Archivio del Tag ‘università’
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Pieni poteri a Grillo: l’uomo del Britannia ha in mano l’Italia
Beppe Grillo era sul Britannia, il 2 giugno 1993, insieme a Mario Draghi e a tutti gli altri uomini del Deep State italiano, reclutati dalla finanza globalista per spennare il Belpaese. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e massone progressista, acuto osservatore dei retroscena italici. Moviola storica: cade il Muro di Berlino, i partiti della Prima Repubblica diventano inutili come diga contro l’Urss e quindi vengono rasi al suolo dai giudici di Mani Pulite, che – dopo cinquant’anni – si accorgono che la corruzione domina la politica nazionale. Cadono Craxi e Andreotti, ma si risparmia il Pci-Pds, incaricato di ereditare il potere nella colonia-Italia. A inceppare il piano, l’anno seguente irrompe Berlusconi (variante classica del neoliberismo puro, visto da destra). Un anno prima, invece, a condurre il gioco è ancora l’ex sinistra, da integrare nell’establishment attraverso notabili e tecnocrati, a patto che ammaini tutte le bandiere della sinistra storica, le battaglie per i diritti sociali. Mario Draghi, di formazione keynesiana, è l’uomo giusto al momento giusto, ma anche nel posto giusto (la direzione del Tesoro, da cui gestirà le turbo-privatizzazioni all’italiana che metteranno in croce il paese, svenduto a Francia e Germania). L’altro partner si chiama Romano Prodi, in quota alla sinistra Dc, incaricato di smantellare l’Iri, cioè il complesso industriale (pubblico) più grande d’Europa. Oggi, Prodi e Draghi sono i due maggiori candidati a succedere a Mattarella. E il possibile king-maker, dietro le quinte, è proprio il finto outsider Beppe Grillo.
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Anche Sanders evoca gli Ufo. Cercano di dirci qualcosa?
Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».“Chi comanda il mondo?”, recitava una canzone dell’italiano Povia. E se un giorno saltasse fuori che a tirare le fila – al di sopra degli arsenali, missilistici e finanziari – c’è qualcuno che proprio terrestre non è? Che figura ci farebbero, i padreterni come Trump, Putin e Xi-Jinping? O meglio: quel giorno si capirebbe “per chi lavorano, davvero”. Fantascienza? Peggio: complottismo da strapazzo. Così almeno strepitano, prontamente, tutti i debunker del globo. Carina, la barzelletta degli alieni: ideale per assolvere comodamente i peggiori politici. Ma appunto, chi comanda il mondo? Non certo i cittadini tramite i governi: si vede che fine fanno, più o meno ovunque, le promesse elettorali (senza contare i paesi – non pochi – dove la democrazia formale neppure esiste). Chi c’è dietro, cioè sopra? Elenco sterminato di poteri forti. Le banche, Wall Street, la Trilaterale, i signorotti che ogni anno concedono passerelle rituali a beneficio dei riflettori, da Davos al Bilderberg. Poi ci sono i decisori veri, il Gruppo dei Trenta, la Ert. Ma il Group of Thirty si occupa di finanza, e la European Roundtable of Industrialists di leggi e agevolazioni strategiche per incrementare i profitti industriali. Chi, allora, lassù?Spiccano ad esempio onnipotenze geopolitiche come la Chatham House, alias Royal Institute of International Affairs, e il suo omologo super-salotto statunitense Cfr, Council on Foreign Relations. Va bene, ma chi stabilisce chi può accedere a quei sommi santuari del potere? Il gotha massonico mondiale, risponde Gioele Magaldi: un’élite di matrice iniziatica, che seleziona accuratamente i suoi adepti. Alcuni dei quali, ha ammesso di recente lo stesso Magaldi, vantano rapporti privilegiati con “entità extraterrestri”. Dall’alto della presidenza del Cun, Centro Ufologico Nazionale, e dei suoi storici rapporti con l’aeronautica, l’italiano Roberto Pinotti afferma: il vero problema, per gli alieni, è trovare adeguati interocultori terrestri. I capi delle superpotenze? Spettacolo sconsolante: sono ancora lì a minacciarsi a vicenda, mentre la Terra sta per implodere a causa dell’inquinamento. Forse, aggiunge Pinotti, gli unici portavoce credibili potrebbero essere i leader religiosi. Davvero? Torna alla mente lo sconcertante racconto di monsignor Loris Capovilla, “cameriere segreto” di Giovanni XXIII. Raccontò alla stampa estera che, nel luglio del 1961, un disco volante atterrò nel parco di Castel Gandolfo. Dall’astronave scese un individuo che si appartò a parlare col pontefice. Una volta decollato, il Papa era in lacrime: «I figli di Dio sono dappertutto», si limitò a dire all’esterrefatto segretario.Di “fratelli dello spazio” parla anche l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, direttore della Specola Vaticana, potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. A “Tv 2000”, padre Funes ha dichiarato che non avrebbe difficoltà a battezzarli, gli eventuali “fratelli dello spazio”. Quante cose sa, padre Funes? Perché si occupa così intensamente di esobiologia, cioè di vita extraterrestre? E perché i gesuiti spendono milioni di dollari per sondare lo spazio, in proprio, “rubando il mestiere” alla Nasa? Stanno cercando di dirci qualcosa di importante? Vogliono prepararci a un evento forse imminente, ormai? Viceversa, non si capisce perché un pezzo da novanta del Vaticano si metta, di punto in bianco, a parlare di marziani. Siamo arrivati alla fine di un lungo “Truman Show” allestito per depistare il pubblico, che non avrebbe retto alla notizia? A domandarselo è un fenomeno editoriale come Mauro Biglino, che entro fine anno debutterà anche come attore nel kolossal “Creators, the past”, con Gerard Dépardieu e William Shatner, il “capitano Kirk” della serie televisiva “Star Trek”. La tesi: siamo stati “fabbricati” dagli alieni, che – da millenni – ci controllano a distanza, tramite i loro fiduciari terrestri.Prima di pubblicare libri di successo (trecentomila le copie vendute solo in Italia, senza contare le versioni per l’estero), Biglino ha tradotto 19 libri dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, destinate agli studenti universitari. Nella sua rilettura strettamente letterale della Bibbia, Biglino sposta il problema di Dio molto più in là di Yahwè: senza mai escludere la possibilità dell’esistenza di una divinità superiore, l’autore dimostra che il protagonista biblico non era onnisciente, né onnipotente, né immortale. Era solo uno dei tanti Elohim, una ventina, presentati nel testo antico coi loro nomi: individui potenti e temuti, molto longevi, tecnologicamente evoluti e dotati di velivoli rumorosi. La loro specialità? Governare popoli, l’un contro l’altro armati. La Bibbia è un libro di guerra, identico ai testi antichi di tanti altri popoli, dalla Mesopotamia all’India. Si narra che la nozione filosofica di spiritualità sia nata coi Veda, ma il ricercatore Enrico Baccarini, giornalista della “Bbc”, smentisce: i libri indiani, antichissimi, non contengono tracce religiose. Sono solo cronache, che narrano le gesta dei Deva, anch’essi potentissimi ma non onnipotenti, estremamente longevi ma non immortali. Chi erano? Gli stessi che i sumeri chiamavano Anunnaki, gli egizi Netheru, i peruviani Viracochas, i greci Theoi, gli irlandesi Túatha Dé Dànann.Ogni popolo della Terra – per iscritto, mediante incisioni nella roccia o tramite racconti orali – ci ha tramandato la memoria dello stesso tipo di incontri, dalla Cina all’Africa, passando per il Medio Oriente, l’America e l’Europa: secondo i nuovi ricercatori come Biglino, la memoria dell’umanità porta impressa nel suo Dna quell’impronta decisiva, che secondo i genetisti odierni (ed esempio Pietro Buffa, del King’s College di Londra) spiegherebbe anche il “salto quantico”, l’anello mancante tra noi e la scimmia. Abbiamo sbagliato tutto, scrisse Alfred Russel Wallace, co-autore con Charles Darwin della teoria evoluzionistica: «Con l’uomo non funziona», disse Wallace all’illustre collega. «Nel nostro caso è evidente l’intervento di un’intelligenza superiore». Venuta da dove? Dalla Terra o dallo spazio? Dalla nostra galassia? Da Orione, come dicono le fonti indiane? Dalle Pleiadi? Per i Veda, l’universo è popolato da non meno di 400.000 specie umanoidi, alcune delle quali comparse anche sulla Terra. Se neppure Darwin l’ha mai trovato, il “missing link” tra noi e lo scimpanzè, i nuovi studiosi – archeologi, paleontologi, fisiologi – sembrano propensi a identificarlo, l’anello mancante, collegando i testi antichi alla fantascienza, così spesso anticipatice di tanta tecnologia poi divenuta d’uso comune. Profezie visionarie o vere e proprie anticipazioni, quelle di “Guerre stellari” e “Star Trek”?Cos’è cambiato, negli ultimi anni, riguardo alle nostre conoscenze in materia? Moltissimo. Gruppi di scienziati, spesso giovani, si stanno concentrando proprio su questo: la possibile coerenza storica delle fonti letterarie antiche, alla luce dei più recenti ritrovamenti. Che si succedono a cascata, a valanga: nel 2014, i geofisici Richard Firestone e James Kennett hanno accertato che la Terra è stata sconvolta in due round, attorno a 12.000 anni fa, da una pioggia di comete. Risultato: tsunami, esplosione di vulcani, buio e gelo, glaciazione, estinzioni di massa, disgelo e “diluvio universale”, con innalzamento degli oceani fino a ridisegnare la geografia dei continenti. Dai bassi fondali dell’Oceano Indiano ora emergono rovine di città sommerse. Le date coincidono: il cantiere archeologico che ha messo a nudo il complesso di Göbekli Tepe, in Turchia (interrato nel 9.500 avanti Cristo) costringe a retrodatare di migliaia di anni l’introduzione dell’agricoltura. E mentre l’egittologia continua a raccontare che le piramidi erano tombe monumentali erette dai faraoni 5.000 anni fa, geologi e climatologi spiegano che hanno almeno 15.000 anni. Fisici di tutto il mondo, intanto, compiono test ogni notte nella piramide di Cheope, scoprendone le doti di stupefacente concentratore energetico capace di provocare l’abbattimento di particelle subatomiche.Sui giornali è circolata la seguente notizia: il sofisticato schema tecnologico della grande piranide di Giza potrebbe ispirare nuove celle fotovoltaiche decisamente avveniristiche e ultra-potenti. Altre piramidi, intanto, sono emerse in Bosnia: immense, a lungo scambiate per colline, e datate 30.000 anni in base al radiocarbonio. Costruite da chi? Lo scopritore, l’antropologo Sam Osmanagich, già in forza all’università di Houston, protesta: l’archeologia ufficiale non le classifica ancora come manufatti, benché siano state costruire con giganteschi mattoni di calcestruzzo. Sono percorse da chilometri di sotterranei, come quelle egizie, ed emettono un’energia di cui gli studiosi non hanno ancora rilevato l’origine. La storia è interamente da riscrivere, sostiene un pioniere come lo scozzese Graham Hancock: quelli che gli antichi chiamavano dei, dice il professor Graziano Baccolini dell’università di Bologna, erano chiaramente astronauti. L’orizzonte della civiltà, di colpo, sembra allungarsi a dismisura: in Sudafrica, Michael Tellinger ha rilevato le tracce di una vera e propria “metropoli”, a due passi dalle miniere d’oro più antiche del pianeta. Una città imnmensa, che oggi avrebbe addirittura 200.000 anni. Ancora più enigmatica la scoperta della “mappa del creato”, in Russia, sugli Urali: un lastrone che riproduce perfettamente, dall’alto, la geografia russa. Dettaglio: molluschi ora fossili, ma intrappolati ancora vivi fra uno strato e l’altro dell’opera all’epoca della sua misteriosa realizzazione, si estinsero non meno di 120 milioni di anni fa.Informazioni frammentarie e sconcertanti: un po’ troppe, e tutte emerse nel giro di pochi anni. Si affacciano sui media come curiosità esotiche, ma non riescono ancora a essere metabolizzate dal sapere accademico, completamente spiazzato. E’ partita una specie di corsa, affidata a scienziati coraggiosi. Vuoi vedere che la nostra storia è infinitamente più lunga di quella finora tracciata dalla storiografia? E se si accertasse che la nostra vera origine è davvero extraterrestre? Nel libro “L’altra Europa”, l’avvocato vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, parla di un’unica dinastia di potere saldamente al comando da 12.000 anni, dietro al paravento di imperi e Stati. Fonte: l’esoterista francese Maurice Schumann, massone e gollista, tra gli ispiratori dell’Ue. Schumann la chiama “La Struttura”. Dalla Mesopotamia avrebbe conquistato il Mediterraneo, quindi il resto del mondo. Lo stesso Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, che dà credito al greco Filone di Byblos quando cita l’opera del fenicio Sanchuniathon, che nel 1200 avanti Cristo scrive: le divinità vivevano tra noi ed erano prepotenti, la loro mitologia mistica è stata poi costruita a tavolino dai sacerdoti antichi, che hanno velato la verità inventando la categoria del mistero.Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, nel saggio “Il mistero della situazione internazionale” sintetizza: i “poteri oscuri” che dominano il pianeta sono costituiti da due grandi catene di comando, una massonica e l’altra religiosa. In realtà sono “forze dell’ostacolo”, che – scatenando guerre e seminando ingiustizie – costringono l’umanità ad evolversi. La sua è una lettura quasi consolante e spiritualistica, di marca steineriana. Il concetto di spiritualità, però, nella nostra storia – almeno, quella leggibile – è stato introdotto solo in epoca recente, dal platonismo. Prima, c’erano solo “divinità” aliene, in carne e ossa, generose come l’indiano Krishna o spietate come Yahwè e colleghi. Unica eccezione, la teologia mazdea che la tradizione attribuisce a Zoroastro, 1400 avanti Cristo: l’uomo, di origine celeste, “intrappolato” sulla Terra dal perfido Ahriman, principio del male, antagonista del signore della luce Ahura Mazda. Extraterrestri ante litteram? Suggestioni ricorrenti, se ora ci si mettono anche i politici – con un’inistenza francamente sorprendente. Diversi presidenti americani avrebbero promesso, in campagna elettorale, di dire “tutta la verità” sugli Ufo. Nel 2009, Mikhail Gorbaciov ha ricordato che lui e Reagan si promisero reciproco aiuto, nel 1985 a Ginevra, in caso di “invasione aliena”. Scherzavano soltanto?Il 2 luglio 1947, un oggetto volante non identificato – ma in panne, vistosamente infuocato – precipitò a Roswell, in New Mexico. Ai testimoni oculari, le autorità mostrarono giorni dopo un pallone-sonda caduto: non era l’oggetto che avevamo avvistato, dissero i contadini. Il caso venne rapidamente archiviato. Ma nei 12 mesi seguenti, stranamente, l’ufficio brevetti degli Stati Uniti fu assediato da innovazioni avioniche, da cui poi si svilupparono rapidamente i moderni jet. Coincidenze? Di extraterrestri si parla sempre più spesso: gli X-Files sbancano sempre il botteghino. Ma perché ora l’argomento finisce in modo insistente nel menù della politica? Nel 2015 ha fatto il giro del mondo la nota del ministero della difesa russo, che annunciava l’attracco di una nave di Mosca nel porto saudita di Gedda. I russi avrebbero imbarcato l’Arca di Gabriele, per poi “tombarla” in Antartide, dopo che la strana cassa d’oro, custodita alla Mecca, avrebbe scatenato una tempesta energetica capace di uccidere migliaia di pellegrini. Vero o falso? I media sauditi attribuirono la strage a una crisi di panico tra la folla, mentre un’équipe di tecnici, nel sottosuolo, avrebbe tentato di raggiungere la misteriosa reliquia, donata a Maometto e gemella di quella affidata da Yahwè a Mosè.Per inciso: l’Arca biblica – alla lettera – era un oggetto pericoloso, da maneggiare con cura, affidato a personale specializzato e debitamente abbigliato. Una sorta di potente generatore energetico. Sta davvero per accadere qualcosa di rivoluzionario? Domani, magari grazie a qualche capo di Stato (o anche solo alla signora Sanders), emergeranno come verità ufficiali gli indizi che i testi antichi sembrano metterci sotto il naso da migliaia di anni? Sarebbe un colpo sensazionale, dopotutto: crollerebbe l’intera costruzione del potere terrestre. Tutti burattini inconsapevoli, manovrati da pochissimi eletti in contatto coi signori della galassia? Un po’ troppo, per la mente umana: inaccettabile, per popolazioni afflitte da grane ordinarie come lo spread, i migranti e le crisi geopolitiche, tra un campionato di calcio e la messa cantata dal religioso di turno, col ditino alzato, impegnato a lanciare severi ammonimenti morali. L’epifania sarebbe un capolavoro comico: salve, vengo da Marte e ho due o tre cose da dirvi, come peraltro i vostri capi già sanno. Tra chi non ride affatto, di fronte all’ipotesi che la fantascienza si decida a venirci finalmente a trovare, c’è proprio l’ufologo Pinotti: storicamente, dice, l’incontro improvviso tra civiltà diversissime comporta la fine, anche traumatica, della società meno avanzata. Della nostra, peraltro, non c’è di che vantarsi. Ma non tutti sono pessimisti, riguardo agli incontri ravvicinati. “Extraterrestre, portami via”, cantava Finardi, quasi fiducioso – già allora, 1978 – in un aiuto dal cielo.Non furono gli alieni a mettere fuori gioco Bernie Sanders nel 2016, ma – secondo l’accusa – i falsari del partito democratico, che avrebbero truccato gli esiti delle primarie a favore di Hillary Clinton. Ora però che l’anziano leader “socialista” americano sembra volerci riprovare, stavolta per sfidare Trump l’anno prossimo, è proprio di extraterrestri che si mette a parlare: «Se sarò eletto, mia moglie mi obbligherebbe a dirvi tutto sugli Ufo», ha detto, rispondendo a una domanda rivoltagli in un noto podcast di informazione condotto dal giornalista Joe Rogan. «Già da semplice senatore – ha aggiunto Sanders – la mia consorte pretendeva che facessi rivelazioni, in proposito. Purtroppo però non ho mai avuto accesso a documenti del genere». Poco più che una battuta, dall’anziano ex sindacalista: nell’eventualità di una sua presidenza, ciò che dovesse emergere sugli alieni e sugli Ufo lo annuncerà proprio al “The Joe Rogan Experience”. Alieni tutti da ridere? Nel 2012 fu l’allora premier russo Dmitrij Medvedev a scatenare i giornali, con un fuori-onda che fece il giro del mondo: «Non posso dirvi quanti extraterrestri ci sono tra noi, perché questo provocherebbe il panico». Prima ancora, l’ex ministro canadese della difesa, Paul Hellyer, era andato oltre: «Due di loro siedono persino nel Congresso Usa. E’ ora che la gente lo sappia».
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Il Conte Zio: si finge Zorro l’eurogrillino “falce e mattarella”
Chi è Conte e come si comporterà, ci chiedevamo quando fu insediato premier. Queste erano le considerazioni che facemmo, più di un anno fa. Abbiamo quattro ingredienti di partenza per costruire un suo ritratto: il curriculum falsato o gonfiato che sarà un vizio diffuso ma lo rende un po’ sbruffone e un po’ inaffidabile (miles gloriosus, per i colti). Poi la sua temeraria adesione al fantagoverno grillino prima del voto, e la sua pronta accettazione di un incarico nonostante la sua Verginità Assoluta, anzi in virtù della sua verginità assoluta. Quindi le sue prime dichiarazioni che denotano la sua pronta adesione all’ideologia nazionale, il Cerchiobottismo, in cui il Professore si è dimostrato un eurogrillino falce e mattarella, per compiacere tutti e procedere senza spigoli, rotolando come si addice ai cerchi. Infine il suo modo di presentarsi, la sua sincera emozione e il suo simpatico inciampare nelle parole, qualche traccia di dauno e un po’ meno di visiting professor nelle università più fantastiche del pianeta. Il suo sguardo mi ha ricordato qualcuno. Il suo volto, i suoi occhi, la sua modesta altezza e la sua evidente smisurata ambizione. I suoi fogli inseparabili. Ma sì, era lui, somiglia a Silvio, il Berlusconi del ’93, il Berlusconi che scende in campo e lo annuncia urbi et orbi.Fermate alcuni fotogrammi e paragonate. Viso lungo, occhio furbo, sguardo in cerca di accattivare. Berlusconi coi capelli. Con l’età quasi ci siamo, la differenza è tricologico-imprenditoriale, qualche capello in più e qualche azienda in meno. E l’inflessione non brianzola, la differente capacità comunicativa; versione rustico-accademica di Berlusconi, populismo meridional-avvocatesco. Solo che lui il lifting, il riporto lo fa al curriculum anziché alla capigliatura. A vederlo meglio, la sua espressione è un incrocio preciso tra Berlusconi e Tonino Capacchione da Margherita di Savoia, mio amico, che ha le terre in quel di Zapponeta, dalle parti del prof. Ecco, sparsi i pezzi del mosaico provo a comporre un ritratto non reale ma surreale del Professore, fino a leggergli la mano, la fronte e il futuro. Se tanto mi dà tanto, e se conosco l’indole pugliese-levantina (a cui appartengo) che pure incide benché in percentuale bassa, il professore sarà presto un’entità autonoma da Di Maio, si metterà uno studio in proprio a Palazzo Chigi e giocherà ai due forni, le Istituzioni e il Popolo, Mattarella e i grillini, gli eurocrati e gli eurofobi (nuovo reato in via di formazione, primo imputato il professor Savona).Il suo primario interesse sarà restare in piedi. E tifa per la sua durata, ma sotto traccia, quasi l’intero Parlamento per ragioni di autoconservazione. Sarà quello il vero collante, di natura personale. Ma torno sul professore e su quei tratti preliminari. Se tanto mi dà tanto, dai curriculum farciti allo spirito d’avventura d’imbarcarsi in questa impresa, dalle sue parole ai suoi sguardi, ho l’impressione che sarà pronto all’infedeltà, mascherata da una superiore fedeltà al suo ruolo, alle istituzioni, al mandato divino. In Italia il passaggio dal cerchiobottismo al paraculismo è facile e anche rapido… Però a me questo Conte avvocato del popolo ricorda qualcuno, che conoscevo da bambino. Ma sì, El Zorro, che poi vuol dire Volpe. Eccolo, il Conte Zorro, un accademico appartato e schivo che si mette la mascherina, prende il cappello a cinque stelle, sguaina la spada e combatte nel nome del popolo contro il Palazzo che egli stesso frequenta quando è in borghese. Pronto ad arrampicarsi ai lampadari per togliere ai ricchi e dare ai poveri. O almeno fingere di farlo, per accontentare il pubblico pagante e i produttori del film. Sì, alla fine è la fiction, è il film l’unica chiave di lettura… Non può essere vero quello che stiamo vivendo. Lui, loro e noi.(Marcello Veneziani, “Il Conte Zio”, dal blog di Veneziani del 13 agosto 2019).Chi è Conte e come si comporterà, ci chiedevamo quando fu insediato premier. Queste erano le considerazioni che facemmo, più di un anno fa. Abbiamo quattro ingredienti di partenza per costruire un suo ritratto: il curriculum falsato o gonfiato che sarà un vizio diffuso ma lo rende un po’ sbruffone e un po’ inaffidabile (miles gloriosus, per i colti). Poi la sua temeraria adesione al fantagoverno grillino prima del voto, e la sua pronta accettazione di un incarico nonostante la sua Verginità Assoluta, anzi in virtù della sua verginità assoluta. Quindi le sue prime dichiarazioni che denotano la sua pronta adesione all’ideologia nazionale, il Cerchiobottismo, in cui il Professore si è dimostrato un eurogrillino falce e mattarella, per compiacere tutti e procedere senza spigoli, rotolando come si addice ai cerchi. Infine il suo modo di presentarsi, la sua sincera emozione e il suo simpatico inciampare nelle parole, qualche traccia di dauno e un po’ meno di visiting professor nelle università più fantastiche del pianeta. Il suo sguardo mi ha ricordato qualcuno. Il suo volto, i suoi occhi, la sua modesta altezza e la sua evidente smisurata ambizione. I suoi fogli inseparabili. Ma sì, era lui, somiglia a Silvio, il Berlusconi del ’93, il Berlusconi che scende in campo e lo annuncia urbi et orbi.
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Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
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Atlantide, la scienza convalida Platone: cataclisma nel 9500
Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.Il lavoro di Bizzi, edito da Aurora Boreale, conferma in modo impressionante come le ultime rivelazioni scientifiche non siano mai state un segreto per gli iniziati ai “misteri eleusini”, comunità di cui lo stesso Bizzi fa parte, per via familiare, essendo stata ben radicata – sottotraccia – nella fiorentissima Firenze dei Medici. Il cosiddetto “mito” eleusino nasce alle porte di Atene, quando la dea Demetra – ultima discendente dei Titani, sconfitti dagli dei olimpici – mette a parte i seguaci del “segreto” dell’origine umana: saremmo stati “fabbricati” dalle divinità titaniche come Poseidone. Da allora (1300 avanti Cristo), il santuario di Eleusi diventa il presidio di questa “verità misterica”, custodita dai sacerdoti di Demetra, eredi di quell’antica rivelazione. Suggestioni vertiginose: per volere di Augusto, il poeta Virgilio celebra la nascita di Roma ad opera di Enea, ultimo eroe di Troia. La guerra omerica dell’“Iliade” sarebbe la traccia letteraria della resa dei conti finale tra i Titani e Zeus, di cui parla anche Esiodo nella sua “Teogonia”.Attenti ai simboli: per la tradizione misterica, la stessa Demetra arrivò a Eleusi partendo da Enna, in Sicilia. In queste tre fonti (Omero, l’“Eneide” e il culto eleusino) ricorre la radice “En’n” (inizio). Non casuale, quindi, il nome di Enea: il troiano fondatore di Roma sarebbe stato l’erede della civiltà “atlantidea”, estesasi nel Mediterraneo prima del grande cataclisma “cometario” che stravolse la Terra. Ma in realtà, anziché “atlantidea”, quella civiltà-madre (nord-atlantica e poi anche minoica, basata a Creta e poi in tutto l’Egeo fino all’Asia Minore) era chiamata “ennosigea”, dal nome di una delle principali di quelle sette macro-isole, chiamata appunto En’n. Questa possibile verità parallela – tranquillamente esposta da Platone – fu tollerata per quasi duemila anni, fino allo sciagurato Editto di Tessalonica del 380 dopo Cristo, quando l’imperatore Teodosio trasformò il neonato Cristianesimo in religione di Stato, l’unica autorizzata, mettendo fuorilegge tutte le altre e dando il via alla feroce persecuzione del paganesimo.A partire da quell’anno, scrive Bizzi nel suo affascinante saggio, tutti i templi eleusini fuorno distrutti – tranne quello di Eleusi, che venne semplicemente abbandonato. Da allora, la “comunità eleusina” si rassegnò a sopravvivere in clandestinità, con esiti spesso clamorosi come il Rinascimento italiano, promosso da principi illuminati del calibro di Lorenzo il Magnifico, espressione della tradizione eleusino-pitagorica. Stando a Bizzi, in possesso di documenti inediti e gelosamente conservati per secoli, erano “eleusini” anche i grandi architetti della Roma rinascimentale, ingaggiati dai Papi medicei. E sempre a Firenze, alla fine del Trecento, si svolse il più incredibile dei summit: alla corte dei Medici si sarebbero confrontati i rappresentati vaticani e persino gli emissari del Celeste Impero cinese, per decidere se e come diffondere la notizia della spedizione navale dello scozzese Henry Sinclair, conte delle Orcadi, sbarcato in America (cent’anni di prima di Colombo) con 40 navi templari sulle coste del Rhode Island.Siamo alla vigilia di scoperte sensazionali sulla vera storia della nostra civiltà? Certo non ci è d’aiuto l’archeologia ufficiale, scrive Bizzi in un’accurata ricostruzione su Facebook, in cui spiega le ragioni dell’assurda reticenza della disciplina archeologica accademica, oggi quotidianamente scavalcata dai nuovi ricercatori, archeologi e non, disposti a procedere incrociando i loro dati con quelli dei geofisici, dei climatologi, dei paleontologi, degli astrofisici. «Considerata in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte – ragiona Bizzi – l’archeologia è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’antropologia (insieme all’etnologia, la linguistica e l’antropologia fisica)». I suoi difetti? «Ottusità, malafede, e soprattutto anti-scientificità». Dice Bizzi: «È doloroso doverlo affermare, ma l’archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo “scientifico”».Una disciplina, l’archeologia, «corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute», nonché «minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto». Soprattutto, «anziché comportarsi da vera disciplina “complementare”, come dovrebbe essere», l’archeologia «si rifiuta di accettare i dati di supporto della geologia, della chimica, della biologia, dell’astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo». Risultato: «Tutte le scoperte “scomode”, che rischiano di alterare o stravolgere il “paradigma” comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare: ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica». Così, a forza di “questo non si può dire”, il sapere «si riduce a dogma di fede». Nel testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, lo storico della scienza Thomas Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati».Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile, osserva Bizzi. «E il paradigma prevalente rappresenta spesso una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura». In altre parole, «un freno e un limite talvolta inaccettabile». Lo stesso Hancock, parlando di “paradigma archeologico”, sostiene che l’archeologia ortodossa si basa su «presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato», e li usa come pretesto «per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde». Scarsa cultura, stupidità o malafede? E’ Kuhn il primo a sostenere che, in modo complementare, «una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma». E questa “rivoluzione”, archeologica e non solo, secondo Bizzi è ormai in corso da vent’anni. Cambio di paradigma, appunto: «Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia e una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà».Certo, «sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere pur di portare avanti teorie innovative». Ma comunque «quei pochi ci sono, e sono sempre di più». Aggiunge Bizzi: «Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla». Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi “pionieri” di questo nascente revisionismo storico-archeologico – spiega Nicola Bizzi – è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. «Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bouval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana “Archeomisteri”, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo».Bizzi cita il ricercatore italiano Mauro Quagliati, secondo cui «la rivoluzione archeologica parte dall’Egitto». È infatti proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa “rivoluzione” ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe “autorità”, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. «A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda – scrive Bizzi – solitamente ribadisco che prima di rispondere dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola».Fino a pochi anni fa, il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai. «Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della “scienza ufficiale”. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati». In sostanza, «oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana», come dimostra la rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale: un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale si attesta oltre il 9.500 avanti Cristo.Per non parlare di altri siti come quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi sono state datate addirittura al 29.000 avanti Cristo. «Penso sinceramente che, se non assisteremo a una “manipolazione” di questa rivoluzione archeologica – sostiene Bizzi – il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare». Sarà allora, aggiunge lo storico, che il “paradigma” sarà finalmente rovesciato. Quel giorno, «la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore». Per ora, resta “pericoloso” mettere in discussione, dal punto di vista storico, persino alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, «quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo». Per Bizzi, «esistono dei “poteri forti”, delle vere e proprie “lobby” che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella politica e nell’economia, ma anche nella storia: lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più “scomode”, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi».Francamente, ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era «comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici: tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia». Per gli studiosi “ortodossi” è molto più facile attenersi al vecchio “paradigma” e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che «intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose». Ma alla fine, «anche i più miopi e ostinati non potranno farlo ancora a lungo». Queste nuove scoperte “scomode” infatti si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante. «E gli argini della diga del “paradigma” mostrano crepe e spaccature ogni giorno più grandi». Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro “Il ritorno degli Dei”, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. «E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili». Tra il 10.800 e il 9.600 il nostro pianeta «venne sconvolto da un cataclisma di dimensioni apocalittiche». Si trattò, come sottolinea Hancock, di «un evento che ebbe conseguenze globali e che influì molto profondamente sul genere umano», restando vivo nella memoria, nei miti e nelle tradizioni di tutti i popoli.Un evento sul quale molto è stato scritto, dibattuto e teorizzato, dal medioevo fino ad oggi. Ma soltanto fra il 2007 e il 2014 è stato pienamente confermato dalle prove e dalle testimonianze scientifiche, afferma lo storico fiorentino. Il lavoro divulgativo di Hancock, basato su rigorose ricerche scientifiche, riporta tutti i riscontri oggettivi del cataclisma che sconvolse il mondo tra 12.800 e 11.600 anni fa. «Ci fornisce le tanto attese prove che ci permettono di far uscire una volta per tutte questo evento di portata apocalittica dal calderone delle ipotesi e dalle nebbie del mito, contestualizzandolo cronologicamente e geograficamente». Come ha scritto Randall Carlson in “My Journey to Catastrophism”, «il nostro è un pianeta terribilmente dinamico, che ha subito cambiamenti profondi su una scala che supera di gran lunga qualsiasi cosa accaduta in un arco di tempo a noi prossimo». Quello che chiamiamo “la nostra storia”, dice Carlson, «è semplicemente la testimonianza di eventi umani che si sono verificati a partire dall’ultima grande catastrofe planetaria».Eppure, i popoli con i quali solitamente si vuol fai iniziare la storia “ufficiale”, ovvero i Sumeri e gli Egiziani, ci hanno lasciato documenti scritti che parlano di migliaia di anni della loro storia, precedenti a quella che conosciamo: migliaia di anni di storia precedenti al grande evento apocalittico che, in tutte le culture, fa da cerniera temporale fra il “prima” e il “dopo”. Come osserva lo stesso Hancock, alla luce delle nuove scoperte ci troviamo nel mezzo di un profondo “cambiamento di paradigma” per quanto riguarda il modo in cui guardiamo l’evoluzione della civiltà umana. Gli archeologi? Hanno la pessima abitudine di considerare gli impatti cosmici come fossero lontani milioni di anni, e in più «sostanzialmente irrilevanti nell’arco dei 200.000 anni di esistenza dell’uomo anatomicamente moderno». Finché si credeva che l’ultimo grande impatto fosse stato quello con l’asteroide che 65 milioni di anni fa si ritiene che abbia spazzato via i dinosauri, aveva ovviamente poco senso cercare di correlare gli incidenti cosmici su questa scala quasi inimmaginabile con l’arco di tempo molto più breve della storia dell’umanità. Ma a cambiare tutto, scrive Bizzi, è «lo scenario da incubo emerso dalle ricerche di quel gruppo di scienziati che ha recentemente dimostrato il devastante impatto del Dryas Recente, vale a dire quell’evento sconvolgente di dimensioni apocalittiche che ha sconvolto il nostro pianeta solo 12.800 anni fa, alle porte della nostra storia “ufficiale”».Significa «rovesciare il tavolo con tutto quello che c’è sopra», come si intuisce osservando «le tenaci e disperate resistenze dell’establishment accademico, fin dall’inizio rivolte verso gli studi rivoluzionari di Joseph Harlen Bretz prima e verso le scoperte di Jim Kennett e del suo team di scienziati poi». Resistenze paradossali, visto che ora emerge le nostra civiltà non nasce affatto nel Neolitico, ma assai prima. Ovvio: il vecchio “paradigma”, semplicemente, ignorava il cataclisma planetario. Si scatenò nel Dryas Recente (tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa) e venne immediatamente seguito da grandi e importanti segnali di civiltà, come quella di Göbekli Tepe in Turchia. «Non si trattava di civiltà primitive appena uscite dalle caverne, bensì di popoli con strutture sociali complesse e già evolute, con alto senso artistico e religioso e con conoscenze astronomiche e architettoniche chiaramente riscontrabili negli imponenti edifici e monumenti che ci hanno lasciato». Oggi, ormai costretti dall’evidenza e dalle datazioni, gli archeologi definiscono i resti di Göbekli Tepe «primi esperimenti di vita civilizzata», che ebbero luogo subito dopo il “punto di interruzione” rappresentato dal Dryas Recente. «Ma non tengono conto del trauma immane e della distruzione globale messi in moto dagli impatti cosmici che causarono il Dryas Recente». E questo, per Bizzi, «rappresenta una vera e propria carenza nei metodi di ricerca e di valutazione».Peggio ancora: «Non si è pensato di considerare anche solo per un momento la possibilità che capitoli cruciali della storia umana, forse persino una grande civiltà della remota preistoria, possano essere stati cancellati (anche se ciò non è avvenuto nella memoria storica e nei miti di tutti i popoli antichi) da questi impatti e dalle inondazioni, dalle piogge nere bituminose, dall’oscurità e dal freddo indescrivibile che ne seguirono». Fino a non molti anni fa gli studiosi e i ricercatori indagavano su questo cataclisma apocalittico, di cui esitevano molteplici evidenze, ma non ancora le prove scientifiche delle sue cause. Ipotizzavano l’impatto di un meteorite di considerevoli dimensioni, sul modello di quello che si ritiene abbia provocato la scomparsa dei dinosauri. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, si è fatta strada un’ipotesi «assai più inquietante, corroborata dalla massa crescente di indizi attestanti che 12.800 anni una cometa gigante, in viaggio su un’orbita che la portò a intersecare il Sistema Solare interno, si frantumò in una miriade di frammenti». Molti dei quali, con un diametro anche superiore ai 2 chilometri, colpirono la Terra.Epicentro del disastro: il Nord America. Luogo dell’impatto: la calotta glaciale nord-americana. Conseguenze: «Lo scioglimento di colossali masse di ghiaccio causò spaventose alluvioni e maremoti, proiettando grandi nuvole di polvere nell’alta atmosfera, avvolgendo l’intero pianeta e impedendo per lungo tempo ai raggi del Sole di raggiungere la superficie». Era stata finalmente individuata la vera causa, che negli anni successivi sarebbe stata corroborata da solide prove scientifiche, del misterioso e repentino periodo di congelamento globale che i geologi chiamano Dryas Recente. «In sostanza, stava emergendo una verità a lungo solo ipotizzata e da molti, in ambito scientifico ed accademico, temuta e rifiutata». L’ultima conferma viene da “The Journal of Geology”, che riporta «la scoperta di un grandissimo quantitativo di nanodiamanti, rilevati in una vasta aerea ritenuta quella dei principali impatti». Si tratta di «diamanti microscopici che si formano in condizioni estremamente rare di pressione e calore di livelli altissimi, e sono ritenuti le impronte caratteristiche – proxy, o indicatori diretti, nel linguaggio scientifico – di potenti impatti di comete o asteroidi».E il team di scienziati guidato da Richard Firestone e da James Kennett, nel 2014, dopo sette anni di accese discussioni e dibattiti, spiegò che i campioni di sedimento sui quali si fondavano le prove contenevano, oltre ai nanodiamanti, diversi altri tipi di detriti che potevano avere unicamente un’origine extraterrestre, riconducibili a una cometa o a un asteroide. Tra i detriti, «minuscole sferule di carbonio che si formano quando goccioline di materiale organico fuso si raffreddano rapidamente a contatto con l’aria e molecole di carbonio contenenti il raro isotopo Elio-3, molto abbondante nel cosmo, ma non sulla Terra». Il team arrivò poi alla conclusione che la causa della devastazione fosse da imputare a una cometa, e non a un asteroide, dal momento che nello strato principale dei sedimenti esaminati erano del tutto assenti gli alti livelli di Nichel e Iridio che caratterizzano gli impatti degli asteroidi. «Si delineavano così con chiarezza le cause scatenanti del Dryas Recente: l’impatto dei frammenti di una super-cometa che avrebbero colpito la calotta glaciale nord-americana in più punti e una vasta aerea dell’emisfero settentrionale, arrivando a toccare il Mediterraneo, la Turchia e la Siria».Riassumendo: gli autori dello studio immaginano «un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrapressione, seguito da un’onda di pressione negativa, che diede luogo a venti intensi che spazzarono il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati dagli impatti». Non solo: «Una sfera di fuoco rovente avrebbe saturato la regione vicina agli impatti». E a distanze maggiori, il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato (espulso al momento delle collisioni) avrebbe provocato «enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere». E in che modo tutto ciò avrebbe potuto causare il drammatico congelamento del Dryas Recente? Gli autori dello studio propongono varie concause: la più rilevante sarebbe stata «l’enorme pennacchio di vapore acqueo proveniente dallo scioglimento della calotta glaciale». Sarebbe stato scagliato nell’atmosfera, combinato a immense quantità di polvere e detriti composti da frammenti dei corpi impattanti, dalla calotta glaciale e dalla crosta terrestre sottostante, oltre al fumo e alla fuliggine prodotta dagli incendi che devastarono l’intero continente.Nel complesso, come rileva Hancock, risulta abbastanza facile capire in che modo una tale quantità di detriti proiettata nell’atmosfera potesse aver portato ad un rapido raffreddamento, bloccando il passaggio della luce solare. L’insieme di vapore acqueo, fumo, fuliggine e ghiaccio – continua Bizzi – avrebbe generato una cortina persistente di nubi “nottilucenti”, con conseguente diminuzione della luce solare e raffreddamento della superficie, riducendo in tal modo l’insolazione alle alte latitudini, aumentando l’accumulo nevoso e causando un ulteriore abbassamento delle temperature in un ciclo continuo di retroazione. Per quanto devastanti, questi fattori diventano quasi insignificanti se paragonati alle conseguenze che gli impatti possono aver avuto sulla calotta glaciale: «Il maggiore effetto potenziale sarebbe stata la destabilizzazione e quindi lo scioglimento parziale della calotta glaciale in seguito all’impatto. Nel breve periodo ciò avrebbe liberato repentinamente acqua di disgelo e enormi blocchi di ghiaccio negli oceani del Nord Atlantico e dell’Artico, abbassando la salinità con conseguente raffreddamento superficiale».«Gli effetti di congelamento a lungo termine – aggiungono gli studiosi – sarebbero derivati in gran parte dal successivo indebolimento della circolazione termoalina nell’Atlantico Settentrionale, mantenendo un clima freddo nel Dryas Recente per più di 1.000 anni, fino a quando i meccanismi ciclici ripristinarono la circolazione oceanica». I risultati pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Science” il 4 giugno 2013 beneficiarono inoltre dei più recenti progressi nella tecnologia del radiocarbonio per raffinare la datazione dell’impatto cosmico da 12.900 a 12.800 anni fa e resero possibile una mappatura molto più particolareggiata dell’area di dispersine del materiale da impatto, che incluse quasi 50 milioni di chilometri quadrati del Nord, Centro e Sud America, una grande sezione dell’Oceano Atlantico e gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. E il fatto che i calcoli, presenti negli studi del 2013, indicassero il deposito di oltre dieci milioni di tonnellate di sferule all’interno di questo vasto campo di caduta, uniti agli studi presentati l’anno successivo sulla presenza nell’area interessata di enormi quantità di nanodiamanti, fece sì da togliere dalla mente dei ricercatori ogni dubbio sul fatto che al centro di tutto questo vi fosse un impatto cosmico, e nello specifico l’impatto di una supercometa.Sono stati, infine, individuati con chiarezza anche diversi punti d’impatto: la depressione di Charity Shoal nel Lago Ontario, la conca di Bloody Creek nella Nuova Scozia, il cratere di Corossol nel Golfo di San Lorenzo in Canada e l’area di Quebacia Terrain, sempre in Canada, ad Ovest di Corossol. E questi elencati, aggiunge Bizzi, sono i punti d’impatto che è stato possibile individuare grazie alle evidenze geologiche, mentre si ritiene che quelli maggiori e più devastanti, dovuti a frammenti della cometa di dimensioni nell’ordine di due chilometri e mezzo di diametro, abbiano riguardato la calotta di ghiaccio in punti più a Nord e più a Ovest. Ciò che colpisce in special modo, nel risultato di queste scoperte, secondo Hancock è il fatto che i cambiamenti climatici (avvenuti sia all’inizio che alla fine del Dryas Recente) abbiano avuto estensione planetaria e si compirono entrambi nell’arco di una generazione umana: 12.800 anni fa, una forza esplosiva combinata (10 milioni di megatoni) avrebbe sollevato nell’atmosfera sufficiente materiale da far piombare la Terra in una lunga, prolungata oscurità simile ad un inverno nucleare, cioè quel “periodo di oscurità” di cui parlano tanti antichi miti.Poi, il repentino riscaldamento verificatosi 11.600 anni fa, che pose fine al Dryas Recente, sarebbe sì in parte spiegabile con la dispersione finale della nuvola di materiale espulso. Ma vi sarebbe, a completare il quadro, anche un’altra spiegazione complementare: secondo gli scienziati, molti frammenti della cometa (anche enormi) sarebbero rimasti in orbita, fino a impattare nuovamente con il nostro pianeta nel 9.600 avanti Cristo. «La Terra, quindi, avrebbe nuovamente interagito 11.600 anni fa con la scia di detriti della medesima cometa frammentata che aveva causato l’inizio del Dryas Recente, determinandone una repentina fine». Stavolta, anziché nell’Artico, l’impatto di sarebbe verificato nell’Atlantico Settentrionale: cosa che avrebbe provocato «l’innalzamento di enormi pennacchi di vapore acqueo» capaci di creare un effetto serra, «dando il via ad una rapida fase di riscaldamento globale». Gli scienziati, aggiunge Bizzi, stimano che questa seconda ondata di impatti abbia determinato – nel giro di appena cinquant’anni – un aumento delle temperature medie di oltre 7 gradi centigradi, con il conseguente scioglimento di enormi masse di ghiacci e il repentino aumento, in tutto il mondo, del livello dei mari e degli oceani di decine e decine di metri. Era il grande diluvio, o diluvio universale?Sicuramente, scrive Bizzi, le aree del secondo impatto «erano abitate e popolate dall’uomo». Su di esse, «probabilmente fiorivano diverse civiltà». Gli archeologi “ortodossi” si sono sforzati per anni nel sostenere che Platone si fosse inventato tutto. Nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, è datata 9.000 anni prima di Solone la scomparsa di Atlantide per via di un terribile cataclisma di fuoco. Da Platone, per l’ufficialità, ci è giunta solo «un’opera di fantasia o di mera speculazione metaforica e filosofica». Ma gli “ortodossi” hanno sempre ignoranto deliberatamente «l’esistenza di centinaia di miti e antiche tradizioni che, in tutto il mondo, dalle Americhe al Mediterraneo, dall’Africa all’Asia, confermano, direttamente o indirettamente, la narrazione platonica», ora corroborata dalla scienza. «Narrazione che, peraltro, è pienamente avvalorata dal corpo dei testi della Disciplina Arcaico Erudita tramandati dalle scuole misteriche eleusine, i quali – rivela Bizzi – ci raccontano la storia di una civiltà evolutasi su quelle che vengono menzionate come “le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”».Cos’erano? Testualmente: «Un insieme di vaste terre che sorgevano nell’Atlantico Settentrionale e che si sarebbero inabissate esattamente nel 9.600 avantio Cristo». Quei testi, spiega lo storico fiorentino, «ci descrivono una società avanzata, con grandi conoscenze scientifiche». Evolutasi nell’arco di circa 10.000 anni, quella civiltà «sarebbe arrivata, all’apice del suo splendore, a conquistare e colonizzare l’America Centrale e Meridionale, il bacino mediterraneo, l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e parte dell’Asia e dell’Africa, portandovi la propria cultura e le proprie tradizioni». Una civiltà che non chiamava se stessa “atlantidea”, bensì “ennosigea”, dal nome di una delle principali di queste sette terre, chiamata appunto En’n. Proprio la terra di En’n, situata ad Ovest dello stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole dell’antichità) era grande quanto Francia e Spagna messe insieme. E stando sempre ai testi eleusini, a En’n «esisteva una regione, collocata in posizione nord-orientale, denominata Hathlanthivjea», un tempo «fiorente Stato indipendente, prima della conquista ennosigea avvenuta attorno al 12.000 avanti Cristo».Hathlanthivjea, cioè Atlantide? «Il suo nome, composto da quattro diversi geroglifici, significherebbe “la Grande Madre venuta dal Mare”», spiega Bizzi, che premette: «I testi delle scuole misteriche eleusine non costituiscono una “prova”»; anche se attribuiti ad autori dell’antichità, «sono stati oggetto di più trascrizioni attraverso il medioevo e i secoli successivi, e non se ne possiedono più gli originali». Tuttavia, «non si può escludere che Platone, nelle sue narrazioni, faccia proprio riferimento alla regione di Hathlanthivjea». Tornando a Hancock, l’autore scozzese ha ragione quando sostiene che le riserve su Platone alludono al fatto che il filosofo abbia forse basato il suo racconto su un cataclisma molto più recente avvenuto nel Mediterraneo, come ad esempio l’eruzione di Thera (Santorini) attorno al 1500 avanto Cristo. «Ma si tratta di una visione miope e di convenienza, del resto ormai superata e surclassata dal pieno riconoscimento scientifico dell’impatto cometario del Dryas Recente», taglia corto Bizzi.Il concetto di un disastro globale verificatosi più di 11.000 anni fa, e in particolare l’idea eretica che esso abbia potuto spazzare via una grande civiltà evoluta esistente in quell’epoca, è sempre stato strenuamente respinto e ridicolizzato dall’archeologia “ufficiale”. Chiaro il motivo, dice Hancock: «Ovviamente gli archeologi dichiarano di “sapere” che non vi fu, e non avrebbe mai potuto esistere in nessuna circostanza, una civiltà altamente sviluppata in quel periodo. Lo “sanno” non grazie a prove inconfutabili che permettano di escludere l’esistenza di una civiltà tipo Atlantide nel Paleolitico Superiore, ma piuttosto basandosi sul principio generale che il risultato di meno di duecento anni di archeologia “scientifica” rappresenti una linea temporale accettata per il progresso della civiltà, che vede i nostri antenati uscire lentamente dal Paleolitico Superiore per entrare nel Neolitico intorno al 9.600 e da lì in poi evolvere attraverso lo sviluppo e il perfezionamento dell’agricoltura nei millenni successivi».Tirando le somme, a Bizzi sembra evidente che stiamo ormai assistendo alla fine dell’attuale “paradigma” e che la rivoluzione archeologica in atto sia ormai incontenibile e irreversibile. «È stato geologicamente provato, grazie alle ricerche condotte da numerose spedizioni oceanografiche, che vaste aree di quello che è oggi l’Atlantico Settentrionale si trovavano in stato di emersione, fino a circa 12.000 anni fa». E non solo: «Il fondale atlantico, proprio in quelle aree – che vanno dai Carabi fino alle Azzorre e a Gibilterra – è cosparso di rovine, di mura, di strutture piramidali e di veri e propri resti di città, estese anche numerosi ettari, con strade che si intersecano perfettamente ad angolo retto». Attenzione: «Stiamo parlando di strutture la cui origine non può essere assolutamente attribuita alla natura. Si tratta di opere dell’uomo realizzate in un’epoca ovviamente precedente alla sommersione di questi tratti di fondale. Sommersione che, grazie a campioni di tectiti, di fossili e di lava vulcanica prelevati dai fondali e opportunamente analizzati, è databile grosso modo al 9.600 avanti Cristo: guarda caso, si tratta della stessa data fornitaci da Platone in merito all’affondamento della “sua” Atlantide».Senza insistere necessariamente su Atlantide, conclude Bizzi, occorre prendere atto che di “Atlantidi” ne sono esistite numerose, in ogni angolo del globo. Quantomeno, sono esistite diverse “civiltà madri” precedenti alla nostra: «E ci hanno lasciato le loro testimonianze inconfutabili, dal Perù ai fondali dell’Atlantico, dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Amazzonia all’Indonesia, dal Pacifico all’Antartide». Mentre la gran parte dell’archeologia universitaria continua a tacere, rifiutando di accettare le logiche conclusioni delle ultime rivoluzionarie scoperte, «le prove scientifiche dell’impatto cometario del Dryas Recente», che decretò la scomparsa di quelle antiche civiltà, «costituiscono quello che in gergo poliziesco si chiama “pistola fumante”». Chiosa Nicola Bizzi: «La Storia è ormai da riscrivere, da riscrivere completamente, e non ci sarà “paradigma” che possa impedire di farlo».(Il libro: Nicola Bizzi, “Da Eleusi a Firenze. La trasmissione di una conoscenza segreta”, vol. 1, Aurola Boreale, 800 pagine, 35 euro).Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.
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Moiso: l’Anpi come CasaPound. Così tradisce la Resistenza
«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».Durissima la lettera aperta che Moiso rivolge alla presidente dell’Anpi, Carla Nespolo. Svolgere un ruolo di memoria storica, valorizzando e perpetuando la memoria della Resistenza? Continuare a lottare per la democrazia e contro ogni fascismo? Benissimo, ma «l’Anpi ha il dovere di farlo nel rispetto del suo statuto e dei valori della democrazia e della libertà». Invece, l’associazione partigiani «sembra aver smarrito la via tracciata nel suo statuto, che è democratico, liberale e inclusivo di tutte le realtà che hanno partecipato alla Resistenza». Ovvero: «Invece di rispettare la pluralità della lotta democratica e antifascista, vediamo l’Anpi schiacciata a sostegno delle posizioni di un solo partito, e incapace di elaborare un’analisi su quelle che sono le forme di ‘fascismo’ nel XXI secolo». È vero, ammette Moiso, il fascismo nero va combattuto. «Ma c’è un’altra serpeggiante forma di fascismo, ormai dominante: il cosiddetto fascismo bianco del mondo della finanza, spesso appoggiato dalla sedicente sinistra». Aggiunge Moiso: «Se è vero che fascismo vuol dire mancanza di democrazia, di libertà e di giustizia sociale, l’Anpi dovrebbe guardare al fascismo bianco del mondo finanziario e combatterlo senza quartiere».Per capire perché la lotta al “fascismo bianco” dovrebbe essere la priorità dell’Anpi, continua Moiso, basta vedere i rapporti dell’Ocse sull’incremento della povertà, nonché «la perdita di democrazia sostanziale all’interno di istituzioni sempre più sotto il controllo degli oligarchi del mondo finanziario». E’ un fatto: la deregolamentazione dello scambio di merci, servizi e capitali, visto che non è accompagnata da organi politici e giuridici sovranazionali, ha invertito il rapporto tra finanza e politica: così, «gli interessi commerciali di grandi gruppi sovranazionali stanno distruggendo il pianeta». Perché l’Anpi non vuole aprire gli occhi sull’unico, vero fascismo di cui oggi scontiamo le conseguenze? «Se l’Anpi decidesse di capire lo “zeitgeist” del nostro tempo – la lotta al neoliberismo – vedrei un futuro lungo e prospero per la tradizione della Resistenza». E invece, tutto si perde «in una lotta costantemente esasperata verso piccoli punti neri, o sedicenti tali». Di fronte alle sfide del XXI secolo, «stracciarsi le vesti per la pubblicazione di un libro su un ministro della Repubblica mi sembra assai dannoso per la memoria della Resistenza stessa», aggiunge Moiso, pensando all’ostruzionismo fascistoide che penalizza il volume di Chiara Giannini.«Quello che infanga davvero la memoria della Resistenza – scrive Moiso – è come l’Anpi oggi tradisca il suo statuto e i suoi valori, comportandosi con modalità antidemocratiche e illiberali, censurando e limitando la libertà di espressione». In altre parole: l’Anpi pratica il peggiore arbitrio, con un atteggiamento che ricorda sinistramente quello del Ventennio. «L’Anpi dovrebbe ricordarsi che i valori delle democrazie liberali, per definizione, si applicano a tutti i membri della collettività, a prescindere dalle loro convinzioni politiche, condivisibili o meno», aggiunge Moiso, nella sua lettera indirizzata a Carla Nespolo, ricordando che «l’antifascismo è un valore funzionale a garantire la democrazia liberale». In altre parole, «non si può perpetuare il valore dell’antifascismo a discapito di democrazia e libertà, perché altrimenti si corre il rischio di favorire nuove dittature: nel passato c’era il rischio del comunismo, oggi invece viviamo nella silente dittatura neoliberista». L’Anpi? «Sembra avere dimenticato che la lotta per libertà e la democrazia sono il fine dell’antifascismo: perché c’è differenza tra isolare e vietare, e c’è differenza tra il contestare e il mettere a tacere».Nella sua missiva a Carla Nespolo, il vicepresidente del Movimento Roosevelt ricostruisce il doppio incidente di Londra. La Lega e la casa editrice Altaforte, insieme a “Vortex Londinium”, avevano prenotato la London Metropolitan University per presentare il libro “Io sono Salvini”. Obiettivo: «Parlare di libertà di stampa e di parola, e denunciare come queste non siano state garantite nell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino». Il 25 luglio, prima che l’evento avesse luogo, l’Anpi Uk ha diramato una email per invitare i soci a “monitorare” l’incontro, chiedendo anche agli iscritti di prendere qualche iniziativa. «Da parte mia – spiega Moiso – ho risposto che ero stato invitato a intervenire in rappresentanza del Movimento Roosevelt, che ha come missione quella di diffondere e far applicare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Moiso si era prenotato per intervenire sul tema del diritto di espressione. «Ho detto all’Anpi inglese che sarei andato, da antifascista tra i fascisti, per parlare sì della libertà di espressione, ma anche del bisogno di abbandonare il fascismo e di perseguire lotte sociali in un contesto democratico». Fin qui, tutto bene. «Se l’Anpi avesse organizzato un contro-corteo, garantendo il diritto di espressione e parola – aggiunge Moiso – noi avremmo certamente aderito, mandando comunque qualcuno a provare a convincere quei giovani della bontà della causa democratica. Ma così non è stato».Dopo una serie di email, nelle quali si parlava della necessità di “difendere la democrazia e la libertà”, un quadro dell’Anpi – racconta Moiso – ha annunciato che «la cosa migliore da fare era quella di parlare con l’università per fare cancellare l’evento». Detto fatto: «Dopo pochi minuti è arrivata la comunicazione dell’università, la quale ha detto che per pressioni ricevute l’evento era annullato». E bravi i campioni democratici dell’Anpi, specialisti nell’imporre il bavaglio. Di fronte alle rimostranze di Moiso, l’esponente della sezione britannica dell’associazione partigiani «ha apertamente dichiarato che non temeva di essere considerato illiberale, se questo portava al blocco dell’iniziativa “fascista”». Non solo: sui canali Facebook dell’Anpi si è cantato vittoria per come l’iniziativa fosse stata fermata, benché «in maniera illiberale» e vagamente mussoliniana. «La cosa che sconcerta è proprio l’illiberalità dell’approccio», scrive Moiso alla presidente italiana dell’Anpi. «Nelle democrazie liberali non si silenzia nessuno. Nessuno si può ergere ad arbitro di ciò che può o non può essere detto. Le associazioni come l’Anpi devono spiegare perché il fascismo è un male. Il legislatore deve quindi impedire che soluzioni antidemocratiche abbiamo il sopravvento».Secondo Moiso, il comportamento dell’Anpi sembra viziato da un retaggio vetero-comunista e quindi antidemocratico, che «alla democrazia e alla libertà antepone il primato un sedicente antifascismo», a quanto pare autentico solo a parole e smentito puntualmente dai fatti. «Questo approccio antidemocratico e illiberale – accusa Moiso – è equivalente all’atteggiamento di “Vortex Londinium”», perfettamente simmetrico e speculare: il “niet” dell’Anpi è la fotocopia del “no” di CasaPound. A Londra, per presentare il “libro proibito” s’era comunque trovata una sala di ripiego. «Ci sono andato – racconta Moiso – e ho sentito la casa editrice Altaforte, la giornalista Chiara Giannini e l’esponente di “Vortex Londinium” parlare per oltre un’ora della necessità di tutelare la libertà di parola e la libertà di stampa», il tutto «tra gli scrosci di applausi da parte del pubblico». Logico, coerente. «Poi sono andato a parlare io, antifascista tra i fascisti», continua Moiso, intenzionato a «convincere quei ragazzi che, se si invocano la democrazia e i diritti umani, non possono farlo guardando all’eredità fascista». Quindi, l’incidente: «A metà discorso mi sono dichiarato membro dell’Anpi, scatenando la reazione del pubblico. Sono stato allontanato. Non mi è stato concesso di finire. Persone tra il pubblico, che fino a pochi minuti prima rivendicavano il diritto di parola e di espressione, mi hanno impedito di esprimere le mie idee».Il paradosso, osserva Moiso, è che «sia l’Anpi che “Vortex Londinium” (collegato a Casa Pound) predicano la libertà di espressione e di parola ma pensano che questa non valga per quelli che la pensano diversamente da loro». Attacca Moiso: «L’Anpi sembra ragionare come Casa Pound: entrambe le associazioni non si curano del principio liberale al diritto di parola ed espressione». La presidente Carla Nespolo non la vede, la contraddizione? «Bisogna combattere sul terreno della democrazia liberale, non ignorarne i principi in virtù di una presunta superiorità morale, disattesa dai fatti». Che vuol fare, l’Anpi? Intende continuare così, riducendosi a essere «solo una milizia ad uso e consumo di una specifica parte politica, invece che di tutte le tradizioni che hanno collaborato e lottato nella Resistenza per creare una società libera e democratica?». E vuole finalmente decidersi, l’Anpi, a riconoscere e denunciare «le moderne forme di fascismo, incluso il fascismo bianco del mondo finanziario, o preferisce continuare a denunciare solo il fascismo nero?». E nella lotta contro qualunque tipo di fascismo, «l’Anpi è capace di vivere secondo i principi che dichiara di voler difendere?».«Ritengo che l’Anpi stia tradendo il suo statuto». Lo afferma Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, messo a tacere e poi cacciato dalla platea londinese di CasaPound, a sua volta esiliata – grazie all’Anpi – dalla sede universitaria dove Chiara Giannini avrebbe dovuto presentare il libro-intervista “Io sono Matteo Salvini”. Volume già messo all’indice al Salone del Libro di Torino insieme alla sua casa editrice, Altaforte, estromessa dalla kermesse torinese. Il solito refrain: «Non avete il diritto di parlare, perché siete fascisti». Secondo round a Londra, il 25 luglio, quando Altaforte riprova a presentare il libro, stavolta nella capitale britannica. Ma la longa manus dell’Anpi arriva sin lì: e convince la London Metropolitan University a negare la sala, in extremis, all’associazione promotrice (“Vortex Londinium”, vicina a CasaPound). Al che, i giovani della nuova destra sociale ripiegano su una location secondaria. Moiso li raggiunge, e viene applaudito quando difende la libertà universale di parola. Ma appena spiega di essere lui stesso iscritto all’Anpi, viene zittito e costretto a lasciare la sala. Fantastico: CasaPound si è comportata esattamente come l’Anpi, che però è stata la prima ad aprire le ostilità. Moiso ovviamente non milita in CasaPound, ma nell’Anpi: per questo trova inaudito che proprio l’associazione partigiani d’Italia «agisca come CasaPound, nello stesso modo, e cioè togliendo la parola a chi la pensa diversamente».
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Perché Falcone e Borsellino saltarono in aria in quel modo
Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».Lo si è intuito, in modo atrocemente sanguinoso, osservando i retroscena inquinatissimi delle morti ravvicinate di Falcone e Borsellino. Dopo la seconda, in particolare, si cominciò a parlare di “trattativa Stato-mafia”. Affrontò il tema Vincenzo Calcara, uno dei pochi collaboratori di giustizia che possono veramente essere chiamati “pentiti”. «Il dottor Borsellino – scrisse, nel suo memoriale – era in possesso di verità scomode», di fronte alle quali «in tanti si devono vergognare per averlo lasciato solo al suo destino». Calcara era stato segnato dall’incontro col magistrato, che gli aveva cambiato la vita: una vera e propria redenzione morale. C’erano due piani alternativi per uccidere Borsellino, ricorda Franceschetti: il primo prevedeva l’uso di un fucile di precisione ed era affidato proprio a Calcara, mentre nel secondo caso – un’autobomba – il futuro pentito avrebbe svolto soltanto un lavoro di copertura. «Poi però da Palermo arrivò l’ordine, direttamente da Totò Riina: prima, avrebbe dovuto essere ucciso Giovanni Falcone». Così, Calcara riuscì a non uccidere l’uomo che, anni dopo, gli avrebbe salvato la vita, facendolo rinascere come essere umano. Ma Riina era veramente “il capo dei capi”, o invece era solo il “prestanome” di qualcuno molto più potente, protagonista occulto dell’infinita finita strategia delle tensione italiana?Lo stesso Riina affermò che Borsellino non sarebbe stato “condannato” dalla mafia, ma probabilmente da uomini dello Stato. E nel caso, perché mai? «Forse perché aveva capito che la cosiddetta “trattativa” non era altro che un accordo per realizzare un piano eversivo di destabilizzazione dello Stato, condotta da un “sistema criminale” composto da mafia, massoneria deviata e servizi segreti deviati?». Riguardo alla possibile manovalanza, alternativa o contigua a quella strettamente mafiosa, Solange Manfredi cita le dichiarazioni rese da un ex paracadutista della Folgore, Fabio Piselli, coinvolto nelle indagini sul rogo della nave “Moby Prince”. Una ricostruzione scioccante, che mette insieme la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, l’autobomba fiorentina di via dei Georgofili e la bomba romana di via Fauro. Italia fragilissima, all’epoca: Tangentopoli e passaggio cruciale dalla Prima alla Seconda Repubblica, sotto le forche caudine di Bruxelles, dopo aver spazzato via – a colpi di inchieste – l’intera classe politica. Decisivo, secondo Solange Manfredi, il ruolo nefasto di una sigla-fantasma ma onnipresente, in quegli anni: la Falange Armata.Esisteva dal 1985, sembra, ma compare per la prima volta soltanto il 4 gennaio 1991, quando a Bologna vengono uccisi tre carabinieri nel quartiere del Pilastro. L’ultima apparizione mediatica è del 27 novembre 1994, con il seguente comunicato: “Di Pietro è un uomo morto”. Di mezzo ci sono Falcone e Borsellino, le minacce a Di Pietro per le indagini su Craxi, un’autobomba scoperta a Roma in via dei Sabini a cento metri da Palazzo Chigi, il palagiustizia di Padova dato alle fiamme. Il 19 luglio ‘92, la Falange Armata rivendica l’attentato costato la vita a Borsellino. Un anno dopo, il 16 settembre del ‘93, la Procura di Roma individua in 16 ufficiali del Sismi i telefonisti che rivendicarono le azioni della fantomatica sigla terroristica. Cos’era, la Falange Armata? Secondo l’ex parà Fabio Piselli, «è stata una operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata da parte di un organo inquirente o ispettivo». In questo modo «ha raggiunto i propri obiettivi». Dopodiché “l’operazione” «è stata semplicemente conclusa», e i suoi “operativi”, di fatto, «hanno continuato a fare il proprio lavoro», dedicandosi ad altre mansioni e lasciando gli inquirenti impegnati a inseguire una falsa pista, cioè «una “organizzazione”, e non una semplice “operazione”».Risultato scontato: indagini finite in un nulla di fatto, «o con l’arresto di mere, ignare pedine, o di qualche povero innocente sacrificato per confondere gli inquirenti, il quale si è fatto qualche mese di galera ingiustamente e la cui vita è stata rovinata». Omicidi, rapine, attentati, sequestri. E poi: infiltrazioni in attività militari e politiche, trafugamento di armi dello Stato, addestramento di civili in attività militari. Ancora: spionaggio politico e militare, intercettazioni illegali, violazione e utilizzo del segreto d’ufficio, peculato, attentato alla democrazia. «E’ ciò che l’operazione Falange Armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori, attivati singolarmente o in piccole squadre», dice Piselli. E’ tutto? No, certo. Sulla “trattativa”, la prima indagine fu archiviata nel 2000 per decorrenza dei termini, ricorda Franceschetti, prima che Antonio Ingroia riaprisse il caso, su cui ormai si sono scritti fiumi di inchiostro. Quello di cui invece Franceschetti è rimasto l’unico a parlare, invece, è un dettaglio sfuggente: il ricorrere – veramente impressionante – delle stesse modalità simboliche che costellano i fatti di sangue “mediatici”, sia gli attentati terroristici che molti delitti in apparenza comuni, destinati alla semplice cronaca nera.Dopo anni di ricerche, Franceschetti ha individuato una “firma” ancora più elusiva di quella della Falange Armata: è la Rosa Rossa, specializzata in delitti rituali anche eccellenti, come quelli del cantante Rino Gaetano e del ciclista Marco Pantani. Personaggi da “punire” secondo lo schema – dantesco – della “legge del contrappasso”, attraverso modalità maniacalmente simboliche, a partire dai nomi dei luoghi (mai casuali) e delle date in cui i delitti si consumano. La morte come tragico cerimoniale, in cui si mette in scena – capovolgendolo – ciò che il malcapitato aveva rappresentato, in vita. Gaetano? Vittima di uno stranissimo incidente stradale, soccorso da una strana ambulanza e morto dissanguato dopo esser stato rifiutato da quattro diversi ospedali – esattamente come nella “Canzone di Renzo”, uscita postuma, in cui saranno gli stessi assassini a portare a spalle la bara. Pantani? Ucciso al residence “Le Rose” di Rimini. Accanto al corpo, un biglietto: “Oggi le rose sono contente, e la rosa rossa è la più contata”. A chi dava fastidio, Pantani? Al business del doping, che coinvolge potenti ambienti massonici: droghe prodotte nei laboratori di Big Pharma, testate sui ciclisti e poi immesse sul mercato (anche quello della guerra, destinate ai soldati).E Rino Gaetano? Nel brano “Nuntereggae più” cita Vincenzo Cazzaniga, storico percettore dei fondi neri Usa indirizzati alla Dc, mentre nella canzone “Mio fratello è figlio unico” menziona “il rapido Taranto-Ancona”, che poi le indagini sugli anni di piombo avrebbero rivelato essere “il treno delle spie”, usato dai servizi deviati per trasportare gli esplosivi destinati alle stragi nelle piazze. Secondo Franceschetti, neppure Falcone e Borsellino sono sfuggiti al lugubre copione simbolico del “contrappasso”: riferendosi all’inferno della Divina Commedia, «la persona da eliminare morirà secondo la logica di far patire alla vittima il “peccato” che questa avrebbe commesso». Un classico: «Molti dei testimoni del disastro di Ustica, il Dc-9 dell’Itavia abbattuto, moriranno in un incidente aereo». Lo stesso Fabio Piselli, testimone dell’incendio della “Moby Prince”, è caricato su un’auto che poi viene incendiata: doveva quindi morire in un rogo, anche lui. Oppure il caso del perito Luciano Petrini: stava facendo una perizia sulla strana fine del colonnello Mario Ferraro, del Sismi, trovato impiccato all’asciugamani del bagno. Ebbene, Petrini morirà a colpi di portasciugamani».La casistica esaminata da Franceschetti è davvero vasta. L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, che smascherava crimini di matrice esoterica, volò dal balcone: «Chi sale troppo in alto, viene gettato dall’alto». Le vie dei killer sono pressoché infinite: «Qualcuno può morire fulminato dalla corrente elettrica come il giovane contestatore siciliano Giuseppe Gatì, perché il fulmine simboleggia la folgore di Zeus che punisce la persona che ha osato troppo». E la chiave simbolica della spaventosa morte di Falcone e Borsellino, entrambi dilaniati dall’esplosivo? Tragicamente semplice: «Li hanno fatti letteralmente saltare in aria, perché quei due stavano per far saltare in aria il sistema parallelo che collega la mafia alla parte oscura del potere ufficiale». Falcone, innanzitutto, «doveva morire in Sicilia – e non a Roma, dove sarebbe stato più facile assassinarlo – perché proprio sull’isola si erano svolte le sue indagini: la regola del contrappasso esigeva quindi che morisse nella stessa terra ove aveva “peccato”». Inoltre, aggiunge Franceschetti, «doveva saltare in aria in modo eclatante, proprio perché voleva far saltare il sistema». Attenzione: «Falcone aveva capito che il fulcro del sistema criminale in Italia non è la mafia. E’ lo Stato. E sono le banche. Quindi doveva saltare in aria perché l’esplosione con cui muore fa da contrappasso all’esplosione che lui voleva assestare al “sistema”».Non è casuale neppure la scelta del luogo dell’agguato: «Falcone è morto a Capaci, a simboleggiare che chiunque sia “capace”, deve morire». La cosa può suonare ridicola, ammette Franceschetti, ma suggerisce di riflettere sul fatto che «stiamo parlando di un’associazione che non lascia nulla al caso, neanche i nomi delle persone che vengono messe in determinate posizioni di vertice politico, finanziario, o amministrativo». C’è anche dell’altro, dietro al nome Capaci: la cittadina prese il nome dalla parola “pace” (Capaci, “cca-paci”) per siglare la fine di una leggendaria punizione, la reclusione sulla vicina Isola delle Femmine di 13 fanciulle. Scoppierà una “pace”, dopo “l’attentatone” costato la vita a Falcone e alla sua scorta? «Esatto: non a caso, come risulta dalla sentenza sulla strage di via dei Georgofili (che riuniva in un solo processo ben sette stragi, commesse a Firenze, Milano e Roma) e dalla sentenza sul Capitano Ultimo, dopo la strage di Capaci venne avviata la famosa trattativa tra Stato e mafia, di cui si fece portavoce il generale Mario Mori, per raggiungere, appunto, la pace». Probabilmente, aggiunge Franceschetti, la morte così eclatante di Falcone «segna anche, simbolicamente, uno spartiacque tra il vecchio metodo di eliminazione dei magistrati (ucciderli) e quello nuovo (delegittimarli). Non più attentati, quindi, ma le cosiddette “armi silenziose per una guerra tranquilla”».La morte di Falcone simboleggia quindi una storica tregua? Fateci caso: dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la mafia siciliana sembra quasi non esistere più: finiscono in carcere Riina e Provenzano, imprendibili per decenni, dopodiché cala il silenzio. «Addirittura, l’allora procuratore antimafia Pietro Grasso è andato al “Maurizio Costanzo Show” a declamare gli immensi successi dello Stato sulla mafia», ormai ridotta – secondo lui – al lumicino. Ricapitolando, il simbolismo della strage di Capaci è: auto, esplosione, Isola delle Femmine, Capaci. «Il probabile significato: Falcone voleva far saltare il sistema (esplosione), quindi dal cielo (auto) arriva la punizione che lo fa saltare in aria; dopodiché dovrà scendere la pace, tra lo Stato e la mafia (Capaci). Così muoiono le persone capaci di arrivare al cuore del sistema». Non è tutto: «A firmare la strage, ci sono due elementi: il gruppo di mafiosi si era posizionato sulla collina vicino Capaci; e la collina si chiama “Raffo Rosso“, ove raffo in ebraico significa “Dio che guarisce”. RR, firma della Rosa Rossa». L’organizzazione di cui parla Franceschetti si ispirerebbe – in modo deformato e deviato – alla confraternita sapienziale inziatica dei Rosa+Croce? Eccola: «La moglie di uno degli agenti di scorta, la donna straziata che fece il famoso discorso ai funerali, si chiama Rosaria Costa: le iniziali, RC).E Borsellino? «Fu ucciso nello stesso modo, anzitutto perché aveva seguito le orme dell’amico. Poi perché anche lui, col Memoriale Calcara, aveva avuto notizie che erano in grado di far saltare il sistema». Non mancano ulteriori indizi simbolici: «Credo che un aspetto della simbologia della sua morte vada trovata anche nella via dove avvenne l’esplosione, via Mariano D’Amelio: un politico che fece leggi sulla magistratura. Chiaro il messaggio: la magistratura deve essere azzerata». Dopo quelle orrende mattanze, «inizialmente sembrò che la magistratura acquistasse più poteri, e che lo Stato volesse realmente fare la guerra alla mafia». Nacque infatti lo strumento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, e ci furono alcuni ritocchi al codice di procedura penale. «Ma poco dopo – aggiunge Franceschetti – arrivarono leggi che, di fatto, azzerarono il potere della magistratura riducendolo ad un formalismo vuoto, cosicché oggi l’80% dei reati cade in prescrizione, e per reati gravissimi vengono comminate pene ridicole». Sparì di fatto il reato di falso in bilancio, scomparve l’ergastolo per il reato di “attentato agli organi costituzionali”, si cercò di limitare le intercettazioni. Di fatto, dopo la morte di Borsellino, scattò «un’opera sistematica di demolizione dei poteri dei magistrati». Fantasie? Non esattamente, purtroppo.Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».
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Magaldi: dietro a Dugin (e Putin) c’è l’oligarchia più antica
Pensavate fosse amore, e invece era un calesse? Ma non serve ricorrere a Massimo Troisi per smontare la Quarta Via del filosofo Alexander Dugin, ideologo vicinissimo al Cremlino. Basta e avanza Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, di impronta keynesiana. Curiose coincidenze: Dugin gira l’Europa (e l’Italia) spacciando per nuovissima la sua ricetta obsoleta – il ritorno alla tradizione pre-democratica – proprio mentre Vladimir Putin, sul “Financial Times”, decreta il decesso del liberalismo. Messaggio di forza, da parte dell’autocrate russo? «Al contrario: dopo anni di ascesa costante, oggi il consenso di Putin è meno solido. E la sua uscita ricorda quella di Licio Gelli, che accettò di parlare al “Corriere” proprio alla vigilia del crollo della P2». Questo non significa che Putin stia per cadere. L’invito, semmai, è a leggere tra le righe: è davvero così invitante, la “democratura” di Mosca – magnificata da Dugin – dove i giornalisti vengono messi a tacere? Sul tappeto c’è davvero uno scontro geopolitico con l’Occidente, come ai tempi della guerra fredda? O per caso, invece, non sarebbe meglio inforcare gli occhiali giusti e ricordarsi che Putin, prima ancora che ai russi, risponde ai “fratelli” della Golden Eurasia, potente superloggia neoconservatrice nella quale milita anche Angela Merkel?
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Veneziani: all’Italia manca un’aristocrazia (dei meritevoli)
Prima gli ultimi. No, prima i nostri. No, prima loro, i migranti. No, prima i giovani, le donne, le quote rosa o delle altre categorie discriminate. La battaglia delle priority prosegue senza sosta e senza punto d’incontro. E se, più semplicemente, dicessimo “Prima i primi” ovvero chi ne ha diritto, perché è arrivato primo o per primo, cioè i capaci e i meritevoli, i migliori, chi ha i titoli, l’anzianità e le competenze? E se il problema italiano non fossero le élite ma la loro assenza e il loro mancato ricambio? Andiamo con ordine. Prima gli ultimi, dice Papa Francesco, e sul piano pastorale nulla da dire. Giusto soccorrere chi sta male, aiutare prima chi sta peggio; un cristiano non può eludere la carità. Ma adottare la priorità degli ultimi come criterio sociale di vita pubblica è una catastrofe. In verità il Vangelo di Matteo dice: «Beati i poveri in spirito perché di loro sarà il regno dei cieli»; non promette ai poveri il regno della terra e l’accoglienza ovunque. Tuttavia sul piano religioso la carità come dedizione personale e comunitaria è un grande valore. Ma se diventa criterio distributivo nella vita pubblica e metodo di selezione pubblica, allora le società si deteriorano, degradano verso il peggio. La stessa cosa vale se gli ultimi che diventano i primi sono i migranti e i profughi.Si può apprezzare l’intenzione morale, la tensione etica di questa apertura, ma in questo modo una società deperisce, subordina le esigenze reali e prioritarie di tutti cittadini a soddisfare i bisogni di chi viene da lontano. Nefasta è pure la logica delle quote riservate, pur se animata dalle migliori intenzioni: prima le donne, prima i giovani, prima le categorie deboli e protette. Ma la priorità di genere, d’anagrafe o di categoria contrasta con la meritocrazia, mortifica i titoli, le qualità, l’esperienza, il talento; considera solo i disagi, i fattori momentanei o le fragilità vere o presunte; non si pone dal punto di vista della comunità, delle ricadute sociali, ma solo dal punto di vista dei soggetti deboli da aiutare. Risarcisce le disparità passate, creando disparità presenti e future. Così pure fu la rottamazione dei seniores da parte di Renzi. Non basta essere giovani o non avere precedenti (penali e non solo), per essere preferibili; si può essere giovani e inetti, incensurati e incapaci, innocui e imbecilli. Gli esempi sono innumerevoli…Prima i nostri, o prima gli italiani, come dice Salvini (o America First di Trump), garantisce coesione sociale e solidarietà comunitaria, riconosce le identità e le appartenenze, dà valore alla cittadinanza. Ma può valere in alcuni ambiti primari, nelle modalità d’accesso all’assistenza, all’assegnazione delle case popolari, alle graduatorie per lavori generici o per necessità elementari. Ma è un metodo inadeguato di scelta nelle attività ad alta specializzazione o ad alta responsabilità o per selezionare competenze professionali, ruoli direttivi, ceti dirigenti. Non si può preferire “uno dei nostri” a “uno bravo”. Del resto, il degrado della nostra società, la discesa progressiva, inarrestabile, dei suoi livelli di qualità, la fuga all’estero delle energie più dinamiche e delle intelligenze più brillanti, confermano la decadenza delle classi dirigenti come una vera e propria catastrofe nazionale. E allora sorge l’indecente, scorrettissima, proposta: e se la priorità del nostro paese fosse individuare, formare, selezionare, una vera aristocrazia in tutti i campi del sapere e del lavoro?Da anni siamo infognati nella diatriba tra la Casta e la Massa. E se il problema non fosse contrapporre il popolo alle élite, o peggio le plebi alle oligarchie, ma riconoscere ciascuno secondo il suo rango, cioè le sue capacità, i suoi meriti e i gradi di responsabilità? Il problema non è abbattere le classi dirigenti, identificandole gramscianamente con le classi dominanti, o peggio con le classi sovrastanti, che vivono sopra le masse senza neanche guidarle; ma riattivare l’ascensore sociale, rigenerare la circolazione delle élite, come diceva Pareto; riaprire i ponti in entrata e in uscita, in modo che si proceda per selezione sul campo e non per cooptazione. Circolazione delle classi dirigenti, non circuiti chiusi. Nessuna società sopravvive alla morte o alla stagnazione delle élite. Nessuna società si autogoverna, il popolo ha bisogno di classi dirigenti, non caste chiuse e autoreferenziali ma aperte al ricambio e organiche al popolo.Riammettiamo la parola proibita: aristocrazie, non di sangue o di censo, né per trasmissione ereditaria di poteri e di possedimenti, ma premiando i migliori, riconoscendo le eccellenze in ogni settore.A formare le élite oggi non ci pensa lo Stato né la Scuola, l’Università, la Chiesa, i Partiti. A proposito, vi dice nulla che i quattro principali leader politici – Salvini, Di Maio, Zingaretti e Meloni – non siano nemmeno laureati? Certo, la laurea non è una garanzia di nulla, ma è una spia indicativa che i quattro principali leader non abbiano una laurea e una professione alle spalle. E infatti nessuno si batte per la meritocrazia né la pratica. All’Italia oggi mancano molte cose: la vitalità, la natalità, il coraggio di rischiare. Però manca una cosa che le precede: un’avanguardia di esempi, mille persone ai vertici degli ambiti decisivi, che siano da guida e da modello per tutti gli altri. I Mille. Non ci sono laboratori di formazione delle élite né in politica né in società, nella pubblica amministrazione o nelle imprese. E invece è necessario ripartire da lì, dalla rivoluzione delle élite. Dalle aristocrazie e dai luoghi di formazione. Prima i più bravi, vincano i migliori.(Marcello Veneziani, “All’Italia manca un’aristocrazia” dal numero 25/2019 di “Panorama”; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Prima gli ultimi. No, prima i nostri. No, prima loro, i migranti. No, prima i giovani, le donne, le quote rosa o delle altre categorie discriminate. La battaglia delle priority prosegue senza sosta e senza punto d’incontro. E se, più semplicemente, dicessimo “Prima i primi” ovvero chi ne ha diritto, perché è arrivato primo o per primo, cioè i capaci e i meritevoli, i migliori, chi ha i titoli, l’anzianità e le competenze? E se il problema italiano non fossero le élite ma la loro assenza e il loro mancato ricambio? Andiamo con ordine. Prima gli ultimi, dice Papa Francesco, e sul piano pastorale nulla da dire. Giusto soccorrere chi sta male, aiutare prima chi sta peggio; un cristiano non può eludere la carità. Ma adottare la priorità degli ultimi come criterio sociale di vita pubblica è una catastrofe. In verità il Vangelo di Matteo dice: «Beati i poveri in spirito perché di loro sarà il regno dei cieli»; non promette ai poveri il regno della terra e l’accoglienza ovunque. Tuttavia sul piano religioso la carità come dedizione personale e comunitaria è un grande valore. Ma se diventa criterio distributivo nella vita pubblica e metodo di selezione pubblica, allora le società si deteriorano, degradano verso il peggio. La stessa cosa vale se gli ultimi che diventano i primi sono i migranti e i profughi.
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Macché criptovaluta, Libra sarà soltanto la banca del web
Il progetto “Libra” lanciato dal Ceo di Facebook Mark Zuckerberg mostra paradossalmente il ruolo che gli Stati possono avere in campo monetario, e generalmente in economia. Tutti ora commentano la “moneta” di Facebook; pochi, si sono presi la briga di andare a vedere su cosa si basa. Se lo facessero scoprirebbero, ad esempio, che 1) è una moneta basata su asset reali e sulle obbligazioni, cioè sui vecchi e tradizionali bonds, che sono titoli basati sul debito; e dunque, tutta la baracca di Zuckerberg poggerà le sue basi su un preciso istituto giuridico. Infine 2) che Libra sarà moneta centralizzata e non decentralizzata, come ora Bitcoin, Ether e compagnia cantando. Le società fondatrici di Libra non stamperanno un tubo, neanche in modo virtuale. In pratica, creeranno un fondo che compra titoli di Stato ed altri asset per miliardi. Il consumatore che può fare? Si compra un tot di Libra, poniamo a titolo di esempio 1.000 euro nel corrispettivo in Libra, e così l’app di Facebook dedicata ti accredita la possibilità di pagare fino a 1.000 euro con i pagamenti che vorrai tu, anche solo di 3 euro, per dire. Accadrà allora che uno studente universitario con la app di Libra nello smartphone potrà con un clic pagare in Libra il suo compagno di stanza che ha fatto la spesa, oppure comprarsi qualche boiata nel circuito e-commerce, e così via. Anche ora si può fare, ma adesso dietro ci sono le banche. Dopo ci sarà Facebok e la sua banda.
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“Sciogliere CasaPound? Non per fascismo, ma per mafia”
L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».Nel 1973, continua Giannuli, Ordine Nuovo fu disciolto dopo una sentenza di primo grado che lo indicava come “partito fascista”. «La cosa suscitò molte perplessità in Aldo Moro, che era certamente antifascista ma era un giurista». L’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, come lui stesso ammise, «era cosciente di star facendo una forzatura ma decise ugualmente di farla, come misura politica». Un anno dopo toccò ad Avanguardia Nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie, «ma si era in un momento particolare, segnato da frequenti stragi e tentativi di colpo di Stato, ed è piuttosto improbabile – osserva Giannuli – che oggi un ministro dell’interno (anche a prescindere dalle sue idee politiche) possa decidere uno scioglimento dopo una sentenza solo di primo grado». Ammette lo storico: «La natura del reato è piuttosto sfuggente e offre molti appigli alla difesa». Anche se la XII disposizione dice che è vietata la ricostruzione del partito fascista “sotto ogni forma”, «sarebbe necessario ascoltare molte decine di testimoni (fra poliziotti, carabinieri, vittime di aggressioni, esperti)». Giannuli crede alla natura “fascista” di CasaPound sia dubitabile, ma sa che sul caso «si aprirebbe una discussione molto complessa e sicuramente non breve: un percorso di non meno 5 anni».Un consiglio ai firmatari dell’appello contro CasaPound? «Prendete carta bollata e penna ed andate alla Procura della Repubblica di Roma a depositare una denuncia per ricostituzione del partito fascista. Possibilmente firmate tutti la denuncia (presidente dell’Anpi, direttore di “Repubblica”, segretario generale della Cgil, segretario reggente di “Sinistra Italiana”) e curate prima un libro bianco con l’elenco degli episodi, i documenti, le foto, insomma le prove a supporto». Quello che per ora non viene aperto, continua Giannuli, è un procedimento penale a Roma contro l’occupazione irregolare dello stabile che ospita la sede nazionale del movimento guidato da Simone Di Stefano, candidato nel 2018 con un programma politico iper-sociale, apertissimo alle istanze di cui un tempo si sarebbe fatta portavoce la sinistra. Ma Giannuli resta ferocemente critico rispetto a CasaPound, e vorrebbe veder sopprimere il movimento. «Una denuncia a livello centrale, chiedendo di centralizzare tutte le inchieste periferiche – insiste – costringerebbe la magistratura a far qualcosa, magari decidere un’archiviazione di cui assumersi la responsabilità (ma non credo che ci sia un solo magistrato disposto a sfidare l’opinione pubblica in questo modo)».Peraltro, lo stesso Giannuli non ritiene che la strada della presunta “ricostituzione del partito fascista” sia quella più rapida e produttiva. «E non credo che la configurazione di CasaPound come gruppo fascista sia il profilo più esaustivo», ammette. Giannuli però non demorde: spera che contro CasaPound si possa impugnare l’articolo 416 bis, cioè – addirittura – l’associazione a delinquere di stampo mafioso. «In primo luogo – scrive – abbiamo un’impressionante serie di reati certissimi e reiterati: incitamento all’odio razziale, ripetute violenze private, intimidazioni. Ed è evidente – aggiunge – il vincolo associativo che collega i molti casi: sembra palese che non si tratti di azioni scollegate, e che è a CasaPound che esse fanno capo». Associazione a delinquere? Il problema, prosegue Giannuli, è come classificare l’associazione, se semplice o di stampo mafioso. «E qui ci sono diversi elementi da prendere in considerazione: i non infrequenti rapporti con alcuni clan romani, ma soprattutto l’uso del metodo intimidatorio». Sempre Giannuli ricorda che è esattamente sulla considerazione della valenza intimidatoria dei metodi d’azione delle organizzazioni degli imputati (anche in assenza di fatti di sangue) che la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto di poter applicare il 416 bis.L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».
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Ecatombe di alberi in ogni città: intralciano il wireless 5G
Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?Nella “smart city” Prato sono scesi in strada gli attivisti del comitato locale “Stop 5G”, cartelli in mano hanno accompagnato la chirurgica esecuzione mostrando slogan su un’ipotetica correlazione col wireless di quinta generazione: “Più alberi, meno antenne”, l’equazione sfilata in corteo pure nel “Friday For Future”. E’ successo così anche alle porte di Roma, dove il “Comitato Stop 5G Cerveteri” ha diffuso una nota in cui veniva chiesto al sindaco ceretano di chiarire sulla contestata demolizione. Alessio Pascucci, primo cittadino nella città della necropoli etrusca ma pure coordinatore nazionale di “Italia in Comune” (il cosiddetto partito dei sindaci fondato dal parmense Pizzarotti dove è iscritta anche una consigliera della Regione Veneto firmataria di una mozione Stop 5G), è uscito allo scoperto accusando di teorie complottiste, rettiliane e terrapiattiste i difensori dell’ecosistema che nell’“Internet delle cose” ipotizzano il mandante del sincronico abbattimento di alberi, annunciato persino in 60.000 unità a Roma dalla giunta Raggi. Mentre in Abruzzo, nell’intento di scongiurare il de profundis, le “Mamme Stop 5G” portano i loro figli nei prati per farli abbracciare agli alberi, manco fossero scudi umani nell’avanzata dell’intelligenza artificiale.Puntando su studi e consulenze d’esperti, l’inchiesta di “Oasi Sana” prova a gettare un po’ di luce, tra le ombre di una polemica che promette strascichi non solo in sedi amministrative locali. Interviste e documenti alla mano, ecco cosa ne viene fuori su alberi e 5G. Alla faccia dei negazionisti. Il nesso esiste eccome: tra natura e intelligenza artificiale, tra albero e 5G la convivenza è critica… uno dei due è di troppo! «L’acqua, di cui in genere sono ricchi gli alberi e le piante, assorbe molto efficacemente le onde elettromagnetiche nella banda millimetrica», sostiene Andrea Grieco, docente di fisica a Milano ed esperto dei problemi legati all’inquinamento elettromagnetico. «Per questo motivo costituiscono un ostacolo alla propagazione del segnale 5G. In particolare le foglie, con la loro superficie complessiva elevata, attenuano fortemente i segnali nella banda Uhf ed Ehf, quella della telefonia mobile. Gli effetti biologici sono ancora poco studiati, però alcune ricerche rilevano danni agli alberi e alle piante sottoposte a irraggiamento da parte delle Stazioni Radio Base (le antenne spesso sui tetti dei palazzi, Ndr)».Quindi il sillogismo è presto fatto: alberi = clorofilla = acqua. E le inesplorate microonde millimetriche dalle mini-antenne 5G (senza studio preliminare sugli effetti per l’uomo, nonostante le radiofrequenze siano possibili cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) trovano nell’acqua e negli alberi un ostacolo nel trasporto dati, non avendo il segnale del wireless di quinta generazione lo stesso campo elettrico né la stessa penetrazione a lungo raggio dei precedenti standard 2G, 3G e 4G. In pratica, l’albero funge da barriera. Le foglie dell’albero assorbono lo spettro di banda del 5G, impedendone l’ottimale ricezione del segnale emesso dalle mini-antenne!Un documento di 46 pagine dell’autorevole Ordance Survey (si tratta dell’ente pubblico del Regno Unito incaricato di redigere la cartografia statale) sulle pianificazioni geo-spaziali del 5G stilato come manuale d’uso per pianificatori e autorità locali dal Dipartimento per la digitalizzazione, cultura, media e sport, afferma che nelle strade urbane si deve prima di tutto «valutare se l’area ha un flusso di traffico significativo e in particolare autobus e camion», per poi considerare come il segnale del 5G possa essere impattato, cioè ostacolato, «identificando tutti gli oggetti significativi in genere», con altezza «oltre i 4 metri», quali (ad esempio) «pareti alte, statue e monumenti più piccoli, cartelloni pubblicitari» e (guarda caso) «alberi di grandi dimensioni e siepi alte», poiché arbusti, foglie e rami «devono essere considerati come bloccanti del segnale» del 5G al pari di materia solida (pietra e cemento).Se durante i test di valutazione ingegneristica sulla velocità di trasmissione del 5G condotti in particolari condizioni atmosferiche (neve, pioggia intensa) il colosso americano Verizon ha individuato nelle foglie sugli alberi un problema, sempre d’oltre Manica un altro documento (già pubblicato in esclusiva su “Oasi Sana”) conferma il nesso alberi e 5G. E’ dell’Istituto per i sistemi di comunicazione dell’Università britannica di Surrey a Guildford (Est Inghilterra) e dice come i «nuovi modi con cui le autorità di pianificazione locali possono lavorare con gli operatori di reti mobili per offrire enormi opportunità future per le comunità locali (…) è ridurre le altezze dei montanti mobili in modo che siano schermati visivamente da edifici e/o alberi, visto che gli alberi rappresentano l’ostruzione più alta e più probabile. Tuttavia, ciò scherma anche i segnali a radiofrequenza e ha sconfitto l’obiettivo di una copertura affidabile» del 5G. «Le curve tracciate nel diagramma – continua il testo redatto dai cattedratici – mostrano come all’aumentare dell’altezza dell’albero, sopra la linea di irradiazione della stazione radio base, aumenta anche quella che è noto come la ‘zona di Fresnel’ o perdita di ombre».Giungendo al dunque, infine, dall’Inghilterra vengono smascherati i conflitti tra alberi e 5G, ovvero cono d’ombra e segnale wireless sui lampioni della luce: «Per evitare questa perdita di ombreggiamento ed essere al di fuori della zona di Fresnel, è necessario che l’altezza dell’albero sia almeno 3 metri inferiore rispetto all’altezza della stazione di base». In definitiva, sia gli studiosi del 5G dell’Ordance Survey che quelli di Surrey a Guildford, convergono sullo stesso punto dicendo apertamente la stessa cosa: gli alberi con altezza ricompresa tra i 4 e i 3 metri sono un intralcio, un vero e proprio ingombro per la diffusione del segnale elettromagnetico del 5G che, irradiato dai lampioni della luce, non verrebbe recepito a terra dai nuovi Smartphone! Come anticipato dal fisico Andrea Grieco, che foglie e piante assorbano l’elettrosmog è risaputo. Lo certifica anche uno studio dell’americana Katie Haggerty che, sul giornale internazionale per le ricerche forestali, ha pubblicato gli esiti sull’influenza nociva delle radiofrequenze sulle piante. «Numerosi episodi si sono stati registrati in Nord America», deduce la ricercatrice, condotti esperimenti su piante schermate e non, irradiate da campi elettromagnetici.«La morfologia e il comportamento dei due gruppi esposti a radiofrequenza erano molto simili. Piantine non schermate e finte schermate avevano tessuto fogliare che variava di colore dal giallo al verde e un’alta percentuale di tessuto fogliare in entrambi i gruppi esposti mostrava lesioni necrotiche. Le foglie nel gruppo schermato erano sostanzialmente prive di lesioni del tessuto fogliare, ma le foglie non schermate e finte schermate erano tutte influenzate in qualche misura dalla necrosi del tessuto fogliare». In conclusione, oltre che per l’umanità, l’elettrosmog è pericoloso per ecosistema e piante. E gli alberi sono un intralcio al grande business del 5G. Certo, da qui a dire che tra Europa e America decine di migliaia di alberi siano stati sicuramente abbattuti per installare nuove antenne a microonde millimetriche ce ne passa, ma è un dubbio fondato e tutt’altro che azzardato su cui le istituzioni sono chiamate a chiarire. Responsabilmente. Senza inutili giri di parole. Anche perché la verità sarà nella prova dei fatti. Su quelle stesse strade senza più verde, spunteranno come funghi antenne 5G dai lampioni della luce?(Maurizio Martucci, “Ecatombe di alberi. Intralciano il wireless del 5G”, da “Oasi Sana” del 15 aprile 2019).Altro che potature programmate fuori stagione. Un abbattimento di alberi per le strade di mezzo mondo. Una vera e propria strage di verde pubblico è in corso in Occidente. Roba mai vista prima d’ora, se non altro per l’anomala sincronicità nell’esecuzione dei tagli: Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Olanda, America e pure Italia. Decine di migliaia di alberi (anche secolari e rigogliosi) tagliati con disinvoltura alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, tra gli interrogativi dell’opinione pubblica e le proteste di chi, sgomento per l’anomala coincidenza, s’interroga sui risvolti meno evidenti spingendosi alla ricerca di verità occulte. Dietrologia? A placare gli animi non bastano le relazioni tecniche di agronomi che (legittimamente) certificano malattia e morte naturale di arbusti, fogliame e rami. Perché il problema non è tanto (e solo) saperne di più sullo stato delle piantumazioni abbattute, ma capire se esiste un motivo più subdolo e soprattutto se in tutto questo ci sia una regia nell’esecuzione: perché decine di migliaia di alberi sono stati abbattuti tutti insieme, proprio adesso? Anche in città distanti decine di migliaia di chilometri l’una dall’altra? In Europa come in America?