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La Bibbia Nuda: dietro la nostra storia, una regia occulta
E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.Forse è utile fare un bel passo indietro, di almeno vent’anni. Per esempio: fino al 10 settembre 2001, era diffusa la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non esattamente un pianeta-capolavoro, politicamente parlando, ma distante anni luce da quello che sarebbe venuto dopo, a cominciare dall’alba del giorno seguente: due Boeing contro le Torri Gemelle di New York, senza che un solo jet militare – dopo il primo impatto – si fosse levato a presidiare quelli che erano considerati i cieli più sorvegliati del globo, così da scongiurare almeno la seconda, devastante collisione. Un’avvisaglia poco rassicurante la si era avuta due mesi prima, a Genova, in mezzo a strade e piazze improvvisamente preda della follia di una violenza insensata. Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, disse che oltre duemila agenti avevano lavorato, per mesi, a “organizzare” la carneficina del G8 genovese, puntando sul caos scatenato dai misteriosi black bloc, in apparenza venuti dal nulla. Risultato: un temporale anomalo e capace di tramortire l’opinione pubblica, spingendo i giornali a parlare di “sospensione della democrazia”, prima ancora che la vicenda vivesse i suoi pesanti strascichi giudiziari.Solo dieci anni prima, si era aperta una stagione che aveva l’aria di essere straordinariamente promettente, per il pianeta. Mikhail Gorbaciov aveva “scongelato” l’Est Europa facendo cadere il Muro di Berlino: a colpi di spettacolari super-vertici con gli Usa, sembravano spalancarsi orizzonti impensabili. Certo, di lì a poco non erano mancati “incidenti”, anche gravissimi, dopo il golpe contro Gorbaciov e l’ascesa di Eltsin, che aprì le porte alla razzia dell’ex Urss. Esplose l’odioso bagno di sangue dell’ex Jugoslavia: la tragedia infinita della guerra civile balcanica, alle porte della civilissima Europa occidentale, finì per mettere in sordina l’opaco conflitto ceceno, mentre in Israele un estremista ebraico sparava alla schiena di Yitzhak Rabin, uccidendo l’uomo che aveva osato firmare una vera pace con i palestinesi. Pur nell’immane complessità dei focolai di morte, però, la situazione sembrava ancora affrontabile su scala regionale, con gli strumenti geopolitici della diplomazia, della politica estera, della pressione militare proporzionata. Poi, appunto, il mondo esplose: tutto insieme, e di colpo.Da allora, il pianeta non ha più smesso di esplodere: Afghanistan e Iraq, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe, la brutale esecuzione di Gheddafi, la comparsa dell’Isis e il martirio della Siria, gli attentati stragistici in Europa. Che l’orizzonte si fosse subito richiuso, dopo la finestra di speranze alimentate dalla stagione di Gorbaciov, lo si era capito anche dal peso smisurato della globalizzazione neoliberista: il via libera a Wall Street grazie a Clinton, l’ingresso della Cina nel Wto, le delocalizzazioni spericolate, la sparizione della sicurezza sociale. Tutto vertiginosamente accelerato, in pochissimi anni: la fine dei diritti del lavoro e l’avvento del precariato come condizione permanente, i tagli devastanti al welfare e la demolizione della “mid class” occidentale, in Europa crollata sotto il peso dell’iper-fiscalità imposta dall’Eurozona. Fino ad arrivare alla tempesta perfetta degli spread, agli orrori della Grecia, al commissariamento di interi paesi. Paura e incertezza: la netta percezione di avere sempre meno benessere, meno diritti, meno democrazia, meno futuro.Ora siamo nell’era universale del virus, della pandemia tendenzialmente permanente, del distanziamento sociale obbligatorio, delle campagne vaccinali come unica soluzione (in assenza di terapie domiciliari precoci, che molti medici invece ritengono efficaci). Si sprecano le narrazioni distopiche amplificate dagli strateghi visionari di Davos, che disegnano una riconversione addirittura antropologica di un’umanità che parrebbe condannata a una sorta di sottomissione tecnocratica, psico-sanitaria, quasi zootecnica secondo i più pessimisti. A questo si è arrivati per gradi, mediante l’orchestrazione planetaria di una narrazione mediatica soverchiante, inarrestabile, che è riuscita a proporre come un’esperienza inevitabile la tragedia dell’emigrazione dai paesi poveri, nonché a ridurre a problema climatico lo scempio della Terra avvelenata, e persino a presentare le evoluzioni del clima come frutto esclusivo della cattiva condotta di un’umanità colpevole e incorreggibile.Inutile sperare che i grandi media illuminino davvero la grande notte: tra giornali e televisioni, è come se parlasse una sola voce, capace di spegnere (per la prima volta, nella storia) quella dello stesso presidente degli Stati Uniti, letteralmente espulso dal sistema e silenziato, trattato come un reietto, bruscamente cancellato dall’anagrafe mondiale. Un anno davvero fatale, il 2020: che ad aprile, tra le altre cose, si è portato via anche Giulietto Chiesa. Da grande giornalista, era stato tra i primi – con Seymour Hersh, Noam Chomsky, Gore Vidal – a puntare il dito contro il nuovo mostro orwelliano oggi dilagante, l’impero della disinformazione a reti unificate. In Italia, Giulietto Chiesa (con il saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2002) era stato il primo in assoluto a dimostrare che la versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre era totalmente inattendibile. In parallelo, poco dopo, un regista come Massimo Mazzucco (trasformatosi in reporter) si vide trasmettere da Canale 5 in prima serata i suoi documentari critici sul crollo delle Twin Towers: lavori che mettevano in luce il carattere inverosimile delle spiegazioni governative.Da allora, la parola “complottismo” ha preso il volo, toccando vette impensabili fino a qualche anno prima. Brutta parola, in effetti: alla voce “complottismo” viene facilmente derubricata (e quindi liquidata, ridicolizzata) qualsiasi argomentazione che ipotizzi l’esistenza stessa di possibili complotti. Colpa anche dei cosiddetti complottisti: sicuri che ogni cospirazione abbia puntualmente successo, e che qualsiasi evento planetario sia sempre e solo frutto di macchinazioni oscure. E dunque: chi ha progettato davvero l’abbattimento delle Torri Gemelle? «Non sta a noi l’onere della prova», rispondevano prontamente Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco, certi che la loro funzione fosse quella (preziosissima) di verificare l’inconsistenza della versione ufficiale. E’ un problema di metodo, in fondo: limitarsi ad affermare solo quanto si è sicuri di poter davvero dimostrare, dati alla mano. Una questione di serietà, di trasparenza. Dire solo quello che si sa, parlare esclusivamente di ciò che si conosce: ed esibirne le prove, incontrovertibili.Grazie alla diffusione worldwide del web e dei social come fenomeno di massa, negli ultimi anni si è fatta strada un’editoria parallela, che tra mille incertezze è comunque riuscita a proporre una narrazione alternativa degli eventi, convalidata qua e là da voci sempre più autorevoli. All’orizzonte, alcuni importanti studiosi – in ogni campo, da quello storico a quello scientifico – prospettamo una sorta di riscrittura generale della storiografia, in gran parte basata su scoperte anche recenti, come quelle della geofisica (i maremoti che avrebbero ridisegnato la geografia del pianeta, 12.000 anni fa), senza contare l’ormai inarrestabile valanga di acquisizioni archeologiche: dalle città sommerse alle tracce di civiltà di gran lunga antecedenti, rispetto a quelle registrate nei libri scolastici. Il solo sito turco di Göbekli Tepe, per esempio, costringe a retrodatare di millenni la stessa introduzione dell’agricoltura.Chi siamo, davvero? Da dove veniamo? Risale ad appena qualche anno fa la scoperta, in Siberia, dell’Uomo di Denisova, altra “sorpresa” con cui la paleontogia ora si trova a fare i conti, senza avere risposte: se il darwinismo trasformato in dogma quasi religioso sta ormai franando, emergono tracce che sembrano alludere a svariati “esordi” della nostra specie, nei più disparati angoli del pianeta, senza che sia stato ancora trovato il famoso anello mancante, genetico, tra noi e le scimmie antropomorfe. Di questo, precisamente, parla la Genesi: se la si legge alla lettera, dice Mauro Biglino, si scopre che quel testo sembra esser stato scritto, non si sa neppure da chi, per raccontare l’origine di un ceppo particolarissimo dei nostri antenati. Per Biglino, il racconto biblico è chiarissimo: sono stati gli Elohim a innestare il loro Dna sugli ominidi che popolavano la Terra. Che poi l’espressione al plurale (”gli Elohim”) venga impropriamente tradotta al singolare con la parola “Dio”, in modo del tutto arbitrario, non è che la conferma di una manipolazione ricorrente, vecchia di millenni.Dall’Eden all’11 Settembre, certo, il salto è vertiginoso: ma in fondo, perché stupirsi delle manipolazioni di oggi, se la deformazione sistematica della narrazione ufficiale risale a oltre duemila anni fa? Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale accredita gli studi del greco Filone di Byblos, che a sua volta riporta le scoperte del fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo: in Egitto, il fenicio avrebbe scoperto le prove (scritte) della primissima manipolazione operata dalla casta sacerdotale egizia, che avrebbe trasformato in divinità metafisiche i personaggi che invece camminavano tra noi, proprio come gli dèi omerici, ai tempi della mitica Età dell’Oro. Si commenta da solo, il coraggio di Mauro Biglino, per dieci anni impegnato in una generosissima maratona infinita, tra centinaia di conferenze in tutta Italia. Unica bussola, la Bibbia: la fedeltà letterale a quel testo, rinuciando a fargli dire cose che non ha mai detto. Niente spiritualità, onniscienza, onnipotenza, eternità: vocaboli assenti, nozioni che nell’Antico Testamento non conosce. Sconvolgente? Sì, certo. Ma utile, oggi più che mai, per irrobustire domande importanti.Biglino – beninteso – non si nega certo la possibilità dell’esistenza del divino: si limita a registrare che nella Bibbia, semplicemente, non ve ne sia traccia. Quelle pagine, semmai, sono affollate di velivoli meccanici, oltre che di stragi efferate e di svariate “divinità” presenti in carne e ossa. Affascinante, se l’Antico Testamento lo si considera alla stregua di una sorta di libro di storia, pieno di echi provenienti da civiltà precedenti e, in molti passi, mutuato – quasi in fotocopia – dai testi dell’epopea sumerica. E’ questo, in fondo, lo sguardo che l’ultimo lavoro in uscita (”La Bibbia nuda”) offre, a chi è pronto ad affrontare un viaggio fatto di suggestioni, scoperte e interrogativi, sapendo mettere da parte per un attimo le proprie convinzioni consolidate. E non è solo un fatto culturale: in un recente saggio che Biglino ha scritto con la professoressa Lorena Forni dell’università Milano Bicocca, si scopre che sull’errata traduzione della Bibbia sono fondati alcuni presupposti-cardine del nostro patrimonio giuridico; il legislatore, cioè, si è basato su verità in apparenza presenti nell’Antico Testamento, ma in realtà smentite dalla corretta traduzione del testo.Nel panorama mondiale del 2021, con un’umanità letteralmente travolta dall’emergenza pandemica (e in parallelo, dalle soluzioni preconfezionate per un futuro non esattamente libero e felice), le pagine de “La Bibbia nuda” – in cui l’opera pluriennale di Biglino viene messa sistematicamente a confronto con gli scenari di oggi – concorrono ad arricchirre l’interessante bibliografia che si va componendo, anno dopo anno, in un periodo che sta vistosamente sfornando trasformazioni epocali, con risvolti anche molto spiazzanti. Risale all’autunno 2019 la storica ammissione della Us Navy: i nostri aerei si imbattono frequentemente in astronavi e dischi volanti. Un’affermazione confermata nella primavera 2020 dal Pentagono, e poi ulteriormente sviluppata dal generale Chaim Eshed, per decenni a capo della sicurezza areospaziale di Israele: da trent’anni, ha detto, noi terrestri collaborariamo stabilmente con entità non terrestri, raggruppate in una sorta di alleanza che chiamiamo Federazione Galattica.Fantascienza? Non più, a quanto pare. Ma in fondo è roba vecchia, dice Mauro Biglino, se sfogliamo pagine come quelle del Libro di Enoch: tra quei versetti non si parla che di decolli e atterraggi. Domanda persino ovvia: e se le pagine di Enoch, Ezechiele (e tante altre) non contenessero che resoconti, ante litteram, di incontri ravvicinatissimi con quelle che poi i sacerdoti avrebbero chiamato divinità? Tutto è possibile, parrebbe, a patto di tenere la mente aperta. Mauro Biglino peraltro non è un ufologo, né un teorico della paleoastronautica. Si mantiene rigorosamente nel perimetro del suo ruolo precipuo, quello di traduttore biblico. Dice: impariamo a rispettarla, la Bibbia, per quello che racconta davvero. E’ sincero, l’Antico Testamento? Non possiamo saperlo. Ma oggi sappiamo – grazie a Biglino, soprattutto – che quell’insieme di libri, ininterrottamente “corretti” fino all’età di Carlomagno, non dice affatto le cose che gli vengono attribuite. Ne afferma altre, e sono interessantissime: vogliamo deciderci a prenderle finalmente in considerazione? Anche perché, per inciso, sulla traduzione teologica della Bibbia (in troppi punti inesatta, quando non falsa) si è basato per secoli, o meglio per millenni, il governo di una parte considerevole del pianeta. Come dire: vietato stupirsi, se un giorno crollano torri e i media si affrettano a veicolare invenzioni e verità di comodo, che poi non reggono alla prova dei fatti.(Il libro: Giorgio Cattaneo, “Mauro Biglino. La Bibbia Nuda”, Tuthi, 342 pagine, 18 euro).E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.
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Tutti hanno un vaccino, tranne l’Ue: deficit incredibile
Londra ha ottenuto l’obiettivo a cui puntava, l’immunità di gregge nel 2021. Mentre l’Europa non ce la farà. Il meccanismo di controllo dell’export non funzionerà: perché l’Ue, non avendo un proprio vaccino, non può tirare troppo la corda. Ma anche perché alcune componenti degli altri vaccini approvati in Europa sono prodotti in Gran Bretagna. “Supply chain” così frammentate e geograficamente disperse, a volte a cavallo di mezza dozzina di paesi, non si prestano a guerre commerciali da cui perderebbero tutti. Dunque, ha vinto Londra. Gli inglesi si sono semplicemente dimostrati più bravi dell’Europa a sfruttare il libero mercato a beneficio dei loro interessi. Questa è da secoli, d’altronde, una loro prerogativa politica. Non li sfiderei sul loro terreno. L’Unione Europea? Ha sbagliato a non cercare di produrre un proprio vaccino. Che i singoli paesi europei da soli possano non essere capaci, lo capisco. Ma che l’India, la Cina, la Russia o persino Cuba abbiano un proprio vaccino e l’Ue no, è davvero paradossale. Credo che sia una dimostrazione dell’alto livello di disfunzionalità del sistema europeo.
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Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.
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Covid, svolta: Piemonte, protocollo per guarire da casa
Il Piemonte rompe gli schemi: dal Covid si può guarire a casa, senza essere ricoverati. Prima in Italia, la Regione guidata da Alberto Cirio ha modificato il protocollo per la presa in carico a domicilio dei pazienti Covid: ora verrà effettuata dai medici di famiglia con l’appoggio delle Usca, speciali unità sanitarie territoriali. «Una svolta che, secondo diversi esperti, rappresenta il primo, imprescindibile passo verso il contrasto dell’emergenza sanitaria», sottolinea “Qui Finanza”. «A cambiare infatti è proprio il paradigma: non è più immaginabile (come non lo è mai stato: ci è voluto un anno, per arrivarci) che la malattia da Covid-19 venga affrontata nei reparti ospedalieri. Per chi arriva in ospedale spesso è troppo tardi. Il coronavirus va combattuto e gestito sin da subito a casa, all’insorgere dei primissimi sintomi: questa la strada». Stop quindi a Tachipirina e “vigile attesa”. Lo scorso dicembre, l’Aifa aveva pubblicato un documento nel quale raccomandava proprio il semplice paracetamolo per i pazienti Covid “lievi”, ancora a casa: spesso, significa lasciare che il malato si aggravi.A questa decisione, ricorda “Qui Finanza”, si è opposto il “Comitato Cura Domiciliare Covid-19” guidato da Erich Grimaldi e Valentina Piraino, entrambi avvocati, che hanno presentato istanza cautelare – vincendola – contro il ministero della salute e l’Aifa, per la libertà di scelta sui farmaci da adottare nella terapia. «Il Tar ha dunque dato ragione al gruppo di medici “dissidenti”, aprendo un vero e proprio squarcio, anche concettuale, sulle terapie domiciliari». Ora il Piemonte raccoglie questo prezioso testimone e va oltre. «Siamo convinti, perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata, che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa», spiega l’assessore regionale alla sanità, il leghista Luigi Icardi. «Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in “vigile attesa”» (del peggioramento), ma «prendere in carico i pazienti a domicilio». Finalmente.L’obiettivo è chiaro: affrontare il Covid prima che il paziente possa aggravarsi, se lasciato senza cure, e al tempo stesso evitare che i ricoveri e le degenze prolungate (oltre l’effettiva necessità clinica dei pazienti che possono essere curati a domicilio) determinino una consistente occupazione di posti letto e l’impossibilità di erogare assistenza a chi si trova in condizioni più gravi e con altre patologie di maggiore complessità. Ed ecco allora la “rivoluzione” introdotta dal Piemonte: accanto a eparina, steroidi e antibiotici, la Regione guidata da Alberto Cirio introduce per la prima volta in Italia la vitamina D, insieme ai farmaci antinfiammatori non steroidei e all’idrossiclorochina. «Quest’ultima, dopo che il Consiglio di Stato ne ha consentito la prescrizione sotto precisa responsabilità e dietro stretto controllo del medico», precisa sempre “Qui Finanza”. «In più, come delineato da Icardi, si prevede la possibilità di attivare “ambulatori Usca” per gli accertamenti diagnostici altrimenti non eseguibili o difficilmente eseguibili al domicilio, ottimizzando così le risorse professionali e materiali disponibili».Questi ambulatori «sono pensati per consentire il controllo dei pazienti a cadenza regolare e offrire prestazioni adeguate per una diagnosi e una gestione più appropriata della malattia». In questi luoghi «si potranno eseguire visite mediche, prelievi di sangue, consegne e ritiro urine per esame completo», ma anche «monitoraggi della saturazione ed eventuale emogasanalisi, elettrocardiogrammi, ecografie toraciche, tamponi naso-faringei per test molecolari e antigenici, attivazioni di percorsi preferenziali con invio diretto in radiologia per eseguire radiografie e Tac al torace». Alle Usca è previsto anche l’affiancamento di un servizio psicologico, svolto da remoto, utilizzando le postazioni di telemedicina attivate in sede distrettuale e costituito da colloqui in videochiamata con il paziente e il nucleo familiare.Si tratta di una vera e propria rivoluzione, virtualmente contagiosa: non a caso, la Lombardia ha richiesto contatti con il Piemonte per valutare anche sul suo territorio l’estensione del protocollo domiciliare. Tra i protagonisti della svolta si segnala il professor Pietro Luigi Garavelli, infettivologo e primario all’Ospedale Maggiore di Novara, tra i primi in Italia a segnalare l’efficacia delle cure precoci, da prescrivere nelle prime fasi della malattia. Obiettivo: intervenire in modo tempestivo, scongiurando l’aggravarsi del paziente. Conseguenze: elevate possibilità di guarigione, nella maggior parte dei casi, evitando il ricovero. Tradotto: significa tagliare in modo drastico i numeri dell’emergenza, eliminando il preoccupante affollamento dei reparti ospedalieri. Uno “spettacolo” prolungatosi per un anno intero, in cui i malati sono stati “dimenticati” a casa per giorni, senza terapie, lasciando che loro condizioni si aggravassero. Spesso, infatti, gli insuccessi ospedalieri sono dipesi dal ritardo nelle terapie: malati ricoverati quando ormai le loro condizioni erano seriamente compromesse. Scandalosa, in questo, la latitanza delle autorità sanitarie nazionali.Colpisce, nel caso piemontese, anche il ricorso alla vitamina D, raccomandato già un anno fa dai migliori medici, spesso sbeffeggiati dai virologi “televisivi”. «A inizio pandemia proprio l’Accademia di Medicina di Torino aveva istituito un gruppo di lavoro, coordinato dal presidente Giancarlo Isaia, professore di geriatria, e da Antonio D’Avolio, professore di farmacologia all’università di Torino, composto da 61 medici di diverse città italiane con l’intento di fornire un contributo e un supporto scientifico alle istituzioni». Già mesi fa, scrive “Qui Finanza”, il gruppo aveva elaborato un documento inviato alle autorità sanitarie nazionali e regionali «ma per lo più inascoltato», che riporta «le più recenti e convincenti evidenze scientifiche sugli effetti positivi della vitamina D, sia nella prevenzione che nelle complicanze del coronavirus». Della vitamina D, infatti, «sono noti da tempo gli effetti sulla risposta immunitaria, sia innata che adattiva». Oggi è possibile reperire su “PubMed” almeno 300 lavori, editi nel 2020, che trattano il legame tra Covid-19 e vitamina D, che hanno confermato «la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid, soprattutto se in forma severa, e di una più elevata mortalità ad essa associata».Da qui il suggerimento di intervenire con la somministrazione della vitamina D «soprattutto nella popolazione anziana, che in Italia ne è in larga misura carente». Proprio come ha fatto il premier inglese Boris Johnson in Gran Bretagna. Come spiega l’Accademia di Medicina nel suo documento, in uno studio osservazionale di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti con scarsa vitamina D è risultata del 31,86% negli asintomatici e del 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva. In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici, la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid, la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata «significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo». Dunque, ora si cambia: dopo un anno di inerzia e centomila morti. Un fallimento catastrofico, a cui il Piemonte – prima Regione italiana – si incarica di rimediare, facendo da apripista. Crolla un tabù: dal Covid si può (e si deve) guarire restando a casa, senza più finire all’ospedale.Il Piemonte rompe gli schemi: dal Covid si può guarire a casa, senza essere ricoverati. Prima in Italia, la Regione guidata da Alberto Cirio ha modificato il protocollo per la presa in carico a domicilio dei pazienti Covid: ora verrà effettuata dai medici di famiglia con l’appoggio delle Usca, speciali unità sanitarie territoriali. «Una svolta che, secondo diversi esperti, rappresenta il primo, imprescindibile passo verso il contrasto dell’emergenza sanitaria», sottolinea “Qui Finanza“. «A cambiare infatti è proprio il paradigma: non è più immaginabile (come non lo è mai stato: ci è voluto un anno, per arrivarci) che la malattia da Covid-19 venga affrontata nei reparti ospedalieri. Per chi arriva in ospedale spesso è troppo tardi. Il coronavirus va combattuto e gestito sin da subito a casa, all’insorgere dei primissimi sintomi: questa la strada». Stop quindi a Tachipirina e “vigile attesa”. Lo scorso dicembre, l’Aifa aveva pubblicato un documento nel quale raccomandava proprio il semplice paracetamolo per i pazienti Covid “lievi”, ancora a casa: spesso, significa lasciare che il malato si aggravi.
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Science: contagiarsi tutti, così il Covid diventa innocuo
Bisogna lasciar circolare il Covid, altrimenti ci vorranno dieci anni per liberarcene. Non è la battuta di un No vax, ma l’opinione di tre scienziati che hanno pubblicato i risultati di un loro studio sulla rivista “Science”, una delle più prestigiose a livello internazionale. Jennie Lavine e Rustom Antia, del dipartimento di biologia della Emory University di Atlanta, assieme a Ottar Bjornstad, del centro dinamica delle malattie infettive della Pennsylvania State University, hanno elaborato un modello teorico che conferma l’ipotesi che il Covid-19 assumerà carattere endemico e la sua letalità finirà per attestarsi intorno allo 0,1%, scendendo al di sotto del livello dell’influenza stagionale. Il Sars-Cov-2 non è stato contenuto subito, la sua diffusione ha provocato una pandemia e non può più essere eliminato direttamente. Ma se vogliamo che si raggiunga in fretta la fase endemica, quando il coronavirus potrà non essere «più virulento del comune raffreddore», scrivono gli autori, occorre che il tasso di contagiosità R0 (R con zero) sia uguale a 6.Cioè che una persona ne contagi sei, altro che l’auspicato valore inferiore a 1 che da mesi ci sta ripetendo il Cts (con quella cabina di regia che è diventato l’incubo settimanale per tutte le Regioni) o che viene sbandierato da più di un anno dagli esperti televisivi alla Massimo Galli. E senza il distanziamento che ci viene imposto, regolamentato a seconda della fascia colorata cui veniamo assegnati in base a incomprensibili algoritmi. Gli scienziati americani arrivano a questa conclusione considerando che «esistono quattro coronavirus di interesse umano (Hcov) che causano il raffreddore comune, o sindromi delle vie respiratorie superiori, e che circolano endemicamente in tutto il mondo. Causano solo sintomi lievi e non rappresentano un notevole onere per la salute pubblica». Gli autori dello studio ritengono che tutti gli Hcov suscitino un’immunità con caratteristiche simili e che «l’attuale, grave problema di salute pubblica sia una conseguenza dell’emergenza epidemica in una popolazione immunologicamente mai trattata, in cui gruppi d’età avanzata senza precedente esposizione sono più vulnerabili».Bisogna agire con vaccini, senza ridurre i test diagnostici e «se è necessario un frequente potenziamento dell’immunità mediante la circolazione virale in corso, per mantenere la protezione dalla patologia, allora potrebbe essere meglio che il vaccino imiti l’immunità naturale nella misura in cui previene la patologia, senza bloccare la circolazione del virus», afferma Jennie Lavine, prima autrice dell’articolo su “Science”. Gli scienziati aggiungono che «infezione o vaccinazione possono proteggere, ma non fornire il tipo d’immunità di blocco della trasmissione che consente la schermatura o la generazione di immunità di gregge a lungo termine». In un successivo articolo apparso su “Nature”, Jennie Lavine, che è ricercatrice di malattie infettive, spiega: «Il virus si attacca, ma una volta che le persone sviluppano una certa immunità, attraverso l’infezione naturale o la vaccinazione, non presenteranno sintomi gravi. Il virus diventerebbe un nemico incontrato per la prima volta nella prima infanzia, quando in genere causa un’infezione lieve o del tutto assente».Si potrà convivere con il Covid, come accade con altri coronavirus endemici che possono provocare più reinfezioni, grazie a un’immunità diffusa acquisita fin da piccoli, quando, a seguito dell’esposizione a raffreddori comuni, sembra si generi una protezione. La cosiddetta «cross reattività», grazie alla quale gli anticorpi riuscirebbero a riconoscere un nuovo virus con corredo genetico simile ad altri patogeni con i quali si è venuti a contatto. Non a caso, per la maggior parte dei bambini il Covid-19 non rappresenta un rischio. Ma se vogliamo arrivare rapidamente a una fase endemica, altrimenti ipotizzata tra dieci anni dagli autori se proseguiamo di questo passo, il forte distanziamento sociale non è la soluzione. «Un R0 maggiore si traduce in un’epidemia iniziale più ampia e più rapida e in una transizione più rapida alle dinamiche endemiche», concludono gli autori dello studio. D’altra parte, ricordiamoci quello che lo scorso ottobre dichiarò il professor Giorgio Palù, oggi presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, a proposito del Covid che è «più mortale dell’influenza», ma come tutti i virus che hanno una letalità relativamente bassa «tende a coesistere. I virus sono parassiti obbligati e non hanno interesse a estinguersi, quindi a uccidere l’ospite e a essere letali».(Patrizia Floder Reitter, “Aprite tutto: per renderlo innocuo, il Covid fa fatto circolare”, articolo pubblicato da “La Verità” e ripreso da “Dagospia” il 7 marzo 2021).Bisogna lasciar circolare il Covid, altrimenti ci vorranno dieci anni per liberarcene. Non è la battuta di un No vax, ma l’opinione di tre scienziati che hanno pubblicato i risultati di un loro studio sulla rivista “Science”, una delle più prestigiose a livello internazionale. Jennie Lavine e Rustom Antia, del dipartimento di biologia della Emory University di Atlanta, assieme a Ottar Bjornstad, del centro dinamica delle malattie infettive della Pennsylvania State University, hanno elaborato un modello teorico che conferma l’ipotesi che il Covid-19 assumerà carattere endemico e la sua letalità finirà per attestarsi intorno allo 0,1%, scendendo al di sotto del livello dell’influenza stagionale. Il Sars-Cov-2 non è stato contenuto subito, la sua diffusione ha provocato una pandemia e non può più essere eliminato direttamente. Ma se vogliamo che si raggiunga in fretta la fase endemica, quando il coronavirus potrà non essere «più virulento del comune raffreddore», scrivono gli autori, occorre che il tasso di contagiosità R0 (R con zero) sia uguale a 6.
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Garavelli: non sono vaccini. Meglio le cure precoci, a casa
Per favore, non chiamateli vaccini: sono terapie geniche sperimentali, e non è detto che bastino a neutralizzare un virus Rna, difficilissimo da “inseguire” proprio perché mutante. Ma soprattutto: perché dannarsi tanto per questi controversi non-vaccini, quando ormai è assodato che per ridurre la minaccia Covid sono più che sufficienti le cure precoci da somministrare ai primi sintomi, lasciando i pazienti a casa ed evitando quindi la corsa agli ospedali? A uscire dal coro è il professor Pietro Luigi Garavelli, che dirige il reparto malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Novara, centro sanitario universitario. Che si arrivasse ai vaccini «era prevedibile, ma non in questo modo», protesta Garavelli, da sempre favorevole alle vaccinazioni ma più che perplesso su quelle progettate per il coronavirus. «Purtroppo, dovendo fare di necessità virtù e ritenendo di non avere altro in mano (le cure precoci domiciliari) la politica ha puntato tutto sulla vaccinazione». Un rimprovero preciso: se un anno fa si poteva comprendere lo sbandamento generale di fronte a un virus “nuovo”, «ora è imperdonabile» il caos che continua a regnare, tra i gestori dell’emergenza.Ormai, «del Sars-Cov-2 si conosce quasi tutto», inclusa «l’inefficacia dei lockdown». E i vaccini? Se non vengono rapidamente somministrati fanno presto a risultare inutili, secondo Garavelli, «perché il virus si replica e muta». Il professore giudica inammissibile che la politica trascuri l’importanza strategica delle terapie precoci, alcune con farmaci “aspecifici” come idrossiclorochina, ivermectina e colchicina, e altre con l’impiego di medicinali mirati come gli anticorpi monoclonali. Tutte terapie salva-vita, finora incredibilmente «soppiantate dalla grottesca indicazione a dare la Tachipirina», completamente inutile in caso di Covid. La battaglia – ribadisce Garavelli – non la si può vincere negli ospedali, dove i malati arrivano in condizioni già gravi. La vera trincea resta il territorio, finora gravemente trascurato: serve «la possibilità di fare diagnosi rapide negli studi medici e nelle farmacie». La verità è che, dopo un anno, l’Italia sembra rimasta all’età della pietra. Le cure esistono e funzionano, ma la politica le ignora. In compenso punta tutto sui nuovi vaccini sperimentali, che veri vaccini non sono.Quelli ora disponibili per tentare di immunizzarsi dal Covid, dice Garavelli, sono tutti a base di mRna: «Difficile definirli vaccini: forse è più corretto denominarli “terapie geniche”». Interessanti? Sì: «Sono totalmente innovativi, nella filosofia di immunizzazione». Ma attenzione: «In altri momenti sarebbero stati immessi con prudenza», cioè secondo il “principio di precauzione”, per scoprire se funzionano davvero e se non rappresentano un pericolo per le persone vaccinate. Ora, invece, «dopo un breve periodo di sperimentazione su categorie selezionate», questi non-vaccini sono stati utilizzati su larga scala, «ed è accaduto quello che poteva essere previsto». Ovvero: «In tutto il mondo, tranne che dai “giornaloni”, sono segnalati tutta una serie di effetti collaterali precoci, che ha portato in alcune situazioni al blocco della campagna vaccinale stessa». A questo dato, prosegue l’infettivologo, si aggiunga «la mancata conoscenza» di troppi elementi, per esempio «gli effetti collaterali a breve e lungo termine». Inoltre, non si sa «quanta parte della popolazione sarà immunizzata, e quanto a lungo».Secondo il professor Garavelli, non si conosce ancora «la reale efficacia nel prevenire l’infezione e la malattia, che sono cose diverse», visto che la maggior parte dei contagiati è asintomatica. Non solo: la comparsa di vari ceppi virali, sotto la pressione anche degli stessi vaccini, potrebbe rendere «poco utili» questi farmaci, la cui produzione peraltro procede a rilento, così come la loro distribuzione in Italia. Uno spiraglio forse si avrà nei prossimi mesi: «A breve arriveranno vaccini più classici, costruiti con le metodiche tradizionali, più rassicuranti per un vecchio infettivologo come me, convinto pro-vax», dice Garavelli. Ma intanto, «dato che la vaccinazione procede lentamente, escludendo larghe fasce di popolazione (quelle socialmente attive e produttive), da cittadino e da medico mi chiedo perché si debba fare il piano vaccinale imposto dalle autorità, direi il “vaccino di Stato”, e non consentirne invece la libera scelta, sotto la guida di medici esperti, magari con un acquisto in proprio. In fin dei conti, è in gioco la salute. E in questo campo si deve poter volere ciò che si ritiene il meglio».Pochi segreti, ormai, sul Sars-Cov-2: è un virus Rna estremamente mutevole, che può eludere il nostro sistema immunitario (grazie alle sue continue “varianti”, note da subito), causando «reinfezioni, riattivazioni e forme croniche», e capace anche di «rendere inefficaci i vaccini, a meno che questi vengano rapidamente aggiornati». In ogni caso, sottolinea il professor Garavelli, il nostro sistema immunitario «si trova a combattere una battaglia estremamente difficile e complessa, dall’esito incerto». Secondo il medico, «l’immunità di gregge, naturale o post-vaccinale, non sarà in grado di contenere la pandemia». E quindi, «prima di trovarsi con un pugno di mosche in mano e la gente disillusa e inferocita, urge sempre più pensare ad un approccio combinato di tipo comportamentale e di terapie precoci a domicilio, essendoci la disponibilità di farmaci, ora arricchitasi coi monoclonali». Domanda retorica: «Dato che le nozioni sopra riportate sono ben note agli specializzandi di malattie infettive, perché questo settore è silenzioso?».«Mi è stato detto che sono pessimista», si sfoga Garavelli su Facebook. «Semplicemente, mi sono rotto: oltre che fisicamente, anche moralmente». La situazione non è allegra: «Si “colorano” le Regioni, mentre forse agli italioti farebbe bene un po’ di educazione sanitaria, affinché non sembrino pecore al pascolo quando viene concesso il quarto d’ora d’aria». Per fortuna, aggiunge l’infettivologo, si sta avvicinando la bella stagione: «Col caldo, il Sars-Cov-2 ridurrà la sua capacità di trasmissione: alla faccia di lockdown e vaccini». Con il prossimo autunno scomparirà? «E’ scarsamente probabile», visto che si tratta di una patologia «divenuta endemica, da ceppi virali mutanti e subentranti con periodiche riaccensioni epidemiche». Conclude Garavelli: «Mi auguro che per allora accada un miracolo, cioè che si diventi più pragmatici si accetti il Covid-19 una infezione con mediocre mortalità e cure sempre più efficaci. Altrimenti, leggere sempre le stesse cose senza risolvere nulla è veramente fonte di rottura morale, tale da invidiare gli eremiti che nulla hanno a che fare con la pazza folla».Per favore, non chiamateli vaccini: sono terapie geniche sperimentali, e non è detto che bastino a neutralizzare un virus Rna, difficilissimo da “inseguire” proprio perché mutante. Ma soprattutto: perché dannarsi tanto per questi controversi non-vaccini, quando ormai è assodato che per ridurre la minaccia Covid sono più che sufficienti le cure precoci da somministrare ai primi sintomi, lasciando i pazienti a casa ed evitando quindi la corsa agli ospedali? A uscire dal coro è il professor Pietro Luigi Garavelli, che dirige il reparto malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Novara, centro sanitario universitario. Che si arrivasse ai vaccini «era prevedibile, ma non in questo modo», protesta Garavelli, da sempre favorevole alle vaccinazioni ma più che perplesso su quelle progettate per il coronavirus. «Purtroppo, dovendo fare di necessità virtù e ritenendo di non avere altro in mano (le cure precoci domiciliari) la politica ha puntato tutto sulla vaccinazione». Un rimprovero preciso: se un anno fa si poteva comprendere lo sbandamento generale di fronte a un virus “nuovo”, «ora è imperdonabile» il caos che continua a regnare, tra i gestori dell’emergenza.
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Covid, cure negate. Medici: rimediate, o vi denunciamo
O ci ascoltate, o stavolta ci rivolgiamo al giudice: serve un protocollo per garantire cure efficaci, a casa, per i malati di Covid. Con i farmaci adeguati – che esistono – è possibile intervenire con successo, se si agisce nelle fasi iniziali. Lo affermano i medici presenti nel “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid-19”, presieduto dall’avvocato Erich Grimaldi. L’invito, riporta un periodico altoatesino, è a condividere lo schema terapeutico (redatto da oltre 200 specialisti italiani), per il trattamento del Covid in fase precoce. Si chiede anche di sperimentare con urgenza due sostanze, l’ivermectina e la colchicina, rivelatesi molto promettenti per sconfiggere il virus. L’appello del Comitato è stato recapitato all’Aifa, alla presidenza del Consiglio dei ministri e, naturalmente, al ministero della salute. Devastante la denuncia di sanitari come quelli dell’associazione “Ippocrate”, che curano gratis i malati a casa, guarendoli: «All’ospedale arrivano solo i casi già gravi: pazienti lasciati soli per giorni, senza cure domiciliari, dando tempo al Covid di fare danni anche molto seri e, a quel punto, spesso irreparabili».I medici di “Ippocrate” considerano scandaloso che le indicazioni attuali – dopo un anno di crisi pandemica – si limitino alla semplice somministrazione di Tachipirina, farmaco ritenuto assolutamente inutile. «E’ inaudito che, mentre si parla solo di vaccini, ancora non esista un elementare protocollo nazionale per la cura tempestiva, domiciliare, cioè quando è decisivo “spegnere” il problema sul nascere». Se si fosse agito in questo modo, sostengono i sanitari, «avremmo evitato la strage» e non ci sarebbe stata nessuna “seconda ondata”, negli ospedali, nell’autunno 2020. Un’accusa pesantissima, quella formulata nei confronti del governo Conte e del ministro Speranza. A rilanciarla è ora il “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare”: dopo le prime richieste presentate già il 30 aprile 2020, e poi rinnovate il 13 gennaio scorso, i medici non demordono. Insistono sulla necessità di curare il Covid ai primi sintomi e a livello domiciliare. E ripetono: è inaccettabile che queste richieste siano rimaste prive di riscontro.«Il nostro paese, come ben noto, non dispone di un adeguato protocollo, condiviso con i medici che hanno curato il Covid a domicilio e in fase precoce, sia nella prima, sia nella seconda ondata», scrivono i sanitari, nel comunicato ora trasmesso alle autorità di governo. Sanno di cosa parlano: a gennaio avevano inutilmente invitato il ministero a «considerare uno schema terapeutico di cura domiciliare precoce, realizzato da oltre duecento medici, secondo le evidenze e le esperienze dei territori, condiviso anche negli Stati Uniti dai dottori Harvey Risch e Peter Andrew McCullough», due luminari di fama mondiale. Il primo è professore di epidemiologia alla Yale University; il secondo, cardiologo, è docente e aiuto primario di medicina interna al Medical Center della Baylor University. Nelle ultime settimane, lo schema terapeutico del Comitato è stato sottoposto alla commissione sanità della Regione Lombardia, e richiesto da numerosi medici.Inoltre, l’avvocato Erich Grimaldi invita le autorità sanitarie, in particolare Aifa e ministero della salute, a valutare con urgenza la sperimentazione di nuovi farmaci: «Alcuni studi randomizzati impongono al nostro paese, in assenza di valide alternative terapeutiche in fase precoce, di valutare con urgenza anche la sperimentazione di ivermectina e colchicina». Somministrata a pazienti non ospedalizzati, la colchicina «ha ridotto i ricoveri del 25%, il ricorso alla ventilazione meccanica del 50% e il tasso di mortalità del 44%». Un test importante, effettuato su ben 4.000 pazienti. «All’inizio della sperimentazione, svolta tra Canada, Stati Uniti, Brasile, Spagna e Sudafrica, i pazienti non erano ospedalizzati ma presentavano almeno un fattore di rischio per complicanze di Covid-19». La colchicina, peraltro, «è un farmaco usato da decenni per il trattamento di infiammazioni provocate dall’accumulo di acido urico (gotta), ma anche in cardiologia, per curare pericarditi e prevenirne le recidive».Si tratta, dunque, di una sostanza ben conosciuta: può essere utilizzata in sicurezza dal medico, con costi contenuti. Inieme all’ivermectina, quindi, dunque, potrebbe rappresentare un’arma in più contro il Covid-19, in fase precoce domiciliare. «Motivo per cui è opportuno (come chiarito anche dal Consiglio di Stato, nella recente ordinanza dell’11 dicembre 2020, con riferimento all’idrossiclorochina), sino alla pubblicazione di studi randomizzati, che possano dichiararne l’inefficacia, sperimentarne l’uso off-label in condizioni di sicurezza ed appropriatezza». A sostegno di quanto dichiarato, si cita la documentazione scientifica comprovante l’efficacia dell’ivermectina della colchicina. Il Comitato è determinato a non cedere: qualora rimanesse inascoltato pure quest’ultimo appello, «depositerà esposto presso la competente Procura della Repubblica, al fine di poter accertare le responsabilità penali di tutte le parti coinvolte, per le reiterate omissioni, circa gli inviti e le istanze più volte rivolte, a tutela dei cittadini italiani».O ci ascoltate, o stavolta ci rivolgiamo al giudice: serve un protocollo per garantire cure efficaci, a casa, per i malati di Covid. Con i farmaci adeguati – che esistono – è possibile intervenire con successo, se si agisce nelle fasi iniziali. Lo affermano i medici presenti nel “Comitato per il diritto alla cura tempestiva domiciliare nell’epidemia di Covid-19”, presieduto dall’avvocato Erich Grimaldi. L’invito, riporta un periodico altoatesino, è a condividere lo schema terapeutico (redatto da oltre 200 specialisti italiani), per il trattamento del Covid in fase precoce. Si chiede anche di sperimentare con urgenza due sostanze, l’ivermectina e la colchicina, rivelatesi molto promettenti per sconfiggere il virus. L’appello del Comitato è stato recapitato all’Aifa, alla presidenza del Consiglio dei ministri e, naturalmente, al ministero della salute. Devastante la denuncia di sanitari come quelli dell’associazione “Ippocrate”, che curano gratis i malati a casa, guarendoli: «All’ospedale arrivano solo i casi già gravi: pazienti lasciati soli per giorni, senza cure domiciliari, dando tempo al Covid di fare danni anche molto seri e, a quel punto, spesso irreparabili».
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Carotenuto: gesuiti, è vaticana l’operazione Renzi-Draghi
Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».Non c’è da stupirsene: «Il teatrino risale ai tempi della repubblica romana: già allora i capi dei tribuni della plebe, in realtà, erano patrizi». Altra premessa: per Carotenuto, «il Vaticano controlla tuttora saldamente buona parte della politica italiana». Nella sua visione, l’analista indica due piramidi di potere, in contrasto solo apparente tra loro: «Una è la piramide conservatrice, che promuove l’egoismo sociale in modo apertamente dichiarato, mentre l’altra piramide sostiene l’umanitarismo, l’ecologismo, la giustizia sociale. Intendiamoci: tende a sfruttare ideali e buoni sentimenti, creando formazioni politiche che fingono di perseguire questi ideali. Così, le persone vengono ingabbiate in recinti illusori e messe le une contro le altre, in un gioco totalmente deviante». Per Carotenuto, «la seconda piramide è più insidiosa: chi manifesta cattivi sentimenti almeno è evidente, mentre la controparte ipnotizza la gente con le belle parole ma poi genera i Clinton, gli Obama, i Biden e la nostra falsa sinistra, il Pd, i falsi ambientalisti».Al netto di pochi “incidenti di percorso” (Berlusconi e Salvini, Trump negli Usa e Putin in Russia) è la piramide finto-buonista a detenere le grandi leve: gli Usa con Biden e l’Ue, l’alta finanza, Big Pharma e il Vaticano. «Vogliono un mondialismo spinto all’estremo, fondato sulla verticalizzazione del potere. Grandi alibi per questa accelerazione: il surriscaldamento climatico e la crisi Covid, col risultato di aggravere l’aggressione farmaceutica ed elettromagnetica ai nostri danni». Fin qui, lo sfondo che Carotenuto tratteggia. E la politica italiana? «Le due piramidi sono entrambe presenti in Vaticano», dichiara in un video l’analista di “Coscienze in Rete”. «La piramide finto-buona, gesuitica, nel 2013 ha addirittura ottenuto il Papato, per la prima volta nella storia, alleandosi con una parte importante della potente curia romana, finto-progressista, per abbattere la piramide avversaria, cioè la Chiesa conservatrice, rappresentata da una parte della curia e da pontefici come Wojtyla e Ratzinger».La “piramide conservatrice”, sempre secondo Carotenuto, sarebbe stata sconfitta «attraverso scandali pilotati (economia, pedofilia), certo basati su fondamenti reali». Risultato: l’elezione di Bergoglio e la designazione del cardinale Pietro Parolin come segretario di Stato, carica importantissima nel potere vaticano. Da allora, sostiene Carotenuto, l’influenza della Compagnia di Gesù non ha fatto che crescere. «I gesuiti si sono sentiti sempre più forti, aiutati dalle loro grandi infiltrazioni nella massoneria, nella finanza, nelle università». Al punto da intraprendere, nel 2020, un’offensiva clamorosa: contro i loro stessi alleati “progressisti”, ma non gesuiti. «Così è scattata la progressiva epurazione, nella curia, degli elementi che erano sì progressisti, ma non apparententi al circuito gesuitico». Non a caso, sottolinea Carotenuto, «sono emersi nuovi scandali, finanziari e di altro tipo». Morale: il cardinale Parolin «si è trovato accerchiato, e il cardinale Becciu (il suo “numero due”) è stato fatto fuori con storie come quella delle operazioni immobiliari a Londra, giudicate spericolate».Il solito teatro, per nascondere i veri giochi? Carotenuto ne è sicuro. Tant’è vero, dice, che si è arrivati ad attuare una specie di golpe, contro la componente non-gesuitica del potere “progressista” vaticano. E cioè: «Prima hanno detto che il segretario di Stato non era più necessario che facesse parte della dirigenza dello Ior, la cassaforte vaticana. Poi si è arrivati a una sorta di editto, da parte del Papa: il controllo delle finanze vaticane è stato tolto alla segretaria di Stato», e affidato a «giovani e preparatissimi gesuiti». Sottolinea Carotenuto: «E’ una cosa enorme: come se il presidente della Repubblica togliesse al premier ogni potere di spesa. Questo è stato fatto: Parolin è ancora lì, ma completamente depotenziato, anche nella sua capacità di influire sulla politica italiana». Da quel momento, il traballante regno di “Giuseppi” poteva considerarsi archiviato. «Giuseppe Conte era il successore di Andreotti, in quanto espressione della curia romana e pupillo di un cardinale potentissimo come Achille Silvestrini», scomparso da poco, noto come storico padrino del Divo Giulio. «E chi era il tutor di Conte quand’era studente? Proprio lui: l’allora don Parolin».Nei due governi Conte, continua Carotenuto, i ministri che contavano erano sotto il saldo controllo di poteri non visibili, e cioè «curia, elementi massonici ed elementi collegati direttamente ai gesuiti». “Giuseppi” divenne premier «perché in quel momento era il punto di equilibrio tra curia e gesuiti, i quali accettarono (attraverso una mediazione) che a Palazzo Chigi andasse un uomo della curia». Quando poi gli equilibri nell’Oltretevere sono cambiati, Conte è rimasto senza protezione. «Certo, gli è stato permesso di restare al suo posto ancora per un po’, perché c’era l’emergenza Covid. Ma poi, ci si è preoccupati dei fondi in arrivo dall’Ue, sommati all’enorme deficit nel frattempo accumulato con l’emergenza». Quindi, sempre secondo Carotenuto, è sorto un concreto problema di gestione. «In Vaticano, si sono detti: non se ne può occupare uno che non rappresenta più il vero potere». A quel punto, continua l’analista, «è entrato in scena un killer, per conto della corrente gesuitica, cioè Matteo Renzi: uno che col 2% è riuscito magicamente a far fuori Conte».Evidentemente, ragiona l’analista di “Coscienze in Rete”, grandi poteri lo hanno appoggiato: «E’ stranissimo, infatti, che Conte non sia riuscito a rabberciare una maggioranza. Senatori in vendita ce ne sono sempre, Berlusconi docet. E invece tutti, dopo aver detto sì a Conte, poi si ritiravano: convinti da chi?». Sorride, Carotenuto: «A noi raccontano storielline incredibili, come quella secondo cui Conte sarebbe personalmente antipatico a Renzi». A proposito: chi è Renzi? «E’ cresciuto in ambienti vicinissimi ai gesuiti, nella sinistra Dc toscana». Attenti alle date: la sua carriera fulminante cominciò nel 2014, appena un anno dopo l’elezione di Bergoglio. E cos’ha fatto, il grande rottamatore sostenuto dalla stampa e da Confindustria? «Ha eliminato dal Pd le residue componenti di socialismo, di sinistra, trasformando il Pd in una specie di retriva Dc». Perfetto come rottamatore, «ideale per operazioni di killeraggio: così ha rottamato anche Conte».Quel filo rosso, per Carotenuto, si prolunga fino al Quirinale: «Quando Conte ha dato le dimissioni ed è salito al Colle, sperava chiaramente in un reincarico: era ancora convinto di farcela, in aula. Ma Mattarella il nuovo incarico non gliel’ha dato». C’è stato invece il rituale giro di valzer affidato a Fico: un passaggio formale e senza speranza, utile solo a certificare la morte clinica di “Giuseppi” come primo ministro. «Poi, Mattarella ha messo tutti con le spalle al muro: o Draghi, o elezioni». Meglio ancora: Draghi e basta, visto che il presidente della Repubblica ha spiegato perché ritiene improponibile lo stop elettorale, in piena pandemia e con l’Ue che pretende il Recovery Plan entro aprile, pena lo slittamento degli aiuti, ossigeno vitale per un’Italia allo stremo. «E chi è Mattarella? Viene anche lui dalla sinistra Dc, da sempre vicina agli ambienti gesuiti, ed è iper-europeista: come Draghi».A quel punto, dice Carotenuto, il cerchio si è chiuso: addio, “Giuseppi”, e avanti Draghi. «Un’operazione molto rapida e ben coordinata, facilitata oltretutto dall’impresentabilità del Conte-bis, un governo senza qualità e affollato di personaggetti debolissimi (tranne qualcuno, che doveva occuparsi di economia per conto dell’Ue)». Attenti: «Lo si era voluto, un governo così debole, destinato a stentare molto: e i tanti ostacoli che ha incontrato “servivano” a preparare il terreno perché finalmente poi arrivasse il salvatore della patria». Tutti con Draghi, oggi: i media hanno mollato Conte alla velocità della luce. Del resto, ovviamente, l’abilità di Draghi non si discute. Scontato quindi «l’immediato consenso dei grandi poteri internazionali», salutato dal crollo dello spread e dall’impennata della Borsa. Impressionante, ma fino a un certo punto, il servilismo dei media: non uno che ricordi, in questi giorni, i record non esattamente gloriosi dell’ex governatore di Bankitalia e della Bce, già allievo dei gesuiti ai liceo Massimo di Roma, culla della pedagogia gesuitica destinata alla futura classe dirigente.Carotenuto ricorda il ruolo strategico di Draghi negli anni ‘90, al tempo del Britannia, quando – da direttore generale del Tesoro – agevolò la svendita di un’Italia sotto attacco, privata di strateghi come Mattei e Moro, che ne avevano fatto una potenza industriale. Gli anni del Britannia coincisero con le spavntose privatizzazioni all’amatriciana, cioè il brutale smantellamento del nostro patrimonio industriale e bancario, a cominciare da Iri, Eni, Agip, parte dell’Enel, Autostrade, Imi-Stet e tanto altro. Grande “lubrificatore” delle cessioni: proprio lui, l’efficientissimo Draghi, ancora presidente del Gruppo dei Trenta (considerato un’emanazione dell’area Rockefeller). «In quegli anni abbiamo esternalizzato il debito pubblico, fin ad allora interno, mettendo l’Italia nelle mani della grande finanza mondialista, gesuito-massonica». Debole la resistenza della classe politica della Prima Repubblica, rasa al suolo da Mani Pulite. «Tra i pochi a opporsi alla svendita della potente industria statale fu Bettino Craxi, e sappiamo come sia finito».Acuminate le parole di Francesco Cossiga, che definì Draghi «un vile affarista, socio della Goldman Sachs e liquidatore dell’industria pubblica». Immaginatevi cosa farebbe, Draghi, da presidente del Consiglio, disse ancora Cossiga: «Svenderebbe quel che rimane (Finmeccanica, Enel e Eni) ai suoi ex comparuzzi di Goldman Sachs». A chi teme che Super-Mario sia ancora lo spietato esecutore dell’austerity, Carotenuto risponde con filosofia: «Gli italiani sono davvero così dormienti? Se, per svegliarsi ancora un po’, hanno bisogno di un altro governo orribile per sperimentare l’ulteriore schiavizzazione, lo avremo». Improbabile, però. Con Draghi, nel 2021 «l’economia potrebbe migliorare, e potremmo anche uscire rapidamente dal Covid». Beninteso: «Lo faranno, se a quei poteri converrà». Così pensa, e parla, un analista tuttora convinto del fatto che il potere gesuitico sia sovrastante, persino rispetto a quello supermassonico, e che risieda in Vaticano la chiave del cambio della guardia nella politica italiana, passando per Renzi, fino ad arrivare a Draghi.Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».
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Bizzi: Draghi ostile al Great Reset dei padrini di Conte
Attenti agli equivoci: certo che Mario Draghi viene da una super-élite, ma non quella del Grande Reset (da cui, semmai, dipendeva il piccolo maggiordomo Giuseppe Conte). Un avvertimento firmato dallo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale nonché co-autore dell’esplosivo saggio “Operazione Corona: Colpo di stato globale”. Occhio a non confondersi, sottolinea Bizzi: Draghi non è certo una pedina qualsiasi, ma non appartiene al gruppo che, a Davos, ha progettato la distopia orwelliana che, attraverso l’epidemia di Wuhan, ha paralizzato il mondo proprio mentre la somma dei debiti straripava, e oggi infatti avrebbe raggiunto il 365% del Pil mondiale. Lo ricorda sul “Fatto Quotidiano” Luigi Manfra, responsabile dei progetti economico-ambientali Unimed e già docente di politica economica alla Sapienza. Memorabile il “testamento” di Draghi pubblicato un anno fa sul “Financial Times”: dalla crisi pandemica si esce solo ricorrendo ad aiuti finanziari epocali ma a fondo perduto, tagliando drasticamente i debiti. Dunque: attenzione a non parlare a vanvera, raccomanda Bizzi, pensando a chi cita (spesso a sproposito) entità come il Bilderberg.
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La Meloni entra nell’Aspen, salotto del massimo potere
Cresce nei sondaggi, presiede un partito europeo, parla americano. Continua la scalata a stelle e strisce di Giorgia Meloni. L’ultima novità arriva dall’Aspen Institute, uno dei più grandi e prestigiosi think tank statunitensi al mondo, in Italia presieduto da Giulio Tremonti. Nella lista dei soci per il 2021 spunta anche il nome della leader di Fratelli d’Italia. Fa compagnia al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e a suo figlio Giulio, ordinario a Roma Tre, a Paolo Mieli e al luminare Walter Russell Mead. E poi ancora Roberto Maroni, Antonio Martino e Antonio Marzano, l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo e il direttore generale per le “riforme strutturali” in Ue Mario Nava. Non può non balzare all’occhio il nome dell’aspirante leader della destra italiana, indicata con un laconico “deputato, Roma” in mezzo alla lista. L’Aspen infatti non è un think tank qualsiasi.Il distaccamento italiano si affaccia su Piazza Navona ed è da decenni crocevia di diplomatici e accademici, intellettuali e politici, americani e non. Anche il nuovo presidente americano Joe Biden, in una delle ultime trasferte a Roma da vice di Barack Obama, ha fatto tappa all’Aspen per una conferenza internazionale. La Meloni non è davvero nuova in quel mondo. È stata più di una volta ospite dei convegni che l’istituto organizza in una sontuosa sala affrescata. Ora ci torna in veste di socio, una notizia che qualcosa racconta del percorso fatto dalla leader di Fdi nell’ultimo anno. Alla cavalcata nei consensi, che la vedono tallonare a poca distanza Matteo Salvini, la Meloni ha affiancato un’operazione di re-styling per scacciare l’immagine di una destra anti-europeista ed eternamente tentata da una pregiudiziale anti-americana.Di qui la scelta di impegnarsi, fino ad assumerne la presidenza, unica donna a ricoprire quel ruolo a Bruxelles, nel partito dei Conservatori europei. O ancora il viaggio in America per parlare come ospite al Cpac (Conservative Political Action Conference), il gotha della destra Usa. Con l’entrata in Aspen cade definitivamente un ultimo cliché, quello di una destra che non vuole parlare con i “poteri forti” e che da questi viene evitata. Nel think tank Usa non mancano certo nomi illustri, a leggere chi fa parte del comitato esecutivo. C’è Mario Monti e il presidente onorario Giuliano Amato, Marta Dassù e Gianni Letta, Paolo Savona e Romano Prodi, l’ad di Enel Francesco Starace e John Elkann come vicepresidente.(Francesco Bechis, “Meloni l’americana. Se la leader di Fdi entra nell’Aspen Institute”, da “Formiche.net” del 1° febbraio 2021).Cresce nei sondaggi, presiede un partito europeo, parla americano. Continua la scalata a stelle e strisce di Giorgia Meloni. L’ultima novità arriva dall’Aspen Institute, uno dei più grandi e prestigiosi think tank statunitensi al mondo, in Italia presieduto da Giulio Tremonti. Nella lista dei soci per il 2021 spunta anche il nome della leader di Fratelli d’Italia. Fa compagnia al presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e a suo figlio Giulio, ordinario a Roma Tre, a Paolo Mieli e al luminare Walter Russell Mead. E poi ancora Roberto Maroni, Antonio Martino e Antonio Marzano, l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo e il direttore generale per le “riforme strutturali” in Ue Mario Nava. Non può non balzare all’occhio il nome dell’aspirante leader della destra italiana, indicata con un laconico “deputato, Roma” in mezzo alla lista. L’Aspen infatti non è un think tank qualsiasi.
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La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori
Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.E appunto, là in basso resta l’Italia: il mitico Recovery Plan solo scarabocchiato da Giuseppi, assistito dal leader del New Pandemic Consenus chiamato Marco Travaglio. Ecco Emma Bonino che invoca l’Alleanza Ursula, i 5 Stelle smarriti nel loro nulla, l’ectoplasma politico che si usa ancora chiamare Pd. Fantasmi: quello di Berlusconi e quello di Draghi vanno a spasso insieme all’ombra di Salvini, il babau di ieri, tra le strida di Giorgia Meloni. Della bomba all’uranio che ha sventrato la politica, tanti anni fa, non c’è più traccia. Girano mezze figure, sempre le stesse, sopravvissute a tutto: D’Alema e Bettini, Gianni Letta e suo nipote Enrico (che raccomanda la resa definitiva al Grande Reset antropologico, al Nulla Sarà Più Come Prima). Incidentalmente, il paese crolla: un milione di senza-lavoro, mezzo milione di mini-aziende chiuse. E gli italiani ancora tutti in casa, quieti, ad aspettare con fiducia la fine del mondo, davanti al televisore che forse quest’anno non trasmetterà l’imprescindibile Festival di Sanremo, giusto per adeguarsi ai teatri chiusi, ai cinema chiusi, ai concerti annullati insieme alle mostre, alle migliaia di negozi e locali sprangati, alle zone rosse, al distanziamento morale e religioso, al coprifuoco eterno, al Ricordati che Devi Morire.Chi l’avrebbe detto, che sarebbe finita così? Finita l’era Bush, sulle macerie dell’11 Settembre si erano aperti interrogativi finalmente luminosi. Persino il fuoco fatuo di Occupy Wall Street aveva aperto occhi dormienti: la Grande Ipocrisia aveva cominciato a dipingersi anche sulla maschera rassicurante di Barack Obama, rendendo evidenti le sozzure del backstage, tra le denunce di Julian Assange e quelle di Ed Snowden. Big Data, Big Tech, Big Tutto: ora siamo alla censura spudorata, alla carcerazione di massa, all’ora d’aria concessa (”consentita”) per portar fuori il cane, mentre a Berlino si allestiscono graziosi lager per eventuali renitenti al Trattamento Sanitario Obbligatorio prescritto dall’Autorità. Letteralmente assordante, il silenzio della cosiddetta società civile: industria, terziario, artisti, pensatori universitari, scrittori e cantanti. Ancora più epico il mutismo dei sindacalisti: zitti su tutto, mentre il casato Elkann si sbarazza della Fiat cedendola ai francesi, e trattando con la Cina per liberarsi anche di Iveco e New Holland, dopo aver intascato miliardi nel 2020 causa crisi pandemica (e milioni, per fabbricare mascherine), tenendo in pugno il suo impero editoriale, “Stampa” e “Repubblica”. Per un anno, su tutto questo ha vigilato l’oscuro Giuseppi, coi suoi Dpcm da Stato Libero di Bananas.Ora si rifà sul serio, che diamine: c’è in ballo l’Alleanza Ursula, caldeggiata da statisti del calibro di Gentiloni e Sassoli, con l’aggiunta del Franceschini Dario. Ursula über alles, la Madonna Pellegrina di Sassonia, nuovo faro della civiltà europea, quella che intanto continua, come niente fosse, a essere retta da una Commissione non elettiva e da una banca centrale privatizzata, cinghie di trasmissione dei poteri fortissimi che parlano attraverso organismi come la Ert, European Roundtable of Industrialists, centomila miglia al di sopra del popolo bue che poi si scanna, nelle ormai inutili elezioni nazionali, appassionandosi alle piccole risse di cortile tra orazi e curiazi. L’ultima, quella italiana, finì ingloriosamente nel 2019, dopo le timide speranze accese l’anno prima dall’ambiguo governo gialloverde, azzoppato sul nascere dall’amputazione di Paolo Savona imposta per tramite di Mattarella. Il paese era già malatissimo, ma ancora non era scoppiata l’ultima guerra: quella affidata a personalità di livello mondiale come Domenico Arcuri, Roberto Speranza, Massimo Galli e gli altri Premi Nobel al servizio della patria.Andrà tutto bene, ragliavano gli italioti dai balconi, festeggiando in tricolore l’unica Liberazione disponibile, quella (alla memoria) di 75 anni fa. Poi vennero l’estate, le sacre elezioni regionali e l’altrettanto sacro Taglio dei Parlamentari. A seguire: la corsa ai tamponi, per gonfiare i numeri della Seconda Ondata, trattata esattamente come la Prima (cioè senza un protocollo per curare, a casa, i malati di Covid). Sempre la pochette di Giuseppi ha fatto in tempo a inaugurare anche la farsa della campagna vaccinale italiana, in un paese che – ormai da 365 giorni, ininterrottamente – non parla altro che di contagi, come se il mondo si fosse fermato per sempre a Wuhan. Banchi a rotelle e monopattini, Dad e smart working, distanziamento e mascherine. Non una soluzione – non una, mai – per uscire dalla catastrofe. Paura, minacce, moniti e intimidazioni, scodellate giorno per giorno dall’oscurantismo della nuova religione scientista, spacciata per scientifica. Un’ipnosi potentissima, micidiale, da cui pare che nessuno riesca a riscuotersi.La recitazione pandemica ha spazzato via tutto: libertà, diritti, democrazia, ragione, senso critico e voglia di vivere, quest’ultima rimpiazzata con l’ingloriosa rassegnazione a una sopravvivenza coatta e precaria nei sottoscala dell’umanità. Un posto umido e buio, dove non è lecito pensare. Decenni di orrori – le guerre neoliberiste, il terrorismo fatto in casa – cancellati con un colpo di spugna sanitario, quasi metafisico, perfetto per sospendere il diritto e dividere le plebi in modo feroce, da una parte la maggioranza cieca e autoritaria degli impauriti, dall’altra la minoranza demonizzata dei cosiddetti negazionisti. Viviamo in un paese dove il governo ha istituito un Ministero della Verità, per far sparire le notizie scomode alla velocità della luce, così come fanno anche Facebook, Twitter e YouTube. Così, la celebrazione della sacrosanta Giornata della Memoria, nel 2021, rischia di avere lo stesso suono sinistro della fanfara che, ad Auschwitz, intonava le note di “Rosamunda” sulla Piazza dell’Appello, nel silenzio ghiacciato dei prigionieri.(Giorgio Cattaneo, “La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 gennaio 2021).Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.
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Bergoglio nella Piramide di Astana, “tempio” massonico
A Bergoglio mancava solo la piramide, dopo il presepe “alieno” (con astronauti e guerrieri cornuti) allestito in piazza San Pietro per il desolante Natale 2020, trasformato in un silenzioso deserto in ossequio all’emergenza Covid, senza più neppure la messa di mezzanotte. Il tempo, semmai, Papa Francesco l’ha trovato per raccomandare ai fedeli di vaccinarsi, ignorando le notizie allarmanti sulle reazioni avverse ai primi vaccini, sperimentali, contro il Covid. Sempre sotto Natale, ha fatto clamore la visita in Vaticano di Lynn Forester de Rothschild, gran dama del Council for Inclusive Capitalism raccomandato dai miliardari di Davos. Ora siamo alle piramidi, a quanto pare: non quelle egizie, ma la loro imitazione kazaka. Secondo “Imola Oggi”, infatti, Bergoglio è atteso – nel prossimo mese di giugno – nella capitale del feudo asiatico di sua maestà Nursultan Nazarbaev, già satrapo comunista, ininterrottamente a capo del Kazakhstan dal 1991.Oggi Nazarbayev non è più formalmente presidente, ma è riuscito a ribattezzare col suo nome (Nur-Sultan) la capitale, Astana: quella dove sorge la gigantesca Piramide della Pace, inaugurata nel 2006. Tra pochi mesi, lo strano tempio ospiterà l’evento al quale potrebbe partecipare il pontefice romano. Sarà la settima edizione del Congress of Leaders of World and Traditional Religions. Un evento interreligioso e interculturale che finora è passato quasi inosservato, elogiato in passato dall’arcivescovo Tomasz Peta, che regge l’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana insieme all’ausiliare Athanasius Schneider. Astana è sede metropolitana della Chiesa cattolica in Kazakhstan: nel 2016 annoverava 55.000 battezzati su 3,8 milioni di abitanti. Quanto al meeting di giugno, «non si tratta del solito convegno ecumenista», premette “Imola Oggi”. «Si va oltre: siamo di fronte a una istituzione ecumenico-indifferentista “di Stato”, con tanto di citazioni e foto del presidente kazako Nazarbaev (e del suo successore) nella homepage del sito ufficiale».Il fulcro del messaggio è incardinato proprio in quella grande piramide multireligiosa, «dal sapore nettamente massonico-deista, nella capitale di un paese ex sovietico caraterizzato dalla molteplicità delle fedi degli abitanti». La piramide è stata battezzata “Palazzo della Pace e della Riconciliazione”. Il sito ufficiale turistico di Astana spiega che è stata costruita appositamente per ospitare il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. «Contiene alloggi per diverse religioni: ebraismo, Islam, cristianesimo, buddismo, induismo, taoismo e altre fedi. Ospita anche un teatro dell’opera da 1.500 posti, un museo nazionale di cultura, una nuova “università della civiltà”, una biblioteca e un centro di ricerca per i gruppi etnici e geografici del Kazakhstan». Una costruzione spettacolare e imponente, alta 62 metri e con lati di 62 metri.«L’edificio è concepito come un centro globale per la comprensione religiosa, la rinuncia alla violenza e la promozione della fede e dell’uguaglianza umana». Ancora: la Piramide della Pace «esprime lo spirito del Kazakhstan, dove culture, tradizioni e rappresentanti di varie nazionalità convivono in pace, armonia e accordo». Questo il clima, dichiarato, del meeting: «Immersi nel bagliore dorato e azzurro del vetro (colori presi dalla bandiera del Kazakhstan), 200 delegati delle principali religioni e fedi del mondo si incontreranno ogni tre anni in una camera circolare, basata sulla sala riunioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a New York». Ci sarà dunque anche Bergoglio, per l’edizione 2021? «Sbigottiti per il silenzio quasi generale su un fatto di questo peso, in una delle diocesi ritenute tra le più conservatrici al mondo, abbiamo continuato ad approfondire e sono emersi aspetti che rendono il quadro peggiore del previsto», scrive “Imola Oggi”.Secondo il giornale, evidentemente, la chiara matrice massonica dell’iniziativa basterenne, da sola, a destare sospetti. La stessa città di Nazarbayev, peraltro, è stata sontuosamente ricostruita come una sorta di tempio massonico a cielo aperto. Tempo fa, un acuto saggista come Gianfranco Carpeoro, massone progressista e spesso critico con i grembiulini, ha rivolto dure accuse al Kazakshan: sarebbe stato scelto come roccaforte della peggior massoneria internazionale di segno oligarchico, quella che da decenni progetta e attua la “sovragestione occulta” dei maggiori eventi mondiali. Per trent’anni avvocato (all’anagrafe, Pecoraro), Carpeoro ha evocato ombre kazake sul fenomeno del doping cui vengono sottoposti i ciclisti, «per testare droghe sintetiche performanti». Coincidenza: si chiama proprio Astana una delle grandi squadre ciclistiche mondiali. Per Carpeoro, il ciclismo – dato lo sforzo fisico che richiede – è lo sport ideale per sperimentare nuovi prodotti clandestini, «evidentemente realizzati in ambiente industriale farmaceutico», ma dietro la regia di una “piramide massonica” internazionale che utilizzerebbe proprio il Kazakhstan come centro finanziario.L’ex repubblica sovietica di Nazarbayev non è certo un modello di democrazia: rieletto per l’ultima volta il 26 aprile 2015, l’anziano “sultano” ha vinto le elezioni presidenziali con il 97,75% dei voti. Quanto a Bergoglio, la sua politica verso l’Asia è dominata soprattutto dalla Cina: Mike Pompeo, segretario di Stato di Donald Trump, lo ha pubblicamente rimproverato per aver concesso al regime dittatoriale di Pechino il potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, annuncia imminenti, precise rivelazioni sull’origine massonico-reazionaria dell’emergenza Covid, imposta per sdoganare il sistema-Cina (niente libertà, né diritti) come modello alternativo alla democrazia occidentale. Bergoglio ha già fatto capire da che parte sta, approvando lockdown, coprifuoco, distanziamenti e altre restrizioni incostituzionali. A giugno sarà davvero presente nella piramide di Astana, tempio della massoneria neo-feudale che vorrebbe ingabbiare il mondo?A Bergoglio mancava solo la piramide, dopo il presepe “alieno” (con astronauti e guerrieri cornuti) allestito in piazza San Pietro per il desolante Natale 2020, trasformato in un silenzioso deserto in ossequio all’emergenza coronavirus, senza più neppure la messa di mezzanotte. Il tempo, semmai, Papa Francesco l’ha trovato per raccomandare ai fedeli di vaccinarsi, ignorando le notizie allarmanti sulle reazioni avverse ai primi vaccini, sperimentali, contro il Covid. Sempre sotto Natale, ha fatto clamore la visita in Vaticano di Lynn Forester de Rothschild, gran dama del Council for Inclusive Capitalism raccomandato dai miliardari di Davos. Ora siamo alle piramidi, a quanto pare: non quelle egizie, ma la loro imitazione kazaka. Secondo “Imola Oggi“, infatti, Bergoglio è atteso – nel prossimo mese di giugno – nella capitale del feudo asiatico di sua maestà Nursultan Nazarbaev, già satrapo comunista, ininterrottamente a capo del Kazakhstan dal 1991.