Archivio del Tag ‘Urss’
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5 Stelle, l’inganno mortale taglia le gambe al cambiamento
Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.L’ingloriosa agonia del Movimento 5 Stelle – 17% alle europee, votato da meno di un italiano su dieci e letteralmente sparito dai radar alle regionali – è da ascrivere all’impietoso confronto tra le mirabolanti promesse del 2018 e l’incresciosa cronachetta gialloverde, impregnata di codardia verso Bruxelles e costellata di tradimenti sfrontati. Leggasi obbligo vaccinale, F-35 e spese militari, Muos di Niscemi e Ilva di Taranto, gasdotto Tap, trivelle petrolifere in Adriatico, Tav Torino-Lione in valle di Susa. «Avete mai avuto la sensazione di essere presi per il culo?», domandò il rocker Johnny Rotten. «Affermativo», rispondono oggi i milioni di italiani che – dall’Alpe al Lilibeo – hanno smesso di votare 5 Stelle. Perché lo fecero, nel 2018, pur vedendo benissimo che le iperboliche fanta-promesse di Di Maio non sarebbero mai state realizzabili, se non in minima parte? Probabilmente speravano proprio in quella “minima parte”, non immaginando che si sarebbero invece ridotte a zero. C’era un equivoco, alla base dell’epocale malinteso. Ovvero: la speranza che, da qualche parte, i soldi necessari alle riforme sociali (le famose coperture) potessero spuntare. Dove? Nell’unico posto possibile: in un deficit adeguato, strappato in un energico negoziato con Bruxelles. Sarebbe stato il minimo sindacale, per avvicinare l’Italia alla generosissima flessibilità concessa alla Francia. Per non parlare del debito-fantasma cui attinge la Germania, truccando i bilanci alla faccia dell’austerity altrui.Di che pasta fosse, la fermezza grillina, lo si è visto con Di Maio, Conte e Tria. Ma c’erano precedenti allarmanti: come il trasloco tentato da Grillo nel 2016 per trasferire il gruppo europarlamentare pentastellato tra gli ultra-euristi dell’Alde, gli amici di Mario Monti, dopo aver sbandierato in Italia lo spauracchio di un referendum sull’euro. Acquattato nel suo apparente buen retiro di Genova, l’Elevato si sveglia sempre al momento opportuno per impartire i suoi diktat indiscutibili: l’idea di piazzare Conte a Palazzo Chigi, l’ordine di far eleggere Ursula von der Leyen alla Commissione Europea e lo sdoganamento improvviso del Pd renziano come alleato di governo. Un atto politico violento, quest’ultimo, come di consueto imposto dal centralismo di stampo sovietico con cui il signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, gestisce i sottoposti. Sapeva di poter contare sulla docilità dei parlamentari, terrorizzati dai sondaggi di fronte all’incubo delle elezioni anticipate. E non ha esitato a esibire lo spettacolo dell’amore per le poltrone, inflitto ai militanti che parlamentari non sono e, a differenza di deputati e senatori, non hanno stipendi d’oro a rischio di evaporazione. Ancora una volta, il pastore ha portato le pecore dove voleva. E l’ha fatto a reti unificate: tutta l’Europa ha visto di che sostanza è fatto il nostro ribellismo all’amatriciana in salsa pentastellata.Il colpo inferto dai 5 Stelle alla dolente democrazia italiana non è irrilevante: hanno dimostrato che si possono maneggiare valori forti – giustizia sociale, trasparenza, condivisione – facendone tranquillamente strame, dopo aver ingannato gli elettori. Al punto da indurre molti osservatori a ritenere che l’abbaglio collettivo del MoVimento non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un’abile operazione di gatekeeping per dirottare con sapienza il malcontento sociale verso lidi innocui. Malcontento peraltro esasperato dal neoliberismo globale, la “lotta di classe a rovescio” che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, interpretato in Europa da politici come Angela Merkel e la sua candidata Ursula von der Leyen, a cui non a caso è giunto in soccorso proprio il partito-caserma di Grillo. Neoliberismo feroce, altro che “reddito di cittadinanza”: Stato minimo, tagli al welfare, erosione dei risparmi, fine della classe media, precarizzazione del lavoro. In cambio, piccole battaglie di cartapesta come quella sulla riduzione dei parlamentari (funzionale, anche quella, alla diminuzione della rappresentatività democratica). Amara lezione, dai 5 Stelle: gli italiani che sognavano il cambiamento hanno imparato a non fidarsi più di chi lo promette, chiunque sia, specie se alza la voce nelle piazze. Un vero capolavoro politico, per la gioia dell’oligarchia che detesta la sovranità democratica.Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.
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De Magistris, giustizia militante: un politico del medioevo
L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».Da Rold polemizza col nostro sistema giudiziario: i Pm: sono rimasti gli ultimi, negli ordinamenti democratici occidentali, a essere ancora parificati ai giudici. E in più «si rifiutano di seguire la grande separazione di tutti i poteri che, sin dal Settecento, si teorizzava anche nella distinzione tra giudice e pubblica accusa». È vero che va di moda Jean-Jacques Rousseau, il filosofo radicale “adottato” da Casaleggio, «ma Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, appunto noto come Montesquieu, precisava con forza che se il giudice facesse lo stesso mestiere del pubblico accusatore sarebbe un abuso». La prova del nove? «Le democrazie di quasi tutto il mondo seguono Montesquieu». Famosi nemici della separazione tra magistratura inquirente e giudicante, due personaggi non proprio democratici: il leader fascista Dino Grandi e il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar, «anche lui appassionato dell’unicità di vedute tra accusa e chi formula il giudizio». I tempi cambiano, ma non per tutti: «Ora anche il Portogallo ci ha ripensato; l’Italia invece difende combattiva la non-separazione».Tornando alla cronaca: la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza della Corte d’Appello di Salerno che dichiarava prescritti i reati contestati all’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone, e all’avvocato generale Dolcino Favi, che avevano avocato i fascicoli sottraendoli all’attuale sindaco di Napoli. Resta dunque valida la sentenza di primo grado del tribunale di Salerno, che aveva assolto i due magistrati di Catanzaro. E l’assoluzione riguarda anche l’ex senatore e avvocato Giancarlo Pittelli, il procuratore Mariano Lombardi (nel frattempo deceduto) e l’imprenditore Antonio Saladino, assolti «per insussistenza del fatto, così come avvenuto in primo grado». A parole, de Magistris (due volte sconfitto) non si arrende: «Continuerà probabilmente a parlare di complotti», avverte Da Rold. «Ma tutta la sua vicenda – aggiunge – è degna di un libro (che infatti è in gestazione) per dimostrare lo strapotere, o forse l’unico potere forte, che è rimasto oggi in Italia: quello della magistratura, gestita principalmente – per un lungo periodo – proprio dai Pm alla de Magistris».Per rendersi conto di quanto capitato, continua Da Rold, vale la pena di vedere quale autogol de Magistris ha fatto in Cassazione e leggere la dichiarazione rilasciata dall’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Murone: «La Cassazione ha finalmente e definitivamente chiuso a mio favore la vicenda “Why not”. Tutte le mistificazioni, le bugie, le cattiverie sono finite. L’assoluzione di primo grado è stata ribadita, a dimostrazione che le vicende successe al signor de Magistris non sono il frutto di congiure e complotti, di poteri forti a livelli superiori, ma solo il suo modo di fare il pubblico ministero, già stigmatizzato dai provvedimenti di carriera che lo hanno colpito, portandolo fuori dalla magistratura». Insomma: per Da Rold, «Luigi de Magistris, tonitruante sindaco di Napoli, non rispettava neppure le regole della pubblica accusa su un impianto procedurale discutibile, come più volte hanno ricordato tanti uomini politici». Marco Pannella fece addirittura della battaglia per la separazione delle carriere una missione della sua vita e portò Enzo Tortora al Parlamento Europeo. «Ma la vocazione inquisitoria della tradizione italiana resiste», anche se «tutti sanno quanto è causa di autentici drammi umani».“Why not” è durata dodici anni. L’imprenditore Tonino Saladino ha visto sua moglie ammalarsi e i suoi figli storditi dalla sua vicenda umana, annota Da Rold. «Ogni tanto si ricorda sbigottito e sgomento il 12 marzo 2007, quando alle sette di mattina gli piombarono in casa i carabinieri per un’ispezione alla ricerca di carte che neppure sapevano che cosa fossero o rappresentassero». Tutta quella storia di “Why not” fu «uno scontro durissimo che coinvolse il governo dell’epoca, quello di Romano Prodi, che alla fine andò in crisi», travolgendo il ministro della giustizia, Clemente Mastella, e sua moglie. «Per placare le acque all’interno della magistratura e nel perenne scontro tra magistratura e politica dovette intervenire nel 2008 anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano». Non era una novità, in quegli anni della già affermata Seconda Repubblica: l’Italia, ricorda Da Rold, era un paese «destabilizzato da svendite di grandi aziende pubbliche, da una cronica mancanza di crescita e da una confusione demenziale della classe dirigente, politica e imprenditoriale», con i magistrati inquirenti spessissimo sopra le righe.Una fenomenologia cominciata in realtà nel 1992, quando la magistratura italiana, «risvegliatasi dal suo torpore, aveva “scoperto” le tangenti politiche, che esistevano dal 1946». Senza contare i circa 1.000 miliardi di lire (secondo Stéphane Courtois) che affluivano al Pci dall’Urss, «potenza ufficialmente nemica». E tutto poi «amnistiato, naturalmente». In fondo, continua Da Rold, la vicenda di “Why not” era il seguito inevitabile delle apparizioni televisive, in gruppo, del pool Mani Pulite: giornate scandite dalle “sensazionali rivelazioni” che qualche talpa del Palagiustizia passava sottobanco ai giornali. «È stata una lunga cavalcata non molto edificante, con alla fine un Francesco Saverio Borrelli che confessa i suoi dubbi a Marco Damilano; con la sempre cacofonica parlata giurisprudenziale italiana del “grande manettaro” Antonio Di Pietro; con la visione del “geniale” Pier Camillo Davigo che pensa di trovarsi di fronte a 60 milioni di italiani potenzialmente colpevoli, che naturalmente devono giustificare la loro condotta». Per non parlare della battaglia delle “correnti” all’interno della magistratura, fino alla pagina nera del Csm con il clamoroso “caso Palamara”, l’inciucio col Pd, di cui si cerca di parlare il meno possibile, sui media.Teoricamante il nostro è uno Stato di diritto, eppure «la giustizia segue tempi scoraggianti, dove gli aspetti inquisitori sono sempre prevalenti». E il peggio è, scrive Da Rold, che non si ha il coraggio di riconoscere che in Italia «questa amministrazione giudiziaria è gestita da una casta feudale, dove le procure rappresentano i feudi superstiti o dei nuovi feudi, che ogni tanto si fanno pure la guerra l’uno contro l’altro, spesso in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale o secondo interpretazioni delle norme che farebbero inorridire un filosofo del diritto come Hans Kelsen». Ogni speranza di riforma finisce per naufragare, grazie anche alle “intemerate” del fedelissimo Marco Travaglio, «che spesso anticipa i tempi persino delle sentenze». Buio pesto anche dal ministro Alfonso Bonafede, devoto a Giuseppe Conte, «quindi un visconte per tradizione feudale».«E pensare che la riforma della giustizia, in agenda del nuovissimo governo, ora che i grillini sono diventati europeisti con Ursula von der Leyen, dovrebbe rispettare, o almeno tenere in considerazione, la risoluzione numero 112/97 approvata dal Parlamento Europeo il 4 luglio 1997», chiosa Da Rold. In questo si dice: «È anche necessario garantire l’imparzialità dei giudici distinguendo tra la carriera dei magistrati – i cosiddetti “examining magistrates” – e quella del giudice, al fine di assicurare un processo giusto». Sentenze autorevolmente emesse, al termine di processi in cui si condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ha voglia di scherzare, Da Rold: «Perché non si organizza su questo tema un bel convegno tra de Magistris, Davigo, Di Pietro e Travaglio come moderatore?». In questo caso, aggiunge, «lo spettacolo sarebbe assicurato, e poi si potrebbe emigrare tranquillamente».L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».
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Università dell’Alaska: 11 Settembre, l’Edificio 7 fu demolito
Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.Sul suo sito, Craig Roberts fa notare che «ci sono voluti 18 anni per ottenere una vera indagine sulla distruzione di un edificio di cui erano stati accusati dei terroristi musulmani». Inoltre, «l’unico modo in cui si può verificare il “cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio” è attraverso una demolizione controllata». E questo straordinario risultato, certificato dai tecnici universitari, non è stato riportato dai grandi media. «In altre parole – aggiunge Roberts – lo studio è già stato destinato al Buco della Memoria: questo è il modo in cui opera “The Matrix”». Accusa l’ex sottosegreario al Tesoro: «L’unico scopo dei notiziari stampati e televisivi è quello di programmarvi in modo che seguiate pedissequamente l’agenda di chi vi governa: quelli che seguono i notiziari della Tv, ascoltano la National Public Radio o leggono i giornali vengono programmati per essere automi senza cervello». Richiamandosi al clamoroso rapporto fornito poche settimane fa dai vigili del fuoco di New York – che confermano la tesi della “demolizione controllata” delle Torri Gemelle e chiedono alle autorità giudiziarie di riaprire il caso – Craig Roberts invoca giustizia: stabilita finalmente la verità sul disastro, è ora che i responsabili vengano trascinati in tribunale.L’immane tragedia ha causato circa 15.000 vittime: quasi 3.000 nei crolli, più almeno 12.000 persone morte nei mesi e anni seguenti, per i tumori provocati dalla nube di amianto su Manhattan (numeri accertati dalle autorità, che hanno riconosciuto gli ingenti indennizzi). Molti sospetti caddero da subito sul proprietario del World Trade Center, Larry Silverstein, che aveva appena assicurato le Torri Gemelle e l’Edificio 7 contro un “incidente” come quello poi verificatosi. Mentre però le Twin Towers furono colpite da aerei di linea (o almeno, in apparenza da dei Boeing), l’Edificio 7 collassò senza essere colpito né da velivoli, né dal fuoco. Per Massimo Mazzucco, autore dei documentari “Inganno globale” (trasmesso da Canale 5 nel 2006) e “La nuova Pearl Harbor”, è probabile che gli aerei che colpirono le torri fossero dei droni militari: la stessa Boeing ha escluso che i suoi velivoli possano compiere manovre così precise, a bassa quota, viaggiando a quella velocità: a 800 chilometri orari, le ali dei Boeing si staccherebbero. Ma se non c’erano viaggiatori, su quegli aerei-bomba, dov’erano finiti i passeggeri imbarcati?Mazzucco ricorda che l’Operazione Northwoods del 1962 (memorandum “Justification for Us Military Intervention in Cuba”) prevedeva che i passeggeri di un volo di linea – da far esplodere nei cieli cubani per poi incolpare Fidel Castro – fossero fatti segretamente sbarcare in una base militare, prima che l’aereo (telecomandato) proseguisse per la sua missione suicida. Come accettare l’idea mostruosa di eliminare centinaia di ignari passeggeri? In un solo modo possibile, osserva Mazzucco: «Certa gente non ragiona come noi: di fronte opzioni come quella, le persone diventano semplici dettagli». Ragionando in grande: senza il bagno di sangue delle Twin Towers, il Deep State che dominava il governo Usa non sarebbe mai riuscito a far accettare, all’opinione pubblica americana, la “guerra al terrorismo” che comportò le disastrose invasioni militari dell’Afghanistan e dell’Iraq. Nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Gioele Magaldi scrive che fu la superloggia “Hathor Pentalpha”, del clan Bush, a concepire l’attacco alle Torri, dopo aver affiliato Osama Bin Laden. Lo stesso Abu-Bakr Al Baghdadi, “califfo” del sedicente Isis, sarebbe stato poi affiliato alla “Hathor”.«Entro un paio d’anni emergerà la verità sull’11 Settembre», annunciò tempo fa Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. A quanto pare, importanti rivelazioni stanno ora affiorando. Il russo Dimitri Khalezov, veterano dell’intelligence nucleare sovietica, ricorda che la costruzione del World Trade Center fu autorizzata dal Comune di New York solo dopo che i costruttori ebbero fornito le istruzioni per la demolizione degli edifici, come prevedeva la prassi a Manhattan: tutti i grattacieli dovevano poter essere demoliti, all’occorrenza. Solo che per demolire le Torri Gemelle – considerate indistruttibili – i progettisti calcolarono che sarebbe stata indispensabile la bomba atomica. E infatti, osserva Khalezov, dai documenti dell’ufficio edilizia della città emerge che, nelle fondamenta, furono appositamente ricavati dei bunker nei quali ospitare, nel caso, delle “mini-nukes” destinate a “fondere” le torri, dal basso. Questo spiegherebbe anche le folli temperature sprigionatesi nel rogo, che trasformò il sottosuolo in una specie di vulcano arroventato, per mesi. Per contro, i vigili del fuoco raccontarono di aver udito precise esplosioni, molto di sotto del punto di impatto degli aerei: esplosioni peraltro confermate dallo strano scoppio (verso l’esterno) delle vetrate, non spiegabile dall’urto degli aerei decine di metri più in alto.In attesa di accertare la verità integrale, i pompieri di New York certificano l’inattendibilità della versione ufficiale. Il distretto di Franklin Square e Munson, dei vigili del fuoco, riconosce «la natura significativa e convincente della petizione posta all’attenzione del procuratore degli Stati Uniti per il distretto meridionale di New York riferentesi a crimini federali non perseguiti commessi presso il World Trade Center l’11 settembre 2001», e invita il procuratore «a presentare tale petizione ad uno speciale Gran Giurì ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti». Il dossier dei vigili del fuoco aggiunge che «le prove schiaccianti presentate in detta petizione dimostrano oltre ogni dubbio che esplosivi e/o materiali incendiari pre-impiantati – non solo gli aerei e gli incendi conseguenti – avevano causato la distruzione dei tre edifici del World Trade Center, uccidendo la stragrande maggioranza delle vittime». Conclude Paul Craig Robers: «Le vittime dell’11 Settembre, le loro famiglie, la popolazione di New York City e la nostra nazione meritano che ogni crimine relativo agli attacchi dell’11 settembre 2001 sia indagato con il massimo rigore e che ogni persona responsabile sia portata di fronte alla giustizia».Cosa fu, davvero, ad abbattere le Twin Towers e l’Edificio 7 «non lo sappiamo, né spetta a noi l’onere di stabilirlo», sintetizza Mazzucco: «L’unica cosa ormai certa è che a far crollare le torri non furono quegli strani Boeing, capaci di manovre estreme (da jet militari) e a velocità folle, a bassissima quota, senza che si smembrassero in volo prima dell’impatto». Droni senza pilota? Per Mazzucco, è l’unica spiegazione logica: velivoli telecomandati, “truccati” da Boeing e super-rinforzati, probabilmente col muso imbottito di esplosivo. A csa erano dovute le esplosioni che i pompieri dicono di aver udito distintamente nella parte bassa delle torri? Cariche di nano-termite? Mini-atomiche? Tutte queste cose insieme? Magaldi ricorda che le Twin Towers rappresentavano Jachin e Boaz, le colonne del tempio massonico: chi le ha distrutte ha voluto dichiarare guerra, simbolicamente, all’ideologia massonico-progressista di Roosevelt, che trasformò gli Usa nella superpotenza leader dell’Occidente prospero, del benessere diffuso. La “prova del nove” è imbarazzante: lo scenario al quale oggi siamo abituati (conflitti ovunque, dalla Libia alla Siria, con escalation sanguinose) prima dell’11 Settembre non sarebbe stato neppure lontanamente pensabile.Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.
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Magaldi: gli italiani si vaccineranno dal grottesco Conte-bis
Il Conte-bis è un governo raffazzonato e grottesco: perfetto, da mettere a confronto con un programma veramente keynesiano, liberato dai cavalli di Troia del peggior potere europeo quali Tria e Conte sono stati, nel governo gialloverde. Cattiva anche la gestione dell’aspetto illusionistico: la scelta dei ministri non è fatta per dare una buona impressione, almeno inziale. Uno come Gualteri all’economia? Viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea, addirittura applaudito da Christine Lagarde. Sono personaggi improbabili, non certo quelli di grande profilo e competenza evocati da Grillo: personaggi modesti, già visti all’opera o con poco da dire. Da ranocchi si trasformeranno in principi? Ma no, è la prospettiva del nuovo governo a non portaci da nessuna parte. Però ci divertiremo: questa è l’occasione giusta per rivedere all’opera quello che avevamo lasciato un anno e mezzo fa. Gentiloni a Bruxelles? Come presidente del Consiglio è stato assolutamente incolore, inodore e insapore. Nei rapporti con l’Europa non ha saputo prospettare alcunché di positivo e fecondo, e adesso andrebbe a fare il commissario europeo? C’è da ridere, e da impegnarsi seriamente per chiarire tutti i passaggi di questo governo: come una piccola enciclopedia, mostrerà tutto ciò che gli italiani hanno bocciato.All’opposizione non basterà denunciare, demistificare e scendere e piazza. Salvini deve riflettere su come ottimizzare questa situazione, che è molto propizia, immaginando una Lega distinta da qualunque centrodestra. Anche la Meloni (Fratelli d’Italia) deve affrancarsi da qualsiasi ombra che la esponga alla polemica sul passato. Vale anche per gli “imbalsamati” di Forza Italia. Bisogna uscire da questa falsissima contrapposizione destra-sinistra, che ha perso di senso: in una sedicente sinistra troviamo personaggi che rappresentano la destra economica più classica, e vediamo istanze progressiste nel cosiddetto centrodestra. Oggi c’è un Governo dei Palazzi, un govero di camerieri e maggiordomi. Giuseppe Conte ricorda Enrico Letta, che nel Pd era il più montiano. L’avvocato è un premier fintamente rappresentato come uomo di Stato, in realtà anche lui incolore, apprezzato proprio per la sua modestia: oggi per avere applausi dai padroni del vapore bisogna essere modesti e non creare grane. Con tutti i suoi limiti, Salvini è un piantagrane. Ecco perché è costantemente demonizzato dai palazzi. Sarà comunque una ghiotta occasione: prevedo che a breve gli italiani toccheranno con mano quello che significa aver azzerato le lancette della politica ed essere tornati a un anno e mezzo fa.Escludo che Conte possa essere cooptato in qualche Ur-Lodge: non lasciatevi incantare dagli applausi, che peraltro non si possono negare a qualunque guardiano del gregge. Nell’élite massonica non fu accolto a Renzi, ben più brillante e affabalutorio, servizievole rispetto a certi poteri (figuriamoci Conte). L’attuale primo ministro andava bene come amministratore del condominio gialloverde proprio per l’assenza di uno spessore proprio. L’errore qui è scambiare la mediocrità e l’assenza di un’idea di paese per il profilo di uno statista, di una risorsa della repubblica. D’altra parte, questo è il trend. Mattarella, anche lui modesto nella sua storia politica, è stato portato al Colle da Renzi con lo stesso metodo con cui la Mogherini è andata a fare il commissario per gli affari europei: più sei disposto a svolgere un compitino secondo il copione che altri ti danno, e più vai bene. L’importante è che tu non sia ingombrante. Mattarella ha servito gli stessi interessi che aveva servito Napolitano, però tra i due c’è un abisso. Napolitano era un rappresentante dell’establishment, un massone politicamente surreale, già comunista, togliattiano; aveva applaudito all’invasione sovietica dell’Ungheria, era anti-europeista, e poi si è trovato a puntellare la peggiore declinazione di un’Europa post-democratica e neo-oligarchica, concependo il pessimo governo Monti. Non difettava però in personalità e spessore: tanto di cappello. Mattarella no. E’ un altro guardiano del gregge, messo lì, come Conte.Christine Lagarde oggi parla degli eurobond (a cui è sempre stata contrarissima) e Mattarella dice che bisogna rivedere il Patto di Stabilità, quasi a propiziare una proiezione di fiducia? Eurobond significa la fine dello spauracchio dello spread: titoli di Stato europei, senza più differenziali nazionali. E’ lo stesso stile che mostrò Juncker prima di essere eletto alla Commissione: diceva di capire persino gli anticapitalisti e i marxisti, perché troppi europei soffrivano e chiedevano giustizia sociale. Poi s’è visto, Juncker, come ha tradotto tutto questo. Da anticomunista e antifascista, dico che la giustizia sociale in Europa verrebbe assicurata da un socialismo liberale, con precise istanze keynesiane e rooseveltiane che stanno nell’alveo della democrazia (basterebbe essere democratici, infatti). Ma sono tutte pantomime: quando Mattarella dice “modifichiamo il Patto di Stabilità”, il suo è un flatus vocis: finisce lì.Salvini? Si è reso conto di aver governato invano, per un anno: negoziando con l’Ue non è riuscito a mordere, ma solo ad abbaiare. Bisogna invece lottare, e aprire un tavolo per una Costituzione Europea democratica. E prima ancora: basterebbe un serio piano di investimenti (per l’occupazione e le infrastrutture, il cuneo fiscale, l’abbattimento delle aliquote) chiedendo di stralciare e non computare queste spese, con un business plan che indichi le ricadute sul Pil. C’è qualcuno che lo vuole fare? Invito la Lega a farsene promotrice, e sfido il governo Conte ad adottare questa linea. Laicamente, sarei felicissimo di vedere una mutazione genetica di Pd e 5 Stelle, che li trasformasse in campioni di un rinnovamento reale dei rapporti fra Italia e Ue, fra l’Italia e il paradigma economico che da anni sta funestamente declinando qualunque governante arrivi a Palazzo Chigi. Ma non lo faranno. Spesso, quello che dichiarano è il contrario di quello che vogliono fare. E una dichiarazione che accende speranze diventa il surrogato di quello che andrebbe fatto. La gente ci spera, intanto il tempo passa e alla fine dici: non me l’hanno fatto fare. Non è così: le cose si possono fare. Basta avere carattere.I mallevadori plaudenti del Conte-bis, nel mondo delle Ur-Lodges neoaristocratiche, vogliono che l’Italia resti nel segno dell’austerity, più o meno larvata. Ma non c’è stato un complotto tentacolare. Vero, certe trame erano pronte. La Lega sarebbe stata costretta a sottoscrivere una manovra finanziaria assolutamente deludente, per chi aveva proiettato speranze su Salvini. Ma una volta che Salvini ha fatto la sua mossa – lungimirante e fruttuosa, a tempo debito – di sfiduciare quel tipo di governo, per il potere neoaristocratico non c’era molto da fare. Era solo un problema di sopravvivenza. Renzi? Non è certo un geniale stratega. Non poteva far altro che aggrapparsi disperatamante alla maggioranza precaria e contingente che al momento aveva in Parlamento, con parlamentari che gli sono più o meno legati, e cercare di pensare a come continuare questa legislatura. Il suo ipotetico futuro partito? Non ha nessun appeal, nessuna speranza. Può solo sperare che la legislatura duri il più possibile. E i 5 Stelle idem: oggi non possono permettersi di andare alle elezioni.Quindi non c’è stato bisogno della persuasione di grembiulini occulti. Una volta che Salvini ha gettato i dadi, è stato uno starnazzare di galline che si sono affrettate a mettere insieme questo governicchio, per il nostro divertimento – ben triste, certo, per un paese come l’Italia che avrebbe bisogno di urgenti misure anticicliche per l’economia. Lavoro, tasse: perdiamo altro tempo prezioso. Ma d’altra parte ci sono passaggi ineudibili: finché c’è gente che ancora pensa che questo tipo di personale politico sia in grado di fare qualcosa di buono per l’Italia, è bene che questi governino. Così come si è vaccinati dal ciarlatano Berlusconi e dal ciarlatano Renzi, ci libereremo anche di questi altri ciarlatani. E magari Conte verrà visto per quello che è: non un grande uomo di Stato, ma un avvocato furbo che ha sfruttato al meglio la situazione, e un giorno avrà qualche incarico ben pagato quando dovrà uscire di scena, quando non sarà più capace di recitare ulteriormente il copione. C’è un prezzo da pagare, per questa consapevolezza: paghiamolo. Ma forse, dopo, saremo tutti più consapevoli.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi racconta del 9 settembre 2019).Il Conte-bis è un governo raffazzonato e grottesco: perfetto, da mettere a confronto con un programma veramente keynesiano, liberato dai cavalli di Troia del peggior potere europeo quali Tria e Conte sono stati, nel governo gialloverde. Cattiva anche la gestione dell’aspetto illusionistico: la scelta dei ministri non è fatta per dare una buona impressione, almeno inziale. Uno come Gualteri all’economia? Viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea, addirittura applaudito da Christine Lagarde. Sono personaggi improbabili, non certo quelli di grande profilo e competenza evocati da Grillo: personaggi modesti, già visti all’opera o con poco da dire. Da ranocchi si trasformeranno in principi? Ma no, è la prospettiva del nuovo governo a non portaci da nessuna parte. Però ci divertiremo: questa è l’occasione giusta per rivedere all’opera quello che avevamo lasciato un anno e mezzo fa. Gentiloni a Bruxelles? Come presidente del Consiglio è stato assolutamente incolore, inodore e insapore. Nei rapporti con l’Europa non ha saputo prospettare alcunché di positivo e fecondo, e adesso andrebbe a fare il commissario europeo? C’è da ridere, e da impegnarsi seriamente per chiarire tutti i passaggi di questo governo: come una piccola enciclopedia, mostrerà tutto ciò che gli italiani hanno bocciato.
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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Menti raffinatissime: i poteri a cui Grillo ora svende l’Italia
“Fare la storia, cambiare l’Italia: occasione irripetibile”. Ogni volta che parte la supercazzola di Beppe Grillo, ci siamo: sta per succedere qualcosa di orrendo. Il segnale: basta che il padrone del Movimento 5 Stelle si metta a parlare come un rivoluzionario dei cartoni animati. Caricatura di se stesso solo in apparenza, l’infido Grillo: è il servitore decisivo del potere europeo, l’unico capace di ripristinare la totale sottomissione del Belpaese. Dopo l’ambigua e velleitaria sbornia gialloverde, che aveva illuso la Lega (e gli italiani) che le regole potessero davvero cambiare, è intervenuto l’uomo del Britannia: è stato l’ex comico a dare il via libera alla “soluzione finale”. Senza il suo intervento padronale, i valletti grillini – pur traumatizzati dall’incubo delle elezioni anticipate – non ce l’avrebbero fatta, a calare le brache fino al punto di arrendersi all’odiato Matteo Renzi, decretando in questo modo la morte politica del Movimento 5 Stelle. L’indecorosa trattativa è stata affidata a manovali recalcitranti come Di Maio e Zingaretti, che hanno finto di prendere sul serio l’imbarazzante prestanome Giuseppe Conte. Ma è evidente che a decidere è stato il Giglio Magico, che ha colto al volo l’assist – decisivo – del Mago di Genova.
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Decrescita senza giustizia e ’sviluppo’ mortale per la Terra
Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.L’emergenza climatica è una catastrofe, ma perché ostinarsi a ripetere che sarebbe indotta dall’umanità? Greta e soci, in fondo, distraggono il pubblico dall’altra calamità – quella sì, interamente terrestre: la devastazione dell’ecosistema, sfruttato in modo pericoloso e inquinato a morte dal modello economico della crescita cieca, della quantità-spazzatura misurata dal Pil. Nulla di tutto ciò rientra, neppure per sbaglio, nell’ordinaria narrazione di un travaglio politico-parlamentare come quello italiano, dove uno solo degli attori in campo, Matteo Salvini, osa ribellarsi all’ingiustizia distributiva adottata – per decreto feudale – dalla sedicente Unione Europea, apparato burocratico di tipo carolingio, più rigido e stolido dei marmorei ministeri sovietici del tempo che fu. Lo stesso Salvini, tuttavia, maneggia soltanto vocaboli logori come “sviluppo”, che suonavano intelligenti ai tempi di Enrico Mattei, scomparso nel 1962. Ha buon gioco, Salvini, nel citare in modo irridente la “decrescita felice” teorizzata da Maurizio Pallante, un tempo ospite degli show di Beppe Grillo quando l’ex comico batteva le piazze italiane per costruire, all’insaputa del pubblico, la base di consenso del futuro Movimento 5 Stelle. Nella teoria della decrescita, la catastrofe non ha padri: tutti colpevoli, quindi nessuno.La ricetta: decrescere, con tagli orizzontali, per ridurre i consumi e quindi l’inqinamento. Se questo comporta spaventose diseguaglianze tra ricchi e poveri, che diverrebbero gli uni un po’ meno ricchi e gli altri miserabili, pazienza. Se poi l’unica decrescita tuttora praticata è imposta dal regime Ue calpestando qualsiasi dinamica democratica, ai teorici decrescisti pare non interessi: la giustizia sociale non sembra rientrare fra le preoccupazioni degli ideologi della decrescita, così come lo spaventoso problema dell’impatto ambientale non figura nell’agenda dei pochissimi politici che, come Salvini, cercano giustamente di risollevare l’economia nazionale. Lo stesso Pallante, per contro, pur indicando la crescita del Pil come il nostro maggiore nemico, confida in una possibile soluzione tecnologica, convinto che l’ingegno umano, come già in passato, possa produrre tecnologie a impatto zero. Nulla, comunque, che compaia nell’agenda politica dei partiti italiani. Sfilano piccoli politici, palesemente schiacciati da poteri molto più forti: poteri economici, che non risponderanno mai dei danni che dovessero provocare le loro attività. Morta la politica, restano Greta e le Ong. L’Africa può attendere, insieme alla rigenerazione dell’ecosistema terrestre. Nel frattempo si corre a tutto gas abbattendo la foresta amazzonica e conquistando le rotte artiche della Groenlandia. Destra e sinistra schiamazzano, là in basso, mentre il nostro aereo continua a volare senza pilota.Il male è in noi, si potrebbe pensare, nel momento in cui accettiamo come un fenomeno fisiologico il fatto che i giovani africani scappino dall’Africa, anziché restare nella loro terra ricchissima e vergognosamente saccheggiata. Accoglierli o respingerli, poi, è decisivo solo per l’umanità migrante, per i singoli, ma non cambia di una virgola il problema (ne cambia solo le conseguenze a casa nostra, non le cause a casa loro, dove di questo passo le cose andranno di male in peggio). C’è un oceano in movimento – domani saranno mezzo miliardo di persone ad abbandonare l’emisfero Sud, secondo l’Onu – ma l’Italia, avamposto mediterraneo dell’Europa, si lascia incantare dalle baruffe tra le cosiddette Ong e un ministro dell’interno. Il Sud del mondo starebbe scappando dall’emergenza planetaria del cambiamento climatico, e l’Occidente dà credito a una ragazzina svedese che racconta che l’impazzimento del clima sarebbe endogeno: come se non sapesse che ai tempi dell’Impero Romano la temperatura media era più alta, e che nel medioevo – dopo la mini-glaciazione che fece gelare la Senna e il Tamigi – si coltivava l’ulivo in tutto il Nord Italia, data la straordinaria mitezza delle temperature in un mondo ancora senza industria, in cui non esistevano neppure i treni a vapore.
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Terrore e menzogne: tutto, purché l’Italia non rialzi la testa
Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.Dopo 18 anni, tuttavia, a tener banco è ancora la verità ufficiale: aerei dirottati da fanatici islamisti ispirati da Osama Bin Laden, l’ex socio dei Bush ed ex fiduciario della Cia che poi il signor Obama ha raccontato al mondo di aver fatto assassinare il 2 maggio 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, da un reparto speciale di Navy Seals poi stranamente morti a loro volta, abbattuti da fuoco amico a Kabul. Spesso si evita di mettere in relazione l’11 Settembre, e quindi la conseguente devastazione del mondo tuttora in corso a suon di guerre, con l’evento quasi altrettanto simbolico che lo precedette: l’inaudito delirio di violenza esploso al G8 di Genova, due mesi prima. A indicare la connessione è Wayne Madsen, all’epoca dirigente della Nsa: Madsen sostiene che la strategia della tensione affidata ai misteriosi black bloc, accuratamente preparata dalla National Security Agency, doveva servire a stroncare una volta per tutte il caotico movimento NoGlobal, di cui l’élite finanziaria pare avesse una gran paura.Fu casuale la scelta di provocare quella mattanza proprio in Italia? Il nostro paese era già stato durissimamente colpito dal terrorismo, incluso quello delle stragi nelle piazze, fino all’epilogo del sequestro Moro: fu allora immolato un politico grigio ma tenace, che in fondo incarnava l’irriducibile diversità italiana, inconciliabile con il progetto turbo-mercantile in cantiere, truccato da europeismo. Non doveva sopravvivere, l’anomalia italiana, con la sua economia-boom sorretta dal decisivo volano pubblico dell’Iri, il complesso industriale più grande d’Europa. Nel romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale Francesco Cossiga si complimentò con l’autore, Giuseppe Genna, si mette in luce un dettaglio inquietante: il nesso tra i “sacrifici rituali di bambini” e l’omicidio politico. Oscura “firma” di sapore occulto, contro-iniziatico, a marcare il ricorso al terrorismo come “instrumentum regni”, in particolare contro l’Italia, dai tempi di Enrico Mattei.Quella dell’11 Settembre fu una strage immane: 3.000 morti nel crollo delle torri, più altre 12.000 vittime accertate nei giorni e mesi seguenti, a causa della nube d’amianto che avvolse i quartieri circostanti. E’ umanamente concepibile, un ipotetico auto-attentato di quelle proporzioni? Purtroppo sì, dicono i dietrologi: viceversa, il clan Bush non sarebbe mai riuscito a mobilitare l’opinione pubblica americana a supporto della “guerra infinita” scatenata in Afghanistan e in Iraq, che ha aperto le porte dell’attuale inferno quotidiano, estesosi in paesi come la Libia e la Siria. A Palazzo Chigi, dal 2001, si sono alternati Berlusconi e Prodi, quindi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. Tutti governi che si sono mossi al di sotto della politica, all’ombra di tabù intoccabili: l’insindacabilità del Sacro Romano Impero franco-tedesco e l’altrettanto indicibile verità-ombra che sembra annidarsi dietro i sinistri eventi che aprirono il millennio, la follia di Genova e la mostruosa carneficina andata in scena a New York.Oggi l’Italia è alle prese con le consuete, deprimenti cronachette politiche, affidate all’estro di statisti del calibro di Matteo Renzi e Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti. Nelle retrovie della tifoseria svettano Giorgia Meloni e Alessandro Di Battista, mentre a Matteo Salvini viene imputato l’assurdo crimine di aver aperto una crisi politica insensata, tale da mandare a casa il glorioso, formidabile governo gialloverde. Eppure, anche se sembra impossibile, tutta l’Europa guarda all’Italia. L’Europa e non solo: se la Russia di Putin è stata tirata in ballo in modo tragicomico dall’improbabilissimo Russiagate, proprio il Belpaese è conteso da Usa e Cina, ad esempio per le implicazioni anche geo-strategiche dell’affare Huawei inerente la rete wireless 5G. Più in generale, l’Italia politica aveva comunque fatto notizia, a livello internazionale, un anno fa, varando l’unico governo europeo teoricamente all’opposizione di Bruxelles, dopo l’opaco terrorismo casalingo dell’Isis nel vecchio continente, e prima ancora della quasi-insurrezione francese dei Gilet Gialli.Tanta preoccupazione per gli sviluppi nazionali italiani suggerisce l’idea, solo in apparenza stravagante, che il nostro disastrato e meraviglioso paese sia in qualche mondo centrale, per il futuro del mondo, secondo una drastica linea di discrimine: la verità, una volta per tutte, oppure la menzogna, ancora e sempre. Quando l’Italia era diventata la quarta potenza industriale del pianeta, con Craxi a Palazzo Chigi, lo Stato era ancora sostanzialmente catto-consociativo, governato largamente dalla Dc ma co-gestito dal Pci. Forte della maggior presenza industriale pubblica del continente, il nostro era il paese più strano d’Europa: prospero e risparmiatore, politicamente stabile nonostante l’enorme instabilità dei singoli governi, lealmente atlantista ma non ostile all’Urss, apertamente filo-arabo senza però mai essere anti-israeliano. Il paese dei record, nonostante le sue piaghe storiche: divario Nord-Sud, elevata corruzione, mafia, dilagante evasione fiscale. Un paese pericoloso, per i concorrenti: resiliente, pieno di contraddizioni e di eccellenze, virtualmente indistruttibile. Dunque una nazione da piegare, da sottomettere, possibilmente con l’immancabile complicità dell’establishment nazionale.C’era quasi riuscito Mario Monti: iper-tassazione, Fiscal Compact, tagli al welfare, legge Fornero sulle pensioni e pareggio di bilancio in Costituzione. Tutte norme ammazza-Italia, scrupolosamente votate dal Pd di Pierluigi Bersani, che oggi – come se niente fosse accaduto, in questi anni – cinguetta soavemente, sostenendo che i mali italici si risolverebbero semplicemente debellando l’evasione, come se (a monte) non esistessero il macigno chiamato Unione Europea e il suo braccio armato, l’Eurozona, cui la Germania aderì su pressione della Francia solo a patto di ottenere in cambio lo scalpo industriale dell’Italia. In questi mesi turbolenti e mediocri, gli estimatori dei tanti Bersani d’Italia (i Saviano, i Fazio, gli Scalfari) non hanno trovano di meglio che dare del fascista a Salvini, tifando per il nemico di turno dell’Italia (Macron) nella speranza che riuscisse a disarcionare il puzzone, l’orco, l’usurpatore del potere regio. Nemmeno Salvini si è elevato, peraltro: agitando crocifissi nei comizi non è riuscito a sovrastare gli infimi avversari, l’ipocrita congrega finto-buonista che friggeva all’idea di aver perso le antiche poltrone, regalate (al barbarico leghista e all’indecente scolaresca dei grillini) da elettori semplicemente esasperati, traditi e abbandonati a se stessi, nauseati dalla sedicente sinistra.Campioni del mondo nell’arte della truffa, i 5 Stelle hanno evitato accuratamente di indicare la causa del problema-Italia. Salvini l’ha fatto, fermandosi però alle parole: questo è bastato, comunque, a trasformarlo in un bersaglio. Il capo della Lega è l’unico a non aver barato: Berlusconi aveva solo finto di voler avviare una grande riforma liberale, e Prodi – peggio ancora – aveva venduto agli italiani le meravigliose sorti e progressive di Eurolandia, cioè la condanna al rigore eterno. Salvini almeno evita di raccontare bugie, ma non è sufficiente. E la verità – tutta la verità – richiede una statura speciale, perché non può che passare per gli infami snodi irrisolti che stanno alla base dell’infausto esordio del terzo millennio: a partire dalla madre di tutte le menzogne, la versione ufficiale sull’11 Settembre. In parte, gli economisti progressisti reclutati dalla Lega – Bagnai, Rinaldi – hanno sdoganato intere parti della verità più imbarazzante, come il divorzio Tesoro-Bankitalia che trasformò di colpo il virtuoso debito pubblico italiano in tragedia nazionale. Ma è come se all’Italia, oggi, si chiedesse altro: la capacità di rialzare la testa, con un atto di coraggio che smonti l’unica vera arma – la paura – su cui si basano le oscure forze che hanno progettato l’11 Settembre e le sue guerre, l’Isis e la cosiddetta crisi, ben orchestrata dall’attuale regime finanziario e antisociale che si nasconde dietro il profilo istituzionale dell’Unione Europea.(Giorgio Cattaneo, “Terrore, ricatti e menzogne: purché l’Italia non rialzi la testa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 agosto 2019).Qualunque cosa accada o non accada all’Italia, ombelico fragile e vittima predestinata dell’ordoliberismo post-democratico europeo, non si può prescindere dal ricordare la grande menzogna che ammorba il pianeta dall’11 settembre 2001, il maxi-attentato alle Torri Gemelle di Manhattan. L’impensabile era già in marcia da molti anni, certo: il Memorandum Powell per la riscossa storica delle oligarchie, la “crisi della democrazia” promossa dalla Trilaterale, la liquidazione di Allende e Sankara, Olof Palme e Aldo Moro, l’ipocrita “terza via” battuta da Blair e Clinton per rottamare la sinistra classica e lanciare la post-sinistra mercantilista dei Prodi, degli Schroeder, dei Renzi. Ma fu il fatidico 2001 a metter fine nel modo più brutale al breve sogno del globalismo mite vagheggiato da Gorbaciov dieci anni prima, che aveva dato al pianeta una meravigliosa e breve illusione: poter finalmente vivere un disgelo universale, con la fine della guerra fredda, cominciando a rimettere insieme i cocci di un mondo devastato dall’ingiustizia. Oggi sono i vigili del fuoco di New York a invocare la riapertura del caso 11 Settembre, sostenendo che le Twin Towers sarebbero state minate con esplosivi.
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L’infame guerra di Bergoglio, che ora insulta la democrazia
Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.Scomunicandoli, Bergoglio si è lanciato in uno spericolato paragone tratto dalla propaganda corrente, tra il sovranismo di oggi e il nazismo e la guerra di ieri e di domani. Sarebbe come accusare di comunismo antioccidentale o di complicità col fanatismo islamico chiunque voglia far sbarcare i clandestini e imporne l’accoglienza. Un processo alle intenzioni senza fondamento. Del resto quante guerre recenti sono state combattute nel nome della pace e del Bene contro le potenze del Male; quante guerre pacifiste, quanti stermini umanitari, quante bombe progressiste sganciate sulle popolazioni, quante invasioni a fin di bene, quanti maltrattamenti e respingimenti democratici di immigrati clandestini. Fu il democratico e pacifista Kennedy a far la guerra in Vietnam e a sfiorare la guerra a Cuba con l’Urss; toccò al “cattivo conservatore” Nixon chiudere la sciagurata guerra in Vietnam e dialogare col comunismo cinese.Con la sua dichiarazione di guerra ai sovranisti, Bergoglio ha compiuto tre atti ostili in uno: ha offeso i cattolici che liberamente votano per i “sovranisti” riducendoli a potenziali seguaci di Htler e nemici dell’umanità e della cristianità, erigendo così un muro d’odio e disprezzo nei loro confronti; proprio lui che dice di voler abbattere tutti i muri ne ha eretto uno gigantesco, insormontabile. Ha poi schiacciato la Chiesa su un versante politico a fianco di movimenti, governi e organi laicisti, atei, massonici, di sinistra radicale o all’opposto filo-islamici, comunque avversi alla cristianità e ai suoi valori, alla civiltà cattolica e alla famiglia cristiana. E si è schierato con l’Europa anticristiana degli eurocrati, con l’establishment laicista e col peggior capitalismo finanziario, contraddicendo anche il suo populismo cristiano-terzomondista. Peraltro Bergoglio deve ancora raccontarci che rapporti ebbe con la dittatura argentina quando era influente prelato in patria.I catto-bergogliani sono insorti con livore e disprezzo (ma sempre in nome della carità) contro chi muove queste obiezioni al Papa, accusandoli d’insolenza. E’ ridicolo che questi cattolici progressisti ricorrano al dogma dell’infallibilità del Papa e si trincerino dietro quel principio di autorità che hanno calpestato fino a ieri, diciamo fino a che era Papa Ratzinger. Il problema è opposto: non è chi critica le dichiarazioni politiche di Bergoglio a mettersi al di sopra del Papa, ma è Bergoglio a scendere al di sotto del suo ruolo di Papa, fino a usare strumenti della propaganda politico-mediatica di sinistra che accusa di nazismo chiunque non la pensi come loro. Un vero Pontefice dovrebbe innalzare ponti e non steccati, dovrebbe porsi al di sopra delle parti e delle ideologie, esortare a trovare un punto di sintesi, sforzandosi di salvare un nucleo di verità in ciascuna delle parti in campo. Per i catto-bergogliani la verità del Vangelo e della cristianità non è quella trasmessa da duemila anni di tradizione cristiana, di fede, dottrina, esempio di santi e teologi, di papi e martiri. Ma è solo nella lettura che ne fa ora Bergoglio in un volo pindarico dal cristianesimo delle origini al Concilio Vaticano II, con un breve scalo francescano. Il resto è cancellato.È puerile e riduttiva questa rappresentazione manichea del Bene e del Male. I mali di cui è infestata la società sono molteplici, evidenti e remoti dal sovranismo: la droga e la criminalità derivata, il terrorismo e il fanatismo, la persecuzione dei cristiani nel mondo, la delinquenza diffusa e il traffico di bambini, di uteri, di organi, di donne, di migranti, solo per citarne alcuni. Mali rispetto a cui il sovranismo è considerato da molti come argine e antidoto. Elevando il sovranismo a male sovrano dell’epoca, passano in sordina questi mali globali, coi loro agenti e alleati. In un mondo dominato dall’ateismo e minacciato dall’islamismo, Bergoglio addita come nemico principale il sovranismo e come suo gesto di massimo sfregio l’esibizione del rosario. Intanto la civiltà cristiana e la fede cristiana vengono cancellate dalla vita pubblica e privata, le chiese, i fedeli e le vocazioni sono in caduta libera, il senso religioso sparisce nell’orizzonte della gente; ma quel che conta è la mobilitazione umanitaria pro-migranti e resistenza contro un presunto pericolo nazista. E intanto i cattolici praticanti in Europa, una volta esclusi i sovranisti, si riducono all’otto per mille della popolazione…(Marcello Veneziani, “Bergoglio va alla guerra” dal numero 38 di “Panorama”, ripreso dal blog di Veneziani).Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.
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Pieni poteri a Grillo: l’uomo del Britannia ha in mano l’Italia
Beppe Grillo era sul Britannia, il 2 giugno 1993, insieme a Mario Draghi e a tutti gli altri uomini del Deep State italiano, reclutati dalla finanza globalista per spennare il Belpaese. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e massone progressista, acuto osservatore dei retroscena italici. Moviola storica: cade il Muro di Berlino, i partiti della Prima Repubblica diventano inutili come diga contro l’Urss e quindi vengono rasi al suolo dai giudici di Mani Pulite, che – dopo cinquant’anni – si accorgono che la corruzione domina la politica nazionale. Cadono Craxi e Andreotti, ma si risparmia il Pci-Pds, incaricato di ereditare il potere nella colonia-Italia. A inceppare il piano, l’anno seguente irrompe Berlusconi (variante classica del neoliberismo puro, visto da destra). Un anno prima, invece, a condurre il gioco è ancora l’ex sinistra, da integrare nell’establishment attraverso notabili e tecnocrati, a patto che ammaini tutte le bandiere della sinistra storica, le battaglie per i diritti sociali. Mario Draghi, di formazione keynesiana, è l’uomo giusto al momento giusto, ma anche nel posto giusto (la direzione del Tesoro, da cui gestirà le turbo-privatizzazioni all’italiana che metteranno in croce il paese, svenduto a Francia e Germania). L’altro partner si chiama Romano Prodi, in quota alla sinistra Dc, incaricato di smantellare l’Iri, cioè il complesso industriale (pubblico) più grande d’Europa. Oggi, Prodi e Draghi sono i due maggiori candidati a succedere a Mattarella. E il possibile king-maker, dietro le quinte, è proprio il finto outsider Beppe Grillo.
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Vittima del caso Epstein anche Andrea, lo chef di Cipriani?
E’ collegato al caso Epstein lo strano omicidio dello chef italiano di Cipriani Dolci a New York? Conosceva verità imbarazzanti il giovane Andrea Zamperoni, ritrovato (o fatto ritrovare) privo di vita in un ostello malfamato, frequentato da prostitute e spacciatori, cinque giorni dopo la sua scomparsa? Il cadavere era al primo piano del Kamway Lodge, un ostello del Queens, scrive il “Corriere della Sera” il 23 agosto. Lo stesso quartiere dove Zamperoni, 33 anni, abitava. Era il capo chef del ristorante Cipriani della Grand Central. Enorme lo stupore per la tragedia: la vittima è descritta come un ragazzo serio, corretto, straordinariamente mite e cordiale. Qualcuno temeva che potesse rivelare dettagli esplositivi agli investigatori che stanno ricostruendo i retroscena dell’impero criminale del finanziere pedofilo Jeffrey Epstein, trovato morto il 10 agosto nella sua cella del carcere di Manhattan? L’accostamento tra Epstein e il marchio Cipriani, ricorda la ricercatrice italiana Lara Pavanetto, emerge dall’agenda dello stesso Epstein. Ma c’è di più: Ghislaine Maxwell, la factotum del finanziere amico dei potenti, ha lanciato uno strano messaggio: esibendo il volume “Il libro dell’onore, vite e morti segrete degli agenti della Cia”, lascia capire che Epstein, ricattando uomini di Stato per le loro “debolezze”, probabilmente svolgeva un ruolo cruciale per l’intelligence.Inseguita inutilmente in tutta l’America, la Maxwell s’è fatta fotografare in un fast food di Los Angeles con un libro aperto sul tavolo: si tratta di “The book of The Book of Honor”, sottotitolo “The Secret Lives and Deaths of Cia Operatives”, scritto da Ted Gup e pubblicato da Paperback nel 2001. Sulla pagina Amazon, compare una recensione postata il 15 agosto a firma G.Maxwell: «Un mio caro amico – si legge – è morto di recente in circostanze molto tragiche». A parlare è Ghislaine Maxwell? «Ho acquistato questo libro su consiglio di un amico e non sono più riuscita a smettere di leggerlo», continua il messaggio: «Lo leggo anche mentre porto a spasso il cane e mentre mangio al fast food». Ad avvalorare l’identità della commentatrice sembra essere la Maxwell stessa, che si è fatta ritrarre – in posa, dal “New York Post” – proprio ai tavoli di un ristorante di quel genere. «Questo libro – continua il testo su Amazon – mi ha aiutata a capire che il mio amico credeva davvero in qualcosa, e che dare la vita per la Cia, l’Nsa, l’Fbi, il Mossad o altre agenzie di intelligence è davvero una vocazione più elevata, e non qualcosa per cui piangere».La 57enne, figlia minore del magnate dell’editoria Robert Maxwell, era la “migliore amica” di Epstein. Protagonista dei salotti newyorkesi, era conoscente di Trump, dei Clinton e del principe Andrea. Laureata a Oxford, era stata fotografata con l’ex sindaco di New York,Michael Bloomberg e con Elon Musk. Tre sono state le ragazze che l’hanno accusata di aver fatto da tramite con Epstein per gli abusi, offrendo loro un lavoro come assistente personale per poi trasformarle in schiave sessuali. «Nell’agenda di Epstein sono venuti fuori anche nomi di imprenditori italiani: il solito Briatore, poi il magnate della ristorazione Cipriani, il fondatore e presidente della Investindustrial Andrea Bonomi», dice Lara Pavanetto nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”. La stessa Pavanetto però precisa: «La cosa è indicativa fino a un certo punto, perché nell’agenda del finanziere ci sono moltissimi nomi: era in tutti gli ambienti, Epstein, e forse frequentando certi ambienti era impossibile non incontrarlo, a quanto pare, malgrado fosse segnalato dal 2007 e condannato per abusi sessuali su minori».Certo, colpisce che in quell’agenda compaia anche il nome di Cipriani, e che proprio lo chef di Cipriani a New York possa aver fatto una fine così tragica e così strana, a pochi giorni dalla “comoda” scomparsa di Epstein (ufficialmente archiviata come suicidio) alla vigilia di un processo che si sarebbe trasformato in una bomba per politici di mezzo mondo. Non si è dunque suicidato, Epstein? Si è “sacrificato” per «dare la vita per la Cia, l’Nsa, l’Fbi, il Mossad o altre agenzie di intelligence», come scrive “G.Maxwell”? Strano poi che Ghislaine si sia fatta fotografare in un ristorante, proprio mentre a New York non si parlava che della scomparsa di un personaggio legato anch’esso alla ristorazione. Pare che il corpo di Andrea Zamperoni fosse avvolto in una coperta, scrive il “Corriere”. «La polizia è stata avvisata da una telefonata di un informatore. Secondo le prime ricostruzioni, gli agenti al loro arrivo sarebbero stati accolti da una donna nuda che gridava indicando il corpo: “È lì”». Alcuni ospiti dell’ostello, secondo la “Cbs” era un luogo noto nel giro della droga e della prostituzione, hanno raccontato alla polizia di una lite scoppiata al primo piano.Testimonianze, rileva sempre il “Corriere della Sera”, che fanno a pugni con quello che tutti raccontano di Andrea: «Era un ragazzo dolcissimo». La polizia sta indagando sulle cause della morte e sul perché il giovane si trovasse lì, ed è stata disposta l’autopsia. Parlando con il “New York Post”, il general manager di Cipriani, Fernando Dallorso, aveva definito Zamperoni uno “sweetheart”, un cuore d’oro, ben diverso da tanti chef «rinomati per il brutto carattere». Al ristorante Cipriani della stazione newyorkese lo descrivono così: «Non lo si è mai sentito alzare la voce: non era fuori di testa, era un uomo semplice. Un capo in cucina, ma un amico fuori». Ha avuto la disgrazia di inciampare, incidentalmente, in qualche segreto connesso al caso Epstein? Lara Pavanetto ricorda che Ghislaine Maxwell, accusata dalle vittime di essere procacciatrice di minorenni per Jeffrey Epstein, aveva il controllo dei conti dell’ingombrante miliardario, e finanziò personalmente la campagna di Hillary Clinton per le presidenziali di tre anni fa.Suo padre, Ian Robert Maxwell, era un personaggio famosissimo ma pieno di ombre. Misteriosa la sua morte, nel novembre del ‘91. Fu ritrovato morto in mare, al largo delle Canarie: si disse era annegato incidentalmente, dopo essere caduto di acqua mentre era a bordo del suo yacht. Già a capo dell’impero editoriale del Mirror, in stretto contatto con Lehman Brothers e Goldman Sachs, Robert Maxwell – di origine cecoslovacca – era sospettato dal Foreign Office di essere un agente del Kgb, oltre che del Mossad. Parlamentare laburista negli anni Sessanta, aveva ottime relazioni coi regimi comunisti dell’Est Europa, e fece anche un’intervista estremamente benevola, agiografica, con il dittatore rumeno Nicolae Ceaucescu. Fu accusato di aver sviluppato contatti col Mossad già dal 1948, quando la Cecoslovacchia armò Israele sottobanco in occasione della prima guerra arabo-israeliana. Già nel ‘48, infatti, Maxwell avrebbe contrabbandato aerei sovietici, tramite Praga, per dotare Israele di un’aviazione militare. Al suo funerale, a Gerusalemme, l’allora premier Yitzhak Shamir disse di lui: «Per Israele, Robert Maxwell ha fatto più di quanto oggi si possa dire».E’ collegata al caso Epstein la strana morte dello chef italiano di Cipriani Dolci a New York? Conosceva verità imbarazzanti il giovane Andrea Zamperoni, ritrovato (o fatto ritrovare) privo di vita in un ostello malfamato, frequentato da prostitute e spacciatori, cinque giorni dopo la sua scomparsa? Il cadavere era al primo piano del Kamway Lodge, un ostello del Queens, scrive il “Corriere della Sera” il 23 agosto. Lo stesso quartiere dove Zamperoni, 33 anni, abitava. Era il capo chef del ristorante Cipriani della Grand Central. Enorme lo stupore per la tragedia: la vittima è descritta come un ragazzo serio, corretto, straordinariamente mite e cordiale. Qualcuno temeva che potesse rivelare dettagli esplositivi agli investigatori che stanno ricostruendo i retroscena dell’impero criminale del finanziere pedofilo Jeffrey Epstein, trovato morto il 10 agosto nella sua cella del carcere di Manhattan? L’accostamento tra Epstein e il marchio Cipriani, ricorda la ricercatrice italiana Lara Pavanetto, emerge dall’agenda dello stesso Epstein. Ma c’è di più: Ghislaine Maxwell, la factotum del finanziere amico dei potenti, ha lanciato uno strano messaggio: esibendo il volume “Il libro dell’onore, vite e morti segrete degli agenti della Cia”, lascia capire che Epstein, ricattando uomini di Stato per le loro “debolezze”, probabilmente svolgeva un ruolo cruciale per l’intelligence.
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Anche Sanders evoca gli Ufo. Cercano di dirci qualcosa?
Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».“Chi comanda il mondo?”, recitava una canzone dell’italiano Povia. E se un giorno saltasse fuori che a tirare le fila – al di sopra degli arsenali, missilistici e finanziari – c’è qualcuno che proprio terrestre non è? Che figura ci farebbero, i padreterni come Trump, Putin e Xi-Jinping? O meglio: quel giorno si capirebbe “per chi lavorano, davvero”. Fantascienza? Peggio: complottismo da strapazzo. Così almeno strepitano, prontamente, tutti i debunker del globo. Carina, la barzelletta degli alieni: ideale per assolvere comodamente i peggiori politici. Ma appunto, chi comanda il mondo? Non certo i cittadini tramite i governi: si vede che fine fanno, più o meno ovunque, le promesse elettorali (senza contare i paesi – non pochi – dove la democrazia formale neppure esiste). Chi c’è dietro, cioè sopra? Elenco sterminato di poteri forti. Le banche, Wall Street, la Trilaterale, i signorotti che ogni anno concedono passerelle rituali a beneficio dei riflettori, da Davos al Bilderberg. Poi ci sono i decisori veri, il Gruppo dei Trenta, la Ert. Ma il Group of Thirty si occupa di finanza, e la European Roundtable of Industrialists di leggi e agevolazioni strategiche per incrementare i profitti industriali. Chi, allora, lassù?Spiccano ad esempio onnipotenze geopolitiche come la Chatham House, alias Royal Institute of International Affairs, e il suo omologo super-salotto statunitense Cfr, Council on Foreign Relations. Va bene, ma chi stabilisce chi può accedere a quei sommi santuari del potere? Il gotha massonico mondiale, risponde Gioele Magaldi: un’élite di matrice iniziatica, che seleziona accuratamente i suoi adepti. Alcuni dei quali, ha ammesso di recente lo stesso Magaldi, vantano rapporti privilegiati con “entità extraterrestri”. Dall’alto della presidenza del Cun, Centro Ufologico Nazionale, e dei suoi storici rapporti con l’aeronautica, l’italiano Roberto Pinotti afferma: il vero problema, per gli alieni, è trovare adeguati interocultori terrestri. I capi delle superpotenze? Spettacolo sconsolante: sono ancora lì a minacciarsi a vicenda, mentre la Terra sta per implodere a causa dell’inquinamento. Forse, aggiunge Pinotti, gli unici portavoce credibili potrebbero essere i leader religiosi. Davvero? Torna alla mente lo sconcertante racconto di monsignor Loris Capovilla, “cameriere segreto” di Giovanni XXIII. Raccontò alla stampa estera che, nel luglio del 1961, un disco volante atterrò nel parco di Castel Gandolfo. Dall’astronave scese un individuo che si appartò a parlare col pontefice. Una volta decollato, il Papa era in lacrime: «I figli di Dio sono dappertutto», si limitò a dire all’esterrefatto segretario.Di “fratelli dello spazio” parla anche l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, direttore della Specola Vaticana, potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. A “Tv 2000”, padre Funes ha dichiarato che non avrebbe difficoltà a battezzarli, gli eventuali “fratelli dello spazio”. Quante cose sa, padre Funes? Perché si occupa così intensamente di esobiologia, cioè di vita extraterrestre? E perché i gesuiti spendono milioni di dollari per sondare lo spazio, in proprio, “rubando il mestiere” alla Nasa? Stanno cercando di dirci qualcosa di importante? Vogliono prepararci a un evento forse imminente, ormai? Viceversa, non si capisce perché un pezzo da novanta del Vaticano si metta, di punto in bianco, a parlare di marziani. Siamo arrivati alla fine di un lungo “Truman Show” allestito per depistare il pubblico, che non avrebbe retto alla notizia? A domandarselo è un fenomeno editoriale come Mauro Biglino, che entro fine anno debutterà anche come attore nel kolossal “Creators, the past”, con Gerard Dépardieu e William Shatner, il “capitano Kirk” della serie televisiva “Star Trek”. La tesi: siamo stati “fabbricati” dagli alieni, che – da millenni – ci controllano a distanza, tramite i loro fiduciari terrestri.Prima di pubblicare libri di successo (trecentomila le copie vendute solo in Italia, senza contare le versioni per l’estero), Biglino ha tradotto 19 libri dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, destinate agli studenti universitari. Nella sua rilettura strettamente letterale della Bibbia, Biglino sposta il problema di Dio molto più in là di Yahwè: senza mai escludere la possibilità dell’esistenza di una divinità superiore, l’autore dimostra che il protagonista biblico non era onnisciente, né onnipotente, né immortale. Era solo uno dei tanti Elohim, una ventina, presentati nel testo antico coi loro nomi: individui potenti e temuti, molto longevi, tecnologicamente evoluti e dotati di velivoli rumorosi. La loro specialità? Governare popoli, l’un contro l’altro armati. La Bibbia è un libro di guerra, identico ai testi antichi di tanti altri popoli, dalla Mesopotamia all’India. Si narra che la nozione filosofica di spiritualità sia nata coi Veda, ma il ricercatore Enrico Baccarini, giornalista della “Bbc”, smentisce: i libri indiani, antichissimi, non contengono tracce religiose. Sono solo cronache, che narrano le gesta dei Deva, anch’essi potentissimi ma non onnipotenti, estremamente longevi ma non immortali. Chi erano? Gli stessi che i sumeri chiamavano Anunnaki, gli egizi Netheru, i peruviani Viracochas, i greci Theoi, gli irlandesi Túatha Dé Dànann.Ogni popolo della Terra – per iscritto, mediante incisioni nella roccia o tramite racconti orali – ci ha tramandato la memoria dello stesso tipo di incontri, dalla Cina all’Africa, passando per il Medio Oriente, l’America e l’Europa: secondo i nuovi ricercatori come Biglino, la memoria dell’umanità porta impressa nel suo Dna quell’impronta decisiva, che secondo i genetisti odierni (ed esempio Pietro Buffa, del King’s College di Londra) spiegherebbe anche il “salto quantico”, l’anello mancante tra noi e la scimmia. Abbiamo sbagliato tutto, scrisse Alfred Russel Wallace, co-autore con Charles Darwin della teoria evoluzionistica: «Con l’uomo non funziona», disse Wallace all’illustre collega. «Nel nostro caso è evidente l’intervento di un’intelligenza superiore». Venuta da dove? Dalla Terra o dallo spazio? Dalla nostra galassia? Da Orione, come dicono le fonti indiane? Dalle Pleiadi? Per i Veda, l’universo è popolato da non meno di 400.000 specie umanoidi, alcune delle quali comparse anche sulla Terra. Se neppure Darwin l’ha mai trovato, il “missing link” tra noi e lo scimpanzè, i nuovi studiosi – archeologi, paleontologi, fisiologi – sembrano propensi a identificarlo, l’anello mancante, collegando i testi antichi alla fantascienza, così spesso anticipatice di tanta tecnologia poi divenuta d’uso comune. Profezie visionarie o vere e proprie anticipazioni, quelle di “Guerre stellari” e “Star Trek”?Cos’è cambiato, negli ultimi anni, riguardo alle nostre conoscenze in materia? Moltissimo. Gruppi di scienziati, spesso giovani, si stanno concentrando proprio su questo: la possibile coerenza storica delle fonti letterarie antiche, alla luce dei più recenti ritrovamenti. Che si succedono a cascata, a valanga: nel 2014, i geofisici Richard Firestone e James Kennett hanno accertato che la Terra è stata sconvolta in due round, attorno a 12.000 anni fa, da una pioggia di comete. Risultato: tsunami, esplosione di vulcani, buio e gelo, glaciazione, estinzioni di massa, disgelo e “diluvio universale”, con innalzamento degli oceani fino a ridisegnare la geografia dei continenti. Dai bassi fondali dell’Oceano Indiano ora emergono rovine di città sommerse. Le date coincidono: il cantiere archeologico che ha messo a nudo il complesso di Göbekli Tepe, in Turchia (interrato nel 9.500 avanti Cristo) costringe a retrodatare di migliaia di anni l’introduzione dell’agricoltura. E mentre l’egittologia continua a raccontare che le piramidi erano tombe monumentali erette dai faraoni 5.000 anni fa, geologi e climatologi spiegano che hanno almeno 15.000 anni. Fisici di tutto il mondo, intanto, compiono test ogni notte nella piramide di Cheope, scoprendone le doti di stupefacente concentratore energetico capace di provocare l’abbattimento di particelle subatomiche.Sui giornali è circolata la seguente notizia: il sofisticato schema tecnologico della grande piranide di Giza potrebbe ispirare nuove celle fotovoltaiche decisamente avveniristiche e ultra-potenti. Altre piramidi, intanto, sono emerse in Bosnia: immense, a lungo scambiate per colline, e datate 30.000 anni in base al radiocarbonio. Costruite da chi? Lo scopritore, l’antropologo Sam Osmanagich, già in forza all’università di Houston, protesta: l’archeologia ufficiale non le classifica ancora come manufatti, benché siano state costruire con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Sono percorse da chilometri di sotterranei, come quelle egizie, ed emettono un’energia di cui gli studiosi non hanno ancora rilevato l’origine. La storia è interamente da riscrivere, sostiene un pioniere come lo scozzese Graham Hancock: quelli che gli antichi chiamavano dei, dice il professor Graziano Baccolini dell’università di Bologna, erano chiaramente astronauti. L’orizzonte della civiltà, di colpo, sembra allungarsi a dismisura: in Sudafrica, Michael Tellinger ha rilevato le tracce di una vera e propria “metropoli”, a due passi dalle miniere d’oro più antiche del pianeta. Una città imnmensa, che oggi avrebbe addirittura 200.000 anni. Ancora più enigmatica la scoperta della “mappa del creato”, in Russia, sugli Urali: un lastrone che riproduce perfettamente, dall’alto, la geografia russa. Dettaglio: molluschi ora fossili, ma intrappolati ancora vivi fra uno strato e l’altro dell’opera all’epoca della sua misteriosa realizzazione, si estinsero non meno di 120 milioni di anni fa.Informazioni frammentarie e sconcertanti: un po’ troppe, e tutte emerse nel giro di pochi anni. Si affacciano sui media come curiosità esotiche, ma non riescono ancora a essere metabolizzate dal sapere accademico, completamente spiazzato. E’ partita una specie di corsa, affidata a scienziati coraggiosi. Vuoi vedere che la nostra storia è infinitamente più lunga di quella finora tracciata dalla storiografia? E se si accertasse che la nostra vera origine è davvero extraterrestre? Nel libro “L’altra Europa”, l’avvocato vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, parla di un’unica dinastia di potere saldamente al comando da 12.000 anni, dietro al paravento di imperi e Stati. Fonte: l’esoterista francese Maurice Schumann, massone e gollista, tra gli ispiratori dell’Ue. Schumann la chiama “La Struttura”. Dalla Mesopotamia avrebbe conquistato il Mediterraneo, quindi il resto del mondo. Lo stesso Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, che dà credito al greco Filone di Byblos quando cita l’opera del fenicio Sanchuniathon, che nel 1200 avanti Cristo scrive: le divinità vivevano tra noi ed erano prepotenti, la loro mitologia mistica è stata poi costruita a tavolino dai sacerdoti antichi, che hanno velato la verità inventando la categoria del mistero.Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, nel saggio “Il mistero della situazione internazionale” sintetizza: i “poteri oscuri” che dominano il pianeta sono costituiti da due grandi catene di comando, una massonica e l’altra religiosa. In realtà sono “forze dell’ostacolo”, che – scatenando guerre e seminando ingiustizie – costringono l’umanità ad evolversi. La sua è una lettura quasi consolante e spiritualistica, di marca steineriana. Il concetto di spiritualità, però, nella nostra storia – almeno, quella leggibile – è stato introdotto solo in epoca recente, dal platonismo. Prima, c’erano solo “divinità” aliene, in carne e ossa, generose come l’indiano Krishna o spietate come Yahwè e colleghi. Unica eccezione, la teologia mazdea che la tradizione attribuisce a Zoroastro, 1400 avanti Cristo: l’uomo, di origine celeste, “intrappolato” sulla Terra dal perfido Ahriman, principio del male, antagonista del signore della luce Ahura Mazda. Extraterrestri ante litteram? Suggestioni ricorrenti, se ora ci si mettono anche i politici – con un’inistenza francamente sorprendente. Diversi presidenti americani avrebbero promesso, in campagna elettorale, di dire “tutta la verità” sugli Ufo. Nel 2009, Mikhail Gorbaciov ha ricordato che lui e Reagan si promisero reciproco aiuto, nel 1985 a Ginevra, in caso di “invasione aliena”. Scherzavano soltanto?Il 2 luglio 1947, un oggetto volante non identificato – ma in panne, vistosamente infuocato – precipitò a Roswell, in New Mexico. Ai testimoni oculari, le autorità mostrarono giorni dopo un pallone-sonda caduto: non era l’oggetto che avevamo avvistato, dissero i contadini. Il caso venne rapidamente archiviato. Ma nei 12 mesi seguenti, stranamente, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu assediato da innovazioni avioniche, da cui poi si svilupparono rapidamente i moderni jet. Coincidenze? Di extraterrestri si parla sempre più spesso: gli X-Files sbancano sempre il botteghino. Ma perché ora l’argomento finisce in modo insistente nel menù della politica? Nel 2015 ha fatto il giro del mondo la nota del ministero della difesa russo, che annunciava l’attracco di una nave di Mosca nel porto saudita di Gedda. I russi avrebbero imbarcato l’Arca di Gabriele, per poi “tombarla” in Antartide, dopo che la strana cassa d’oro, custodita alla Mecca, avrebbe scatenato una tempesta energetica capace di uccidere migliaia di pellegrini. Vero o falso? I media sauditi attribuirono la strage a una crisi di panico tra la folla, mentre un’équipe di tecnici, nel sottosuolo, avrebbe tentato di raggiungere la misteriosa reliquia, donata a Maometto e gemella di quella affidata da Yahwè a Mosè.Per inciso: l’Arca biblica – alla lettera – era un oggetto pericoloso, da maneggiare con cura, affidato a personale specializzato e debitamente abbigliato. Una sorta di potente generatore energetico. Sta davvero per accadere qualcosa di rivoluzionario? Domani, magari grazie a qualche capo di Stato (o anche solo alla signora Sanders), emergeranno come verità ufficiali gli indizi che i testi antichi sembrano metterci sotto il naso da migliaia di anni? Sarebbe un colpo sensazionale, dopotutto: crollerebbe l’intera costruzione del potere terrestre. Tutti burattini inconsapevoli, manovrati da pochissimi eletti in contatto coi signori della galassia? Un po’ troppo, per la mente umana: inaccettabile, per popolazioni afflitte da grane ordinarie come lo spread, i migranti e le crisi geopolitiche, tra un campionato di calcio e la messa cantata dal religioso di turno, col ditino alzato, impegnato a lanciare severi ammonimenti morali. L’epifania sarebbe un capolavoro comico: salve, vengo da Marte e ho due o tre cose da dirvi, come peraltro i vostri capi già sanno. Tra chi non ride affatto, di fronte all’ipotesi che la fantascienza si decida a venirci finalmente a trovare, c’è proprio l’ufologo Pinotti: storicamente, dice, l’incontro improvviso tra civiltà diversissime comporta la fine, anche traumatica, della società meno avanzata. Della nostra, peraltro, non c’è di che vantarsi. Ma non tutti sono pessimisti, riguardo agli incontri ravvicinati. “Extraterrestre, portami via”, cantava Finardi, quasi fiducioso – già allora, 1978 – in un aiuto dal cielo.Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».