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La fine del mondo per il Pd, l’Italia in crisi a sua insaputa
La fine del mondo, ovvero: l’assemblea nazionale del Pd che incorona in trionfo il suo sovrano, Matteo Renzi, già tornato in cabina di regia dopo aver solennemente promesso che avrebbe lasciato la politica, in caso di sconfitta al referendum. Proprio la speranza di cancellarlo dagli schermi, trasversale a vari settori dell’elettorato, cominciando dai giovani, era stata la molla principale, per milioni di elettori, decisi a votare No. Tutto inutile, come da copione: Gentiloni a Palazzo Chigi insieme alla Boschi, e Renzi ancora lì. Soprattutto: è ancora lì il Pd, straordinario autoscatto di quest’Italia in crisi “a sua insaputa”. Dal palco romano dove si alternano i relatori è perfettamente inutile sperare di ascoltare parole utili al paese, a parte le rituali e irrilevanti autocritiche sulle difficoltà del partito come macchina di consenso. Qualche accento sullo stato dell’arte proviene da esponenti come Cuperlo e Damiano, ma l’unico che fornisce una visione prospettica è il dinosauro Piero Fassino: la nostra, dice, è stata una sinistra cresciuta nel ‘900, nel fordismo, e oggi non difende più nessuno, non serve più. Fassino sfiora addirittura la verità dell’euro e dell’Ue, ma solo per ricordare quanto fu brava, la sinistra prodiana, a mobilitare gli italiani per convincerli ad affrontare i sacrifici necessari a entrare nel club della moneta unica.A chi chiede timidamente se sia il caso di celebrare un congresso, creando così lo spazio necessario per sviluppare una riflessione profonda, Renzi risponde che non è ancora tempo di congressi, perché l’agenda richiede altre urgenze, la legge elettorale, le elezioni anticipate. Non è più epoca di congressi, da tempo: Forza Italia ha sempre e solo inscenato assemblee plebliscitarie, celebrative del Capo, e Grillo non è mai andato oltre i Vaffa-Day o le consultazioni online. Niente congressi, niente confronto di idee, nessuna analisi indipendente. Meglio correre, ferocemente divisi, nella stessa direzione: il baratro. Lo dimostra, una volta di più, la mancanza di timonieri alla guida del grosso barcone del Pd, una ciurma di naufraghi spaventati da quello che chiamano populismo, senza però riuscire a spiegarsi l’origine del fenomeno che – riconoscono – sta scuotendo come un brivido l’intero Occidente. Di tutto è lecito di parlare, tranne che di politica. Lo dice lo stesso Renzi, l’unico politico capace di auto-accusarsi di aver “politicizzato” il voto («la mia colpa non è stata la personalizzazione del referendum», dice, «ma la sua politicizzazione»).«Con questi dirigenti non vinceremo mai», sentenziò Nanni Moretti nel 2002, un milione di anni fa, pensando alla sua squadra di brocchi – D’Alema, Veltroni – e alla corazzata da battere, quella del Cavaliere. Ben lungi, Moretti, dall’intuire che il problema non era nemmeno la squadra, ma il campionato. Ci sono voluti anni, ma poi l’allenatore il suo campione l’ha messo in campo: solo che al massimo vince Renzi, non l’Italia. E Renzi è uno che vince comunque, anche quando perde, visto che di fronte non ha più nessuno. Non mantiene mai la parola data? Vero, ma anche questo è secondario: Renzi non ha mai nemmeno lontanamente sfiorato, neppure a parole, la verità nella quale è sprofondata l’Italia dopo che la sua classe dirigente, come ricorda Fassino, l’ha iscritta nel prestigioso campionato europeo del rigore e dell’austerity, dell’agonia del welfare, della morte della sovranità e quindi dell’economia. Nel Renzi-day, il Pd attacca la crisi romana dei grillini, il collasso politico della capitale dove – nessuno lo ricorda – fu proposto l’ingresso in municipio di un economista eretico come Nino Galloni, con in testa (lui sì) una soluzione per uscire dalla grande crisi inutilmente evocata da Fassino, la crisi che sta travolgendo l’Italia “a sua insaputa”, o almeno a insaputa di un partito che ancora acclama Renzi, così come i grillini acclamano Grillo. Il problema è ancora e sempre il leader, la squadra, e non il campionato? Se è così, i sabotatori dell’Italia possono dormire sonni tranquilli.La fine del mondo, ovvero: l’assemblea nazionale del Pd che incorona in trionfo il suo sovrano, Matteo Renzi, già tornato in cabina di regia dopo aver solennemente promesso che avrebbe lasciato la politica, in caso di sconfitta al referendum. Proprio la speranza di cancellarlo dagli schermi, trasversale a vari settori dell’elettorato, cominciando dai giovani, era stata la molla principale, per milioni di elettori, risoltisi a votare No. Tutto inutile, come da copione: Gentiloni a Palazzo Chigi insieme alla Boschi, e Renzi ancora lì. Soprattutto: è ancora lì il Pd, straordinario autoscatto di quest’Italia che sarebbe in crisi “a sua insaputa”. Dal palco romano dove si alternano i relatori è perfettamente inutile sperare di ascoltare parole spendibili per il paese, a parte le rituali e irrilevanti autocritiche sulle difficoltà del partito come macchina di consenso. Qualche accenno allo stato dell’arte proviene da esponenti come Cuperlo e Damiano, ma l’unico che fornisce una visione prospettica è il dinosauro Piero Fassino: la nostra, dice, è stata una sinistra cresciuta nel ‘900, nel fordismo, e oggi non difende più nessuno, non serve più. Fassino sfiora addirittura la verità dell’euro e dell’Ue, ma solo per ricordare quanto fu brava, la sinistra prodiana, a mobilitare gli italiani per convincerli ad affrontare i sacrifici necessari a entrare nel club della moneta unica.
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Golpe Usa: stanno cercando di rubare la vittoria a Trump
L’arte della menzogna sembra ormai la vera specialità di Barack Obama. E ora è ufficiale: sta tentando di rovesciare Donald Trump, cancellando il verdetto delle urne. Pressioni inaudite sui “grandi elettori”, riuniti il 19 dicembre a Washington per confermare l’elezione del presidente, rischiano di trasformare «una formalità, una tranquilla giornata di democrazia» in una sorta di colpo di Stato, avverte Marcello Foa, citando uno dei più autorevoli commentatori americani, Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Craig Roberts denuncia apertamente il tentativo di golpe attraverso la Cia, che nei giorni scorsi ha fabbricato il caso delle presunte infiltrazioni di hacker russi nelle elezioni statunitensi, come documenta Michael Snyder, che denuncia l’assedio a cui lo staff di Obama e Hillary sta sottoponendo i parlamentari chiamati a ratificare il risultato elettorale. Un clima inaudito, dice Foa, confermato anche dal “Washington Post”: «I grandi elettori di ogni Stato, che dovrebbero semplicemente ribadire il risultato delle urne, stanno ricevendo incredibili pressioni al fine di indurli a non votare per Trump», definito un nemico dell’America al soldo dei russi.«Sono letteralmente bombardati di email e di telefonate in cui si evidenzia la pericolosità di Trump e in cui vengono evidenziati i rischi dell’America», scrive Foa sul “Giornale”, «mentre la Cia, l’Fbi e ovviamente Obama continuano a denunciare le interferenze russe nell’elezione nel tentativo, vano, di dimostrare che l’elezione non era regolare». Tentativo vano, insiste Foa, perché fino ad oggi non è stata presentata alcuna prova. Il significato della manovra, senza precedenti, è fin troppo chiaro: «Le élite globaliste che hanno governato l’America e indirettamente il mondo occidentale, stanno per uscire dalla stanza dei bottoni, visto che il magnate non ha piazzato i loro uomini nei dicasteri chiave», sottolinea Foa. «Quell’élite sta tentando di tutto per impedire che Trump entri davvero alla Casa Bianca e ribalti la politica estera e di sicurezza perseguita finora, a cominciare dai rapporti con la Russia e dalla lotta all’Isis, e corregga quella sulla globalizzazione incentivando la riscoperta di un “patriottismo imprenditoriale” sugli investimenti e sui posti di lavoro».Attenzione: quel che sta avvenendo in queste ore «è gravissimo ed è assolutamente incompatibile con i principi democratici», aggiunge Foa. «Speriamo che i “grandi elettori” non si lascino suggestionare», perché «se davvero Trump venisse rovesciato prima ancora di entrare in carica, gli Stati Uniti perderebbero qualunque legittimità di fronte al proprio popolo e al mondo». Alle élite importa poco? «A noi sì, tantissimo». Impressionante il succedersi degli eventi, nella ricostruzione che lo stesso Michael Snyder fornisce su “The Economic Collapse”, in un post ripreso da “Megachip”: «Donald Trump potrebbe ritrovarsi legalmente derubato della sua elezione il 19 dicembre, quando il collegio elettorale esprimerà il proprio voto, oppure il 6 gennaio, quando il Congresso si riunirà in seduta plenaria per contare questi voti». In questo momento, scrive Snyder, «gli apparati di potere sono nel panico completo e sembrano essersi accordati sul fatto che “l’interferenza russa nelle elezioni” sarà il pretesto che si propongono di utilizzare per cercare di sottrarre la presidenza a Trump».Obiettivo dei “golpisti”: «Convincere i membri del collegio elettorale, che dovrebbero essere vincolati al voto per Trump, affinché diano invece la loro preferenza a qualcun altro». E se questo non dovesse funzionare, «si sono già poste le basi affinché i voti del collegio elettorale possano essere potenzialmente invalidati quando il Congresso si riunirà in seduta plenaria per contare questi voti, il 6 gennaio». Un gruppo di 10 grandi elettori, scrive Snyder, ha già inviato una lettera al direttore della National Intelligence, James Clapper, chiedendo di «essere informati sui tentativi russi per interferire nelle elezioni di novembre». Questo gruppo è capeggiato dalla figlia di Nancy Pelosi, Christine. Inoltre, l’entourage della Clinton sta pubblicamente sostenendo la necessità che i membri del collegio elettorale vengano sottoposti ad un “briefing di intelligence” sulle interferenze russe, prima del loro voto. E il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha affermato che «Donald Trump ha chiesto alla Russia di hackerare i suoi oppositori», e ha quindi «beneficiato della malevola attività cibernetica dei russi». Come se non bastasse, il leader della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, ha annunciato che è favorevole ad una indagine «sull’interferenza elettorale russa», che sarebbe apprezzata dai senatori Chuck Shumer, Jack Reed, John McCain e Lindsey Graham, a detta degli interessati.Stesso improvviso attimismo alla Camera: il deputato David Cicilline ha esortato i “grandi elettori” a prendere in considerazione, prima di esprimere il loro voto, «l’entità delle interferenze straniere nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che potrebbero averne influenzato il risultato finale». E il collega Jim Himes ha definito Donald Trump «un pericolo per la repubblica». La rivista “Time”, aggiunge Snyder, sta apertamente facendo pressioni sui membri del collegio elettorale affinché votino per qualcun altro. E l’ex direttore generale della Cia «ha baldanzosamente dichiarato che i tentativi russi di alterare il risultato delle elezioni presidenziali di novembre sono stati “l’equivalente politico dell’11 Settembre”». Non è tutto: Bob Baer, ex agente della Cia, ha parlato di recente alla “Cnn” dove ha pubblicamente chiesto nuove elezioni se, a causa delle interferenze russe, fosse provata l’illegittimità della prima votazione. Un altro “ex operativo” della Cia e già candidato presidenziale, Evan McMullin, ha affermato che Trump «non è un americano leale», perché i suoi orientamenti non sono abbastanza anti-russi.Nella contesa si schiera anche l’“Huffington Post”, che «sta spacciando una decisione della Corte federale, risalente al 1995, come un precedente che potrebbe essere usato per sottrarre la presidenza a Donald Trump ed offrirla ad Hillary Clinton, se un tribunale scoprisse che le interferenze russe hanno alterato il risultato elettorale». Il responsabile per le comunicazioni di Hillary Clinton, Jennifer Palmieri, ha dichiarato che «uno Stato straniero» ha cercato di penetrare nel suo account Gmail qualche giorno prima delle elezioni. Lo stesso Obama, infine, ha ordinato all’intelligence di raccogliere tutte le prove possibili sulle interferenze elettorali russe e di consegnare a lui le suddette prove prima del termine del suo mandato. «La maggior parte dei sostenitori di Trump non si rende conto di quanto tutto questo sia serio», aggiunge Snyder. «Il potere in carica odia Trump nel modo più assoluto e vuole trovare un modo per impedire il suo insediamento». In altre parole: «Vogliono una giustificazione per poter negare la presidenza a Donald Trump e per questo stanno trasformando questa “interferenza russa sulle elezioni” in un problema, il più grosso possibile». Il che è anche ridicolo, come ha puntualizzato Paul Joseph Watson, che dice: «Noi per primi abbiamo interferito con elezioni straniere per molti, molti anni».«Non è affatto divertente – continua Watson, rivolto ai “golpisti” – che tutti voi democratici, che vi lamentate delle influenze straniere, non abbiate avuto obiezioni di sorta sul fatto che l’Arabia Saudita finanziasse la campagna elettorale della Clinton. Non avevate problemi a prendere tutti quei soldi da George Soros, vero? Non avevate problemi con il Dipartimento di Stato di Obama che rovesciava il governo dell’Ucraina. Non avevate problemi con l’interferenza di Obama nel referendum del Regno Unito sulla permanenza nell’Ue». Una cosa è certa: l’establishment battuto a novembre farà davvero di tutto per scippare la vittoria di Trump. Se fosse possibile convincere 37 “grandi elettori” repubblicani a votare per qualcun altro, piuttosto che per Trump, questo rimanderebbe la questione alla Camera dei Rappresentanti, «e non è chiaro che cosa farebbe questo ramo del Parlamento in un simile scenario», scrive Snyder. «Se Trump non fosse fermato a livello di collegio elettorale, c’è però la possibilità che possa venir sabotato quando il Congresso si riunirà in sessione plenaria, il 6 gennaio, per la conta dei voti elettorali». Di fronte a obiezioni scritte sui voti di singoli Stati, il Parlamento sarà chiamato a pronunciarsi in mondo vincolante. Annullando le elezioni? «Non so se questo succederà», dice Snyder. Ma, «se Donald Trump fosse derubato del risultato elettorale, la cosa getterebbe probabilmente l’intera nazione nel caos». Scenario possibile? Assolutamente sì: «Penso che, a questo punto, le élites preferirebbero rischiare il tutto e per tutto, pur di tenere Donald Trump fuori dalla Casa Bianca».L’arte della menzogna sembra ormai la vera specialità di Barack Obama. E ora è ufficiale: sta tentando di rovesciare Donald Trump, cancellando il verdetto delle urne. Pressioni inaudite sui “grandi elettori”, riuniti il 19 dicembre a Washington per confermare l’elezione del presidente, rischiano di trasformare «una formalità, una tranquilla giornata di democrazia» in una sorta di colpo di Stato, avverte Marcello Foa, citando uno dei più autorevoli commentatori americani, Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Craig Roberts denuncia apertamente il tentativo di golpe attraverso la Cia, che nei giorni scorsi ha fabbricato il caso delle presunte infiltrazioni di hacker russi nelle elezioni statunitensi, come documenta Michael Snyder, che denuncia l’assedio a cui lo staff di Obama e Hillary sta sottoponendo i parlamentari chiamati a ratificare il risultato elettorale. Un clima inaudito, dice Foa, confermato anche dal “Washington Post”: «I grandi elettori di ogni Stato, che dovrebbero semplicemente ribadire il risultato delle urne, stanno ricevendo incredibili pressioni al fine di indurli a non votare per Trump», definito un nemico dell’America al soldo dei russi.
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Maggiani: paga sempre il popolo (ma il peggio era Hillary)
I giovani americani manifestano contro Donald Trump con una veemenza e una determinazione, e una massa, che almeno qui e noi non vedevamo dai tempi di Fragole e Sangue. Belle facce, bei cuori. Magari, si fossero alzati di buon mattino martedì scorso e si fossero messi in coda ai seggi elettorali con la ferma intenzione di dare il loro voto al nemico del loro nemico, oggi se ne starebbero più sereni loro e il mondo intero, ma sarebbe stato chiedere troppo. La Clinton non l’avrei votata neppure io, che sono vecchio e di certo meno intollerante al tanfo di quando avevo vent’anni. Naturalmente spero che il movimento dei giovani americani abbia in qualche modo fortuna, anche se non so in quale modo potrebbe, Donald Trump è una verità insopprimibile. Per sopprimere Trump bisognerebbe prima sopprimere il popolo americano e l’unico, imperfetto, macchinoso modo che ha a disposizione per porre allo sguardo del potere la verità della sua esistenza, la verità dei suoi problemi, la verità della dignità che gli spetta, il sistema elettorale.La signora Clinton invece è una menzogna, l’ultima menzogna di un sistema politico, universale, pervertito in una maschera di sardonico cinismo, e definitivamente, universalmente, fuori corso. La verità è che i giovani americani innalzando i loro cori contro un presidente sessista, volgare e autoritario stanno intraprendendo una battaglia di retroguardia; e Dio sa quanto ci scoccia ammetterlo, ma ora questo sono i diritti civili. La battaglia d’avanguardia la fa la commessa a 900 dollari al mese per un salario decente, e se la commessa è lesbica, il suo primo bisogno è di nutrirsi e vestirsi e curarsi decentemente e il secondo, se vorrà, di sposarsi. Infatti sposarsi può ormai farlo dove vuole, ma un salario decente non è disposto a concederglielo nessuno. E non risulta un movimento giovanile a sostegno della lotta alla povertà, né picchetti di studenti ai cancelli delle fabbriche in serrata o tra i filari di granturco o nei magazzini dell’e-commerce.La battaglia d’avanguardia ha promesso di farla Donald Trump, ed è paradossale che gliela sia stata regalata, visto che è il meno attendibile in proposito, ma è ancora una verità. La verità che la signora Clinton scrive alla sua assistente in una mail spiattellata da Wikileaks: “sono lontana dalla gente, aiuto le banche a crescere”. Prima di prendere a odiare Trump, la commessa da 900 dollari ha sotto mano chi odiare con tutte le forze, compresa quella unica che ancora le è riconosciuta, la forza del voto. Sappiamo che quando il popolo si prende la briga di decidere finisce quasi sempre per sbagliare, ma è certo che paga sempre e unicamente il popolo. Ovunque.(Maurizio Maggiani, “Trump e Clinton”, da “Il Secolo XIX” del 13 novembre 2016, articolo ripreso dal sito ufficiale di Maggiani).I giovani americani manifestano contro Donald Trump con una veemenza e una determinazione, e una massa, che almeno qui e noi non vedevamo dai tempi di Fragole e Sangue. Belle facce, bei cuori. Magari, si fossero alzati di buon mattino martedì scorso e si fossero messi in coda ai seggi elettorali con la ferma intenzione di dare il loro voto al nemico del loro nemico, oggi se ne starebbero più sereni loro e il mondo intero, ma sarebbe stato chiedere troppo. La Clinton non l’avrei votata neppure io, che sono vecchio e di certo meno intollerante al tanfo di quando avevo vent’anni. Naturalmente spero che il movimento dei giovani americani abbia in qualche modo fortuna, anche se non so in quale modo potrebbe, Donald Trump è una verità insopprimibile. Per sopprimere Trump bisognerebbe prima sopprimere il popolo americano e l’unico, imperfetto, macchinoso modo che ha a disposizione per porre allo sguardo del potere la verità della sua esistenza, la verità dei suoi problemi, la verità della dignità che gli spetta, il sistema elettorale.
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Roberts: chi spara su Trump lo consegna ai neocon affiliati
Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».Mnuchin lasciò Goldman Sachs 14 anni fa, scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Girava film a Hollywood e ha avviato un’attività in proprio». Molte persone, di fatto, «hanno lavorato per Goldman Sachs e per la New York Bank», per poi diventare «critici inflessibili nei confronti delle banche», come raccontano Nomi Print e Pam Martens. Anche l’abituale co-autore di Craig Roberts, Dave Krenzler, «è un ex frequentatore di Wall Street». Secondo l’analista indipendente, «i commentatori stanno saltando alle conclusioni basandosi sulle passate associazioni dei nominati». In realtà, «Mnuchin fu uno dei primi sostenitori di Trump». Quindi ora l’ex finanziere appoggerà Trump nel suo tentativo di riportare in America i posti di lavoro per la classe media? E lo stesso Trump è sincero? «Non lo sappiamo». L’unica certezza è che Trump «ha attaccato il falso accordo di “libero scambio” che ha spogliato l’America dai posti di lavoro per la classe media come fecero Pat Buchanan e Ross Perot. Sappiamo anche che i Clinton costruirono la loro fortuna come agenti dell’Uno per Cento, gli unici ad aver avuto guadagno dalla delocalizzazione dei posti di lavoro americani».Secondo Craig Roberts, «non tutti i miliardari sono degli oligarchi», e il rapporto di Trump con il settore finanziario «è quello di un comune debitore». Con le banche, «ha un rapporto scadente». E che dire, poi, dei «generali dalla testa calda» appena nominati, alla difesa e alla sicurezza nazionale? «Entrambi sembrano trovare la loro fine in Iran, il che è stupido e infelice». Per contro, il generale Flynn «denunciò il regime di Obama per aver rifiutato il consiglio della Dia ed aver sostenuto l’Isis nel rovesciare Assad», mentre il generale Mattis «fu colui che disse a Trump che la tortura non funziona». Entrambi questi generali, «per quanto cattivi possano sembrare», per Craig Roberts «sono comunque un miglioramento rispetto a chi li ha preceduti: entrambi hanno dimostrato indipendenza rispetto alla linea neo-conservatrice che supporta Isis e torture».Il nemico numero uno, per Craig Robers, è costituto da quelli che chiama “gli affiliati”, cioè i super-massoni della piramide del potere reale, non elettivo. «E’ da tenere a mente anche che esistono due tipi di affiliati», scrive: «Quelli che rappresentano l’agenda degli interessi particolari; gli altri che seguono la corrente per partecipare attivamente alla vita politica della nazione. Coloro che non si allineano con la maggioranza vengono estromessi». Un posto in Goldman Sachs «è un buon viatico per la ricchezza», certo. «Che Mnuchin l’abbia lasciato 14 anni fa può significare che non rappresentava un buon partito per Goldman Sachs, che a loro non piaceva o viceversa che lui non gradiva loro». Che Flynn e Mattis abbiano preso una posizione indipendente riguardo l’Isis e le torture «li dipinge come degli anticonformisti». Tutti e tre questi nominati «appaiono forti e sicuri nelle loro convinzioni, nella loro confidenza con l’ambiente politico», il che «li qualifica come il personale di cui Trump ha bisogno per raggiungere qualsivoglia obbiettivo».Trump, ricorda Craog Roberts, è stato l’unico fra tutti i candidati alla presidenza a dichiarare di non vedere motivi di conflitto con la Russia. L’unico, anche a interrogarsi «sul perché la Nato continui ad esistere a 25 anni dal collasso dell’Unione Sovietica». Solo Trump «ha dichiarato di voler riportare in America i posti di lavoro per la classe media». Ha detto che avrebbe irrigidito la politica dell’immigrazione: «Si tratta di razzismo o di protezione della cittadinanza?». Inutile sparare su Trump senza dargli il tempo di agire: meglio invece «basarci sulle sue promesse e vincolare l’amministrazione Trump al loro mantenimento». E inoltre, «dovremmo anche far sì che Trump si renda conto delle terribili conseguenze che derivano dal degrado ambientale», visto che l’ecologia (fonti rinnovabili) è assente dalla sua agenda. Ma, oggi, «più Trump viene criticato, più è facile per i neoconservatori offrirgli il loro appoggio ed entrare a far parte del governo». Per adesso «non ne ha ancora nominato alcuno, ma c’è da scommettere che Israele spinge per delle nomine fra questi».I neocon «hanno il controllo dei media e comandano fra gli esperti, fra i dipartimenti universitari per gli affari esteri e fra la comunità politica internazionale. Sono un pericolo costante». Il temperamento di Trump «lo porta ad essere più incline a rappresentare il presidente che risolleva le sorti dell’America in declino, piuttosto che colui che usa la carica presidenziale per arricchirsi». Perciò, conclude Craig Roberts, «ci troviamo di fronte ad un’occasione di cambiamento che una volta tanto viene dall’alto invece che avere origine da sanguinose rivolte di strada». E quindi: «Diamo al governo Trump un’occasione. Potremmo rivoltarci dopo che ci avrà deluso».Le nomine di Trump: sarà ancora Goldman Sachs a comandare la politica economica americana? Come ha già scoperto “The Donald”, appena eletto, la verità è che «non c’è scelta, se non tra gli affiliati», dice Paul Craig Roberts, sottosegretario al Tesoro nel governo Reagan. «Nella maggior parte dei casi è così». Ovvero: i nuovi eletti «sono poca cosa, per gli affiliati, che sono soliti mangiarseli vivi». Esempio: la squadra dei “californiani” di Ronald Reagan «fu niente, in confronto agli affiliati di George Bush», il padre. «La parte di governo formata dagli uomini di Reagan ci mise un sacco di tempo a partorire i risultati che sperava». Poi c’è il Senato: visto che il Congresso è controllato dai repubblicani, significa che «rimane nelle mani di senatori con particolari interessi, che mirano a proteggere i loro piani da possibili nomine ostili». E un Trump «sotto attacco prima ancora della sua investitura ufficiale», decisamente «non può permettersi di ritardare la lotta per la conferma delle nomine». Dunque l’ascesa di Steve Mnuchin al Tesoro significa che sarà ancora Goldman Sachs a dettar legge alla Casa Bianca? «Possibile, ma non possiamo saperlo per certo. Non ci resta che aspettare e vedere».
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Un governo di spettri, guidato da un troll del Vaticano
Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?«Già da un paio d’anni – scrive “Coscienze in Rete” – avvertiamo della presenza del Conte Paolo Gentiloni Siverij e delle sue fantasmagoriche imprese, dal Giubileo rutelliano o come ministro delle telecomunicazioni del governo Prodi, all’allegria con la quale, in qualità di ministro degli esteri di Renzi, si prostrava a John Kerry quando questi gli chiedeva soldi e uomini per le guerre americane in Medio Oriente». In guardia, dunque, da «un personaggio chiaramente schierato con i vincitori della corsa al potere negli ultimi anni». E non è un caso, aggiunge il blog, che «nel momento in cui serve l’ennesimo pretoriano per schiacciare i i redivivi, seppur flebili aneliti democratici di questo paese, ci mettano proprio lui». Forse, alla fine la scelta è caduta su Gentiloni per una questione d’immagine: «Uno come Padoan è troppo palesemente legato alla Troika, troppo chiacchierato. E le sue misure, tipo un eventuale ricorso al Mes per sovvertire l’esito referendario, avrebbero potuto creare malcontenti troppo estesi». Forse, «confidano che Gentiloni possa fare esattamente le stesse cose senza scatenare troppo putiferio: come cantava Mary Poppins, “Basta un poco di zuccero e la pillola va giù”».Quando «il conte» divenne ministro degli esteri per il governo Renzi, “Coscienze in Rete” lo accolse così: «Garantisce tutti i potenti, il Conte Paolo Gentiloni Siverij, di feudi e lombi marchigiani». Per conto di Rutelli sindaco di Roma «continuò la tradizione familiare e proprio lui fu nominato assessore al Giubileo, in contatto con la banda che se ne occupò». Uno dei principali esponenti di quella storica “impresa” fu «l’efficentista Bertolaso, “eroe” della mancata ricostruzione aquilana, del disastro della Maddalena e della trasformazione della Protezione Civile in comitato d’affari». Da ministro delle comunicazioni del governo Prodi, Gentiloni «fece la faccia cattiva di quello che doveva distruggere l’impero televisivo di Berlusconi, ma «in effetti la sua funzione si è poi risolta nel proteggerlo, magari a condizioni più utili ai veri circuiti di potere». Il “conte”, poi, «non si fa mancare nemmeno il fatto di essere vicinissimo ad ambienti israeliani e soprattutto americani», scriveva il blog. «E deve proprio essere stata qualche vocina gesuitico-massonica, supportata da manine statunitensi, ad averlo convinto ad essere uno dei primi a sostenere Renzi nel Pd, ben prima che si creasse l’onda opportunistica renziana di questi mesi».L’uomo giusto al posto giusto: al Giubileo, agli esteri, a Palazzo Chigi. «All’origine di ogni nobiltà materiale c’è un non detto, un qualcosa di inconfessabile e di indicibile compiuto al servizio di un potere oscuro più forte: lo stesso indicibile potere che mantiene certe famiglie nobili al potere per secoli», secondo “Coscienze in Rete”. Cosa farà ora questo «governo di spettri?». Se lo domanda Fausto Carotenuto, che saluta «il disgusto, unito al risveglio» degli elettori, che il 4 dicembre hanno mandato a casa «chi non lavorava per i cittadini, ma per altri poteri». Solo che, poi, se togli Renzi ti ritrovi Gentiloni. Missione del nuovo “troll” del potere: «Anestetizzare al massimo gli effetti politici del referendum». Al “conte” non manca il fisico giusto: ha «una faccia diversa» da quella di Renzi, «dimessa», nonché «un eloquio da confessionale, un portamento perfino un po’ contratto e ricurvo, l’espressione di chi è capitato lì per caso». E’ perfetto, per «dare alla gente l’impressione di una maggiore “innocuità”». Errore: «Non abbassiamo la guardia: anche lui continuerà a servire chi lo comanda, senza discussioni e con volontà ferrea. Nella costante ricerca della maggior possibile manipolazione e della riduzione al minimo della libertà di noi cittadini».Carotenuto ne è sicuro: «Con lui si cercherà di fare in modo che nulla cambi, ma questa volta senza nemmeno far finta di cambiare qualcosa. Ancora peggio del solito italico trasformismo descritto nel Gattopardo». Secondo le stime, l’apprezzamento della gente per il nuovo governo è sotto il 20 %: il più basso della storia. «Il che prelude chiaramente alla preparazione di scenari molto diversi di manipolazione della gente, non più affidati a questi gruppi di spettri ormai spenti ed inefficaci». Come dire: il peggio deve ancora arrivare. «Apparentemente il nuovo governo serve solo a fare la nuova legge elettorale. Ma non si è riempito di saggi costituzionalisti, bensì di un numero di “trolls” ancora maggiore del precedente, confermandone la maggior parte. In effetti il ruolo di questo governo è quello di non mollare la presa del potere nemmeno per un attimo sui veri scopi di ogni ministero, che i ministri di questo governo continueranno a perseguire con efficacia, facendo finta di dirigere ministeri che in effetti sono dominati da bande di burocrati inossidabili e inamovibili, di direttori generali e funzionari al soldo dei veri poteri di manipolazione». I ministri-troll? «Sono solamente degli spettri dotati di firma, che fanno solo da “copertura” ai lobbisti legati ai poteri oscuri». E l’orchestra è diretta – come annunciato da Formica – da un nobilissimo “amico” del Vaticano.Renzi “asfaltato” dai No, poi sarà il Vaticano a scegliere il nuovo capo del governo. Questa la profezia dell’ex ministro socialista Rino Formica, pronunciata con largo anticipo sull’esito del referendum che ha poi in effetti disarcionato il premier. Azzeccata anche la seconda parte della previsione? Parrebbe di sì, a leggere “Coscienze in Rete”, il blog del network creato da Fausto Carotenuto. Gentiloni, scrive oggi il newsmagazine, è «rampollo di una famiglia nota per ripetuti, secolari servizi al Vaticano nel campo dell’influenza nella politica italiana». Lo stesso Carotenuto definisce Gentiloni «di nobili, cattolicissimi lombi». Se il No del 4 dicembre ha rappresentato «un sospiro di sollievo», per quasi 20 milioni di italiani, felici di «non vedere più in tutti i media a ripetizione il bulletto toscano che pontifica sulla propria capacità di fare miracoli, con la faccia di tolla che spara bugie a raffica, circondato da un gruppetto di pretoriani invischiati con le peggiori lobbies», attenzione: «Stiamo attenti a non riaddormentarci subito. Perché il vero problema in effetti non era Renzi». Il fiorentino «non comandava e non decideva proprio nulla: era solo il “troll”, la maschera, il burattino del potere», che infatti «rimane intatto, come prima». Il vertice ha semplicemente “ordinato” al Quirinale di «nominare il suo nuovo troll». Gentiloni chi?
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Se Trump spegnesse, con un tweet, anche il Sacro Tav
Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.La mitologia del Tav occidentale resiste da decenni, inattaccabile come un dogma, anche se la sua surreale teologia è stata ripetutamente capovolta, relativizzata, rettificata, sminuita. Doveva essere una linea superveloce per passeggeri, con l’avvento dei voli low-cost è diventata una linea medio-veloce per merci, infine solo un tunnel (ma di 50 chilometri) per merci ormai estinte, che non esisteranno più, sulla dimenticata rotta transalpina tra Italia e Francia, nel ventre del Massiccio dell’Ambin gravido d’acque sommerse, rocce di amianto e vene di uranio. Anche i cinesi devastano intere province, ma almeno hanno uno scopo: costruire dighe idroelettriche. Lo scopo del Tav Torino-Lione va invece rintracciato nella metafisica, evidentemente, nella mistica del potere europeo, il potere reale ma impalpabile, fatto di moneta elettronica gestita da terminali alieni, da imperatori alieni come Mario Draghi, a sua volta agli ordini di invisibili Elohim biblici. La religione, appunto: è l’unica categoria che può spiegare, davvero, la natura più intima dell’oscuro potere europeo, da cui promana – anche – l’ostinata superstizione che protegge, ad ogni costo, la grande opera più screditata della storia italiana, bocciata senza appello (devastante, costosa, completamente inutile) da tutti gli esperti indipendenti della penisola, i tecnici, gli specialisti universitari d’ogni ordine e grado.Lo ripete, inutilmente, anche l’autorità elvetica delegata dalla Commissione Europea a monitorare i trasporti transalpini: la valle di Susa dispone già di una ferrovia internazionale Italia-Francia, quella del Fréjus, che è semi-deserta da anni per mancanza di utenza; sulla linea attuale, il traffico merci potrebbe tranquillamente essere incrementato del 900%. Inutile, dunque – per non dire folle, coi tempi che corrono – insistere nell’aprire un secondo traforo, che costerebbe decine di miliardi, a carico di contribuenti stremati dalla crisi. Le autorità svizzere però ragionano, ingenuamente, come Galileo e Copernico, ignorando cioè che l’astrofisica di Roma e Parigi, Bruxelles e Francoforte è ancora e sempre quella di Tolomeo. A motivare così tenacemente i grandi decisori non è scienza, è verità di fede: gli egemoni non si chinano sul volgare cannocchiale per scoprire com’è davvero il cielo, a loro basta e avanza la certezza incrollabile del dogma, che sorregge la visione magica su cui si fonda il presente feudalesimo illuminato, affidato a una schiera di eletti, secondo cui, semplicemente, quella ferrovia della malora si deve fare, punto. Dio lo vuole. E se la plebe protesta, tanto meglio: imparerà, a sue spese, che la voce del padrone non ammette repliche. Gli ordini non si discutono. La legge è una sola, quella dell’obbediente sottomissione.Ingenui come gli svizzeri, anche i valsusini hanno obiettato, appellandosi alla ragione, ancora confidando in Galileo. Promossero studi, scovarono prove, sfilarono in cortei. Brandendo Copernico, nel lontano 2005 si accamparono in massa sui prati destinati al primo cantiere. Intervenne il governo, che li disperse con la forza (spedendoli all’ospedale). Poi cambiò il governo, ma non la teologia: anche per Prodi, come per Berlusconi, la Terra era sempre piatta e assolutamente immobile. Seguirono ancora Berlusconi, poi Monti, poi Letta, poi Renzi. Tutti devoti alla religione di Tolomeo. Nel frattempo, la situazione non fece che peggiorare: fu introdotto stabilmente il germe dell’ostilità, per coltivare con profitto il carburante della rabbia, foriero di nefaste conseguenze – per la plebe, non certo per gli arconti, i re-sacerdoti, i custodi del Sacro Tav. Ogni tanto alla plebe viene concesso qualche effimero sollievo (il voto, persino il referendum), ma l’impianto teologale resta là, granitico, immutabile. E’ sempre lui, il Signore della Banca, a stabilire il prezzo dei sudditi, inclusi i servitori intermedi e le loro precarie carriere.Così, la Talpa tolemaica ancora scava la sua buia galleria – tunnel geognostico, lo chiamano. Fin dove arriverà, nel suo slancio metafisico? Un tempo, l’antica cosmogonia del Tav ne attestava l’origine divina: sarebbe stato il segmento alpino di un Sommo Disegno, chiaramente provvidenziale, destinato a unire l’Atlantico al Mar della Cina: non più semplici sudditi, gli abitanti dell’area interessata dai futuri cantieri, ma entusiasti neo-cittadini, viaggianti, di una nuova repubblica onirica, la Tratta Kiev-Lisbona. Forse c’è stato qualche contrattempo (provvidenziale, anche quello) se oggi il mezzo di trasporto più in voga è diventato il barcone, la scialuppa. Ma guai a sottovalutare il Disegno: la Talpa è inarrestabile, può raggiungere qualsiasi latitudine sotterranea, dal Celeste Impero al Cremlino. Può scavare anche il fondale oceanico e raggiungere le lontane Americhe. Purché non sbuchi, per errore, alla Casa Bianca – a quel punto, forse, con un tweet, persino il Sacro Tav potrebbe fare la fine dell’F-35. Ma l’America è lontana, cantava qualcuno. E, da questa parte dell’Atlantico, nessuno – nemmeno a Roma, tra i più accesi outsider del Parlamento – ha ancora osato sfidare, per davvero, la teologia di Tolomeo e il feudalesimo dei nuovi Elohim, che s’illuminano d’immenso davanti al terminale elettronico che decreta vita e morte, il destino di interi bilanci, la fortuna e la rovina di interi popoli, a lungo illusi da un sogno chiamato democrazia.Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.
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Sta fondendo l’Antartide: verso cataclismi inimmaginabili
Sta per collassare l’Antartide, e i ghiacci che si credevano “perenni” stanno fondendo alla velocità della luce: lo rivela uno studio che «dovrebbe spaventare a morte chiunque dubiti della solennità e della potenza dietro l’accelerazione del riscaldamento globale», avverte Robert Hunziker su “Counterpunch”, che presenta una ricerca «sconvolgente, dagli sviluppi raccapriccianti». Ovvero: «Se si sciogliesse integralmente l’intera Antartide, provocherebbe un innalzamento del livello del mare di circa 60 metri». Non faremo in tempo a vederlo, nella nostra vita («è troppo grande e richiederebbe decisamente troppo riscaldamento e davvero troppo tempo»), ma – intanto – un collasso della sola Antartide Occidentale, quella finita sotto i riflettori, «ha il potenziale, secondo la nuova ricerca, per sommergere Miami e New York durante le nostre vite attuali». Attenzione: «È la prima volta, questa, in cui delle osservazioni scientifiche giungono ufficialmente alla conclusione che una catastrofe così orrenda sia possibile, così presto». Miami Beach è già costretta a sollevare le strade di mezzo metro a causa delle persistenti inondazioni. «Un mare in crescita è la vendetta del riscaldamento globale per le sconsiderate, arroganti, presuntuosamente eccessive emissioni di CO2 di combustibile fossile, causate dall’uomo».Le nuove «spaventose scoperte», scrive Hunziker in un report tradotto da “Come Don Chisciotte”, includono il ghiacciaio di Pine Island, l’oggetto del lavoro di ricerca di Seongsu Jeong, Ian M. Howat, Jeremy N. Basis, “Accelerated Ice Shelf Rifting and Retreat at Pine Island Glacier, West Antarctica”, studio pubblicato da “Geophysical Research Letters” il 28 novembre 2016. Allarme rosso, già a partire dal titolo: “Accelerazione della frattura di una calotta di ghiaccio e arretramento del ghiacciaio di Pine Island, in Antartide Occidentale”. «Si dà il caso che il ghiacciaio di Pine Island fosse già la più grande massa al mondo di irreversibile scioglimento di ghiaccio». Adesso, con questa nuova analisi, «la tempistica sta assumendo una nuova preoccupante dimensione». Secondo Ian Howat, professore associato di Scienze della Terra presso l’università statale dell’Ohio, «questa sorta di formazione di fratture causa un altro meccanismo di arretramento rapido di questi ghiacciai, aggiungendo la probabilità che si possano vedere collassi significativi nell’Antartide Occidentale durante la nostra esistenza». Questa, sottolinea Huziker, è una minaccia di riscaldamento globale completamente nuova, per le sue impressionanti dimensioni e gli scenari tempistici ormai ravvicinati.Che cosa ha indebolito il centro della calotta antartica? E’ stato «un crepaccio, disciolto al livello di sostrato roccioso da un oceano riscaldato», visto che la base della lastra di ghiaccio dell’Antartide Occidentale si trova sotto il livello del mare. «Un oceano riscaldato appare come la causa di come l’oceano abbia assorbito il 90% del calore della Terra, aiutando a proteggere le creature sulla terraferma, come gli umani, da un reale surriscaldamento dannoso», scrive Hunziker. «Ma si raccoglie ciò che si semina, come è stato dimostrato in Antartide: tutto questo calore mondiale ci si sta ritorcendo contro sotto grandi, grosse lastre di ghiaccio». Qui le differenze rispetto alle ricerche del passato: le fratture si formavano generalmente ai margini delle calotte di ghiaccio, dando vita agli iceberg, ma non in profondità e all’interno, come invece evidenzia questa nuova scoperta. Inoltre, la frattura in questione è all’interno, a circa 32 km (20 miglia). «Il Ghiacciaio di Pine Island (tenendo le dita incrociate) funziona come misura di protezione, trattenendo grandi porzioni di ghiaccio dell’Antartide Occidentale dal riversarsi nel mare». In pratica «è come un portiere di hockey», impegnato a frenare «una parte delle lastre di ghiaccio del Massiccio dell’Antartide Occidentale».Quel grande ghiacchaio è dunque «l’ultima linea di difesa, che previene il collasso parziale delle grandi lastre di ghiaccio, che causerebbero un grande tonfo inimmaginabile, di grandezza inconcepibile». Lo conferma già nel 2015 “Science Magazine”, secondo cui basterebbe «un colpetto» a far collassare le lastre di ghiaccio dell’Antartide Occidentale, con il livello del mare che «si solleva di 3 metri». E’ esplicita, la rivista: «Non serve molto a causare il crollo totale della lastra di ghiaccio dell’Antartide Occidentale, e una volta iniziato non si fermerà». Nell’ultimo anno, aggiunhe Hunziker, «molti articoli hanno evidenziato la vulnerabilità della lastra di ghiaccio che ricopre la parte occidentale del continente, suggerendo che il suo crollo sia inevitabile, e probabilmente già in corso. Adesso, un nuovo modello mostra proprio come questa valanga possa realizzarsi». Una quantità relativamente piccola di scioglimento nel corso di pochi decenni «porterà inesorabilmente alla destabilizzazione dell’intera lastra di ghiaccio e all’aumento del livello del mare». L’ultima ricerca rivela che «le circostanze sembra si stiano accelerando».Con questa nuova scoperta, la tempistica per il collasso della lastra di ghiaccio dell’Antartide Occidentale è del tutto inquietante, sottolinea Hunziker: «In precedenza i ricercatori pensavano a decenni e secoli. Adesso, “all’interno delle nostre vite attuali”». Sperando che non sia già troppo tardi, aggiunge Hunziker pensando a Trump e ai negazionisti del “global warming”, «mai prima d’ora nella storia mondiale è stato importante avere una forte leadership in Usa, per fare qualunque cosa sia necessaria per tamponare un cambio climatico incombente, un cataclisma del riscaldamento globale. È in gioco il nostro stile di vita». In base a queste linee, dice ancora Hunziker, «la scienza che studia il clima è inspiegabilmente simile al rilevamento degli asteroidi vicini alla Terra», che nel corso dei millenni si sono occasionalmente scontrati col nostro pianeta, «annientando ad esempio i poveri e indifesi dinosauri». Se un asteroide vicino alla Terra è «progettato per urtare», forse «un certo tipo di dispiegamento può prevenire il grande schianto dall’annientamento della vita sul pianeta». E quindi: «Quale dispiegamento ferma le lastre di ghiaccio dal collasso?».Sta per collassare l’Antartide, e i ghiacci che si credevano “perenni” stanno fondendo alla velocità della luce: lo rivela uno studio che «dovrebbe spaventare a morte chiunque dubiti della solennità e della potenza dietro l’accelerazione del riscaldamento globale», avverte Robert Hunziker su “Counterpunch”, che presenta una ricerca «sconvolgente, dagli sviluppi raccapriccianti». Ovvero: «Se si sciogliesse integralmente l’intera Antartide, provocherebbe un innalzamento del livello del mare di circa 60 metri». Non faremo in tempo a vederlo, nella nostra vita («è troppo grande e richiederebbe decisamente troppo riscaldamento e davvero troppo tempo»), ma – intanto – un collasso della sola Antartide Occidentale, quella finita sotto i riflettori, «ha il potenziale, secondo la nuova ricerca, per sommergere Miami e New York durante le nostre vite attuali». Attenzione: «È la prima volta, questa, in cui delle osservazioni scientifiche giungono ufficialmente alla conclusione che una catastrofe così orrenda sia possibile, così presto». Miami Beach è già costretta a sollevare le strade di mezzo metro a causa delle persistenti inondazioni. «Un mare in crescita è la vendetta del riscaldamento globale per le sconsiderate, arroganti, presuntuosamente eccessive emissioni di CO2 di combustibile fossile, causate dall’uomo».
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Travaglio: spiegate a Renzi che aveva promesso di sparire
Tra i tanti fiaschi collezionati da Renzi nei tre anni della sua avventura politica nazionale, il più bruciante per lui è la scoperta che nessuno l’ha mai preso sul serio (a parte i lacchè e sciuscià della cosiddetta informazione, che peraltro hanno già messo a riposo le lingue in attesa del successore). In qualunque altro paese, un premier che per mesi giura di ritirarsi a vita privata, andare a casa, lasciare la politica e cambiare mestiere in caso di vittoria del No al referendum, sarebbe assediato dal suo e dagli altri partiti, dai suoi e dagli altrui elettori, e ovviamente dai media, con domande del tipo: “Perché ha mentito al popolo italiano? Con quale credibilità pensa di presentarsi alle prossime elezioni? Che aspetta a tornarsene a Pontassieve e a scomparire per sempre dalla circolazione?”. Invece niente: evidentemente tutti, mentre pronunciava quei solenni giuramenti, già sapevano che erano tutte balle. Il che, per uno che voleva cambiare la politica, l’Italia, l’Europa, ma non riesce a cambiare mestiere (forse perché non ne ha mai avuto uno), è il peggiore dei fallimenti.E così per la sua corte dei miracoli e miracolati. Pensate al discredito che travolgerebbe Cameron se, dopo aver promesso il ritiro in caso di Brexit, fosse rimasto alla guida dei conservatori con la scusa che il Remain ha avuto il 48,1% dei voti. E alle risate che seppellirebbero la Clinton, se fosse ancora lì che rompe perché ha preso più voti di Trump. Ma quelli sono paesi seri. In Italia si dà per scontato che il premier sia un pagliaccio. Infatti si trova normale che Renzi si appropri del 40% dei Sì e che al suo governo Renzi segua un Renzi-bis (patrocinato per giorni dai giornaloni) e, tramontato quello, che il premier uscente ma non uscito faccia le consultazioni a Palazzo Chigi manco fosse Mattarella e pretenda di scegliere i ministri-chiave del nuovo governo, di ricicciare addirittura la Boschi e di imbullonare il suo clone Lotti alla poltrona di sottosegretario per governare i servizi segreti, l’editoria e i dossier “sensibili”. Ora, probabilmente, nascerà un governicchio Gentiloni con la stessa maggioranza (l’unica possibile in questo Parlamento illegittimo di nominati e voltagabbana). È la soluzione non migliore (il meglio non ha più cittadinanza in Italia da decenni), ma meno peggiore.Paolo Gentiloni è un brav’uomo tendenza sughero, un galleggiante che non disturba, non sporca, dove lo metti sta. Più che un premier, una pianta grassa. L’ideale per la decantazione dopo tante risse fra e nei partiti, soprattutto il Pd. Purché non sia un prestanome e duri poco. Oltre giugno non sarebbe igienico andare, per due motivi: a) questo è il quarto governo nato all’insaputa degli elettori in cinque anni; b) prima di sei mesi è improbabile che il Parlamento faccia la legge elettorale. È vero che i governi non possono avere date di scadenza. Ma, vista la situazione eccezionale, i partiti dovranno trovare il modo di dargliene una, entro la quale dovranno fare senza tante discussioni ciò che va fatto subito. Che, attenzione, non è la legge elettorale: quella non è compito del governo, ma del Parlamento, su proposta della maggioranza, ma coinvolgendo le opposizioni o almeno parte di esse. Di leggi elettorali fatte dai governi per far perdere gli avversari ne abbiamo avute due in 10 anni, il Porcellum e l’Italicum, e sappiamo come sono finite. Sconsiglieremmo di riprovarci.(Marco Travaglio, estratto dell’editoriale pubblicato dal “Fatto Quotidiano” l’11 dicembre 2016, ripreso da “Dagospia”).Tra i tanti fiaschi collezionati da Renzi nei tre anni della sua avventura politica nazionale, il più bruciante per lui è la scoperta che nessuno l’ha mai preso sul serio (a parte i lacchè e sciuscià della cosiddetta informazione, che peraltro hanno già messo a riposo le lingue in attesa del successore). In qualunque altro paese, un premier che per mesi giura di ritirarsi a vita privata, andare a casa, lasciare la politica e cambiare mestiere in caso di vittoria del No al referendum, sarebbe assediato dal suo e dagli altri partiti, dai suoi e dagli altrui elettori, e ovviamente dai media, con domande del tipo: “Perché ha mentito al popolo italiano? Con quale credibilità pensa di presentarsi alle prossime elezioni? Che aspetta a tornarsene a Pontassieve e a scomparire per sempre dalla circolazione?”. Invece niente: evidentemente tutti, mentre pronunciava quei solenni giuramenti, già sapevano che erano tutte balle. Il che, per uno che voleva cambiare la politica, l’Italia, l’Europa, ma non riesce a cambiare mestiere (forse perché non ne ha mai avuto uno), è il peggiore dei fallimenti.
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Titanic: strage per avidità, massoni insabbiarono l’inchiesta
Risparmiarono sulla sicurezza, trasformando il naufragio del Titanic in una strage: non c’erano scialuppe per tutti. Ma non emersero responsabilità, perché i consulenti coinvolti nelle indagini – tutti massoni – coprirono i colpevoli e insabbiarono la verità. «La storia britannica dal 1733 al 1923 potrebbe essere in buona parte da riscrivere, o per lo meno da rileggere con altri occhi». La ragione, scrive in una nota l’agenzia Ansa, sta nella cruciale influenza esercitata dalla massoneria: spesso segretamente, ma certo ai livelli più alto del regno. A confermarlo, se mai ve ne fosse stato bisogno, sono le liste con circa due milioni di nomi di “fratelli”, destinate a essere pubblicate su “Ancestry.com”, sito specializzato in ricerche genealogiche, «sullo sfondo di rivelazioni che sembrano accreditare fra l’altro il ruolo chiave avuto dalle logge anche per “deviare” l’inchiesta sul Titanic». Non si tratta di materiale diffuso da cospirazionisti incalliti e fanatici delle teorie del complotto, sottolinea l’Ansa: a parlare sono – nero su bianco – precise carte d’archivio, «sottratte finalmente all’oscurità di qualche cassetto polveroso», il cui contenuto è stato rilanciato il 24 novembre 2016 dal paludatissimo “Daily Telegraph”, che la principale agenzia di stampa italiana definisce «giornale di establishment come pochi altri a Londra».Oltre ai nomi di massoni già noti, da Winston Churchill, a Edoardo VIII a Oscar Wilde, l’elenco sterminato in via di pubblicazione include quelli del duca di Wellington, di re Giorgio VI, padre di Elisabetta II o ancora dello scienziato Alexander Fleming. Ma, più in generale, svela la capillare appartenenza alla “fratellanza” di centinaia di personaggi potenti: esponenti della dinastia reale, generali, giudici, alti funzionari. «Una rete capace all’occorrenza di cambiare il corso della storia. E, secondo la tesi d’alcuni esperti, d’insabbiare senza troppi problemi verità scomode sul naufragio del Titanic». L’inchiesta britannica condotta dopo l’affondamento del celebre bastimento, inabissatosi nell’Oceano Atlantico nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 causando la morte di 1.517 persone, si concluse in un nulla di fatto. E, come riferisce ora il “Telegraph”, fra i principali protagonisti di quella vicenda si distinsero vari “confratelli”.«Era massone Lord Mersey, messo a capo della commissione che avrebbe dovuto stabilire le responsabilità della compagnia navale britannica», la White Star Line, «proprietaria del transatlantico», scrive l’Ansa. «E così pure Sydney Buxton, presidente del British Board of Trade, coinvolto nello stesso organismo». Proprio il British Board of Trade, aggiunge l’agenzia citando il “Telepgraph”, sarebbe stato additato in un’inchiesta parallela del Senato Usa per aver varato un regolamento «che permetteva agli armatori di Sua Maestà di risparmiare sull’equipaggiamento con un numero di scialuppe di salvataggio insufficiente a caricare tutti i passeggeri». E proprio la mancanza di lance, «specie per chi viaggiava in terza classe, si sarebbe rivelata più tardi come una concausa evidente dell’elevato numero di vittime nel disastro». Ma l’indagine britannica si guardò bene dal farne menzione, sottolinea l’Ansa. «Negli elenchi pubblicati da “Ancestry” ci sono del resto anche i nomi di non pochi dei periti consultati, e quello di Lord Pirrie, patron dei cantieri Harland and Wolff di Belfast, da dove era uscita la nave “inaffondabile”. Tutti massoni e tutti solidali – è il sospetto – nel celare gli altarini più inconfessabili».Risparmiarono sulla sicurezza, trasformando il naufragio del Titanic in una strage: non c’erano abbastanza scialuppe. Ma non emersero responsabilità, perché i consulenti coinvolti nelle indagini – tutti massoni – coprirono i colpevoli e insabbiarono la verità. «La storia britannica dal 1733 al 1923 potrebbe essere in buona parte da riscrivere, o per lo meno da rileggere con altri occhi». La ragione, scrive in una nota l’agenzia Ansa, sta nella cruciale influenza esercitata dalla massoneria: spesso segretamente, ma certo ai livelli più alto del regno. A confermarlo, se mai ve ne fosse stato bisogno, sono le liste con circa due milioni di nomi di “fratelli”, destinate a essere pubblicate su “Ancestry.com”, sito specializzato in ricerche genealogiche, «sullo sfondo di rivelazioni che sembrano accreditare fra l’altro il ruolo chiave avuto dalle logge anche per “deviare” l’inchiesta sul Titanic». Non si tratta di materiale diffuso da cospirazionisti incalliti e fanatici delle teorie del complotto, sottolinea l’Ansa: a parlare sono – nero su bianco – precise carte d’archivio, «sottratte finalmente all’oscurità di qualche cassetto polveroso», il cui contenuto è stato rilanciato il 24 novembre 2016 dal paludatissimo “Daily Telegraph”, che la principale agenzia di stampa italiana definisce «giornale di establishment come pochi altri a Londra».
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Sfatiamo un mito: i Rothschild e Big Pharma ci temono
Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».Naturalmente i grandi poteri «ci provano a esserlo», padroni incontrastati del pianeta. Ci provano eccome, «e con ogni sorta di lobby, ricatto, corruzione». Ma, per il giornalista, la verità fondamentale rimane un’altra. Questa: «I governi glielo permettono». Ma attenzione: «Se vogliono, i governi sono ancora i padroni del mondo. E questo può ancora salvare noi persone». Non ci credete? «Chiedetelo alla GlaxoSmithKline, quel tirannosauro da 24 miliardi di dollari all’anno, tutti in farmaci». Domanda: «Perché questa nozione è di fondamentale importanza da tenere a mente? Perché i governi sono sempre dipendenti dalle opinioni pubbliche, anche se queste troppo spesso se lo dimenticano, per viltà». Se ne deduce, «senza ombra di dubbio», che – visto che i governi sono ancora «i padroni del mondo» – di fatto «risponderebbero alle opinioni pubbliche, se queste si facessero sentire». E allora «è vero che l’uomo e la donna della strada», teoricamente e tecnicamente, «hanno il potere ultimo, in realtà». Solo che «non lo vogliono esercitare», convinti come sono che «il padrone del globo è Rothschild, cioè il potere privato».Il barone Jacob Rotschild? «Potentissimo», certo, «ma neppure lui è riuscito a bloccare la mano dei politici, quando nel trattato sovranazionale che creò la Bce, cioè il Tefu, scrissero quel codicillo maledetto che mette nelle mani della Bce il potere di bloccare qualsiasi mega-banca in Europa». Quel codicillo si chiama “risk control framework”. Risultato: in Europa, oggi, le grandi banche «hanno una mina in pancia che le può far saltare da un momento all’altro per volere politico» (in Europa «ma poi anche in Usa, per leggi diverse»). Il mitico Rotschild «di certo può influenzare Mario Draghi, ma il bottone rosso non ce l’ha». E chi potrebbe riscriverlo, quel codicillo? «I governi». Che, fino a prova contraria, sono ancora organismi elettivi. Lo dimostra il caso della Glaxo, dice Barnard: la “onnipotente” multinazionale del farmaco è stata letteralmente strapazzata dai governi, a cominciare da quello cinese. Se vogliono, sono ancora loro a comandare. E non c’è nessun Uomo Nero che possa impedirlo.«Tutto parte da un Tweet di Bernie Sanders, l’ex candidato alla Casa Bianca, che in ’sti giorni si è messo a bersagliare i giganti del farmaco», racconta Barnard, ricostruendo il caso. «Bernie si sveglia la mattina e scrive un Tweet dove critica ad esempio la multinazionale Eli Lilly, e le azioni di questa crollano. Qualche giorno fa ha sparato contro la GlaxoSmithKline e di nuovo crash in Borsa di questa». Ma su Glaxo pesano spettacolari retroscena. «La Glaxo è un colosso, abituata a fare il bullo nel mondo da sempre. Si presenta ai governi, agli amministratori sanitari, ai singoli medici, e corrompe, impone terapie, ma fa anche di peggio, come tutte le sue colleghe multinazionali». Un giorno la Glaxo arriva in Cina e, come al solito, distribuisce mazzette. «Ma a Londra il N.1 della Glaxo, Andrew Witty, fa l’errore della sua vita, cioè non studia geopolitica, e non si accorge che la Cina sta cambiando immensamente». Ovvero: «Xi Jinping, il presidente, non scherza per un cazzo. E allora ecco che iniziano i guai. Tutto parte dal “whistleblower” di turno, un anonimo hacker che spedisce sia al governo di Pechino che a Witty a Londra delle mail con una storia di corruzione da parte della Glaxo in Cina che fa vomitare». E cioè: «I top manager del colosso inglese in Cina pagavano mazzette ad amministratori, a medici, attraverso prestanome in agenzie di viaggio, se la spassavano con prostitute, e tutto a spese degli ammalati come al solito».E qui la forbice si divarica, continua Barnard: «Mentre gli uomini di Xi Jinping quatti quatti si leggono le mail, quel fesso di Witty e il consiglio d’amministrazione a Londra se ne fottono, anzi». La Glaxo «prova di tutto per insabbiare la cosa, assolda un investigatore privato per depistare le prove, e non smette affatto di corrompere, anzi, corrompe per comprare il silenzio dei cinesi». Errore madornale. «Sono le 5 del mattino di un giorno d’agosto del 2013, le porte dei lussuosi appartamenti dei top manager della Glaxo a Shanghai o Pechino vengono sfondate, gli inglesi gettati a terra e scaraventati in pochi minuti in fetide celle, fra cui il notorio palazzo 803 dove vengono interrogati i dissidenti. La notizia arriva a bomba a Witty a Londra, panico totale». I cinesi di Xi Jinping fanno sul serio, «le prove ci sono ancor prima di interrogare sia i manager britannici che l’investigatore privato, poi le confessioni degli arrestati vengono trasmesse in Tv, live». Una catastrofe: «Le prove sono così schiaccianti che Witty piega immediatamente la testa con una conferenza stampa dove, letteralmente, ’sto ultra-potente amministratore di un gigante mondiale, bela pietà e scuse».Conseguenze: 500 milioni di dollari di multa alla Glaxo; espulsione di alcuni manager fra sputacchi pubblici, e altri a marcire in galera. «La Glaxo corre, sudando ghiaccio, a riscrivere tutti i suoi codici di condotta in Cina, e abbassa i prezzi dei suoi farmaci per Pechino». A cascata: «Gli altri colossi mondiali come Pfizer o Novartis immediatamente ripuliscono i loro affari con la Cina». Ma non finisce qui: «Microsoft drizza le orecchie perché messa sotto inchiesta dai cinesi; Disney trema; la Apple corre ad autodenunciarsi per evasione fiscale in Cina». Ma peggio: «Sull’onda del pugno duro del governo cinese, anche quello americano ha trovato la forza di prendere a calci in culo i super-colossi del farmaco, come Pfizer, Eli Lilly e di nuovo la Glaxo, che si è vista arrivare un verbale da Washington della bellezza di 3 miliardi di dollari per condotte improprie». Aggiunge Barnard: «Penso che Andrew Witty sia passato nell’arco di pochi mesi da tronfio ‘Rothschild del farmaco’ a una pecora zoppa che suda freddo la notte e, come lui, altri amministratori delegati delle più potenti multinazionali del mondo».Ora, si potrebbe argomentare che «la Cina è ormai un tale mostro di potere che, assieme agli Usa, il suo governo si può permettere di sottomettere anche l’imperatore dell’universo». Errore: «Anche la Svezia poteva fare esattamente ciò che ha fatto Pechino, e per due motivi chiari». Primo: oggi, «se gli scandali vengono resi pubblici», succede che «vanno a impattare mostruosamente sugli investitori, che non ci pensano un attimo a fottere le mega-aziende o le mega-banche in Borsa». Basta vedere i “rimbalzi” dopo il Tweet di Bernie Sanders. Secondo motivo: «Con sovranità monetaria il governo della Svezia, come la Cina, non teme il ricatto economico tipico della multinazionale – che è “se mi tocchi ritiro gli investimenti” – semplicemente perché non esiste al mondo un potere economico di alcun tipo che possa avere il potere di fuoco di una banca centrale in coordinamento col ministero del Tesoro». In altre parole: in condizioni di sovranità monetaria, la banca centrale di un paese benestante «può, schiacciando un bottone, distruggere in un pomeriggio la rivalità di Apple, Microsoft, Volkswagen, Jp Morgan, Goldman Sachs e Toyota messi assieme». Quindi, un governo che lo volesse «potrebbe schiacciare qualsiasi Rotschild di qualsiasi potere privato, punto». Perché non lo fanno più spesso? «Troppa poca pressione dalle opinioni pubbliche». E allora, conclude Barnard, «possiamo forse prendercela col quarto barone Jacob Rothschild? Macché, siamo noi, fessi vili orde di ebeti che sediamo su una miniera d’oro e pensiamo che sia un bidè».Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».
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Bosnia: energia misteriosa da quelle piramidi antichissime
Le piramidi scoperte in Bosnia, molto più grandi di quelle dell’Egitto, sono vecchie 29.000 anni ed emanano un’energia potente, misteriosa e benefica. Il team di scienziati che da anni conduce una serie di studi interdisciplinari è particolarmente interessato allo studio «dell’enigmatica energia cosmica che sembra emergere dal sito archeologico in Bosnia». Scopo dello studio è «capire la grande conoscenza in possesso della cultura antica che ha lasciato alle sue spalle queste incredibili opere». I numeri del complesso bosniaco sono impressionanti: la Piramide del Sole misura 220 metri di altezza, un terzo più alta della Grande Piramide di Giza. E il labirinto sotterraneo ha rivelato un blocco di ceramiche di 8 tonnellate. Gli strumenti, poi, hanno rivelato «un raggio energetico, di natura elettromagnetica», ampio 4,5 metri e con una frequenza di 28 kHz che parte dalla cima della Piramide del Sole. Sempre dalla cima della piramide «sembra esserci un fascio di ultrasuoni con un raggio di 10 metri e una frequenza di 28-33 kHz». Inoltre, le quattro piramidi bosniache risultano allineate ai quattro punti cardinali e orientate tutte verso la stella polare.«Anche se nel corso degli anni sono state scoperte migliaia di piramidi su tutto il pianeta, nessuna di esse ha la qualità costruttiva e l’antichità di quelle bosniache», spiega il loro scopritore, Sam Osmanagich, antropologo dell’American University bosniaca e “foreign member” della Russian Academy of Natural Sciences. «Gli studi condotti dall’equipe interdisciplinare mostrano che le piramidi bosniache sono molto più antiche e molto più grandi di quelle conosciute. Se, come qualcuno ipotizza, le piramidi sono delle grosse centrali capaci di produrre energia, la comprensione della tecnologia che è alla base del loro funzionamento potrebbe liberare l’umanità della dipendenza dai combustibili fossili e inaugurare una nuova era di prosperità e armonia con la natura». In più, pare che i test confermino alcuni effetti benefici sulla salute umana, «prospettando che la decifrazione della tecnologia delle piramidi bosniache potrebbe avere ricadute benefiche anche sulla cura delle malattie dell’uomo».La datazione dei monumenti balcanici, intanto, è confermata dall’esame al radiocarbonio effettuato sullo strato di argilla adiacente alla Piramide del Sole. La valle bosniaca delle Piramidi, ricorda il newsmagazine “Il Navigatore Curioso”, è un complesso di 4 antiche piramidi situato nel fertile bacino del fiume Visoko, a circa 40 chilometri a nordovest di Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. Scoperto nel 2005, il sito è al suo ottavo anno di scavo. I ricercatori hanno individuato quattro strutture monumentali: la Piramide del Sole, la Piramide della Luna, la Piramide del Drago e la Piramide dell’Amore. L’intero sito è stato associato ad un più ampio Tempio della Madre Terra, parte di un complesso di tunnel sotterranei che copre circa 6 chilometri quadrati. «I popoli antichi che hanno realizzato queste piramidi conoscevano i segreti della frequenza e dell’energia della Terra», spiega il dottor Osmanagich. «Hanno usato queste risorse naturali per sviluppare tecniche di costruzione su scale che non abbiamo mai visto prima sulla Terra».Naturalmente, aggiunge il “Navigatore Curioso”, da quando è stato scoperto nel 2005, il complesso bosniaco delle piramidi è stato oggetto di interesse scientifico da parte di numerosi ricercatori che si sono avvicendati nel corso degli anni. «Tutti i resoconti pubblicati rendono impossibile negare l’autenticità di questa scoperta, che potrebbe costringere a riscrivere la storia dell’umanità». Tra le cause di maggiore interesse da parte degli studiosi ci sono «alcuni enigmatici fenomeni energetici che ancora non si riescono a comprendere» e che secondo Osmanagich, prima o poi, verranno analizzati scientificamente. Secondo quanto riporta Deborah West sul “New Era Times”, uno studio comparato condotto da cinque istituti separati confermerebbe in maniera pressoché definitiva l’origine artificiale della controverse Piramidi Bosniache, mettendo a tacere i dubbi e le voci scettiche che in questi anni si sono rincorse incessantemente. Secondo le analisi condotte da alcuni team indipendenti, il materiale di costruzione della Piramide del Sole contiene calcestruzzo di alta qualità. Tra gli istituti coinvolti nelle analisi risulta anche il Politecnico di Torino, con il suo laboratorio di analisi chimica e di rifrattometria, dove sono stati eseguiti una serie di test su alcune delle pietre arenarie e dei blocchi di conglomerato prelevati direttamente dalla piramide bosniaca, dimostrando che i campioni risultano composti da un materiale inerte molto simile a quello che si trovava nell’antico calcestruzzo utilizzato dai romani.I risultati del Politecnico sono confermati dalle analisi compiute sugli stessi campioni presso l’Università di Zenica, in Bosnia-Erzegovina. Un’ulteriore conferma arriva dal professor Joseph Davidovits, un celebre egittologo francese, che ha eseguito alcuni test sui campioni prelevati nel sito della piramide. «Posso affermare che la struttura chimica del conglomerato utilizzato è molto antica», scrive Davidovits. Secondo le sue analisi, il conglomerato risulta essere un cemento composto da calcio e potassio: non c’è dubbio che si tratti di materiale molto datato. Ulteriori prove sull’uso del calcestruzzo per la costruzione delle piramidi arriva dal professor Micheal Barsoum, della Drexel University, e dal professor Gilles Hug, dell’Aerospace Research Agency francese, i quali hanno ottenuto la prova scientifica che i materiali che compongono le enigmatiche colline bosniache sono di origine artificiale, tutte costruite con la tecnica a blocchi di calcare intagliati, evidentemente conosciuta dall’umanità già in epoca remotissima. Notizie che smontano la teoria “manipolativa”, secondo cui le piramidi bosniache non sarebbero paragonabili a quelle dell’antico Egitto o a quelle Maya, quanto piuttosto colline naturali “rimodellate” da un’azione artificiale.Le piramidi scoperte in Bosnia, molto più grandi di quelle dell’Egitto, sono vecchie 29.000 anni ed emanano un’energia potente, misteriosa e benefica. Il team di scienziati che da anni conduce una serie di studi interdisciplinari è particolarmente interessato allo studio «dell’enigmatica energia cosmica che sembra emergere dal sito archeologico in Bosnia». Scopo dello studio è «capire la grande conoscenza in possesso della cultura antica che ha lasciato alle sue spalle queste incredibili opere». I numeri del complesso bosniaco sono impressionanti: la Piramide del Sole misura 220 metri di altezza, un terzo più alta della Grande Piramide di Giza. E il labirinto sotterraneo ha rivelato un blocco di ceramiche di 8 tonnellate. Gli strumenti, poi, hanno rivelato «un raggio energetico, di natura elettromagnetica», ampio 4,5 metri e con una frequenza di 28 kHz che parte dalla cima della Piramide del Sole. Sempre dalla cima della piramide «sembra esserci un fascio di ultrasuoni con un raggio di 10 metri e una frequenza di 28-33 kHz». Inoltre, le quattro piramidi bosniache risultano allineate ai quattro punti cardinali e orientate tutte verso la stella polare.
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Hayek, il profeta dell’élite che ha rottamato la democrazia
Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».La sua pubblicazione nel 1960 segnò la transizione da una filosofia rispettabile, anche se estrema, ad un caos totale, scrive Monbiot, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Quella filosofia era chiamata neoliberalismo. «Considerava la competizione come la caratteristica distintiva delle relazioni umane. Il mercato avrebbe trovato la sua naturale gerarchia di vincitori e perdenti, e ne sarebbe risultato un sistema più efficiente di quanto sarebbe stato possibile attraverso la programmazione o la progettazione». Attenzione: «Qualsiasi cosa impedisse tale processo, come tasse sostanziose, regole, attività sindacali o incentivi statali, era controproducente. L’imprenditorialità senza restrizioni avrebbe prodotto una ricchezza con effetti positivi a cascata su tutti». Quando Hayek iniziò a scrivere “The Constitution of Liberty”, «la rete di lobbisti e pensatori che aveva creato stava ricevendo generosi finanziamenti da parte di multi-milionari che vedevano questa dottrina come un modo per difendere se stessi dalla democrazia». Hayek inizia il libro suggerendo la concezione più semplice possibile di libertà: l’assenza di coercizione. Rifiuta nozioni come libertà politica, diritti universali, uguaglianza degli esseri umani e distribuzione equa della ricchezza.Tutti concetti che, limitando il campo d’azione di ricchi e potenti, si interpongono tra loro e l’assoluta libertà dai vincoli a cui ambiscono. La democrazia, al contrario, «non è un valore supremo o gradito a tutti». Infatti, la libertà consiste nell’impedire che la maggioranza abbia potere decisionale sulla direzione che la politica e la società decidono di prendere. Hayek «giustifica questa visione delineando una narrativa epica di estrema prosperità», e identifica l’élite economica «con un gruppo di pionieri della filosofia e della scienza che spenderanno il loro denaro in modi nuovi». Così come il filosofo politico dovrebbe essere libero di “pensare l’impensabile”, allo stesso modo «chi è molto ricco dovrebbe essere libero di tentare l’infattibile, senza vincoli posti dall’interesse collettivo o dall’opinione pubblica». E allora i super-ricchi diventano «esploratori» che «sperimentano nuovi stili di vita», tracciando la strada che il resto della società seguirà. Il progresso della società «dipende dalla libertà di questi “indipendenti” di guadagnare tutto il denaro che vogliono e di spenderlo come meglio credono. Tutto ciò che è buono e utile, quindi, deriva dall’ineguaglianza». Non ci dovrebbe essere connessione tra merito e ricompensa, nessuna distinzione tra guadagni giusti e immeritati e alcun limite agli affitti che possono far pagare.Inoltre, la ricchezza ereditata è socialmente più utile di quella guadagnata: «Il ricco indolente», che non deve lavorare per denaro, può dedicarsi a influenzare «aree di pensiero e opinione, gusti e idee». Anche quando sembra che spenda soldi solo per uno «sfoggio senza senso», sta in realtà agendo da avanguardia della società. Tutto ciò che il ricco fa è, per definizione, positivo. Hayek ammorbidì l’opposizione ai monopoli e irrigidì quella verso i sindacati. Criticò la tassazione progressiva e ogni tentativo da parte dello Stato di elevare il benessere generale dei cittadini. Insistette che ci fossero «argomentazioni schiaccianti contro la sanità pubblica gratuita per tutti» e respinse l’idea della salvaguardia delle risorse naturali (non stupisce che abbiano dato il Nobel per l’economia). Sicché, «quando la signora Thatcher sbatté il suo libro sul tavolo, si era già formata su entrambe le rive dell’Atlantico una vivace rete di think tank, lobbisti e accademici che promuovevano la dottrina di Hayek, abbondantemente finanziata da alcune delle persone e compagnie più ricche del pianeta, compresi DuPont, General Electric, la società di birrificazione Coors, Charles Koch, Richard Mellon Scaife, Lawrence Fertig, il William Volcker Fund e la Earhart Foundation».Usando in modo geniale la psicologia e la linguistica, continua Monbiot, i pensatori sponsorizzati da queste persone trovarono le parole e le argomentazioni necessarie per trasformare l’inno all’élite di Hayek in un programma politico plausibile. Il Thatcherismo e il Reaganismo? Due facce del medesimo neoliberismo: «L’imponente taglio alle tasse per i ricchi, l’attacco ai sindacati, la riduzione degli alloggi popolari, la liberalizzazione, privatizzazione, delocalizzazione e la concorrenza nei servizi pubblici erano già stati teorizzati da Hayek e dai suoi discepoli». Ma il vero trionfo di questo network, sottolinea Monbiot, non fu la sua “innovativa” concezione del diritto, bensì «la conquista di partiti che un tempo erano schierati a favore di tutto ciò che Hayek detestava», cioè le formazioni politiche “di sinistra”, che furono completamente “colonizzate”. Bill Clinton e Tony Blair «estrapolarono alcuni elementi di ciò che un tempo i loro partiti avevano creduto, lo combinarono con idee prese in prestito dai loro oppositori, e da questa improbabile combinazione diedero vita alla “terza via”. Era inevitabile che lo sfavillante e rivoluzionario entusiasmo del neoliberalismo avrebbe esercitato una forza di attrazione più potente della stella morente della democrazia sociale».Dovunque, allora, si poteva assistere al trionfo di Hayek: dall’ampliamento della Private Finance Initiative di Blair alla revoca da parte di Clinton del Glass-Steagal Act, che regolava il settore finanziario. «Nonostante le sue lodevoli intenzioni, nemmeno Barack Obama aveva una narrativa politica ben definita (eccetto la “speranza”), e lentamente è stato cooptato da coloro che detenevano migliori mezzi di persuasione». Il risultato di tutto ciò è stato «prima l’indebolimento del potere e poi la privazione dei diritti civili». Se l’ideologia dominante consiglia ai governi di non garantire più la giustizia sociale, «essi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato», e così «la politica diventa irrilevante per le vite dei cittadini». Al che, il cittadino defraudato dei propri diritti «si rivolge verso un’astiosa anti-politica, dove fatti e ragionamenti vengono sostituiti da slogan». Il risultato di oggi è paradossale, dice Monbiot: proprio la sollevazione popolare contro la “dittatura” del neoliberismo «ha portato al successo proprio quel tipo di uomo che Hayek mitizzava», cioè Donald Trump, ovvero un uomo «che non ha una visione politica coerente, non è un neoliberale classico, ma è la perfetta rappresentazione dell’“indipendente” di Hayek: è il beneficiario di una fortuna ereditata, non assoggettato ai comuni limiti della moralità, le cui rozze inclinazioni aprono nuove strade che altri potrebbero seguire».I pensatori neoliberali adesso «brulicano intorno a questo uomo vacuo, a questo vaso vuoto che aspetta di essere riempito da coloro che sanno bene cosa vogliono». Il probabile risultato «sarà la demolizione di tutto ciò che ancora ci fa onore, a cominciare dall’accordo sulla limitazione del riscaldamento globale». Conclude Monbiot: «Coloro che raccontano storie governano il mondo. La politica è fallita a causa della mancanza di narrative valide. La sfida principale adesso è raccontare una storia nuova, quella di cosa significhi “umanità” nel ventunesimo secolo». Un nuovo “racconto”, dunque, che «deve essere tanto seducente per coloro che hanno votato Trump e lo Ukip, quanto per i sostenitori di Hillary Clinton, Bernie Sanders o Jeremy Corbyn». La psicologia e le neuroscienze riconoscono che gli esseri umani, rispetto ad altri animali, sono al tempo stesso fortemente sociali e fortemente egoisti? Certo, e «l’atomizzazione e il comportamento cinico che il neoliberalismo promuove va contro quasi tutto ciò che caratterizza la natura umana. Hayek ci ha detto chi siamo, e si sbagliava. Il primo passo da compiere è riappropriarci della nostra umanità».Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».