Archivio del Tag ‘Urss’
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Cia e sauditi, la premiata ditta dei tagliatori di teste
Non fanatici, ma mercenari. Traslocati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.Nelle rivelazioni dell’ergastolano Moussaui, scrive Escobar in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, troviamo nientemeno che l’ex capo dell’intelligence saudita, il principe Turki al-Faisal, già grande amico di Osama Bin Laden, insieme un personaggio come il principe Bandar Bin Sultan, detto “Bandar Bush”, già ambasciatore saudita negli Stati Uniti «e mancato sponsorizzatore di jihadisti in Siria». Turki e Bandar sono in compagnia «di un caro amico dei mercati occidentali (e di Rupert Murdoch)», cioè il principe Al-Waleed Bin Talal, e con lui «tutti i maggiori “chierici” wahhabiti dell’Arabia Saudita». In altre parole, «nessuno di loro è nuovo a chi segue fin dai tempi dell’Afghanistan degli anni ’80 le sporche vicende degli jihadisti finanziati dai wahhabiti sauditi». Le informazioni, aggiunge Escobar, assumono maggiore importanza se messe in relazione al prossimo libro di Michael Springmann, ex capo della sezione visti a Jeddah, in Arabia Saudita. In “Visto per al-Qaeda”, svelando «tutti gli sdoganamenti della Cia che hanno sconvolto il mondo», Springmann descrive in dettaglio le mosse dell’armata del terrore messa in piedi dagli Usa.Negli anni ’80, la Cia reclutò e addestrò «agenti musulmani» per contrastare l’invasione sovietica in Afganistan. «Più tardi, la Cia avrebbe spostato questi agenti dall’Afganistan ai Balcani, poi in Iraq, in Libia e in Siria, facendoli viaggiare con visti statunitensi illegali». Questi guerriglieri addestrati dagli Usa «si sarebbero poi riuniti in un’ organizzazione che è sinonimo di terrorismo jihadista: Al-Qaeda». Lo scopo politico di queste rivelazioni, dal punto di vista di Washington, secondo Springmann «è di esercitare pressioni sulla Casa di Saud per continuare a pompare le loro eccedenze petrolifere: i recenti rimbalzi petroliferi stanno provocando l’isterismo a Washington, poiché potrebbero essere il segnale di un ripensamento dei sauditi sulla loro guerra dei prezzi del petrolio contro, prima fra tutti, la Russia». Dunque, verso la metà degli anni ’80, “Al-Qaeda” era solo un database in un computer collegato al dipartimento delle comunicazioni del segretariato della Conferenza Islamica, scrive Escobar. «A quel tempo, quando Osama Bin Laden non era che un agente “delegato” Usa che operava a Peshawar, l’intranet di Al-Qaeda era un ottimo sistema di comunicazione per lo scambio di messaggi in codice tra i guerriglieri».“Al-Qaeda” non era un’organizzazione terrorista – ovvero un esercito islamico – e neanche proprietà privata di Osama Bin Laden. «In seguito, verso la metà degli anni 2000 in Iraq, Abu Musab al-Zarqawi – il precursore giordano di Isis/Isil/Daesh – stava reclutando giovani militanti-fanatici-arrabbiati, senza un diretto input da parte di Bin Laden. La sua copertura era Aqi (Al-Qaeda in Iraq)». Quindi, continua Escobar, Al-Qaeda era e resta un marchio di successo. «Non è mai stata un’organizzazione; piuttosto era un elemento operativo essenziale di un’agenzia di intelligence. Da qui l’imperativo categorico: Al-Qaeda è essenzialmente una derivazione dell’intelligence saudita». La miglior prova è il ruolo oscuro, fin dall’inizio, del principe Turki, ex direttore generale per lungo tempo del Mukhabarat, l’intelligence della Casa di Saud («ma Turki non parla, e mai lo farà»). L’intelligence turca, per parte sua, «non ha mai creduto al mito dell’“organizzazione” Al-Qaeda». Le rivelazioni di Moussaui, aggiunge Escobar, «diventano davvero esplosive quando si collegano tutti i punti tra l’ideologia politica della Casa di Saud, la piattaforma politica di Al-Qaeda e l’abbozzo ideologico del falso Califfato di Isis/Isil/Daesh. La matrice di tutti questi è il wahhabismo del 19° secolo – e la sua interpretazione/appropriazione medievale dell’Islam. Tutti usano metodi diversi, alcuni più rumorosi di altri, ma tutti hanno lo stesso fine: il proselitismo wahhabita».La differenza fondamentale, secondo Escobar, è che Al-Qaeda e Isis/Isil/Daesh «sono dei rinnegati wahhabiti che intendono, alla fine, prendere il posto della Casa di Saud – fantoccio comandato dall’Occidente – instaurando in modo ancora più intollerante il potere salafita e/o del Califfato». Per cui, «quando questa “bomba” ancora segreta verrà fuori dal vaso di pandora arabico, crolleranno i presupposti che reggono quel dono che viene continuamente elargito dagli Usa, la “Guerra al Terrore” (guerra infinita)». Non è rassicurante nemmeno il nuovo capo della Casa di Saud, il principe Salman, che «negli anni ’90 era uno strenuo sostenitore del salafismo e del Jihad», inclusa la pratica Bin Laden. Più tardi, come governatore di Riyadh, «si distinse nell’avversione più totale verso gli sciiti, che poi si espandeva nell’odio verso l’Iran nel suo complesso – per non parlare poi del suo odio per qualsiasi cosa che lontanamente ricordasse la democrazia all’interno dell’Arabia Saudita». Assurdo aspettarsi che Salman sia un “riformatore”, «come è assurdo aspettarsi che l’amministrazione Obama interrompa una volta per tutte la sua storia d’amore con i suoi “bastardi preferiti” del Golfo Persico».Ma ora, aggiunge Escobar, c’e’ un nuovo elemento chiave: «La Casa di Saud è disperata. Non è un segreto a Riyadh e in tutto il Golfo che il nuovo Re e i suoi consiglieri ammaestrati dall’Occidente stiano letteralmente perdendo la testa. Si ritrovano circondati dall’Iran – che, per giunta, è sul punto di concludere un accordo nucleare con il Grande Satana l’estate prossima». La situazione non è allegra: i sauditi «vedono il falso Califfato di Isis/Isil/Daesh che controlla gran parte del “Siraq” – e con gli occhi già puntati verso la Mecca e Medina. Vedono gli sciiti Houthi pro-Iran che controllano lo Yemen. Vedono gli sciiti della maggioranza in Bahrein repressi con grandi difficoltà dalle forze mercenarie. Vedono disordini sciiti diffusi nelle province orientali dell’Arabia Saudita, dove c’è il petrolio. Sono sparsi in tutto il Medio Oriente ancora in preda alla psicosi “Assad deve andarsene” (mentre lui non va da nessuna parte). Hanno bisogno di finanziare la “junta” militare al potere in Egitto con miliardi di dollari (l’Egitto è al verde). E oltre a tutto questo, si sono bevuti la storia America-contro-Russia, impegnandosi in una guerra dei prezzi del petrolio che sta consumando il loro budget».Non ci sono prove che Salman sia deciso a compiere lo sforzo di cooperare con il governo di maggioranza sciita a Baghdad, né che tenterà di raggiungere un compromesso con Teheran: «Al contrario, regna la paranoia, poiché nel momento in cui l’Iran riaffermasse la sua supremazia nucleare, una volta concluso l’accordo atteso per l’estate prossima, i sauditi si ritroveranno emarginati ideologicamente e politicamente». Soprattutto, conclude Escobar, non ci sono prove che l’amministrazione Obama abbia la capacità di riconsiderare le relazioni coi sauditi. «Ciò che è certo è che il più sporco segreto della “guerra al terrore” resterà off-limits. Tutto il “terrore” che stiamo vivendo, sia quello reale sia quello costruito a tavolino, proviene da un’unica fonte: non è “l’Islam”, ma l’intollerante e demente wahhabismo», irresponsabilmente incoraggiato, organizzato e finanziato con la piena collaborazione della Cia. Stesso film: dalla strage di americani innocenti l’11 Settembre alla ricomparsa dei “tagliatori di teste” in Siria, in Iraq e ora in Libia.Non fanatici, ma mercenari. Dirottati in mezzo mondo – Afghanistan, Balcani, Medio Oriente – per scatenare il terrore, fornendo l’alibi per la “guerra infinita” degli Usa. Al-Qaeda e Isis sono due maschere dello stesso network, organizzato dai sauditi sotto la regia di Washington. «Dalle viscere del carcere di massima sicurezza statunitense di Florence (Colorado), il componente di Al-Qaeda Zacarias Moussaui, condannato all’ergastolo, fa luce su quello che certamente è il segreto più sporco della “guerra al terrore”», scrive Pepe Escobar. «In più di 100 pagine di testimonianze rese nei giorni scorsi in una corte federale di New York, Moussaui fa “esplodere” delle autentiche bombe legate alla “Casa di Saud”». Tra i più importanti finanziatori di Al-Qaeda prima dell’11 Settembre compaiono i principali esponenti del potere saudita, alleato di Washington. Le prime avvisaglie dello scandalo esplodono adesso, spiega Escobar, perché gli Usa ricattano l’Arabia Saudita: guai se Riyadh si sfilasse dall’alleanza, cessando di sostenere sottobanco il network del terrore, che oggi si chiama Califfato, o a scelta Isis, Isil o semplicemente Daesh. E guai se smettono di pompare petrolio, facendone crollare il prezzo per colpire Putin.
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Guerra civile internazionale, contro le città. Il bersaglio? Noi
Con la caduta dell’Unione Sovietica e la fine dell’equilibrio tra potenze, è scomparsa anche la nozione classica di guerra, sostituita da conflitti locali permanenti che hanno l’obiettivo di seminare il panico nelle grandi città. La dissuasione, ricorda Paul Virilio, si poneva ancora sul piano strettamente militare: gli Stati praticavano una dissuasione reciproca, favorendo l’equilibrio del terrore. Venticinque anni dopo, sono costretti ad ammettere che la corsa agli armamenti tipica della “guerra pura” ha cancellato non soltanto l’Unione Sovietica, che è implosa, ma anche l’idea stessa della “grande guerra classica”, la guerra clausewitziana, prolungamento della politica con altri mezzi. «Questa dissoluzione ha condotto il nostro mondo direttamente tra le braccia del terrore, del disequilibrio terrorista e della proliferazione nucleare che, purtroppo, impariamo a conoscere ogni giorno di più». La copertura antimissilistica globale degli americani, quella sorta di ombrello o parafulmine che Bush andava proponendo a tutti nel mondo, esemplifica bene «il grado di squilibrio e il delirio geostrategico di cui siamo vittime».Surreale, aggiunge Virilio in un post su “Tysm”, anche la risposta che diede Putin a Bush: benissimo, il vostro scudo anti-missile potete installarlo in Russia e in Azerbaigian. «Così, dopo la “grande guerra classica” e politica ci ritroviamo adesso alle prese con una guerra asimmetrica e transpolitica». Sostenere che una guerra è asimmetrica e transpolitica al tempo stesso, secondo Virilio «significa affermare che esiste una condizione di totale disequilibrio fra gli eserciti nazionali, quello internazionale, l’esercito della guerra mondiale e i gruppuscoli di tutti gli ordini e gradi che praticano la guerra asimmetrica, dalle semplici gang di quartiere ai paramilitari». Ed esiste «un parallelismo fra la decomposizione degli Stati avvenuta in Africa e quello che sta succedendo ora nell’America del Sud – in Colombia, tanto per fare un esempio – dove nessun esercito nazionale può nulla contro la proliferazione di gang, mafie locali, paramilitari e guerriglieri alla “Sendero Luminoso”». Persino un esercito potentissimo come quello di Israele fu costretto a impantanarsi, in Libano, contro le milizie “artigianali” e inafferrabili di Hezbollah.Non esistono più “guerre pure”, insiste Virilio, ma c’è ormai una guerra totale e “impura”, nata dalle diverse esigenze e dalla diversa struttura della dissuasione armata: «Questa dissuasione non ha più di mira i soli militari, anzi direi che si indirizza essenzialmente ai civili». Vengono proprio da questo «salto di paradigma nella natura della dissuasione» i recenti fenomeni «inconcepibili, solo venti o venticinque anni fa, quali il “Patriot Act” o le prigioni di Guantanamo». Un fatto da non sottovalutare è il disequilibrio imposto dall’emergere di un nuovo terrorismo. «Nell’era della “guerra impura” ci si sforzava di resistere riportando il sistema al suo punto di equilibrio. Ma tutto questo è diventato impossibile, con la continua proliferazione di “nemici asimmetrici”. Siamo di fronte a una enorme minaccia che incombe sulla democrazia di ogni paese, non soltanto sulla testa dei regimi dell’est, del sud, del nord, di dove vi pare, ma anche sui paesi ritenuti “democratici”, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Esiste una dissuasione civile – il “Patriot Act” ne rappresenta il segno più tangibile, ma ce ne sono molti altri, pensiamo a certe leggi contro gli immigrati che rischiano di passare in Europa – che rende la situazione molto più incerta».Virilio denuncia l’esistenza di «una strategia contro le città». Certo, gli esperti sostengono che si debba “ristabilire l’ordine”, «ma ristabilire l’ordine nella società civile è come aprire una finestra sul caos, è una minaccia assoluta, una sfida lanciata vis-à-vis nei confronti di qualsiasi democrazia: su questo punto ci si accorge di avere a che fare con i sintomi di un vero e proprio delirio». La strategia militare, continua Virilio, sembra essersi dislocata nel cuore stesso delle città: «Si potrebbe parlare di un proseguimento della strategia anti-città iniziata durante la Seconda Guerra Mondiale, con i bombardamenti di Guernica, Oradour, Berlino, Dresda, Hiroshima, Nagasaki. La strategia anti-città è stata una delle innovazioni introdotte durante la Seconda Guerra Mondiale, guerra che ha però introdotto anche un equilibrio del terrore: ricordiamoci che le testate nucleari, a est come a occidente, erano puntate direttamente sul cuore delle città. Oggigiorno, assistiamo però a un dislocamento di questa strategia. Siamo passati dall’equilibrio del terrore all’iperterrorismo». Attenzione: «L’iperterrorismo ha un solo campo di battaglia, e questo campo di battaglia è, appunto, la città». Motivo? «Nelle moderne città si concentra il maximum della popolazione e, con un minimo di armi, può essere raggiunto il massimo risultato, il massimo disastro possibile. Non importa con quali armi si può raggiungere questo risultato: niente più bisogno di panzer, nessuna necessità di portaerei, sottomarini imponenti e via discorrendo».La guerra asimmetrica, oramai sinonimo del disequilibrio terrorista, «cancella il teatro delle operazioni esterne a tutto vantaggio della concentrazione metropolitana». Così, «il luogo della guerra diventa, appunto, la città: l’affollamento urbano trascina guerra e terrorismo nel solco di una geostrategia territoriale, portandolo direttamente sulla linea del fronte». Nella Seconda Guerra Mondiale, «la geopolitica si giocava sui campi di battaglia, a Verdun, attorno a Stalingrado, sulle spiagge della Normandia». Ora, nel mirino sono essenzialmente le metropoli. Quando Putin invita Bush a installare in Russia i super-radar, mette a nudo il problema: contro chi dovremmo difenderci? «Oggi, quasi senza accorgercene, ci ritroviamo preda di ciò che i fisici chiamano principio di indeterminazione: i nostri piedi poggiano su terreni incerti, scossi dalla globalizzazione economica e dalla guerra globale eppure “locale”. Questo apparente paradosso è determinato dal fatto che l’estensione del campo e del fronte non contano più in rapporto all’immediatezza della minaccia».«Quando si arriva a collocare un ordigno nucleare direttamente nella metropolitana di New York, di Parigi o Londra – continua Virilio – allora dobbiamo comprendere che non siamo più nella logica totale, ma in quella locale. L’obiettivo è una città, preferibilmente una grande città, per ottenere il massimo disastro». La “guerra impura” nasce dal globalismo inteso come cambiamento di scala: «Il globalismo riduce tutto al più piccolo fra i comuni denominatori possibili: è così che anche un singolo individuo può significare una guerra totale – e quando dico uno, possono ovviamente essere due, tre, dieci. Quando si pensa al World Trade Center, sono stati undici uomini a fare duemila e ottocento vittime, quasi quante a Pearl Harbor. Stesso risultato. Quanto meno il rapporto tra costi ed efficacia è stato straordinario! Le grandi divisioni, le macchine, la portaerei “Eisenhower” restano lì in attesa di una disfatta che non è determinata dal conflitto di un campo contro l’altro, ma dalla dissoluzione del campo stesso che alimentava la guerra “politica”».La guerra politica, conclude Virilio, aveva di mira un territorio o uno Stato delimitato, che da par suo rispondeva arroccandosi attorno alle proprie frontiere. Ora assistiamo a una confusione babelica tra la guerra civile terrorista e la guerra internazionale. A partire dall’11 Settembre la si potrebbe chiamare “guerra civile internazionale”, propone Virilio. «Fino a quel momento, c’erano state guerre civili nazionali, ma quella era la prima vera guerra civile mondiale». Certo, è ancora possibile premere un bottone e far partire dei missili – la Corea e l’Iran possono farlo – ma in realtà, «con la grande dislocazione della strategia, con la fusione fra guerra civile iperterrorista e guerra internazionale, non è più possibile fare troppe distinzioni», perché «non c’è più alcun equilibrio da ristabilire, solo caos da creare», anche grazie alla crisi degli Stati-nazione esplosa in Europa e ai trattati commerciali “dettati” dalle multinazionali, dal Nafta al Ttip. «La guerra legata alla mera territorialità non è più possibile». Avanza un’altra guerra: sporca, asimmetrica, impura, basata sul terrorismo contro le città e i loro abitanti. «Ne va della nostra esistenza, proprio mentre un enorme punto di domanda leva la sua ombra sulla Storia».Con la caduta dell’Unione Sovietica e la fine dell’equilibrio tra potenze, è scomparsa anche la nozione classica di guerra, sostituita da conflitti locali permanenti che hanno l’obiettivo di seminare il panico nelle grandi città. La dissuasione, ricorda Paul Virilio, si poneva ancora sul piano strettamente militare: gli Stati praticavano una dissuasione reciproca, favorendo l’equilibrio del terrore. Venticinque anni dopo, sono costretti ad ammettere che la corsa agli armamenti tipica della “guerra pura” ha cancellato non soltanto l’Unione Sovietica, che è implosa, ma anche l’idea stessa della “grande guerra classica”, la guerra clausewitziana, prolungamento della politica con altri mezzi. «Questa dissoluzione ha condotto il nostro mondo direttamente tra le braccia del terrore, del disequilibrio terrorista e della proliferazione nucleare che, purtroppo, impariamo a conoscere ogni giorno di più». La copertura antimissilistica globale degli americani, quella sorta di ombrello o parafulmine che Bush andava proponendo a tutti nel mondo, esemplifica bene «il grado di squilibrio e il delirio geostrategico di cui siamo vittime».
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La vera storia della fine di Craxi e l’euro-rovina dell’Italia
L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.Tutto questo costo dove viene trasferito? Nel finanziamento illecito. Che invece di essere un fenomeno sopportabile perché residuale al grosso del finanziamento della politica, diventa un dramma, perché tutto costa il triplo. E come reagisce il sistema italiano a tutto questo? Non reagendo. Cioè, invece di capire che deve correre ai ripari, si fa cogliere di sorpresa. Da che cosa? Da una casta, che era stata toccata nei suoi interessi, e reagiva: era la casta dei magistrati. Dopo il caso Tortora, e dopo aver cercato più volte di prendere il sopravvento sulla politica – ma non ci riusciva, perché allora c’erano delle garanzie come l’immuità parlamentare, dei limiti al suo potere – i magistrati sferrano l’attacco di Tangentopoli avendo diversi obiettivi. Il primo, la reazione di casta al referendum che Craxi gli aveva fatto, sulla responsabilità dei magistrati – referendum vinto ma non eseguito, perché in quel rederendum si aboliva il fatto che i magistrati non rispondessero nei loro errori. E i magistrati allora hanno preteso, tramite i due maggiori partiti e mettendo in minoranza Craxi, che invece, pur riconosciuti responsabili dei loro errori, non li pagassero – né sul piano della carriera, né sul piano economico.L’attacco sferrato con Tangentopoli aveva un primo obiettivo: far cadere l’immunità parlamentare, che aveva sempre frenato l’attacco della magistratura. Bisognava poterli arrestare, i politici. Bisognava poter adoperare la carcerazione preventiva, in quella maniera, per poi stabilire il predominio, l’abuso. La carcerazione preventiva (obbligatoria per reati come omicidio e rapina) è prevista se c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Viceversa, la carcerazione preventiva non si può applicare, perché “nulla pena sine condanna”, niente pena senza prima una condanna, non del pubblico ministero ma del giudice. Pensate che nel 1994 la Cassazione, per salvare tre mandati di cattura assolutamente illegittimi di Di Pietro, fece una sentenza di questo tipo, a sezioni unite: la custodia cautelare è sempre giustificata se l’imputato non confessa. E’ come il famoso comma 22 del codice militare tedesco nazista, che diceva: chi è pazzo può chiedere di essere esentato dal servizio militare, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo. E’ la legge perfetta, perché il cerchio si deve chiudere.La custodia cautelare sempre giustificata se l’imputato non confessa? Di fronte a una sentenza di questo tipo, uno si deve chiedere qual è l’utilità del processo. In Italia, la custodia cautelare viene adoperata per scopi istruttori o per anticipare la pena. Ormai, il reato del politico che ruba è diventato odioso, agli italiani. Tant’è vero che gli italiani, da decenni, accettano dei politici incapaci, purché non rubino. Pensate a quanto stareste meglio se aveste dei politici capaci, che rubano. Il problema di uno che fa un lavoro è che sia bravo, non che sia onesto. Onesto è una conseguenza dell’essere bravo. Scipione l’Africano fu condannato per corruzione. In ogni posto del mondo vedo politici che vanno sotto processo: è giusto che vengano condannati, è giusto che vadano in galera. Quello che non è giusto è che vengano utilizzati dalla comunicazione per far passare sotto silenzio delle altre cose. Il problema di uno Stato che non funziona non è la corruzione. Non è il politico disonesto: è l’incapacità. Perché una persona anche onesta, ma incapace, lo Stato lo fa andare a rotoli lo stesso. Oggi pretendono che non ci siano pregiudicati. Io la metterei in altri termini: non devono esserci persone condannate che non hanno scontato la pena.In uno Stato laico, una volta che hai scontato la pena, tu il debito con la società l’hai pagato. Devi scindere il piano etico, pure importante, dal piano pratico: la giustizia deve funzionare. E la giustizia non va avanti sulla verità, va avanti su un fatto convenzionale che si chiama verità processuale, che non è necessariamente la verità. Ma l’azione di Mani Pulite aveva un bersaglio principale, che era Craxi, perché Craxi aveva detto di voler fare parecchie cose. Per esempio, nazionalizzare la Banca d’Italia. E di chi è la Banca d’Italia? E’ delle banche. E le banche di chi sono? Finanza massonica e finanza cattolica. Ma c’è un altro problema: la Banca d’Italia, all’epoca, era il controllore delle porcate che facevano questi, che erano controllati e controllori: erano i proprietari della Banca d’Italia, che avrebbe dovuto controllarli. Quindi, Craxi si mette contro un bel po’ di nemici. Si mette contro il potere bancario, forse il potere tout-court. Si mette contro i preti, perché vuole riformare pure i Patti Lateranensi – sapete come sono i preti: finché uno gli bestemmia davanti, gli danno 25.000 pater noster, ma gli vuoi far pagare le tasse s’incazzano.Dopodiché si scopre, tramite il caso Gelli, che Craxi finanziava Arafat. Perché i famosi 2 miliardi che Craxi dice a Martelli di prendere da Gelli e di versare sul “Conto Protezione”, cosa che non vi dicono, un minuto dopo sono stati presi da Craxi per darli ad Arafat, cioè ai palestinesi. E’ sottile il confine tra terrorismo e insurrezione: Pietro Micca che fa saltare mezza Torino mettendo le bombe nei sotterranei per noi è un patriota, mentre un terrorista palestinese è un terrorista. Pietro Micca lottava per la sua terra, perché l’Italia fosse unita; i palestinesi perché esista una Palestina: uno ha messo le bombe ed è un eroe, quegli altri mettono le bombe e per noi sono dei mascalzoni. Ricordiamoci dell’Achille Lauro, e qui c’è un’altra cosa che non vi dicono: l’operazione Achille Lauro era mirata a colpire il Mossad decapitando il “B’nai Brit”, la massoneria ebraica, che ha le caratteristiche di tutte le massonerie: come la massoneria americana funziona in stretta alleanza con la Cia, il “B’nai Brit” è la parte segreta dei servizi israeliani, cioè del Mossad. Il capo dei “B’nai Brit” – e questo è quello che non vi dicono – era quel signore sulla sedia a rotelle che i palestinesi buttarono giù dalla nave. Si chiamava Leon Klinghoffer. I giornali scrissero che la vittima era un povero paralitico, ma non dissero chi era veramente.Tornando a Craxi: fin qui si è inimicato le banche, i cattolici, gli ebrei; poi dà parere negativo al riconoscimento dei comunisti nell’Internazionale Socialista; poi Reagan gliela giura, perché a Sigonella ha mandato i carabinieri a puntare le armi sui marines (per proteggere il commando palestinese dell’Achille Lauro), quindi ha contro anche gli americani, e parte della massoneria: perché Spadolini, che era uno dei capi della massoneria italiana, era dell’opinione che bisognasse aiutare Reagan, e quando chiese alla massoneria ufficiale di prendere posizione, e la massoneria non lo fece, Spadolini si mise “in sonno”, e trasformò Craxi in un problema anche per la massoneria. A quel punto, Craxi era uno che non poteva attraversare la strada neanche sulle strisce pedonali. Per cui, nel momento in cui la magistratura fa sapere che sta per fottere Craxi – e qui trovate traccia di quei famosi incontri dei servizi segreti con Di Pietro e gli americani – ognuno ci mette del suo per darle una mano. Così, Craxi finisce ad Hammamet.Ad Hammamet, Craxi ci finisce anche per un uleriore motivo: era antipatico. La sua principale sconfitta? Non essere riuscito a superare il 15%. Alla gente stava sulle palle. Qui non c’erano complotti: Craxi non sfondava sul piano del consenso popolare – poi bisognerebbe interrogarsi sulla qualità di un popolo che vota Berlusconi e non Craxi. In ogni caso, visto che più del 12-13% non otteneva, Craxi ha perso anche per colpa sua: se fosse stato più forte, questa facilità nel farlo fuori non ci sarebbe stata. Resta però un fatto: c’era stata una riunione su una bellissima barca inglese parcheggiata vicino a Roma, ad Anzio, in cui si erano incontrate dieci, quindici, venti persone, e avevano deciso che l’Italia stava diventando troppo forte, con Craxi. L’Italia era arrivata tra i primi 5 soggetti economici del mondo. Aveva fatto la richiesta ufficiale per fare il G5; esisteva il G7 e adesso c’è il G4, fatto apposta per escludere l’Italia che voleva il G5. Soprattutto, siccome era stata decisa dalla finanza internazionale l’operazione euro, in Italia serviva una persona che avesse un’ampia disponibilità a “mettersi a 90 gradi”, e questa persona non era Craxi.Un minuto dopo che hanno fatto l’euro, Craxi ha dichiarato alle telecamere che l’euro sarebbe stato una sciagura. Lo sapeva anche prima. Ma lo sapevano anche loro, che se andava Craxi – e non Prodi – a rappresentare l’Italia, non sarebbe mai passato quel tasso di cambio euro-lira. Non ce l’avrebbero mai fatta, a imporcelo. Mai. Dunque il problema era questo, e l’operazione è andata a buon fine. E, facendo l’operazione Craxi, sono stati regolati anche altri conti: i vecchi conti Sindona, Gelli, Calvi. Soprattutto, tutti quei paraculi della Dc che pensavano che facessero fuori solo Craxi e non anche loro, hanno dovuto pagare dazio. Chi non ha pagato? I comunisti, che hanno fatto passare la teoria che Greganti fosse un ladro, e loro non c’entrassero niente. Sapete chi l’ha fatta, quell’operazione? Un magistrato che è morto, Gerardo D’Ambrosio, che poi è diventato senatore dell’ex Pci. Siccome un altro giudice, Tiziana Parenti, voleva mettere in galera mezzo Partito Comunista, come vice-procuratore generale D’Ambrosio ha avocato a sé l’indagine e l’ha chiusa così, con Greganti unico colpevole. Poi è diventato senatore del Pd.Perché Craxi si è lasciato distruggere senza difendersi, cioè senza svelare all’opinione pubblica italiana tutti questi retroscena? All’inizio a dire il vero ha provato a difendersi, in Parlamento. Disse: «Chi di voi può dire di non aver fatto tutto quello che ho fatto io, si alzi in piedi». E non si è alzato nessuno, neanche i leghisti. Poi, però, a Craxi sono stati minacciati i figli. Craxi aveva già deciso di andare in televisione e di tirar fuori tutta una serie di carte. Tra queste c’era un famoso “Dossier Di Pietro”, che riteneva la carta vincente finale, perché dimostrava che Di Pietro era il prodotto di quel tipo di organizzazione. Per fare questa operazione chiamò Mentana, al Tg5, ma lo chiamò direttamente, senza passare per Berlusconi, perché Mentana tempo prima era stato collocato a Rai2 da Craxi. Poi chiamò Paolo Mieli per fare un’intervista di due pagine sul “Corriere della Sera”. Dopodiché chiamò la Rai per un’intervista che avrebbe dovuto fare prima con Giancarlo Santalmassi, poi con Minoli, e che poi invece non fece. Perché quella notte successero tre cose.A casa della figlia Stefania si introdussero delle persone che bruciarono tutti i suoi vestiti. A casa di suo figlio Bobo si recarono delle persone che razziarono tutto quello che c’era. E nella sua casella della posta trovò un messaggio con scritto che, se avesse fatto quelle interviste, avrebbero pagato i suoi figli. Una delle cose che nessuno vi dice, che non sono mai state pubblicate e che vi dico io, è che era lo stesso messaggio che avevano ricevuto altri personaggi di Tangentopoli, che avevano deciso di parlare e si sono suicidati. A quel punto, Craxi decise di telefonare a Cossiga, il quale aveva un grosso complesso di colpa nei suoi confronti, perché sapeva cosa stava accadendo, tant’è vero che si era precipitato a fare senatori a vita Giulio Andreotti e Gianni Agnelli, per evitare che in Tangentopoli ci finissero dentro anche loro, ma non si era premurato di avvisare Craxi. Cossiga a sua volta contattò il capo della polizia dell’epoca, che si chiamava Vincenzo Parisi, il quale fece un’abile opera di mediazione tra Di Pietro, il pool di Mani Pulite e Craxi, per concordare la latitanza: Craxi se ne sarebbe andato ad Hammamet normalmente, non avrebbe parlato, e solo tre mesi dopo ci sarebbe stato l’ordine di carcerazione.I magistrati sapevano benissimo che Craxi sarebbe andato ad Hammamet col suo passaporto, e il ministero degli esteri concordò con Ben Alì – che era il dittatore della Tunisia – che l’Italia non avrebbe mai avviato una richiestra di estradizione. Craxi si tenne la libertà di parlare una volta ad Hammamet, ma in Italia no: la minaccia verso i figli l’aveva ritenuta concreta. Molta gente si era ammazzata, attorno a Mani Pulite. O forse era stata ammazzata. Io ero coinvolto nel processo a Raul Gardini e, come avvocato, avevo accesso a documenti non pubblicati. Era la prima volta che vedevo qualcuno che si suicida sparandosi due proiettili mortali alla tempia. Due, capite? Non possono essere entrambi mortali. Se uno si spara un colpo in testa, come può spararsi anche un secondo colpo? Forse Gardini stava per rivelare il nome di chi portò il famoso miliardo a Botteghe Oscure? Chi lo sa.Il potere è astratto, è automatico. Ci sono meccanismi nei quali entri e magari ti ammazza il nemico che meno ti aspetti: tu non sai che calli stai pestando, di chi sono, perché, da dove vengono quei soldi, chi è in affari con chi. Magari pensi di fare uno sgarbo a Tizio, e s’incazza Caio, che non sapevi fosse in affari con quello. I meccanismi del potere sono di una complessità inaudita. Non è una vita facile, quella di chi sceglie di stare nel potere. Certo, sai sempre come pagare le bollette, però non sai mai da dove ti arrivano le coltellate. Quando Craxi ha accettato di deporre al processo Cusani, quando già l’accordo l’avevano fatto, Di Pietro è stato criticato perché l’interrogatorio era mite, era troppo rispettoso. In realtà era il segnale che aveva chiesto Craxi a Parisi per non fare le interviste. Disse: «Io le interviste non le faccio. Ma, a parte il fatto che lasciate in pace i miei figli, non voglio finire in galera. Perché se finisco in galera, e so come sono fatto, poi m’incazzo, parlo, e m’ammazzano i figli. O ammazzano me». Una tazzina di caffè: com’è morto Sindona? Com’è morto Papa Giovanni Paolo I? Ti portano una camomilla le monache: è perfetto.Con Craxi, è stato eliminato chi era capace. La disonestà? Bettino Craxi non era ricco. Il famoso tesoro di Craxi non l’hanno trovato perché non è mai esistito. I 13 miliardi che gli hanno trovato sul famoso conto svizzero erano i soldi del partito. Mentre i grandi partiti i conti del finanziamento illecito li intestavano ai segretari amministrativi, i piccoli partiti li intestavano ai segretari politici – il conto del Pri era intestato a Giorgio La Malfa, che ha avuto i suoi guai, come Renato Altissimo del Pli. Craxi, quando passò le consegne a Del Turco, cercò di passargli anche i conti; ma Del Turco, che era un po’ fifone, disse “no, non li voglio”, non scordandosi che un conto simile l’aveva quand’era segretario generale della Uil, perché anche i sindacati facevano i finanziamenti illeciti.Siamo un paese strano: ci colpevolizzano col debito pubblico, senza tenere conto del fatto che abbiamo il massimo risparmio privato europeo e il più alto numero di proprietari di case. Questo dovrebbe contare, per la solidità del sistema, e invece quando vanno a trattare in sede Ue si calano le brache, compreso l’ultimo, Renzi, che sembra un pretino, un seminarista di trent’anni fa. Un leader forte, l’Italia non se lo può permettere, perché una delle caste italiane se lo sbrana. Questi pretini spretati hanno paura di fare la fine dei Craxi. Meglio calarsi le brache e tirare a campare, poi si vedrà. C’è questo cortocircuito, in cui il nostro sistema non difende più l’istituzione. Quando hanno scoperto un sacco di magagne su Kohl, i tedeschi l’hanno mandato a casa, non in galera: perché era Kohl. E quando sono state scoperte un sacco di magagne su Mitterrand, i francesi – compresa l’opposizione – non l’hanno mandato in galera, l’hanno mandato a casa.Da noi, Craxi è stato mandato ad Hammamet, senza tener conto che aveva rappresentato un’istituzione. E lo stesso sta succedendo a Berlusconi – che a me non è simpatico, non l’ho mai votato, però non posso immaginare che uno, quando fa il presidente del Consiglio, abbia i carabinieri appostati alla porta per vedere con chi scopa, perché non c’è rispetto – non verso ciò che uno è, che sono fatti suoi – ma ciò che uno rappresenta, che sono anche fatti miei. E se uno mi rappresenta indegnamente io lo mando a casa, non in galera, perché mandandolo in galera sputtano anche me, indebolisco la mia economia, il mio sistema. Invece qui, pur di prenderne il posto e farsi la guerra (non vale solo per Berlusconi, l’ha fatto anche lui agli altri) vige questa mentalità, per cui oggi magari l’idea è quella di fottere Renzi per mettersi al posto suo, e per fottere Renzi o Berlusconi o D’Alema ci si allea con i nemici dell’Italia, con la stampa estera per sputtanarli, con i parlamentari europei per attaccarli. Ma che logica è? Che popolo siamo?(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTube. Studioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.
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Fine della crisi? Via la Germania dall’Ue, e addio alla Nato
A mio modo di vedere, una valuta internazionale non è più necessaria. All’indomani della II Guerra Mondiale quando tutte le altre grandi nazioni industriali avevano economie distrutte e strutture industriali distrutte: solo il dollaro aveva valore e quindi poteva diventare la moneta mondiale. Oggi chiaramente ci sono molte zone sviluppate del mondo con valute legittime e quindi è possibile condurre scambi tra nazioni tramite le loro proprie valute. Avete l’euro, avete il rublo, avete la valuta cinese, avete la giapponese, la canadese, l’australiana, ognuna già ora con un grande volume di attività economica sulla faccia del pianeta che non esisteva nel 1945. E quindi una valuta di riserva non è veramente più necessaria. Una valuta di riserva connessa a una nazione assicura a quella nazione un potere, le dà l’egemonia finanziaria sopra altre nazioni. Stiamo osservando come Washington faccia un cattivo uso di questo potere. Un altro problema è il modo in cui Washington usa la valuta di riserva per pagare i suoi conti. Se sei la nazione con valuta di riserva puoi rilassarti, perché puoi pagare i tuoi conti emettendo moneta di credito.Negli anni recenti ciò che è successo è stato che Washington ha espanso oltre misura la sua disponibilità monetaria e il dollaro ha denominato il debito. Washington inflaziona la sua valuta come ha fatto, anno dopo anno, col “quantitative easing”. Una politica che, strettamente parlando, non è finita. Ciò costringe le altre nazioni a inflazionare le proprie valute, altrimenti il valore di scambio delle loro valute aumenta e le esportazioni vengono tagliate, e quindi per proteggere i mercati di esportazioni tutti devono inflazionare se lo fanno gli Stati Uniti. Così la conseguenza è che il mondo ora è sommerso da “fiat money”, ma la produzione di merci e di servizi non è cresciuta in modo commensurabile alla crescita del denaro. Ci aspettiamo una seria inflazione mondiale per molte ragioni. Molta di questa moneta è sotto chiave nel sistema bancario. C’è comunque una situazione molto instabile, ogni volta che la creazione di “fiat money” superi la produzione di beni e servizi.Penso che la situazione abbia raggiunto il punto in cui molte nazioni, parlo di nazioni potenti come la Russia e la Cina, si rendono conto che il sistema del dollaro, il sistema di pagamenti basato sul dollaro, si sta frantumando, ed è anche il sistema che può essere usato per imporre sanzioni su nazioni che non seguono le imposizioni di Washington. Avete sanzioni se vi comportate indipendentemente da Washington. Quindi si possono già vedere movimenti per abbandonare il sistema, e ciò certamente avverrà. La Cina è il più grande creditore del Tesoro statunitense: possiede la parte maggiore del debito Usa e ha legato la sua valuta al dollaro per dimostrare che la sua valuta è buona quanto il dollaro. E ciò che vediamo è che la valuta cinese è meglio del dollaro. Io penso che l’obiezione della Cina è il modo in cui gli Stati Uniti usano la loro valuta come un’egemonia finanziaria sopra tutte le altre nazioni. La usano per minare la sovranità delle altre nazioni.Lo vediamo con le sanzioni contro la Russia. Questo è il modo per costringere la Russia a sottomettersi al volere di Washington. Ma stanno ottenendo il risultato opposto. La Russia sta lasciando il sistema dei pagamenti basati sul dollaro. E inoltre, a causa della stupidità dei governi europei, la Russia sta riorientando il suo commercio dall’Europa all’Oriente. Lo vediamo oggi con gli sviluppi in campo energetico. Così ciò manderà in frantumi il sistema di pagamento basato sul dollaro. Le nazioni europee sono i grandi facilitatori dell’egemonia di Washington. Se le nazioni europee fossero davvero sovrane e fossero in grado di condurre politiche internazionali indipendenti non sarebbero stati vassalli degli Stati Uniti e questo limiterebbe lo strapotere degli Usa e priverebbe gli Stati Uniti della copertura per le sue guerre di aggressione. Cosa può fare l’Europa? Può disimpegnarsi dalla Nato. Essere un membro della Nato vuol dire assoggettarsi al controllo di Washington. La Nato esisteva per proteggersi dall’invasione dell’Europa da parte dell’Armata Rossa, l’esercito sovietico. Questa minaccia è spartita da almeno vent’anni. Eppure la Nato continua ad espandersi e viene usata dagli Stati Uniti per le sue guerre in Africa e nel Medio Oriente.Cosa ci guadagna l’Europa da tutto ciò? Niente. E adesso viene trascinata in un confronto militare con la Russia. Che cosa ne uscirà da tutto ciò? Nulla di buono per l’Europa. E’ quindi necessario che i paesi europei riacquistino la loro sovranità. Ma non sono sovrani, sono colonie. Sono regimi fantoccio. Non hanno politiche estere indipendenti. Sono assoggettate al volere di Washington. E ciò costituisce una grande facilitazione per l’egemonia di Washington. Senza ciò gli Stati Uniti sarebbero solo un altro paese tra tanti. Magari un paese molto forte, certo, ma un paese tra tanti. Quando però uno ha tutta l’Europa, il Canada, l’Australia e il Giappone come regimi fantoccio e Stati vassalli, diventa strapotente. Quindi, ciò che l’Europa può fare? Lasciare la Nato. La Nato non protegge più l’Europa, ma la mette in pericolo perché la coinvolge nelle guerre di Washington.Perché gli Usa riescono ad assoggettare le nazioni europee? Ci sono vari motivi. Uno è che dopo la Seconda Guerra Mondiale il dollaro è diventato la moneta di riserva, e ciò dà un potere enorme agli Stati Uniti. Un’altra ragione è stata la lunga Guerra Fredda con l’Unione Sovietica e la propaganda secondo cui l’Europa poteva essere invasa dall’Urss, con la conseguente dipendenza dell’Europa, che dura da decenni, dalla protezione americana. Se tu dipendi dalla protezione di un altro paese finisci per dover seguire le politiche di quel paese perché dipendi da quel paese. E’ il ruolo che assumi col tempo. Tutto ciò avrebbe dovuto finire con il collasso dell’Unione Sovietica. Sfortunatamente il collasso dell’Unione Sovietica ha portato alla ribalta negli Stati Uniti l’ideologia dei neoconservatori, che dice che la storia ha scelto gli Stati Uniti per dominare il mondo. Sarebbe la “Nazione Eccezionale”, la “Nazione Indispensabile”. E il collasso del comunismo, del socialismo, avrebbe provato che gli Stati Uniti dovevano esercitare la loro egemonia sul mondo.Questa ideologia è stata istituzionalizzata nella politica estera e militare degli Stati Uniti. Abbiamo la dottrina Brzezinski e la dottrina Wolfowitz. E in sostanza queste dottrine dicono che gli Stati Uniti devono prevenire l’ascesa di ogni altro paese che abbia il potere e la capacità di bloccare i propositi di Washington nel mondo. Questi due Stati, oggi, sono la Russia e la Cina. E quindi questa ideologia è estremamente pericolosa, perché mette il mondo in conflitto con la Russia e la Cina. E questi sono tra i principali paesi nucleari, e sono grandi economie ed enormi aree geografiche. E quindi l’ideologia dell’egemonia americana è una minaccia alla stessa esistenza della vita sulla Terra. La possibile alternativa rappresentata dalla Germania? Temo che la Merkel sia solo un pupazzo di Washington. E’ molto difficile per un leader europeo alzarsi in piedi e rappresentare il proprio popolo invece che gli Stati Uniti. Tutti i leader europei rappresentano gli Stati Uniti e non rappresentano il popolo della Francia, della Germania o il popolo britannico. Rappresentano gli Stati Uniti. E certamente sono ben remunerati per questo. E quindi i leader che mostrano una qualche disposizione a non stare al gioco sono sempre rovinati.Immaginatevi se la Germania dovesse semplicemente lasciare l’Ue . Restare non serve agli interessi della Germania. Perché la Germania verrebbe munta e pagherebbe i debiti dell’Ue, e dell’Ucraina. O se la Germania lasciasse la Nato: perché la Germania dovrebbe stare nella Nato? La Germania ha grandi collegamenti economici con la Russia. Ma questi stanno per essere sacrificati per far piacere agli americani. Quindi, sì, la Germania potrebbe fare molto. Potrebbe lasciare la Ue, potrebbe lasciare la Nato. Questo sarebbe la fine dell’egemonia statunitense. Ma non succederà, perché i paesi occidentali non hanno più, a mio avviso, la democrazia: i loro leader non rappresentano il popolo. Negli Stati Uniti rappresentano ideologie e rappresentano potenti gruppi di interessi, come ad esempio il complesso militare e di sicurezza, Wall Street e le grandi banche, e poi l’agribusiness, la lobby israeliana, le industrie estrattive, il petrolio, le miniere, l’industria del legno. Tutti questi sono interessi potentissimi, le cui donazioni determinano chi viene eletto. E le persone che traggono beneficio da questi contributi alle campagne elettorali sono alleate alle fonti del denaro. Quindi tutto il processo viene rimosso dalla rappresentazione del popolo. Il popolo non fornisce i soldi che eleggono i candidati. E quindi si ha una situazione in cui l’Europa è solo un vassallo degli Stati Uniti.Questi leader non possono nemmeno rappresentare gli interessi del loro popolo ma devono conformarsi alle politiche degli Stati Uniti. Perciò si può solamente dire che la democrazia in fin dei conti non esiste. E’ solo una copertura perché i governi sono incapaci di rappresentare gli interessi del popolo. Cosa dovrebbero fare i lavoratori e le persone comuni per ribilanciare lo squilibrio nei confronti del capitale? E’ chiaro che non possono fare nulla all’interno di questo sistema. Ciò che ha distrutto il potere dell’uomo comune negli Stati Uniti è stato la delocalizzazione all’estero dei posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Quando l’industria è stata delocalizzata all’estero, i sindacati sono stati distrutti. E quando i sindacati sono stati smantellati, la fonte indipendente di finanziamento del Partito Democratico è stata distrutta. Di conseguenza, i Democratici ora devono rivolgersi agli stessi gruppi di interesse che finanziano i Repubblicani. Devono rivolgersi al complesso militare-sicurezza, a Wall Street, alle banche. E così, entrambi i partiti sono finanziati dalle medesime fonti. A tutti gli effetti, c’è un unico partito.L’unica cosa che possono fare i lavoratori spossessati è contestare la legittimità del governo e ribellarsi. E’ l’unica alternativa che hanno. Non c’è nessuna possibilità di cambiare il sistema dall’interno. Fin quando protestare vuol dire protestare pacificamente vuol dire che la gente accetta la struttura e semplicemente cerca di convincere coloro che hanno il potere che devono cambiare le proprie idee. Ma questo non avverrà. Non succede mai. Abbiamo raggiunto un punto in cui i lavoratori sono spinti ai margini. Non hanno nessuna influenza, nessuna rappresentanza. Quanto all’Europa, tutto quello che posso dire è che paesi che hanno una così lunga storia non devono rinunciare alla loro sovranità, per Washington. Devono riconquistare la loro sovranità per proteggere il mondo dall’aggressione di Washington. Devono ridiventare indipendenti, per costringere gli Usa a mollare questa ideologia della supremazia mondiale, perché è molto pericolosa – pericolosa per gli americani, per gli europei, per i cinesi, per i russi, per tutti. Potete vedere i morti e le distruzioni nel Medio Oriente da tredici anni. E l’ingerenza irresponsabile del governo degli Stati Uniti in Ucraina, le accuse irresponsabili contro la Russia, contro la Cina, la costruzione di basi militari sulle frontiere della Russia e in Asia per bloccare l’accesso della Cina alle risorse. Tutto questo ci porterà alla guerra. Ma la Russia e la Cina non sono la Libia o l’Iraq.(Paul Craig Roberts, dichiarazioni rilasciate a Piero Pagliani per un’intervista su “Pandora Tv”, ripresa da “Megachip” il 13 febbraio 2015).A mio modo di vedere, una valuta internazionale non è più necessaria. All’indomani della II Guerra Mondiale quando tutte le altre grandi nazioni industriali avevano economie distrutte e strutture industriali distrutte: solo il dollaro aveva valore e quindi poteva diventare la moneta mondiale. Oggi chiaramente ci sono molte zone sviluppate del mondo con valute legittime e quindi è possibile condurre scambi tra nazioni tramite le loro proprie valute. Avete l’euro, avete il rublo, avete la valuta cinese, avete la giapponese, la canadese, l’australiana, ognuna già ora con un grande volume di attività economica sulla faccia del pianeta che non esisteva nel 1945. E quindi una valuta di riserva non è veramente più necessaria. Una valuta di riserva connessa a una nazione assicura a quella nazione un potere, le dà l’egemonia finanziaria sopra altre nazioni. Stiamo osservando come Washington faccia un cattivo uso di questo potere. Un altro problema è il modo in cui Washington usa la valuta di riserva per pagare i suoi conti. Se sei la nazione con valuta di riserva puoi rilassarti, perché puoi pagare i tuoi conti emettendo moneta di credito.
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Che gioia scoprire che Obama legge le mie email (e le tue)
Qualche giorno fa ho presenziato a un incontro insolito per gli standard italiani: una conferenza pubblica con il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler. A Bellinzona, senza particolari misure di sicurezza, con la consueta semplicità elvetica, introdotto dal direttore del Dipartimento delle Istituzioni, Norman Gobbi (il ministro degli interni ticinese, tradotto nel gergo italiano). Serata interessante, pacata nei toni, durante la quale Seiler ha dichiarato, testuale: «Oggi l’80% delle email fanno una rapida tappa a Washington e a Londra dove vengono copiate e archiviate. Solo le email criptate o protette da particolari misure di sicurezza sfuggono a questo gigantesco setaccio». Seiler si è ovviamente ben guardato dall’esprimere valutazioni politiche, però il tono del suo intervento era chiaro. Era come se chiedesse al pubblico presente: a voi va bene? Non sono un diplomatico ma un giornalista. E posso permettermi di rispondere. No, non va bene.Mi fa molto piacere che il presidente Obama si interessi alla mia vita privata e professionale, coinvolgendo il premier britannico Cameron, ma non è accettabile che tutti i miei messaggi, come i tuoi, caro lettore, siano copiati istantaneamente e memorizzati in un gigantesco database. In questi giorni sto rileggendo, a distanza di trent’anni, “1984” di Orwell e pagina dopo pagina rabbrividisco: alcune delle misure di controllo sociale del Grande Fratello, immaginate dal grande scrittore inglese, oggi sono realtà. Schedare tutto quel che viene scritto da un cittadino, mappare la sua rete di contatti (sanno a chi scrivo le email, sanno quali sono i miei amici su Facebook, hanno accesso alla mia agenda telefonica tramite WhatsUp) era il sogno di qualunque dittatore, da Hitler a Stalin a Mao; ora è diventata realtà per mano di una potenza che fino a ieri era il baluardo contro la dittatura e ora, con il pretesto della lotta al terrorismo, si sta trasformando in un invasivo inquisitore.E’ un gioco da ragazzi affinare la ricerca nel database e mappare fino a “targetizzare” ognuno di noi. I dati selezionati e affinati possono essere usati per fini impropri o politici da parte di un paese che non dimostra più grande considerazione per lo Stato di diritto, né in patria né fuori. Snowden, l’agente della Nsa che ha svelato la gigantesca rete di spionaggio dell’intelligence americana, ci aveva avvertiti. Ora il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler conferma l’esistenza di una silenziosa, sistematica violazione della libertà e della sovranità di tutti gli Stati. Altro che Isis. La vera minaccia è altrove. Ci stanno portando via tutto, con la silenziosa compiacenza di masse che nemmeno si rendono conto del pericolo e del regresso di civiltà. State all’erta. Il Grande Fratello è proprio lì nel vostro computer. E un giorno tutto quel che scrivete potrà essere usato contro di voi. Rilancio la domanda: va bene così?(Marcello Foa, “Che gioia sapere che Obama spia le mie email, e anche le tue”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 22 febbraio 2015).Qualche giorno fa ho presenziato a un incontro insolito per gli standard italiani: una conferenza pubblica con il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler. A Bellinzona, senza particolari misure di sicurezza, con la consueta semplicità elvetica, introdotto dal direttore del Dipartimento delle Istituzioni, Norman Gobbi (il ministro degli interni ticinese, tradotto nel gergo italiano). Serata interessante, pacata nei toni, durante la quale Seiler ha dichiarato, testuale: «Oggi l’80% delle email fanno una rapida tappa a Washington e a Londra dove vengono copiate e archiviate. Solo le email criptate o protette da particolari misure di sicurezza sfuggono a questo gigantesco setaccio». Seiler si è ovviamente ben guardato dall’esprimere valutazioni politiche, però il tono del suo intervento era chiaro. Era come se chiedesse al pubblico presente: a voi va bene? Non sono un diplomatico ma un giornalista. E posso permettermi di rispondere. No, non va bene.
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Giannuli: non credo al Grande Complotto, fuori le prove
Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».Eppure, annota il docente dell’ateneo milanese, il «paradigma “complottista”» nasce in ambienti di destra nel XIX secolo, «avendo a bersaglio fisso massoni ed ebrei», in diversi casi accomunati in un’unica congiura. «E’ il mondo cattolico – scrive Giannuli – il primo ventre fecondo di questo indirizzo, che vede la modernità stessa come il frutto della congiura diabolica dei massoni: dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia, dall’industrialismo allo sviluppo del capitale finanziario, dal modernismo alla rivoluzione sessuale è tutto il prodotto di essa». Non è difficile, in questo, scorgere l’eredità della Santa Inquisizione, «che spiegava eresie e rivolte con l’intervento del Maligno attraverso infedeli (ebrei in testa), streghe e indemoniati: il “Malleus maleficarum” è un testo di rara chiarezza a questo proposito». A questo filone principale, continua Giannuli, si aggiunse in seguito l’antisemitismo di destra, alimentato dai falsi della polizia politica zarista (i “Protocolli dei Savi di Sion”), poi sfociato nel nazismo. «La crisi del 1929 offrì una formidabile occasione per l’antisemitismo», e infatti si scaricò la catastrofe «sulle spalle della congiura finanziaria ebraica».Infine, ad alimentare e modernizzare l’immaginario complottista, giunse la crescita dello spionaggio dalla Prima Guerra Mondiale in poi: «L’ossessione della spia in agguato crebbe per tutti i decenni centrali del secolo scorso, producendo un genere letterario e cinematografico che contribuì non poco a socializzare le masse a questa “cultura del sospetto”». Secondo Giannuli, «il paradigma complottista è stato preparato in cucine di destra (cattolicesimo tradizionale, antisemitismo nazista, servizi segreti e derivazioni letterarie)», mentre poi «a “sdoganarlo” a sinistra fu lo stalinismo con le sue ossessioni e la sua caccia alle streghe trotzkjiste (manco a dirlo: ebrei anche quelli, come il loro capo)». Finita la guerra, scese in campo la “controinformazione”, con la missione di rompere il silenzio omertoso attorno al potere, partendo dall’analisi critica delle apparenze: «Spesso le apparenze ingannano, soprattutto nei casi più oscuri e drammatici come stragi, assassinii politici, colpi di Stato o scandali finanziari, per cui occorre indagare con spirito critico». E’ quello che si dovrebbe fare sempre, per esempio «su un “suicidio” dietro il quale si nasconde un omicidio». Il punto è, soprattutto nei casi “politici”, «la polizia non è una parte fuori del conflitto, ma un personaggio in commedia, che spesso falsifica, omette, depista, confonde le acque».Nei casi politici, la ricerca del movente politico è un pezzo decisivo dell’indagine. Ma la riflessione critica – secondo la scuola della controinformazione – deve sempre muoversi sul filo della razionalità. «Il fatto che una versione ufficiale “non quadri” logicamente, non significa che si possano dipingere gli scenari più fantasiosi e intimamente incoerenti». Quindi, primo passo: «Una versione falsificata dice solo che le cose non possono essere andate nel modo in cui essa le racconta, ma non ci dice ancora come è andata davvero». In secondo luogo, «l’apparenza va processata logicamente, non rimossa». Se emergono aspetti dubbi, incoerenti o anche spudoratamente falsi, questo «non autorizza a mettere da parte tutto il resto come falso e incoerente: ogni singolo aspetto di quel che ci appare va accolto come vero sino a prova contraria. Si può accettarlo “con beneficio di inventario” ma bisogna comunque accettarlo, perché ci si priverebbe degli elementi su cui lavorare». Infine, occorre distinguere sempre fra prove e indizi, certezze e semplici ipotesi. «L’importante è che la spiegazione “certa” (ovviamente “certa” solo sino a prova contraria che dimostri l’errore) non nasca troppo presto. E qui c’è l’errore classico dei dilettanti: prima formulare la ricostruzione d’insieme e dopo andare cercando prove e indizi a sostegno».A Giannuli non piace che si evochi – o si denunci – l’esistenza di «un vertice mondiale che tutto dirige e regola». Obiezione: «Se ci fosse questa “cupola mondiale” si dovrebbe registrare un quadro mondiale sostanzialmente aconflittuale o al massimo con limitatissimi conflitti periferici, mentre la nostra conoscenza ci indica un mondo attraversato da crescenti conflitti tutt’altro che periferici e una sostanziale assenza di ordine internazionale». Secondo quello che Giannuli definisce teorema “complottista pregiudiziale”, le crisi finanziarie non sono altro che fenomeni intenzionalmente manovrati per impoverire chi è già povero a spese dell’élite. «Può anche darsi che le cose stiano così, ma spetta a chi fa queste affermazioni produrre le prove a sostegno», replica il professore. «Ad esempio: constatare che la crisi ha lasciato come sedimento (almeno sinora) un aumento delle diseguaglianze, con ricchi ancor più ricchi e poveri sempre più poveri, non basta a dimostrare che quell’esito sia stato cercato sin dall’inizio e la crisi appositamente provocata, perché esso potrebbe essere stato solo il prodotto oggettivo, ma non prevedibile, di un processo innescato da altri fattori».Il guaio è che il “complottista pregiudiziale”, per Giannuli, «non avverte normalmente questa esigenza di rigore analitico», perché «obbedisce prima di tutto a uno stato d’animo, l’ansia per i pericoli da cui si sente minacciato, l’angoscia per la sua impotenza di fronte ad un mondo ostile e buio». Il professore si esprime con durezza: «La stupidità è sempre nemica dell’intelligenza e serva del potere», sentenzia. Trascurando il fatto – non proprio irrilevante – che se oggi il dibattito sulle “vere cause” della grande crisi appassiona milioni di persone, lo si deve essenzialmente a tanti “complottisi”, regolarmente denigrati, certamente spaventati da un mondo sempre più spietato e incomprensibile, ma soprattutto scandalizzati dal silenzio assordante del mainstream mediatico, televisivo, editoriale, accademico, politico, sindacale. La grande crisi sta facendo a pezzi l’Europa e quel che resta della pace del mondo. Chi doveva fornire spiegazioni, non l’ha fatto. Se non altro, i “complottisti” ci provano. L’alternativa è il silenzio sordo di un establishment marmoreo, muto anche di fronte alle denunce più serie e circostanziate.Cari complottisti, non esagerate: la «implausibiltà» delle vostre tesi è spesso così clamorosa da costituire il miglior regalo al potere che, «attraverso i suoi manutengoli nei mass media», potrà agevolmente provvedere a «ridicolizzare ogni tentativo di mettere in discussione le “verità ufficiali”». Storico e politologo, esperto di servizi segreti e trame oscure, il professor Aldo Giannuli avverte il bisogno di mettere in guardia dall’eccesso di dietrologia i lettori del suo blog. Il web è inondato da milioni di informazioni su piste scomode, che il mainstream silenzia accuratamente? Non importa: per Giannuli il problema è la proliferazione incontrollata di tesi non dimostrate. La definisce «una moda», evidentemente preoccupante visto che in Italia «miete molti consensi a sinistra o in ambienti come quello dei 5 Stelle, degli ex “Italia dei Valori”, lettori del “Fatto” e del “Manifesto”». La colpa? E’ dell’attuale «processo di spoliticizzazione di massa», che secondo Giannuli «apre spazio ad un immaginario para-magico sostitutivo delle categorie politiche di analisi».
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Martin Luther King e Charlie Hebdo, stesso killer: Gladio
Il 19 gennaio è stato il Martin Luther King Day, festa nazionale. King era un leader per la difesa dei diritti civili assassinato il 4 aprile 1968, 47 anni fa, all’età di 39 anni. James Earl Ray fu condannato per l’omicidio. Inizialmente Ray si proclamò colpevole, seguendo, a quanto detto, il consiglio del suo avvocato per evitare la pena di morte, ma Ray ritrattò la sua confessione e richiese inutilmente un processo con giuria. I documenti ufficiali sulle indagini rimarranno segreti fino al 2027. Come riporta Wikipedia, “la famiglia King non crede che Ray abbia a che fare con l’omicidio di Martin Luther King”. “La famiglia King e altre persone credono che l’assassinio sia stato portato avanti da una cospirazione da parte del governo americano e che James Earl Ray sia stato un capro espiatorio. Questa conclusione è stata confermata da una giuria in un processo civile del 1999 contro Loyd Jowers e cospiratori anonimi”. Il dipartimento americano di giustizia concluse che la testimonianza di Jower, che influenzò la giuria civile durante il processo, non era attendibile.Dall’altra parte non vi è alcuna soddisfacente spiegazione del perché alcuni documenti sulle investigazioni su Ray furono messe sotto chiave per 59 anni. Ci sono molti punti oscuri sulla storia dell’assassinio di King, così come ce ne sono per l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy e di Bobby Kennedy. Non sono abbastanza i sospetti e le informazioni per cambiare le storie ufficiali. I fatti non contano abbastanza per cambiare le storie ufficiali. Molti americani continueranno a credere che, visto il fallimento del governo nell’averlo etichettato come comunista e donnaiolo, la classe dirigente decise di eliminare un leader emergente e scomodo, assassinandolo. Molti neri americani continueranno a credere che il giorno di festa nazionale sia il modo in cui il governo ha voluto coprire il suo crimine, incolpando il razzismo per l’omicidio di King. Di sicuro il governo non avrebbe dovuto fomentare il sospetto accordandosi con un patteggiamento per un omicidio del genere. Ray era un evaso da un penitenziario di Stato ed è stato arrestato all’aereoporto londinese di Heathrow mentre stava cercando di fuggire in Africa. Sembra improbabile che stesse mettendo a rischio la sua fuga per andare a sparare a King con delle motivazioni razziali.Dovremmo tenere a mente i numerosi dettagli in sospeso sull’assassinio di Martin Luther King con cui siamo stati bombardati dai media, con quelli che Finian Cunningham definisce «politici emotivamente dinamici che stupiscono il pubblico facendo domande necessariamente dure», i dettagli sugli omicidi di “Charlie Hebdo”, e inoltre quelli del bombardamento alla maratona di Boston, e tutti gli altri attentati che sono risultati essere molto convenienti ai governi. Questi ingenui cittadini che credono che «i nostri governi non ucciderebbero mai la propria gente», devono informarsi di più su cose come l’Operazione Gladio e il Progetto Northwoods, argomenti sui quali sono presenti molte informazioni nella rete, investigazioni parlamentari e documenti segreti resi pubblici. Il Progetto Northwoods fu presentato al presidente Kennedy dallo stato maggiore americano. È stato portato in appello per la sparatoria contro civili per le strade di Washington e Miami, per aver abbattuto aerei di linea americani (reali o simulazioni) e aver attaccato navi di rifugiati che arrivavano da Cuba al fine di creare un terribile caso contro Castro, che avrebbe assicurato il supporto dell’opinione pubblica per una invasione che avrebbe portato al cambio del regime a Cuba.Il presidente Kennedy non accettò la teoria del complotto e fece rimuovere il capo dello stato maggiore, un provvedimento che alcuni ricercatori pensano abbia portato al suo assassinio. L’Operazione Gladio fu invece rivelata dal primo ministro italiano nel 1990. Si trattava di un’operazione segreta coordinata dalla Nato in cooperazione con la Cia e i servizi segreti britannici. Investigazioni parlamentari in Italia, Svizzera e Belgio, insieme a testimoni dei servizi segreti, hanno stabilito che la Gladio, originariamente costituita come un esercito segreto per resistere all’invasione sovietica, era utilizzata per portare a termine bombardamenti sulle popolazioni europee, in particolare contro donne e bambini, con il fine di incolpare i comunisti ed evitare che questi ultimi ottenessero maggiorepotere politico in Europa durante il periodo della Guerra Fredda. Rispondendo all’interrogatorio dei giudici a proposito della strage alla stazione centrale di Bologna del 1980, dove vi furono 85 morti, Vincenzo Vinciguerra disse: «In Italia è presente una forza armata parallela a quella dell’esercito, composta da civili e militari. Una grande organizzazione con un grande rete di comunicazione, armi ed esplosivi che portano a termine azioni omicide in nome della Nato e prevengono una caduta a sinistra nell’equilibrio politico del paese. Questo è quello che hanno fatto, con l’appoggio dei servizi segreti, della classe politica e delle forze armate».In un’intervista al “Guardian”, Vinciguerra disse che «ogni singolo attentato avvenuto dopo il 1969 rientra in un unico grande contesto, mobilitato per una battaglia contro la strategia comunista, non creata con organizzazioni devianti dalle istituzioni del potere, ma dall’interno degli Stati stessi, in particolar modo all’interno degli ambiti delle relazioni tra gli Stati dell’Alleanza Atlantica». Non vi è alcun dubbio sull’esistenza dell’Operazione Gladio. La Bbc nel 1992 ha realizzato un documentario di due ore e mezza sull’organizzazione terroristica della Nato. Oltre alle investigazioni parlamentari e a testimonianze dei partecipanti, ci sono molti libri, articoli e resoconti sul tema. C’è ragione di credere che, sebbene siano stati scoperti, Gladio sia ancora in attività e sia dietro ad attacchi terroristici in Europa, come quello a “Charlie Hebdo”. Ovviamente oggigiorno Washington ha il totale controllo sull’Europa, quindi non vi saranno investigazioni parlamentari analoghe a quelle che vi sono state per l’Operazione Gladio.Con la documentata e ufficiale ammissione dell’esistenza delle tante cospirazioni governative contro le proprie popolazioni e la conseguente morte di molte persone, solo agenti governativi consapevoli e inconsapevoli rispondono alle osservazioni sui sedicenti attacchi terroristici, cercando di mettere a tacere coloro che ricercano la verità. L’obbiettivo di mettere a tacere i sospetti sulle storie ufficiali è stato portato a termine in maniera egregia dai principali mezzi di comunicazione del mondo occidentale, stampa e tv. Alla prostituzione dei mezzi di comunicazione si è unita quella dei tabloid del web, come “Salon” ad esempio, e altri siti web che in questa maniera ottengono guadagni e vantaggi. I soldi arrivano a chi appoggia la classe dirigente. Molti siti Internet contribuiscono involontariamente al potere di quell’1% che controlla le spiegazioni, e screditano chi ricerca la verità. Questa è la principale funzione della sezione dei commenti sui siti Internet, creati appositamente da persone pagate per “trollare”.Alcuni studi hanno portato alla conclusione che la maggior parte della popolazione si sente troppo insicura per prendere una posizione diversa dai propri simili. La maggior parte degli americani non ha sufficienti informazioni per sentirsi abbastanza sicura da assumere un’opinione autonoma. Seguono la massa e si fidano dei loro simili che dicono loro cosa è meglio pensare. Chi crea i “troll” è assunto con lo scopo di denigrare e formulare degli attacchi personali a chi non è d’accordo con l’opinione comune. Per esempio, nella sezione dei commenti del mio sito, vengo continuamente attaccato in termini personali da individui che si nascondo dietro un nome o un nickname. Altri assumono persone che odiano Ronald Reagan o gli ideali di sinistra per screditarmi su un piano che solo persone deboli e perfide possono fare. Molte delle persone che mi screditano, baciano il pavimento dove cammina Hillary Clinton. Oggigiorno nelle cosiddette “democrazie occidentali” è permesso essere politicamente scorretti nei confronti dei musulmani, o evocare parole di disprezzo e denigrazione nei loro confronti, ma non è permesso criticare il governo di Israele per gli attacchi omicidi indiscriminati contro i cittadini palestinesi.La posizione della lobby israeliana e la sua obbediente e minacciata “stampa della prostituzione”, è quella che qualsiasi critica ad Israele sia un sintomo di antisemitismo e il segnale che l’opinione pubblica voglia un nuovo Olocausto. Questo sforzo di mettere a tacere tutte le critiche sulle politiche di Israele viene applicato anche sugli israeliani e sugli stessi ebrei. Gli israeliani e gli ebrei che leggitimamente criticano le politiche israeliane con la speranza di far cambiare direzione allo Stato sionista, di portarlo lontano dall’autodistruzione, vengono etichettati dalla lobby israeliana come persone che odiano gli stessi ebrei. La lobby ha dimostrato il suo potere distruggendo la libertà accademica, arrivando all’interno delle università cattoliche private e quelle statali, bloccando e ritirando le nomine di ruolo dei candidati, ebrei e non, che non avevano ottenuto l’approvazione della lobby israeliana.Vedo Martin Luther King come un eroe. Qualsiasi siano stati i suoi fallimenti familiari, se ce ne sono stati, ha sempre combattuto per la giustizia e per la sicurezza di ogni razza e genere nel rispetto della legge. King credeva veramente nel sogno americano e voleva che si realizzasse per il bene di tutti. Sento di aver esaminato la vita di King con occhio critico; avrebbe preso in considerazione il mio caso e avrebbe risposto onestamente, a prescindere dal potere che poteva avere su di me. Non posso aspettarmi la stessa considerazione da nessun governo occidentale o dalle persone che “trollano” i miei commenti con la speranza di fomentare i propri lettori. I creduloni e gli ingenui sono incapaci di difendere la propria libertà. Sfortunatamente queste sono le caratteristiche principali delle popolazioni occidentali. La libertà occidentale sta crollando davanti ai nostri occhi, e ciò rende assurdo il desiderio degli oppositori russi di Vladimir Putin di integrarsi al collasso degli Stati occidentali.(Paul Craig Roberts, “Martin Luther King, un eroe americano: dov’è il sostituto?”, da “Global Research” del 20 gennaio 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Il 19 gennaio è stato il Martin Luther King Day, festa nazionale. King era un leader per la difesa dei diritti civili assassinato il 4 aprile 1968, 47 anni fa, all’età di 39 anni. James Earl Ray fu condannato per l’omicidio. Inizialmente Ray si proclamò colpevole, seguendo, a quanto detto, il consiglio del suo avvocato per evitare la pena di morte, ma Ray ritrattò la sua confessione e richiese inutilmente un processo con giuria. I documenti ufficiali sulle indagini rimarranno segreti fino al 2027. Come riporta Wikipedia, “la famiglia King non crede che Ray abbia a che fare con l’omicidio di Martin Luther King”. “La famiglia King e altre persone credono che l’assassinio sia stato portato avanti da una cospirazione da parte del governo americano e che James Earl Ray sia stato un capro espiatorio. Questa conclusione è stata confermata da una giuria in un processo civile del 1999 contro Loyd Jowers e cospiratori anonimi”. Il dipartimento americano di giustizia concluse che la testimonianza di Jower, che influenzò la giuria civile durante il processo, non era attendibile.
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Sorpresa, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo
Spaghetti, chitarra, mandolino. E poi mafia, corruzione, evasione fiscale. Eppure, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, in barba alla retorica cialtrona dei denigratori dello Stivale. Davanti ci sono ovviamente l’inglese, il cinese e lo spagnolo. Poi, però, l’italiano. Perfettamente normale, dice Aldo Giannuli. E altrettanto normale è che gli unici a stupirsene siano proprio gli italiani. È lo stesso sito della Farnesina a dichiararlo: la lingua italiana, nel 2014, è la quarta lingua più studiata al mondo, con un totale di 687.000 allievi che la studiano all’estero nelle università, senza contare scuole e corsi privati. Un numero pari al totale degli iscritti al primo anno della scuola superiore in Italia. Ben 81 Istituti italiani di cultura offrono 8.165 corsi, frequentati da 69.500 persone, mentre i 406 comitati della Società Dante Alighieri dispongono di 266 centri di certificazione per 195.400 studenti. L’italiano, insomma, è vivo, richiesto e imparato in tutto il pianeta. Ovvio: l’Italia possiede il 70% dei beni culturali della Terra, è una grande patria della letteratura, è la meta d’elezione per milioni di turisti attirati dall’arte, dal paesaggio e dal cibo.Scontato, rileva Giannuli nel suo blog, che l’inglese primeggi: se si contano anche gli indiani, si tratta di una lingua parlata da un miliardo e mezzo di persone. Inoltre, è la principale lingua franca del mondo. E così la Cina, che da sola raggiunge il miliardo e mezzo di parlanti: «E’ la lingua del principale paese emergente, anzi forse ormai è meglio dire “emerso”, seconda potenzia mondiale». Quanto allo spagnolo, «è la lingua di mezzo miliardo di parlanti ed è in rapida espansione negli Usa». E’ invece «inspiegabile» che la quarta lingua più studiata sia l’italiano, quella cioè di uno Stato che annovera «poco più di sessanta milioni di parlanti», forse settanta includendo eritrei, albanesi, somali, italiani all’estero e cittadini della Svizzera italiana. Restiamo «un paese relativamente piccolo e in decisa decadenza, ignorato dalle grandi potenze e ridicolizzato dai suoi piccoli politici passati e presenti», da Berlusconi a Renzi. Clamoroso, dunque, che l’italiano preceda «lingue come il francese, il tedesco, il russo, il portoghese, il giapponese». Come si spiega? «Il guaio è che i giornalisti italiani sono molto ignoranti e, quel che è peggio, non fanno nessuna ricerca prima di scrivere».Prima di tutto, continua Giannuli, «si dimentica che l’italiano è la lingua franca di uno dei principali soggetti geopolitici mondiali: la Chiesa cattolica». La lingua ufficiale della Chiesa, come si sa, è il latino, «ma quella in uso fra i prelati (e spesso anche i semplici preti) di nazioni diverse è soprattutto l’Italiano, che è parlato correntemente in Vaticano e usato prevalentemente dal Papa, vescovo di Roma, anche se non si tratta più di un italiano da quasi quarant’anni». E anche in ordini religiosi importanti, come i salesiani o i gesuiti, la lingua corrente è l’italiano. «Poi c’è da considerare che l’Italia è uno dei paesi che hanno avuto una cospicua emigrazione nell’ultimo secolo: circa 40 milioni di persone sparse soprattutto in Argentina, Usa, Canada, Australia, Germania, Francia e Belgio», con non pochi figli e nipoti che si sono mantenuti bilingui. Inoltre, purtroppo, l’italiano è spesso usato anche «fra gli uomini di Cosa Nostra o fra gli ‘ndranghetisti sparsi per il mondo e altre organizzazioni criminali come i colombiani».Resta enorme l’importanza dell’italiano sul piano culturale, «e anche qui si sono dimenticate troppe cose». Per esempio, «che l’italiano è la lingua principale del melodramma». Nel mondo «ci sono tanti melomani che apprezzano molto la nostra musica lirica, basti pensare al successo mondiale avuto da Pavarotti dagli anni ‘80». Un po’ di italiano, quantomeno, lo si canticchia dappertutto. «Poi la letteratura italiana è sicuramente una delle primissime a livello mondiale», perché ha avuto uno sviluppo continuo nel tempo, dal XIII secolo in poi, «con capolavori di livello mondiale, in tutti i secoli». Lo stesso «non mi pare si possa dire delle letterature di Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Russia, che presentano maggiore discontinuità». Chi voglia avere un’idea del “peso” della letteratura italiana, continua Giannuli, può consultare la monumentale collana di testi della Ricciardi. Dunque «non sorprende che ci siano autori italiani (da Petrarca a Gramsci o Leopardi) più amati e letti all’estero che in Italia», anche per colpa della nostra pessima scuola, «il cui principale scopo è far odiare agli studenti tutto quello che fa loro studiare».Superfluo, infine, parlare del peso mondiale dell’arte italiana: Pompei e Roma, le vestigia archeologiche, le città d’arte come Firenze e Venezia, i tesori dei mille borghi storici. E poi il capolavoro del Rinascimento, rivoluzione culturale made in Italy. Oggi, poi, parlano italiano anche la moda e la gastronomia. «Che morale possiamo ricavare da questa terribile sproporzione fra l’apprezzamento che la cultura e la lingua italiana riscuotono nel mondo e la pochezza dell’autostima degli italiani? Semplicemente – si risponde Giannuli – che gli italiani del tempo presente sono impari, rispetto al patrimonio culturale che li sovrasta. Peccato». Naturalmente, c’è chi li sempre “aiutati” a sottostimarsi: il paese ha avuto “la peggior classe dirigente d’Europa”, secondo molti critici, dominata da una nomenklatura di basso profilo, corrotta e clientelare, ai tempi in cui la sinistra italiana andava fermata – anche con le bombe nelle piazze – per impedirle di salire al potere quando al posto della Russia c’era ancora l’Urss. Italia sempre colonizzata dallo straniero, denunciano libri come “Il golpe inglese”; svenduta a trance sul ponte del Britannia, poi sull’altare di Bruxelles e dell’euro. Sul piatto della bilancia europea ha pesato l’acciaio della Germania, mentre il Belpaese non ha potuto far valere i suoi immensi giacimenti culturali, quelli che il mondo ci invidia. Dunque non lamentiamoci troppo degli italiani: non è tutta colpa loro.Spaghetti, chitarra, mandolino. E poi mafia, corruzione, evasione fiscale. Eppure, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, in barba alla retorica cialtrona dei denigratori. Davanti ci sono ovviamente l’inglese, il cinese e lo spagnolo. Poi, però, l’italiano. Perfettamente normale, dice Aldo Giannuli. E altrettanto normale è che gli unici a stupirsene siano proprio gli italiani. È lo stesso sito della Farnesina a dichiararlo: la lingua italiana, nel 2014, è la quarta lingua più studiata al mondo, con un totale di 687.000 allievi che la studiano all’estero nelle università, senza contare scuole e corsi privati. Un numero pari al totale degli iscritti al primo anno della scuola superiore in Italia. Ben 81 Istituti italiani di cultura offrono 8.165 corsi, frequentati da 69.500 persone, mentre i 406 comitati della Società Dante Alighieri dispongono di 266 centri di certificazione per 195.400 studenti. L’italiano, insomma, è vivo, richiesto e imparato in tutto il pianeta. Ovvio: l’Italia possiede il 70% dei beni culturali della Terra, è una grande patria della letteratura, è la meta d’elezione per milioni di turisti attirati dall’arte, dal paesaggio e dal cibo.
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La sensazionale notizia della presenza dell’Isis in Libia
Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?Visto il tragico copione degli eventi, Vincenzo Brandi su “Megachip” ricorda che quattro anni fa fu attaccato il paese più prospero dell’Africa, uno Stato che «stava in pace da 42 anni» ed «era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù». Il Pil di Tripoli era il più alto di tutto il continente: la Libia di Gheddafi «ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo Stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione», e inoltre «riconosceva pienamente i diritti delle donne, aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare», dopo aver «allontanato tutte le basi militari straniere, acquisendo una piena indipendenza». La campagna militare anglo-francese del 2011, cui si associò l’Italia in extremis per tutelare i terminali petroliferi dell’Eni, fu preceduta dalla consueta disinformazione mirata a creare consenso bellico, con l’invariabile demonizzazione del dittatore, grande amico dell’Italia fino al giorno prima, accusato persino di aver fatto scavare inesistenti fosse comuni, evidentemente per occultare i corpi di altrettanto immaginarie stragi di civili.Sulla Libia, nel 2011 gli Usa si lasciarono ritrarre in posizione più defilata. «La pensavamo come l’Italia: non bisogna intervenire», dice ora a “La7” un super-falco come il politologo Edward Luttwak, che però sui tagliagole mediatici del “Califfato” oggi dice: «Non chiamiamoli Isis, ma Islam: quello è il pericolo da fermare». E’ esattamente la stessa conclusione a cui puntano i macellai parigini di “Charlie Hebdo” e lo stragista solitario danese: il risultato delle loro azioni è la criminalizzazione indiscriminata di tutti i musulmani, verso lo “scontro di civiltà” tanto caro ai signori della guerra, al comando della politica estera Usa a partire dall’11 Settembre. Secondo Gioele Magaldi, autore del libro-denuncia “Massoni”, l’ex presidente francese Sarkozy, che per primo attaccò la Libia bomdardando Bengasi, sarebbe affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, loggia a cui apparterrebbe anche Tony Blair, l’inventore delle “armi di distruzione di massa” di Saddam. Lo stesso filo rosso-sangue collegherebbe Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali 2016, con lo stesso al-Baghdadi, il leader jihadista in apparenza comparso dal nulla – come Bin Laden – per terrorizzare l’opinione pubblica occidentale.Nell’immenso caos nel quale è stato precipitato il mondo dopo il crollo dell’Urss, si susseguono ipotesi di spregiudicati complotti – alcuni chiaramente leggibili subito, altri confermati spesso dai fatti a posteriori, da prove e ammissioni – mentre avanza all’orizzonte l’inevitabile collisione geopolitica con la Cina, sempre più prossima a una Russia sfidata in Siria e ora assediata alla frontiera con l’Ucraina. Oltre alla coltre di nebbia stesa dai media e dai tanti “debunker”, gli incursori anti-complottistici (la Gran Bretagna ha recentemente reclutato centinaia di “troll” da scatenare su Facebook per smentire le accuse più insidiose), restano perfettamente percepibili le trame in corso, soggette poi al vaglio dell’imponderabile, e in particolare le manovre dell’Occidente per incunearsi nella grande faglia che separa i due rami dell’Islam: da Bin Laden in poi, finora l’intelligence atlantica ha puntato sui sunniti, arma letale contro l’Iran sciita e i suoi alleati regionali, come le milizie libanesi di Hezbollah che hanno arginato l’espansione di Israele. Nonostante quasi 15 anni di guerre ininterrotte, rovine, vittime e profughi, paesi devastati, “fallimenti” dietro cui si celano lucrosissimi business di armamenti e ricostruzioni, i signori della guerra restano al riparo: nessuno si domanda perché tutto questo accada, e il mainstream può persino permettersi di inscenare la “sorpresa libica” dell’Isis, col suo spettacolo dell’orrore.Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
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Delocalizzazioni e bugie: e gli americani han perso il lavoro
In America il saccheggio non si basa sull’indebitamento perché il dollaro è la valuta di riserva e gli Stati Uniti possono stampare tutto il denaro necessario per pagare i conti e riscattare il debito: in America il depredamento è stato fatto attraverso l’offshoring, cioè la delocalizzazione del lavoro. Grandi aziende americane hanno scoperto − e se non l’avessero fatto sarebbero state invitate da Wall Street a trasferire fuori i conti o a essere rilevate − che avrebbero potuto aumentare i profitti spostando all’estero le loro attività di produzione. Il minor costo del lavoro ha determinato maggiori profitti, valori delle azioni più elevati, enormi bonus manageriali basati su “prestazioni”, guadagni in conto capitale per gli azionisti. Negli Stati Uniti l’offshoring ha notevolmente aumentato la disparità nel reddito e nella ricchezza: il capitale è riuscito a depredare il lavoro. Laddove fossero in grado di trovare lavori sostitutivi, i ben pagati operai manifatturieri che hanno perso il posto lavorerebbero part-time a salario minimo da Walmart e Home Depot.Economisti − ammesso che siano degni di essere chiamati così − come Michael Porter e Matthew Slaughter hanno promesso agli americani che l’immaginaria “new economy” avrebbe prodotto posti di lavoro migliori, con stipendi più alti e più puliti dei lavori dalle “unghie sporche” che fortunatamente le nostre aziende stavano delocalizzando. Come ho definitivamente dimostrato, dopo anni non vi è alcuna traccia di questi posti di lavoro “new economy”. Ciò che abbiamo è invece un forte calo del tasso di partecipazione della forza lavoro, come i disoccupati che non riescono a ricollocarsi. Gli impieghi sostitutivi dei posti in fabbrica sono principalmente lavori part-time per servizi domestici, e la gente deve mantenere due o tre di questi lavori per sbarcare il lunario. Ora che questo fatto − che i polemici ci credano o no − si è dimostrato del tutto vero, gli stessi prezzolati portavoce di chi ha rubato il lavoro e di chi ha distrutto i sindacati sostengono, senza uno straccio di prova, che i posti di lavoro delocalizzati stanno tornando a casa.Secondo questi propagandisti, ora abbiamo quello che viene chiamato “reshoring”, rimpatrio della produzione. Un propagandista del rimpatrio della produzione dichiara che la crescita di “reshoring” nel corso degli ultimi quattro anni è del 1.775%, un aumento pari a 18 volte. Non vi è alcuna traccia di questi presunti posti di lavoro rimpatriati nelle statistiche mensili Bls (“Bank Lending Survey”, indagine sul credito bancario) sugli impieghi regolarmente retribuiti. Il “reshoring” è solo propaganda per compensare la constatazione tardiva che gli accordi di “libero scambio” e delocalizzazione del lavoro non erano vantaggiosi per l’economia americana né per la sua forza lavoro, ma lo erano solo per i super-ricchi. Come è capitato alle persone nel corso della storia, gli americani sono diventati servi e schiavi perché gli sciocchi credono alle bugie che gli si dà in pasto. Si siedono davanti a “Fox News”, “Cnn” e roba del genere, leggono il “New York Times”. Se volete imparare come gli americani sono serviti male dai cosiddetti mezzi d’informazione, leggete “Storia del popolo americano dal 1492 ad oggi” (1980, 2003) dello storico Howard Zinn e guardate la serie di documentari “The Untold History of the United States” (2012) di Oliver Stone e Peter Kuznick.I media aiutano il governo, e gli interessi privati che traggono profitto controllando il governo controllano il lavaggio pubblico del cervello. Dobbiamo invadere l’Afghanistan perché una fazione che lotta per il controllo politico del paese protegge Osama bin Laden, che gli Stati Uniti accusano senza alcuna prova di infastidire i potenti Stati Uniti con l’attacco dell’11 Settembre. Dobbiamo invadere l’Iraq perché Saddam ha “armi di distruzione di massa”, che ha sicuramente nonostante le relazioni contrarie da parte degli ispettori dell’Onu. Dobbiamo rovesciare Gheddafi a causa di una lista di menzogne che è meglio dimenticare. Dobbiamo rovesciare Assad perché ha usato armi chimiche, anche se tutte le prove dicono il contrario. È la Russia la responsabile dei problemi in Ucraina: non perché gli Stati Uniti hanno rovesciato il governo democraticamente eletto ma perché la Russia ha accettato il 97,6% dei voti del referendum per il ricongiungimento della Crimea alla Russia, della quale era stata provincia per centinaia d’anni prima che un leader sovietico ucraino Krusciov unisse la Crimea all’Ucraina, allora parte dell’Urss insieme alla Russia.Guerra, guerra, guerra: questo è tutto ciò che Washington vuole. Arricchisce il connubio esercito/sicurezza, la voce più importante del Pil americano e il maggior contribuente, insieme con Wall Street e la lobby israeliana, delle campagne politiche Usa. Chiunque o qualsiasi organizzazione che opponga la verità alle menzogne è demonizzato. La settimana scorsa il nuovo capo della “Broadcasting Board of Governors” (Bbg, l’agenzia governativa indipendente responsabile per tutti i mezzi di comunicazione non militari), Andrew Lack, ha indicato il servizio Internet-Tv russo “Russia Today” come l’equivalente di Boko Haram e dei gruppi terroristici dell’Isis. Quest’accusa assurda è un preludio alla chiusura di “Rt” negli Stati Uniti proprio mentre il governo britannico, fantoccio di Washington, ha chiuso la rete televisiva iraniana “Press Tv”. In altre parole, gli anglo-americani non consentono notizie diverse da quelle che sono state loro servite dai “loro” governi. Questo è lo stato della “libertà” oggi in Occidente.(Paul Craig Roberts, estratto da “Libertà dove sei? Non in America né in Europa”, pubblicato da “Global Research” e ripreso da “Megachip” il 30 gennaio 2015).In America il saccheggio non si basa sull’indebitamento perché il dollaro è la valuta di riserva e gli Stati Uniti possono stampare tutto il denaro necessario per pagare i conti e riscattare il debito: in America il depredamento è stato fatto attraverso l’offshoring, cioè la delocalizzazione del lavoro. Grandi aziende americane hanno scoperto − e se non l’avessero fatto sarebbero state invitate da Wall Street a trasferire fuori i conti o a essere rilevate − che avrebbero potuto aumentare i profitti spostando all’estero le loro attività di produzione. Il minor costo del lavoro ha determinato maggiori profitti, valori delle azioni più elevati, enormi bonus manageriali basati su “prestazioni”, guadagni in conto capitale per gli azionisti. Negli Stati Uniti l’offshoring ha notevolmente aumentato la disparità nel reddito e nella ricchezza: il capitale è riuscito a depredare il lavoro. Laddove fossero in grado di trovare lavori sostitutivi, i ben pagati operai manifatturieri che hanno perso il posto lavorerebbero part-time a salario minimo da Walmart e Home Depot.
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Uomini e topi, le cavie greche e la sinistra che tifa Draghi
Attenti a Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».L’esperimento non funzionò: il golpe classico suscitava troppa opposizione interna e internazionale, i più intraprendenti fuggivano e l’economia diventava insostenibile. «Negli anni successivi, in Italia, appresa la lezione greca, si dimostrò che funzionava meglio un condizionamento di tipo piduista, che faceva sentire la minaccia della violenza, ma usava un approccio più graduale e tentacolare», scrive Cabras su “Megachip”. Il prezzo del test militare? Lo avevano già pagato i greci. Poi, nel nuovo secolo, «dall’instancabile cantiere oligarchico è partito un ulteriore “esperimento greco”, proprio negli anni in cui si è via via instaurato un nuovo tipo di regime europeo: cioè un regime che ha portato alle estreme conseguenze i difetti sempre più odiosi e antidemocratici della costruzione comunitaria e ha imposto le disfunzioni permanenti dell’euro, una moneta “che non dovrebbe esistere”, (come ha scritto finanche il servizio studi del colosso bancario svizzero Ubs), e che impone anche notevoli costi per un’eventuale uscita». La Grecia «sarebbe stata sufficientemente piccola da poter disinnescare il suo debito sovrano senza spargimenti di sangue, senza imporre fiscalità assassine, senza deprimere l’economia». E invece «le sono state imposte regole rigidissime», partorite da «un mondo intellettualmente fallito di pseudo-economisti traditori e ben pasciuti».Morale: «Si è abusato impunemente di un intero popolo, quello greco, che aveva la colpa di non essere numeroso e di avere un Pil che incideva sull’Europa quanto quello della provincia di Treviso sul Pil italiano». La spirale del debito non è stata interrotta, ma sovralimentata. Persino il Trattato di Maastricht citava la “solidarietà fra gli Stati membri”? I padroni del laboratorio, aggiunge Cabras, hanno invece deciso che quell’ingrediente doveva restare lettera morta: sulla pelle dei greci, hanno così potuto misurare in scala ridotta «quanto può crescere la disoccupazione in un paese e fino a che punto si deprezzano i beni, quand’è che un sistema sanitario crolla, qual è il punto di ebollizione da cui partono le rivolte violente e gli assalti ai fornai, come si dosa il monopolio della violenza affidato alla polizia, in che proporzione crescono i voti ai nazisti e quanto questi siano utilizzabili per dividere il popolo, quale livello di passività politica può raggiungere chi non ha più tempo per un proprio ruolo sociale e deve pensare solo a sopravvivere mentre evaporano stipendi e pensioni». E ancora: «Fino a che punto i partiti che reggono il sacco alle banche straniere resistono ancora all’erosione dei voti perché offrono ancora in cambio briciole residue per tenersi in vita? Qual è la chimica di una nazione disperata? Esplode, si evolve o implode?».La Troika Ue ha proseguito impassibile, recitando le sue orazioni neoliberiste. «Naturalmente il messaggio mafioso arrivava agli altri Piigs, maledetti maiali-cicala: avete vissuto troppo al disopra dei vostri mezzi, siete nati per soffrire e per “fare le riforme strutturali”, con una svalutazione del lavoro in favore del capitale finanziario». Nel “Laboratorio Grecia” si esagerava, fino a volerlo trasformare in una Zona Economica Speciale alla cinese, con salari da poche centinaia di euro, non senza aver distrutto quasi un milione di posti di lavoro. «Questo calvario è richiesto ai greci ancora una volta dalla comare secca che guida il Fmi, Christine Lagarde, che ha rilasciato una tempestiva intervista su “Le Monde” e “La Repubblica”, il 27 gennaio 2015». Aggiunge Cabras: «Sarebbe stato interessante chiedere alla Lagarde se è vero quel che dice su di lei il Gran Maestro Gioele Magaldi nel suo libro “Massoni”, cioè se appartenga a ben due logge massoniche ultraoligarchiche transnazionali, la “Pan Europa” e la “Three Eyes”, alla quale ultima – sostiene Magaldi – sarà possibile rivelare l’affiliazione anche di Giorgio Napolitano e Mario Draghi».E’ evidente che i padroni d’Europa la pensano allo stesso modo. A caldo, Draghi ha persino fatto notare che la pressione fiscale in Grecia resterebbe «ben inferiore sia alla media dell’area euro, sia a quella di tutta l’Unione europea a 28» Ossia: «C’è ancora un po’ di carne da staccare dall’osso». Fabio Scacciavillani twitta: «Un popolo di parassiti elegge una banda di ferrivecchi falliti». Scacciavillani, per chi non lo sapesse, è “chief economist” del Fondo d’investimenti dell’Oman, spiega Cabras: «Per la sua ideologia, un insegnante greco è dunque un parassita, laddove il Sultano dell’Oman è un adorabile filantropo e i grandi fondi speculativi sono immacolati agenti del Bene, purché ogni tanto li si foraggi con pubblico denaro: insomma, il solito neoliberista con il mercato degli altri, con proiezioni freudiane sul parassitismo». L’ascesa di Syriza è nata dunque in reazione a questo esperimento «crudele e interminabile, perpetuato da tanti reggicoda e ideologi in seno all’establishment». Tsipras ha dovuto «individuare il nemico sin da subito». Non come Vendola, che nel 2011 – intervistato da “L’Espresso” – credette di riconoscere «l’impegno di due grandi cattedre: quella di Papa Ratzinger e quella del papa laico, Mario Draghi».«Vendola – continua Cabras – associava uno dei più venerabili maestri della prassi oligarchica, Draghi il “papa laico”, nientemeno che a un nuovo “formidabile processo di critica verso le oligarchie” fra i giovani e i movimenti». Ecco perché la sinistra italiana non capirà mai la “lingua” della sinistra greca. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella (Pd), ha invitato Tsipras ad avviare negoziati «con le forze progressiste ed europeiste greche». Ma le “forze progressiste europeiste”, dice Cabras, sono «i complici più ipocriti dell’austerity». Tsipras si è guardato bene dal dargli retta, e un minuto dopo ha invece concluso un accordo di governo con un altro partito: «Un partito di destra, ma con la faccia al posto della faccia, a differenza di Pittella. Il quale continua il comunicato invitando il buon Alexis ad affrontare insieme le “sfide enormi come la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e alla disoccupazione”, cioè gli effetti secondari delle cause che Pittella e sodali hanno favorito, ad esempio promuovendo i Mario Monti e i Papademos, i Jobs Act e le iniquità strutturali dell’attuale moneta».Un economista anti-euro come Alberto Bagnai si è affrettato a dire che Tsipras è solo uno specchietto per le allodole che serve ad anestetizzare il dissenso? Giuseppe Masala riconosce che le armi in mano al nuovo primo ministro greco sono poche e spuntate, mentre tante armi potenti sono in mano straniera: Tsipras potrà fare politica e trovarsi alleati in Europa, ma l’esperimento (e anche l’incendio del laboratorio) è ancora in corso. «In troppi dimenticano che il primo partito greco, Syriza, ha ottenuto solo il 36,3% dei voti validi, i quali a loro volta sono da calcolare su appena il 64% del corpo elettorale». Attualissimo il monito di Enrico Berlinguer: sarebbe illusorio sperare in una svolta politica radicale, quand’anche si ottenesse il 51% dei voti. «La frase è del 1973: in Cile è appena andato al potere il generale golpista Pinochet che ha rovesciato Allende, mentre i colonnelli governano ancora Atene. Il dollaro da due anni non è più convertibile in oro, e la domanda di dollari esplode con il boom del prezzo del petrolio. In Italia settori rilevanti delle classi dirigenti atlantiste fanno sentire “tintinnio di sciabole”, in piena strategia della tensione». Finché in Italia ci furono partiti forti e di massa, continua Cabras, questi esercitarono una semi-sovranità in grado di correggere e contenere l’esercizio di poteri sovrani esterni che limitavano la sovranità italiana. Ma c’era evidentemente un limite invalicabile, oltre il quale la semi-sovranità soccombeva ai rapporti di forza opachi del sistema atlantico.Similmente, Tsipras ha massimizzato la forza politica ottenibile con il voto degli elettori in presenza di una proposta di governo riformatrice, consapevole di muoversi all’interno di vincoli letteralmente incontrollabili. Come quella di Berlinguer, «anche la scommessa di Alexis Tsipras è estremamente difficile, perché è condizionata da un campo internazionale molto maldisposto verso spinte contrarie al vento neoliberista, nel momento in cui sul piano militare si moltiplicano i focolai di guerra lungo i confini sempre più larghi della Nato, e sul piano economico si va a grandi passi verso una “Nato economica” da regolare con i nuovi trattati atlantici sul commercio e la finanza, con l’obiettivo di abbattere il ruolo della Russia e consolidare un’Europa più debole». In quel contesto «avremmo una Germania gendarme, circondata da un immenso Mezzogiorno europeo impoverito: la versione upgraded del “Laboratorio Greco”. Un incubo reale». Eppure, forse le strade non sono state tutte percorse, e il futuro può riservare «quote di imprevedibilità in grado di scottare gli scienziati pazzi». Cabras cita il nuovo ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, «un comunista determinato e molto preparato» che «parla l’inglese meglio dei maggiordomi europei che biascicano un misero anglofinanziese». E’ amico di James Galbraith, figlio del grande economista John Kenneth, a sua volta primo consigliere economico di Jfk e indimenticato autore di “L’economia della truffa”, «un libro che faceva già anni fa il ritratto dei nemici della Grecia, i nemici di tutti noi».Oggi è cresciuto il caos sistemico: c’è sempre chi scommette «sulla controllabilità di questo caos per ottenere nuovi vantaggi», ma non è detto che ci riesca. Troppe variabili in corso: dall’Ucraina, dove è in corso un nuovo laboratorio diretto da «plenipotenziari neocoloniali dell’élite oligarchica e finanziaria», con il Donbass «percorso da milizie nazistoidi e da mercenari», alla Spagna, dove un fenomeno elettorale nuovo, “Podemos”, con il vento in poppa come Syriza, individua già un tema chiave: uscire dalla Nato. «È perciò significativo che uno dei primissimi pronunciamenti del governo Tsipras sia stato quello di sconfessare il comunicato dei leader europei che prefigurava nuove sanzioni contro la Russia, con tanto di telefonata di Tsipras all’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini per esprimerle solennemente “il suo malcontento”». La Grecia diventerà un soggetto combattivo, avverte Cabras: «L’Europa che ha affossato il gasdotto South Stream ma non vuole rinunciare al gas dovrà passare proprio dalla Grecia, visto che le pipelines convergeranno in Turchia». Certo, l’Italia resta lontana dai germi di intelligenza che stanno sbocciando in Europa: non se esce né con i tirapiedi di Vendola, né con «le tristi derive del M5S».Non sparate su Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».