euro, che si aggiungono ai 1.500 miliardi di euro che ancora le banche europee hanno in pancia in termini di crediti emessi e che non riavranno mai più (crediti marci).Fra questi ‘debiti a rischio’ che le banche vendono per finanziarsi ci sono anche i famigerati Asset Backed Securities, cioè dei fasci di vostri debiti verso le banche e che voi faticate a ripagare, che vengono venduti a Fondi Avvoltoio americani, così le banche se ne liberano e voi sfigati poi avrete a che fare con gli Avvoltoi (la Camorra è una passeggiatina, in confronto). Insomma, le banche italiane in testa a una corsa delle banche per finanziarsi con prestiti da parte di investitori che rischiano il deretano, perché è alta la possibilità che le banche non li ripaghino, ma questi investitori in compenso chiedono alle banche tassi d’interessi… STRATOSFERICI stratosferici.E qui sta la domandina per voi imprenditori e famiglie che chiedete fidi, mutui, prestiti, ecc. A chi credete che le banche faranno pagare il conto di quei tassi stratosferici che pagano loro stesse ai mercati di capitali? A chiiiiiii? Forse a Grillo??… ah! già, non ci avevo pensato. Il boato gastrico del genovese ci salverà! Vi salverà, imprenditori dell’Abruzzo, sindaci della Lombardia, famiglie d’Italia. Scusate se vi ho allarmati di nuovo.(Paolo Barnard, “Come sempre, imprenditori e famiglie non fateci caso”, dal blog di Barnard dell’8 novembre 2011).No, no, per carità, il problema è Roma, Casta, pensioni d’oro, costi politica, costi lavoro, ecc. Dette queste risolutive verità sulla macroeconomia globale, e tralasciando che ora la Russia può anche chiudere i rubinetti del gas all’Europa avendo completato il secondo più grande accordo di fornitura di gas con la Cina nella storia… insomma, tralasciando queste sciocchezze, chiedo a chi ha 5 minuti di tempo per sollevare gli occhi dai testi delle epiche mozioni dei 5S in Parlamento, di osservare i seguenti semplici punti. La banche italiane sono fra le prime fra quelle dell’Eurozona in termini di volumi di debiti ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni (debiti emessi dalle banche per finanziarsi). Il totale sud-europeo di debiti bancari ‘a rischio’ emessi negli scorsi 2 anni è di 18 miliardi di euro, che si aggiungono ai 1.500 miliardi di euro che ancora le banche europee hanno in pancia in termini di crediti emessi e che non riavranno mai più (crediti marci).
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Cancellare le conquiste del popolo: da Pinochet a Renzi
Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.La strage fascista di piazza della Loggia a Brescia aveva ricevuto una risposta popolare enorme che aveva messo in crisi i disegni autoritari di settori degli apparati dello Stato e della eversione nera. Nelle scuole entravano i metalmeccanici che avevano da poco conquistato il diritto a studiare con permessi di 150 ore. Tutta la società italiana, nonostante tensioni e contraddizioni, era in crescita attorno alla crescita dei diritti del lavoro. Chi allora avrebbe potuto aver già in mente che, appena quattro anni dopo il varo della legge 300, si sarebbe dovuto cancellare l’articolo 18? Mi domando davvero come Renzi abbia potuto parlare di quaranta anni di ritardo nelle riforme, e siccome son convinto che non si sia sbagliato, posso arrivare ad una sola conclusione. Che egli faccia proprio lo spirito di vandea capitalista che proprio in quegli anni cominciava a definirsi nelle élites economico finanziarie mondiali.Nel 1973 il sanguinoso colpo di Stato di Pinochet contro Allende in Cile serviva per la prima volta a sperimentare con la forza di una feroce dittatura le politiche liberiste dei “Chicago boys” di Milton Friedman. Che poi sarebbero dilagate nel mondo. Sempre nel 1973 una organizzazione multinazionale di banchieri e industriali, politici e ricconi guidata dalle élites statunitensi, la Trilaterale, aveva prodotto un manifesto programmatico nel quale si affermava la necessità che il mondo retrocedesse dall’eccesso di domanda di democrazia e garanzie sociali che si era diffuso. Quindi è vero che sotto la superficie del progresso generale si annidavano e preparavano le forze che avrebbero avviato quella controriforma liberista che dura da più di trenta anni.Certo a nessuno nell’Italia del 1974, se non a Licio Gelli, sarebbe venuto in mente di chiedere la cancellazione della reintegra per i licenziamenti ingiusti, e di tornare così alla legge del 1966 che, come l’attuale Jobact, prevedeva solo il risarcimento monetario. Ma nell’Italia di oggi questo invece può essere affermato e presentato come innovazione. Ci sono voluti decenni, ma alla fine lo spirito di rivincita sociale che già elaborava il suo rancore in quegli anni, ha trovato un fiero interprete in Matteo Renzi. Che, parafrasando il linguaggio di un altro capo di governo non proprio democratico, ha potuto alla fine affermare: «Con lo Statuto dei Lavoratori abbiamo pazientato quarant’anni, ora basta».(Giorgio Cramaschi, La Vandea capitalista di Renzi, da Contropiano del 10 ottobre 2014).Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.
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Un tedesco (di destra) nuovo presidente della Romania
Una volta Berlino si “limitava” a imporre ai paesi della periferia europea uomini di provata fiducia. A colpi di lettere segrete della Bce, di picchi dello spread e di minacce neanche tanto velate, negli ultimi anni a guidare i governi e i parlamenti di vari paesi “non in linea” con i parametri dettati dalla Troika sono stati paracadutati dei veri e propri commissari eterodiretti o fortemente condizionati da Berlino. Basti citare Mario Monti ed Enrico Letta, solo per rimanere in patria. Poi, quando si trattava di destabilizzare il governo ucraino per imporne uno più fedele, la signora Merkel non si è limitata a foraggiare e sostenere politicamente e diplomaticamente un vasto arco di forze nazionaliste e di destra che poi avrebbero dato vita ad EuroMaidan e partecipato al golpe. La Cdu tedesca, tramite la Fondazione Adenauer, si è addirittura inventata un partito politico ucraino, Udar, affidando la sua creatura a un ex campione di pugilato che aveva il doppio pregio di condividere “i valori europei” e di avere anche la cittadinanza tedesca e la residenza in una splendida villa in Germania.Ma a vedere i risultati delle recenti elezioni presidenziali in Romania, non si può notare un nuovo salto di qualità nell’intervento dei poteri forti tedeschi nella gestione dell’Unione Europea in quanto polo attivo della competizione globale e dei singoli paesi della periferia.E così, incredibilmente, a vincere il ballottaggio di domenica che vedeva favorito l’esponente di centrosinistra Victor Ponta è stato invece “il tedesco” Klaus Iohannis. Tedesco per due motivi: in quanto esponente della minoranza tedesca che vive nei territori della Transilvania – e su questo nulla da ridire, anzi – ma soprattutto perché di fatto Iohannis è un pupillo di Frau Merkel e un ammiratore delle politiche di rigore e conservatrici della Cdu tedesca. Se prima a Berlino bastava controllare il telecomando, oggi pare proprio che la classe dirigente tedesca si stia adoperando per manovrare direttamente il guinzaglio. Un particolare, l’identità etnica e politica del nuovo presidente romeno, così eclatante che non è sfuggito neanche alla normalmente distratta stampa italiana.L’esponente della minoranza tedesca ha fatto della lotta alla corruzione e dell’apertura del paese agli investitori stranieri (che naturalmente richiedono stabilità, agevolazioni fiscali, basso costo del lavoro e zero conflittualità sindacale) i suoi cavalli di battaglia, sbaragliando al ballottaggio un Victor Ponta che al primo turno lo aveva battutto con ben dieci punti di differenza, 40% contro 30%. Il suo piglio prussiano e la denuncia delle inefficienze del governo socialdemocratico che stavano impedendo a molti emigrati romeni di poter votare all’estero ha mobilitato un gran numero di elettori in patria (l’affluenza è passata dal 53% del primo turno al 63,5% del ballottaggio) permettendogli di ribaltare il risultato della prima tornata delle presidenziali. Ora il fisico 55enne, sindaco di Sibiu e protestante (in un paese in cui il 90% degli abitanti è cristiano ortodosso) dovrà tentare di portare ordine in un paese economicamente allo sbando, governato da un premier socialdemocratico debole, uscito dalla inaspettata sconfitta delle presidenziali e oggetto di forti contestazioni politiche e sociali. Soprattutto, Iohannis dovrà tentare di riportare Bucarest sotto il pieno controllo della Germania e dell’Unione Europea, sottraendo il paese alle fortissime influenze degli Stati Uniti.(Marco Santopadre, “Un tedesco, di destra, presidente della Romania”, da “Contropiano” del 19 novembre 2014).Una volta Berlino si “limitava” a imporre ai paesi della periferia europea uomini di provata fiducia. A colpi di lettere segrete della Bce, di picchi dello spread e di minacce neanche tanto velate, negli ultimi anni a guidare i governi e i parlamenti di vari paesi “non in linea” con i parametri dettati dalla Troika sono stati paracadutati dei veri e propri commissari eterodiretti o fortemente condizionati da Berlino. Basti citare Mario Monti ed Enrico Letta, solo per rimanere in patria. Poi, quando si trattava di destabilizzare il governo ucraino per imporne uno più fedele, la signora Merkel non si è limitata a foraggiare e sostenere politicamente e diplomaticamente un vasto arco di forze nazionaliste e di destra che poi avrebbero dato vita ad EuroMaidan e partecipato al golpe. La Cdu tedesca, tramite la Fondazione Adenauer, si è addirittura inventata un partito politico ucraino, Udar, affidando la sua creatura a un ex campione di pugilato che aveva il doppio pregio di condividere “i valori europei” e di avere anche la cittadinanza tedesca e la residenza in una splendida villa in Germania.
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Il marcio Juncker? Perfetto per imporre all’Europa il Ttip
Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.L’anello debole, oggi, si chiama innanzitutto Juncker. Qualcuno, scrive Raffone sul “Sussidiario”, dovrebbe ricordarsi dello scandalo Clearstream (“flusso pulito”), esploso grazie a un giornalista tra il 2001 e il 2002, che dimostrava come dagli anni ‘70 era stata creata una “camera di compensazione” per rendere non tracciabili le transazioni finanziarie. «Clearstream serviva da piattaforma “legale” per le compensazioni inter-bancarie (attività perfettamente illegale) che offriva soluzioni mondiali per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro». Finite nel nulla le prime inchieste giudiziarie avviate in Lussemburgo e in Francia. Seguì una seconda indagine francese, nota come “Clearstream 2”, che attorno alla costituzione di fondi neri dell’industria franco-tedesca della difesa, Eads, coinvolse il presidente Jacques Chirac e il ministro Dominique De Villepin, ma anche indirettamente il presidente Nicolas Sarkozy e numerosi membri dell’establishment francese, oltre a oligarchi russi e narcotrafficanti colombiani. Nel 2013 si concluse con l’assoluzione dei molti politici coinvolti e la condanna di alcuni alti dirigenti della Eads.Un’indagine parlamentare, diretta dall’ex ministro socialista Arnaud Montebourg (poi silurato da Hollande perché contrario al rigore della Troika) si è limitata alla pubblicazione di un rapporto sul riciclaggio, mentre un’indagine del Parlamento Europeo «ricevette l’incredibile risposta dell’allora commissario Frits Bolkestein che ritenne che “non vi erano ragioni di non credere alle autorità del Lussemburgo”». Nel 2006, continua Raffone, l’eurodeputato olandese Paul Van Buitenen, famoso per aver denunciato lo scandalo di corruzione che fece cadere la Commissione Santer, contestò a Barroso la presenza di Frits Bolkestein nella Commissione, visto che lo stesso era nel consiglio di amministrazione della Shell che aveva conti “occulti” con Clearstream. La risposta di Barroso? Burocraticamente evasiva, in pieno stile Ue: un altro lussemburgese, Jacques Santer, nel 1999 fu costretto a dimettersi da presidente della Commissione Europea per un caso di corruzione. Dal 2002, aggiunge Raffone, Clearstream è controllata al 100% da Deutsche Borse. E, insieme alla consorella Euroclear, che fu di Jp Morgan, è il secondo oligopolista mondiale come “depositario centrale internazionale”, cioè dove si trattano tutti gli eurobond e si opera la “clearence” delle transazioni, dai derivati ai conti bancari.Nel 2011, dopo 10 anni, Clearsteram ha perso tutte le cause contro Denis Robert, il giornalista che aveva reso nota la “lavanderia del Lussemburgo”. Clearstream è da sempre legalmente basata in Lussemburgo, continua Raffone, mentre Euroclear è in Belgio, dove dal 1973 risiede anche Swift, cioè il monopolista mondiale della rete di telecomunicazione per le relazioni finanziarie interbancarie, con oltre 9.000 istituzioni collegate in più di 209 paesi. «Coincidenze o il Benelux ha qualcosa di “speciale”?». Per Raffone, l’offensiva anti-Juncker coincide con la grave sconfitta di Obama nelle elezioni di midterm. E i finanziatori della Icij sono tutti anglosassoni, «ampiamente membri delle élites della mondializzazione e del “nuovo ordine mondiale”», mai teneri con l’Europa. Tra loro spiccano la Open Society Foundation (americana, legata a Soros), la Ford Foundation (americana, con collegamenti israeliani), la Adessium Foundation (famiglia Van Vliet, olandese naturalizzata americana e specializzata in asset management), il Sigrid Rausing Trust (famiglia di origine svedese proprietaria della Tetra Pack, basata nel Regno Unito), la David and Lucile Packard Foundation (la famiglia americana fondatrice di Hp), e poi Pew Charitable Trusts (americana, svolge attività di lobbying nel settore pubblico e possiede il terzo più influente think tank di Washington) e la Waterloo Foundation (britannica, impegnata nelle cause ambientaliste).Quanto allo scandalo attuale, che coinvolge «la reputazione e la credibilità di Jean-Claude Juncker nella sua nuova funzione di presidente della Commissione Europea», per Raffone bisogna partire dal passato recente di Juncker che, nel luglio 2013, dopo 18 anni da primo ministro del Lussemburgo, ha dovuto rassegnare le sue dimissioni in seguito allo scandalo delle “intercettazioni segrete” che, per sua negligenza e omesso controllo e vigilanza, i servizi segreti del Granducato avevano compiuto per alcuni anni. «I fatti dell’inchiesta riferiscono che tra il 2004 e il 2009, oltre alle 300 schede personali di politici e imprenditori e almeno 13.000 “fiches d’information” sui 500.000 abitanti, erano state eseguite violando tutte le leggi vigenti». Secondo il capo dei servizi lussemburghesi, durante la guerra fredda erano oltre 300.000 le “note d’ascolto” collezionate dall’agenzia statale. «Inoltre, sono emerse anche commistioni tra il mondo dell’intelligence lussemburghese, gli affari finanziari, il dipartimento delle imposte e alcune aziende che forniscono beni di lusso».Decisamente grave, per il leader di un paese fondatore dell’Ue. «Possibile che nessuno abbia trovato che già questo evento fosse sufficiente a far dubitare dell’onorabilità di Jean-Claude Juncker prima della sua recente elezione a capo della Commissione Europea?». Eppure era persona ben conosciuta, premier dal 1995 al 2013, poi ministro delle finanze, e infine (dal 2005 al 2013) primo presidente dell’Eurogruppo. «Nessuno sapeva? La spiegazione – afferma Raffone – è che a livello dell’Unione Europea vige la regola dell’omertà, che si cristallizza nella relazione incestuosa tra le alte burocrazie nazionali e le tecnocrazie europee». Pletoriche e tardive le proteste di politici come Gianni Pittella o del belga Guy Verohstadt, del gruppo Alde. Juncker dovrebbe “fare chiarezza” al Parlamento Europeo? «È una farsa che avrebbero potuto risparmiarci. Più dignitosa è stata la difesa d’ufficio del capogruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber, che reclama “l’imparzialità” di Juncker.», mentre «la voce più chiara è stata quella di Marine Le Pen, del Fn francese, che ha chiesto le dimissioni incondizionate di Juncker e della sua Commissione».Strada senza uscita, scrive Raffone: se Juncker cade, crolla tutto. Ma se resta al suo posto, la credibilità delle istituzioni europee «sarà indecentemente rovinata». Ipotesi: «Un aiuto a quella creazione del “caos” che a certa parte dell’establishment americano, soprattutto dopo la vittoria dei repubblicani, fa molto comodo per “disciplinare” gli europei nell’alleanza transatlantica?». Scandaloso non è solo il regime fiscale del Lussemburgo, ma anche il fatto che Juncker, come premier, abbia concluso oltre 340 accordi con multinazionali perché la loro tassazione fosse inesistente oppure dell’1%. E ancor più grave, aggiunge Raffone, è che questi accordi fossero segreti. «Le solite società di auditing hanno fatto il resto. La patetica difesa della Pwc ricorda quella della blasonata Arthur Andersen quando nel 2007 esplose il caso della Aig americana, che portò alla chiusura di quella “casa di contabili”. Perché Juncker lo ha permesso? E per conto di chi?». Niente di nuovo, comunque: «Per qualsiasi piccolo investitore che cercasse di “ottimizzare” la propria tassazione, era ben noto che in Lussemburgo si potesse “triangolare” con estrema facilità e compiacenza del governo per fare schemi di elusione fiscale trans-europei, coinvolgendo società di comodo in Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, senza disdegnare la Svizzera e lo Stato americano del Delaware. Insomma, un gioco fai da te, disponibile anche su Internet».C’è da chiedersi perché la Germania abbia fatto la voce grossa con il principato del Liechtenstein – i famosi nomi trafugati dai servizi tedeschi – mentre sul “suo” Lussemburgo tace. Probabilmente, ipotizza Raffone, il Liechtenstein era uno specchietto per le allodole, mentre la “ciccia” era chiaramente nel Granducato. «Nella guerra finanziaria in corso tra il sistema angloamericano, che in Europa è rappresentato dalla City di Londra, e quello “Ost” rappresentato dalla Germania, per capirci tra Euroclear e Clearstream, questa volta i falchi anglosassoni hanno colpito l’Ue per punire la Germania». Quest’ultima è rea di pensare a un eventuale “Eurogruppo 2” e si è permessa di sfidare il Regno Unito, chiedendo che «decida subito cosa fare, se stare o meno nell’Ue». Detto fatto, reazione puntuale: «A farne le spese non sarà solo la Germania, ma tutti i paesi dell’Eurozona». Juncker? «E’ stato una pessima scelta anche per la Germania», che si è affidata a un politico iper-ricattabile da troppi poteri. Per esempio, gli americani: «Obama deve rabbonire i suoi falchi, ormai vincitori a casa sua. Quindi può avere una sola possibilità per farlo: la resa incondizionata e definitiva dell’Unione Europea all’egemone americano. Primo passo, la firma del Ttip prima del prossimo Consiglio Europeo di dicembre». Forse, conclude Raffone, Renzi e la Mogherini lo avevano intuito, e quindi sin da subito avevano dichiarato che «il Ttip non è solo un accordo commerciale, ma strategico, una scelta culturale».Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.
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Attkisson, star della Cbs: è il potere a dettarci i telegiornali
C’era una volta la stampa americana. E in parte esiste ancora, ma soprattutto nei film di Hollywood che continuano ad esaltare il coraggio delle grandi testate o di singoli giornalisti con toni romantici e a volte epici. Che fanno cassetta, ma non rispecchiano la realtà. Dai tempi del Watergate i media americani hanno visto erodere buona parte della propria credibilità, sotto i colpi di una serie di inefficienze e talvolta di scandali. Dai giornalisti pluripremiati che inventavano storie di sana pianta, all’incapacità cronica e talvolta compiacente di contrastare le tecniche degli spin doctor per orientare i media, l’elenco è lungo e tutt’altro che lusinghiero. Ora la Attkisson, grande della star Cbs, lancia un j’accuse pesante nel suo ultimo libro “Stonewall”. In parte non sorprendente: che la maggior parte dei giornalisti americani siano liberal, ovvero di sinistra, e che riservino a Obama un atteggiamento privilegiato, fazioso quasi fino al servilismo, era già stato denunciato da alcuni studiosi. Dove invece la Attkisson squarcia davvero un velo è sulla parte invisibile della gestione dei grandi media americani, sulle connessioni invisibili con l’establishment.
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Mersch, Bce: abbiamo rubato ai poveri per dare ai ricchi
Le due maggiori banche centrali del mondo, la Fed americama e l’europea Bce, «hanno causato un aumento di povertà senza precedenti nella storia», sostiene Paolo Barnard, che denuncia «il più grande trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi dall’esistenza della civiltà». E’ stato realizzato «con immani trasferimenti di liquidità alle banche (con la patetica scusa che poi le banche avrebbero prestato ad aziende e famiglie)». Sono quei trasferimenti che negli Usa sono chiamati Qe, “quantitative easing”, e da noi Ltro e Omt. Tutto sbagliato, ora lo ammettono anche alla Bce: lo ha ribadito pubblicamente, a Zurigo, il banchiere centrale Yves Mersch, membro dell’esecutivo della Bce: «Tassi d’interesse molto bassi finiscono per arricchire chi specula in finanza, mentre puniscono i depositi degli ordinari risparmiatori: questo può portare a diseguaglianza sociale sempre maggiore fra ricchi e poveri». Insieme a Warren Mosler (Modern Money Theory), Barnard lo è andato ripetendo negli ultimi cinque anni: la politica di Qe affidata alle banche non avrebbe raggiunto l’economia reale e anzi avrebbe colpito i risparmi.Era chiaro, scrive oggi Barnard nel suo blog, che «quei trilioni di dollari o euro sarebbero tutti finiti o in speculazioni di Borsa – arricchendo i soliti miliardari – o ad abbassare i tassi d’interesse a zero, uccidendo i guadagni di centinaia di milioni di piccoli risparmiatori che contavano proprio su quegli interessi dei loro titoli di risparmio per fare un gruzzoletto. Ed è successo. Ok. Io l’ho detto in Tv, scritto, urlato». Ma non è tutto: «La cosa che ora a noi fa ribollire il sangue è che sul più immane crollo dell’economia europea dai tempi di Carlo Magno, arrivano questi tecnocrati delle banche centrali a dire che… in effetti hanno sbagliato, e indirettamente che avevamo ragione noi. Grazie, tante! Dopo che avete devastato centinaia di milioni di famiglie, lavoro e piccole aziende, che vi prenda fuoco l’auto con voi dentro legati. E che bruci piano». Yves Mersch ora denuncia quei “tassi d’interesse molto bassi”? Ma sono stati «da loro scientemente voluti», proprio per “punire gli ordinari risparmiatori”, cioè «noi sfigati cittadini e pensionati».Aggiunge lo stesso Mersch: «E cosa abbiamo imparato dalle nostre politiche monetarie sulla distribuzione della ricchezza, dei redditi e dei consumi? Mentre la maggioranza delle famiglie conta sui suoi salari per campare, una minoranza riceve guadagni dai suoi business e dalla finanza». Se le politiche monetarie espansive (proprio quelle della Bce di oggi) «arricchiscono i profitti più che gli stipendi, allora gli industriali ne beneficeranno in modo enorme a scapito dei salariati», ammette Mersch. «Quindi le nostre politiche monetarie causeranno una montante diseguaglianza sociale fra ricchi e poveri». Barnard protesta: «“Causeranno”? L’avete già fatto, bastardi, e oggi fate i discorsini socialmente solidali?». Per Barnard, la politica monetaria che l’élite ha affidato alla Bce non è stata “un errore”, ma criminalità consapevole. Denunce a lungo cadute nel vuoto e non raccolte dagli italiani, «povere anime perse fra i ladri di polli della Casta o Grillo che fa boati gastrici. Poverini: la Casta gli ruba le uova del pollaio, mentre l’Eurozona gli ruba la casa con tutto quello che c’è dentro. Ma sapete gli italiani, poverini».Le due maggiori banche centrali del mondo, la Fed americama e l’europea Bce, «hanno causato un aumento di povertà senza precedenti nella storia», sostiene Paolo Barnard, che denuncia «il più grande trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi dall’esistenza della civiltà». E’ stato realizzato «con immani trasferimenti di liquidità alle banche (con la patetica scusa che poi le banche avrebbero prestato ad aziende e famiglie)». Sono quei trasferimenti che negli Usa sono chiamati Qe, “quantitative easing”, e da noi Ltro e Omt. Tutto sbagliato, ora lo ammettono anche alla Bce: lo ha ribadito pubblicamente, a Zurigo, il banchiere centrale Yves Mersch, membro dell’esecutivo della Bce: «Tassi d’interesse molto bassi finiscono per arricchire chi specula in finanza, mentre puniscono i depositi degli ordinari risparmiatori: questo può portare a diseguaglianza sociale sempre maggiore fra ricchi e poveri». Insieme a Warren Mosler (Modern Money Theory), Barnard lo è andato ripetendo negli ultimi cinque anni: la politica di Qe affidata alle banche non avrebbe raggiunto l’economia reale e anzi avrebbe colpito i risparmi.
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La rivoluzione e il Muro della Vergogna tra ricchi e poveri
«Il pensare che la speranza della rivoluzione sia spenta, e sia finita soltanto perché l’utopia comunista è fallita, significa chiudersi gli occhi per non vedere». Così scriveva Norberto Bobbio nel 1989, prima ancora della caduta del Muro di Berlino, davanti alla repressione cinese di piazza Tienanmen. «E’ da stolti rallegrarsi della sconfitta», scriveva il filosofo, criticando il trionfalismo dell’Occidente di fronte alla grande ritirata dell’Urss di Gorbaciov. «Credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo “storico”) abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?». Parole ricordate oggi da Angelo d’Orsi, all’indomani delle fastose celebrazioni berlinesi, in cui lo stesso Gorbaciov – che aveva sperato nell’avvento di un mondo multipolare e pacificato – ha ammonito gli Usa: voler stravincere è irresponsabile, significa trascinare il pianeta verso la guerra senza risolvere nessuno dei grandi problemi dell’umanità, devastata dalle diseguaglianze con l’avvento destabilizzante della globalizzazione neoliberista.Tra le pagine del settimanale tedesco “Die Welt”, scrive d’Orsi su “Micromega”, sopravvive la coscienza problematica del presente, lontano dallo spirito della celebrazione, «quella beota» di chi non ha perso l’occasione per inneggiare al “liberalismus triumphans”, «magari tirando in ballo la situazione geopolitica attuale, con cenni al ritorno alla guerra fredda per colpa dell’aggressività dell’“Orso russo”». La televisione ha riproposto «luoghi comuni, stucchevoli e spesso fuorvianti», anche se con «un minimo di pudore in più rispetto al passato», forse per effetto «della crisi che si sta impietosamente prolungando, lasciando una scia sempre più scura di dolore, tra rassegnazione inerte e rivolta incipiente». Eppure, «l’apologetica dell’Occidente domina, e prevale, di gran lunga, incurante di quel che le vicende internazionali ci hanno regalato come prodotto della fine del bipolarismo, e ingresso nell’era unipolare, con lo strapotere militare, economico, finanziario, culturale, degli Stati Uniti d’America, il vero Big Brother della famiglia umana».Il biennio 1989-1991, si interroga d’Orsi, fu davvero una rivoluzione? Produsse cambiamenti repentini di regimi politici e portò al potere classi sociali nuove? Sì e no: intanto, perché gli ex satelliti dell’Urss sono stati gestiti a lungo dalla vecchia nomenklatura, «semplicemente con un cambio di casacca politica». E poi perché «il sistema di garanzie sociali, di diritti sostanziali, di welfare, fu spazzato via». Cambiò il clima umano di quei paesi: «Pochi giorni fa ero in Polonia – racconta d’Orsi – e ho conversato con un ingegnere, che lucidamente ha ammesso i benefici del post-’89, ma altrettanto lucidamente ha elencato i danni, il primo dei quali per lui era proprio sul piano antropologico. Era emerso, diceva, parlando accoratamente, un individualismo prima sconosciuto; furono spezzati i legami sociali, cessarono tutte quelle attività collettive – dalle ferie al dopolavoro, dalle sezioni di partito agli eventi sportivi, dalle biblioteche al teatro – che facevano sentire le persone garantite da reti di protezione: oltre alle istituzioni, v’era “la gente”, a costituire la rete. Ora ciascuno finito il lavoro corre a casa, sbarra l’uscio e si fa gli affari suoi».Secondo fonti occidentali, aggiunge d’Orsi, «in molti paesi dell’Est Europa le aspettative di vita si sono ridotte, le disuguaglianze economiche sono diventate macroscopiche». E, per gli ultimi in fondo alla scala sociale, «la vita è più dura che in passato, anche se hanno i supermercati traboccanti di merci, e possono espatriare liberamente». Ma le conseguenze più gravi, per d’Orsi, sono sul piano internazionale, «nella terrificante definizione del “nuovo ordine mondiale”», col dominio economico-militare degli Usa, senza alcun bilanciamento, e senza più l’Onu, «ridotto al rango di notaio della superpotenza». Questo ha generato nella classe dirigente americana «una perversa volontà sopraffattoria», al punto che «il mondo è parso per un momento alla sua mercé: il bombardamento della sede dell’ambasciata cinese a Belgrado, nel corso della più infame delle “nuove guerre”, nel 1999, fu la prova di quella volontà». Poi però è cominciato un riassetto internazionale, «con fenomeni di resistenza diffusi, allo strapotere statunitense», e oggi l’unipolarismo si sta trasformando progressivamente in multipolarismo. «Oggi gli Usa non si potrebbero permettere di bombardare l’ambasciata cinese. E la Russia è ritornata al rango di grande potenza, piaccia o non piaccia, malgrado la corona di ferro che Nato e Ue cercano di disporre intorno al suo territorio che, benché ridotto dalla frammentazione dell’Urss post 1991, rimane il più esteso del mondo».Nello stesso tempo, proprio la riscossa di altre nazioni e la crescita economica e militare dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), hanno eccitato «l’eterna cupidigia degli Usa», i quali «nella situazione di crisi sistemica del capitalismo», oggi «cercano nuovi sbocchi commerciali e hanno bisogno di far girare a pieno ritmo la propria macchina militare, smaltendo armi e investendo, di conseguenza, in nuovi, sempre più sofisticati sistemi di distruzione e di morte». E’ un fatto: «L’esportazione della democrazia, la grottesca formula che ha giustificato tutte le guerre recenti, è la conseguenza evidente del “crollo del Muro”. Ossia, la dissoluzione del blocco sovietico, con “l’arrivo della democrazia” in quei paesi, ha avviato il gioco del domino, con il cosiddetto “contagio democratico”, che è consistito, in definitiva, in una serie di piccoli e grandi colpi di Stato, il cui fine era la eliminazione di leader (dittatori o capi eletti in libere elezioni) sgraditi a Washington, o in moti di piazza più o meno spontanei, che quando sfociavano in regimi politicamente accettabili all’Occidente venivano tollerati, ma quando producevano, magari, anche, con democraticissime elezioni, assetti politici non graditi (vedi l’Egitto), si provvedeva senza tanti complimenti a cassare con un tratto di penna, secondo il modello cileno».Non di rado, aggiunge d’Orsi, il pretesto è stato un ostentato sentimento di umanità verso popolazioni in difficoltà, nel vasto mondo: «E furono le “guerre umanitarie”, le più ipocrite, realizzate con una sfacciata cancellazione delle convenzioni internazionali, una destrutturazione del “diritto dei popoli” e un ritorno alla forme più estreme della umana ferocia». E così «il mondo, pacificato sotto il segno del “libero mercato”, ha palesato il suo volto orribile di una conflittualità permanente: Afghanistan, Iraq, Kosovo, Libia, Siria, Ucraina, per tacere di Israele che impunemente procede nella sua politica genocidaria verso i palestinesi». Proprio il “muro della vergogna” costruito dagli israeliani all’interno dei Territori Occupati, «una struttura rispetto alla quale il Muro di Berlino appare una specie di giocattolo», per d’Orsi è la prova della grande menzogna: «Lo slogan “mai più muri” è risuonato anche in questi giorni di celebrazione del 9 novembre 1989: ma evidentemente vale soltanto per i muri costruiti dagli “altri”; noi i “nostri” muri ce li teniamo e li rafforziamo e li moltiplichiamo: alla frontiera tra Usa e Messico, nei possedimenti spagnoli in Marocco, persino a Padova, per isolare gli extracomunitari».Ma il peggiore dei muri, conclude d’Orsi, è quello che ormai separa e contrappone, irrimediabilmente, quei quattro quinti di umanità, che giacciono nella miseria, dal rimanente quinto che invece vive nell’agiatezza. «E più noi, i cittadini del “Nord” del mondo, alziamo barriere protettive, più intorno a noi cresce la minaccia di chi nulla possiede. Se non ci apriremo all’accoglienza e alla solidarietà, queste enormi maree umane ci sommergeranno, e allora non varrà dire: noi eravamo dalla vostra parte. Saremo tutti colpevoli, ai loro occhi, e la nostra indifferenza odierna giustificherà la loro vendetta». Per questo vale la pena, oggi, ricordare Bobbio: la speranza della rivoluzione non si è spenta solo perché è fallita l’utopia comunista. «Personalmente non so se il comunismo fosse soltanto una utopia», dice d’Orsi, «ma certo era e rimane una speranza, per gli “schiacciati dai grandi potentati economici” (ancora Bobbio), per i “dannati della terra” (per dirla con Frantz Fanon). E questa speranza non verrà meno sino a quando ve ne saranno».«Il pensare che la speranza della rivoluzione sia spenta, e sia finita soltanto perché l’utopia comunista è fallita, significa chiudersi gli occhi per non vedere». Così scriveva Norberto Bobbio nel 1989, prima ancora della caduta del Muro di Berlino, davanti alla repressione cinese di piazza Tienanmen. «E’ da stolti rallegrarsi della sconfitta», scriveva il filosofo, criticando il trionfalismo dell’Occidente di fronte alla grande ritirata dell’Urss di Gorbaciov. «Credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo “storico”) abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia?». Parole ricordate oggi da Angelo d’Orsi, all’indomani delle fastose celebrazioni berlinesi, in cui lo stesso Gorbaciov – che aveva sperato nell’avvento di un mondo multipolare e pacificato – ha ammonito gli Usa: voler stravincere è irresponsabile, significa trascinare il pianeta verso la guerra senza risolvere nessuno dei grandi problemi dell’umanità, devastata dalle diseguaglianze con l’avvento destabilizzante della globalizzazione neoliberista.
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Attenzione al cretino, è molto più pericoloso del ladro
Odiamo i ladri di denaro pubblico, giustamente. Ma non vediamo il vero pericolo: gli imbecilli. Sono loro, gli incapaci, a firmare i disastri peggiori. Aldo Giannuli consiglia di sfogliare i libri di storia: dimostrano che le catastrofi del pianeta non sono mai state causate dai disonesti, ma dagli inetti. Certo, «rubare denaro pubblico è un gesto assolutamente odioso che delegittima la democrazia, spesso affetta dalla corruzione, e crea disfunzioni sistemiche anche gravi», dunque «cacciare i politici corrotti è un obbligo». Ma, mentre l’opinione pubblica teme la corruzione dei politici, non fa caso alla piaga dell’inettitudine: «Il cretino fa tenerezza: si è convinti che, poverino, sbagli in buona fede. Per cui, pazienza se non ne imbrocca una». Non lo fa apposta: ha sbagliato, ma imparerà. Sintetizza Giannuli: voi da chi vi fareste operare, da un giovane medico onestissimo ma inesperto o da un chirurgo mascalzone, che magari prende tangenti sulle forniture dell’ospedale e rilascia certificati compiacenti ai mafiosi, però salva il 100% dei pazienti? «E cosa vi fa pensare che la politica sia diversa dalla chirurgia?».«Noi non dobbiamo scegliere “Mister onestà” o proclamare santo qualcuno, dobbiamo scegliere il miglior chirurgo o il politico più in grado di risolvere i problemi del paese», scrive Giannuli nel suo blog. Obiezione: come fidarsi di un disonesto mettendogli in mano la propria vita? «Debbo deludervi, l’esperienza storica insegna che molti grandi sono stati autentici banditi: avete idea dei traffici del “signor” Giulio Cesare? O della grande disinvoltura di Napoleone in materia di denaro pubblico? Danton era un corrotto terrificante, ma non c’è dubbio che sarebbe stato assai preferibile che vincesse lui al posto di quel fanatico dell’Incorruttibile Robespierre». Vogliamo parlare di Cavour? «Con il denaro pubblico fece scavare il grande canale che oggi porta il suo nome e che, del tutto incidentalmente, ha irrigato essenzialmente terre che gli appartenevano». Garibaldi? «Il figlio letteralmente rubò un milione del tempo al Banco di Napoli e tentò una maxi-speculazione con il progetto della deviazione del Tevere, sempre con la protezione e benedizione paterna». L’eroe? Un genio militare ma, «politicamente, era un vero imbecille».Un altro peso massimo della storia patria, Giolitti, era «un super-disonesto» ma, al tempo stesso, «un grande riformista che avrebbe tenuto il paese fuori dal carnaio della Prima Guerra Mondiale, a differenza di Salandra che ce lo portò». Lyndon Johnson: «Non era esattamente uno stinco di santo, ma fu il presidente più progressista e riformatore dopo Roosevelt». Il generale Maurice Gamelen, capo dello stato maggiore francese nel 1940, era un soldato integerrimo, al di sopra di ogni sospetto, ma «sotto il suo comando la Francia perse la guerra in quattro settimane e le truppe tedesche sfilarono sotto l’arco di trionfo». Pio X? «Un santo, però fu anche uno dei peggiori papi del Novecento, persecutore del modernismo», l’uomo che impedì ogni rinnovamento della Chiesa. In Urss, Laurentj Beria – capo del Kgb – disdegnava denaro, privilegi e benefici, «ma fu un criminale responsabile delle peggiori repressioni di epoca staliniana».Il presidente americano Herbert Hoover? «Non era particolarmente chiacchierato sul piano morale, ma fu un totale incapace che portò gli Usa al disastro nella crisi del 1929». Anche per questo, sottolinea Giannuli, è bene ricordarsi che «l’incompetenza è la maggior forma di disonestà, perché «se non sei pari al compito che ti è assegnato, ma resti al tuo posto, sei il peggiore delinquente che si possa trovare». Molti dei maggiori disastri della storia «sono ascrivibili più alle scelte di personaggi inetti che a personaggi corrotti». Spiegazione: se il corrotto è intelligente, ha tutto l’interesse ad allevare la sua “gallina dalle uova d’oro”. «Il che non costituisce l’autorizzazione a rubare a man salva, anche perché poi i corrotti non sono tutti Cavour, Danton e Giulio Cesare». Il punto è un altro: «Un corrotto puoi sempre sorvegliarlo, circondarlo di persone oneste e capaci, creare un sistema di controlli e, al limite, punirlo. Ma con un cretino cosa puoi fare?».Nel caso di un’emergenza che richieda genialità, prontezza di riflessi e inventiva, «il governante capace, intelligente e preparato forse sarà all’altezza della situazione, anche se dovesse essere un corrotto, mentre è certo che l’inetto sbaglierà tutto provocando catastrofi, anche se fosse il più onesto degli uomini». Stendhal diceva che “l’onestà è la virtù dei mediocri”. Certo esagerava, conclude Giannuli, «ma non sbagliava di molto, se considero il “festival della mediocrità” che stiamo vivendo, dove l’“onestismo”, insieme alla nonviolenza, al buonismo e all’ambientalismo fanatico è uno dei principali ingredienti della torta alla glassa della sinistra “politicamente corretta”». Attenzione: «Anteporre l’onestà alla competenza è una delle più sicure stimmate dell’antipolitica corrente: un segno di grande modestia intellettuale». Punire i disonesti? «Benissimo, aprire le celle. Ma solo dopo aver convocato il plotone di esecuzione per gli imbecilli».Odiamo i ladri di denaro pubblico, giustamente. Ma non vediamo il vero pericolo: gli imbecilli. Sono loro, gli incapaci, a firmare i disastri peggiori. Aldo Giannuli consiglia di sfogliare i libri di storia: dimostrano che le catastrofi del pianeta non sono mai state causate dai disonesti, ma dagli inetti. Certo, «rubare denaro pubblico è un gesto assolutamente odioso che delegittima la democrazia, spesso affetta dalla corruzione, e crea disfunzioni sistemiche anche gravi», dunque «cacciare i politici corrotti è un obbligo». Ma, mentre l’opinione pubblica teme la corruzione dei politici, non fa caso alla piaga dell’inettitudine: «Il cretino fa tenerezza: si è convinti che, poverino, sbagli in buona fede. Per cui, pazienza se non ne imbrocca una». Non lo fa apposta: ha sbagliato, ma imparerà. Sintetizza Giannuli: voi da chi vi fareste operare, da un giovane medico onestissimo ma inesperto o da un chirurgo mascalzone, che magari prende tangenti sulle forniture dell’ospedale e rilascia certificati compiacenti ai mafiosi, però salva il 100% dei pazienti? «E cosa vi fa pensare che la politica sia diversa dalla chirurgia?».
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Ok, prendete una mazza e spaccate pure la testa ai greci
«Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare». Così parlò Timothy Geithner, ex ministro del Tesoro di Obama, rispondendo agli europei che, nel 2010, volevano “fare a pezzi” la Grecia. Parole che «fanno inorridire», scrive Paolo Barnard, ora che il “Financial Times” ha trascritto le vere interviste a Geithner, all’epoca allarmato dalla volontà “stragistica” della Troika Ue, agli ordini della Germania, contro l’ignaro popolo greco. «Le teste tagliate in video dall’Isis muovono armate internazionali e disgustano il pubblico», scrive Barnard, ma «sono piccolezze di principianti, confronto a quello che hanno fatto i leader europei alla Grecia, e COME LO HANNO DECISO come lo hanno deciso. Non siamo nel 1942, siamo nel terzo millennio e dopo il nazismo abbiamo costruito un intero mondo di democrazie e leggi, trattati, tutele dei diritti umani – inutili a Dio e all’uomo». Infatti, continua Barnard, accade che «per una manciata di soldi» le famose grandi democrazie, nel 2010 siano «tornate alla Gestapo nazista per decimare, torturare, punire, cioè per perpetrare crimini contro l’umanità in Grecia, contro innocenti».Ora lo sappiamo, aggiunge Barnard, citando le trascrizioni delle parole di Geither. Risultato: secondo “Lancet”, la più autorevole rivista medica internazionale, «la Germania e il codazzo che le obbedisce, incluso il governo italiano», hanno di fatto «imposto alla Grecia la “giusta punizione economica”». Impietoso il bilancio tracciato da “Lancet”: 560.000 bambini denutriti, un milione di cittadini senza più accesso alla medicina di base, oltre 2 milioni di greci che devono bruciare i mobili di casa o rubare gasolio per scaldarsi d’inverno. In Grecia è tornata la malaria, le infezioni da Hiv sono aumentate del 3.126% per assenza di siringhe usa e getta e l’assistenza agli ammalati di tumore è calata del 48%, «abbandonati a morire senza neppure l’aspirina». E la mortalità infantile è aumentata del 43%, un tasso doppio di quello del Sudan. «Bambini morti al parto (guarda il tuo piccolo ora, adesso!, mentre leggi). Una strage infame».Questo Olocausto, scrive Barnard, fu deciso a tavolino «con un sadismo da SS» in un incontro del G7 a Iqualuit, un villaggio del Canada, nel febbraio 2010. «Il racconto di Geithner, ovviamente censurato nel suo recente libro, fa accartocciare il sangue». Vi si legge: «Io mi siedo a tavola e guardo il mio Blackberry… cazzo, sta succedendo un macello in Europa, la Borsa francese sta precipitando e tutti si chiedono chi ha messo soldi in Grecia… Gli europei ragliavano “adesso gliela facciamo vedere ai greci… fanno schifo… adesso li stritoliamo”. Questo era l’atteggiamento di tutti i leader europei. E dicevano “adesso davvero tiriamo fuori le mazze, e li macelliamo”, li volevano realmente fare a pezzi». Ma Geithner non è un filantropo: la sua reazione è «ovvia, fredda, disumana». Anche l’ex ministro di Obama, «come tutte queste belve da uccidere a vista per la strada, non considera neppure per un minuto che si sta parlando di donne, figli, persone, ammalati, e di future sofferenze da ghetto di Varsavia».Macché, aggiunge Barnard. Tutto quello che Geithner ha da dire è questo: «Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare, ma dovete essere certi che all’Europa e al mondo manderete un segnale opposto, di rassicurazione, per dirgli che saprete gestire la faccenda… Insomma, che saprete proteggere il resto d’Europa. Ok, impartitegli una lezione». Ed eccola, la “lezione”: «Infanticidio, ammalati che muoiono urlando di dolore, un popolo devastato, una nazione tornata al medioevo, generazioni condannate, e TUTTI INNOCENTI tutti innocenti», sottolinea Barnard. «A quell’incontro di Iqualuit in Canada nel febbraio 2010, e c’eravamo anche noi italiani, si decise una GUERRA D’AGGRESSIONE guerra d’aggressione contro un popolo ignaro e innocente».A Norimberga, ricorda Barnard, fu il giudice della Corte Suprema americana, Robert Jackson, a definire la guerra d’aggressione contro inermi come “il crimine internazionale supremo”, i cui responsabili furono infatti impiccati. «Oggi la giustizia non esiste più, esiste un mondo deforme oltre ogni limite dove “hanno reso plausibile l’inimmaginabile”», per citare l’economista statunitense Edward Herman. «E quei leader di quel G7 genocida possono farla franca». Per Barnard, andrebbero «uccisi a vista, senza pietà, come fu a Norimberga», perché, conclude, «io i bambini greci morti non li voglio sulla coscienza».«Ok, potete schiacciare la testa a quei greci, se è quello che volete fare». Così parlò Timothy Geithner, ex ministro del Tesoro di Obama, rispondendo agli europei che, nel 2010, volevano “fare a pezzi” la Grecia. Parole che «fanno inorridire», scrive Paolo Barnard, ora che il “Financial Times” ha trascritto le vere interviste a Geithner, all’epoca allarmato dalla volontà “stragistica” della Troika Ue, agli ordini della Germania, contro l’ignaro popolo greco. «Le teste tagliate in video dall’Isis muovono armate internazionali e disgustano il pubblico», scrive Barnard, ma «sono piccolezze di principianti, confronto a quello che hanno fatto i leader europei alla Grecia, e come lo hanno deciso. Non siamo nel 1942, siamo nel terzo millennio e dopo il nazismo abbiamo costruito un intero mondo di democrazie e leggi, trattati, tutele dei diritti umani – inutili a Dio e all’uomo». Infatti, continua Barnard, accade che «per una manciata di soldi» le famose grandi democrazie, nel 2010 siano «tornate alla Gestapo nazista per decimare, torturare, punire, cioè per perpetrare crimini contro l’umanità in Grecia, contro innocenti».
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Ultima barzelletta su Bin Laden, l’uomo che morì due volte
“Rt”, una delle mie fonti preferite di notizie, è caduta in una storia falsa messa in giro dal Pentagono a sostegno della fantasiosa ipotesi secondo cui un team dei Navy Seals avrebbe ucciso Osama Bin Laden, morto una seconda volta ad Abbottabad in Pakistan, una decinda d’anni dopo la sua prima morte per malattia. Questa storia falsa, con il film falso e il libro falso di un presunto membro del team dei Seals, è il modo in cui la storia fantasiosa dell’omicidio di Bin Laden viene perpretata. Il presunto omicidio di Bin Laden per mano dei Seals era un’operazione di propaganda, finalizzata a consacrare Obama come un eroe e a rafforzare la sua candidatura per un secondo mandato. Osama Bin Laden, morto nel dicembre 2001 per insufficienza renale e altri problemi di salute, aveva negato nel suo ultimo video qualsiasi responsabilità per l’11 Settembre, invitando altresì gli americani a guardare al proprio governo. Lo stesso Fbi ha affermato che non ci sono prove che Osama Bin Laden sia responsabile dell’11 Settembre.Il necrologio di Bin Laden è stato pubblicato dalla stampa araba e straniera, inclusa “Fox News”. Nessuno può sopravvivere un decennio con un’insufficienza renale, e non è stato trovato nessun apparecchio per la dialisi nel complesso di Abbottabad di Bin Laden, che sarebbe quindi stato assassinato dai Seals dieci anni dopo la pubblicazione del suo necrologio. Inoltre, nessuno tra i membri dell’equipaggio della nave, dalla quale Bin Laden sarebbe stato “sepolto in mare”, ha assistito alla “sepoltura”, così come comunicato dai marinai nei messaggi alle loro famiglie. In qualche modo è stato celebrato un funerale a bordo di una nave, sulla quale vengono effettuate ronde continue e con marinai in allerta a tutte le ore, senza che nessuno vedesse nulla. Per di più, la storia del presunto assassinio di Bin Laden è cambiata due volte nell’arco delle prime 24 ore. La tesi secondo cui Obama ed i membri del suo governo avrebbero assistito all’operazione, trasmessa dal vivo tramite una telecamera posta sul casco dei Seals, è stata rapidamente abbandonata, nonostante il rilascio di una foto dello stato maggiore del governo di Obama concentrato a seguire la trasmissione della presunta operazione.Nessun video dell’operazione è stato mai rilasciato, e ad oggi non c’è alcuna prova a sostegno della tesi del governo Obama. Neanche un minimo straccio di prova. Soltanto affermazioni autoreferenziali. Inoltre, così come pubblicato sul mio sito, testimoni intervistati da una rete Tv pachistana hanno affermato che solo un elicottero era atterrato ad Abbottabad e che, quando i passeggeri dell’elicottero sono ritornati dal presunto covo di Bin Laden, l’elicottero è esploso al decollo senza lasciare superstiti. In altre parole, non c’era nessun cadavere di Bin Laden da trasportare sulla nave, dove comunque nessun testimone ha assistito al funerale, e nessun eroe dei Seals. Per di più, la “Bbc” ha intervistato degli abitanti di Abbottabad, inclusi quelli che vivevano nei pressi del “complesso residenziale di Bin Laden”, e tutti hanno affermato che conoscevano la persona che viveva lì, e che non era Bin Laden. Qualunque Seal che fosse stato così stupido da uccidere la “grande mente del terrore” disarmata, sarebbe stato probabilmente processato dalla corte marziale per incompetenza.Guardate la faccia sorridente dell’uomo che ha “ucciso Bin Laden”. La sua convinzione di essere diventato un eroe per aver ucciso un uomo rende a pieno l’idea dello stato di degenerazione morale degli americani. In cosa consiste quindi questa rivendicazione da parte di Rob O’Neill? Viene presentato come uno “speaker motivazionale” in cerca di clienti. Quale stratagemma migliore da somministrare ai creduloni americani se non l’affermazione: «Io sono quello che ha sparato a Bin Laden». Mi riporta alla mente un film western, “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Quale modo migliore per dare credito alle affermazioni di Rob O’Neill se non la denuncia da parte del Pentagono delle sue rivelazioni come violazione dell’obbligo di riservatezza? Il Pentagono sostiene che le affermazioni di O’Neill rappresentano per l’Isis un invito ad attaccarci. Che sciocchezze incredibili. L’Isis, e chiunque altro abbia creduto alle affermazioni di Obama, già sapeva che il regime di Obama aveva rivendicato la responsabilità per l’uccisione di un Bin Laden disarmato. La ragione per la quale era stato proibito all’unità dei Seals di parlare è che nessun membro aveva partecipato alla presunta operazione. Proprio come per la nave dalla quale il corpo di Bin Laden sarebbe stato seppellito in mare senza alcun testimone, i membri dell’unità Seal, che avrebbero liquidato un capo terrorista disarmato piuttosto che farlo prigioniero per interrogarlo, sarebbero misteriosamente morti in un incidente aereo.L’incidente è avvenuto quando il team era stato imbarcato, violando le procedure, su un vecchio elicottero degli anni ‘60 e spedito in una zona di guerra in Afghanistan poco dopo la presunta operazione nel “complesso residenziale di Bin Laden”. Per un certo periodo di tempo sono state riportate notizie secondo cui le famiglie dei Seals morti nell’incidente non ritenevano vere neanche le parole del governo. Inoltre, le famiglie hanno riferito di aver ricevuto dai propri congiunti messaggi nei quali affermavano di sentirsi improvvisamente minacciati e senza conoscerne il motivo. I Seals hanno iniziato a chiedersi tra di loro: «Eri nella missione Bin Laden?». A quanto pare, nessuno lo era. E per mantenerlo segreto, i Seals sono stati mandati a morire. Chiunque creda a qualunque cosa dica il governo americano è un credulone, nel senso più stretto del termine.(Paul Craig Roberts, “Un’altra storia falsa su Bin Laden”, da “LewRockwell” dell’8 novembre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Già viceministro del Tesoro di Ronald Reagan e editore associato del “Wall Street Journal”, Craig Roberts ha rivelato casi scioccanti e abusi persecutori per vent’anni. Una nuova edizione del suo libro “The Tyranny of Good Intentions” scritto con Lawrence Stratton e edito da Random House, è un documento che racconta come gli americani abbiano perso la protezione della legge).“Rt”, una delle mie fonti preferite di notizie, è caduta in una storia falsa messa in giro dal Pentagono a sostegno della fantasiosa ipotesi secondo cui un team dei Navy Seals avrebbe ucciso Osama Bin Laden, morto una seconda volta ad Abbottabad in Pakistan, una decinda d’anni dopo la sua prima morte per malattia. Questa storia falsa, con il film falso e il libro falso di un presunto membro del team dei Seals, è il modo in cui la storia fantasiosa dell’omicidio di Bin Laden viene perpretata. Il presunto omicidio di Bin Laden per mano dei Seals era un’operazione di propaganda, finalizzata a consacrare Obama come un eroe e a rafforzare la sua candidatura per un secondo mandato. Osama Bin Laden, morto nel dicembre 2001 per insufficienza renale e altri problemi di salute, aveva negato nel suo ultimo video qualsiasi responsabilità per l’11 Settembre, invitando altresì gli americani a guardare al proprio governo. Lo stesso Fbi ha affermato che non ci sono prove che Osama Bin Laden sia responsabile dell’11 Settembre.