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Pura ferocia, ecco l’Ue: spietata, contro il pallido Tsipras
Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, gli se esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.Alla sopravvivenza economica della Grecia, scrive Varoufakis, l’Ue ha preferito «il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte sul debito pubblico ellenico». Nulla di così strano: l’anomalia, semmai, consiste nel fatto che il debito statale di Atene sia stato finanziato da banche private, attraverso la moneta privata chiamata euro. L’austerity che ha devastato la Grecia, facendone crollare il Pil del 25%, serviva solo a “rifondere” le banche straniere, non certo a risollevare l’economia di Atene. «Una volta che questa sordida operazione è stata completata, l’Europa si è subito inventata un altro motivo per rifiutarsi di discutere la ristrutturazione del debito: andava a colpire le tasche dei cittadini europei! E quindi – continua Varoufakis – venivano somministrate dosi ancora maggiori di austerità, mentre il debito cresceva spingendo i creditori a erogare nuovi prestiti in cambio di altra austerità».Il governo Tsipras, continua l’ex ministro, è stato eletto «per porre fine a questo circolo vizioso, per esigere un haircut del debito e mettere fine all’austerità». Mission impossible, ovviamente, sotto il regime euro-Ue: Syriza, invece, si è fatta eleggere raccontando ai greci che sarebbe stato possibile passare all’inferno al paradiso, pur restando nell’Eurozona. Il resto sono dettagli: «Le trattative – racconta Varoufakis – si sono arenate nella ben nota impasse per una semplice ragione: i nostri creditori continuavano a negare qualsiasi ristrutturazione, mentre allo stesso tempo esigevano che il nostro debito, che non è pagabile, fosse rimborsato “parametricamente” dalle fasce più deboli della popolazione greca, dai loro figli e dai loro nipoti». In realtà, il debitro sovrano non è mai “pagabile”, non lo è mai stato e non deve esserlo: il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil ma non è un problema, perché lo Stato – padrone della sua moneta – è in grado di sostenerlo in qualsiasi momento. Nell’Eurozona, invece, si “deve” ricorrere al denaro dei banchieri, che non concedono prestiti a scopo di beneficenza.Lo stesso Varoufakis ricorda che, nella sua prima settimana da ministro, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (l’Eurogruppo è l’assemblea dei ministri delle finanze europei) lo mise «brutalmente» messo di fronte a un ultimatum: «Accettare la logica dei bailout e rinunciare a ogni pretesa di ristrutturazione, altrimenti il nostro accordo sui nuovi prestiti sarebbe stato cancellato – con l’implicita conseguenza non detta che le nostre banche avrebbero dovuto chiudere». Dopo cinque mesi di trattative, eccoci al redde rationem: le “istituzioni” europee, guidate da Merkel e Schaeuble, impongono a Tsipras di rimangiarsi tutto, per screditarlo di fronte ai greci, dopo l’intollerabile sfida democratica del referendum contro l’austerity. Nel 2010, ricorda ancora Varoufakis, la minaccia della Grexit «nel 2010 spaventava a morte gli investitori finanziari perché le loro banche erano piene zeppe di debito greco». E ancora nel 2012, «nonostante Wolfgang Schaeuble ritenesse che i costi della Grexit avrebbero avuto il vantaggio di disciplinare la Francia e gli altri, la prospettiva continuava a creare grandi preoccupazioni». Quando invece Syriza è andata al potere a gennaio scorso, «a conferma del fatto che i bailout non hanno realmente lo scopo di salvare la Grecia (ma piuttosto quello di costruire una muraglia cinese attorno al nord Europa), una larga maggioranza dell’Eurogruppo – sotto la tutela di Schaeuble – ha considerato la Grexit come l’esito più favorevole e l’ha adoperata come minaccia contro il nostro governo».Varoufakis sostiene che i greci, «giustamente», hanno «i brividi al pensiero di essere amputati dall’unione monetaria». Il problema è proprio l’euro, «una moneta completamente controllata da creditori ostili alla ristrutturazione del nostro insostenibile debito nazionale». Per uscire dall’euro, secondo l’ex ministro, «dovremmo inventarci una valuta dal nulla: nell’Iraq occupato c’è voluto un anno per introdurre nuove banconote, circa 20 Boeing 747, la mobilitazione di tutta la potenza militare americana, tre stabilimenti per stampare il denaro, centinaia di camion. Senza questi aiuti – continua Varoufakis – sarebbe come se la Grecia dovesse annunciare una grossa svalutazione con 18 mesi di anticipo, il che porterebbe all’immediata liquidazione di tutti i capitali investiti e al loro trasferimento all’estero con ogni mezzo possibile». Così, con la minaccia della Grexit che rafforzava il “bank run” indotto dalla Bce, «il nostro tentativo di rimettere sul tavolo la questione della ristrutturazione si è scontrato contro un muro di gomma. Tutte le volte ci rispondevano che quella era una questione da affrontare in un non meglio specificato futuro successivo alla completa realizzazione del “programma”».Scontata, quindi, l’intransigenza tedesca, anche di fronte al tentativo del successore di Varoufakis, Euclid Tsakalaotos, che ha tentato di convincere «un Eurogruppo chiaramente ostile» che la ristrutturazione del debito «è un prerequisito per il successo delle riforme in Grecia». Finalmente, Varoufakis ammette che il problema è proprio la moneta unica europea: «L’euro è un ibrido fra un vincolo valutario fisso come l’Erm del 1980 o il gold standard e una “moneta di Stato”. Il primo fonda la sua forza sulla paura di esserne espulsi, mentre la “moneta di Stato” implica meccanismi di riciclo (reinvestimento) dei surplus fra Stati membri», ad esempio un budget federale e l’emissione di titoli di Stato in comune, gli eurobond invocati inutilmente già ai tempi di Tremonti. «L’euro è una via di mezzo – più vincolo monetario che moneta di Stato». Di statale, in realtà, l’euro non ha nulla: è anzi il braccio operativo dell’élite finanziaria interessata a lucrare sullo smantellamento degli Stati, ma questo Syriza non l’ha mai osato dire.Anche oggi, Varoufakis si limita in fondo a considerazioni tattiche: «Il ministro delle finanze tedesco – scrive, sul “Guardian” – vuole che la Grecia venga costretta a uscire dalla moneta unica per mettere una paura del diavolo ai francesi e convincerli ad accettare un modello di Eurozona di tipo disciplinario». E’, in fondo, il peccato originale di Syriza: pensare che esista un modello di Eurozona non-disciplinario. E’ come aspettarsi che possa davvero essere ristrutturato (tagliato) un debito nominalmente pubblico, ma non denominato in moneta sovrana. Eppure, nonostante gli errori strategici di Syriza, il “martirio” della Grecia offre un terrificante spettacolo di cos’è realmente l’Unione Europea. L’Austria farà un referendum per uscirne, la Gran Bretagna voterà nel 2017 per abbandonare Bruxelles, mentre Obama teme l’aiuto di Putin alla Grecia e l’Ue punta tutto sulle dimissioni di Tsipras per ripristinare il dominio totale della Troika, togliendo ai greci ogni illusione di sovranità.Consenti alla finanza privata di impadronirsi della moneta e quindi del debito pubblico degli Stati? Vietato stupirsi, dopo, se gli esattori rivogliono tutto indietro, con gli interessi. Sul “Guardian”, l’ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis denuncia «la testarda ostinazione» dei creditori nel rifiutarsi di concedere una sostanziale riduzione del debito, in barba a «qualsiasi normale prassi bancaria», che consiglierebbe di «non accanirsi contro i debitori in difficoltà». Di “normale”, in realtà, in Europa non c’è più nulla, dal momento in cui – col Trattato di Maastricht – proprio la “prassi bancaria” ha sostituito l’interesse pubblico, basato sul governo sovrano della moneta per evitare che lo Stato cada nelle mani di creditori privati, i veri padroni della scena, che manovrano politici-fantoccio e istituzioni comunitarie create solo per proteggere il business finanziario a spese delle comunità nazionali. L’altra notizia è che i paesi europei non insorgano in favore dei greci: nessun governo si ribella, le piazze europee non sono gremite di bandiere greche. E i sondaggi rivelano che 7 tedeschi su 10 danno ragione al super-falco Schaeuble, l’uomo dei diktat, l’esecutore fiduciario dei banchieri.
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Rosacroce, la fratellanza del sapere emarginata dal potere
Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.E, in particolare, a Giuda dedica questi versi: “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla cervice dei tuoi nemici, davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone, o come una leonessa; chi oserà farlo alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, vinché verrà colui al quale esso appartiene, e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio della sua asina; lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti più del latte”. In questi versi ci sono i presupposti di quello che poi sarà il simbolismo dei Rosacroce. Da Giuda discenderà David; David prenderà il trono rispetto a Saul perché ristabilisce la regalità della tribù di Giuda su tutti gli ebrei. E quindi la Stirpe di David è anche la tribù di Giuda, tant’è vero che Matteo l’evangelista, per radicare Gesù Cristo in questa stirpe, e non in altre, fa tutto il genetliaco, fino ad arrivare ai genitori di Cristo, comprovando così che loro sono della tribù di Giuda. Uno dei tanti significati del famoso acrostico “Inri” è “Iesus Nazarenus Rex Judaeorum”.Seconda cosa da sottolineare, i colori dei Rosacroce sono il nostro tricolore: rosso, bianco e verde. Il nostro tricolore viene scelto come futura bandiera italiana e come simbolo dell’Ausonia, cioè dell’Italia, in una loggia rosicruciana milanese. Perché bianco, rosso e verde? Perché sono i colori che vengono enunciati in quel passo della Bibbia: la pianta della vite è verde, il vino è rosso, “bianchi i denti come il latte”. Sono i colori dei Rosacroce. Tant’è vero che Beatrice, nella “Divina Commedia” (Dante faceva parte di una setta pre-rosicruciana che si chiamava Fidelis in Amore) è vestitata di bianco, rosso e verde. Molto probabilmente, a livello simbolico, la regalità della Stirpe di Giuda, cioè della Radix Davidis, nasce per ricuperare una condizione perduta. A un certo punto della Bibbia, Abramo va a trovare Melchisedek, e nel momento in cui a va a trovare Melchisedek c’è il sacrificio del pane e del vino: la comunione, così come istituita da Gesù Cristo nel Vangelo, noi la troviamo molto prima. Melchisedek era un re-sacerdote, quindi un’emanazione della divinità, era tutt’uno con la divinità; con Abramo siamo alla venerazione della divinità. C’è stata la separazione dell’uomo da Dio; da quel momento, però, una serie di uomini si devono occupare di ripristinare questo stato: Davide, poi suo figlio Salomone. Il Tempio di Salomone è il simbolo del ricupero della condizione umana come emanazione del divino, non come venerazione del divino.Emergono tracce di questa tradizione in tutta una serie di personaggi, negli imperatori romani, nel popolo dei Visigoti, per esempio; nel personaggio di Galla Placidia, quindi nella dinastina dei Flavii. Questa dottrina e questa tradizione riemergono potentemente in Gioacchino da Fiore, che possiamo considerare quasi un loro rifondatore. In Inghilterra c’era stato Ruggero Bacone, un frate francescano che è poi quello che ha ispirato il personaggio del frate ne “Il nome della rosa” di Umberto Eco, che è un esempio tipico di dottrina e di cultura rosicruciana. Quindi, anche depositario di conoscenze incredibili: Ruggero Bacone è colui che nel “De optica”, praticamente, spiega come – 400 anni dopo – costruire un cannocchiale. Si mantiene il nome Radix Davidis fino a Giordano Bruno. In Italia si è chiamata anche Fidelis in Amore. Ne è stato esponente Dante, ma anche – un po’ inquieto e un po’ in opposizione con essa – Federico II. E ci sono stati i Templari. I Templari, quando nascono, nascono con lo stesso obiettivo di Abramo quando va a trovare Melchisedek. Perché il templare che cos’è? E’ un monaco-guerriero, quindi “re” e sacrerdote – è la riunificazione, no? I Templari nascono dopo la Prima Crociata, non prima – perché, avendo già riconquistato Gerusalemme, si poteva riportare questo “tesoro” nel tempio.Quindi, i Templari non nascono – come dicono tutti quanti – per cercare qualcosa, o per sottrarlo e custodirlo; nascono per riportarlo, per ricongiungere, per reintegrare il tempio. Per questo, “cavalieri del tempio”. Non nascono con la regola di San Bernardo, non nascono con una vocazione di potere che poi li perderà; nascono con la regola di Sant’Agostino. Dopo, cosa succede? Si omologano, anche loro, al potere dell’epoca, e adottano la regola di San Bernardo. Erano diventati uomini d’affari, e gli uomini d’affari creano le banche. A tal punto perdono il loro scopo primario, che finiscono per perdere Gerusalemme, per un motivo bieco: avevano instaurato a Gerusalemme la regola in base alla quale chiunque visitava Gerusalemme doveva pagare un obolo. Gerusalemme era sacra per tutti, non solo per i cristiani: era sacra per gli ebrei, per gli arabi. A un certo punto, tramite un loro bieco personaggio, che si chiamava Rinaldo di Chatilly, mettono in piedi un piano per conquistare la Mecca, in maniera da far pagare agli arabi l’obolo anche per visitare la Mecca. A quel punto gli arabi, che erano divisi, di fronte a un pericolo così forte si unificano e riconquistano Gerusalemme. Quindi, i Templari “muoiono” cent’anni prima di quando viene distrutto il loro ordine, perché perdono lo scopo: sono Templari senza tempio.Viene nominato l’ultimo gran maestro, De Molay, che invece apparteneva alla parte dei Templari non contaminata, che cerca di salvarli, ma purtroppo è tardi: il potere si è già coalizzato contro di loro, e Giacomo De Molay si chiamava Jacobus Burgundus De Molay, il che significava che era un burgundo, cioè un goto. Quindi, come vedete, la Radix Davidis cammina, viene preservata. Poi si estingue l’Ordine del Tempio, ma non si estingue il templarismo. Quindi, i Templari, con le loro conoscenze, vanno in Scozia, vanno a Kilwinning: la parte buona viene ricuperata e gestita dalla confraternita, e sceglie di dirottare tutte le proprie energie nel campo dell’arte. Allora trovare un Trecento, un Quattrocento e un Cinquecento dove i massimi rappresentanti della Radix Davidis sono nel mondo dell’arte. Trovate Leonardo, Botticelli, Raffaello, Tiziano. Pensavano che l’arte fosse il miglior modo per conservare quello che loro volevano conservare – messaggi, ad esempio. In particolare, invece, Leonardo viene utilizzato per depistaggio. Leonardo viene fabbricato, proprio: tenete presente che il nonno di Leonardo fa sparire i veri dati familiari.La famiglia di Leonardo piomba nella città di Vinci, ma non c’è nessun dato che dica da dove venga, come si chiami, dove stava prima. Dopodiché il nonno di Leonardo fa un’altra bella operazione: impone al figlio Piero di fare un figlio con una donna che a lui non piace, e che poi ripudierà per sempre, che oggi tutti gli studiosi dicono che era di provenienza mediorientale. Bastava guardare come la chiamava Leonardo per capire da dove venisse: Leonardo, la madre la chiama Catarina – non Caterina – e Catarina viene da Cataro, quindi probabilmente di provenienza mediorientale, quindi sempre di quella cosiddetta Radix Davidis. Leonardo è l’unico artista dei suoi tempi che ha sempre soldi in tasca, che non ha mai problemi economici, ma soprattutto che viene sempre gradito a qualunque potere – finché c’è il Moro è gradito al Moro, e quando arrivano i francesi è gradito ai francesi, che se lo portano in Francia. E in tutte le sue opere “pianta” tutta una serie di messaggi depistanti, che – se uno va a guardare – da Raffaello invece vengono corretti. Cioè, il messaggio depistante del Cenacolo, con l’identità della Maddalena con San Giovanni, viene rettificato da Raffaello in un quadro che si chiama “L’estasi di Santa Cecilia”, dove ci sono sia San Giovanni che la Maddalena. E San Giovanni sempre effeminato viene dipinto, ma perché aveva 17 anni.E’ questo, quindi, il ruolo di depistatore di Leonardo, che è servito poi per fabbricare tutta la letteratura su Rennes-Le-Chateau, che spinge tutti quanti a cercare il figlio di Gesù Cristo, sostanzialmente (perché poi questa è la verità, quindi il “Codice da Vinci”, eccetera: cioè, il mondo si divide tra quelli che mettono in dubbio il fatto che Gesù Cristo sia esistito e quelli che cercano il figlio; quelli che si occupano, invece, di quello che c’è stato in mezzo, a tutto questo, non esistono). Nel percorso parallelo, alchemico e artistico – di alchimisti che però erano proto-scienziati, come Michael Sendivogius, Rosacroce e alchimista, che è lo scopritore dell’ossigeno – arriviamo a Giordano Bruno. E’ lui il perno della rinascita rosicruciana; ricuperava tradizioni iniziatiche egizie, mitraiche, con una collocazione nell’ambito di una visione scientifica del mondo: il principale difensore di Galilei fu Giordano Bruno, che riorganizza la confraternita ribattezzandola Giordaniti. Fa questa riunione, in cui arrivano tutti i futuri Rosacroce – quindi: Simon Studion, Michele Mayer, Jacob Andreae (che è il nonno di quel Johan Valentin Andreae che è l’autore de “Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, il testo base dei Rosacroce).Nel momento in cui in qualche modo circola la notizia che Giordano Bruno ha deciso di portare i Giordaniti alla luce del sole, capisce che tutti i suoi sono in pericolo. E quindi, praticamente si consegna: perché quando lui è a Venezia, già in odore di scomunica, un nobile veneziano gli fa una specie di raccomandazione per andare a Roma; lui, con questa raccomandazione (che non conta nulla) va volontariamente a Roma e si fa imprigionare. E’ chiaro che è andato lì perché, facendosi imprigionare lui, salvava la vita a tutti gli altri – gli risparmiava un’ondata di persecuzioni. Nel 1600 Giordano Bruno viene giustiziano, e nel 1622 ricompaiono i manifesti rosicruciani a Parigi e viene adottato il nome Rosacroce. La rosa e la croce sono state accostate per la prima volta nel Paradiso della “Divina Commedia” di Alighieri. Da un punto di vista politico, la rosa (uno dei simboli di Lutero) simboleggiava una riunificazione del mondo cristiano. Un altro significato è che la rosa era il simbolo della sapienza orientale – attenzione: non la rosa rossa, la rosa gialla (la cosiddetta rosa Tea) – e la croce era il simbolo di quella che sarebbe stata la sapienza occidentale. Tutti questi accostamenti, possibili e immaginabili, sono tipicamente rosicruciani – l’attribuzione di un molteplice significato allo stesso simbolo, cioè la multifunzione.Nel momento in cui invece i Rosacroce si manifestarono, si avviarono grandi persecuzioni. L’imperatore, che aveva rappresentato la speranza dei Rosacroce, gli scatena contro una serie di guerre. A questo punto, succede che Valentin Andreae nega che esistano i Rosacroce. Dall’Inghilterra, Robert Fludd (un altro allievo di Giordano Bruno) scrive un’opera, “Silentium post clamores”, che è un messaggio preciso a tutti i confratelli: in realtà, siccome c’era stato molto chiasso, bisognava a essere invisibili, come dovevano essere i Rosacroce. Nel ‘700 avviene un’altra cosa molto importante. Le indicazioni rosicruciane, anche scientifiche, provocano tre conseguenze: la prima è la nascita dell’Illuminismo; il secondo punto è la morte della massoneria antica e la nascita della massoneria moderna. La massoneria antica aveva viaggiano in modo completamente collegato con i Rosacroce, la massoneria moderna no. L’ultimo gran maestro della massoneria antica si chiamava Christopher Wren, era un architetto inglese. Londra brucia; tra le altre cose, brucia anche il tempio della massoneria, con tutti i suoi archivi europei. Christopher Wren viene incaricato di fare il progetto per ricostruire Londra, e ricostruisce tutto meno che il tempio della massoneria (cioè: non rifà la massoneria).Nel 1717 si costituisce la cosiddetta massoneria moderna, quella speculativa, a Londra, con quattro logge che si riuniscono e fanno le cosiddette Costituzioni di Anderson. Ma si costituisce un qualcosa di diverso, tant’è vero che al suo interno ci sono ancora dei soggetti rosicruciani, ma sono soggetti che perderanno la loro battaglia. Il problema è che la massoneria moderna nasce come organizzazione diretta alla gestione del potere, punto. La massoneria antica non era così. E soprattutto, nasce una cultura scientifica che si mette a fare la guerra alla radice da cui è nat: i chimici fanno la guerra agli alchimisti, Newton viene buttato fuori dalla Royal Society perché accusato di alchimia, e il suo posto lo prende Robert Boyle, che è massone anche lui ma è questo nuovo massone. In Francia nasce un sentimento anti-cristiano nella massoneria, per cui non si giura più sulla Bibbia e non si parla più di Grande Architetto dell’Universo. Da questa cosa qui nasce poi la deviazione di cricche, che vorrebbero essere Rosacroce ma sono solo rosicruciane, in cricche addirittura sataniche, luciferine, prometeiche. Nascono la Societas Rosicruciana in Anglia, la Golden Dawn; nasce Crowley; nasce quella che Paolo Franceschetti chiama “La Rosa Rossa”: non so e poi si chiami veramente così, ma sicuramente all’80% Franceschetti ha ragione.Nel momento in cui viene emarginato completamente tutto un tipo di ricerca spirituale, esoterica e alchimistica, in nome dei “lumi della ragione”, l’unica parte che conviene al potere che sopravviva, di quella ricerca, è quella che rappresenta un buon motivo per diffamarla: al potere convengono i satanisti, convengono le logge deviate, conviene lo sputtanamento – conviene tutto questo, al potere, perché comporta la regressione della parte realmente pericolosa della ricerca spirituale (pericolosa per il potere, perché ne mette in discussione i fondamenti). E’ uno dei motivi per cui i Rosacroce a Yalta decidono di andare ad esaurimento, diciamo – infatti, da Yalta ad oggi non sono mai più emersi dei nuovi Rosacroce. Quando vedevano un artista, una persona particolare, di un certo livello, i Rosacroce tendevano ad accoglierlo, anche se non faceva parte geneticamente della Stirpe di David. Dalla riunione di Yalta, secondo i miei studi, i Rosacroce non hanno più accolto nessuno. Nel momento in cui ci fu Yalta, e poi la costituzione dell’Onu, all’interno del quale avevano degli esponenti, rivendicarono una serie di scelte, che non furono accolte: l’Onu doveva essere diverso, lo Stato di Palestina doveva essere fatto. Certo, c’erano le convenienze degli Stati nazionali, c’erano le lobby economiche che erano nate, c’era tutto un meccanismo di questo tipo: stava già nascendo quello che poi sarebbe diventato il Bilderberg, stavano già nascendo le organizzazioni. L’ultimo gran maestro è stato Salvador Dalì, e quando è morto non hanno fatto dei nuovi gran maestri. Sono andati ad estinguersi.(Gianfranco Carpeoro, “I RosaCroce”, intervista editata su YouTube il 23 settembre 2012. Avvocato, pubblicista e scrittore, massone e già “sovrano gran maestro” della Loggia di Piazza del Gesù, di rito scozzese, Carpeoro è uno studioso di Giordano Bruno nonché uno dei massimi esperti di simbologia).Innanzitutto, loro cominciano a chiamarsi Rosacroce da un certo punto in poi, ma esistevano anche prima. In quegli anni era normale che una confraternita di questo tipo fosse segreta; è oggi che questa segretezza lascia il tempo che trova – e anzi, tutto quello che è segreto, giustamente, desta sospetti. La confraternita dei Rosacroce – a mio avviso, secondo i miei studi – nasce da una precedente e più universale confraternita, che si chiamava Stirpe di David. Gioacchino da Fiore la chiama Radix Davidis. Questo nome, Radix Davidis, lo trovi un po’ dappertutto. Lo trovi, ad esempio, sul simbolo adottato dal diciassettesimo grado della massoneria, che – guarda che combinazione – è il grado precedente a quello di Rosacroce. Io mi sono chiesto a lungo questa Radix Davidis cosa fosse, finché ho scoperto che i presidenti degli Stati Uniti d’America giurano sulla Bibbia aperta in una certa pagina. Giurano lì, perché lì c’è la manifestazione di quello che avrebbe dovuto essere la Stirpe di David. Perché giurano sul Genesi, 49. Giacobbe prende i 12 figli, che poi sono i capi delle 12 tribù di Israele, e ne commenta quello che sarà il ruolo, gli attribuisce una funzione, o un giudizio.
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Chi ha ucciso Gheddafi punta a riconquistare Usa e Francia
Dopo mesi di trattative le fazioni libiche sarebbero ormai prossime a firmare l’accordo per un governo di unità nazionale. A spingerli verso l’accordo, più di qualsiasi considerazione “politica”, ci sarebbe la paura per l’ascesa di quelle bande che dicono di fare riferimento allo Stato islamico. A frenare un compromesso invece, oltre alle faide locali, ci sarebbero anche gli sponsor internazionali dei due blocchi, Turchia e paesi del Golfo, da un lato, Egitto dall’altro, impegnati a contendersi l’egemonia sul paese, oltre alle controversie più globali riguardo il petrolio. Fattori frenanti che potrebbero far saltare tutto e aprire le porte all’imperversare dell’Isis. La tempesta in Libia, quattro anni dopo l’intervento militare occidentale, non accenna a esaurirsi. Intanto però una commissione del Congresso americano, quella che sta indagando sull’assalto all’ambasciata Usa di Bengasi nel 2012, sta svelando una serie di documenti che aiutano a far chiarezza su come si è arrivati alla crisi.Il 16 giugno la commissione di inchiesta ha pubblicato quasi duecento pagine di email inviate da Sidney Blumenthal, uno dei più stretti consiglieri di Hillary Clinton, all’allora segretario di Stato. Blumenthal, che ha numerosi rapporti (e interessi economici) in Libia, era incaricato di tenere i contatti con le figure chiave della rivolta e coi servizi segreti dei paesi europei più presenti sul posto (tra cui i servizi italiani). I suoi messaggi alla Clinton aprono una finestra sul genere di informazioni di cui disponeva il dipartimento di Stato nelle settimane della rivolta anti-Gheddafi. La rivolta inizia a gennaio 2011 ma esplode in modo sanguinoso alla metà di febbraio, quando alcune centinaia di persone scendono in strada a Bengasi e si scontrano con gli apparati di sicurezza di Muhammar Gheddafi. Il 15 febbraio Gheddafi manda il suo ministro della giustizia Mustafa Abdul Jalil a trattare coi ribelli. Sei giorni dopo Jalil passa dalla parte dei ribelli: lo fa con un’intervista in cui dichiara di avere le prove del coinvolgimento di Gheddafi nell’attentato di Lockerbie.Blumenthal scrive alla Clinton: «Svelando queste informazioni, Jalil spera di ingraziarsi l’Occidente». Lo stesso giorno, il 22, si dimette anche il ministro dell’interno Abdul Fatah Younis. Blumenthal annota che Younis «vuole giocare un ruolo nel prossimo regime», e invia il suo numero di cellulare alla Clinton. C’è però chi si sta muovendo più in fretta degli americani (e dei servizi italiani che, stando a quanto riporta Blumenthal in una mail del 23 febbraio, sarebbero in contatto con la tribù Senussi, la ex famiglia reale). Un mese dopo, il 22 marzo, Blumenthal scrive a Washington che, appena Jalil e Younis si sono dimessi, i servizi segreti francesi (la Dgse) sarebbero entrati in contatto con loro. Cita «fonti ben informate», spiegando che la Dgse «ha fornito denaro e assistenza nella formazione del Consiglio nazionale di transizione», la nuova organizzazione “politica” dei ribelli, che viene costituita formalmente il 26 febbraio. Gli agenti dei servizi che contattano Jalil e Younis, secondo le fonti di Blumenthal, «spiegano di parlare a nome del presidente Nicolas Sarkozy, e che la Francia riconoscerà ufficialmente il Consiglio di transizione come governo legittimo della Libia non appena sarà costituito».La mail prosegue: «Gli agenti aggiungono che Sarkozy è convinto di poter contare anche sul sostegno del premier britannico David Cameron. Jalil e Younis accettano l’offerta e rimangono in contatto con gli agenti della Dgse al Cairo. In cambio dell’assistenza, gli agenti della Dgse spiegano di aspettarsi che il nuovo governo libico favorisca gli interessi nazionali e delle aziende francesi, in particolare sull’industria del petrolio». Il sito “al Monitor”, riportando le mail di Blumenthal, nota che la versione ufficiale raccontata da Sarkozy su tutta la vicenda suona molto diversa: sarebbe stato il filosofo Bernard-Henri Levy, di sua volontà, ad andare in Libia a incontrare i leader ribelli il 4 marzo successivo. Lo stesso Levy avrebbe poi messo in contatto Jalil e il presidente francese. Le mail svelano che quei contatti esistevano in realtà già da tempo. Non solo. Una mail datata 5 maggio aggiunge qualche dettaglio poco lusinghiero sul ruolo di Levy. Secondo le fonti di Blumenthal, il 22 aprile il “filosofo” francese sarebbe tornato in Libia a battere cassa: «Levy, parlando cortesemente, ha spiegato ai leader del Consiglio di transizione che hanno un debito con la Francia per il suo sostegno, e che Sarkozy ha bisogno di qualcosa di concreto da mostrare ai politici e agli imprenditori francesi». Quegli incontri avrebbero portato a una serie di contratti per Total e per altre aziende francesi.I francesi non sono soli. Bisogna tenere a mente che Blumenthal non deve certo informare la Clinton di eventuali attività americane in Libia, anche se il 6 marzo le racconta di aver incontrato Mahmoud Jibril, un altro transfuga del governo di Gheddafi. Blumenthal consiglia di investire su di lui: tre settimane dopo Jibril diventa leader del Consiglio di transizione. Il primo marzo, invece, Blumenthal scrive del sostegno fornito alla rivolta dalle «unità d’elite» dell’esercito egiziano, presenti in Libia già dal mese di febbraio. In Egitto Hosni Mubarak è già stato deposto ma il potere è ancora in mano al suo capo delle forze armate, il maresciallo Tantawi. La situazione intanto continua a evolvere. Il 10 marzo Blumenthal comunica che Gheddafi starebbe valutando l’ipotesi di proporre una tregua ai ribelli, con la creazione di un governo di unità composto da tecnocrati. La “diplomazia” internazionale però è all’opera su altri canali. Il 17 marzo il Consiglio di sicurezza dell’Onu vota la risoluzione che autorizza l’intervento militare in Libia per istituire una no-fly zone. «No-fly! Brava! Ce l’hai fatta! Sono molto fiero», scrive Blumenthal alla Clinton. L’esito di quell’intervento è noto. Quattro anni dopo Hillary e Sarkozy, i suoi principali artefici, stanno provando entrambi a rimettersi alle redini dei rispettivi paesi.(Renato Piccolo, “La manina di Sarkozy (e di Hillary) nella rivolta in Libia”, dal blog “Piccole Note” del 1° luglio 2015).Dopo mesi di trattative le fazioni libiche sarebbero ormai prossime a firmare l’accordo per un governo di unità nazionale. A spingerli verso l’accordo, più di qualsiasi considerazione “politica”, ci sarebbe la paura per l’ascesa di quelle bande che dicono di fare riferimento allo Stato islamico. A frenare un compromesso invece, oltre alle faide locali, ci sarebbero anche gli sponsor internazionali dei due blocchi, Turchia e paesi del Golfo, da un lato, Egitto dall’altro, impegnati a contendersi l’egemonia sul paese, oltre alle controversie più globali riguardo il petrolio. Fattori frenanti che potrebbero far saltare tutto e aprire le porte all’imperversare dell’Isis. La tempesta in Libia, quattro anni dopo l’intervento militare occidentale, non accenna a esaurirsi. Intanto però una commissione del Congresso americano, quella che sta indagando sull’assalto all’ambasciata Usa di Bengasi nel 2012, sta svelando una serie di documenti che aiutano a far chiarezza su come si è arrivati alla crisi.
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Ciao Unione Europea, l’Austria vuole andarsene davvero
Occorrevano 100mila firme, in un settimana ne hanno raccolte 261.000 ma solo perchè hanno dovuto fermarsi: la Corte Costituzionale austriaca aveva concesso sette giorni e non uno di più per raccogliere le firme necessarie ad ammettere la petizione popolare per l’uscita dell’Austria dall’Unione Europea, sperando che non sarebbero stati sufficienti. Ne avesse dati quindici, probabilmente la gran parte dei sei milioni e mezzo di elettori austriaci (in Austria il diritto di voto scatta a 16 anni) avrebbe votato a favore della “Volksbegehren Eu Austritt”. Un successo, nonostante il boicottaggio dei media nazionali ed europei (ancora oggi e nonostante tutto la stampa italiana non parla di questo avvenimento e quella austriaca lo fa giusto perchè costretta dalla situazione), nonostante le difficoltà del voto ammesso solo nelle sedi comunali e nei tribunali. Nonostante tutto 261mila austriaci hanno deciso che il Parlamento deliberi immediatamente oppure indica un referendum popolare perchè sia il popolo a decidere se restare o meno nell’Unione Europea.Una grossa rogna per il governo socialdemocratico e per i partiti nazionali che dovranno ora prendere posizione apertamente con il rischio di entrare in rotta di collisione con i loro stessi elettori perchè le ragioni del “Volksbegehren Eu Austritt” non si prestano ad “interpretazioni”: recuperare la sovranità nazionale fagocitata da Bruxelles che, senza alcuna legittimazione, decide del destino dell’Austria, scacciare l’euro responsabile del progressivo impoverimento della popolazione, riacquistare la propria neutralità, abbandonare la politica guerrafondaia dell’Unione sempre più schiava delle mire imperialistiche Usa, ripristinare le leggi nazionali sul controllo dell’ambiente, delle tecniche di manipolazione genetica, del traffico, del trattameno degli animali, sulle politiche agricole ed economiche, sui confini, ripristinare normali rapporti commerciali con la Russia.Insomma, i promotori della petizione le hanno precisate così bene le loro ragioni e gli austriaci le hanno così chiaramente condivise che Parlamento e partiti dovranno scegliere tra due sole strade: mettersi dalla parte dell’Unione contro la volontà del popolo oppure indire un referendum che già da ora si può prevedere come andrà a finire. Ne vedremo delle belle nei prossimi tempi e per il subito questo voto austriaco ha tolto un altro importante mattone all’edificio di questa congregazione di lobbyes chiamata Unione Europea.(“L’Austria se ne va davvero”, da “EbayAbuse” del 9 luglio 2015)Occorrevano 100mila firme, in un settimana ne hanno raccolte 261.000 ma solo perchè hanno dovuto fermarsi: la Corte Costituzionale austriaca aveva concesso sette giorni e non uno di più per raccogliere le firme necessarie ad ammettere la petizione popolare per l’uscita dell’Austria dall’Unione Europea, sperando che non sarebbero stati sufficienti. Ne avesse dati quindici, probabilmente la gran parte dei sei milioni e mezzo di elettori austriaci (in Austria il diritto di voto scatta a 16 anni) avrebbe votato a favore della “Volksbegehren Eu Austritt”. Un successo, nonostante il boicottaggio dei media nazionali ed europei (ancora oggi e nonostante tutto la stampa italiana non parla di questo avvenimento e quella austriaca lo fa giusto perchè costretta dalla situazione), nonostante le difficoltà del voto ammesso solo nelle sedi comunali e nei tribunali. Nonostante tutto 261mila austriaci hanno deciso che il Parlamento deliberi immediatamente oppure indica un referendum popolare perché sia il popolo a decidere se restare o meno nell’Unione Europea.
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Giulietto Chiesa: puniranno la Grecia, anche con la guerra
Il 5 luglio 2015 passerà alla storia. E gli ettolitri di inchiostro virtuale che stanno già diluviando introducono un’epoca nuova, che sarà però drammatica e non felice. Questo, per rispondere subito agli insoddisfatti, agli incerti, ai critici, anche a quelli che criticano Tsipras nonostante la sua vittoria e si accorgono, adesso, con qualche stupore anche un po’ ingenuo, del fatto evidente che siamo tutti sull’orlo di un vulcano, da cui la vittoria non ci ha allontanato. Grazie a Tsipras, anche loro adesso lo vedono meglio. Meglio tardi che mai. Il vulcano è politico. I mercati non possono tollerare, e non tollereranno, che qualcuno possa intaccare il loro potere di decisione. E dunque renderanno un calvario il tentativo della Grecia di sottrarsi alle loro angherie. Ma ormai è accaduto l’inverosimile, e sarà necessaria una punizione esemplare: prepariamoci, quindi. Ma il problema è che ciò che è accaduto in Grecia dice alcune cose indicibili, per loro, per i padroni universali. Dice per esempio che il tabù europeo è stato infranto, e non solo in Grecia, ma molto più lontano; che il sistema – altra cosa – come ha scritto molto bene Pino Cabras, è anelastico, cioè: non è capace di formulare un piano-B una volta che il piano-A non ha funzionato. Così è avvenuto: credevano di vincere, e hanno perduto.E infine, ci dice che quest’Europa non ha più nulla a che vedere con quella di 50 anni fa; che loro hanno preso il potere; che se lo vogliono tenere; e che quello che è avvenuto in Grecia è una bestemmia, per il potere europeo. Dunque, aspettiamoci colpi di coda drammatici e anche violenti, non solo contro i reprobi greci, ma anche contro ogni altra spiaggia dove l’esempio greco potrebbe ripetersi. Il risveglio greco deve dunque dirci che siamo in pericolo: è il 1848 del XXI secolo. Sappiamo come andò a finire, due secoli fa: andò a finire male, perché coloro che volevano ribellarsi non erano organizzati. A questo appuntamento, le masse popolari europee giungono disordinate, disorganizzate, divise, prive di una guida. Questo è un dato di fatto. E dunque, la prima cosa da fare è costruire un fronte ampio, di resistenza popolare, europeo. So che non sarà facile, non mi faccio nessuna illusione, ma una cosa mi è chiara: questa questione non si può eludere, altrimenti saremo sconfitti senza neanche poter combattere. Il nemico, i mercati, sono molto meglio organizzati di noi.Ci hanno pensato prima. Si sono preparati, in qualche modo. Hanno commesso degli errori, ma hanno dalla loro parte gli eserciti, le polizie, e agiscono su molti piani simultaneamente. Non sono né ingenui né impreparati. Per questo, per resistere a questa armata potente e ricca, come sappiamo, le forze popolari avranno bisogno di alleati. Cioè avranno bisogno di una politica estera, di una politica europea comune, che guardi al mondo. Non c’è tempo da perdere. I padroni universali hanno eserciti già in moto – anche questo ci deve far riflettere: non si arriva alla crisi greca senza che loro si siano preparati, con tutta una serie di scenari di guerra già pronti, dall’Ucraina al pre-Baltico, dalla Macedonia all’oltre-Dnestr, alla Grecia stessa (ai confini con l’Albania). Noi siamo già – altro che sull’orlo di un vulcano – siamo già su una bomba accesa, con una miccia che diventa sempre più corta. Dunque, non è soltanto chiudendo gli sportelli bancari e i rubinetti finanziari che i padroni universali muoveranno all’attacco.C’è la guerra, come strumento principe per bruciare i libri mastri e le montagne di carta che sotto forma di debito ci stanno soffocando – la Grecia e noi. Ecco perché è centrale la questione dell’uscita dell’Italia dalla Nato e la sua trasformazione in un paese neutrale – così come sta avvenendo in Austria, altro paese neutrale che si sta muovendo per uscire addirittura dall’Europa. Queste sono questioni cruciali: o noi smetteremo di essere una colonia degli Stati Uniti d’America e decideremo (democraticamente) di diventare neutrali e non entrare in nessuna guerra, o difficilmente, se non succederà questo, noi potremo aiutare la Grecia a vincere in questo difficile calvario, ma anche noi stessi. Così deve avvenire, mentre giriamo intorno al sole.(Giulietto Chiesa, “Il 1848 del XXI secolo”, video-intervento per “Pandora Tv” del 7 luglio 2015).Il 5 luglio 2015 passerà alla storia. E gli ettolitri di inchiostro virtuale che stanno già diluviando introducono un’epoca nuova, che sarà però drammatica e non felice. Questo, per rispondere subito agli insoddisfatti, agli incerti, ai critici, anche a quelli che criticano Tsipras nonostante la sua vittoria e si accorgono, adesso, con qualche stupore anche un po’ ingenuo, del fatto evidente che siamo tutti sull’orlo di un vulcano, da cui la vittoria non ci ha allontanato. Grazie a Tsipras, anche loro adesso lo vedono meglio. Meglio tardi che mai. Il vulcano è politico. I mercati non possono tollerare, e non tollereranno, che qualcuno possa intaccare il loro potere di decisione. E dunque renderanno un calvario il tentativo della Grecia di sottrarsi alle loro angherie. Ma ormai è accaduto l’inverosimile, e sarà necessaria una punizione esemplare: prepariamoci, quindi. Ma il problema è che ciò che è accaduto in Grecia dice alcune cose indicibili, per loro, per i padroni universali. Dice per esempio che il tabù europeo è stato infranto, e non solo in Grecia, ma molto più lontano; che il sistema – altra cosa – come ha scritto molto bene Pino Cabras, è anelastico, cioè: non è capace di formulare un piano-B una volta che il piano-A non ha funzionato. Così è avvenuto: credevano di vincere, e hanno perduto.
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Il potere usa la magia, e a noi fa credere che non esista
La massoneria è una filiazione diretta delle società rosacrociane e templari. Possiamo quindi dire, semplificando le cose, che la massoneria è un’immensa organizzazione magico-esoterica. A questo punto allora non c’è bisogno di “prove” per sapere e convincerci che i personaggi più potenti della terra praticano e conoscono la magia. Se è vero che i reali inglesi sono il vertice ufficiale della massoneria di rito anglosassone mondiale, se è vero che Monti, Berlusconi, Bush, Clinton, e tutti i presidenti degli Usa, erano e sono massoni, ma lo erano anche Lenin, Marx, Gheddafi, e in generale i personaggi più importanti della storia dell’umanità, se è vero che la massoneria conta decine di migliaia di affiliati, tratti dalle classi più colte e agiate della società, delle due l’una: o tutta questa gente ha tempo da perdere con organizzazioni, rituali, e confraternite inutili, oppure c’è un motivo più profondo per cui queste persone sono tutte iniziate agli alti gradi della massoneria, cioè di un’organizzazione che è possibile definire come “organizzazione magico-esoterica”.Il motivo per cui tutta questa gente appartiene o è appartenuta alla massoneria è – in realtà – molto semplice. La massoneria detiene le chiavi del potere nel mondo. E detiene queste chiavi grazie agli strumenti magico-esoterici di cui si serve. Scriveva Aleister Crowley al riguardo: «I nostri fratres posseggono le chiavi di tutte le religioni e possono interpretare a loro vantaggio tutti i riti, creare nuove fedi e nuove festività, governando il mondo secondo giustizia e virtù». Scrive al riguardo Eliphas Levi nel suo “Storia della magia”, nel capitolo intitolato, non a caso, “Origini magiche della massoneria”: I massoni hanno «ricevuto i Templari come modello, i Rosacroce come padri e i Giovanniti come antenati». Per capire cosa è la magia cerchiamo di procedere per vari step. Vedremo che la magia ha un ruolo molto più importante di quel che si crede, nei destini dell’umanità e nelle scelte politiche che si fanno ogni giorno, quotidianamente, sulla pelle dei cittadini e delle masse ignoranti.La magia è l’arte di modificare la realtà. Israel Regardie scrive che «la magia è l’arte di applicare cause naturali per produrre effetti sorprendenti». Crowley diceva che «lo scopo generale della magia è influenzare il mondo dietro le apparenze, per poter trasformare le apparenze stesse». Robert Canters, nella sua prefazione a “Storia della magia”, scrive che «per mezzo della magia le cose cessano di essere ciò che sono per divenire ciò che noi desideriamo che siano». Il mago non è un tizio vestito in modo strambo che fa uscire un coniglio dal cilindro. Il mago è colui che riesce a modificare la realtà attorno a sé, facendo prendere agli avvenimenti la piega che vuole lui. È magia ad esempio cercare di attirare a sé la persona amata, cercare di attirare ricchezze, ma anche guarire un ammalato (in genere in questi casi si parla di magia bianca) o far ammalare una persona sana (e in genere qui si parla di magia nera). Primo punto fermo è quindi il seguente: la magia è l’arte di modificare la realtà esterna attorno a noi. Come si ottiene la modificazione della realtà? Con l’evocazione di angeli, la recitazione di formule, con la forza di volontà, con procedimenti e riti particolari.In realtà il mago non fa né più né meno che quello che fanno quasi tutte le persone, ad eccezione degli atei e dei materialisti convinti: il cattolico si recherà a Lourdes o invocherà Padre Pio, l’induista praticherà forme di meditazione (sono strabilianti i “miracoli” compiuti dagli Yogi orientali), il buddhista reciterà dei mantra, altri ritengono di avere un contatto coi propri defunti, ecc. La differenza è che il mago chiama la sua arte “magia”, appunto, mentre il buddhista parlerà di “legge mistica”, l’induista parlerà di poteri yogici, il cattolico dirà che ha ricevuto la grazia dalla Madonna, San Gennaro, Padre Pio, e spesso discorre di miracolo ritenendo ottusamente che i miracoli li possa fare solo la Madonna, e non sapendo che la produzione di eventi eccezionali è assolutamente normale presso la maggior parte delle comunità etniche nel mondo. Ulteriore differenza è che il mago, oltre alle invocazioni di entità superiori, userà qualsiasi altro strumento, connesso alla forza di volontà e all’arte magica in generale. In definitiva possiamo dire che la differenza di fondo tra magia e religione è che il mago studia questi fenomeni in modo scientifico, mentre il cattolico o il buddhista in linea di massima sono inconsapevoli di quello che fanno, e se gli dici che l’invocazione della Madonna o la recitazione del Daimoku o dell’Om Mani Padme Hum, dell’Om Namah Shivaya, sono atti magici, si offendono pure e pensano che tu stia bestemmiando.Il presupposto fondamentale perché la magia funzioni è che il mago modifichi se stesso e cambi internamente. Secondo punto fermo è quindi che la magia, per essere efficace, ha bisogno di un cambiamento interiore del mago. Non per niente, con mia sorpresa, ho potuto constatare che su tutti i testi di magia, da quelli più antichi ai più moderni, si insiste molto sulla meditazione e sulle varie tecniche di miglioramento di se stessi. Scrive Regardie che la via mistica si può raggiungere in due modi: con la meditazione e lo yoga, o con la magia, ma combinando insieme le due tecniche i risultati saranno eccezionali. Addirittura ho trovato in molti testi di magia la recitazione di mantra tipici dell’induismo o del buddhismo (dal classico Om, all’Om Mani Padme Hum del buddhismo tibetano) e tecniche di meditazione yoga prese pari pari dall’Oriente, e praticate da sempre da Templari e Rosacroce, che le avevano apprese in Oriente. Anche nel libro “Magick” di Aleister Crowley si insiste molto sulla meditazione e lo yoga.In alcuni libri di magia si fa espresso riferimento agli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola (il fondatore dell’Ordine dei Gesuiti) che sono da molti considerati i più efficaci in ambito magico. Nel suo libro “Esercizi spirituali”, Ignazio di Loyola dà consigli di meditazione e immaginazione che, secondo Franz Hartmann, servono per sviluppare i poteri della mente e dell’anima. Peraltro, con mia somma sorpresa, ho potuto constatare che nei testi di magia di Papus, di Dion Fortune, di Eliphas Levi e in altri, si insiste non solo sulla necessità che il mago pratichi la meditazione, ma che segua un regime alimentare vegetariano, senza alcool, e sano. In altre parole, ad approfondire l’esoterismo e la magia si scopre che quelle che vengono fatte passare per “teorie new age” o per scoperte moderne, erano già ampiamente praticate e consigliate da maghi e alchimisti del 1500, del 1700 e del 1800.Infine, un concetto importante da capire è che la magia, per funzionare, deve procedere in accordo con la natura; il mago riesce a provocare un cambiamento nella realtà materiale, solo se questa volontà è in profondo accordo con la natura stessa delle cose da cambiare.Il mago, cioè, per operare, deve anche essere un profondo conoscitore della natura, dei suoi ritmi e dei suoi segreti. Ma la natura è il prodotto di Dio, e quindi, per essere in armonia con la natura, occorre essere in armonia con Dio e con il divino. Gesù poteva produrre tutti quei miracoli perché era in assoluta armonia con Dio e la natura. Ma miracoli analoghi a quelli di Gesù erano e sono prodotti anche da Yogi indiani, che da secoli sono maestri nell’arte di entrare in comunione con il divino e con la natura (il termine Yoga infatti significa unione, e in particolare unione col divino, quindi lo scopo dello Yoga è proprio quello di elevare lo spirito per entrare in contatto con Dio).Secondo Israel Regardie, lo scopo del teurgo è «l’acquisizione dell’autoconoscenza e l’unione con il divino» (“L’Albero della Vita”, pagina 99). Eliphas Levi diceva che la magia è «la scienza tradizionale dei segreti della natura». Mentre per Eugène Canseliet è «l’arte divina che consiste nel prendere contatto con l’anima universale». La magia, diceva Crowley, non è un modo di vivere, ma IL modo di vivere. Considerando che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e che il principio fondamentale della magia è il famoso principio “come in alto così in basso” di Ermete Trismegisto (che è l’equivalente del “come in cielo così in terra” del Padre Nostro cristiano), l’uomo deve conoscere se stesso per poter essere in armonia con Dio, e conoscere Dio per essere in armonia con se stesso. Aleister Crowley diceva di se stesso che era uno strumento di esseri superiori che controllano il destino umano. «Siamo tutti parti di Dio, non semplicemente timbri che riproducono il suo nome, noi siamo poemi ispirati da Dio, i figli generati dalla sua follia amorosa». E altrove, sempre Crowley, disse: «La Grande Opera significa entrare in unione con l’infinito e liberare la divina scintilla di luce imprigionata nel corpo».“Amore è l’unica legge, Amore sotto il dominio della Volontà”, era un altro dei motti di Crowley. La stessa cosa che dicono i cristiani, i buddhisti, gli induisti, gli sciamani. La magia – secondo la definizione di Regardie – è quindi una scienza dello spirito, un sistema tecnico di formazione per finalità divine (“L’Albero della Vita”, pagina 133). Il mago quindi è anche un credente, nel senso che crede senz’altro in Dio. Non a caso per entrare in massoneria sono richieste tassativamente tre regole: essere uomo, aver compiuto i 21 anni e credere in un Dio unico. La magia, consistendo nel modificare la realtà, è anche la scienza della volontà. Secondo Dion Fortune, i nostri pensieri non solo ci influenzano, ma formano canali di ingresso e attrazione delle corrispondenti forze nel cosmo. Secondo Regardie, ciò che conta in magia sono il pensiero e la volontà. Gli attrezzi del mago sono solo un rafforzamento di tale volontà. «Tutti i riti, gli interminabili dettagli cerimoniali, le circumambulazioni, gli incantesimi e le suffumicazioni vengono attuate deliberatamente per esaltare l’immaginazione e rafforzare la forza di volontà». Eliphas Levi scrive al proposito: «Se vuoi regnare su te stesso e sugli altri, impara a volere».Il pensiero corre immediatamente ai numerosi libri e manuali sul potere della volontà, dai libri di Louise Hay a quelli di Wayne Dyer, ma anche ai numerosi manuali sulle tecniche di vendita che si insegnano in ambito aziendale, nonché ai principi base della maggior parte delle correnti psicologiche, da quelle comportamentali estreme del professor Giorgio Nardone, a quelle della psicologia cognitiva (secondo cui cambiando i nostri pensieri possiamo cambiare le nostre emozioni e dunque essere più felici). Una delle cose che si scoprono approfondendo le varie correnti esoteriche è che esse sono tutte molto simili, quasi come strade che, pur diverse, conducono alla stessa meta. I punti fermi di tutte le dottrine esoteriche, da quelle pitagoriche a quelle egizie, a quelle catare, templari e rosacrociane, nonché degli esoterismi orientali, sono i seguenti: l’anima; la dottrina della reincarnazione; la possibilità di operare trasformazioni della realtà mediante la forza di volontà. Cristo, secondo i Rosacroce e la massoneria, è venuto sulla terra per diffondere le dottrine esoteriche alle masse; in sostanza l’esoterismo di Cristo era un esoterismo semplice, alla portata di tutti, e non più riservato ai soli iniziati delle scuole misteriche.Cristo insomma portava in Occidente quell’esoterismo che in Oriente era molto più diffuso, per spiritualizzare la società occidentale. La lotta tra rosacrocianesimo prima, massoneria poi, e Chiesa cattolica, è dunque uno scontro titanico tra due cristianesimi: quello cattolico di Pietro e Paolo e quello di Giovanni. Il cristianesimo stava dunque portando una ventata di rinnovamento nella società occidentale, e tale ventata è stata impedita da due fattori. Il primo è stato la nascita della Chiesa cattolica; a partire dalla morte di Cristo, Roma, fiutando il pericolo insito nella dottrina cristiana, l’ha fatta diventare religione ufficiale dell’Impero al fine di controllarla, ha stravolto l’interpretazione dei Vangeli e ha costruito una religione da cui ha bandito quasi ogni riferimento esoterico (non a caso Roma contiene già nel suo nome la negazione del messaggio di Cristo; se il messaggio del Cristo è infatti l’amore, amor in latino, Roma è proprio il termine amor letto al contrario). Nei secoli la Chiesa ha poi distrutto tutti gli esoterismi che man mano si trovava nel cammino: l’esoterismo gnostico, quello templare con la distruzione dell’Ordine nel 1314, quello cataro con la crociata contro gli Albigesi, quello boemo, e in generale facendo una guerra aperta a qualsiasi esoterismo (basti pensare alla guerra odierna che viene fatta a discipline come lo Yoga, che alcuni sacerdoti considerano una disciplina satanica).Atri fattori di distruzione sono stati il materialismo e lo scientismo. I vari rami delle dottrine esoteriche si sono specializzati oltre misura e frammentati in modo da non permettere più la comprensione del tutto. Dall’alchimia è nata la chimica. Dall’astrologia è nata l’astronomia.Dalla numerologia è nata la matematica (a coloro – magari docenti di matematica razionali e amanti del pensiero scientifico – che leggeranno con scetticismo questa affermazione, mi basterà ricordare che Pitagora, il cui teorema tutti abbiamo studiato a scuola, era il fondatore di una delle scuole di pensiero esoterico più note, tanto che ancora oggi i membri di molte società segrete, massoni compresi, vengono definiti anche “pitagorici”; mentre Leonardo da Vinci, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, era un Rosacroce). Dalle tecniche per modificare la realtà è nata la fisica. La stessa religione nasce dalla scienza esoterica. Qualunque religione organizzata nasce sempre come una branca deviata di una corrente esoterica. L’esoterismo studia tutto ciò che ha a che fare con l’anima e con Dio, religioni comprese; e fa partire dal basso (dalla ricerca di sé) la ricerca dell’unione col divino; la religione invece fa partire dall’alto, imponendo con la forza questa unione, facendo smarrire all’uomo la comprensione di se stesso.Scrive Kanters che «la magia è autoritaria; la religione, sua sorella, è umile; la religione prega e spera, la magia costringe e riesce». Scrive Edouard Schuré che «la dottrina esoterica non è solo una scienza, una filosofia, una morale, una religione; essa È la scienza, la filosofia, la morale e la religione, di cui tutte le altre non sono che preparazioni e degenerazioni» (“I grandi iniziati”, pagina 17). Dalle tecniche magiche per migliorare se stessi, si sono dipartite le varie scienze psicologiche e sociologiche; basta leggere i libri di Dion Fortune (esoterista inglese che fu membro della Golden Dawn e che da giovane fu psicologa) per vedere che la sociologia e la psicologia non hanno inventato nulla, ma hanno semplicemente studiato e approfondito una parte della scienza esoterica. Tutti i libri di miglioramento personale – dalla legge dell’attrazione, ai libri di Dale Carnegie (che tra l’altro era un massone di alto grado), ai libri di Wayne Dyer – dicono cose che era possibile trovare in scritti magico-esoterici del 1800, del 1500, ma addirittura nei Vangeli, se interpretati correttamente e non alla lettera come pretenderebbero di fare alcuni cattolici.Ciò che oggi dicono le moderne tecniche psicologiche, lo dicevano già gli scritti magici ed esoterici di Cornelio Agrippa nel 1500, di Papus nell’800 e di Dion Fortune ai primi del 1900. In una biografia di Crowley mi sono imbattuto in una tecnica psicologica abbastanza paradossale utilizzata dal grande mago nero inglese per guarire una persona, che mi ha ricordato le moderne tecniche di Nardone e Watzlawick. E tecniche molto particolari di psicoterapia sono contenute nel libro della maga e psicologa Dion Fortune dal titolo “I segreti del dottor Taverner, dottore dell’occulto”, e nel libro “Psicomagia” di Alejandro Jodorowsky, che mi hanno ricordato in alcuni punti ancora una volta le moderne terapie di Nardone. La differenza è che se dici che hai guarito una persona con la terapia di Nardone sei un genio avanti coi tempi; se dici che hai usato la tecnica di Jodorowsky o Fortune sei pazzo, e se poi ti azzardi a dire che hai preso lo spunto da Crowley dicono che sei satanista.Gli psicodrammi familiari che vengono utilizzati in alcune moderne tecniche di psicoterapia, poi, sono identici agli psicodrammi che Osho faceva attuare nella sua comune (e che presumo si attuino ancora oggi). Se però lo psicodramma lo hai fatto nell’ashram di Osho sei un arancione fuori di testa; se lo hai fatto in un moderno centro di terapia scucendo centinaia o migliaia di euro sei uno “avanti”.In entrambi i casi, poi, se fai notare a chi effettua queste pratiche che hanno semplicemente messo in atto un rito, con degli effetti magici, l’interlocutore non capisce proprio cosa tu stia dicendo, non avendo la gente il minimo concetto del significato dei riti e dei ruoli che il rito riveste per la psiche e per il comportamento umano. Nel campo della psicologia fu Carl Gustav Jung (il cui padre era sicuramente massone, mentre lui era un Rosacroce) che cercò di riportare la psicologia alle sue origini, studiando i rapporti tra psicologia, alchimia ed esoterismo; fu questo il motivo per cui ruppe con Freud, che lui considerava un mistificatore e un ingannatore. Sigmund Freud infatti era un massone appartenente alla potente organizzazione massonica del “B’nai B’rith”, la massoneria ebraica, ed era consapevole del danno che faceva alla parte spirituale dell’uomo con la diffusione della sue teorie e il suo pansessualismo di stampo dionisiaco. Jung (che tra l’altro non solo praticava la magia, ma faceva viaggi astrali e comunicava con entità disincarnate) riteneva, giustamente, che le teorie di Freud avrebbero potuto danneggiare la società e combatté, per quello che poté, questa possibilità.Le differenze tra Jung e Freud non erano, come si crede comunemente, differenze di metodo e di teorie; erano differenze di scuole massoniche e indirizzi esoterici: il “B’nai B’rith”, la massoneria che vuole condurre al Nwo assoggettando i popoli per portarli all’oscurità, e i Rosacroce bianchi, che di quei popoli volevano l’illuminazione. Ma gli junghiani successivi, da James Hillman in poi, hanno provveduto a distruggere il lavoro di Jung, troppo pericoloso per la società di allora e di oggi, sì che oggi molti psicanalisti che si definiscono junghiani non sanno nulla di alchimia, magia ed esoterismo, pur essendo la scienza alchemica alla base di molti scritti di Jung. Mentre gli junghiani attuali si guardano bene dall’approfondire il rapporto tra psicologia, alchimia e magia. In particolare, la psicologia tende alla normalizzazione dell’individuo (considerato normale quando rientra nella società e trova un lavoro e una famiglia; cioè considerato normale quando si adegua a una società malata, il che è una contraddizione in termini) senza però offrire risposte spirituali, cioè senza offrire le risposte più importanti ai malesseri esistenziali dell’individuo.Scrive la psicanalista Dion Fortune nel suo libro “Magia applicata” che «aiutare un paziente ad adattarsi meglio alla società non significa necessariamente curarlo ma trasmettergli le nevrosi della società stessa». Quanto alla sociologia, scienza che si presupporrebbe “moderna”, in realtà non fa altro che riprendere alcuni studi che erano propri già delle scienze esoteriche, sul potere di influenzare le masse. Il mago quindi, perlomeno se illuminato, dovrebbe essere sia psicologo che sociologo, perché sa penetrare profondamente nell’anima umana e guarisce (se stesso o gli altri) con degli interventi all’anima. Purtroppo, la specializzazione della psicologia e della sociologia, che hanno separato la parte spirituale da quella materiale, ha reso il lavoro dello psicologo molto poco efficace giungendo addirittura ad affermare che il “pensiero magico” è un sintomo di delirio e schizofrenia. E se un paziente dice che fa viaggi astrali, e parla con entità disincarnate (come faceva Jung), lo psichiatra gli fa un Tso.(Paolo Franceschetti, estratto da “La magia. Cos’è, perché funziona, e per quale motivo i politici la usano in segreto”, dal blog di Franceschetti del 18 novembre 2012).La massoneria è una filiazione diretta delle società rosacrociane e templari. Possiamo quindi dire, semplificando le cose, che la massoneria è un’immensa organizzazione magico-esoterica. A questo punto allora non c’è bisogno di “prove” per sapere e convincerci che i personaggi più potenti della terra praticano e conoscono la magia. Se è vero che i reali inglesi sono il vertice ufficiale della massoneria di rito anglosassone mondiale, se è vero che Monti, Berlusconi, Bush, Clinton, e tutti i presidenti degli Usa, erano e sono massoni, ma lo erano anche Lenin, Marx, Gheddafi, e in generale i personaggi più importanti della storia dell’umanità, se è vero che la massoneria conta decine di migliaia di affiliati, tratti dalle classi più colte e agiate della società, delle due l’una: o tutta questa gente ha tempo da perdere con organizzazioni, rituali, e confraternite inutili, oppure c’è un motivo più profondo per cui queste persone sono tutte iniziate agli alti gradi della massoneria, cioè di un’organizzazione che è possibile definire come “organizzazione magico-esoterica”.
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“Ucciso in Siria generale israeliano che guidava gli jihadisti”
Arriva da fonte Usa e viene confermata da fonti libanesi la notizia che, il 26 giugno, con un attacco improvviso dell’aviazione siriana, sono rimasti uccisi un generale israeliano e 20 leader delle milizie dell’organizzazione terrorista “Al Nusra” ed altri gruppi, inclusi alcuni elementi del personale militare di collegamento dell’Arabia Saudita e del Qatar. Questo attacco dell’aviazione siriana aveva per obiettivo le forze militari straniere che operano all’interno della Siria. Un secondo attacco dell’aviazione siriana era avvenuto nella località di Sidon, contro un gruppo di cecchini di nazionalità cecena che avevano passato il confine della Giordania nella zona di Nassib, controllata dai miliziani di Al Nusra. Entrambi gli attacchi sono stati due poderosi colpi sferrati dalle forze siriane contro il nemico che stava pianificando l’operazione “Southern Storm” che avrebbe impegnato circa 15.000 miliziani con la collaborazione di Israele, della Turchia e delle autorità giordane. L’operazione doveva avere luogo per l’8 luglio e ha subito una battuta d’arresto grazie al lavoro dell’intelligence siriana che è riuscita a individuare per tempo il luogo dove si è riunita la squadra israeliana che si era recata ad Al Karak, nella provincia sud di Daraa.Al Karak o Al Karek è una città di 20.000 abitanti, sulla parte orientale del Mar Morto, all’interno della Giordania. Famosa per il suo castello crociato, Al Karak è facilmente raggiungibile da Israele per mezzo di elicotteri che volano sopra il Wadi Karak per evitare il rilevamento. Al generale israeliano era stato affidato il comando dell’operazione Tempesta del Sud, e assieme a una squadra israeliana si era recato in tale località per incontrarsi con i leader del gruppo di “Al-Nusra”, con cui Israele collabora da tempo, con il “Free Syrian Army”, con le brigate di “Al-Muthana” e “Al-Ezz”. Secondo i testimoni presenti alla riunione, il generale israeliano, dopo aver ringraziato i leader dei vari gruppi, aveva promesso aiuti militari, supporto logistico e di intelligence ed era rimasto a cena con loro. Il piano della “Southern Storm” prevedeva un attacco su tre direzioni su Daara da parte di 15.000 miliziani in 4 gruppi separati. La riunione si era svolta presso i locali di un vecchio magazzino utilizzato dai terroristi come deposito.Il comando israeliano aveva provveduto alla spedizione di missili anticarro Tow e Laaw, insieme con i missili tedeschi Milan, che erano stati consegnati in precedenza ai gruppi terroristi, per mezzo di voli effettuati in Giordania, e poi convogliati in Siria. Alcune di queste munizioni, fornite da Israele ai terroristi, provenivano dalle scorte israeliane recentemente sostituite dagli Stati Uniti dopo che Israele ha dichiarato di averle utilizzate in attacchi su Gaza. Il generale israeliano, assieme ad altri 20 comandanti dei miliziani, si era trasferito per una riunione presso una casa distante poche miglia, casa che è stata individuata e distrutta con precisione nell’attacco dell’aviazione siriana, di cui rimangono adesso le rovine fumanti. Nello stesso attacco sono rimasti uccisi altri 80 miliziani che si trovano nella zona in presidio e scorta ai leader terroristi. Le operazioni dei terroristi vengono coordinate da un centro di comando (Moc) che si trova in Giordania, che dispone di un collegamento satellitare e apparati elettronici di intelligence collegati con una la centrale della Cia situata in Giordania, così come è collegata con il grande centro logistico di intelligence saudita esistente ad Amman. Questa volta l’intelligence siriana è riuscita a prevenire le mosse del nemico ed annientare il suo centro di comando, bloccando le operazioni.(“Le forze siriane, con una azione lampo a Daraa, uccidono un generale israeliano riunito con i comandanti dei gruppi terroristi”, da “Controinformazione” del 4 luglio 2015).Arriva da fonte Usa e viene confermata da fonti libanesi la notizia che, il 26 giugno, con un attacco improvviso dell’aviazione siriana, sono rimasti uccisi un generale israeliano e 20 leader delle milizie dell’organizzazione terrorista “Al Nusra” ed altri gruppi, inclusi alcuni elementi del personale militare di collegamento dell’Arabia Saudita e del Qatar. Questo attacco dell’aviazione siriana aveva per obiettivo le forze militari straniere che operano all’interno della Siria. Un secondo attacco dell’aviazione siriana era avvenuto nella località di Sidon, contro un gruppo di cecchini di nazionalità cecena che avevano passato il confine della Giordania nella zona di Nassib, controllata dai miliziani di Al Nusra. Entrambi gli attacchi sono stati due poderosi colpi sferrati dalle forze siriane contro il nemico che stava pianificando l’operazione “Southern Storm” che avrebbe impegnato circa 15.000 miliziani con la collaborazione di Israele, della Turchia e delle autorità giordane. L’operazione doveva avere luogo per l’8 luglio e ha subito una battuta d’arresto grazie al lavoro dell’intelligence siriana che è riuscita a individuare per tempo il luogo dove si è riunita la squadra israeliana che si era recata ad Al Karak, nella provincia sud di Daraa.
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Atene si salva solo fuori dall’euro. Se ci resta, è spacciata
E’ evidente che la creazione dell’euro sia stato un terribile errore. In Europa non ci sono mai stati i presupposti per una moneta unica di successo – soprattutto un’unione fiscale e bancaria in grado di assicurare che quando scoppia una bolla immobiliare, ad esempio in Florida, Washington andrà automaticamente a proteggere gli anziani contro qualsiasi minaccia alle loro cure mediche o ai loro depositi bancari. Lasciare un’Unione Monetaria, tuttavia, è una decisione molto più difficile e spaventosa di quanto lo sia entrarci e, fino ad ora, le economie europee in difficoltà, sul ciglio del baratro, hanno sempre fatto un passo indietro. I governi hanno sempre accettato le richieste di dura austerità dei creditori, mentre la Banca Centrale Europea conteneva il panico sul mercato. Ma la situazione in Grecia ha ormai raggiunto il punto di non ritorno. Le banche sono temporaneamente chiuse ed il governo ha imposto un controllo sui capitali, limitando [ma non solo] la circolazione dei fondi fuori dal paese.E’ probabile che il governo debba presto cominciare a pagare le pensioni e gli stipendi con dei titoli provvisori, creando in questo modo una moneta parallela. La prossima settimana, inoltre, si terrà un referendum per decidere se accettare o meno le richieste della Troika – l’istituzione che rappresenta gli interessi dei creditori – per un’austerità ancora più dura. Credo che la Grecia debba votare “no”, e che il governo greco debba essere pronto, se necessario, a lasciare l’euro. Per capire la ragione per cui sostengo questa tesi, è necessario rendersi conto che la maggior parte – non tutto, ma la maggior parte – di quello che avete sentito dire sulla dissolutezza greca e sulla sua irresponsabilità è falso. E’ vero, negli anni 2000 il governo greco spendeva al di là dei propri mezzi. Ma da allora ha più volte ridotto la spesa e ha più volte accresciuto le tasse. Gli impiegati statali sono diminuiti di più del 25% mentre le pensioni – che erano davvero troppo generose – sono state drasticamente tagliate. Se prendiamo tutte le misure di austerità, esse sono state più che sufficienti per eliminare il deficit originario e per ottenere un avanzo primario di grandi dimensioni.E allora, perché la situazione non è migliorata? Perché l’economia greca è crollata, in gran parte come conseguenza di quelle misure di austerità, che hanno trascinato verso il basso le entrate fiscali. E questo crollo, a sua volta, ha avuto molto a che fare con l’euro, con la Grecia intrappolata in una camicia di forza economica. I soli casi di austerità che hanno avuto successo – ovvero quelli in cui i paesi sono riusciti a contenere i deficit senza precipitare in una depressione – sono quelli che hanno coinvolto delle grandi svalutazioni monetarie, che hanno reso le esportazioni più competitive. Questo è quello che è successo in Canada nel 1990 – ad esempio – e, in misura importante, è quello che è successo più di recente in Islanda. Ma la Grecia, senza una propria moneta, non ha avuto questa possibilità. E così, ho appena descritto le ragioni del “Grexit”. Ma la Grecia deve davvero uscire dall’euro?I problemi del Grexit sono quelli del probabile caos finanziario, del sistema bancario perturbato da prelievi imponenti, di un’economia danneggiata dai problemi bancari e dall’incertezza sullo status giuridico dei debiti. È per questo che i governi greci hanno aderito alle richieste di austerità. Ed è per questo che anche Syriza, la coalizione di sinistra che è ora al potere, era disposta ad accettare l’austerità che era stata imposta in passato. Tutto quello che chiedeva, in effetti, era di fermare ulteriori misure. Ma la Troika non ha offerto niente di tutto questo. E’ facile perdersi nei dettagli, ma il punto essenziale è che alla Grecia è stata presentata un’offerta del tipo “prendere o lasciare”, del tutto indistinguibile dalle quelle degli ultimi cinque anni. Offerta che Alexis Tsipras, primo ministro greco, non poteva chiaramente accettare, perché avrebbe distrutto la ragione stessa del suo stare in politica.L’obiettivo della Troika, quindi, era quello di cacciarlo dalla carica di primo ministro … che è quello che accadrà, probabilmente, se la paura nei riguardi della Troika sarà sufficiente a che gli elettori greci votino “sì”, la prossima settimana. Ma essi non dovrebbero farlo, e questo per tre motivi. In primo luogo, ora sappiamo che un’austerità sempre più dura è un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia è in condizioni peggiori di quanto lo fosse prima.In secondo luogo la maggior parte – e forse anche più – del caos che si temeva, conseguentemente al Grexit, ha già avuto luogo. Con le banche che sono state chiuse e con l’imposizione del controllo sui capitali, non è che ci siano molti più danni da fare. L’adesione all’ultimatum della tToika rappresenterebbe il definitivo abbandono di ogni pretesa di indipendenza greca.Non lasciatevi ingannare dalla rivendicazione che i “funzionari della Troika sono solo dei tecnocrati che spiegano ai Greci ignoranti quello che deve essere fatto”. Questi presunti tecnocrati sono dei “fantasisti” che hanno disatteso tutto quello che sappiamo sulla macroeconomia, e che hanno sbagliato ogni passo lungo il cammino. Non è una questione di “analisi”, è una questione di “potere” – il potere dei creditori di “staccare la spina” all’economia greca, che persisterà fino a quando l’uscita dall’euro sarà considerata impensabile. E’ quindi giunto il momento di porre fine a questa “impensabilità”. In caso contrario la Grecia dovrà affrontare un’austerità e una depressione senza fine.(Paul Krugman, “La Grecia oltre il ciglio del baratro”, dal “New York Times” del 29 giugno 2015, intervento tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”).E’ evidente che la creazione dell’euro sia stato un terribile errore. In Europa non ci sono mai stati i presupposti per una moneta unica di successo – soprattutto un’unione fiscale e bancaria in grado di assicurare che quando scoppia una bolla immobiliare, ad esempio in Florida, Washington andrà automaticamente a proteggere gli anziani contro qualsiasi minaccia alle loro cure mediche o ai loro depositi bancari. Lasciare un’Unione Monetaria, tuttavia, è una decisione molto più difficile e spaventosa di quanto lo sia entrarci e, fino ad ora, le economie europee in difficoltà, sul ciglio del baratro, hanno sempre fatto un passo indietro. I governi hanno sempre accettato le richieste di dura austerità dei creditori, mentre la Banca Centrale Europea conteneva il panico sul mercato. Ma la situazione in Grecia ha ormai raggiunto il punto di non ritorno. Le banche sono temporaneamente chiuse ed il governo ha imposto un controllo sui capitali, limitando [ma non solo] la circolazione dei fondi fuori dal paese.
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Bugie per scatenare la guerra. Così fan gli Usa, da sempre
Quella dell’11 Settembre non è stata certo la prima volta in cui la nazione americana s’è vista trascinare in guerra da un incidente particolarmente ambiguo. La Costituzione americana non permette agli Stati Uniti di dare inizio a una qualunque guerra di aggressione, e riserva al solo Parlamento il potere di dichiarare guerra ad un’altra nazione, in caso diventi necessario difendersi. Per questo motivo, ogni volta che un presidente americano ha voluto prendere parte a qualche guerra, o iniziarne una nuova, ha dovuto servirsi di un incidente militare, creato o provocato per giustificare in qualche modo l’intervento armato di fronte al Parlamento e alla popolazione. Nel 1898, gli Stati Uniti fecero guerra alla Spagna per sottrarle il controllo di Cuba, indispensabile per il controllo dell’intero Golfo del Messico. Il pretesto di guerra venne dall’affondamento della nave militare “Maine” ancorata al largo di Cuba, di cui furono subito incolpati gli spagnoli, nonostante questi si dichiassero del tutto estranei al fatto.Le immagini della nave semi-affondata e quelle dei funerali dei marinai furono fatte passare nei primi cinegiornali dell’epoca, generando nel paese uno stato di indignazione sufficiente a poter scatenare una guerra, che nel frattempo il futuro presidente Roosevelt, allora ministro della marina, aveva preparato fin nel minimo dettaglio. Solo nel 1980, quasi un secolo dopo, gli americani avrebbero riconosciuto che gli spagnoli non erano responsabili dell’attacco, dicendo però – per non autoaccusarsi – che il “Main” era affondato perché alcuni esplosivi erano stati stipati troppo vicini alle caldaie. Nel frattempo, l’intera armata spagnola era stata distrutta, e così gli americani diventavano la nuova potenza marittima mondiale, con postazioni strategiche che andavano dai Caraibi sino alle Filippine. Nel 1915, fu l’affondamento del “Lusitania”, da parte di un sottomarino tedesco, a dare inizio alla crisi tra Stati Uniti e Germania, che permise ai primi di entrare nel conflitto mondiale.Pare che gli americani abbiano fatto sapere di nascosto ai tedeschi che sul “Lusitania” viaggiava un importante carico di armamenti destinato all’Inghilterra. In questo modo, sarebbero riusciti a provocare l’attacco da parte del sottomarino tedesco che affondò la nave, sulla quale viaggiava anche un centinaio di cittadini americani. Nel 1941, fu il noto attacco a Pearl Harbor a scatenare nella popolazione americana quell’ondata di indignazione che permise a Roosevelt di entrare con decisione nella Seconda Guerra Mondiale, contro Giappone, Italia e Germania. Circa 3.000 marinai furono massacrati in un attacco a sorpresa, del quale si sarebbe saputo in seguito che gli americani erano invece al corrente già da molte ore. Ma in quell’occasione fu fatto di tutto perché queste informazioni non arrivassero in tempo al comando del porto, come ha poi confermato l’ammiraglio Kimmel, che aveva assistito impotente al massacro dei suoi uomini e alla distruzione delle sue navi: «Avevamo bisogno di una cosa, che i nostri mezzi non sono stati in grado di farci avere: di vitale importanza erano le informazioni disponibili a Washington, i messaggi intercettati che dicevano dove e quando il Giappone avrebbe probabilmente attaccato. Io non ho ricevuto queste informazioni».Nel 1964, gli Stati Uniti decidevano di entrare ufficialmente in guerra con il Vietnam del Nord, dopo aver aiutato militarmente per molti anni il Vietnam del Sud, senza mai intervenire direttamente. Il pretesto di guerra venne dal cosiddetto “Incidente del Golfo del Tonchino”, in cui delle motovedette vietnamite furono accusate di aver lanciato siluri contro l’incrociatore americano “Maddox”. Fu il ministro degli esteri, Robert McNamara, a dare alla stampa la notizia della pronta reazione americana all’attacco vietnamita: «Subito dopo l’attacco, rappresentanti americani a Saigon si sono incontrati con rappresentanti del governo sud-vietnamita, e insieme hanno concordato che un’azione punitiva congiunta era necessaria». Ma lo stesso McNamara, 40 anni dopo, avrebbe confessato che l’attacco delle motovedette era stato tutta un’invenzione per creare, appunto, il necessario pretesto per entrare in guerra: «Eventi successivi hanno mostrato che la nostra impressione di esser stati attaccati quel giorno era sbagliata: non era successo». Nel frattempo, erano morti quasi 60.000 soldati americani ed oltre 3 milioni di civili vietnamiti.Nel 1990, la situazione fra gli Stati Uniti e l’Iraq di Saddam Hussein si era fattav tesa, e la squadra di neo-conservatori vicini al presidente Bush convinse quest’ultimo ad un intervento armato contro il dittatore iracheno. Gli americani fecero allora sapere a Saddam che non avevano nulla in contrario se si fosse impadronito dei campi petroliferi del Kuwait, un territorio che da sempre l’Iraq reclamava come proprio. La trappola funzionò. E Saddam invase in Kuwait. Subito dopo, Dick Cheney (che in quel periodo era ministro della difesa) fece avere all’Arabia Saudita delle foto satellitari nelle quali si vedevano 250.000 soldati di Saddam ammassati verso il confine del loro paese. Temendo un’invasione imminente, i saduti concessero agli americani il permesso straordinario di stabilire delle basi militari sul loro territorio, mettendoli così in grado di attaccare comodamente l’Iraq. Contemporaneamente, partiva una massiccia campagna mediatica contro Saddam, che veniva accusato di aver usato contro i suoi connazionali curdi delle armi chimiche, che gli stessi americani gli avevano venduto, per poi coprire con il loro silenzio il genocidio in corso, pur essendone perfettamente al corrente.La campagna mediatica contro il dittatore iracheno culminava con la toccante testimonianza di una giovane infermiera kuwaitiana, che descriveva al mondo le atrocità commesse dai soldati di Saddam negli ospedali del suo paese invaso: «Mentre ero là ho visto i soldati iracheni entrare nell’ospedale armati di mitra, hanno tolto i neonati dalle incubatrici, hanno portato via le incubatrici e hanno lasciato i bimbi a morire sul pavimento freddo». La notizia fece il giro del mondo, e da quel momento nessuno ebbe da ridire sui bombardamenti americani in Iraq. Qualche anno dopo, alcuni giornalisti vennero in possesso di foto satellitari che stano state scattate dai russi sulla stessa zona di deserto e proprio negli stessi giorni. «La cosa più importante era quello che non mostravano. Ti saresti aspettato di vedere dei carri armati lungo il confine, ma non ce n’era nemmeno uno. E non c’era niente, alle spalle della frontiera, che potesse rifornire quella quantità di carri armati e soldati».Le stesse immagini che mostravano distintamente i carri armati iracheni al centro di Kuwait City rivelavano anche che lungo la frontiera con l’Arabia Saudita non c’era assolutamente nulla: non un mezzo, non un uomo, non un carro armato. Anche l’infermiera che aveva commosso il mondo si rivelò essere la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, che aveva recitato ad arte la scena delle incubatrici (del tutto inventata), dopo esser stata allenata professionalmente da una delle più note società di pubbliche relazioni di Washington, la “Hill & Knowlton”. Nel frattempo, gli americani ne avevano approfittato per piazzare delle basi permanenti in Arabia Saudita e per sterminare l’intero esercito iracheno. In uno spietato e vile tiro al bersaglio, in piena violazione di tutti i trattati di guerra mai esistiti, migliaia di soldati iracheni furono massacrati e letteralmente inceneriti dall’aviazione americana, mentre si trovavano del tutto scoperti e impossibilitati a fuggire, sulla via del ritorno verso Baghdad.(Ricostruzione estratta dal documentario “Il nuovo secolo americano”, di Massimo Mazzucco, editato su YouTube).Quella dell’11 Settembre non è stata certo la prima volta in cui la nazione americana s’è vista trascinare in guerra da un incidente particolarmente ambiguo. La Costituzione americana non permette agli Stati Uniti di dare inizio a una qualunque guerra di aggressione, e riserva al solo Parlamento il potere di dichiarare guerra ad un’altra nazione, in caso diventi necessario difendersi. Per questo motivo, ogni volta che un presidente americano ha voluto prendere parte a qualche guerra, o iniziarne una nuova, ha dovuto servirsi di un incidente militare, creato o provocato per giustificare in qualche modo l’intervento armato di fronte al Parlamento e alla popolazione. Nel 1898, gli Stati Uniti fecero guerra alla Spagna per sottrarle il controllo di Cuba, indispensabile per il controllo dell’intero Golfo del Messico. Il pretesto di guerra venne dall’affondamento della nave militare “Maine” ancorata al largo di Cuba, di cui furono subito incolpati gli spagnoli, nonostante questi si dichiarassero del tutto estranei al fatto.
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Craig Roberts: i greci vogliono restare nell’inferno euro-Ue
Alcuni anni fa Thomas Frank ha scritto un libro, “What’s the Matter with Kansas”, qual è il problema con il Kansas. Il libro parla di come gli statunitensi ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello votino contro i loro propri interessi economici e politici. La totale stupidità dei popoli li rende indifesi dagli artigli dei rapaci. Oggi Thomas Frank potrebbe porre la stessa domanda a riguardo dei greci che hanno subito quel trattamento. Il 22 giugno, “Rt” ha parlato di un’enorme manifestazione di greci ad Atene: sventolavano la bandiera dell’Ue e chiedevano al loro governo di venderli alla Troika. I greci sono così determinati a far parte dell’ “Europa” che desiderano di pagarne il prezzo venendo gettati economicamente a terra e smettendo di esistere come Stato sovrano.Gli idioti che hanno partecipato a questa “manifestazione per l’Europa” hanno reso difficile, se non impossibile, al governo greco ammorbidire l’austerità che viene imposta dall’1% alla popolazione greca. Tra i cittadini delle nazioni occidentali, i greci hanno sperimentato sulla propria pelle la mancanza di cuore e l’avidità dell’1% molto più duramente di ogni altro popolo. Eppure accettano questi maltrattamenti come prezzo da pagare per essere europei. È un miracolo che Alexis Tsipras non abbia rassegnato le sue dimissioni mandando all’inferno il popolo idiota.(Paul Craig Roberts, “Il popolo greco chiede la sua stessa distruzione”, da “Information Clearing House” del 23 giugno 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts è stato assistente segretario del Tesoro Usa nel governo Reagan ed editore associato del “Wall Street Journal”. Era opinionista di “Business Week”, “Cripps Howard News Service” e “Creators Syndicate”. Ha tenuto molte conferenze universitarie. I suoi post su Internet hanno lettori in tutto il mondo. Il suo libro “How the Economy Was Lost” è disponibile su “Counterpunch” in formato digitale. Il suo ultimo libro è “How America Was Lost”.Alcuni anni fa Thomas Frank ha scritto un libro, “What’s the Matter with Kansas”, qual è il problema con il Kansas. Il libro parla di come gli statunitensi ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello votino contro i loro propri interessi economici e politici. La totale stupidità dei popoli li rende indifesi dagli artigli dei rapaci. Oggi Thomas Frank potrebbe porre la stessa domanda a riguardo dei greci che hanno subito quel trattamento. Il 22 giugno, “Rt” ha parlato di un’enorme manifestazione di greci ad Atene: sventolavano la bandiera dell’Ue e chiedevano al loro governo di venderli alla Troika. I greci sono così determinati a far parte dell’ “Europa” che desiderano di pagarne il prezzo venendo gettati economicamente a terra e smettendo di esistere come Stato sovrano.
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Banche, tasse, euro? Siete morti (Thomas Jefferson, 1800)
Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».Sulla devastazione di redditi e pensioni, sotto false pretese di salvezza nazionale, per arricchire un nugolo di speculatori e ‘rentiers’: «La felicità di un popolo esiste se esso riesce ad impedire al governo di distruggere il lavoro della gente con la falsa scusa di tutelarli… Infatti la democrazia muore quando si ruba a chi lavora per dare a chi non fa nulla». Autore di queste parole è Thomas Jefferson, 1743-1826. Ok, abbiamo fatto passi avanti.(Paolo Barnard, “Commenti sulla dittatura finanzia e politica odierna”, dal blog di Barnard del 26 giugmo 2015).Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».
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Mangiamo cadaveri, rinunciare alla carne è civiltà e salute
La domanda può sembrare assurda. Ovviamente, per essere mangiati, gli animali devono prima essere uccisi. Sappiamo tutti che dietro a una bistecca, c’è un animale morto. Tuttavia, per la maggior parte del tempo, facciamo dell’animale un elemento estrinseco alla carne. Ci crea sempre fastidio quando, a tavola, un vegetariano ci ricorda che il cosciotto d’agnello è innanzitutto una carogna. Questi moralizzatori! Così, spesso, abbiamo fatto finta di dimenticare. Dopotutto, bisogna mangiare carne per vivere! Questo è un alibi. La necessità della carne è il nostro pretesto. E poi, se si ammette che la carne non è, come è ovvio, necessaria, si potrà sempre dire che, poiché ci piace mangiarli e li mangiamo, il consumo di animali è giustificato di fatto. Il mio piacere di mangiare una bistecca vince, perché così ho deciso. Gli animali hanno solo bisogno di essere trattati bene. Uccisi con amore. Come è possibile conciliare l’amore che diciamo di provare per gli animali “domestici” (gatti, cani, ecc), con il massacro a cui partecipiamo dando il nostro denaro a coloro che “uccidono con amore”?Martin Gibert, che insegna etica e filosofia del diritto, nel suo ultimo saggio di recente pubblicazione, “Voir son steak comme un animal mort – Véganisme et psychologie morale” (“Vedere la sua bistecca come un animale morto – Veganismo e psicologia morale”) spiega questa ambiguità inerente alla natura umana attraverso il concetto di “dissonanza cognitiva” che si manifesta, in relazione alla carne, con il seguente sintomo: “noi amiamo gli animali ed amiamo mangiare i loro cadaveri”. L’immagine del cadavere, noi la temiamo; e questo, gli industriali lo hanno compreso perfettamente. È la ragione per la quale non troveremo mai sulle confezioni di dentifricio la scritta: “Contiene animali morti”; perché, presentati così, molti prodotti sarebbero molto meno vendibili. Allora, il problema si camuffa. In effetti, è in circostanze simili che, secondo Martin Gibert, interviene la “percezione morale”. Ma la percezione morale dei mangiatori di animali è piuttosto “confusa”, e infatti potrebbe succedere che un telespettatore che mangia solitamente bistecche, rimanga sconvolto dal fatto che un partecipante ad uno show televisivo uccida un maiale in diretta per nutrirsene definendo questa violenza “non necessaria”, e ignorando il fatto che non lo sia uccidere un animale in generale.Se uccidere degli animali non è necessario, perché si mangia ancora carne? La domanda è, secondo Martin Gibert, “Come si fa a non essere vegan?”. È vero, è difficile rimanere indifferenti alla sofferenza degli animali, dice Gibert: «Chi può vedere senza rabbrividire l’agonia di un bue o di un maiale?». Tuttavia, teniamo alla nostra bistecca. Ed è proprio in questa cornice contraddittoria che bisogna analizzare la psicologia dell’onnivoro. C’è, nei nostri rapporti agli animali, una continua contraddizione da superare. Possiamo, ad esempio, persuaderci che gli animali non soffrano veramente, o del fatto che abbiamo realmente bisogno delle proteine che, per credenza popolare, si dice siano contenute solo nei prodotti di origine animale ma, quando ci viene dimostrato il contrario, inneschiamo automaticamente un processo di rimozione della colpa. Sosteniamo in questi casi che “le cose non dipendono da noi” e che, anche se mangiamo animali, non siamo responsabili della loro uccisione. E, così ci piace dire, in nessun caso, smetteremo di mangiare carne perché sono i vegani che smettono di farlo, e i vegani sono una setta. Dire questo ci rassicura, perché i vegani costituiscono un campanello d’allame per la nostra “dissonanza cognitiva”.Rendere la realtà più digeribile: «Dovunque, si creano degli eufemismi per rendere la realtà più digeribile». Secondo Martin Gibert, riprendendo il termine coniato dalla psicologa americana Melanie Joy, «la maggior parte delle persone sono carniste». Dietro a questo neologismo, c’è «l’apparato ideologico che ha per funzione il soffocamento della dissonanza cognitiva». Il carnista fa appello a innumerevoli alibi per giustificare delle pratiche e mantiene la posizione che nell’immaginario collettivo è maggioritaria, secondo la quale non c’è niente di male ad abbattere degli animali se tutto questo è visto come naturale e necessario. Martin Gibert vede il carnismo come una “barriera ideologica che nasconde la realtà dello sfruttamento”. «L’allevamento industriale riguarda l’82% degli animali in Francia, eppure molto spesso si fa appello, per giustificare la pratica del mangiare animali, ad un ipotetico podere felice in cui gli animali sarebbero trattati bene. Ma la questione della necessità ritorna costantemente: perché porre fine alla vita di un animale privandolo di tutto ciò che avrebbe potuto vivere quando non è necessario? Si potrebbe dire, per esempio, che è legittimo uccidere il mio cane in modo “felice e umano” perché io voglio andare in vacanza? Perché sarebbe legittimo uccidere un maiale solo per mangiare un pezzo di salsiccia? Sicuramente non è la presunta “carne felice” la risposta a questi dubbi e il presunto concetto di necessità fa acqua da tutte le parti».Il veganismo come soluzione. Ma il problema della carne va oltre la questione legata all’uccisione e allo sfruttamento degli animali. Come giustamente ricorda Martin Gibert, anche la questione ambientale deve essere presa sul serio. Nonostante le ambizioni apparenti dei governi in materia di politica ambientale, il problema dell’influenza degli allevamenti di bestiame sull’ambiente è in gran parte nascosto. Questi sono responsabili del 14,5% delle emissioni di gas a effetto serra, secondo un rapporto della Fao pubblicato nel 2013; più che “tutti i mezzi di trasporto”. Perché il problema viene ignorato anche da coloro i quali pretendono di definirsi “ambientalisti”? Come si può giustificare questa disparità tra le nostre convinzioni e le nostre concrete abitudini? Basta fermarsi a mentire a se stessi.Se penso che gli animali non devono essere uccisi senza necessità, è perché credo che abbiano un interesse a perseguire la loro esistenza. Il consumo di carne non è compatibile con la presa in considerazione gli interessi degli animali e dei requisiti ambientali. L’imperativo è quello di eliminare la carne dalla nostra dieta.(Kavin Barralon, “Mangiamo animali morti?”, dalla versione francese dell’“Huffington Post” del 10 maggio 2015; la traduzione italiana è a cura di “Come Don Chisciotte”).La domanda può sembrare assurda. Ovviamente, per essere mangiati, gli animali devono prima essere uccisi. Sappiamo tutti che dietro a una bistecca, c’è un animale morto. Tuttavia, per la maggior parte del tempo, facciamo dell’animale un elemento estrinseco alla carne. Ci crea sempre fastidio quando, a tavola, un vegetariano ci ricorda che il cosciotto d’agnello è innanzitutto una carogna. Questi moralizzatori! Così, spesso, abbiamo fatto finta di dimenticare. Dopotutto, bisogna mangiare carne per vivere! Questo è un alibi. La necessità della carne è il nostro pretesto. E poi, se si ammette che la carne non è, come è ovvio, necessaria, si potrà sempre dire che, poiché ci piace mangiarli e li mangiamo, il consumo di animali è giustificato di fatto. Il mio piacere di mangiare una bistecca vince, perché così ho deciso. Gli animali hanno solo bisogno di essere trattati bene. Uccisi con amore. Come è possibile conciliare l’amore che diciamo di provare per gli animali “domestici” (gatti, cani, ecc), con il massacro a cui partecipiamo dando il nostro denaro a coloro che “uccidono con amore”?