Archivio del Tag ‘Usa’
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Media bugiardi: Trump fa un regalo al mondo, senza volerlo
Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe rivelato al mondo la verità sull’11 Settembre. Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe ristabilito un equilibrio geopolitico mondiale, togliendo alla Russia l’odiosa caratterizzazione di “Stato canaglia”. Molti si aspettavano (e tuttora sperano) che il presidente Trump riveli al mondo la verità sulla correlazione tra vaccini e autismo. Mentre probabilmente nessuna di queste speranze si avvererà fino in fondo, c’è il rischio che Donald Trump porti a termine, senza nemmeno volerlo, la completa demolizione della credibilità dei media mainstream. Trump infatti è talmente impegnato a portare avanti la battaglia per proteggere le bugie che lui stesso si inventa quotidianamente, che senza volerlo sta minando alle fondamenta il ruolo ultracentennale che ha avuto fino ad oggi la stampa di regime: quello di stabilire che cosa fosse “la verità”. Ecco alcuni esempi di come opera Trump. Quando si è inventato che «la questione del global warming è una invenzione dei cinesi per danneggiare la nostra economia», i giornalisti gli hanno chiesto di portare qualche prova di questa sua affermazione, ma Trump ha preferito mandarli al diavolo dicendo che «i giornaslisti non hanno la minima idea di come giri il mondo».Quando Trump si è inventato che la Clinton ha vinto il voto popolare «solo perché 3 milioni di elettori illegali hanno votato per lei», la stampa gli ha chiesto di dimostrare le basi di questa sua affermazione. Ma lui, invece di portare le prove di quello che sosteneva, ha attaccato la stampa dicendo che sono «le persone più disoneste che esistano sul pianeta». Quando Trump si è inventato che Obama ha fatto mettere sotto controllo i telefoni della Trump Tower durante le elezioni, i giornalisti gli hanno chiesto di portare le prove per queste sue affermazioni. Ma lui, invece di portare le prove di quello che sosteneva, ha preferito attaccare giornalisti, definendoli dei «miserabili bugiardi, nemici del popolo americano». Avanti di questo passo, è chiaro che la capacità della stampa mainstream di chiedere conto a chiunque di ciò che afferma si stanno affievolendo rapidamente. Se non riescono a far ammettere ad un presidente che ha detto una falsità plateale sotto gli occhi di tutti, come potranno mai riuscire a farlo in situazioni molto più ambigue e fumose di quelle – clamorose – che hanno visto Trump come protagonista?Negli anni ‘70 infatti, la percentuale di americani che considerava il mainstream media come “fonte affidabile di notizie” era intorno al 70%. Nel 2015, questa percentuale era calata al 40% circa. E nell’autunno del 2016, dopo che Trump aveva iniziato i suoi attacchi sistematici contro la “stampa bugiarda”, tale percentuale era scesa ancora, fino al 32%. E da un sondaggio effettuato dall’Emerson College in febbraio, è risultato che il 49% degli elettori americani ritiene oggi Trump “più veritiero” dei news media, contro il solo 39% che ha invece l’opinione contraria. La cosa paradossale è che, nel momento stesso in cui la stampa viene etichettata come “bugiarda”, la stampa stessa non ha più nessuna possibilità di dimostrare che ciò non è vero. E di certo non l’aiuta l’enorme camera di risonanza costituita oggi dai social media, che tendono sistematicamente a confondere e rendere ancora più fumose certe situazioni già poco chiare. Insomma, il bugiardo che ha deciso di difendere le proprie invenzioni dando del bugiardo agli altri, sta per fare un regalo enorme al mondo intero, senza volerlo: quello di togliere alla stampa mainstream – i veri bugiardi di professione – la autorevolezza e la credibilità di cui fino ad oggi ha goduto. Le conseguenze, da questo punto in poi, possono stare solo nell’immaginazione di chiunque.(Massimo Mazzucco, “Trump sta facendo un enorme regalo al mondo, senza volerlo”, da “Luogo Comune” del 12 marzo 2017).Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe rivelato al mondo la verità sull’11 Settembre. Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe ristabilito un equilibrio geopolitico mondiale, togliendo alla Russia l’odiosa caratterizzazione di “Stato canaglia”. Molti si aspettavano (e tuttora sperano) che il presidente Trump riveli al mondo la verità sulla correlazione tra vaccini e autismo. Mentre probabilmente nessuna di queste speranze si avvererà fino in fondo, c’è il rischio che Donald Trump porti a termine, senza nemmeno volerlo, la completa demolizione della credibilità dei media mainstream. Trump infatti è talmente impegnato a portare avanti la battaglia per proteggere le bugie che lui stesso si inventa quotidianamente, che senza volerlo sta minando alle fondamenta il ruolo ultracentennale che ha avuto fino ad oggi la stampa di regime: quello di stabilire che cosa fosse “la verità”. Ecco alcuni esempi di come opera Trump. Quando si è inventato che «la questione del global warming è una invenzione dei cinesi per danneggiare la nostra economia», i giornalisti gli hanno chiesto di portare qualche prova di questa sua affermazione, ma Trump ha preferito mandarli al diavolo dicendo che «i giornaslisti non hanno la minima idea di come giri il mondo».
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Incubo Fema: fronteggiare 6 milioni di ’superstiti’. Da cosa?
Campi di detenzione e soccorso, scorte di sopravvivenza, decine di migliaia di soldati addestrati alla guerra domestica, antisommossa. E poi enormi concentrazioni di mezzi blindati, caricati su treni. E persino bare multiple, per milioni di persone, dislocate negli Usa. Voci che sul web si riconcorrono da anni e si vanno infittendo, come segnala Gabriele Lombardo, che su “Seven Network” parla della Fema, la Federal Emergency Management Agency, e della «mega emergenza, tra campi, bare, scorte, mezzi e altre stanezze», attorno al presunto iper-attivismo della protezione civile americana. Fonti? Esclusivamente «in rete, tra siti governativi, di protesta contro i campi, e notizie che arrivano da tutti i fronti (compresi video che ci mostrano queste zone con riprese aeree)». Fantasie? Incubi? Nel romanzo “La strada”, Cormac McCarthy mette in scena gli ultimi superstiti di un’umanità livida e pericolosa, devastata da una catastrofe apocalittica. Qualcuno si sta preparando a qualcosa di simile? «Ormai – scrive Lombardo – sono anni che sentiamo parlare di campi di concentramento e detenzione, dell’acquisto di bare a sei posti, di intere aree di cimiteri, di razioni liofilizzate a milioni, mezzi speciali. Ma di cosa stiamo parlando, realmente?».La domanda: «Cosa c’è in moto, e a cosa servono tutti questi preparativi ed accantonamenti di materiale? A cosa servono tutti questi campi e l’approvvigionamento di scorte alimentari e di beni di prima necessità, soccorso, sopravvivenza e via discorrendo?». “Seven Network” individua tre tipologie di “campi” sul territorio Usa: «Il primo tipo, in effetti, come dicono le voci complottistiche, sembra un campo di prigionia classico, il secondo sembra un campo di protezione e il terzo sembra addirittura un agglomerato urbano indipendente». Nel campo di primo tipo, «già visto nei “lager”e “gulag” rispettivamente tedeschi e sovietici», l’area è delimitata da cerchi concentrici di filo spinato militare, invalicabile. Nella seconda tipologia, invece, «non ci sono le sporgenze con il filo spinato dal lato interno, cosa che dimostra che è chi sta dentro a dover essere protetto da chi invece sta fuori dal campo». L’ospite, protetto con torrette e postazioni per mitragliatrici, «non viene considerato un possibile fuggitivo-prigioniero o una minaccia». Nel terzo tipo di campi Fema, poi, non ci sono nemmeno recinzioni vere e proprie. Al suo interno, anziché baracche in legno come nei precedenti, si trovano mezzi bianchi, camper e roulotte, oppure case prefabbricate antivento, anche’esse bianche, dotate di ogni comfort e circondate da canali idrici e aree coltivabili.«Negli ultimi due tipi di campi di cui abbiamo parlato, è presente una struttura centrale fortificata che sembra essere costruita per la difesa urbana estrema, e soprattutto nel caso dei campi di protezione (i terzi descritti), la fortificazione interna sembra poter ospitare per giorni molti civili e militari, dove check-point con tanto di ingressi con sbarre rotanti automatizzate e cemento armato ovunque, impediscono l’ingresso a chi non ha permessi per entrare». Per Lombardo, sembra di osservare «un tipico punto di controllo e smistamento persone delle aree a rischio terrorismo, guerra urbana e rivolte armate, come quelli già visti nello Stato d’Israele o dopo le guerre di Afghanistan e Iraq». Deduzione: «È probabile che i tre tipi di campi abbiano tre scopi differenti», come se il governo avesse «preparato vari tipi di piani di emergenza per tipi differenti di situazione». I documenti di emergenza della protezione civile statunitense contemplano «terremoti devastanti, eruzioni vulcaniche cataclismatiche, attacchi terroristici nucleari, epidemie incontrollabili, pandemie globali, guerra chimica e batteriologica, impatto di una grande meteora, multi-impatto meteoritico, mega-tsunami, black-out totale prolungato, militarizzazione del sistema con legge marziale, impiego dell’esercito per disarmo forzato dei civili, e tanto altro ancora».In effetti, aggiunge “Seven Network”, è possibile che in ogni zona degli Stati americani sotto un unico comando abbiano creato strutture differenti sul territorio per diverse situazioni verificabili, «e questo spiegherebbe in buona parte anche l’incredibile dislocamento e concentramento in punti precisi di mezzi militari, di mezzi da escavazione, di gruppi elettrogeni, potabilizzatori di acqua, e molti altri veicoli». Non va dimenticato che negli Usa ci sono altissimi rischi di cataclisma: uragani, inondazioni e tifoni. Dunque, «alcune procedure del Fema, così come alcuni assembramenti di mezzi, potrebbero essere giustificate». A inquietare, ovviamente, sono i numeri: perché tante bare? «Alcune fonti», sempre su web, «parlano di 500.000 bare da 6 posti ciascuno, ovvero contenitori per tre milioni di corpi», mentre «altre fonti» (non precisate) parlano addirittura di 6 milioni di bare “multiple”, cioè riservate a 36 milioni di corpi. Le classiche “fake news”? Un risvolto non verificabile, né confermato da nessuna fonte ufficiale, riguarda le voci del “sequestro”, da parte dell’esercito, di intere aree cimiteriali. Più precise invece le informazioni sulle bare, in materiale plastico, prodotrte dall’azienda Polyguard & Co che si occupa specificatamente di bare “sicure”, asettiche ed ermetiche, al riparo da infiltrazioni di qualsiasi genere.«Un’altra stranezza assurda – aggiunge Lombardo – è l’acquisto da parte di alcuni Stati americani di ghigliottine automatiche; risulta infatti, da documenti, che alcuni Stati ne hanno comprate per un totale di 200 unità, e questo apre scenari sconcertanti ed enigmatici». Altra “stranezza”, «l’acquisto di migliaia di mezzi antisommossa, e l’addestramento da parte del governo Usa di oltre 30.0000 soldati in guerra urbana». Tra le priorità dell’addestramento ci sarebbero «l’irruzione in casa, il blocco di persone in fuga, il disarmo con uso della forza dei civili, l’abbattimento di persone che minacciano i militari o altri civili con armi, le irruzioni elicotteristiche su circuito urbano e in mezzo al traffico autostradale, il trasporto e la scorta di gruppi di civili con mezzi blindati e treni speciali, l’uso di munizioni ad ogiva forata». “Seven Network” riferisce di esercitazioni a Houston e Los Angeles, dove «gli elicotteri hanno terrorizzato le persone bloccate in autostrada durante un’esercitazione sparando munizioni a salve», nei primi mesi del 2013. «In questi episodi, si simulava un’incursione sopra i civili incolonnati e bloccati in autostrada».Altre esercitazioni si sarebbero svolte «in città degli Stati del Sud», dove i militari in assetto antiterrorismo «irrompevano in abitazioni civili per snidare uomini armati che facevano resistenza». Poi c’è la grande concentrazione di mezzi, cresciuta a dismisura sotto la presidenza Obama: «Le testimonianze di persone che hanno parlato attraverso i media o principalmente divulgato informazioni in rete attraverso foto e video, hanno largamente dimostrato la presenza di mezzi militari antisommossa non solo statunitensi ma anche di altre nazioni in molte città americane, di mezzi militari da difesa e combattimento schierati nel deserto del Nevada e in quello della California, di intere caserme e aree adiacenti a quelle metropolitane». Si parla di «quantità incredibili di pale meccaniche, gruppi elettrogeni, camion da trasporto materiali, ruspe, potabilizzatori d’acqua, mezzi per il monitoraggio dell’inquinamento, per le telecomunicazioni satellitari e tanti altri tipi di velivoli strani ed inconsueti». Quanto all’accumulo di provviste, si stima possa servire a milioni di persone, con anche «kit medici, acqua potabile, coperte termiche, cibo in scatola», il tutto destinato a “superstiti”.Secondo Lombardo, «i campi Fema possono ospitare 42-48 milioni di persone, le bare e le sepolture della stessa agenzia ne possono ospitare 6-36 milioni a seconda del reale numero, le scorte di sopravvivenza sono calcolate per 6 milioni di superstiti, quelle di cibo se consideriamo i 10 giorni di razionamento a persona (tre pasti giornalieri ciascuno come specificato proprio dall’ente governativo) abbiamo pasti per più di 6 milioni di superstiti». Lombardo considera “gonfiato” il numero di persone ospitabili nei campi: «Considerando la quantità di campi presenti negli Stati Uniti e la loro grandezza, e non per ultimo il numero approssimativo di strutture al loro interno, possiamo certamente scendere a circa 6 milioni di persone». E quindi: 6 milioni di superstiti, reclusi-ospiti-protetti, da sfamare e da seppellire? «Sarà solo una teoria strampalata oppure è una concreta possibilità?».Campi di detenzione e soccorso, scorte di sopravvivenza, decine di migliaia di soldati addestrati alla guerra domestica, antisommossa. E poi enormi concentrazioni di mezzi blindati, caricati su treni. E persino bare multiple, per milioni di persone, dislocate negli Usa. Voci che sul web si riconcorrono da anni e si vanno infittendo, come segnala Gabriele Lombardo, che su “Seven Network” parla della Fema, la Federal Emergency Management Agency, e della «mega emergenza, tra campi, bare, scorte, mezzi e altre stranezze», attorno al presunto iper-attivismo della protezione civile americana. Fonti? Esclusivamente «in rete, tra siti governativi, di protesta contro i campi, e notizie che arrivano da tutti i fronti (compresi video che ci mostrano queste zone con riprese aeree)». Fantasie? Incubi? Nel romanzo “La strada”, Cormac McCarthy mette in scena gli ultimi superstiti di un’umanità livida e pericolosa, devastata da una catastrofe apocalittica. Qualcuno si sta preparando a qualcosa di simile? «Ormai – scrive Lombardo – sono anni che sentiamo parlare di campi di concentramento e detenzione, dell’acquisto di bare a sei posti, di intere aree di cimiteri, di razioni liofilizzate a milioni, mezzi speciali. Ma di cosa stiamo parlando, realmente?».
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Rockefeller: il vero potere al comando, dalla fine di Nixon
Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».«Particolarmente la mia famiglia ed io – aggiunge il capostipite della dinastia – veniamo considerati degli “internationalists” e dei cospiratori, insieme ad altri, in giro per il mondo, che vogliono costruire una struttura politica ed economica globale più integrata, “One World”». Pochi, scrive Rappoport in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ricordano che ad opporsi agli albori della globalizzazione fu Richard Nixon, «che aveva cominciato a mettere certi dazi su alcune merci importate negli Stati Uniti, per pareggiare il campo di gioco e proteggere le aziende americane». Nixon, beninteso, «sotto altri aspetti era un vero mascalzone», ma in questo caso «uscì fuori dalle righe e in realtà aprì la via ad un movimento che rifiutava la visione globalista del mondo». Era troppo, per il supremo potere: con Ford al suo posto alla Casa Bianca (e Nelson Rockefeller come vice) si ebbe «il segnale che il globalismo e il libero scambio erano di nuovo in pista». Ma David Rockefeller e il suo assistente, Brzezinski, pretendevano di più: «Volevano un loro uomo alla Casa Bianca e volevano che fossero loro stessi a crearlo da zero. Quell’uomo era un contadino che coltivava arachidi e di cui nessuno aveva mai sentito parlare: Jimmy Carter».Grazie al loro network, Rockefeller e Brzezinski misero Carter sotto i riflettori, così il loro uomo vinse la nomination dei democratici nel 1976 e, dopo la débacle del Watergate, «cominciò a mandare in giro smielati messaggi di amore e di “volemose-bene”, e ben presto arrivò allo Studio Ovale». Appena due anni dopo, passò completamente inosservata un’intervista – in realtà illuminante – realizzata dal giornalista Jeremiah Novak, a colloquio con Karl Kaiser e Richard Cooper, due membri della Commissione Trilaterale fondata nel ‘73. Argomento dell’intervista: chi, esattamente, stesse “dettando” la politica degli Usa, sotto Carter. «L’atteggiamento negligente e distratto dei due della Trilaterale è sorprendente», scrive Rappoport: «Kaiser e Cooper è come se stessero dicendo: “Quello che stiamo rivelando è già alla luce del sole, è troppo tardi per fare qualcosa, perché state ancora perdendo tempo con questa storia? Abbiamo già vinto”». Era così, ma Novak non lo sapeva ancora. E’ vero, domanda ai due, che un “ente privato” (quale è la Trialterale), guidato dallo statunitense Henry Owen e composto da rappresentanti anche europei e giapponesi, sta «coordinando lo sviluppo economico e quello politico» dei paesi interessati? Sì, certo, confermano gli intervistati: «Si sono già incontrati tre volte».Ma allora, insiste il reporter, perché la Trilaterale dice di voler restare “informale”? «Questa cosa non fa paura?». Ma no, smorza Kaiser: è solo per non irritare gli europei di fronte al peso, reale, della Germania Ovest. Aggiunge Cooper: «C’è tanta gente che ancora vive in un mondo di nazioni separate, e ci resterebbe male per questo coordinamento della politica». Come dire: gente che crede ancora alle elezioni, ai governi, alla democrazia. Eppure, ribatte Novak, ormai la Trilaterale «è essenziale per tutta la vostra politica». E dunque, domanda, «come potete cercare di mantenerla segreta, rinunciando a ottenere un sostegno popolare» per le decisioni di politica economica stabilite dalla Commissione? Oh, be’, abbozza Cooper: si tratta di “lavorarci su”, utilizzando la stampa, i media. E passi, concede Novak. «Ma perché allora il presidente Carter non ne parla? Perché non dice al popolo americano che il potere economico e politico è coordinato da una Commissione, la Trilaterale, diretta da un comitato composto da sette persone? Dopotutto, se la politica è gestita a livello multinazionale, la gente dovrebbe saperlo». Ribatte Cooper: «Il presidente Carter e il segretario di Stato, Cyrus Vance, ne hanno fatto costantemente riferimento, nei loro discorsi». Già, conferma Kaiser: «E questo non è mai stato considerato un problema».Dov’era, l’opinione pubblica, mentre tutto questo accadeva? Dov’era la stampa, a parte Jeremiah Novak? «Naturalmente – puntualizza Rappoport – benché Kaiser e Cooper avessero detto che tutti già erano a conoscenza delle manipolazioni fatte dal comitato della Commissione Trilaterale, nessuno ne sapeva niente». Nonostante ciò, «la loro intervista è scivolata sotto i radar dei media generalisti che, deve essere detto, la ignorarono e la sotterrarono. Non divenne uno scandalo del livello del Watergate, benché il suo contenuto fosse ben più scandaloso del Watergate». In realtà avevano “già vinto”: «La gestione della politica e dell’economia Usa era guidata da un comitato della Commissione Trilaterale, creata nel 1973 come “gruppo informale di discussione” da David Rockefeller e dalla sua longa manus, Brzezinski, che divenne poi il “national security advisor” di Jimmy Carter». All’indomani della vittoria alle presidenziali, il braccio destro di Carter, Hamilton Jordan, disse: se Vance e Brzezinski entrassero nella squadra del presidente, io me ne andrei, perché avrei perso. Jordan (che poi però non si dimise) vedeva la Trilaterale come una minaccia: avrebbe messo la Casa Bianca sotto controllo, in barba agli elettori americani.Sono scene che da allora si ripetono, racconta Rappoport: lo stesso Brzezinski, nel 2008, ricomparve come “tutor” di Barack Obama, presentato ufficialmente come outsider assoluto. Nel tempo, il peso della Trilaterale è cresciuto esponenzialmente: il saggista Patrick Wood fa presente che oggi sono ben 87 i membri Commissione che vivono in America. E Obama, aggiunge Rappoport, ne ha nominati 11 in cariche di primissimo piano: per esempio Tim Geithner al Tesoro, James Jones alla sicurezza nazionale, il super-falco neocon Paul Volker all’economia e Dennis Blair alla direzione della National Intelligence. Un altro veterano della Trilaterale, Michael Froman, è stato piazzato sempre da Obama come rappresentante per il commercio, portavoce degli Usa per il trattato globalista Tpp, Trans-Pacific Partnership. Sono uomini che «non vengono messi lì per caso, devono eseguire un ordine del giorno specifico». Donald Trump oggi ripudia quel trattato, ma – avverte Patrick Wood – ha già preso a bordo un esponente della Trilaterale, Kenneth Juster, come vice-assistente presidenziale per gli affari economici internazionali. «I compiti assegnati a Juster lo porteranno nel cuore dei negoziati ad alto livello con governi esteri sulla politica economica», conferma Rappoport. «Vediamo se sarà veramente in linea con le posizioni dichiaratamente anti-globaliste di Trump». Come dire: puoi battere Hillary Clinton, ma non i signori della Trilateral Commission. Quelli vincono sempre, comunque.Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».
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Siberia: quel cratere aperto dal meteorite, pieno di diamanti
E’ rimasto segreto per anni. Eppure un buco di circa 100 chilometri di diametro, creato da un asteroide precipitato 35 milioni di anni fa, è il più grande giacimento di diamanti presente sulla Terra, nonché uno dei posti più inquietanti, scrive Noemi Penna sulla “Stampa”, in un servizio che presenta immagini che «sembrano esser state scattate su un pianeta alieno». Siamo a Popigai, nella Siberia orientale, a 400 chilometri dal primo centro abitato e a un’ora e mezza di elicottero dall’aeroporto di Khatanga. «Questa miniera è stata gelosamente nascosta dai russi per oltre 40 anni. E’ stata infatti scoperta all’inizio degli anni ‘70 ma è stata subito etichettata come “top secret”: durante la guerra fredda l’Unione Sovietica la considerava una “riserva strategica” e solo nel settembre del 2012 la Russia ha ufficialmente dichiarato l’esistenza di questo giacimento inestimabile». Negli anni si sono susseguite numerose spedizioni, ben prima della “ufficializzazione” e dalla “riscoperta” avvenuta nel 2009. I ricercatori dell’Istituto di geologia di Novosibirsk hanno certificato che il cratere contiene trilioni di carati, ovvero centinaia di migliaia di tonnellate: là sotto ci sono abbastanza diamanti da sopperire alle richieste globali per tremila anni.«Non stiamo parlando però di diamanti “tradizionali”: queste pietre preziose risultano infatti due volte più dure rispetto alle altre, hanno una forma tabulare con striature di colore grigio, blu o giallo e vengono definite “da impatto”», scrive Penna. «Si pensa infatti che siano state prodotte dall’onda d’urto dell’asteroide – che aveva un diametro compreso tra 5 e i 7 chilometri – su un grande deposito di grafite siberiano». La pressione d’urto avrebbe in sostanza trasformato la grafite presente nel terreno in diamanti, in un raggio di 13,6 chilometri dal punto d’impatto. «Questo ha fatto sì che il cratere di Popigai custodisca al suo interno una quantità di diamanti almeno 10 volte superiore di tutti i giacimenti presenti sul nostro pianeta finora scoperti». L’enorme cratere siberiano, che «sembra un paeaggio alieno segreto», è il settimo per dimensioni sulla Terra e, ricorda la “Stampa”, è stato designato dall’Unesco come parco geologico. Ma come si è formato, in realtà?Secondo Richard April, professore di geologia all’università di Hamilton, New York, ci sono due spiegazioni principali per la formazione dei cosiddetti “diamanti da impatto”, che si trovano in piccole quantità nei siti dell’impatto da meteorite in tutto il mondo. Una possibilità, scrive “Gaia News”, è che un meteorite cada in una zona ricca di qualche forma di carbonio, come i resti degli organismi viventi: le alte pressioni e le temperature generate dalla collisione sarebbero sufficienti a trasformare il carbonio terrestre in diamante. In un secondo scenario, invece, il carbonio arriva all’interno del meteorite e, allo stesso momento dell’impatto, si fonde trasformandosi in diamanti che si disperdono nel terreno. Secondo April però, nessuno dei due scenari potrebbe creare il numero di diamanti di cui parlano gli scienziati russi. C’è una terza possibilità che, secondo April, che potrebbe spiegare la formazione di così tanti diamanti extraduri nel cratere: è concepibile che il meteorite si sia infilato, come una palla da golf in buca, in un campo di diamanti preesistente. Uno dei “tubi vulcanici di kimberlite”, presenti in Siberia. «E’ possibile che i diamanti si siano ricristallizzati alle alte temperature; questo potrebbe anche spiegare il fatto che ci sono così tanti diamanti». Ma sarebbe la prima volta che gli scienziati assistono ad un fatto di tale portata.E’ rimasto segreto per anni. Eppure un buco di circa 100 chilometri di diametro, creato da un asteroide precipitato 35 milioni di anni fa, è il più grande giacimento di diamanti presente sulla Terra, nonché uno dei posti più inquietanti, scrive Noemi Penna sulla “Stampa”, in un servizio che presenta immagini che «sembrano esser state scattate su un pianeta alieno». Siamo a Popigai, nella Siberia orientale, a 400 chilometri dal primo centro abitato e a un’ora e mezza di elicottero dall’aeroporto di Khatanga. «Questa miniera è stata gelosamente nascosta dai russi per oltre 40 anni. E’ stata infatti scoperta all’inizio degli anni ‘70 ma è stata subito etichettata come “top secret”: durante la guerra fredda l’Unione Sovietica la considerava una “riserva strategica” e solo nel settembre del 2012 la Russia ha ufficialmente dichiarato l’esistenza di questo giacimento inestimabile». Negli anni si sono susseguite numerose spedizioni, ben prima della “ufficializzazione” e dalla “riscoperta” avvenuta nel 2009. I ricercatori dell’Istituto di geologia di Novosibirsk hanno certificato che il cratere contiene trilioni di carati, ovvero centinaia di migliaia di tonnellate: là sotto ci sono abbastanza diamanti da sopperire alle richieste globali per tremila anni.
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De Benedetti: entro 5 anni l’Unione Europea sarà morta
Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.L’Europa “a più velocità”, che incoraggia alcuni paesi a integrarsi più velocemente di altri, è tornata di moda. Questa idea, attraente in special modo per alcune parti dell’Europa occidentale, ha ricevuto sostegno da Jean-Marc Ayrault e Sigmar Gabriel, i ministri degli esteri di Francia e Germania. Un’altra idea è di aumentare la collaborazione nella difesa, in modo che in questo campo l’Ue diventi per gli Stati Uniti un partner più credibile. Al di là di queste proposte relativamente prudenti, alcuni responsabili politici e analisti indipendenti stanno pensando l’impensabile. Un esempio è il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo De Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana. Il report “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: disintegrazione e riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose. Afferma che l’Ue nella sua forma attuale con ogni probabilità va incontro alla decomposizione, anche se dovessero vincere le elezioni di quest’anno politici pro-integrazione come Emmanuel Macron, il centrista indipendente francese, e Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco.«Per il ciclo elettorale 2021-22, l’Ue potrebbe entrare negli ultimi cinque anni della sua ‘reale’ esistenza», dice il report, che considera che le strutture legali formali dell’Unione con sede a Bruxelles potrebbero resistere più a lungo. Il report sostiene che, al di là di shock quali il voto britannico per l’uscita dall’Ue, i trend geopolitici di lungo termine stanno portando l’unione valutaria all’atrofia. Ai confini orientali e meridionali dell’Unione si affacciano molti problemi: l’immigrazione clandestina, Stati prossimi al fallimento, terrorismo, cambiamenti climatici e revisionismo russo. Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno lentamente disimpegnando dall’Europa per focalizzarsi sulla Cina e l’estremo oriente. La Germania non occuperà il posto degli Stati Uniti come potenza egemone di riferimento per l’Europa: non lascerà mai che l’eurozona diventi una “unione di trasferimenti fiscali” e, nonostante le speculazioni riguardo a un deterrente nucleare tedesco, il suo passato nel ventesimo secolo dice chiaramente che né la Germania né i suoi vicini vogliono che essa diventi la potenza militare dominante dell’Europa.La disintegrazione dell’Ue scatenerebbe «i pericolosi demoni nazionalistici del passato europeo», come teme Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga? Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli Stati-nazione, bensì «l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania». Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, «se l’Italia dovesse dividersi», l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi. Questa evoluzione presuppone la disgregazione dell’Eurozona a 19 paesi. I ministri delle finanze e i banchieri centrali europei ci ripetono che questo passo sarebbe devastante per le economie europee e per la stabilità finanziaria globale.Tuttavia, questa prospettiva è in discussione, e non solo nei circoli del partito di estrema destra francese, il Front National, o nel partito anti-estabilishment italiano M5S. Mediobanca, una banca d’investimenti che una volta era l’emblema del capitalismo del nord Italia, a gennaio ha pubblicato un rapporto controverso in cui suggeriva che, in termini di debito pubblico, l’Italia non soffrirebbe particolarmente lasciando l’Eurozona. Il mese scorso il Parlamento olandese ha votato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui pro e contro dell’appartenenza olandese all’Eurozona, una mossa che riflette la frustrazione nei confronti della politica di tassi ultra-bassi e del programma Qe della Banca Centrale Europea. Nel valutare il futuro dell’Europa, questi sviluppi vanno presi attentamente in considerazione – forse più attentamente del “libro bianco” di Juncker.(Tony Barber, “L’Europa inizia a pensare l’impensabile, smantellare l’Eurozona”, dal “Financial Times” del 3 marzo 2017, articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.
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L’oleodotto dei Sioux finanziato anche da Intesa Sanpaolo
Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.«I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico. I Sioux stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. La loro protesta è stata spesso contrastata con metodi brutali». A fine 2016 i Sioux hanno chiesto di poter incontrare gli istituti bancari che finanziano, a diverso titolo, il progetto. Gli appelli sono caduti quasi tutti nel vuoto. «Il 10 gennaio era la data limite per dare una risposta e le cose sono andate così: quattro banche hanno rifiutato l’invito (Bayern Lb, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Suntrust), sei non hanno risposto (Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Bbva Compass, Icbc, Intesa Sanpaolo, Natixis e Sumitomo Mitsui Banking Corporation) mentre sette banche hanno accettato di incontrare le tribù (Citi, Crédit Agricole, Dnb, Ing, Société Générale, Td e Wells Fargo)».Tra le azioni intraprese dai Sioux e dagli attivisti che li sostengono c’è anche una campagna per invitare al “divestment” dagli istituti che finanziano il Dapl. Nelle scorse settimane uno dei finanziatori del progetto si è tirato indietro. L’olandese Abn Amro ha annunciato che smetterà di finanziare la Energy Transfer Equity (Ete) se il Dakota Access Pipeline verrà costruito senza il consenso della tribù Sioux di Standing Rock o se continuerà ad essere utilizzata violenza contro gli attivisti che si oppongono al progetto. «Tra le banche che finanziano direttamente il Dakota Access Pipeline figura anche Intesa Sanpaolo». Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante. Greenpeace ha lanciato una petizione online per rafforzare la propria richiesta a Intesa Sanpaolo.(“L’oleodotto dei Sioux finanziato da Intesa Sanpaolo, tu da che parte stai?”, da “Coscienze in Rete” del 2 marzo 2017).Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.
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Contro Trump il killer dei presidenti Usa, budget 100 milioni
E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.Al tempo in cui lavorava per i repubblicani, Brock lanciò contro il presidente Bill Clinton una campagna, che sarebbe poi diventata il Troopergate, la vicenda Whitewater, e il caso Lewinsky. Dopo aver voltato gabbana, è oggi al servizio di Hillary Clinton, per la quale ha già organizzato non solo la demolizione della candidatura di Mitt Romney, ma anche la sua replica nella vicenda dell’assassinio dell’ambasciatore Usa a Bengasi. Durante il primo turno delle primarie, è stato Brock a dirigere gli attacchi contro Bernie Sanders. “The National Review” ha qualificato Brock come «un assassino di destra che è diventato un assassino di sinistra». E ‘importante ricordare che le due procedure di destituzione di un presidente in carica, avviate dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono state messe in moto a vantaggio dello Stato Profondo, e non certo per il bene della democrazia. Così il Watergate è stato interamente gestito da una certa “gola profonda” che, 33 anni più tardi, si è rivelato essere Mark Felt, l’assistente di J. Edgar Hoover, direttore dell’Fbi. Per quanto riguarda la vicenda Lewinsky, era semplicemente un modo di forzare Bill Clinton ad accettare la guerra contro la Jugoslavia.La campagna in corso è organizzata sottobanco da quattro associazioni. “Media Matters” (“i media contano”) ha il compito di dare la caccia agli errori di Donald Trump. Leggete ogni giorno il suo bollettino sui vostri giornali: il presidente non può essere attendibile, si è sbagliato su questo o su quel punto. “American Bridge 21st Century” (“Il ponte americano del XXI secolo”) ha raccolto più di 2.000 ore di video che mostrano Donald Trump nel corso degli anni, e più di 18.000 ore di altri video dei membri del suo gabinetto. Ha a sua disposizione sofisticate attrezzature tecnologiche progettate per il dipartimento della difesa, e presumibilmente fuori mercato, che le consentono di cercare le contraddizioni tra le loro dichiarazioni più datate e le loro posizioni attuali. Dovrebbe arrivare a estendere il suo lavoro a 1.200 collaboratori del nuovo presidente. “Citizens for Responsibility and Ethics in Washington – Crew” (“I cittadini per la responsabilità e l’etica a Washington”) è uno studio di giuristi di alto livello con il compito di monitorare tutto ciò che potrebbe fare scandalo nell’amministrazione Trump. La maggior parte degli avvocati di questa associazione lavorano gratis, per la causa. Sono loro ad aver preparato il caso di Bob Ferguson, il procuratore generale dello Stato di Washington, contro il decreto sull’immigrazione (“Executive Order 13.769”).“Shareblue” (“la condivisione blu”) è un esercito elettronico già collegato con 162 milioni di internauti negli Stati Uniti. Ha il compito di diffondere dei temi preordinati, ad esempio: Trump è autoritario e ladro; Trump è sotto l’influenza di Vladimir Putin; Trump è una personalità debole e irascibile, è un maniaco-depressivo; Trump non è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti, ed è quindi illegittimo; il suo vicepresidente, Mike Pence, è un fascista; Trump è un miliardario che sarà costantemente di fronte a conflitti di interesse tra i suoi affari personali e quelli dello Stato; Trump è un burattino dei fratelli Koch, i famosi elemosinieri dell’estrema destra; Trump è un suprematista bianco e una minaccia per le minoranze; l’opposizione anti-Trump continua a crescere fuori Washington; per salvare la democrazia, cerchiamo di sostenere i parlamentari democratici che stanno attaccando Trump, e cerchiamo di demolire quelli che stanno collaborando con lui; stessa cosa con i giornalisti; per rovesciare Trump ci vorrà del tempo, quindi cerchiamo di non indebolire la nostra lotta.Questa associazione produrrà newsletter e video di 30 secondi. Si appoggerà ad altri due gruppi: una società che realizza video documentari, “The American Independent”, e una unità statistica, Benchmark Politics (ossia “politica comparativa”). L’insieme di questo dispositivo – che è stato messo in campo durante il periodo transitorio, cioè prima dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – dà già lavoro a oltre 300 specialisti a cui conviene aggiungere numerosi volontari. Il suo budget annuale, inizialmente previsto nella misura di 35 milioni di dollari, è stato aumentato fino a un livello di circa 100 milioni di dollari. Distruggere l’immagine – e quindi l’autorità – del presidente degli Stati Uniti, prima che abbia avuto il tempo di fare alcunché, può avere gravi conseguenze. Eliminando Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, la Cia ha fatto precipitare questi due paesi in un lungo periodo di caos, e la “terra della libertà” potrebbe gravemente soffrire da una tale operazione. Questo tipo di tecnica di manipolazione di massa non era mai stata utilizzata contro il capofila del mondo occidentale. Per il momento, questo piano sta funzionando: nessun leader politico al mondo ha avuto il coraggio di felicitarsi dell’elezione di Donald Trump, con l’eccezione di Vladimir Putin e di Mahmud Ahmadinejad.(Thierry Meyssan, “Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump”, da “Megachip” del 5 marzo 2017).E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.
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Piramidi hi-tech 30.000 anni fa, la Storia è da riscrivere
«Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati». Per l’antropologo Semir Osmanagich, fondatore del Parco Archeologico Bosniaco, «i mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche». Osmanagich, scopritore del sito archeologico più attivo del mondo, dichiara che le prove scientifiche, “inconfutabili”, venute alla luce, sull’esistenza di antiche civiltà con tecnologia avanzata, non ci lasciano altra scelta se non quella di riscrivere la nostra storia, la storia dell’umanità sulla Terra. L’attento esame delle strutture emerse nella valle del fiume Visoko, 40 chilometri a nord-ovest di Sarajevo, attraverso la datazione al radiocarbonio rivela definitivamente che quelle grandi piramidi «sono state costruite da civiltà avanzate di oltre 29.000 anni fa», scrive “Il Sapere”. Questo, aggiunge il ricercatore bosniaco, «costringe il mondo a riconsiderare totalmente la sua comprensione sullo sviluppo della civiltà attuale e della sua storia», spiega il dottor Osmanagich. Ormai si scava da otto anni nel sito bosniaco, che si estende sui sei chilometri quadrati attorno a 4 piramidi, collegate da tunnel sotterranei. La colossale Piramide del Sole è la più grande al mondo: è alta 420 metri, contro il 146 di quella di Cheope.«Il dottor Osmanagich – rileva “Il Sapere” – ha stupito l’intera comunità scientifica e archeologica con la raccolta e formazione di un team di ingegneri interdisciplinari, fisici e ricercatori da tutto il mondo per condurre un’indagine aperta e trasparente del sito e per cercare di scoprire la vera natura e il vero scopo di questo complesso piramidale». Per uno scienziato come Tim Moon, «questa è una cultura sconosciuta che ci presenta arti e scienze altamente avanzate, in grado di formare strutture veramente enormi, dimostrando una capacità di sfruttare le risorse energetiche pure». In un tunnel che conduce verso la Piramide del Sole, la squadra ha portato alla luce una enorme pietra megalitica da 25 tonnellate a circa 400 metri di profondità. «Inoltre abbiamo individuato muri di fondazione lungo tutto il suo perimetro formati da blocchi di pietra tagliata», aggiunge Moon. Grandi quantità di reperti sono state recuperati dalle gallerie: effigi, dipinti su pietra, oggetti d’arte e una serie di geroglifici e “testi” antichi, «scavati nelle pareti dei tunnel». La datazione al radiocarbonio è stata effettuata a Kiev su materiale organico presente nel sito della piramide, costruita in calcestruzzo. Mona Haggag, archeologa dell’università di Alessandria, dice che è come «scrivere nuove pagine della storia europea e mondiale».A sbalordire i tecnici, anche la presenza di una fonte di “energia misteriosa” che emanerebbe dalla grande piramide, dalla cui profondità proviene anche un’emissione radio. «I popoli antichi che hanno costruito queste piramidi conoscevano i segreti della frequenza e dell’energia», conclude Osmanagich. «Hanno usato queste risorse naturali per sviluppare tecnologie e per intraprendere la costruzione di scale che non abbiamo visto in nessun altro posto della terra». Non solo: «Le prove dimostrano chiaramente che le piramidi furono costruite allineandole con la griglia energetica della Terra, ed erano come macchine che fornivano energia al potere della guarigione». Ma non è solo dalla Bosnia che giungono rivelazioni sconcertanti, sostiene sempre “Il Sapere”: «Studiosi di storia antica negli Stati Uniti hanno notizie altrettanto sorprendenti su qualcosa trovato negli angoli più lontani del globo. Per esempio la scoperta di Rockwall al di fuori di Dallas, Texas, è solo un esempio di come stiamo riesaminando antichi misteri che rivelano molto sul nostro passato». Il sito texano è un complesso e poderoso muro di dieci miglia di diametro, costruito oltre 20.000 anni fa e coperto dal suolo sette piani sotto terra. «La domanda è: da chi è stata costruita questa struttura e per quale scopo e, soprattutto, la conoscenza data da queste civiltà del passato, in che modo può aiutarci a comprendere il nostro futuro?».Ne parla anche il “National Geographic”, interrogandosi nel 2013 sui “100 più grandi misteri rivelati delle civiltà antiche”: «A volte le culture si lasciano dietro misteri che confondono coloro che vengono dopo di loro, dai menhir ai manoscritti codificati, ci indicano che gli antichi hanno avuto uno scopo profondo». Michal Cremo, nel suo libro “Forbidden Archeology”, teorizza che la conoscenza dell’avanzato homo sapiens sia stata soppressa o ignorata dalla comunità scientifica perché contraddirebbe le attuali opinioni sulle origini umane, che non vanno d’accordo con il paradigma dominante. I recenti risultati, invece, «indicano chiaramente che simili civiltà avanzate erano presenti in tutto il mondo in quel momento storico», cioè 30.000 anni fa. Che alle nostre origini ci sia “tutt’un’altra storia” lo suggerisce anche il Gobekli Tepe, scoperto nel 1995 nella Turchia orientale: un vasto complesso di enormi cerchi di pietre megalitiche, con un raggio tra i 10 e i 20 metri, molto più grandi di quelle di Stonehenge in Gran Bretagna. I test al carbonio radiofonico rivelano che la struttura risale almeno a 11.600 anni fa. Lo conferma l’archeologo tedesco Klaus Schmidt, dell’Istituto Archeologico Tedesco di Berlino, che ha diretto gli studi con il supporto dell’ArchaeoNova Institute di Heidelberg.«Gobekli Tepe è uno dei più affascinanti luoghi neolitici del mondo», sostiene Schmidt. Ma, come spiega in un recente rapporto, per capire le nuove scoperte, gli archeologi hanno bisogno di lavorare a stretto contatto con gli specialisti di religioni comparate, con i teorici dell’architettura e dell’arte, con i teorici della psicologia evolutiva, con i sociologi che utilizzano la teoria delle reti sociali, ed altri ancora. «È la complessa storia delle prime, grandi comunità insediate, la loro vasta rete, e la loro comprensione comune del loro mondo, forse anche delle prime religioni organizzate e delle loro rappresentazioni simboliche del cosmo». Oltre alle strutture megalitiche, sono state scoperte figure e sculture, raffiguranti animali preistorici, come i dinosauri. E lo scavo non è concluso: si pensa che ci siano ancora fino a 50 ambienti nascosti sottoterra, tra gli enormi monoliti svettanti, alti 7 metri e pesanti 25 tonnellate. «L’obiettivo della ricerca archeologica – precisa Schmidt – è soprattutto quello di cercare di capire la loro funzione». Dalla Bosnia, il dottor Osmangich non ha dubbi: è giunto il momento di condividere liberamente la conoscenza, in modo che si possa scoprire il nostro autentico passato. «È tempo per noi di aprire le nostre menti alla vera natura della nostra origine», dice. «La nostra missione è quella di riallineare la scienza con la spiritualità, al fine di progredire come specie. E questo richiede un chiaro percorso di conoscenza condivisa».«Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati». Per l’antropologo Semir Osmanagich, fondatore del Parco Archeologico Bosniaco, «i mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche». Osmanagich, scopritore del sito archeologico più attivo del mondo, dichiara che le prove scientifiche, “inconfutabili”, venute alla luce, sull’esistenza di antiche civiltà con tecnologia avanzata, non ci lasciano altra scelta se non quella di riscrivere la nostra storia, la storia dell’umanità sulla Terra. L’attento esame delle strutture emerse nella valle del fiume Visoko, 40 chilometri a nord-ovest di Sarajevo, attraverso la datazione al radiocarbonio rivela definitivamente che quelle grandi piramidi «sono state costruite da civiltà avanzate di oltre 29.000 anni fa», scrive “Il Sapere”. Questo, aggiunge il ricercatore bosniaco, «costringe il mondo a riconsiderare totalmente la sua comprensione sullo sviluppo della civiltà attuale e della sua storia», spiega il dottor Osmanagich. Ormai si scava da otto anni nel sito bosniaco, che si estende sui sei chilometri quadrati attorno a 4 piramidi, collegate da tunnel sotterranei. La colossale Piramide del Sole è la più grande al mondo: è alta 420 metri, contro il 146 di quella di Cheope.
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Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini
Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.Insieme a Mark Blaxill, padre di una bambina autistica, Dan Olmsted «ha investigato a lungo le cause dell’autismo, rintracciandone la storia ed il costante rapporto con l’esposizione al mercurio», scrive Lorenzi su “Come Don Chisciotte”. Il reporter ha indagato sulla recente epidemia «sovrapponibile all’intensificazione del calendario vaccinale», passando per l’anomalia degli Amish, che rifiutano i vaccini e sono immuni da “effetti collaterali”. Olmsted ha denunciato la “iatrogenicità” di alcuni vaccini, «opponendosi al dogma della teoria genetica e del fatalismo con cui si devono confrontare i genitori dei bambini che ricevono diagnosi di autismo». Per Emanuela Lorenzi, «il tabù dell’eziologia porta in sé l’altro tabù: la guarigione: non si può “guarire” dall’autismo, perché questo proverebbe che non si tratta di una malattia genetica bensì di una malattia causata dall’uomo». A partire dal 2005, Olmsted «aveva indagato attentamente il legame fra autismo e vaccinazioni», fondando “Age of Autism”.In pratica, Olmsted «affermava senza mezzi termini quello che la letteratura scientifica seria (e i pensatori critici i cui neuroni non sono stati ancora totalmente demielinizzati dai vapori di mercurio) sostiene da tempo». E cioè che «con l’intento (apparente) di spazzare via ogni possibile infezione dal pianeta, il paradigma vaccinale ha causato assalti immunitari da iperstimolazione», oltre che «da introduzione di tossine come il mercurio», ma anche «alluminio, arsenico, squalene, formaldeide, polisorbato 80, neomicina, proteine e virus eterologi», nonché «materiale genetico da tessuti di pollo, vacca, cane, scimmia, coniglio, cellule di feti abortiti e virus a Dna ricombinante, endotossine batteriche, glutammato, nanoparticelle». Tutti elementi «che hanno slatentizzato malattie croniche nei nostri bambini, fra le quali l’autismo è solo la più nota», perché poi bisogna considerare «asma, Add, Adhd, diabete giovanile, malattie autoimmuni e molte altre». Il mercurio, osserva Lorenzi, è la sostanza più tossica del pianeta, seconda solo al plutonio: «E mai come per questo veleno è inapplicabile il motto paracelsiano sulla dose: il mercurio (ancora presente nei vaccini in tracce benché non sia obbligatorio riportarlo nel bugiardino) è tossico in quantità sub-micro e nano-molecolari».La quantità di mercurio contenuta nei vaccini antinfluenzali, «incredibilmente raccomandata a neonati e donne in gravidanza (ed inoculata per via parenterale, mentre si sconsiglia agli stessi soggetti di consumare pesci di grossa taglia perché contenenti molto mercurio», bell’esempio di «schizofrenia istituzionale»), secondo Emanuela Lorenzi «è tale da causare danni irreparabili nel sistema immunitario di un feto». E il metilmercurio, forma organica derivata dalla “metilazione” del mercurio inorganico, è infinitamente più tossico. «Olmsted fa anche un cenno alla tossicità delle amalgame dentali che, pur avendo alla base mercurio inorganico, diventano molto pericolose emanando vapori di mercurio già a temperatura corporea», peggio ancora «se sottoposte al calore di una bevanda, allo spazzolamento, alla semplice masticazione, per non parlare del trapanamento del dentista». La morte di Olmsted, «le cui cause non sono state rese note ma il cui tempismo è davvero sospetto», suona come «un duro colpo alla ricerca della verità sull’“era dell’autismo”». Secondo la Lorenzi, «è singolare che si sia verificata proprio mentre “The Age of Autism” denunciava la censura del primo, innovativo e lungamente atteso studio sottoposto a “peer review” che confrontava la salute di vaccinati versus non vaccinati, ritirato a novembre proprio poco prima della pubblicazione».Fra gli scienziati indipendenti non coinvolti nello studio, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice “senior” del laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del Mit, ha dichiarato: «I risultati sono allarmanti, e ci obbligano a mettere seriamente in dubbio che i benefici dei vaccini prevalgano sui rischi». Su “HealthCare”, il 22 febbraio, il giornalista James Grundvig scrive: perché i centri di controllo e prevenzione non hanno mai finanziato uno studio del genere? L’agenzia sanitaria ha evitato di farlo di proposito? «Sembra che sia così», conclude Grundvig, «poiché andava contro il messaggio dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) che recita che “i vaccini sono tutti sicuri”». Alcune scoperte dello studio sono illuminanti, come l’incidenza sproporzionata di disturbi cronici nei bambini con differenziazioni etniche, di genere e classe sociale, in modi che né gli autori né i finanziatori dello studio immaginavano. «In sintesi: vaccinazione, razza nera e sesso maschile erano significativamente associati alle patologie del neurosviluppo (Ndd) dopo aver tenuto conto di altri fattori. La nascita pre-termine combinata con la vaccinazione costituiva un forte fattore per lo sviluppo di Ndd nel modello finale, con un aumento pari a più del doppio di probabilità di Ndd rispetto alla sola vaccinazione».Lo studio, in effetti, non è mai stato ritirato: è stato “non accettato”. «Cosa resta di uno studio dopo che è stato accettato, visionato dalla comunità scientifica 80.000 volte in meno di 100 ore? La censura», scrive Lorenzi, che aggiunge: «Forse non è il caso di tirare fuori la Cia. Forse anche Big Pharma piangerà questa morte». Attenzione: nella sua recente lettera a Trump del 7 febbraio, la American Academy of Pediatrics, «un’organizzazione sindacale che non è certo immune da conflitti di interesse», protestando contro la costituzione di una Commissione per la sicurezza vaccinale e adducendo una serie di studi che ne proverebbero l’inutilità, ha «dimenticato di annoverare una cinquantina di studi che gettano quantomeno un’ombra equivoca sull’ “inequivocabile sostegno” espresso nei confronti della sicurezza dei vaccini». Gli studi dell’associazione pediatrica «sono pieni di conflitti di interesse, inesattezze e persino scandali». Uno dei redattori «ha dichiarato di avere, con i colleghi, gettato via dei dati commettendo frode scientifica».Il dottor William Thompson se ne scusa: «Sono dispiaciuto che i miei colleghi ed io abbiamo omesso informazioni statisticamente rilevanti nel nostro articolo del 2004 pubblicato sulla rivista “Pediatrics”». I dati omessi, continua Thompson, «suggeriscono che i maschi afroamericani che hanno ricevuto il vaccino Mpr prima dei 36 mesi di età hanno riportato un aumentato rischio di autismo. Sono state prese decisioni in merito a quali scoperte riportare dopo la raccolta dei dati, ed io credo che il protocollo finale dello studio non sia stato nemmeno seguito». Un altro redattore, Poul Thorsen, che Emanuela Lorenzi definisce «un criminale ricercato», è accusato di «aver sottratto fondi ai Cdc», i centri di prevenzione e cura. Questo studio, scrive la “Vaccines Safety Commission”, «mostra inequivocabilmente che alcuni vaccini causano vari tic, una condizione neurologica devastante». Informazione «ad ulteriore sostegno di una Commissione per la sicurezza vaccinale».Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.
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“Cofferati, Kyenge, Spinelli e gli altri amici di Soros in Ue”
Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.«Si nota anche come la Open Society sia molto attiva in Ungheria, dove sta mobilitando una spontanea “primavera” per rovesciare il governo di Viktor Orban», afferma Blondet, che aggiunge: «Molti siti di informazione ungheresi hanno ricevuto aiuti finanziari da Soros, fra cui “444.hu” che ha ricevuto 49.500 dollari». SorosLeaks, ovvero: retroscena sul ricchissimo super-speculatore ungherese, che “Diario del Web” definisce «il burattinaio dell’ordine mondiale». Gli “alleati” italiani di George Soros nel Parlamento Europeo? I loro nomi sono pubblicati da Open Society, «la fondazione-ombrello del magnate ungherese con la quale finanzia i suoi progetti “rivoluzionari” in giro per il mondo». Secondo gli hacker che recentemente hanno attaccato il sito della fondazione, aggiunge “Diario”, Soros sarebbe «l’architetto o il finanziatore di più o meno ogni rivoluzione o colpo di Stato degli ultimi 25 anni», compreso il golpe in Ucraina “truccato” da sommossa popolare. «Con i suoi soldi, il ricco ungherese avrebbe cercato più volte di influenzare e determinare il corso della storia».Oltre agli “italiani”, continua “Diario del Web”, altri 13 fedelissimi apparterrebbero al Gruppo di Visegrad. «Ma questo dato non sorprende più di tanto, visto che la Open Society di George Soros pare sia molto attiva in Ungheria», dove lavora per rovesciare il governo Orban, regolarmente eletto. Non sarebbe la prima volta: «Vale la pena ricordare che George Soros è diventato famoso per aver gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra e aver costretto la sterlina e la lira italiana a uscire dallo Sme nel 1992», scrive “Diario”. «Il 16 settembre di quell’anno mise in atto una gigantesca operazione speculativa vendendo una enorme quantità di sterline allo scoperto, e gettando nel caos sia la Gran Bretagna che l’Italia». I due paesi furono costretti a uscire dal Serpente Monetario Europeo, «mentre Soros guadagnava una fortuna». Ad oggi è una delle 30 persone più ricche del mondo: il suo patrimonio è stimato in circa 24,9 miliardi di dollari (dati aggiornati a maggio 2016). Soros ha cercato anche di favorire la candidata democratica Hillary Clinton alle presidenziali americane, ma questa volta – come sappiamo – le cose gli sono andate male.I documenti trafugati dalla sua fondazione dagli hacker, aggiunge “Diario del Web”, rivelano un costante impegno economico per campagne elettorali, fondazioni umanitarie, associazioni per i diritti umani e società di ricerca, «allo scopo di indirizzare il consenso dell’opinione pubblica (non solo americana) verso alcune questioni particolarmente care a Soros». Non sorprende, dunque, che il magnate ungherese «abbia finanziato anche Amnesty International, che recentemente ha rivolto un durissimo attacco nei confronti di alcuni leader mondiali ritenuti responsabili dall’associazione di una “retorica incendiaria”: Donald Trump, Recep Tayyip Erdogan, Viktor Orban. Guarda caso, tutti nemici giurati di Soros». E che dire del generoso finanziamento, sempre da parte della Open Society, verso il Poynter Institute che per Facebook si occuperà della “verifica delle notizie” attraverso un progetto di fact checking? «Il celebre social network avrebbe infatti deciso di dichiarare guerra alle “fake news”, ma è facile immaginare che l’informazione possa essere filtrata a favore degli “amici” più generosi». E questo punto, conclude il blog, «viene spontaneo chiedersi anche come e perché gli europarlamentari italiani siano stati inseriti da Soros nella lista dei suoi “fedelissimi”». E attenzione: tra i Soros-friends c’è anche Guy Verhofstadt, dell’Alde, il gruppo in cui Beppe Grillo ha cercato di far confluire gli europarlamentari 5 Stelle.Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.
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Foa: tutti spiati 24 ore su 24, era il sogno di Hitler e Stalin
L’ex agente della Nsa Edward Snowden ci aveva avvertito: la capacità di spionaggio dei servizi segreti americani è colossale. Siamo tutti intercettati, in modi e in contesti oltre ogni immaginazione. Ora Wikileaks squarcia ulteriormente il velo su un mondo che non è esagerato definire da Grande Fratello orwelliano. La Cia non solo può registrare qualunque telefonata (che volete che sia, roba da dilettanti…) ma può introdursi nel vostro telefono e ascoltare le vostre conversazioni anche quando non siete in linea. Per intenderci: quando parlate con gli amici o durante una riunione di lavoro e appoggiate il telefono sul tavolo, l’intelligence americana può attivare in remoto il microfono. Vale per l’I-phone. E per chi usa Android. Immagino già il sorrisetto di chi in questo momento pensa: ma io uso Windows! Illuso, anche quello è “hackerabile”. Così come certi modelli di televisori smart di ultima generazione della Samsung, i quali sono dotati di un microfono che può essere attivato a distanza (ma non da voi…) anche quando è spento. Orwell lo aveva immaginato: il televisore che ti spia in casa. Ebbene, ci siamo. Peraltro non è propriamente una sorpresa.Ci siamo già da un paio di anni. La notizia era uscita nel 2015 e ne avevo parlato in questo post, in cui avevo riportato le rivelazioni del capo dei servizi segreti svizzero Seiler, il quale spiegava come ogni email da noi spedita fa “un giro” in Gran Bretagna e negli Usa dove viene copiata e archiviata. Non va meglio con WhatsApp, che negli ultimi tempi ci assicura che i messaggi vengono criptati (per tutti, ma non per la Cia, che li può leggere). Così come ogni attività su Signal e Telegram, come scrive il “New York Times”. Facebook, Twitter e Google contribuiscono già da tempo alla causa della Cia, che, non c’è da dubitarne, presta particolare attenzione a quanto io e voi, cari lettori, scriviamo su questo blog. Il quadro che ne emerge è sconcertante: intercettano praticamente tutto. Tanto più che, spiega ancora Wikileaks, i codici del programma Vault 7, così si chiama, sono sfuggiti al controllo e sono finiti in mano ad hackers governativi e contactors privati. Magnifico! A spiarci non è solo la Cia ma chissà chi altro.Lo confesso: mi sento rassicurato da queste rivelazioni; anche nel sapere che la centrale degli hackers governativi si trova in Germania, nella sede del consolato Usa di Francoforte. Che gentili: queste operazioni le fanno in Europa, mica negli Usa. Apprezzabile, non credete? Il punto è sempre lo stesso e pone un grave problema di fondo: per quale ragione un governo si arroga il diritto di spiare qualunque cittadino praticamente in tutto il mondo? E creando giganteschi archivi, la cui esistenza è stata rivelata da Snowden? Cosa faccio di male? E cosa fanno di male tutti i lettori che subiscono lo stesso trattamento? Le intercettazioni e lo spionaggio esistono da sempre ma rientrano nelle attività di intelligence su un numero limitato di persone, per ragioni di sicurezza o strategiche. Nessuna democrazia si è mai proposta di spiare chiunque e di violare in modo così pervasivo la sua privacy. Il controllo assoluto dei cittadini era da sempre il sogno di regimi dittatoriali come quelli comunisti o nazisti, che, però, non possedevano la tecnologia necessaria. Ora invece si moltiplicano i segnali e le indiscrezioni su quella che appare sempre di più come una schedatura di massa. E’ scandaloso che tutto ciò venga realizzato da un paese che ha come simbolo la Statua della Libertà. E che pretende di essere nostro amico.(Marcello Foa, “Cara Cia, perché spii me e ogni cittadino? Cosa facciamo di male?”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 7 marzo 2017).L’ex agente della Nsa Edward Snowden ci aveva avvertito: la capacità di spionaggio dei servizi segreti americani è colossale. Siamo tutti intercettati, in modi e in contesti oltre ogni immaginazione. Ora Wikileaks squarcia ulteriormente il velo su un mondo che non è esagerato definire da Grande Fratello orwelliano. La Cia non solo può registrare qualunque telefonata (che volete che sia, roba da dilettanti…) ma può introdursi nel vostro telefono e ascoltare le vostre conversazioni anche quando non siete in linea. Per intenderci: quando parlate con gli amici o durante una riunione di lavoro e appoggiate il telefono sul tavolo, l’intelligence americana può attivare in remoto il microfono. Vale per l’I-phone. E per chi usa Android. Immagino già il sorrisetto di chi in questo momento pensa: ma io uso Windows! Illuso, anche quello è “hackerabile”. Così come certi modelli di televisori smart di ultima generazione della Samsung, i quali sono dotati di un microfono che può essere attivato a distanza (ma non da voi…) anche quando è spento. Orwell lo aveva immaginato: il televisore che ti spia in casa. Ebbene, ci siamo. Peraltro non è propriamente una sorpresa.
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Vinny Ooh: il primo “alieno” ex-umano, senza più i genitali
«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».La sua trasformazione, iniziata anni fa, non si è ancora completata. E ora, continua “Supereva”, Vinny sogna di diventare presto l’essere perfetto che ha sempre sognato. Nel frattempo si è sottoposto a oltre 100 interventi di chirurgia plastica e indossa quotidianamente lenti a contatto nere, unghie finte e parrucche. «L’immagine complessiva che voglio avere è quella di un alieno», insiste. «Voglio essere un ibrido, non maschio o femmina. Ho voluto essere senza sesso e senza genere da quando avevo 17 anni». E come farà senza più i genitali? «Potrei vivere senza organi sessuali, quindi perché dovrei avere un pene o una vagina?». Inoltre, sottolinea il “Giornale”, «per assomigliare di più a un alieno, o a quello che l’immaginario e il cinema ci hanno insegnato, indossa grandi lenti a contatto annerite e artigli». Per diventare “un alieno”, Vinny non ha badato a spese ed è finito numerose volte sotto i bisturi. Per lui, riassume “Supereva”, ci sono stati ben 12 interventi riempitivi alle guance, 5 operazioni al naso e 2 alla fronte, perché la conformazione del volto fosse simile a quella di un alieno (o almeno a come se lo immagina lui).Le labbra carnose invece sono il risultato di 5 “filler” per le labbra e diverse sedute di botox. Inoltre si è sottoposto a laser al viso e a 35 trattamenti in tutto il corpo. «E mentre negli Stati Uniti in tanti si scandalizzano e lo criticano per il suo comportamento bizzarro, lui sta già programmando la prossima operazione: prossimamente si farà rimuovere i capezzoli e l’ombelico, ma soprattutto gli organi genitali». Lo scopo di tutte queste operazioni? Secondo il giovane è quello di creare addirittura una nuova specie: «Vinny – racconta, parlando di sé in terza persona – è un alieno di una generazione di nuovi individui che vogliono un aspetto diverso». E azzarda una profezia: «Entro 15 anni, centinaia di persone inizieranno a voler sembrare come lui». Chiosa “Leonardo.it”: «Da oggi in poi, oltre all’alieno, simpatico, di “Avanti un altro”, ricordiamoci anche di Vinny, il ragazzo americano che ha fatto più di 110 operazioni chirurgiche per assomigliare sempre più a un essere extraterrestre». Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Ma era solo il 1996: il futuro “alieno” di Los Angeles era appena nato e poppava il latte, come tutti i bebè.«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».