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Bonnal: caos e paura, perché il sistema tifa Marine Le Pen
La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».In un post su “Defensa”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, Bonnal spiega che quello in vista alle elezioni francesi è uno schema classico, ben delinato addirittura da Aristotele, nella “Politica”, quando il grande filosofo scriveva: «Nella democrazia, le rivoluzioni nascono prima di tutto dalla turbolenza dei demagoghi. Per quel che riguarda gli individui, costringono con le loro continue denunce gli stessi ricchi a riunirsi per cospirare; poiché la comunanza di paure avvicina le persone più ostili». E il più grande filosofo dell’antichità puntualizza freddamente, come se avesse previsto la fine del nefasto film: «Per le loro ingiustizie, i demagoghi e i loro complici hanno costretto i cittadini potenti a lasciare la città; ma gli esuli si sono riuniti, e, rivoltandosi contro il popolo, lo spoglieranno del loro potere». Tra i candidati, quello del Front National è «il peggiore, per l’oligarchia mondiale». Ma, proprio per questo, potrebbe diventare “il migliore”, il più utile – a piegare il popolo con le cattive, dopo aver fatto deragliare il lepenismo. «Il carattere pseudo-rivoluzionario della Francia (vedi la presa della Bastiglia) qui sarà usato in pieno: sottomettiamo la Francia e il resto seguirà presto».Per questo, Nicolas Bonnal insiste: «Il sistema ha interesse a far eleggere Marine Le Pen. Il “Bataclan”, se verrà eletta, sarà tale che lei si sottometterà ancora più velocemente del suo modello Trump. Il sistema – continua Bonnal – potrà allora imporre più velocemente la propria agenda terrorista e totalitaria: guerra contro la Russia ribelle, invasione del Sud, abolizione del denaro contante, controllo biometrico, divieto dell’oro, censura della rete». Secondo lo scrittore, «il caos dell’elezione del Fn sarà tale che lo tsunami (che, come si sa, è un metodo di controllo a freddo, come gli attentati, l’effetto serra, i rifugiati) sarà imparabile». Quindi, ragiona Bonnal, «il sistema farà eleggere Marine, la quale ha già dato delle garanzie licenziando suo padre». Questo sarebbe l’obiettivo dell’establishment: «Far scoppiare l’ascesso populista una volta per tutte». Nel suo libro su Trump, pubblicato prima della sua elezione (“Donald Trump, le candidat du chaos”), Bonnal annunciava già la piega che avrebbe preso: «Tutto ci sembra esagerato, falso, quasi squallido. I suoi affari, la sua stessa fortuna sembra gonfiata. Le sue proposte sono nulle, scadenti o neppure degne di nota. Qualche frase interessante e coraggiosa è subito contraddetta. La sua politica è inapplicabile ed è meglio così. Suscita inoltre una tale ostilità all’estero e nei luoghi importanti (televisioni, economia) che rischia di essere rovinato anche prima dell’elezione».Scriveva Bonnal: «Sembra che l’affaire Trump serva come operazione psicologica a livello mondiale». Motivo: «Il sistema ha paura delle folle, e ha bisogno di fare un esempio – mostrando il male». E quindi: «L’accusa di razzismo, di nazismo, di fascismo, di machismo da parte dei media, l’eccesso o il cosiddetto eccesso di Trump, porteranno i loro frutti». Al che, «tutto il piccolo mondo del piccolo bianco frustrato rientrerà nella sua nicchia, come in Francia: sarà “agitato” un’ultima volta prima di “asservirsi” per niente». Bonnal, nel libro, cita il film “Network”, del 1976, sugli anni difficili Nixon-Ford, «più difficili del 2017, poiché c’era un residuo di marxismo e i militanti erano ancora disposti a sacrificarsi per imporlo – oggi invece cliccano!». Scriveva: «Il presentatore televisivo Howard Beale invita i telespettatori a ribellarsi e urlare dalla finestra – cosa che anche lui si affretta a fare. Poi, per far piacere al suo capo, che parla di marchi, di dollari, di rubli, di sicli, di mercato, di capitale, di cifre, di sistema olistico, di natura (il capitale la adora), d’investimenti, della fine dei popoli, di denaro, di “movimenti autonomi dei non-viventi”, predica un vangelo della rassegnazione – e alla fine si fa ammazzare per l’abbassamento dell’indice di ascolto». Quel film «segna il passaggio dalla ribellione alla sottomissione».«Può anche essere che Trump serva anche come esorcismo finale per calmare il risentimento generale americano e organizzare con più calma la bancarotta del paese che è già cominciata, anche se viene descritta raramente», scriveva Bonnal nel suo libro su Trump. «Il fascismo e la militarizzazione degli Stati Uniti descritte da Paul Craig Roberts serviranno a prevenire o schiacciare completamente tutte le ribellioni, da qualunque parte provengano. Sembra proprio che anche in Francia si stia prendendo la stessa strada». Oggi, lo scrittore conferma: «Sì, far montare il pericolo Fronte Nazionale e anche far eleggere Marine è la cosa migliore che possa succedere al sistema. La finanza e il mercato immobiliare crollati in tempi brevi serviranno ai malvagi. Sappiamo dove conduce l’ottimismo dell’antisistema (Cuba? Caracas?)». Bonnal, citando Aristotele, la definisce una tattica, «una semplice operazione di compattazione», che non mai è cambiata in migliaia di anni. Il popolo ne ha abbastanza dell’élite? Giusto. Solo che le élite «lasciano che un populista arrivi al potere, poi lo liquidano – a meno che non lo assecondino, come nel caso ben noto del caporale boemo». E conclude: «Ridiamo, siamo in buona compagnia».La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».
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Web, 10 milioni di voci libere: ecco perché il Ddl Gambaro
Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.Alle Nazioni Unite, per esempio, sin dal 1995 si pose la questione delle norme nel web. Dieci anni dopo – a seguito del debutto di YouTube, nel 2005, e poi di Facebook – una delle agenzie Onu, la International Telecommunications Union di Ginevra, cominciò a convocare tutti i soggetti interessati agli Igf, “Forum sulla Governance di Internet”. Proprio ieri si sono avviate le prime consultazioni dell’Igf 2017 a Ginevra e i lavori, in questo momento, sono in corso. Quali sono le aspettative e i risultati dopo 12 anni di incontri? Scarsi. Perché? Per tanti motivi. La materia è in costante progresso, coinvolge centinaia di trattati internazionali e contrappone gli interessi dei governi (e dei militari) a quelli dei mercanti e a quelli dei popoli. I mercanti non amano il metodo di voto dell’Onu dominato dalla presenza dei governi, quindi rallentano e impediscono le decisioni in nome della libertà di commercio e della frenetica innovazione tecnologica, e hanno fatto adottare all’assemblea il sistema multi stake holder. Questo modello di misurazione delle volontà riconosce agli stake holders, ovvero i portatori di interessi, pari peso e dignità.Chi sono gli stake holders? Governi, aziende (sia commerciali che tecnologiche), accademie e la società civile. Quindi, quando si tratta di decidere rispetto alla governance di Internet, un governo ha pari peso e dignità di una multinazionale. È così. Al tavolo è chiamata ad esprimersi anche la società civile, ma le sue rappresentanze non hanno fondi e spesso sono organizzate in grandi sigle internazionali che vivono ufficialmente di donazioni, ma in realtà sono interlocutori senza voce mossi da lobbisti occulti. Risultato? A parte qualche modifica dell’Icann – l’anagrafe planetaria del web, voluta dal ministero del commercio Usa, che attribuisce nomi e domini – ciò che si è ottenuto in 12 anni è stato solo il mantenimento e l’esaltazione del dialogo. Un risultato apprezzabile – dicono i liberisti – che ha consentito alla Rete di crescere, espandersi e di non spezzarzi in “N” tronconi: una rete cinese, una araba, una occidentale e così via. È così! Lo stato del dibattito è molto alto e vivace, durante gli Igf, ma non si arriva a nulla se non a fotografare ciò che i giganti del web modificano incessantemente a loro vantaggio. In sostanza la Rete (di tutti) è nelle salde mani di pochi, cosiddetti Over the Top, che ne fanno ciò che vogliono. È strano che i firmatari del Ddl Gambaro non lo sappiano.Passiamo all’Europa. Nel nostro continente le istituzioni preposte alla creazione di regole per il web sono apparse molto distratte, che strano!, e hanno tollerato l’insediamento dei giganti in territori fiscalmente agevolati e deregolati, quali l’Irlanda e il Lussemburgo, fino ad accorgersi recentemente che: 1) i giganti Over the Top, guarda caso, tutti originati in Usa, non pagano in Europa le tasse che dovrebbero. Secondo “Forbes”, nel 2016, si tratterebbe di cifre comprese tra 50 e 70 miliardi di euro/anno sottratti al fisco da quegli stessi soggetti ai quali qualcuno vuole affidare il controllo delle “fake news” in Rete. Strano anche questo. 2) L’Europa si è accorta anche che la Rete può essere la sede di attività losche e violente. In qualche anno si è passati dall’indignazione per gli schiaffoni in classe filmati e caricati su YouTube, alla scoperta del traffico di organi nel cosiddetto deep web e dei siti che organizzano stragi. A quel punto le istituzioni europee hanno cercato di correre ai ripari, ma non risulta che ci sia alle viste un testo di norme condivisibile da tutti gli Stati membri, pertanto ogni governo locale sta agendo in modo autonomo e diverso dagli altri.La vicenda del Ddl Gambaro si inscrive in questa scena. Poco più di un mese fa, il 25 gennaio 2017, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un organismo internazionale privo di poteri e che non ha niente a che fare con il Consiglio Europeo, ha approvato il rapporto “Media online e giornalismo: sfide e responsabilità”, presentato dalla senatrice Gambaro. Obiettivo: promuovere la disciplina dell’informazione online come avviene per quella offline, usando gli strumenti già a disposizione negli ordinamenti giuridici nazionali… e consentendo ai giganti del web l’uso di selettori software (algoritmi) per «rimuovere i contenuti falsi, tendenziosi, pedopornografici o violenti». La senatrice è tornata a casa con questa missione e che ha fatto? Il 7 febbraio ha presentato un Ddl al Senato che: ha molto poco a che vedere con il suo rapporto presentato al Consiglio d’Europa, in cui si disegnava una scena ben più ampia e complessa; sembra scritto da sacerdoti della Verità di Stato; utilizza gli ordinamenti giuridici nazionali soprattutto in chiave di repressione locale; adombra infine un sogno: la soluzione è il rilancio di un immenso Ordine dei giornalisti, disclipinati da una legge di 60 anni fa!Il ruolo e le responsabilità dei giganti del web non vengono mai menzionati. Strano! Eppure, lo sanno tutti, i maggiori players della vicenda Internet sono un drappello di corporations targate Usa. Tra queste: Google-YouTube (confluita in Alphabet), Facebook, Amazon, e-Bay, Yahoo, PayPal. Ognuno di loro, è stato ampiamente dimostrato, chi più chi meno, lavora alacremente a raccogliere Big Data e li passa poi ai pubblicitari e ai servizi segreti. Addirittura, per legge (il Patriot Act), li passa alla Nsa statunitense. Queste sono le loro principali ragion d’essere. Il loro ruolo, dopo una stagione di seduzione, di promesse di libertà di espressione e di uguaglianza e dopo la nascita dei social network, si è rivelato per quello che è: sono megastrutture “pompate nelle Borse”, grandi evasori fiscali, al servizio dei mercanti globali, alleate con alcuni governi e in guerra con altri. Il loro fine ultimo è concedere visibilità in cambio della gestione e del controllo della privacy, degli spazi pubblicitari e dell’e-commerce. In pochi anni hanno mutato la vita sociale, la produzione della cultura, il commercio, e hanno creato stili di vita sempre più uniformi.Grazie all’immenso fenomeno dei “contenuti generati dagli utenti”, ai sistemi di cross selling in rete, all’impero delle carte di credito, l’alleanza Ott–mercanti, a partire dal 2009 ha prodotto enormi risultati. Tra questi è rilevante l’avvenuta sudditanza dei media mainstream al potere, che era già in latenza ma si è conclamata, grazie alla sottrazione di risorse pubblicitarie che sono state destinate al web. Oggi nessun editore è ormai più indipendente, tutti vengono usati a sostegno della visione di potere… e forse questo è anche il motivo per cui il Ddl Gambaro li esclude dalle sanzioni? E arriviamo ai “contenuti generati dagli utenti”, i Cgu (blogs, pagine Fb, canali Yt). Credo sia la prima volta che vengono menzionati con tale dicitura – all’articolo 8 – in un Ddl. Le sanzioni e le pene sono pensate soprattutto per loro. Questo imponente fenomeno che coinvolge nel mondo 2 miliardi di utenti solo su Fb e Yt, riguarda in Italia 50 milioni di accounts. E di questi il 10% è considerabile “antagonista”. Il fenomeno non è mai stato analizzato a fondo da giuristi, economisti e politici. I Cgu hanno scardinato negli ultimi 12 anni alla radice la comunicazione di massa e quindi anche la politica e il costume. Ma ora si stanno rivelando un boomerang. Perché?Avendo ridotto di molto l’autorevolezza dei media tradizionali ed essendosi sostituiti ad essi in occasioni altamente strategiche grazie a testimonianze scritte e filmate imprevedibili e non controllabili, i Cgu hanno consentito la misurazione di una mente collettiva tumultuosa, non conformista, populista e non riconducibile alla divisione classica destra/sinistra. Però molto reale, attiva e determinante per l’organizzazione del consenso non solo elettorale (vedi Brexit, No alla riforma costituzionale, Trump e il dibattito su Europa matrigna, euro, signoraggio bancario, debito predatorio). Quindi il potere cerca di correre ai ripari. La domanda è: perchè non c’è stato il setaccio alle origini? Perchè non ci doveva essere. Almeno nella fase in cui gli Ott hanno usato i Cgu per raggiungere alcuni obiettivi prima impensabili, tra i quali la sudditanza generalizzata. Per diventare sudditi e partecipare all’orgia digitale bastava e basta un semplice “I accept”… “Io accetto le norme di chi mi ospita”. Oggi, però, su pressione di alcuni governi e potentati, gli Ott stanno cominciando a “setacciare”… tanto, gli obiettivi delle origini sono per loro stati raggiunti, i Big Data sono stati accumulati, la pubblicità ingannevole dilaga a costi minimi per gli inserzionisti; il mainstream è asservito, centinaia di milioni di umani vengono veicolati all’acquisto di merci e servizi di massa, globalizzati e inquinanti. I mercanti hanno vinto, ora “selezionano” le truppe digitali che appaiono non ossequiose.Accenniamo ora all’evanescente concetto di “fake news”, bufale, notizie vero/falso… questo tipo di comunicazione esiste da sempre (dai tempi di Nerone, dai tempi di Giordano Bruno). La novità è che la rete è un enorme amplificatore di tutto, quindi anche di “fake news”, le sue caratteristiche di velocità e ubiquità e possibile anonimità, la rendono una dimensione in cui il vero e il falso possono coincidere nello stesso spazio tempo. Questo determina aspetti politici e sociali inaspettati. Quando il potere planetario, organizzato nelle sue diverse aree di influenza, nonostante abbia sottratto sovranità ai governi locali, si accorge che i media al suo servizio non sono in grado di raggiungere un’organizzazione del consenso per esso soddisfacente; quando si accorge che esistono sacche quali Wikileaks e Anonimous e milioni di Cgu che sono incontrollabili e destabilizzanti, il potere planetario si innervosisce e tira le orecchie ai governi locali lanciando una semplice parola d’ordine, “meno libertà e più controllo… datevi da fare, ognuno sul proprio territorio”. E così si mette in moto la macchina del controllo e talvolta, come nel caso del Ddl Gambaro, va fuori strada e diventa la macchina della repressione.I firmatari tentano di addolcire la pillola con le proposte di alfabetizzazione e promozione dell’uso critico dei media online. Bene! Oltre che nelle scuole secondarie (se mai la faranno) la facessero in prima serata sulle reti Rai, visto che tanto paghiamo sempre noi. Ma diciamoci una verità: perchè il Ddl Gambaro non menziona e reprime le bufale diffuse dalla pubblicità e dai media mainstream? Perchè non controlla e reprime le migliaia di “fake news” che ogni giorno circolano in Rete mascherate da suggerimenti per fare affari nelle Borse? O addirittura per salvare i risparmi di una vita, mettendoli in realtà a rischio? Queste sì che sono fake news destabilizzanti. Eccome! Noi però non possiamo dimenticare che «la democrazia punisce i fatti compiuti mentre è la dittatura che punisce le opinioni».(Glauco Benigni, “I grandi mercanti del web ora vogliono setacciare gli utenti”, da “Megachip” del 3 marzo 2017. Benigni è presidente di Wac, Web Activists Community).Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.
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Craig Roberts: pazzi criminali, spingeranno Trump in guerra
Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».Sconsolato, un osservatore come Patrick Lawrence dichiara: «Le luci su di noi stanno oscurando. Siamo stati abbandonati da una stampa che si dimostra incapace di informarci in modo disinteressato. Sia i media “liberal”, clintoniani, che i giornali e le emittenti, sono servi del potere». Restano i media “alternativi”, aggiunge Craig Roberts sul suo blog, ma sono tutti sotto attacco: Rt, Usa Watchdog, Alex Jones, Information Clearing House, Global Research, Unz Review. «A quanto pare, Alex Jones sta già avendo problemi con Google», e centinaia di altri siti web sono in difficoltà: pagine rimosse, articoli non più indicizzati, perdita dei banner pubblicitari. «Come dicevano i nazisti, tutto quello che serve è la paura: portare il popolo al collasso», scrive Craig Roberts, secondo cui «la presidenza di Trump è effettivamente finita: anche se gli sarà permesso di rimanere in carica, a comandare sarà lo Stato Profondo». Trump si è già arresto alla linea del Pentagono: ha detto che la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina, mentre in realtà è la Crimea che è tornata, da sola, alla Russia. In più ha respinto una nuova limitazione delle armi strategiche, il trattato Start con la Russia, affermando che vuole la supremazia Usa negli armamenti nucleari, non la parità.Dopo appena un mese alla Casa Bianca, scrive Craig Roberts, l’obiettivo di Trump è già cambiato. Nuove tensioni in vista con la Russia, e non solo: «Ci sono piani per occupare parte della Siria con truppe statunitensi, al fine di evitare che la Siria riesca a riunificarsi con l’aiuto della Russia, come segnala “Global Research”». Il piano di smembramento che Trump approverebbe? Parte della Siria andrebbe alla Turchia, un’altra parte ai curdi, mentre una porzione di territorio siriano finirebbe sotto in controllo militare Usa, in modo che Washington possa «mantenere le turbolenze in corso per sempre». Una catastrofe, per Putin, che contava su Trump per eliminare l’Isis. «E’ difficile capire se il nuovo regime Trump è più iranofobico o russofobico: l’inclinazione è quella di buttare a mare l’accordo con l’Iran, riaprendo il conflitto con Mosca, oltre che con la Cina». Certo, osserva Craig Roberts, «è strano vedere i “liberal-progressisti” di sinistra alleati con i guerrafondai contro Trump. E’ come tirare fuori l’Armageddon nucleare dalla tomba in cui l’avevano sepolto Regan e Gorbaciov». Così, oggi, «la sinistra americana chiede l’impeachment del presidente il cui obiettivo era migliorare le relazioni con la Russia».In politica interna, l’obiettivo di Trump erano i posti di lavoro per la classe operaia? Il problema «lascia fredda la sinistra», che vuole solo «distruggere il “deplorevole” Trump», demonizzato come «razzista, misogino, omofobo». Chi poi si oppone «all’ideologia neo-conservatrice che sta guidando la politica estera Usa verso l’egemonia mondiale», viene bollato come «agente di Putin». Aggiunge Craig Roberts: «Il motivo per cui c’è ancora vita sulla Terra dopo più di mezzo secolo di armi nucleari è che i presidenti americani e leader sovietici hanno lavorato insieme per ridurre le tensioni. Nel corso di questi decenni, ci sono stati numerosi falsi allarmi di missili Icbm in arrivo. Tuttavia, perché le leadership di entrambi i paesi stavano lavorando insieme per evitare il conflitto nucleare, gli avvertimenti sono stati creduti sia dai sovietici che dagli americani». Oggi invece la situazione è molto diversa. Gli ultimi tre presidenti degli Stati Uniti, scrive Craig Roberts, «hanno fatto gli straordinari per aumentare le tensioni tra le due potenze nucleari». Oggi, poi, «si è lavorato per convincere il governo russo che quello di Washington sia completamente inaffidabile». Le storie sui collegamenti “russi” di Trump «sono così ovviamente false da essere ridicole, ma i russi stanno vedendo che, nonostante la falsità delle accuse, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump è caduto, e Trump stesso potrebbe essere il prossimo».In altre parole, conclude Craig Roberts, i russi «stanno osservando che in America i fatti non sono rilevanti per i risultati». L’avevano già capito dopo «le bugie su Putin, l’Ucraina, la Georgia, e le intenzioni russe verso l’Europa». Putin è abitualmente chiamato “delinquente”, “assassino”, “il nuovo Hitler” dai politici americani, dalle “presstitutes” della stampa e da Hillary Clinton. Generali del Pentagono descrivono la Russia come «la principale minaccia per gli Stati Uniti», mentre «comandanti della Nato affermano che l’esercito russo potrebbe occupare i Paesi Baltici e la Polonia in qualsiasi momento». Sono accuse deliranti, «prive di senso», che però «suggeriscono ai russi l’idea che l’Occidente stia preparando le sue popolazioni per un attacco alla Russia». In una situazione simile, come si farà a riconoscere eventuali falsi allarmi? Come potranno mantenere i nervi saldi, gli americani «convinti che Putin e la Russia siano l’incarnazione del male»? E i russi, a loro volta, come potranno pensare che gli americani non facciano sul serio? «Questo è il rischio estremo», conclude Craig Roberts: l’Armageddon, pericolo al quale «hanno esposto la vita sulla Terra». Loro, naturalmente: «I neoconservatori folli, gli idioti, l’avido complesso militare e di sicurezza, i liberal-progressisti di sinistra e generali aggressivi. E le poche voci di avvertimento vengono liquidate come “agenti russi”».Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».
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La caverna dei 7 ladri: Gelli, il Pci e il tesoro di Jugoslavia
Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.Il giovane re Pietro volle però che il tesoro della corona fosse nascosto nelle grotte del monastero del patriarca Gavrilov, sul monte Ostrog. Tenne per sé 15 milioni di dinari per le spese personali e per la fuga. Intanto il 17 aprile l’Italia con le divisioni Centauro, Messina e Marche, occupa l’intero Montenegro, e improvvisamente, il piano del governo jugoslavo e dell’ambasciatore inglese per imbarcare il tesoro, diventa impraticabile. Entrano in scena i servizi segreti militari italiani. Il generale Mario Roatta localizza l’oro jugoslavo attraverso il generale Riccardo Pentimalli, comandante della divisione Marche, e fa piantonare la caverna. Entra in scena Licio Gelli, che all’epoca è in Jugoslavia al seguito di un ex federale di Pistoia, Luigi Alzona, diventato rappresentante del Servizio Informazione Militari (Sim). E’ proprio Gelli a proporre l’idea di un falso treno ospedale diretto a Trieste, per trasportare il tesoro jugoslavo. Con questo stratagemma il tesoro raggiunge l’Italia, i cinque vagoni che lo trasportavano furono parcheggiati in un binario morto dopo la stazione di Trieste. Lì, Alzona e Gelli lo consegnarono ad altri agenti del Sim.A questo punto, il bottino si divise: otto tonnellate d’oro furono consegnate alla Banca d’Italia, le altre per la maggior parte furono nascoste dagli stessi funzionari della Banca d’Italia in varie località segrete, dove restarono fino alla liberazione di Roma sotto il controllo del governatore Azzolini, di Roatta e di Pentimalli. In questo quadro si inserirebbe un incontro tra Licio Gelli e Palmiro Togliatti, nella sede romana del Pci, dove Gelli sarebbe giunto scortato da tre ex partigiani comunisti, incaricati dal Cln, al comando di Bruno Tesi. Perché ci sarebbe stato questo incontro? Gelli voleva un appoggio per far sbiadire i suoi trascorsi fascisti? Forse voleva parlare del malloppo jugoslavo, barattando l’informazione con protezioni politiche? Di certo si sa che in questo periodo del presunto colloquio con Togliatti, Gelli ebbe vari contatti con esponenti responsabili del Pci. Nel 1945, via mare e in gran segreto, 27 tonnellate d’oro del tesoro jugoslavo furono restituite a Tito. Solo nel 1947, ufficialmente, furono restituite le otto tonnellate conservate nelle casseforti della Banca d’Italia.Nel frattempo i protagonisti della vicenda dell’oro jugoslavo, Roatta, Pentimalli, Azzolini e Gelli, approdano con pochi danni dal regime fascista a quello democratico. La scure dell’epurazione non colpì nessuno dei quattro protagonisti, che alla fine furono tutti riabilitati nel secondo grado di giudizio, perché “ingiustamente” condannati. Secondo Gianfranco Piazzesi, autore del libro “La caverna dei sette ladri” (Baldini & Castoldi, 1996), dopo l’incontro con Togliatti, Gelli poté entrare nell’isola della Maddalena sotto la tutela degli americani, dove lo raggiunse la moglie e il resto della famiglia, tutti al sicuro da eventuali vendette partigiane. Il suo iter giudiziario fu davvero poco drammatico. Fu spedito nelle carceri di Cagliari e di Napoli. A Regina Coeli, poi, condivise la cella con Junio Valerio Borghese, il principe nero, ex comandante della X Mas. Nel 1947 fu in carcere a Pistoia, poi a Firenze con l’accusa di collaborazionismo. Nel 1947 Togliatti, ministro della giustizia, promulga l’amnistia, dalla quale sono esclusi solo i colpevoli di sevizie particolarmente efferate. Gelli ha collaborato con i nazisti, ma si è fatto anche vedere a fianco dei partigiani e i documenti del Cln sono tutti a suo favore. Gelli rientra a pieno titolo nei casi previsti dall’amnistia. E il tesoro? Oltre venti tonnellate d’oro restarono in mani misteriose.(Lara Pavanetto, “La caverna dei sette ladri, ovvero come l’esercito italiano trafugò l’oro jugoslavo grazie a Licio Gelli. Cattaro 1941”, dal blog della Pavanetto, 5 ottobre 2014).Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.
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Se l’Italia cambia padrone, qualcuno la sta “sovragestendo”
«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».Cambiano i musicisi, non la musica. Renzi? «Pur dicendosi “di sinistra” ha bussato per anni, inutilmente, alle porte della super-massoneria conservatrice», afferma Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”. Non gli è stato aperto: «Persino Napolitano si è rifiutato di fargli da garante». Ora, sembra arrivato l’avviso di sfratto: per via giudiziaria, tanto per cambiare. «Via Renzi, è già pronto Di Maio», diceva Carpeoro, mesi fa. Alla luce degli ultimi sviluppi, in effetti, suona meno “strano” l’improvviso voltafaccia di Grillo al Parlamento Europeo, con il rocambolesco abbandono di Farage dopo la vittoria sulla Brexit per tentare di approdare al gruppo centrista pro-euro, in cui milita Mario Monti. Come se il capo dei 5 Stelle avesse voluto inviare un segnale chiarissimo di “affidabilità”, rispetto al vero potere che gestisce l’Europa, l’economia, la finanza. Altro dettaglio, fondamentale: nel “MoVimento”, chi dissente è perduto: condannato alla pubblica esecrazione, e persino – se cambia casacca – invitato a pagare una penale.Impossibile coltivare idee diverse da quelle del Capo: è dunque un esercito di terracotta, quello che domani – tramontato Gentiloni – potrebbe prendere in mano il governo del paese? Tiene ancora banco il refrain dell’“uno vale uno”, ma – beninteso – ammesso che sia allineato con l’unico, vero Numero Uno. In libri come “Il golpe inglese”, scritto con Mario Josè Cereghino, il giornalista Mario Fasanella sostiene che l’Italia sia sempre stata “sovragestita” da poteri esterni, stranieri, economici e finanziari. Lo stesso Jobs Act, rivela Paolo Barnard, è stato scritto – due anni prima dell’adozione, da parte di Renzi – dalla potentissima “Business Europe”, think-tank che “detta le leggi” alla Commissione Europea. L’Italia politica è nel caos: il Pd si spappola, Renzi è sotto attacco (il padre indagato, nell’inchiesta che sta coinvolgendo il ministro Lotti e altri renziani) e i 5 Stelle che serrano i ranghi, dichirando guerra al dissenso interno: come se si stesse avvicinando una grande burrasca (le elezioni francesi, la Le Pen, l’euro che vacilla insieme all’Ue). Serviranno “soldati”, addestrati a obbedire? E nel caso, a chi? Chi sta “sovragestendo”, oggi, la palude italiana?«Renzi finirà asfaltato dai No, e il suo successore lo stabilirà il Vaticano», disse, mesi prima del referendum, il “profeta” Rino Formica, già ministro socialista nella Prima Repubblica. Bingo: Paolo Gentiloni è discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, “nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata”, storicamente al servizio della Santa Sede. Dai media mainstream, sempre lontani anni luce dalle “fake news” (leggasi: notizie scomode) contro cui si sta abbattendo l’offensiva di Laura Boldrini (una legge speciale per imbavagliare il web, come se già non esistessero leggi a tutela dei cittadini diffamati), è impossibile ricavare analisi di scenario, oltre alla piccola agenda tattica di partiti e leader. Chi sta “sovragestendo” il paese, oggi, a parte il Vaticano che sicuramente “apprezza” Gentiloni? Carpeoro è pessimista: «Non emerge un piano-B che contesti l’attuale sistema, in base al quale, perché noi si stia meglio, qualcuno deve per forza stare peggio». Unico spiraglio: «La base elettorale dei 5 Stelle, animata da forti motivazioni etiche».Più ottimista invece Magaldi, che dopo aver segnalato (mai smentito da nessuno) la presenza di D’Alema, Napolitano, Monti e Padoan nella super-massoneria oligarchica, responsabile della globalizzazione antidemocratica, privatizzatrice e mercantilista, oggi scommette sul collasso del Pd, che «darebbe fiato a nuove istanze progressiste e democratiche finalmente autentiche», archiviata la “finta sinistra” che ha svenduto il paese ai potentati economici stranieri precipitando l’Italia in questa crisi senza fine. Troppo ottimista, Magaldi? Da più parti si fa notare il ritorno della “giustizia a orologeria” denunciata per anni da Berlusconi: l’inchiesta che lambisce Renzi coincide alla perfezione con il calendario della condanna in primo grado dell’alleato Verdini. Sembra un messaggio all’ex premier, mai accolto nel “salotto buono” in cui siedono molti altri italiani, da Mario Draghi a Emma Marcegaglia. Il caos cresce, e del Piano-B (restituire sovranità finanziaria a un governo finalmente eletto, autorizzato a investire denaro pubblico per produrre occupazione) non c’è neppure l’ombra.«Matteo Renzi è un politico finito. Ha deluso tutti, non ha mai rispettato la parola data: a Bersani, Letta, Berlusconi». Ora ha anche tradito l’impegno preso con gli italiani, a cui aveva promesso di sparire dalla circolazione in caso di sconfitta al referendum. Che il “rottamatore” fosse al capolinea lo diceva, prima ancora del 4 dicembre, l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che illumina oscuri retroscena del potere italiano, «sovragestito dalla P1», struttura-ombra (mai denunciata da nessun altro) che sarebbe il vero “dominus” delle trame di palazzo, attraverso personaggi come il politologo americano Michael Ledeen, che Carpeoro presenta come esponente di vertice della super-massoneria reazionaria, anche affiliato al B’nai B’rith, cellula massonica super-segreta controllata dal Mossad. Per Carpeoro, Ledeen avrebbe “gestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». La tesi dell’avvocato: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone».
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Ecco perché Steve Jobs non lasciava usare l’iPad ai suoi figli
Un articolo pubblicato sul “New York Times” nel 2014 ha rivelato che il fondatore dell’Apple, Steve Jobs, insieme ad altri dirigenti di società tecnologiche, limitava ai propri figli l’utilizzo di dispositivi elettronici fino a proibirli. Secondo il giornale, in una delle sue interviste, Jobs affermò che i suoi figli non avrebbero utilizzato, una delle sue creazioni più popolari, l’ iPad. «Cerchiamo di ridurre al limite la quantità di tecnologia che i nostri figli possono usare a casa», ha detto il fondatore del colosso informatico. L’articolo rivela che un numero significativo di amministratori delegati di aziende tecnologiche, come Jobs, vivono secondo regole del tutto diverse da quelle suggerite, alla popolazione americana, dalle loro stesse aziende. Anche il Ceo della 3D Robotics, azienda produttrice di droni, Chris Anderson, ha il controllo totale sull’utilizzo di qualsiasi “gadget” dei suoi figli. Spiega questa sua scelta educativa perché ha vissuto «in prima persona i pericoli della tecnologia». «Non voglio che i miei figli passino la stessa cosa», ha confessato.Il fondatore di Twitter, Blogger e Medium, Evan Williams, e sua moglie, Sara Williams, per esempio, hanno regalato ai loro due bambini centinaia di libri che possono leggere quando vogliono invece che un iPad. Walter Isaacson, l’autore di “Steve Jobs”, afferma: «Ogni sera Steve faceva in modo di fare cena nel grande tavolo lungo nella loro cucina, discutendo di libri e storia e una varietà di cose. Nessuno ha mai tirato fuori un iPad o un computer. I bambini non sembrano richiedere per niente di tutti questi dispositivi». Secondo diversi studi clinici, l’utilizzo continuativo di dispositivi elettronici da parte dei bambini può portare a un aumento dei disturbi della vista e del sonno. Inoltre, i ricercatori ritengono che le frequenze wireless per la connessione a Internet usate dall’iPad e da altri tablet possano rappresentare potenziali rischi per la salute ed essere cancerogene.Questi dispositivi possono causare una diminuzione degli scambi tra il nucleo e la membrana cellulare, riducendo poco a poco la differenza di potenziale elettrico della cellula, causando così un malfunzionamento che può generare disfunzioni e malattie. Spesso infatti un luogo, reso insalubre dalla presenza di antenne per la telefonia mobile, di impianto elettrico e di cellulari, ha effetti biologici negativi sulla vita della persona: ne perturba l’energia e l’equilibrio individuale, provocando intolleranze e danni alla salute psicofisica e indebolendola nella sua totalità o funzioni di essa, anche solo in determinati periodi.Tra gli influssi nocivi più comunemente si notano malesseri di pertinenza neuropsicologica come sonno inquieto con frequenti risvegli e incubi, sonno non soddisfacente con sensazione di stanchezza o bassa energia mattutina, risveglio difficile e lungo, insonnia perniciosa, mancanza di concentrazione, stanchezza cronica, ricorrente mal di testa e di schiena, disturbi della colonna vertebrale, depressione atipica, inquietudine non spiegabile, sterilità, tachicardia e ipertensione essenziale, manifestazioni patologiche (senza accertate cause organiche) da sistema immunitario debilitato, emicranie resistenti alle terapie ufficiali frequentemente associate a irritabilità, brividi ed invecchiamento della pelle. Ciò avviene, con ampia variabilità individuale, in base alla sensibilità personale (più esposti sono i bambini e le donne), al livello di soglia di vulnerabilità allo stress e alla somma dei campi elettromagnetici negativi presenti nell’ambiente circostante.(Paolo Zucconi, “Ecco perché Steve Jobs non lasciava usare l’iPad ai suoi figli”; estratto da “Il manuale pratico del benessere”, edizioni Ipertesto, ripreso da “La Crepa nel Muro” il 9 dicembre 2016).Un articolo pubblicato sul “New York Times” nel 2014 ha rivelato che il fondatore dell’Apple, Steve Jobs, insieme ad altri dirigenti di società tecnologiche, limitava ai propri figli l’utilizzo di dispositivi elettronici fino a proibirli. Secondo il giornale, in una delle sue interviste, Jobs affermò che i suoi figli non avrebbero utilizzato, una delle sue creazioni più popolari, l’ iPad. «Cerchiamo di ridurre al limite la quantità di tecnologia che i nostri figli possono usare a casa», ha detto il fondatore del colosso informatico. L’articolo rivela che un numero significativo di amministratori delegati di aziende tecnologiche, come Jobs, vivono secondo regole del tutto diverse da quelle suggerite, alla popolazione americana, dalle loro stesse aziende. Anche il Ceo della 3D Robotics, azienda produttrice di droni, Chris Anderson, ha il controllo totale sull’utilizzo di qualsiasi “gadget” dei suoi figli. Spiega questa sua scelta educativa perché ha vissuto «in prima persona i pericoli della tecnologia». «Non voglio che i miei figli passino la stessa cosa», ha confessato.
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Vietato amare: così Ray Dalio metterà fine all’umanità
Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.Racconta Barnard, straordinario giornalista investigativo: «Lessi in un luogo oscuro una dichiarazione di Ray Dalio che parlava dell’amigdala, cioè della minuta porzione del cervello umano che si pensa gestisca le emozioni. E Dalio ne parlava, a lungo, nel corso di quella che invece doveva essere una nota sui mercati per gli investitori». Warning: «Ma che razza di viaggio lisergico è il gestore dell’Hedge Fund più miliardario del pianeta che invece di parlare agli investitori di spread, tassi, Bull Markets, trends, meccanismi di trasmissione monetaria o Credit Defaults, parla di amigdala cerebrale?». Cliccando sul sito di Bridgewater, si scopre che «lì dentro sta succedendo qualcosa d’indicibile, ma indicibilmente orrendo», perché «spazzerà via tutto ciò che dal 18esimo secolo si è aggregato attorno alla parola lavoro – tutto: leggi, filosofie, diritti, organizzazioni». Ray Dalio? «E’ l’esatto contrario dei suoi omologhi, cioè dei Blankfein, Soros, Fink, Mustier, Cuccia, Agnelli, che, com’è noto, passano o passarono la vita a “giocare a Dio”. Dalio passa la sua vita nella convinzione di essere talmente fallato, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei suoi errori e dei suoi autoinganni potrà portare lui ad essere una Macchina infallibile, e Bridgewater al successo eterno».E infatti, continua Barnard, «Dalio aspira a morire nella carne solo dopo che la sua mente sarà stata trasformata in una Macchina, in una Machine, ma proprio alla lettera, perché Ray sostiene, ripeto, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione degli errori e degli autoinganni, e quindi solo eliminando le falle umane di cui lui e noi tutti siamo zeppi per causa dell’amigdala emotiva, cioè divenendo Machines, si ottiene l’efficiente vittoria perpetua nella competizione». Ma attenti: Dalio non prepara solo la sua mutazione in Machine, ma la mutazione in Machines di chiunque respiri e lavori, e lavorerà. E non solo a Bridgewater. «Dovrà essere trasformato, e per prima cosa non deve avere l’amigdala delle emozioni». Sicché Dalio «non solo prepara, ma ha già pronto tutto il progetto di trasformazione». E qui sta il fatto agghiacciante: «Il mondo che conta, dalla Fiat Chrysler alla General Motors, dalla Sony Corp. alla Carrefour, dall’Eni a Google, da Goldman Sachs a Banca Intesa, lo stanno guardando e… hanno capito. Hanno capito che l’apocalittico disegno di Ray Dalio è un “Money Winner”, cioè vince nella gara dei soldi, e va copiato. Sarà copiato alla stessa velocità con cui si sparge un incendio dopo un anno di siccità».Il virus-Dalio «colerà a pioggia dai colossi dell’impiego ai gruppi minori fino all’azienda nostrana», e quindi «segnerà nella storia dell’umanità la fine del mondo del lavoro così come lo conosciamo, incenerendone ogni diritto o umanità rimasti. E vincerà anche perché il modello Ray Dalio-Bridgewater frantuma la storia del lavoro umano senza violare un singolo diritto sindacale, una singola legge, una singola Costituzione». A chi scrollerà il capo con scetticismo, Barnard ricorda nel 1946, «l’epoca delle radio gracchianti e dei telefoni a rotella», un uomo di nome George Orwell predisse che l’umanità fosse spiata da un Grande Fratello in ogni sua mossa. «Settant’anni dopo Edward Snowden rivelò al mondo che il Grande Fratello Nsa esisteva davvero». E come ci è arrivato, Ray Dalio, a concepire un mondo in cui si possa morire nella carne solo dopo essere diventati «Macchina che aggrega, lima ed elimina i suoi errori e i suoi autoinganni, senza Amigdale emotive di mezzo», anche a costo di perdere per strada i “deboli” come James Comey, ora capo dell’Fbi?La home page di Bridgewater, «che è un mostro di mercati, derivati, profitti, speculazioni mondiali sulle Borse e clienti colossali», è piena di foglie, alberi, magliette, jeans, ragazzi in riunioni rilassate, sorrisi. «Sembra la home di una clinica di psicoterapia, di un famoso centro di riabilitazione psicologica per giovani alcolisti, o tossicodipendenti, o problematici, o emotivamente instabili. Una clinica nel verde sereno. Cosa significa?». Questo, continua Barnard, non è affatto il solito “spin” (bluff) all’americana”. «La risposta è di una facilità sbalorditiva: Bridgewater lo è davvero una clinica, Ray Dalio più che sul denaro oggi lavora sulla psiche, e lì si è sviluppato quello che di certo è il più agghiacciante progetto di robotizzazione della personalità del dipendente nella storia dell’umanità». Oggi, Dalio «non può ancora ordinare al genere umano una modifica del codice Dna che elimini dai cervelli dei feti l’amigdala delle emozioni», ma può già «spegnerla con la sua filosofia applicata», che trasforma l’essere umano in Machine da lavoro. Lo ripete fino all’ossessione: «I cervelli umani sono macchine. Il mondo è una macchina. L’economia è una macchina. Se nutriamo queste macchine con un’immensa mole di dati, se eliminiamo l’emotività che porta a scelte irrazionali in politica ed economia, queste macchine non sbaglieranno quasi più».Questo che appare come un incubo per il futuro di qualsiasi dipendente, osserva Barnard, «sarà adottato alla velocità di un’epidemia da tutti i maggiori datori di lavoro del mondo, e a cascata anche dai medi e dai piccoli, perché è un incredibile “money winner”: credete che John Elkann non lo abbia già assorbito?». Ray Dalio, aggiunge Barnard, ripete ossessivamente i suoi tre mantra supremi: trasparenza, verità radicale, relazioni intense. «Sono tre punture di cianuro studiate con abilità che definire maligna è riduttivo». Ogni componente del pianeta va ridotto a Machine, e la Machine vince, «perché l’accumulo di dati incrociati e analizzati la rende invincibile, dice Ray». L’amigdala del cervello umano, però, mette i bastoni fra le ruote con l’emotività, che “personalizza” i dipendenti. «Essi allora, continua il Credo-Dalio, vanno totalmente spersonalizzati». In che modo? «Si usano pifferai magici che formulino parole e pratiche che incantano: Ray Dalio ne è il maestro». La decantata “trasparenza”? Suona bellissima, ma a Bridgewater «significa che esiste un sistema dove ogni singolo minuto di lavoro in ufficio è filmato e registrato, e tutto ciò è reso disponibile in una videoteca a chiunque nell’azienda, dal barista a Dalio».Il dipendente sa di essere “trasparente” «perché non può nascondere neppure un colpo di tosse di disapprovazione senza che tutta l’azienda possa vederlo». In più, Ray Dalio «ha dato ordine a tutti i suoi dipendenti di sfidare di continuo gli altri con giudizi o polemiche». E questo porta al Dalio-concetto di “verità radicale”: chi lavora sotto monitoraggio, incoraggiato a polemizzare con i colleghi, finisce maciullato «in una pubblica arena giornaliera per ogni respiro fatto e parola detta, in continue riunioni». Di qui le “relazioni intense”. nel Dalio-gergo: «Intense perché ti devastano ogni secondo, e ogni secondo devi poter attaccare o difenderti perché tutta l’azienda ha visto e udito ciò che hai ‘respirato’, detto o registrato in video e audio». Questa psicotizzante pratica, viene detto ai dipendenti, serve loro «per imparare che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei propri errori e dei propri autoinganni li potrà portare ad essere una Macchina infallibile, cioè li porterà al successo eterno che è prerogativa delle Machines. L’amigdala va polverizzata dalla storia, e se possibile dalla biogenetica in futuro. L’emozione è il nemico della Machine e del successo in ogni sfera del vivere. Questo viene detto ai dipendenti».Così Ray Dalio spersonalizza il dipendente, che diventa una Machine «perfetta per i suoi profitti, che fanno record mondiale». E così, domani, «faranno i datori di lavoro di tuo figlio e del figlio di tuo figlio». Il “Wall Street Journal”, tempo fa, scrisse che in realtà a Bridgewater «si udivano singhiozzi convulsi di dipendenti nascosti nei bagni, unici luoghi dove le registrazioni sono vietate». La risposta di Ray Dalio fu: «Talvolta i sentimenti di chi lavora con noi vengono toccati. Ma questo è causato dall’amigdala. La cose non sono come appaiono: i nostri dipendenti vedono le proprie debolezze e si emozionano. Ma poi prendono fiato, si calmano e diventano razionali». Ma i dipendenti, agiunge Barnard, non possono perdere il posto di lavoro, e quindi si adattano. «John Elkann o Benetton o l’imprenditore di Siena lo vedono, hanno questo potere di ricatto sui sottoposti, e capiscono il ‘genio’ di Ray». In più, Bridgewater sta sviluppando un software che riproduce i “princìpi” di Dalio: si chiama di PriOs, «cortesia di David Ferrucci, ex leader del progetto di intelligenza artificiale della Ibm». Profetizza Barnard: «PriOS, alla morte di Ray, diventerà l’amministratore delegato o presidente dell’azienda, supervisionerà ogni singola mossa o voce umana, interagirà sui tablet che i dipendenti sono costretti per contratto a tenere accesi per dirigerli o criticarli o sentire le loro voci, o registrare le loro critiche ai colleghi e trasmetterle a quei colleghi, o correggere le loro voci». Ma sempre secondo i “princìpi” di Ray Dalio: “Tu sei nato Macchina e grazie a questo sei destinato alla perfezione”.E’ un incubo, dice Barnard, che si avvererà presto: «PriOs sarà l’Ad di Fiat Chrysler, di Benetton, di Rizzoli Rcs, di Tods, di Pirelli, di Eni, di Poste Italiane, della Rai e di Mediaset, di Ipercoop. Sarà il tuo datore di lavoro anche a Perugia o Vicenza, Bergamo, Latina, Pescara». Si comincia prestissimo, a studiare per diventare Machine: «Ray Dalio aveva undici anni, 11, quando iniziò a interessarsi di mercati. Oggi è l’uomo più potente del mondo». Non solo per i 150 miliardi di dollari che gestisce ogni giorno, ma «soprattutto perché ha disegnato gli algoritmi che renderanno tuo figlio, e il figlio di tuo figlio, e il figlio del figlio di tuo figlio, degli psicotizzati servi del profitto, privi di amigdala, senza vita di emozioni: perché non si torna a casa dopo 5 o 6 giorni passati così e poi si è capaci di amare. Saranno le Ray-Machines per generazioni». Barnard rivendica di esser stato il primo, in solitudine, a lanciare l’allarme: «Vi avvisai vent’anni fa del Ttip, allora Wto, della globalizzazione, di chi ha pensato al Jobs Act». E chiosa: «Se per caso riesci a sollevare l’encefalo dalla Raggi o da Travaglio, ricordati di queste righe. Ricorda questo nome: Ray Dalio».Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.
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Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti. Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza. Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare? Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista. L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi. Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds. Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna. Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere. Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati. Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi. Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner. Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia. L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo. Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato. I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd. Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa. E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori. Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo. In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari. In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto. Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo. Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato. Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante. Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro. I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica. In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato). Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale. L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile. Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo. I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi. La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale. Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato. Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici. Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra. Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento. Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro. La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale. Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere. La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale. Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo. Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla. Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx. Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
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Craig Roberts: golpe in vista, Trump è già un uomo morto
«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.Il “New York Times” riporta che «le agenzie di intelligence americane hanno cercato di capire se la campagna elettorale Trump era collusa con i russi sulla pirateria informatica o con altri sforzi per influenzare le elezioni». E’ l’offensiva del “Deep State”, che si sta riprendendo il potere. Trump in carcere? «E’ possibile che accadrà proprio questo», scrive Craig Roberts, in un post su “Sputnik News” tradotto da Costantino Ceoldo per “Come Don Chisciotte”. Il prestigioso analista americano, già “editor” del “Wall Street Journal”, ricorda che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il complesso militare e di sicurezza decise che «il flusso di profitti e potere derivante dalla guerra e dai pericoli di una guerra era troppo grande per essere ceduto», consegnato alla tranquillità di in un’era di pace. «Questo complesso ha manipolato un debole e inesperto presidente Truman in una gratuita guerra fredda con l’Unione Sovietica», basata sul nulla: «Fu creata la menzogna, accettata dal popolo americano credulone, che il comunismo internazionale voleva conquistare il mondo». Assurdo: Stalin aveva liquidato Trotskij e tutti gli alfieri della “rivoluzione permanente”, estesa a tutto il mondo, puntando invece sul “socialismo in un solo paese”.Ma l’establishment americano «ha abbozzato e contribuito all’inganno», gonfiando il super-potere dell’apparato militare-industriale fino a preoccupare Dwitght Eisenhower, che nel 1961 – nel suo ultimo discorso – mise in guardia il popolo contro la vocazione eversiva del business della guerra: «Tre milioni e mezzo di uomini e donne sono direttamente impegnati nell’apparato della difesa», disse. «Ogni anno spendiamo per la sicurezza militare più del reddito netto di tutte le società degli Stati Uniti. Questa congiunzione di un apparato militare immenso e di una grande industria degli armamenti è nuova, nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, anche spirituale – si fa sentire in ogni città, ogni Parlamento, ogni ufficio del governo federale». Una necessità geopolitica con «gravi implicazioni», per Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dall’acquisizione di una influenza ingiustificata, visibile o invisibile, da parte del complesso militar-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici».E ancora: «Non dovremmo mai dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza vigile e competente può costringere il corretto ingranamento del grande apparato industriale e militare di difesa con i nostri metodi e gli obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme». Gli avvisi di Eisenhower, osserva Craig Roberts, erano centrati. «Tuttavia, erano basati su “una cittadinanza vigile e competente”, che gli Stati Uniti non hanno. La popolazione americana è in gran parte stupida e si sta dirigendo, in tutto lo spettro ideologico da sinistra a destra, all’autodistruzione». I media, stampa e televisione, che «servono da propagandisti per il potere del complesso militar-industriale e le élite di Wall Street», ormai «si accertano che gli americani non abbiano nulla se non informazioni false ed orchestrate: ogni famiglia e persona che accende la Tv o si legge un giornale è programmata per vivere in una realtà falsa ed orchestrata che serve quei pochi che comprendono l’apparato di governo». L’altro problema? «Trump ha sfidato questo apparato, senza rendersi conto che è più potente di un semplice presidente degli Stati Uniti».Durante il secondo mandato di Obama, la Russia e il suo presidente «sono stati demonizzati dal complesso militar-industriale e dai neoconservatori utilizzando i media “presstitute”», scrice Craig Roberts. «La demonizzazione ha facilitato la capacità dei media “presstitute” controllati, come il “New York Times”, il “Washington Post”, Cnn, Msnbc ed il resto, di associare il contatto con la Russia e gli articoli che mettevano in discussione le tensioni orchestrate tra Stati Uniti e Russia, con attività sospette, forse anche tradimento». Trump e i suoi consiglieri? «Erano troppo inesperti per rendersi conto che la conseguenza del licenziamento di Flynn è stata quella di validare questa associazione orchestrata della presidenza Trump con l’intelligence russa». E ora abbiamo «le puttane dei media e le puttane della politica» impegnate a porre la stessa domanda utilizzata per infangare il presidente Nixon e forzarne le dimissioni: “Che cosa sapeva il presidente e quando lo sapeva?”. Trump sapeva che il generale Flynn aveva parlato con l’ambasciatore russo settimane prima che Trump abbia detto che lo aveva fatto? Flynn ha fatto l’indicibile, parlare con un russo: perché Trump gli ha detto di farlo?I fornitori di false notizie, cioè i grandi media «bugiardi spregevoli», secondo Craig Roberts «stanno usando insinuazioni irresponsabili per intrappolare il presidente Trump in una rete di tradimento». Ecco il titolo del “New York Times”: «Gli assistenti della campagna di Trump hanno avuto contatti ripetuti con l’intelligence russa». Quello a cui stiamo assistendo, insiste l’analista, è una campagna da parte dello Stato Profondo, «che usa le sue puttane dei media per organizzare l’impeachment di Trump». In altre parole, «quelli al lavoro per ribaltare le elezioni presidenziali del 2016 sono così sicuri del loro successo che dichiarano pubblicamente la loro preferenza per un colpo di Stato sulla democrazia». Ad esempio, «il guerrafondaio neoconservatore sionista Bill Kristol ha espresso la sua preferenza per un colpo di Stato». Craig Roberts lo definisce «liberale progressista di sinistra, allineato con l’Uno Percento contro la “razzista, misogina, omofobica” classe operaia, i “deplorevoli” che hanno eletto Trump». In campo anche gli artisti, come «il musicista disinformato Moby», il quale «si è sentito in dovere di scrivere sciocchezze ignoranti su Facebook», per dire che «il dossier russo su Trump è reale», il presidente «è ricattato dal governo russo, non solo per essersi fatto pisciare addosso da prostitute russe, ma per cose molto più nefaste». In più, «l’amministrazione Trump è in collusione con il governo russo, e lo è stata fin dal primo giorno».Aggiunge Craig Roberts: «Ora che Trump è stato contaminato dalle “associazioni con lo spionaggio russo” i repubblicani idioti, secondo “Bloomberg”, si sono “uniti alle chiamate dei democratici per uno sguardo più approfondito sui contatti tra la squadra del presidente Trump e gli agenti dello spionaggio russo», cosa che «indica un crescente senso di pericolo politico all’interno del partito qualora emergessero nuovi rapporti su ampi contatti tra i due». Naturalmente – puntualizza Craig Roberts – non vi è alcuna prova di tali contatti: sono solo insinuazioni, su cui si basa la campagna per deporre Trump. Il licenziamento di Flynn, il generale “sacrificato” nel tentativo di placare le polemiche, ha solo peggiorato la situazione: viene presentato come un’ammissione di colpevolezza, mentre la Cia «continua a passare notizie false alle “presstitute”». Conclude Craig Roberts, amaramente: «Fin dall’inizio ho avvertito che Trump mancava dell’esperienza e delle conoscenze per scegliere un governo che gli stesse accanto e servisse la sua agenda. Trump ha ora licenziato l’unica persona su cui avrebbe potuto contare. La conclusione più ovvia è che Trump è carne morta».Negli Usa, «continua a guadagnare credibilità la tesi di Chris Hedges secondo la quale la rivoluzione è l’unico modo con cui gli americani possono rivendicare il proprio paese». Trump è stato crocifisso alle parole pronunciate alla vigilia delle elezioni, quando disse: «L’establishment di Washington, e le grandi aziende finanziarie e dei media che lo finanziano, esiste per una sola ragione: per proteggersi ed arricchirsi». Questo, aggiunse, «è un crocevia della storia della nostra civiltà che determinerà se noi, il popolo, recupereremo il controllo sul nostro governo». L’establishment politico, il Deep State: «Sta tentando di tutto per fermarci», disse Trump. Ed è «lo stesso gruppo responsabile per i nostri trattati commerciali disastrosi, la massiccia immigrazione illegale e le politiche estere che hanno fatto sanguinare questo paese fino a prosciugarlo». La classe politica «ha portato alla distruzione delle nostre fabbriche e dei nostri posti di lavoro, che fuggono in Messico, Cina e altri paesi in tutto il mondo». Un nemico potentissimo: «Si tratta di una struttura di potere globale che è responsabile per le decisioni economiche che hanno derubato la nostra classe operaia, spogliato il nostro paese della sua ricchezza e messo quei soldi nelle tasche di un pugno di grandi aziende ed entità politiche». Parole a cui oggi lo Stato Profondo sta inchiodando Trump, a colpi di finti scandali mediatici, verso l’impeachment.«Non c’è nulla che l’establishment politico non farà e nessuna bugia che non dirà, per mantenere il proprio prestigio e potere a carico vostro». Parola di Donald Trump, prima delle elezioni. Il guaio è che oggi, pochi mesi dopo il voto, Trump è “un uomo morto”. «Lo sforzo del popolo americano di portare il governo nuovamente sotto il proprio controllo tramite Trump è stato sconfitto dallo Stato Profondo», sentenzia Paul Craig Roberts, viceministro di Reagan negli anni ‘80, già sostenitore critico di “The Donald” e fiero avversario della “falsa sinistra” incarnata da Obama e Hillary, servitori del disegno “imperiale” del complesso militare-industriale, la “fabbrica della guerra”. Per John Schindler, ex spia della Nsa, Trump «morirà in carcere», vittima della «guerra nucleare» che lo “Stato Profondo” gli ha dichiarato. Cia, Pentagono, Wall Street, Fbi, industria degli armamenti. Il “grande nemico”, denunciato dal presidente Eisenhower nel suo ultimo discorso, avrebbe vinto ancora, secondo Craig Roberts: «Donald Trump ha sovrastimato il suo potere presidenziale? La risposta è sì. Steve Bannon, il principale consigliere di Trump, è politicamente inesperto? La risposta è sì». Trump ha sovrastimato le sue forze, ha sfidato il “mostro” e adesso pagherà un prezzo altissimo.
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Spaghetti-Trump cercasi: Emiliano, dopo Salvini e Grillo
I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.Perderà sia le amministrative che l’eventuale referendum sui voucher. Persino le primarie aperte del Pd sono a rischio, da quando l’astuto Emiliano le ha indicate come nuova ordalia antirenziana, invitando a votare tutti coloro, dentro e fuori dal Pd, che vogliano infliggere al Cazzaro la disfatta definitiva. Per le elezioni politiche il Pd avrà quindi comunque disperatamente bisogno d’un altro leader spendibile che riesca nel compito fallito da Renzi: catalizzare il voto anti-establishment per convogliarlo nel principale partito dell’establishment. Di fronte agli elettori del Pd, Emiliano potrà vantare d’essere un oppositore leale che ha cercato di evitare la scissione per il Bene Supremo del partito, e che ora potrebbe ricomporla. Di fronte agli altri elettori, reciterà la sua solita parte di populista verace, che alle ultime regionali gli ha fruttato un vasto consenso trasversale. A prescindere dalla sua riuscita, la strategia di Emiliano per scalare il Pd è un notevole esempio della congenita doppiezza del cosiddetto centrosinistra.Non sono migliori gli scissionisti Dp, che pur continuando a sostenere il governo, progettano di raccogliere voti a sinistra del Pd, per poi rivenderli allo stesso Pd con la Grossolana Coalizione auspicata dal nefasto Scalfari, che va da Brunetta a Vendola in funzione anti-M5S. In realtà ognuna delle loro tortuose manovre avvicina al governo sia Grillo che Salvini. Che la parola “Sinistra” sia preda di certi grotteschi parassiti è una delle ovvie cause dell’avanzata delle destre. La protesta di ambulanti e tassinari inferociti davanti alla sede del Pd dove si celebrava l’ennesimo rituale bizantino è stata la perfetta rappresentazione plastica della situazione. Le bombe-carta che hanno fatto saltare in una pioggia di cocci tutti i vetri della strada non hanno scosso i piddini dalle loro procedure ossessivo-compulsive, che accelerano la rovina che vorrebbero scongiurare. Ma si sa, gli Dei rendono sordi coloro che vogliono perdere.(Alessandra Daniele, “Trump It”, da “Carmilla Online” del 26 febbraio 2017).I più spiazzati dalla vittoria di Donald Trump sono stati quelli che più avrebbero dovuto aspettarsela. Ma si sa, gli Dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere. Da quando il fascistone è diventato presidente degli Stati Uniti, quaggiù s’è aperto il talent per la ricerca del “Trump all’italiana”, lo Spaghetti Trump. Salvini e Grillo sono in pole position da tempo, ma adesso persino il Pd ha il suo concorrente: Michele Emiliano. Nonostante il ruolo di populista di grana grossa che interpreta, però, la manovra con la quale il corpulento governatore della Puglia ha accompagnato fuori dal Pd quasi tutti gli altri antirenziani, suoi concorrenti diretti, per poi non seguirli è stata di rara sottigliezza. Adesso Emiliano è l’unico leader dell’opposizione interna al Pd (Orlando è solo un proxy di Napolitano) e quando Renzi si sarà schiantato definitivamente, potrà ereditare il partito. Renzi è un perdente che continuerà a perdere, a maggior ragione adesso che ha esaurito le cazzate da spacciare.
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Su euro e Nato, battaglie giuste: e a farle è Marine Le Pen
La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.Le motivazioni con le quali allora i comunisti italiani rifiutarono quelle due scelte potrebbero essere usate oggi contro i guasti della moneta unica e contro la folle decisione della Nato di espandersi aggressivamente fino ai confini della Russia. A tale scopo finanziando anche la guerra al popolo del Donbass da parte del governo ucraino infarcito di ministri nazifascisti. Quegli argomenti di allora sono ancora più validi oggi, ma ora non sono più sostenuti dalla maggioranza della sinistra, ma, in Francia soprattutto, dalla nuova destra populista. Che è sempre stata euroscettica, ma spesso, e in contrapposizione alla Ue, Natofanatica. Oggi invece gran parte di ciò che ufficialmente è sinistra in Europa sostiene la Nato, l’euro e l’Unione Europea. E non perché queste istituzioni siano cambiate, né tantomeno migliorate, ma perché è la sinistra stessa che è cambiata e per questo sta scomparendo.Le socialdemocrazie di governo sono state conquistate dalle politiche liberiste, se ne sono fatte complici e le hanno amministrate assieme alla vecchia destra conservatrice e liberale, di cui alla fine sono diventate una variante. Variante sul piano dei diritti civili, non di quelli sociali. Giusto battersi per il diritto al matrimonio tra coppie dello stesso sesso, ma perché contemporaneamente distruggere il diritto al lavoro e la tutela contro i licenziamenti ingiusti? Bene l’Erasmus, per chi può permetterselo, ma perché strangolare finanziariamente la scuola pubblica? E perché privatizzare la sanità e finanziare le banche? La sinistra di governo, proprio quando questa tornava ad essere al centro di tutto, ha abbandonato la questione sociale, che è stata così occupata dalla nuova destra, che nel frattempo rompeva con la sua anima liberale e di governo. Non c’è stata sinora simmetria.Mentre la nuova destra faceva sue antiche parole d’ordine della sinistra radicale – ovviamente storpiandole dentro il suo contenitore di sempre: dio, patria, famiglia – quest’ultima si rifugiava in astratti principi di buona volontà. La resa di Tsipras e Siryza alla Troika e alla Nato ha poi tolto dal campo europeo la possibilità che la rottura a destra avesse il suo immediato corrispondente a sinistra. Podemos in Spagna e il M5S in Italia, seppur partendo da collocazioni differenti, sinora son giunti alla medesima conclusione di non misurarsi esplicitamente con la rottura con euro, Ue, Nato. Rottura che così oggi è diventata ufficialmente un obiettivo della nuova destra. Che pare aver rovesciato a suo favore l’antica parola d’ordine della politica comunista dei fronti popolari antifascisti del secolo scorso: raccogliere, dal fango in cui era stata gettata dalla borghesia, la bandiera della democrazia e della indipendenza nazionale.L’Unione Europea muove scandalo per Trump che vuol concludere il muro contro i migranti iniziato da Clinton, ma poi subappalta quello stesso muro al governo fantoccio libico e a quello autoritario di Erdogan. La delocalizzazione delle fabbriche è seguita da quella degli assassinii di massa dei migranti, restaurando la così più pura tradizione coloniale del vecchio continente. Di fronte alla crisi economica permanente del sistema euro, la Germania propone l’Unione a due velocità, una per sé una per le colonie del Sud Europa, e il governo italiano acconsente. Intanto tutti i parlamenti europei tranne uno, quello tedesco, sono sottoposti ai diktat e agli arbitri della tecnoburocrazia comunitaria. Trump chiede agli europei di pagarsi la Nato, cioè di accrescere le spese e gli interventi militari mentre si distrugge lo stato sociale, e la destra e la sinistra liberale fanno improvvisamente di quell’alleanza militare un baluardo dei diritti umani.Alla base di questi sconvolgimenti politici sta la crisi irreversibile della globalizzazione, non a caso dichiarata dai governi dei due paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti, che quaranta anni fa avevano dato a essa il massimo impulso. Crisi che in Europa sta finora proponendo solo due alternative, quella della rottura da destra e quella della conservazione ipocrita dello statu quo da parte delle vecchie élites e della loro doppia morale. Un’alternativa progressista oggi non è in campo perché gran parte della sinistra è stata condotta in un binario morto da gruppi dirigenti o venduti, o subalterni alla globalizzazione liberista. Persino nell’antagonismo radicale è comparso improvvisamente l’amore per la Ue e speriamo che ora ci sia risparmiato quello per la Nato. La sinistra comunista e anticapitalista, se vuole ancora avere un ruolo e una funzione, deve prima di tutto riprendersi i suoi obiettivi. Fuori dalla Nato, dall’euro e dalla Ue dunque, con ancora maggiore convinzione oggi che questi stessi obiettivi vengono riproposti dalla parte opposta. Solo così la sinistra può ridare attualità al socialismo e competere con, e smascherare il, nazional liberismo della nuova destra.(Giorgio Cremaschi, “Fuori dalla Nato, euro e Ue. Non cambio idea anche se Marine la pensa così”, dall’“Huffington Post” del 6 febbraio 2017).La mia prima manifestazione, oltre cinquanta anni fa, fu contro la guerra degli Usa in Vietnam e uno di primi slogan che ho gridato era: fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia. Non ho mai cambiato idea e non la cambio ora che la candidata presidenziale della destra francese, Marine Le Pen, propone la stessa scelta per il suo paese. Questo non mi fa paura, anzi. Il no alla Nato in Europa è stato sempre una discriminante nel mondo della sinistra. Quelle moderate, socialdemocratiche, di governo, son sempre state schierate con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica. Quelle radicali, comuniste, di opposizione, erano contro. Lo stesso, anche se la memoria storica ricostruita dalle élites ora ha cancellato questa realtà, avveniva contro l’Euro e la sua creatura: l’Unione Europea. Nel 1979 il Pci di Enrico Berlinguer dichiarò la crisi della politica di unità nazionale con la Dc, partendo dal no a due decisioni che avrebbero cambiato la storia del continente: l’istituzione dello Sme, il sistema europeo di cambi quasi fissi che preparava l’euro, e l’installazione di una nuova generazione di missili in Europa Occidentale, missili puntati contro l’Unione Sovietica.