Archivio del Tag ‘Unione Europea’
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Tuis: il potere dei gesuiti, gli 007 del nuovo ordine mondiale
«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.«Anche tra i gesuiti si contano ovviamente molte ottime persone», ammette Tuis, intervistato a “Border Nights”, «ma la struttura ha avuto un ruolo essenzialmente negativo, nella storia: la congregazione resta un soggetto decisamente pericoloso, non a caso espulso per 70 volte da vari Stati». Rapporti difficili anche con il Vaticano: Papa Clemente XIV soppresse l’ordine religioso nel 1773. «I gesuiti erano nati come braccio speciale della Chiesa per sostituire i domenicani, politicamente poco duttili», spiega Gianfranco Carpeoro, autore di saggi che illuminano oscuri retroscena in cui convivono Chiesa e massoneria, come nel caso dell’origine del fascismo. «Poi però sempre i geusiti divennero anche scomodi, quando – dopo la conquista del Sudamerica – si accorsero che gli indigeni erano migliori, come uomini, dei “conquistadores” cristiani». Lo ricorda lo stesso Tuis, autore del libro “Gesuiti” appena pubblicato da Uno Editori: «In Paraguay i gesuiti si schierarono con il popolo anche pagando con la vita la loro scelta». E’ di ispirazione gesuitica la “teologia della liberazione”, per l’emancipazione popolare dell’America Latina. Era gesuita lo stesso cardinale Martini, in prima linea contro le guerre. Ma la Compagnia di Gesù resta ambivalente: Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice gesuita della storia, ha firmato il saggio “Questa economia uccide” ma in Argentina è stato accusato di complicità con i carnefici della dittatura militare, quella dei “desaparecidos”.Riccardo Tristano Tuis non crede a Papa Francesco: «Nonostante la parte che recita, fa il gioco del potere: il suo impegno a favore dei migranti fa parte del progetto globalista che prevede anche l’islamizzazione dell’Europa a spese della fede cristiana, verso un’ipotetica religione unica mondiale». Il suo libro è chiaro, negli intenti, fin dal sottotitolo: «L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale». Già autore de “L’aristocrazia nera”, ovvero «la storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia», Tuis racconta l’intreccio che – fin dall’origine – lega Ignazio di Loyola a potenti famiglie romane come quella dei Borgia. La missione dell’ordine: forgiare dei veri e propri 007, in grado di infiltrare qualsiasi ambiente politico e religioso, puntando al controllo del potere. Un progetto con un retroterra segreto, risalente ai Templari e da «ordini e consorzi di famiglie ancora più antiche». Nacquero così «agenti segreti con licenza di uccidere», pronti a operare clandestinamente sia nei paesi cristiani che in quelli protestanti o anglicani, «al punto che ai nostri giorni i servizi segreti deviati europei, nordamericani, del Commonwealth e d’Israele sono delle espressioni di un’unica regia: il Siv, cioè i servizi segreti del Vaticano», quelli irrintracciabili su Wikipedia.«L’alta finanza, le più grandi banche del mondo e il cartello bancario che ha dato vita al moderno signoraggio bancario – sostiene Tuis – sono il prodotto della millenaria opulenza e forza della Chiesa di Roma, che proprio grazie ai gesuiti dall’Ottocento in poi ha in mano l’economia globale attraverso le famiglie dei banchieri internazionali ai cui vertici ci sono i guardiani del tesoro papale: i Rothschild». Il libro di Tuis indaga «sull’oscuro mondo delle società segrete e dei circoli magici di matrice satanico-luciferina e cristiana», scoprendo «le loro reciproche e insospettate connessioni attraverso i gesuiti di alto livello, gli “incogniti superiori del 4° voto” che muovono anche le fila dei potenti e stratificati ordini cavallereschi», vale a dire i Cavalieri di Malta in Europa e i loro corrispettivi americani, i Cavalieri di Colombo. Insieme alla massoneria internazionale, questa galassia di poteri “invisibili” dà vita «all’esercito di grigi burocrati dell’Unione Europea e del Congresso americano, che promuovono la criminale operazione su vasta scala denominata Agenda 21».Il libro si addentra in specifici eventi storici: «Due più famosi dittatori europei, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, sono saliti al potere grazie ad operazioni clandestine dei gesuiti e degli Illuminati, che da secoli lavorano a fianco a fianco nell’instaurazione della secolare agenda mondialista “La Nuova Atlantide”, meglio conosciuta come Nuovo Ordine Mondiale». A un ex gesuita, racconta Tuis a “Border Nights” si deve l’invenzione della ghigliottina: atroce simbolo del Terrore francese, d’accordo, ma pur sempre «un modo per ridurre la sofferenza del condannato». Dai gesuiti sono nate eccellenze assolute in ogni campo, compreso quello scientifico: è la Compagnia di Gesù a gestire il potente osservatorio astronomico di Mount Graham, in Arizona. Alieni in arrivo? Meglio chiamarli “fratelli dello spazio”; nel caso un giorno atterrassero, disse il direttore del centro, perché non battezzarli? Conoscenza, segreti, informazioni riservate. «L’archivio dei gesuiti a La Spezia – dichiara Tuis – è vasto almeno quanto quello della Cia».Sanno tutto di tutti? Dossier, schedature minuziose? «Per quello nacquero: furono loro a fondare la prima intelligence della storia». Il libro di Tuis è un’indagine sul lato meno trasparente del potere, il più insospettabile: sul web circola liberamente il testo di un famigerato giuramento, in cui il novizio – nel ‘500 – si impegna anche ad uccidere, nel caso, e comunque a eseguire qualsiasi ordine senza discutere, “perinde ac cadaver”. Leggende? Purtroppo no, sostiene Tuis: «Oggi la vera battaglia è condotta nel campo dell’informazione: il mainstream deforma sistematicamente la verità. La controinformazione è fondamentale, e il potere la teme». Dietro allo speaker del telegiornale c’è spesso un politico, collegato a influenti soggetti economici. Quello che sfugge è che “tutte le strade”, o almeno molte, portino a Roma, dove il potere di quel network sarebbe esteso oltre l’immaginabile. «Non è un caso se l’aggettivo “gesuitico” ha assunto una connotazione negativa: indica qualcosa di falso e insincero, ipocrita, ma al tempo stesso raffinato e coltissimo. I gesuiti hanno una visione precisa del mondo, la loro. Arrivano dovunque, sono lì da mezzo millennio: non sarà facile fermarli».(Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “I Gesuiti. L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle Banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale”, Uno Editori, 264 pagine, euro 14.90).«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni del Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.
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Stalinismo e 5 Stelle: il partito bara, ma ha sempre ragione
Il partito ha sempre ragione. Se sbaglia si ha l’obbligo religioso di tacere, per non danneggiare la sua lunga marcia. Teoria e pratica dello stalinismo, oltre mezzo secolo dopo la morte di Stalin e la dolorosa destalinizzazione avviata da Khrushev (e a ruota, da tutti i partiti comunisti del mondo). Il partito è sacro, la sua parola è legge. La sua missione va oltre la politica, prevede una palingenesi dell’umanità. Guai, quindi, a chi osa contestarne l’illuminata guida: sarà espulso, condannato, bollato a vita come come un volgare traditore, magari anche diffamato come opportunista e in ogni caso isolato, alla stregua di un appestato. Gli iscritti assisteranno impassibili al rituale di lapidazione, al sacrificio pubblico, cercando di non domandarsi se per caso la vittima non avesse qualche ragione. E senza mininamente sospettare che quello stesso destino, che oggi tocca al malcapitato di turno, domani potrebbe travolgere ogni altro membro del club. Nell’Unione Sovietica delle fucilazioni sommarie era in gioco la vita, mentre nel movimento fondato da Grillo e Casaleggio si rischia al massimo la pubblica gogna dell’ostracismo. Il meccanismo però è analogo: la platea degli iscritti non deve solo tacere, approvando in silenzio il verdetto del vertice; deve anche assistere alla cerimonia, drammaticamente istruttiva: chi rifiuta il dogma teologico del partito perde ogni dignità politica.La dannazione è la sorte che il cattolicesimo medievale riservava agli eretici. Su di essi veniva fatta calare una maledizione, a scopo intimidatorio: era pericoloso anche solo rievocarne la memoria. Certe strutture gerarchiche utilizzano deliberatamente il metodo brutale dell’Inquisizione: il silenzio-assenso generale di fronte alla violenza del verdetto è il cemento con cui si costruisce un potere autoritario, che – dall’indomani – potrà contare sull’assoluta impunità del vertice, sempre investito (per autodefinizione) di una missione superiore, altissima, quasi mistica, certo non sindacabile dai comuni mortali, quantunque aderenti fin dall’inizio al sacro patto escatologico verso la Terra Promessa. L’ostinato silenzio dei dirigenti dell’Ottobre – muti, di fronte ai fulmini che si abbattevano su di loro, uno alla volta – rese più facile, al dittatore, eliminarli tutti, uno dopo l’altro. Si tratta di un principio duro a morire, anche se la pratica democratica dell’aborrita e corrotta partitocrazia, in Italia e nel mondo, ha comunque evitato il ripetersi della fenomenologia staliniana. Se i partiti della Prima Repubblica vivevano di correnti in perenne lotta tra loro, quelli della Seconda hanno comunque celebrato congressi e primarie, dando vita a dinamiche di aperta concorrenzialità interna: Bossi e Maroni, Berlusconi e Fini, Bersani e Renzi. Col Movimento 5 Stelle, attraverso il totem della Rete (controllata dall’onniveggente Casaleggio) si è tornati all’antico: “uno vale uno”, in teoria, ma alcuni sono “più uguali” degli altri.In modo quasi unanime, i meriti dei 5 Stelle sono considerati indiscutibili, nell’aver aggregato milioni di italiani attorno alla speranza di un mondo migliore. L’impegno: leggi da riscrivere da cima a fondo per ridisegnare una comunità socio-economica unita dal bisogno di valori condivisi. Fin dall’inizio, ingenerosamente, c’è chi ha considerato il Movimento come un mero “gatekeeper”, uno sfiatatoio del dissenso abilmente allestito al solo scopo di canalizzare la rabbia della società verso obiettivi innocui per l’establishment. Qualcuno si stupisce se Di Maio “sbianchetta” il programma elettorale dei 5 Stelle, laboriosamente assemblato con il lavoro collettivo degli iscritti? Eppure è lo stesso Di Maio che ha sparato contro “la massoneria” dopo aver bussato ai santuari massonici della finanza di Londra e di Washington, rassicurandoli sulle sue reali intenzioni. E’ lo stesso Di Maio che non ha fatto barricate contro l’obbligo vaccinale della legge Lorenzin, che non ha mai detto una parola chiara sull’euro, e che oggi si rivolge con disinvoltura al Pd dopo averlo definito abominevole, disgustosamente corrotto e mafioso, catastrofico per l’Italia.Non è Di Maio, a fare notizia, ma il perdurante silenzio-assenso dei grillini. Se le circostanze lo richiedessero, lo stesso Di Maio verrebbe rottamato all’istante. L’importante, per i sovragestori, è che – ancora e sempre – la platea approvi, ribadendo che il partito ha sempre ragione. I dirigenti stalinisti dei vari partiti comunisti europei erano leggendari per la loro celebrata doppiezza, spacciata per acume machiavellico: il dire il contrario di quello che si pensava era contrabbandato per sopraffina virtù. Un’astuzia genialmente tattica, in vista delle “magnifiche sorti e progressive”. Un riverbero di questa pratica, fondata sulla non-trasparenza, lo si è percepito nelle parole di Beppe Grillo di fronte al tragicomico infortunio del tentato trasloco, al Parlamento Europeo, nelle file degli ultra-euristi dell’Alde: come se i 5 Stelle fossero stati agenti speciali sotto copertura, un temibile cavallo di Troia introdotto tra le schiere nemiche. La “rete”, naturalmente, era stata lasciata all’oscuro della manovra. Del resto, quanto contino davvero gli iscritti lo di vede anche dall’assoluta tranquillità con cui Di Maio ne ha “bonificato” il programma.Segnali di ribellione? Non pare. Il sistema, del resto, funziona benissimo. I 5 Stelle sono il primo partito italiano. I parlamentari, selezionati via web a volte con poche decine di voti. E impegnati a pagare di persona una multa, nel caso cambiassero casacca. E’ aberrante? Di nuovo: la notizia non sta nel diktat, ma nella sua accettazione – un vulnus costituzuionale subito dai candidati e approvato dalla base, che immagina di controllarli, evidentemente non fidandosi completamente di loro. Giornalisti e commentatori, che per anni di sono esercitati nella più gratuita denigrazione del Movimento 5 Stelle, oggi tendono a incensare Luigi Di Maio come abile tattico, dimenticando di averne ripetutamente denunciato le fragilità, le incertezze, l’impreparazione. Meno è autorevole, un politico, e più è facilmente manovrabile. I caimani dell’Europa finanziaria guardano all’Italia con inquietudine, temendo che da uno dei maggiori contraenti fondativi dell’Unione Europea possa scoccare la scintilla del cambiamento, la messa in discussione dello status quo fondato sul rigore, il rifiuto del pareggio di bilancio. Possono continuare a dormire sonni tranquilli, sembra avvertirli lo “sbianchettatore” Di Maio: con lui al governo, niente di sostanziale cambierebbe. Con buona pace dei quasi 11 milioni di italiani che l’hanno votato.Il partito ha sempre ragione. Tu non sai perché, ma lui sì. E se sbaglia hai l’obbligo religioso di tacere, per non danneggiare la sua lunga marcia. Teoria e pratica dello stalinismo, oltre mezzo secolo dopo la morte di Stalin e la dolorosa destalinizzazione avviata da Khrushev (e a ruota, da tutti i partiti comunisti del mondo). Il partito è sacro, la sua parola è legge. La sua missione va oltre la politica, prevede una palingenesi dell’umanità. Guai, quindi, a chi osa contestarne l’illuminata guida: sarà espulso, condannato, bollato a vita come come un volgare traditore, magari anche diffamato come opportunista e in ogni caso isolato, alla stregua di un appestato. Gli iscritti assisteranno impassibili al rituale di lapidazione, al sacrificio pubblico, cercando di non domandarsi se per caso la vittima non avesse qualche ragione. E senza minimamente sospettare che quello stesso destino, che oggi tocca al malcapitato di turno, domani potrebbe travolgere ogni altro membro del club. Nell’Unione Sovietica delle fucilazioni sommarie era in gioco la vita, mentre nel movimento fondato da Grillo e Casaleggio si rischia al massimo la pubblica gogna dell’ostracismo. Il meccanismo però è analogo: la platea degli iscritti non deve solo tacere, approvando in silenzio il verdetto del vertice; deve anche assistere alla cerimonia, drammaticamente istruttiva: chi rifiuta il dogma teologico del partito perde ogni dignità politica.
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Streeck: sovranismo progressista, contro l’élite globalista
Secondo il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, i paesi a economia matura hanno di fronte tre precise tendenze, a lungo termine: un declino persistente del tasso di crescita, un aumento costante del debito (pubblico, privato e totale) e un’esplosiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Queste tendenze sono tra loro legate, spiega Nicolò Bellanca su “Micromega”: la bassa crescita, intensificando il conflitto distributivo, accentua la disuguaglianza tra i gruppi, mentre a sua volta la disuguaglianza, abbassando la domanda effettiva, riduce la crescita. Di conseguenza il settore finanziario si espande ulteriormente per allargare il credito dei gruppi che più subiscono la disuguaglianza, ma – restringendo l’economia reale e le sue possibilità occupazionali – la stessa finanza approfondisce gli squilibri sociali. Allarme rosso: gli alti livelli di debito innalzano il rischio di crisi finanziarie, che a loro volta – moltiplicando le posizioni debitorie più vulnerabili – accentuano le disparità e rallentano la crescita, e così via. Storia: a circa 250 anni dalla rivoluzione industriale, osserva Bellanca, si sono estremamente affievolite le forze sociali e politiche di contrasto al capitalismo, tra le quali la religione, il socialismo, il nazionalismo e la democrazia. «Il punto è di cruciale importanza, poiché un capitalismo senza oppositori viene lasciato ai suoi meccanismi interni ed è incapace di autolimitarsi».Tutti ci accorgiamo, sottolinea Streeck, che oggi nessuna formula politico-economica, di destra o di sinistra, fornisce un coerente sistema di regolazione al capitalismo. Ma questo succede non tanto per l’assenza di idee progettuali o di leader carismatici, come spesso sentiamo lamentare, bensì «perché nessun intervento riformatore dell’economia può essere efficace se le istituzioni non-economiche sono quasi estinte: non si può curare una malattia in mancanza degli anticorpi». Per Streeck, il capitalismo è ormai ingovernabile per l’attenuarsi dei vincoli che furono in grado di contrastarlo e contenerlo. «Nei momenti cruciali della sua storia, sono state le forze di opposizione a stabilizzare il capitalismo in quanto società: movimenti di classe, etnici o di genere hanno animato i contropoteri della società; movimenti regionali, nazionali o religiosi hanno preservato la coesione sociale; gli Stati socialdemocratici del benessere e i sindacati di massa hanno assicurato una domanda sufficiente nella sfera economica, così come la legittimazione della riproduzione sociale. Il capitalismo vive finché non diventa “puro”, ossia finché non espelle dalla società le forze non-economiche in grado, trattenendone la spinta espansiva, di proteggerlo da sé stesso».Questa tesi non appartiene soltanto a Streeck, rileva Bellanca. In ambito marxista, Rosa Luxemburg sostiene che senza una ulteriore frontiera da valicare, l’accumulazione capitalista s’inceppa. Karl Polanyi aggiunge che nel capitalismo circolano delle “merci fittizie” – il tempo, la natura, il denaro e il lavoro umano – le quali vengono distrutte, o rese inutilizzabili, se affidate alle compravendite mercantili: poiché il capitalismo abbisogna di queste “merci”, deve accettare che siano regolate in maniera non-mercantile, e deve quindi ammettere un proprio limite. Secondo Streeck, la versione neoliberista del capitalismo ha avuto “troppo successo”, colonizzando l’intero mondo della vita e quasi azzerando le controspinte socio-politiche. Smentito il pregiudizio marxista, secondo cui il capitalismo si chiuderà soltanto quando sarà pronta una società migliore, promossa da un soggetto rivoluzionario. «Data la frammentazione dei movimenti antagonisti, manca un gruppo sociale che possa orientare progettualmente la società. Lo scenario futuro più probabile sarà quello in cui il collasso capitalista non sarà seguito dal socialismo, bensì da un periodo di entropia».Per Bellanca, la prognosi di Streeck non è sempre persuasiva, dato che «discute il futuro del capitalismo senza alcun riferimento al luogo in cui il futuro del capitalismo sarà sicuramente deciso: l’Asia». Se non altro, «il suo atteggiamento non scivola nel fatalismo e nell’impotenza politica». Piuttosto, lo studioso tedesco puntualizza: non tutte le maniere con cui attraversare il prossimo “interregno” saranno equivalenti. A suo parere, almeno uno dei fattori non-capitalisti potrà ancora costituire un valido baluardo di resistenza, per i lavoratori e per i cittadini: lo Stato-nazione. «Nel mondo reale, non c’è democrazia al di sopra dello Stato-nazione, ma solo grande tecnocrazia, grandi capitali e grande violenza. I regimi politici capaci di rappresentare gli interessi delle classi subalterne, dei gruppi discriminati e delle popolazioni locali nel mondo si sono formati – quando ciò è avvenuto – soltanto all’interno del perimetro della sovranità statuale». Pertanto, aggiunge Streeck, il rilancio dello Stato politico come Stato sociale democratico potrà costituire uno strumento per temperare e, in parte, regolare la furia del capitale. E mentre il sovranismo di destra si scaglia contro i migranti in nome dell’etnia e rivendica la chiusura delle frontiere, Streeck indica alla sinistra un percorso strategico nel quale la leva del sovranismo progressista contrasti la tirannia “illuminata” di Bruxelles e affronti il tema di come uscire dal totalitarismo globalista.«I neoliberisti – scrive – hanno convinto tanti a sinistra che oggi il solidarismo internazionalista comporta che i lavoratori dei vecchi paesi industrializzati lascino competere sui loro posti i lavoratori delle aree più povere del pianeta. Invece il solidarismo ha significato e significa che i lavoratori si organizzano assieme per impedire al capitale di contrapporre gli uni agli altri in mercati “liberi”, ossia non regolamentati». Su questo terreno, che Bellanca definisce «del sovranismo democratico-costituzionale», la previsione di Streeck s’incontra con quella dell’economista di origine serba Branko Milanovic, secondo cui «i conflitti tra le classi all’interno dei paesi accresceranno, in termini relativi, la loro importanza nel prossimo futuro». Lo stesso Streeck aggiunge che le battaglie dentro e mediante gli Stati-nazione saranno, nel tempo che ci aspetta, l’orizzonte politico meno inefficace e più vicino ai bisogni dei lavoratori e dei cittadini. «Questa coppia di previsioni – conclude Bellanca – presenta implicazioni politiche molto precise per la sinistra da ricostruire».Secondo il sociologo tedesco Wolfgang Streeck, i paesi a economia matura hanno di fronte tre precise tendenze, a lungo termine: un declino persistente del tasso di crescita, un aumento costante del debito (pubblico, privato e totale) e un’esplosiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Queste tendenze sono tra loro legate, spiega Nicolò Bellanca su “Micromega”: la bassa crescita, intensificando il conflitto distributivo, accentua la disuguaglianza tra i gruppi, mentre a sua volta la disuguaglianza, abbassando la domanda effettiva, riduce la crescita. Di conseguenza il settore finanziario si espande ulteriormente per allargare il credito dei gruppi che più subiscono la disuguaglianza, ma – restringendo l’economia reale e le sue possibilità occupazionali – la stessa finanza approfondisce gli squilibri sociali. Allarme rosso: gli alti livelli di debito innalzano il rischio di crisi finanziarie, che a loro volta – moltiplicando le posizioni debitorie più vulnerabili – accentuano le disparità e rallentano la crescita, e così via. Storia: a circa 250 anni dalla rivoluzione industriale, osserva Bellanca, si sono estremamente affievolite le forze sociali e politiche di contrasto al capitalismo, tra le quali la religione, il socialismo, il nazionalismo e la democrazia. «Il punto è di cruciale importanza, poiché un capitalismo senza oppositori viene lasciato ai suoi meccanismi interni ed è incapace di autolimitarsi».
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Il vero motivo della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova
Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.Missione compiuta, si direbbe: dopo Seattle, Praga e altre fiammate, a Genova nel luglio del 2001 è stato letteralmente soppresso «il primo movimento di protesta, nella storia dell’Occidente, capace di mobilitarsi in modo disinteressato, cioè senza più difendere singole cause territoriali, nazionali o di categoria, ma schierandosi in modo permanente a tutela dei diritti dell’umanità, in ogni continente». Lasciata l’intelligence Usa (l’agenzia resa tristemente celebre dallo scandaloso “datagate” spionistico del governo Obama), Madsen è divenuto un fiero accusatore di un sistema manipolatorio che a Genova, dice, richiedeva un preciso tributo di sangue: la morte di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” dei ragazzi inermi nella scuola Diaz (col pretesto di bombe molotov introdotte dagli stessi agenti) e poi l’incubo delle torture inflitte ai “prigionieri” nella caserma di Bolzaneto. Tutta quella violenza barbarica sembra portare la stessa “firma” della mano segreta che, di lì a un paio di mesi, avrebbe pilotato l’immane attentato delle Torri Gemelle a New York, dando inizio alla “guerra infinita” contro il “terrorismo”. Un nome? Il massone “controiniziato” George W. Bush. Esponente, secondo Gioele Magaldi, della “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”. La costola più nera e tenebrosa dell’élite globalista, formata da “signori della guerra” che «non hanno esitato a reclutare, tra i loro affiliati, prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi».Da Al-Qaeda all’Isis, stesso copione (opaco) del terrore, scatenato contro civili, polizia e militari – ma non all’insaputa di precisi settori dell’intelligence. Prove? «Dispongo di 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi, autore del saggio “Massoni”. «Entro due anni certe carte verranno rese pubbliche», afferma Gianfranco Carpeoro, che ha firmato il volume “Dalla massoneria al terrorismo”, fornendo anche – insieme allo stesso Magaldi – un’accurata lettura della simbologia non certo islamica, ma “templare”, del recentissimo terrorismo targato Isis che ha insanguinato l’Europa a cominciare dalla Francia. Identico lo stile degli attentati: colpire nel mucchio, sparare sulla folla per terrorizzare tutti (e rendere accettabili le leggi d’emergenza, sul modello del Patriot Act statunitense disegnato per confiscare libertà e diritti). Genova? Una pietra miliare: il Rubicone varcato da un potere globalista “medievale”, neo-feudale, smisuratamente avido e bugiardo, estremamente feroce. Lo sostiene Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”. Una vera e propria confessione: «Mesi prima, per la tragica “riuscita” di quel G8 – dice – la Nsa mise a disposizione 1.500 funzionari, e a Genova (oltre alla polizia italiana) c’erano 700 agenti dell’Fbi».Nessuno lo sapeva, all’epoca, ma tutti videro lo stesso spettacolo: i reparti antisommossa si accanivano contro manifestanti inermi, ignorando deliberatamente i famosi “black bloc” spuntati dal nulla, liberi di devastare impunemente la città. I “neri” colpivano i loro obiettivi e poi si disperdevano rapidamente tra i vicoli. «E’ una tattica di guerriglia insegnata nelle scuole Nato: si chiama “swarming”», afferma – sempre nel libro di Fracassi – il generale dei paracadutisti Fabio Mini, già comandante della missione atlantica Kfor in Kosovo. «Esistono precise strutture – rivela Mini – in grado di far affluire in piena sicurezza centinaia di persone, da tutta Europa, senza il rischio di subire controlli alle frontiere, neppure dopo l’evento». Lo strascico del G8 di Genova è ancora fatto essenzialmente di rabbia e di dolore: le vittime denunciano omissioni e indulgenze, il nuovo capo della polizia (che ha preso le distanze da De Gennaro) giura che, oggi, simili episodi non potrebbero più ripetersi. Carlo Giuliani, intanto, a piazza Alimonda è morto. E la meccanica delle ricostruzioni difficilmente va oltre i dettagli del crimine. Una coltre di silenzio protegge ancora gli aspetti più decisivi: il movente e i mandanti.Per questo è importante la voce di un uomo come Madsen. «I mandanti sono le multinazionali – dice – che erano letteralmente terrorizzate dal crescente consenso di quei ragazzi: il movimento NoGlobal andava stroncato. E il loro uomo, Bush, ha semplicemente eseguito gli ordini». Com’era, il mondo, nel 2001? Stava molto meglio di adesso, secondo tutti gli indicatori. Archiviata la storica sfida con l’Urss, la guerra era praticamente assente. Anche per gli italiani, all’epoca, l’Unione Europea poteva sembrare un’istituzione amica. Si pagava ancora in lire: l’euro avrebbe iniziato a circolare solo l’anno seguente. In Afghanistan c’erano già i Talebani, ai quali si opponeva solo un leader laico e nazionalista come Ahmad Shah Massud: quando l’Alleanza del Nord entrò in azione, per prima cosa fu assassinato l’ingombrante Massud, autorevole interprete della sovranità afghana. Ucciso da un certo Hekmathyar, collegato ai servizi del Pakistan addestrati dalla Cia. «Il governo di Islamabad ha sostenuto Al-Qaeda in accordo con Bush», denunciò Benazir Bhutto, a sua volta assassinata nel 2007 per impedirle di vincere le elezioni e smascherare le trame che legavano Bush e Bin Laden al generale Musharraf, dittatore “americano” del Pakistan. Da anni, ormai, la “guerra infinita” era diventata la nuova normalità fondata su bombe e menzogne, fino all’attuale conflitto siriano.Un film dell’orrore, sostiene Madsen, grazie al quale nessuno si è più sognato di contestare frontalmente lo strapotere delle corporation e dell’oligarchia finanziaria, che in Europa è riuscita a ridurre alla fame un paese come la Grecia, senza più medicinali per i bambini, e a destituire con un golpe bianco il governo italiano democraticamente eletto. Si arrivò a insediare a Palazzo Chigi uno spettro come Mario Monti, cioè l’essere umano più lontano possibile dall’antropologia di una rockstar come Manu Chao, eroe del “social forum” che a Genova nel 2001 sognava una fratellanza universale capace di opporsi alle diseguaglianze create dalla rapina sistematica del mondo, quella che oggi spinge verso l’Europa milioni di migranti in fuga dalle loro economie sapientemente disastrate dal nostro apparato economico e politico, finanziario e militare. Un mondo migliore è possibile, recitava lo slogan dei ragazzi che guardavano al mito del “subcomandante” Marcos, esotico e mediatico custode di una biodiversità civile fondata sui diritti. Oggi, il dibattito pubblico è precipitato sotto terra, tra le rovine dell’Ue e della Bce: si parla al massimo di soldi, di Flat Tax e reddito di cittadinanza. Siamo caduti in basso? Il primo passo, sostiene Wayne Madsen, è stato il corpo esanime del militante che i grandi poteri economici, dai loro palazzi, volevano morto. E’ toccato a Carlo Giuliani. Forse, riletta così, può sembrare meno oscura la ragione (mostruosa) di quella fine così atroce.(Giorgio Cattaneo, “G8 Genova, il vero motivo della morte di Carlo Giuliani”, dal blog “Petali di Loto” del 17 aprile 2018).Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.
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Cacciari e Farinetti: Salvini e 5 Stelle insieme, senza illusioni
Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».In pratica, dice Mazzucco, è come se qualcuno ti battesse una mano sulla spalla dicendoti: stai ben attento a quel che fai, potresti pentirtene. Al che, c’è il bivio: o ci si piega, per quieto vivere, oppure si trova il coraggio di andare fino in fondo, restando fedeli alle proprie idee, peraltro appena “vendute” agli elettori. Di Maio? E’ diventato flessibile: morbidissimo con l’Unione Europea, con gli Usa e con la Nato, e meno “amico” della Russia. Cosa che a Cacciari va benissimo. E poi, dice, è sbagliato parlare di traformismo: «Quando mai un partito ha continuato a dire, sic e simpliciter, quello che diceva in campagna elettorale? E’ chiaro che la campagna ha necessariamente un aspetto demagogico, di promesse». Farinetti spera che Mattarella convinca i partiti a fare una nuova legge elettorale sul modello francese, col ballottaggio tra i primi due partiti. «Con una legge elettorale a doppio turno come quella per eleggere i sindaci – dice – i partiti sarebbero costretti a dire quello che vogliono davvero, quello che veramente sentono di poter fare». E il Di Maio europeista? Ottima notizia, per Cacciari: certifica «il pieno riconoscimento del nostro destino europeo: o la democrazia si ripensa su scala continentale, o cesserà di funzionare». E questo cambiamento, nei 5 Stelle, «segna un discrimine netto rispetto ai fondamenti culturali della Lega».Per il filosofo, grillini e leghisti dovrebbero raggiungere un accordo di governo, segnando almeno «una discontinuità generazionale», sapendo però di essere incompatibili: «E alla lunga, questa incompatibilità strategica – come base sociale, come idee – verrà fuori». L’incremento elettorale dei 5 Stelle, ricorda Cacciari, viene dal Pd. In più, il 50% degli elettori grillini si dichiara “di sinistra” (solo il 20% si considera “di destra”). «Sul piano culturale – aggiunge – l’incompatibilità tra Lega e 5 Stelle è evidentissima, ma bisogna che maturi e che si esprima. Certo la loro sarebbe un’alleanza a termine: non è la prospettiva su cui si risolveranno i problemi del paese, che richiedono scelte drastiche». E il Pd? Il rischio è che decida di suicidarsi: «Se fa un congresso vero, rapidamente (prima dell’estate) ed elegge un nuovo segretario, allora può esserci un nuovo inizio. Ma se aprono adesso – come hanno intenzione di fare – una campagna elettorale tra 15-20 persone per fare le primarie in autunno, muoiono: scompaiono. E allora l’unica forza di centrosinistra, in questo paese, diventeranno i 5 Stelle». Al posto di Renzi e colleghi, Cacciari avrebbe fatto il contrario dell’Aventino: «Io auspicavo che il Pd, riconoscendo la vittoria dei 5 Stelle e ribadendo la sua estraneità al centrodestra nel suo insieme, dicesse: sono disposto a far partire un governo monocolore 5 Stelle, verificando poi di volta in volta i provvedimenti, da valutare singolarmente».Al reggente Maurizio Martina, Farinetti suggerisce di non sbattere la porta in faccia ai 5 Stelle, come invece fecero i grillini nel 2013 con Bersani: «Cercherei di capire se il loro reddito di cittadinanza è visto come misura strategica o solo d’emergenza, verso la creazione dell’unica prospettiva seria, cioè la creazione di posti di lavoro, specie al Sud, tenendo conto delle grandi vocazioni di questo paese». Utopia, riconoscono Farinetti e Cacciari: il Pd non sembra intenzionato ad aprire un vero dialogo, temendo di suicidarsi politicamente in caso di alleanza coi 5 Stelle. A loro volta, i grillini considerano un suicidio l’intesa con Berlusconi. E Salvini, infine, sa benissimo che rompere oggi col Cavaliere gli impedirebbe di continuare a dissaguare Forza Italia. Stallo assoluto? Non è detto. Il nodo è Berlusconi, dice Cacciari: basterebbe convincerlo che un governo Salvini-Di Maio sarebbe il male minore. Restando defilato per non imbarazzare i 5 Stelle, avrebbe ministri «tipo Cancellati» e garanzie precise sui suoi vastissimi interessi. L’alternativa? Non esiste: «In caso di elezioni anticipate, Berlusconi scompare. Gli conviene, un governo con Salvini e Di Maio». I grillini “annacquati”? Inevitabile, chiosa Farinetti: «Serve tempo, per vedere se c’è la possibilità di fare un meraviglioso compromesso. Non vedo l’ora – aggiunge – di vedere all’opera partiti che, giustamente, dall’opposizione portavano avanti teorie assolute: comprenderanno che l’unica cosa perfetta, in natura, è proprio il compromesso».Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».
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Becchi: grazie a Di Maio, il Quirinale punta all’accordo col Pd
Sabino Cassese a Palazzo Chigi, con Di Maio come ruota di scorta e il placet di Renzi. Tradotto: come seppellire in poche settimane l’indicazione degli elettori, che il 4 marzo si sono chiaramente espressi per voltare pagina rispetto al passato. Senza contare il 27% di italiani rimasti prudentemente lontani dalle urne, il 55% ha scelto 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Ovvero: fine dei governi-ombra agli ordini di Bruxelles, inagurati da Monti e proseguiti con Letta, Renzi e Gentiloni, l’uomo “invisibile” che passerà alla storia per aver convalidato il decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori in assenza di emergenze sanitarie, terremotando le famiglie italiane. Dopo l’illusione della diarchia Salvini-Di Maio a incarnare il cambiamento invocato dagli ettori (meno tasse, reddito di cittadinanza), secondo Paolo Becchi – a causa del veto grillino su Berlusconi – si fa strada l’ipotesi peggiore: un “governo del presidente” sostenuto dai 5 Stelle ma senza più Di Maio a Palazzo Chigi. Un esecutivo pallido, sorretto anche dal Pd tuttora renziano. Filosofo del diritto, in passato vicino alla leadership grillina, Becchi ora avverte: «Di Maio non può pretendere di mettere Salvini di fronte a un ricatto. A quel punto si assume una gravissima responsabilità: quella di consegnare la volontà degli elettori o a una cattiva alleanza, quella col Pd, o alle ipotesi tecniche».Secondo Becchi, sondato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”, «il Quirinale ha un preciso disegno in testa», però «intende arrivarci gradualmente, certificando il fallimento delle ipotesi alternative». Ha conferito a Elisabetta Casellati un mandato esplorativo a stretto giro, mentre «centrodestra e M5S non hanno raggiunto un accordo in un mese e mezzo». Impensabile che accada qualcosa di decisivo prima delle elezioni regionali, in programma il 22 aprile in Molise e il 29 in Friuli. Cosa c’entrano le elezioni regionali? «L’intento di Mattarella – sostiene Becchi – è quello di mettere in difficoltà i due probabili vincitori di questo voto, amministrativo ma di grande valore politico, perché se Berlusconi perde malamente in Molise, dove si sta impegnando in prima persona, politicamente è finito. A quel punto Salvini sarebbe più autonomo e potrebbe alzare la posta». Significa che il Colle vuole impedire a Di Maio e Salvini di mettere sul piatto delle trattative di governo le rispettive vittorie elettorali in Molise e Friuli? «Significa che vuole impedire a Salvini di avere più peso politico all’interno della coalizione vincente nelle urne del 4 marzo, tagliando così le gambe alle possibilità residue di un accordo M5S-Lega».La manovra servirebbe a legittimare altri scenari, ovvero «un patto M5S-Pd, oppure un “governo del presidente”, affidato per esempio a Sabino Cassese», giurista e accademico, giudice emerito della Corte Costituzionale. Lo stesso Cassese, in un editoriale “interventista” sul “Corriere della Sera”, ha lanciato un monito a tutti, dalla Siria all’Italia: la sovranità degli Stati «va tenuta sotto controllo», e inoltre gli Stati «agiscono per la realizzazione di principi globali». Princìpi che il nuovo M5S “atlantista” potrebbe sottoscrivere. «Il disegno è chiaro», dice Becchi: «Far saltare l’accordo del M5S con il centrodestra per evitare il “pericolo” leghista e far nascere un “governo del presidente” con 5 Stelle e Pd, mettendo al posto di un inesperto come Di Maio un ex giudice costituzionale in grado di garantire la collocazione internazionale e la messa in sicurezza del paese». E perché mai Di Maio ci dovrebbe stare? «Perché a quel punto avrà giocato male la sua partita con Salvini e non potrà più tornare indietro», argomenta Becchi. «Dovrà scegliere tra dare un governo al paese o andare al voto. Di Maio ha tirato troppo la corda e alla fine l’ha spezzata. Non se ne è ancora reso conto, ma non farà più il capo del governo». E Renzi? «Darebbe l’okay, perché Di Maio non farebbe più il premier».Di Maio ha detto che vorrebbe governare solo con Salvini? «L’impressione è che alla Lega il governo non interessi» sottolinea Becchi: «L’opposizione è più redditizia e in palio c’è il centrodestra del dopo-Berlusconi». Il professore è ancora convinto che Salvini voglia innanzitutto portare il centrodestra al governo, e che voglia farlo coi 5 Stelle «perché sono le due forze che hanno vinto le elezioni». Ma i due programmi non sono incompatibili? «Non lo credo», risponde Becchi. «Il M5S non ha nessun programma, fa e disfa i programmi a piacimento a seconda delle convenienze. E’ un partito liquido, con a capo un trentenne che si è montato la testa e vuole fare il premier a tutti i costi. E infatti darebbe tranquillamente alla Lega i ministeri di peso». Se la Casellati guadagnasse tempo, aggiunge Becchi, forse prolungherebbe la vita all’ipotesi 5 Stelle-Lega: «Non è stata esplorata fino in fondo, e sono proprio le urne di Molise e Friuli a legittimarla». L’ipotesi della staffetta Di Maio-Salvini «offrirebbe garanzie anche a Berlusconi: gli permetterebbe di avere qualche ministro e soprattutto ci potrebbe stare un accordo per tutelare le aziende».Il veto del Movimento 5 Stelle sul Cavaliere «avvalora l’ipotesi che Di Maio voglia davvero fare il governo col Pd», afferma Becchi». Ma se fosse Berlusconi a continuare a opporsi ai grillini, le elezioni in Molise e in Friuli potrebbero tradirlo: «In questo caso Salvini, più forte grazie al risultato regionale, potrebbe davvero abbandonare Berlusconi, andandosene con Fratelli d’Italia e con metà Forza Italia per fare un centrodestra a propria immagine: se Berlusconi non accettasse, sarebbe il suo funerale politico». Viceversa, un nuovo Patto del Nazareno spaccherebbe il centrodestra: «La Lega e Fratelli d’Italia uscirebbero: Salvini non accetterebbe mai di entrare in un “governo del presidente”». E Di Maio? Perché non si è ancora reso conto del fatto che non farà più il premier? «Per una ragione profonda, non politica», sostiene Becchi. «Di Maio e il gruppo dirigente del M5S, ma la considerazione vale anche per i militanti, sono ormai persone che vivono di rancore, di passioni tristi. Il risentimento li blocca e li bloccherà su tutto. Se non sei più in grado di contemplare una ipotesi politica di governo, se credi che avendo 11 milioni di voti alle spalle ti puoi comportare come vuoi continuando a dire io-io-io, o me o nessuno, se Berlusconi ti dice che non ha veti e tu continui a dire no, allora è finita». Questo lo ha detto, a Di Maio?«Sì, ma non c’è stato verso». Come andrà a finire? «La crisi di governo li sta fregando – chiosa Becchi – perché sta diventando anche e soprattutto colpa loro, di Di Maio soprattutto. E se per caso si vota, i 5 Stelle potrebbero avere brutte sorprese».Sabino Cassese a Palazzo Chigi, con Di Maio come ruota di scorta e il placet di Renzi. Tradotto: come seppellire in poche settimane l’indicazione degli elettori, che il 4 marzo si sono chiaramente espressi per voltare pagina rispetto al passato. Senza contare il 27% di italiani rimasti prudentemente lontani dalle urne, il 55% ha scelto 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Ovvero: fine dei governi-ombra agli ordini di Bruxelles, inaugurati da Monti e proseguiti con Letta, Renzi e Gentiloni, l’uomo “invisibile” che passerà alla storia per aver convalidato il decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori in assenza di emergenze sanitarie, terremotando le famiglie italiane. Dopo l’illusione della diarchia Salvini-Di Maio a incarnare il cambiamento invocato dagli elettori (meno tasse, reddito di cittadinanza), secondo Paolo Becchi – a causa del veto grillino su Berlusconi – si fa strada l’ipotesi peggiore: un “governo del presidente” sostenuto dai 5 Stelle ma senza più Di Maio a Palazzo Chigi. Un esecutivo pallido, sorretto anche dal Pd tuttora renziano. Filosofo del diritto, in passato vicino alla leadership grillina, Becchi ora avverte: «Di Maio non può pretendere di mettere Salvini di fronte a un ricatto. A quel punto si assume una gravissima responsabilità: quella di consegnare la volontà degli elettori o a una cattiva alleanza, quella col Pd, o alle ipotesi tecniche».
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Africa impoverita, migranti in fuga dal neoliberismo usuraio
Il suo nuovo libro si chiama “I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Ilaria Bifarini stavolta si concentra sullo sviluppo mai raggiunto dal continente africano, dopo averci parlato di “Neoliberismo e manipolazione di massa” nella sua prima opera di successo. L’economista, che si definisce ‘bocconiana redenta’ come da sua bio social, parte da alcune domande semplici, ma a cui nessuno ha ancora risposto: dove sono finiti i miliardi di aiuti umanitari ai paesi africani? Perché dopo la fine degli imperi coloniali non si è avviato un modello di sviluppo e di crescita? Cosa spinge gli attuali flussi migratori di massa provenienti dall’Africa subsahariana? “Lo Speciale” ha deciso di fare con lei un “viaggio” nell’economia del continente africano, cercando di scoprire le ragioni di tanto sfruttamento senza alcuna crescita. E’ corretto o è una visione parziale che gli aiuti all’Africa hanno ucciso l’Africa? Tra il 1970 e il 1998, il tasso di povertà è salito da 11% al 66% per questo? «Nonostante la narrazione buonista diffusa dal mainstream, quando si parla di aiuti in Africa si fa riferimento principalmente ai prestiti concessi per rimborsare e rinegoziare il debito, sotto la regia del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale».«Si tratta di somme di denaro legate a delle condizionalità, ossia all’implementazione di politiche neoliberiste, improntate alla massima apertura commerciale, alle liberalizzazioni, ai tagli alla spesa pubblica e alle privatizzazioni. In pratica una forma di ricatto che ha impedito all’Africa postcoloniale di uscire dalla trappola del sottosviluppo e anzi ne ha aumentato la povertà». Ma l’Africa non ha bisogno di investimenti infrastrutturali e modernizzazione dei sistemi per uscire dalla povertà? «L’Africa ha bisogno di liberarsi dal giogo dell’iperglobalizzazione, di proteggere i propri mercati e di sviluppare un’economia propria, basata sulla produzione e il consumo locale. Il modello imposto dalle organizzazioni internazionali, basato sul massimo ricorso al libero scambio, prevede che si esportino beni di prima necessità sottratti al consumo e si importi il resto, impedendo così la nascita di un’industria locale. L’emigrazione non può essere una soluzione per queste economie, sebbene molti sostengano che le rimesse di denaro nei paesi di origine possano aiutare l’economia locale. Esse in realtà non danno alcun impulso allo sviluppo di iniziative e imprese locali, ma arricchiscono solo il fiorente business delle società di trasferimento di denaro».Secondo la sua tesi, invece, il debito pubblico è uno strumento già utilizzato in Africa per impedire crescita e per improntare la globalizzazione della povertà. È proprio un’altra visione. Da quali prove la fa partire? «Proprio a seguito della crisi del debito del Terzo Mondo del 1982 sono stati introdotti i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale. Questi programmi prevedono l’accettazione totale e acritica da parte dei paesi poveri del modello economico neoliberista, presentato come condizione indispensabile per lo sviluppo e per l’uscita dalla crisi. Gli effetti disastrosi sono sotto gli occhi di tutti. L’Africa è entrata nella spirale del pagamento degli interessi del debito: dal 1982 al 1990 ha restituito 400 miliardi di dollari di soli interessi. Una situazione che presenta molte analogie con quella che stiamo vivendo in Europa e in Italia in particolare».La Cina è in Africa e più che quella comunista è quella capitalista, le due cose ormai si fondono. Come è potuta accadere questa “rivoluzione” e perché l’Africa è così appetibile da chi commercia e chi vuole produrre «L’Africa è il continente più ricco al mondo di risorse naturali e minerarie, è quindi un ottimo mercato per la Cina, che pure deve far fronte alla propria pressione demografica e alla sempre maggiore richiesta di beni. I funzionari cinesi hanno stimato che il loro paese ha necessità di inviare in Africa ancora 300 milioni di persone per risolvere i problemi interni di sovrappopolazione e inquinamento. La Cina sta occupando l’intero continente africano, concedendo prestiti a tassi bassissimi e appropriandosi di tutti i settori strategici e i ricchi giacimenti di risorse naturali. Per contro la popolazione africana ripone speranze e fiducia nel Dragone cinese che, a differenza dei paesi occidentali, non ha un passato coloniale e non impone il proprio modello economico e sociale».(Ilaria Bifarini, “La spirale del debito neoliberista ha ucciso l’Africa, ora l’Europa”, intervista rilasciata a “Lo Speciale” il 27 marzo 2018. Il libro: Ilaria Bifarini, “I coloni dell’austerity”, sottititolo “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”, 205 pagine, edito da Amazon, con prefazione di Giulietto Chiesa).Il suo nuovo libro si chiama “I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Ilaria Bifarini stavolta si concentra sullo sviluppo mai raggiunto dal continente africano, dopo averci parlato di “Neoliberismo e manipolazione di massa” nella sua prima opera di successo. L’economista, che si definisce ‘bocconiana redenta’ come da sua bio social, parte da alcune domande semplici, ma a cui nessuno ha ancora risposto: dove sono finiti i miliardi di aiuti umanitari ai paesi africani? Perché dopo la fine degli imperi coloniali non si è avviato un modello di sviluppo e di crescita? Cosa spinge gli attuali flussi migratori di massa provenienti dall’Africa subsahariana? “Lo Speciale” ha deciso di fare con lei un “viaggio” nell’economia del continente africano, cercando di scoprire le ragioni di tanto sfruttamento senza alcuna crescita. E’ corretto o è una visione parziale che gli aiuti all’Africa hanno ucciso l’Africa? Tra il 1970 e il 1998, il tasso di povertà è salito da 11% al 66% per questo? «Nonostante la narrazione buonista diffusa dal mainstream, quando si parla di aiuti in Africa si fa riferimento principalmente ai prestiti concessi per rimborsare e rinegoziare il debito, sotto la regia del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale».
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Euro e Russia: grillini beffati, Di Maio cambia il programma
Due cattivoni assoluti – la guerra e l’euro – sono letteralmente spariti dalla fiaba “flessibile” dei 5 Stelle: prima delle elezioni funzionavano per ottenere voti, ma ora sono stati “sbianchettati” in funzione governativa. Della serie: perché nulla cambi, delle cose che contano davvero. Nessuno tocchi l’egemonia corrente: a contrastare i bombardamenti Usa, le sanzioni alla Russia e il dominio oligarchico di Bruxelles resta solo Salvini, visto che Di Maio, con l’ovvio placet del padrone Casaleggio, ha sostituito il programma votato dagli iscritti con un altro, assai più morbido e sfuggente sui temi che dovrebbero impegnare il “governo del cambiamento” richiesto da almeno il 55% degli italiani votanti (senza contare il 27% rimasto a casa, forse temendo di assistere esattamente a questo tipo di spettacolo post-elettorale). Il classico imbroglio? Alla faccia del “primo e unico programma politico basato sulla partecipazione e sulla democrazia diretta online grazie al sistema operativo Rousseau”. «La versione del programma elettorale attualmente disponibile sul sito del movimento è completamente diversa da quella che c’era a febbraio», scrive Luciano Capone sul “Foglio”. «Una manipolazione della volontà degli iscritti, una presa in giro degli elettori, una violazione delle regole del partito (democrazia diretta e trasparenza), la negazione della retorica sul cittadino vero “sovrano” e il politico semplice “portavoce”».Per recuperare il vecchio programma, scrive il “Foglio”, basta andare su “Internet Archive” – la più grande biblioteca della rete – e utilizzare la funzione “Wayback Machine”, che consente di risalire alle pagine web modificate o cancellate. Fino al 2 febbraio sul sito del M5S c’era un programma, ma il 7 marzo – tre giorni dopo le elezioni – ce n’era già un altro, «totalmente diverso e spesso diametralmente opposto». E’ il caso del “programma Esteri”, di stringente attualità vista la crisi in Siria. «Gli iscritti avevano votato per un’impostazione radicale, terzomondista, filo-russa e anti-atlantica. Il nuovo “programma Esteri” è stato bonificato: tolte le contestazioni alla Nato e agli Stati Uniti, addolcite le critiche all’euro e all’Ue, smussati gli elogi alla Russia». Il capitolo su “Sovranità e indipendenza” si apriva così: “Il caos che regna in Libia dimostra che l’unilateralismo dell’intervento umanitario è fallito”. E ancora: “Ripudiamo ogni forma di colonialismo, neocolonialismo e ingerenza straniera”. Tutto sparito, rileva il “Foglio”. «Nella nuova versione si parla di “affrontare insieme in Europa” le sfide del domani “come Stati sovrani liberi e indipendenti” nel mondo multipolare. Un’altra musica, più soft».Il capitolo sul “Ripudio della guerra” partiva secco: “Iraq, Somalia, ex Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Ucraina, Siria. L’elenco dei paesi distrutti dall’unilateralismo occidentale potrebbe essere molto più lungo”. E proseguiva catastrofico: “Le guerre di conquista dell’ultimo periodo hanno portato il mondo a un passo dall’Apocalisse e hanno prodotto centinaia di migliaia di morti, feriti, mutilati e sfollati. Territori devastati, smembrati, economie fallite, destabilizzazioni estese a intere regioni e milioni di persone”. Tutto cancellato, osserva Capone sul “Foglio”: «Ora il tono è più posato e burocratico, si parla di “ricerca del multilateralismo, della cooperazione e del dialogo tra le popolazioni” e si ribadisce che “le operazioni per il mantenimento della pace debbano svolgersi in stretta ottemperanza ai principi della Carta dell’Onu”». Ma il passaggio dall’“Apocalisse” alla “stretta ottemperanza” è niente, rispetto alla metamorfosi della posizione sulla Nato: “Il ‘sistema di sicurezza occidentale’ non solo non ci ha reso più sicuri, ma è il primo responsabile del caos odierno. Dall’invasione della Libia fino alla distruzione pianificata della Siria – c’era scritto – il sistema di sicurezza occidentale ha registrato una serie di fallimenti che hanno portato alle popolazioni dei paesi membri, miliardi di euro di perdite, immigrazione fuori controllo e destabilizzazione di aree fondamentali per la sicurezza e l’economia dell’Europa”.L’alleanza atlantica veniva descritta come la causa principale dell’instabilità globale, arrivando a vagheggiare una rottura del patto: ci sarebbe ormai “una discordanza tra l’interesse della sicurezza nazionale italiana con le strategie messe in atto dalla Nato”. Per questo il M5S proponeva un “disimpegno da tutte le missioni militari della Nato in aperto contrasto con la Costituzione”. Tutti gli attacchi alla Nato sono stati eliminati, prende nota il “Foglio”. «Nella nuova versione, cambiata poco prima o poco dopo le elezioni, il passaggio più duro parla dell’“esigenza di aprire un tavolo di confronto in seno alla Nato”». Anche la parte sul Medio Oriente era una dura accusa all’Occidente: “I nostri governi hanno distrutto intere popolazioni, come quella siriana, seguendo l’interventismo occidentale della Nato, cui l’Italia ha colpevolmente prestato il fianco rompendo le relazioni diplomatiche con Damasco”. Ora è stato tolto ogni riferimento al regime di Assad e compaiono le responsabilità dei paesi arabi, che hanno “un sistema di governo a dir poco inadeguato agli standard universali”. Il capitolo sulla Russia? E’ stato emendato da alcune critiche sulle sanzioni. “L’Ue, adeguandosi agli Usa – c’era scritto – ha gradualmente imposto misure restrittive nei confronti della Russia”. Le “azioni di Mosca” in Crimea e Ucraina? Erano “volte al mantenimento della sua sfera di influenza nello spazio ex sovietico a fronte del progressivo allargamento della Nato”. Tutto sparito.Analogamente, aggiunge il “Foglio”, sono state riviste le critiche all’euro: dal passaggio-chiave iniziale (“La situazione italiana nella zona euro è insostenibile, siamo succubi della moneta unica”), il neo-programma di Di Maio approda a lidi più rassicuranti per l’establishment: “Questo non significa abbandonare perentoriamente la moneta unica”. Non che i 5 Stelle siano mai stati chiari, in materia: hanno persino cercato di approdare al gruppo iper-eurista dell’Alde a Strasburgo, senz’altro proporre – in Italia – che la vaghezza di un ipotetico referendum consultivo sulla moneta unica. Hanno sparato volentieri sull’euro, a parole, ma senza mai impegnarsi in una posizione politica ufficiale (come ad esempio quella espressa da Borghi e Bagnai, in quota Lega). Ora la retromarcia di Di Maio conferma agli elettori no-euro che sì, hanno proprio sbagliato a votare 5 Stelle. «Questi esempi – scrive il “Foglio” – riguardano solo le dieci paginette del “programma esteri”, ma vanno moltiplicati per le altre diciannove aree tematiche, più le quattro aggiunte senza alcuna votazione». Nel “programma Banche” sono state inserite proposte mai votate, dal “programma Lavoro” è stato rimosso il capitolo sui “Sindacati senza privilegi”.Ci sono programmi stravolti come quello sullo “Sviluppo economico”, sceso da 92 a 9 pagine, e altri rielaborati da capo a piedi come quello sull’agricoltura. Chi ha scritto il nuovo programma e deciso di sostituirlo a quello votato dagli iscritti? «Probabilmente Di Maio e la sua cerchia ristretta», scrive Capone. «Ma di certo il ruolo di Davide Casaleggio, che materialmente attraverso Rousseau ha cambiato i documenti, mostra come chi si è posto al di sopra di tutti non sia il “garante” della democrazia diretta ma il suo “manipolatore”». Questa manovra, che per il “Foglio” riguarda il principio più sacro (la democrazia diretta) nonché lo strumento più importante (il programma) della vita politica del partito, «svela la grande finzione del M5S e la potenza totalitaria del suo meccanismo». Aggiunge Capone: «La storia è piena di partiti che hanno tradito il programma elettorale, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ma qui si fa un passo ulteriore: il programma viene stravolto in segreto per far credere a militanti ed elettori che è quello che loro hanno sempre voluto e consacrato con il voto. Più che la volontà generale di Rousseau, è un sistema che ricorda la fattoria degli animali di Orwell».Due cattivoni assoluti – la guerra e l’euro – sono letteralmente spariti dalla fiaba “flessibile” dei 5 Stelle: prima delle elezioni funzionavano per ottenere voti, ma ora sono stati “sbianchettati” in funzione governativa. Della serie: perché nulla cambi, delle cose che contano davvero. Nessuno tocchi l’egemonia corrente: a contrastare i bombardamenti Usa, le sanzioni alla Russia e il dominio oligarchico di Bruxelles resta solo Salvini, visto che Di Maio, con l’ovvio placet del padrone Casaleggio, ha sostituito il programma votato dagli iscritti con un altro, assai più morbido e sfuggente sui temi che dovrebbero impegnare il “governo del cambiamento” richiesto da almeno il 55% degli italiani votanti (senza contare il 27% rimasto a casa, forse temendo di assistere esattamente a questo tipo di spettacolo post-elettorale). Il classico imbroglio? Alla faccia del “primo e unico programma politico basato sulla partecipazione e sulla democrazia diretta online grazie al sistema operativo Rousseau”. «La versione del programma elettorale attualmente disponibile sul sito del movimento è completamente diversa da quella che c’era a febbraio», scrive Luciano Capone sul “Foglio”. «Una manipolazione della volontà degli iscritti, una presa in giro degli elettori, una violazione delle regole del partito (democrazia diretta e trasparenza), la negazione della retorica sul cittadino vero “sovrano” e il politico semplice “portavoce”».
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Giorgio Galli: magia, esoterismo e potere. La storia segreta
Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.La missione dello studioso: svelare retroscena occulti e, al tempo stesso, demifisticare – con l’occhio razionale dello storico – le tante mitologie connesse al presunto potere di grandi “maghi”, al fianco dei potenti della Terra. Nel mirino innnanzitutto il leader del nazismo. Un fenomeno al quale – tra Himmler e la società Thule – il professor Galli ha dedicato ben tre saggi. Il primo, “Hitler e il nazismo magico” (Rizzoli) risale al 2005. A seguire, “La svastica e le streghe”, una “intervista sul Terzo Reich, la magia e le culture rimosse dell’Occidente”, pubblicata da Hobby & Work nel 2009, quattro anni prima di “Hitler e la cultura occulta”, libro uscito nel 2013, pubblicato ancora da Bur-Rizzoli. Impossibile non notare il potere ipnotico che la retorica del dittatore esercitava su masse immense, durante le celebri adunate oceaniche del nazismo. Disponeva di tecniche occultistiche? «Intanto era nato a Braunau sull’Inn, paese che ha dato i natali a un numero di medium superiore alla norma: c’è chi ritiene che, in determinate zone della Terra, vi siano cariche magnetiche che conferiscano doti particolari, come quelle che caratterizzano i medium e i veggenti». Inoltre, aggiunge Galli, è noto che Hitler prese lezioni da Erik Jan Hanussen, famoso ipnotista austriaco che, «nei teatri, ipnotizzava gli spettatori, facendo creder loro che fossero reali fenomeni che erano solo immaginari».Lo stesso Hanussen, mago e illusionista, fu poi ucciso dai nazisti il 30 giugno del 1934 nella strage passata alla storia come la “notte dei lunghi coltelli”. Una buona occasione «per far sparire le tracce della formazione ipnotistica che Hitler aveva ricevuto». Ma una cosa è ammettere che Hitler credesse nell’occulto e si avvalesse di maghi come Hanussen, un’altra è pensare che il nazismo sia “esploso” in virtù della magia: «Mai, il nazismo, si sarebbe potuto affermare senza la sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale, senza la crisi del dopoguerra e senza la grande crisi del ‘29, tutti fenomeni che hanno determinato il destino del paese sino all’avvento del Terzo Reich». Quindi attenzione: «Io non sostengo che l’esoterismo sia la chiave interpretativa della storia», precisa Galli. «Dico che ne è una delle componenti (e non delle più importanti), che però è stata completamente trascurata». E’ chiaro che a partorire il nazismo è stata la crisi politica, sociale ed economica patita dalla Germania a partire dal 1914. «Le cause che gli storici hanno studiato permettono di capire la vicenda tedesca anche senza bisogno di studiare l’esoterismo. Però, appunto, c’è anche l’esoterismo: e ha avuto un ruolo importante nella formazione culturale di una parte dell’élite nazionalsocialista».La storia politica ed economica spiega tante cose, ribadisce Galli, ma «talvolta, in determinate circostanze, non spiega tutto». Secondo il gollista Maurice Schumann, gruppi esoterici presenti anche in Vaticano hanno influenzato la nascita della stessa Unione Europea: «E’ una componente sin qui trascurata, meno importante di altre, ma che va tenuta presente». Giorgio Galli ha scritto anche un’introduzione al recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, nel quale Enrico Montermini mette in luce il rapporto (rimasto in ombra) tra il fascismo e l’esoterismo, dal ruolo di Giuseppe Cambareri – il mago di tanti ufficiali dell’esercito mussoliniano – all’intervento della massoneria anglosassone agli esordi delle camicie nere, fino al drammatico epilogo di piazzale Loreto, «macabro sacrificio rituale per celebrare simbolicamente la caduta dell’ultimo Cesare». Magia e dittature, ma non solo: «Lo stesso Churchill, che era massone – racconta Galli – si consultò moltissimo con l’ambiente esoterico, prima di decidere l’atteggiamento da assumere con Hitler». Furono alcuni esoteristi a confermargli che occorreva opporsi strenuamente al Terzo Reich: impossibile conviverci, perché avrebbe trasformato l’Europa nel peggiore degli incubi.Esoterismo? «E’ una cultura che ha solide radici nella storia dell’Occidente», spiega Giorgio Galli al pubblico di “Border Nights”. «Bisogna risalire agli astrologi caldei, ai profeti ebraici, fino a personaggi molto recenti come René Guénon e Julius Evola». Si intitola “Occidente misterioso” un saggio del 1987, edito da Rizzoli, in cui Galli indaga tra “baccanti, gnostici, streghe”, ovvero “i vinti della storia e la loro eredità”. «E’ una corrente di pensiero che ha solide radici e si ripresenta anche in periodi di grande avanzamento scientifico». Per dire: erano esoteristi Cartesio e Newton. «Si tratta di una cultura che ha profonde radici nello sforzo umano verso la conoscenza: radici così solide che, dal ‘500 in poi, ha potuto resistere al grande avvento della rivolzione scientifica». Quella dell’esoterismo «è un tipo di conoscenza che prevede approcci diversi da quelli scientifico-razionali». Metodo analogico, pensiero simbolico. Com’è che i politici entrano in contatto col mondo esoterico? «Esistono gruppi e associazioni che mantengono viva questa tendenza». Secondo la cultura esoterica, aggiunge il professore, «sulla Terra sono esistite civiltà molto remote, in genere scomparse per catastrofi naturali: l’esempio più noto sono i riferimenti che Platone fa ad Atlantide».Giorgio Galli segnala un libro come “L’altra Europa”, nel quale l’autore – Paolo Rumor (figlio di Mariano, pluri-minustro Dc) – documenta «la convinzione che siano esistite civiltà terrestri delle quali sono rimaste tracce, e in cui affonderebbe le sue radici la politica che poi ha portato all’Unione Europea». Intorno all’anno Mille, dice Galli, in alcuni ambienti «era maturata quella convinzione», riguardo all’ancestrale discenza da civiltà estinte. E quindi «ci sarebbe un rapporto tra antichi assetti sociali e il progetto dell’Ue, che in realtà è nato molto prima di quanto si ritenga». Se qualcuno ha in mente solo Jean Monnet, la Cee e l’Unione Europea si sbaglia: «Documenti di Mariano Rumor – afferma il professore – dimostrano che questo progetto sarebbe maturato molto più in là nel tempo, in ambienti legati alla cultura esoterica e alla convinzione dell’esistenza di antiche civiltà scomparse, che avrebbero lasciato tracce nella nostra cultura». Sicché, periodicamente, «emergono piccoli cenacoli, che credono di essere gli eredi di un antico sapere». Gli approcci sono diversi, aggiunge Galli: «Alcune società esoteriche sono orientate verso la conoscenza: per loro, l’esoterismo è uno strumento del sapere. In altri gruppi, invece, si ritiene che possa anche essere uno strumento per il potere».Non ha molti segreti, per Giorgio Galli, la contaminazione esoterica della politica: ne parlava già nel 1995 in “Cromwell e Afrodite” (Kaos), o in libri come “La politica e i maghi, da Richelieu a Clinton”, pubblicato da Rizzoli nello stesso anno. Galli ha firmato studi sulla massoneria, su Fatima, sulla new age, sulle Torri Gemelle. Titoli accattivanti: “La venerabile trama”, del 2007 (Lindau), racconta “la vera storia di Licio Gelli e della P2”. In “Stelle rosse” (Alacran, 2007), mette a nudo “astrologia neo-illuminista a uso della sinistra”. Titoli espliciti: “Politica ed esoterismo alle soglie del 2000”, scritto con Rudy Stauder e pubblicato da Rizzoli nel 1992, e “Esoterismo e politica” (Rubbettino, 2010). E’ del 2004 il saggio “La magia e il potere”, ovvero “l’esoterismo nella politica occidentale”, edito da Lindau. Ma cos’è la magia? Solo superstizione? «E’ un approccio culturale che si è manifestato in una fase della storia umana», spiega il professore a “Border Nights”, rispondendo alle domande di “Maestro di Dietrologia”. «Non credo che esista una magia con un reale potere», aggiunge. «Credo però che sia una convinzione diffusa». L’esoterismo, dice, è anche questo: «La convinzione che, facendo determinate operazioni, o con certe liturgie, si possano ottenere determinati risultati. La cultura esoterica è legata a questa convinzione, che però non è la mia».I maghi, aggiunge Giorgio Galli, sono i rappresentanti di questo tipo di cultura: talvolta entrano in contatto col potere e talvolta no. «La rivoluzione scientifica ha reso meno sistematici quei rapporti: quelli che vengono chiamati Magi, astrologi e veggenti facevano parte normalmente del personale vicino al potere – a Roma e in Grecia, poi nelle corti medievali. Fino al ‘500-600 questi rapporti erano organici e continui, in seguito sono diventati più rari o soltanto occasionali». E i famosi maghi consultati da capi di Stato? «In alcuni casi – risponde Galli – ci sono società segrete che trasmettono questo tipo di cultura. Alcune – tedesche, francesi, inglesi – sono elencate in “Hitler e il nazismo magico”. Probabilmente ne esistono ancora, anche se adesso la loro influenza mi pare molto minore di quanto non fosse all’inizio del secolo scorso». Magia e potere, ma soprattutto stelle, oroscopi, tarocchi. «Quello che so – aggiunge Galli – è che molti politici, anche di rilievo, consultano abituamente astrologi e cartomanti: sono un aspetto popolare e diffuso di culture che hanno origini esoteriche, ma è anche un campo che si presta moltissimo alle truffe e alle manipolazioni».Da Roma, ha contattato il professore un gruppo di tradizione esoterica che si definisce “Evoliani a 5 Stelle”, dal nome di Evola. «Sono degli esoteristi di cultura evoliana, che si esprimono positivamente attorno al Movimento 5 Stelle», precisa Galli. Non che l’esoterismo sia del tutto estraneo, ad alcuni aspetti del mondo grillino: «Lo stesso cortometraggio di Gianroberto Casaleggio, “Gaia”, esprime una cultura che qualche rapporto con quella esoterica potrebbe averlo: è collegata con la cultura delle grandi catastrofi, che poi alla fine danno un risultato positivo». Ma quello dei 5 Stelle è un populismo destinato a trasformarsi nella vera avanguardia tecnocratica del neoliberismo globalista? Giorgio Galli lo esclude in modo categorico. «I 5 Stelle secondo me sono ancora in una fase magmatica, in cui convivono componenti dell’anticapitalismo di sinistra e componenti dell’anticapitalismo di destra. Penso che siano in una fase di trasformazione – conclude il politologo – ma non credo affatto che possano diventare i nuovi strumenti del grande capitale: rimarranno sempre un movimento indirizzato a cambiamenti che, nella loro cultura, ritengono positivi. Che poi riescano nel loro intento è un altro problema, ma non credo che si mettano al servizio del potere capitalistico».Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.
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Giannini: farsa anti-Silvio, i 5 Stelle verso l’inciucio col Pd
Lega, 5 Stelle e Fratelli d’Italia. Ce l’avranno il coraggio di presentarsi uniti, nel caso di elezioni anticipate, visto che tra Salvini e Di Maio resta l’ingombro dell’alleato Berlusconi? L’alternativa è la peggiore: un euro-governo targato 5 Stelle, col Pd a fare da garante, di fronte a Bruxelles, per la continuità “eterna” dell’austerity. «Il rispetto del voto democratico è ormai un’utopia, perché siamo maestri nel trasformare i fatti in opinioni», premette Marco Giannini, esperto di economia vicino ai pentastellati fino al momento della loro grottesca “conversione” al super-eurismo in seno al Parlamento Europeo. Altra premessa: secondo le agenzie di stampa, Mattarella assegnerebbe l’incarico solo a figure “fedeli” alla moneta unica e «alle autolesionistiche politiche di bilancio» imposte dall’Ue, «che sono un indirizzo non solo politico-economico ma soprattutto geopolitico». Di fatto: «Indirizzi “europei” contro gli interessi del popolo italiano, come hanno lasciato intendere sia l’ex presidente della Confindustria e della Ibm tedesca Henkel, sia i principali economisti del paese teutonico». Conclude Giannini: «Rimanendo nell’euro, l’austerity è immutabile». E anche se questo «in Italia non è afferrato da tutti (se non da una minoranza qualificata)», c’è però il vero significato nel voto del 4 marzo 2018: «Se c’è una questione su cui l’80% degli italiani ha votato compatto, è quello di una ferma opposizione alle politiche di austerità».Non si sono mai viste pressioni ed urgenze così “infestanti” per sostenere «il neoliberismo finanziario, estremista e globale», che in Italia «è equivalso a recessioni finanziarie e politiche di macelleria sociale». Ebbene: «Sarà un caso, ma subito dopo la prima “udienza” al Colle, Di Maio si è sperticato in elogi e lodi verso la permanenza nell’euro, nell’Ue e nel “Patto Atlantico”», scrive Giannini in una riflessione su “Come Don Chisciotte”. Intanto le settimane passano, e i vincitori delle elezioni «non si sono ancora accordati per cambiare l’Italia», voltando pagina rispetto al rigore che ha disastrato il paese. Prima del voto, continua Giannini, la Lega aveva fatto promettere solennemente al Cavaliere che non avrebbe tradito la coalizione con un nuovo “Nazareno” col Pd, ma a sua volta si era impegnata a non abbandonare Forza Italia per i 5 Stelle. A proposito: «Di Maio lo sa che quando dice “non rifaremo un Nazareno” si riferisce in primis al Pd? Allora perché ha dichiarato che è disponibile ad allearcisi?». Non può non sapere, Di Maio, che Salvini non potrebbe mai abbandonare Berlusconi: «Quindi evidentemente non vuole allearsi con la Lega, bensì col Pd».Resta una sola possibilità, «per trasformare il voto democratico in un fatto». Questa: tornare alle urne con una inedita coalizione. «Se Lega, e 5S (e FdI) davvero vogliono governare insieme – scrive Giannini – devono riportarci al voto presentandosi coalizzati, dando il colpo di grazia a chi ci ha portato nella catastrofe negli ultimi 25 anni». In quel modo si avrebbe «una maggioranza chiara e solida, rispettosa della volontà dei cittadini stufi di alchimie e alleanze post-elettorali diverse dalle coalizioni pre-voto». Alchimie di quel genere, ricorda Gianni, «hanno sempre generato governi catastrofici (Ciampi, Dini, D’Alema, Monti, Letta, Renzi». Non sarà per per timore di questa inedita coalizione che Calenda (Pd) adesso vorrebbe governare coi 5 Stelle addirittura creando una Bicamerale per cambiare legge elettorale? Un cartello con Salvini e Meloni costringerebbe i grillini a uscire allo scoperto: si vedrebbe «se davvero vogliono governare per il paese o se Berlusconi è per loro solo una scusa per finire comodamente all’esecutivo col Pd (e la Bonino)». Per i 5 Stelle, in ogni caso, è finita l’epoca del rifiuto delle alleanze. Parlamentari neo-eletti già “affezionati” alla poltrona? Si può comprendere, ma un governo-salvezza vale ben di più.L’inedita coalizione tra Di Maio, Salvini e Meloni avrebbe anche il merito di saldare il Sud al Nord, mentre un governo 5 Stelle-Lega con l’appoggio esterno di Forza Italia «renderebbe Berlusconi l’ombelico del mondo, in un costante e strumentale malpancismo». Per Giannini, «i cittadini italiani hanno il diritto di comprendere se ciò che passano i partiti e le Tv è reale o virtuale». Ovvero: si lotta per avere al timone una guida patriottica (euroscettica) oppure euro-entusiasta e quindi anti-italiana? «Nel primo caso, al tavolo con Merkel e Macron a decidere qualità e entità della famosa clausola di uscita concordata dall’euro si siederebbe anche l’Italia». Giannini invece ha il fondato sospetto che Forza Italia e 5 Stelle «stiano in realtà collaborando, mediante i ben noti veti incrociati». Obiettivi: non farcela sedere, l’Italia, a quel tavolo, perché «Berlusconi non può inimicarsi i “mercati” che detengono azioni Mediaset, mentre i 5 Stelle non si sa se sono ancora una forza autonoma o se sono diretti da soggetti con sede a Londra (appunto, i “mercati”)». Giannini ricorda che accettammo un rapporto d’ingresso catastrofico nell’euro (990 lire per 1 marco), che resta «il vero motivo delle nostre attuali sofferenze, perché non rispecchiante la nostra economia reale».Non partecipare al nuovo tavolo europeo «sarebbe una ripetizione della storia in farsa, per la felicità dei vari global-entusiasti Napolitano, Mattarella, Merkel, Draghi, Clinton». Nel frattempo, Di Battista si agita a bordo campo definendo “male assoluto” Berlusconi? «Il forte sospetto – scrive Giannini – è che tutto ciò serva a far passare in secondo piano l’austerity come vero dramma per l’Italia e far digerire la prossima alleanza col Pd». E intanto, al grido “bisogna fare in fretta” (tanto caro a Monti, nel 2011) i media cercano di spaventare l’italiano medio, di manipolarlo e di convincerlo che nuove elezioni sarebbero una catastrofe economica. Così provano a «incatenarci altri anni all’ennesimo governo inciucista, venduto come al solito per “responsabile”». Che poi è la vera specialità del Pd, massimo garante italiano – almeno finora – dell’ordoliberismo europeo fondato sull’austerity. Ce l’avranno il coraggio, i 5 Stelle, si saltare l’ostacolo e puntare a premiare l’espressione popolare del 4 marzo, alleandosi con Salvini e Meloni? Viceversa, dimostrerebbero di essere solo la versione 2.0 del Pd, in salsa populista ma con lo stesso traguardo: rassicurare i grandi poteri neoliberisti e privatizzatori che stanno spolpando l’Italia.Lega, 5 Stelle e Fratelli d’Italia. Ce l’avranno il coraggio di presentarsi uniti, nel caso di elezioni anticipate, visto che tra Salvini e Di Maio resta l’ingombro dell’alleato Berlusconi? L’alternativa è la peggiore: un euro-governo targato 5 Stelle, col Pd a fare da garante, di fronte a Bruxelles, per la continuità “eterna” dell’austerity. «Il rispetto del voto democratico è ormai un’utopia, perché siamo maestri nel trasformare i fatti in opinioni», premette Marco Giannini, esperto di economia vicino ai pentastellati fino al momento della loro grottesca “conversione” al super-eurismo in seno al Parlamento Europeo. Altra premessa: secondo le agenzie di stampa, Mattarella assegnerebbe l’incarico solo a figure “fedeli” alla moneta unica e «alle autolesionistiche politiche di bilancio» imposte dall’Ue, «che sono un indirizzo non solo politico-economico ma soprattutto geopolitico». Di fatto: «Indirizzi “europei” contro gli interessi del popolo italiano, come hanno lasciato intendere sia l’ex presidente della Confindustria e della Ibm tedesca Henkel, sia i principali economisti del paese teutonico». Conclude Giannini: «Rimanendo nell’euro, l’austerity è immutabile». E anche se questo «in Italia non è afferrato da tutti (se non da una minoranza qualificata)», c’è però il vero significato nel voto del 4 marzo 2018: «Se c’è una questione su cui l’80% degli italiani ha votato compatto, è quello di una ferma opposizione alle politiche di austerità».
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Mauro: i siriani con Assad, contro i jihadisti amici di Obama
L’Italia era primo partner commerciale dell’Iraq al tempo dell’intervento contro Saddam. Era il primo partner della Libia al tempo dell’intervento contro Gheddafi e casualmente era primo partner commerciale con la Siria quando sono cominciate le ostilità. Il prossimo governo italiano dovrà fare i conti con una dimensione dell’interesse nazionale che mi auguro venga ben valutato. Nello scenario siriano si ragiona come se fosse in atto una guerra civile, ma è falso: è una guerra di potenze regionali che hanno coinvolto mezzo mondo. Lo scontro tra Iran e Arabia per l’egemonia sul Golfo e sul Medio Oriente, il problema della sicurezza di Israele e la politica neo-ottomana di Erdogan configurano uno scenario in cui la Francia sta cercando un suo spazio, mettendo l’Europa davanti alla politica del fatto compiuto. Macron ci sta portando in guerra in Siria per una politica che sarà vantaggiosa per la Francia e per l’Arabia. Difficile invece capire quale sia il vantaggio dell’Europa. In mezzo a tutto questo fa capolino Trump con le sue sparate su twitter, minacciando la guerra e poi rimangiandosi la parola. La strategia di Trump dipende molto più da fattori di politica interna, la necessità di togliersi di dosso le inchieste che lo riguardano.In un contesto come quello siriano questa continua tendenza a cercare di far saltare il banco da parte di questo o quel paese, e penso agli errori di Obama che ha di fatto accettato di finanziare gruppi poco ortodossi come documentato da numerose inchieste, risalta ancor più la difficoltà degli Usa ad avere una politica di contenimento dell’espansionismo russo. Questi sono gli elementi in cui vanno inserite le ultime uscite di Trump. La possibilità che Usa, Francia e Arabia Saudita colpiscano nelle prossime ore senza coinvolgere anche i russi mi sembra molto difficile. Dovrebbero pensarci molto bene, prima di agire. Le accuse ad Assad sull’uso di armi chimiche? Nel 2013 è stato raggiunto un accordo che ha visto americani e russi protagonisti perché Assad consegnasse i suoi depositi di armi chimiche, con un risultato documentato raggiunto. Anche ammesso sia riuscito a preservarne una parte, perché mai – ora che sta stravincendo sul terreno grazie a russi e iraniani – dovrebbe finire la guerra in modo stupido, utilizzando armi chimiche contro civili indifesi? Non vorrei sembrare l’avvocato difensore di Assad, dico solo che alla popolazione civile siriana è stato chiesto di scegliere fra Assad e l’Isis o i ribelli jihadisti. La vittoria sul terreno è figlia di questa scelta folle proposta alla popolazione, che ha preferito giustamente Assad.L’esempio da tenere a mente è quello delle comunità cristiane, che – pur non essendo sostenitrici di Assad – hanno scelto lui come possibilità di scongiurare la vittoria dell’Isis. Le potenze occidentali avevano scommesso sulla vittoria di queste formazioni legate ai jihadisti. In più c’era e c’è il nodo strategico delle grandi vie di approvvigionamento di gas che partendo dal Golfo dovevano attraversare la Siria e raggiungere il Mediterraneo. L’Italia? Il nostro paese deve fare un esercizio politico molto semplice: non deve farsi schiacciare da Francia e Gran Bretagna e ribadire i suoi obbiettivi di pace come abbiamo fatto nel 2013 grazie al governo Letta, in modo da scongiurare un’escalation. E’ importante che il nuovo Parlamento assuma la leadership su un tema che non può essere lasciato a un governo finito, quello di Gentiloni, e sia solerte ad appoggiare sì il governo esistente, ma con la chiara indicazione di non compromettere la scelta italiana mettendosi in una posizione di guerra. Una scelta iragionevole, alla luce de nostri rapporti con gli attori dell’area. Russia compresa.Esiste il rischio che la Siria, da fattore di instabilità internazionale che chiede un’assunzione di responsabilità (e dunque un governo in tempi brevi) diventi il classico alibi per imporre una soluzione tecnica? No, spero non ci sia nei partiti la tentazione di lasciar fare al governo Gentiloni per non compromettersi su quanto avviene in Siria. E’ il tempo della responsabilità, siamo stati un mattone importante nel 2013 e se non si fosse fatto così, dal dicembre 2013 a governare a Damasco sarebbe stata l’Isis. Come si esce dal caos siriano?Possiamo dare molti contributi: la nostra intelligence può fornire elementi utili ad americani e francesi perché si chiariscano le idee sullo scenario, che comprende anche i timori di Israele di un attacco da parte delle milizie filoiraniane ed Hezbollah in Siria. Un po’ alla volta bisogna riportare gli Hezbollah in Libano, rimandare a casa gli iraniani e dare ai russi un compito di interposizione perché gli interessi iraniani non debordino. Ma nemmeno devono essere le truppe occidentali a dare un vantaggio all’Arabia Saudita e alla Turchia.(Mario Mauro, dichiarazioni rilasciate a Paolo Vites per l’intervista “Guerra in Siria, Macron ci sta portando in guerra per arricchire la Francia”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 13 aprile 2013. Già esponente di Forza Italia poi eletto con Scelta Civica, Mauro è stato ministro della difesa dal 2013 al 2014 nel governo Letta).L’Italia era primo partner commerciale dell’Iraq al tempo dell’intervento contro Saddam. Era il primo partner della Libia al tempo dell’intervento contro Gheddafi e casualmente era primo partner commerciale con la Siria quando sono cominciate le ostilità. Il prossimo governo italiano dovrà fare i conti con una dimensione dell’interesse nazionale che mi auguro venga ben valutato. Nello scenario siriano si ragiona come se fosse in atto una guerra civile, ma è falso: è una guerra di potenze regionali che hanno coinvolto mezzo mondo. Lo scontro tra Iran e Arabia per l’egemonia sul Golfo e sul Medio Oriente, il problema della sicurezza di Israele e la politica neo-ottomana di Erdogan configurano uno scenario in cui la Francia sta cercando un suo spazio, mettendo l’Europa davanti alla politica del fatto compiuto. Macron ci sta portando in guerra in Siria per una politica che sarà vantaggiosa per la Francia e per l’Arabia. Difficile invece capire quale sia il vantaggio dell’Europa. In mezzo a tutto questo fa capolino Trump con le sue sparate su twitter, minacciando la guerra e poi rimangiandosi la parola. La strategia di Trump dipende molto più da fattori di politica interna, la necessità di togliersi di dosso le inchieste che lo riguardano.
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Bestie di Satana, depistaggi: ridono i satanisti che contano
Quella delle Bestie di Satana è una delle vicende giudiziarie più importanti al mondo, in materia di satanismo. La “Bbc” definì questa storia una delle più scioccanti della storia d’Italia del dopoguerra. E’ importante per tanti motivi. Innanzitutto per il numero di omicidi attribuiti all’organizzazione: 4, per i quali ci sono state varie condanne, anche all’ergastolo, e altri 18 omicidi e/o sparizioni che, a torto o ragione, vengono attribuiti dai media, giornali e Tv, e dalla letteratura specifica, alla setta. Rilevante è anche il numero delle persone coinvolte: 9 persone, 9 condanne. Ergastolo per Paolo Leoni; due ergastoli per Nicola Sapone; 27 anni per Eros Monterosso e 29 per Marco Zampollo, 16 per Pietro Guerrieri, 20 ad Andrea Volpe, 16 a Mario Maccione e 23 ad Elisabetta Ballarin. La vicenda assume una rilevanza mondiale perché è uno dei pochissimi casi in cui viene condannata una setta satanica al completo. L’altro caso, anch’esso di rilevanza mondiale, fu il cosiddetto caso Manson, risalente al 1969. In altre parole, l’importanza di questo processo, già notevole di per sé, aumenta a maggior ragione se si tiene presente che chiunque si occupi di satanismo deve comunque avere a che fare con le “Bestie di Satana”, che entrano a buon diritto nella storia ufficiale del satanismo e dei serial killer, contribuendo a dare una fisionomia e un contorno a tutto questo settore specialistico.In tutti i libri specialistici su sette e serial killer c’è sempre uno spazio considerevole dato a questa organizzazione e ai suoi componenti. Le Bestie di Satana sono studiate da criminologi, esperti di satanismo, docenti, semplici appassionati, ma compaiono anche in testi che parlano di religione; ad esempio il “Dizionario delle religioni in Italia”, a cura di Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli, un’enciclopedia monumentale e dettagliatissima, dedica uno spazio abbastanza ampio alle Bestie di Satana; accanto quindi ai movimenti buddisti, induisti, e ovviamente cattolici, protestanti e ortodossi, e accanto ai gruppi di cosiddetta magia cerimoniale, o esoterici, come Templari, Golden Dawn, Oto, ecc., compaiono le Bestie di Satana. Peraltro, a seguito della rilevanza di questi fatti, si è aperto in tutto il mondo un dibattito sul rapporto tra satanismo e musica metal; psicologi, educatori, comitati di genitori, la Chiesa stessa tramite personaggi famosi come Padre Amorth, si sono mobilitati in dibattiti, manifestazioni, approfondimenti sul tema.Numerosi sono anche i libri dedicati alla setta: “I ragazzi di Satana”, di Offeddu e Sansa, pubblicato nel 2005; “Le Bestie di Satana”, a cura di Gabriele Moroni (il libro è uscito nel 2004, quando ancora il processo di primo grado non si era concluso, e in esso già si davano per colpevoli Monterosso, Zampollo e Leoni); “L’inferno tra le mani”, di Stefano Zurlo e Mario Maccione (il libro, uscito nel 2011, è la storia delle Bestie di Satana vista dalla personale ottica di uno dei “pentiti” della setta); “Le sette di Satana”, di Mario Spezi (altro libro curioso, uscito nel 2004; la particolarità del libro è data dal fatto che anch’esso esce prima della sentenza di primo grado; nel titolo la T della parola Satana è più grande delle altre, di color oro, e circondata da un’aura rossa, ciò che ricorda un po’ il simbolo dell’“Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro”). Tantissimi anche i programmi Tv, da “Chi l’ha visto” a “La linea d’ombra”, fino al recente “Mistero” su Italia Uno.Quando iniziai a occuparmi delle Bestie di Satana, ero già abituato a processi farsa in cui il colpevole additato dai media non c’entra assolutamente niente con le accuse che gli vengono addebitate e il responsabile è addirittura il magistrato inquirente, d’accordo con giornalisti e avvocati coinvolti a vario titolo nell’incastrare i malcapitati di turno (fenomeno, questo, che parte da Jack lo Squartatore e arriva fino al recente caso nostrano del Mostro di Firenze; ma ulteriori casi di innocenti assolutamente inconsapevoli sono il caso Cogne e quello di Erba) e pensavo che non mi sarei stupito di niente. Eppure anch’io sono partito con un preconcetto, purtroppo frutto del condizionamento mediatico: cioè sono partito dalla convinzione che almeno i ragazzi che avevano confessato, ovverosia Volpe, Maccione e Guerrieri, fossero responsabili. Il dubbio, se c’era, per me riguardava solo gli altri, a cui non era stata attribuita alcuna partecipazione materiale ai delitti, ma esclusivamente un concorso morale: Monterosso, Zampollo e Leoni. A parte invece deve essere considerata la figura di Sapone, che viene additato da Volpe e Maccione come l’esecutore e il mandante di tutti i delitti (tanto che lui si beccherà addirittura due ergastoli); ma mentre Leoni, Monterosso e Zampollo si dichiarano innocenti, Sapone semplicemente dichiara di “non ricordare nulla”.Misi quindi le mani alle carte processuali con questa idea di base e iniziai a scartabellare gli atti, a parlare con alcuni testimoni, e inoltre a dialogare con Paolo Leoni, oltre che con Marco Zampollo via lettera. Via via che procedevo con lo studio degli atti e dell’intera vicenda, mi rendevo conto che i fatti erano completamente diversi da come appaiono sui media. Di più. Tutta la vicenda è una completa montatura, ove i media hanno provveduto a romanzare e falsare una realtà processuale già falsa di per sé. Il che ha come risultato una conclusione molto semplice, ma al tempo stesso terrificante: nessuno dei ragazzi è coinvolto davvero in questa vicenda, perlomeno non nei termini in cui vengono presentati sui media. Alcuni sono completamente innocenti. Altri forse non lo sono del tutto, ma comunque non hanno commesso i fatti dei quali si autoaccusano. Non esisteva alcune setta satanica denominata Bestie di Satana, che è un’invenzione giornalistica. Non c’era alcun gruppo organizzato. Tutta la vicenda insomma è un immenso teatrino, che ha visto dei ragazzi completamente innocenti in carcere, mentre i veri colpevoli sono liberi; e, come accade nei migliori casi di cronaca nera di rilevanza mondiale, i veri colpevoli andrebbero ricercati altrove, tra persone altolocate, politici, magistrati, avvocati, e non tra una banda di ragazzi con un titolo di studio di terza media e senza né arte né parte. Esattamente, né più né meno, come accadeva nei delitti di Jack lo Squartatore, del Mostro di Firenze, e del femminicidio di Ciudad Juarez.Vediamo di raccontare quindi quello che molti di questa vicenda non sanno, precisando che la versione ufficiale, quella raccontata da tutti i media, la diamo per conosciuta. Chi non la conoscesse può consultare la voce di Wikipedia o uno qualsiasi dei siti in cui viene riassunta la storia delle Bestie di Satana, sempre uguale in ogni sito specialistico, senza mai alcuna voce discordante. Qui, in sintesi, ci limitiamo a dire che nel 2004 Andrea Volpe, Mario Maccione e Pietro Guerrieri, confessarono 4 omicidi: quelli di Fabio Tollis e Chiara Marino nel 1998; quello di Andrea Bontade sempre del 1998; e quello di Mariangela Pezzotta nel 2004. Questi tre ragazzi con le loro confessioni accusarono anche altri: Nicola Sapone, Paolo Leoni, Eros Monterosso e Marco Zampollo. Il primo fu accusato di aver partecipato a tutti e quattro i delitti come esecutore e mandante. Gli altri furono accusati di aver partecipato moralmente, di aver approvato l’operato della setta e di avere in qualche modo concordato i primi due omicidi. La verità? Quello che i media non hanno detto, e che mai diranno, è ciò che segue.La caratteristica più eclatante di tutto il processo è data dalla constatazione che l’intera versione di Maccione e Volpe è falsa. Anche nella parte in cui i due “pentiti” si autoaccusano dei delitti di Chiara Marino e Fabio Tollis, infatti, il racconto è platealmente inattendibile. Si evince dalla narrazione che la notte del delitto del 1998, Fabio Tollis e Chiara Marino vennero uccisi a colpi di coltello e di badile, in modo barbaro; non risulta però dai loro racconti che dopo l’omicidio i ragazzi si siano cambiati di abito e lavati dal sangue; secondo i loro racconti, invece, dopo aver seppellito i cadaveri, sarebbero rientrati in auto e tornati a casa, e i loro familiari non si sarebbero accorti di nulla. Di più. Mario Maccione, interrogato durante il processo, dirà che si era solamente macchiato i pantaloni; ma siccome indossava due paia di pantaloni, si limitò a levarsi il pantalone sporco (senza ricordare se lo avesse buttato o portato con sé). La versione viene confermata sempre da Maccione nel suo ultimo libro, “L’inferno tra le mani”, ove il ragazzo specifica che l’indomani si era svegliato al mattino con gli abiti puliti e il giubbotto di pelle intatto. Una cosa impossibile da realizzare, in un bosco, di notte. Uccidere barbaramente due persone in quel modo, infatti, significa imbrattarsi di sangue dalla testa ai piedi; significa che gli abiti sono non semplicemente sporchi, ma completamente inzuppati di sangue tanto da poterli strizzare come se fossero stati lavati. Quindi è impossibile rientrare in auto senza sporcare i sedili il volante, le portiere, in modo tale da non essere notati poi da chiunque.Di conseguenza, dopo un delitto simile, è necessario avere un luogo dove potersi lavare e cambiare degli abiti, che devono poi essere fatti sparire in una discarica o un altro posto simile, perché è difficilissimo mandare via il sangue dagli abiti. Già questo particolare basterebbe per invalidare tutta la ricostruzione di Volpe e Maccione, e per capire che è tutto assolutamente falso. Ma non è finita qui. Che la versione dei due “pentiti” sia falsa è dimostrato anche dall’incredibile numero di particolari discordanti nelle loro versioni dei fatti; entrambi infatti non sono d’accordo quasi su nulla, e forniscono versioni differenti su chi sedeva davanti e chi dietro, su chi avrebbe sferrato il primo colpo, sul momento in cui avrebbero indossato i guanti di lattice che furono poi trovati nella fossa di Chiara Marino e Fabio Tollis, sulle modalità con cui convinsero Fabio e Chiara a salire in auto, ecc. Addirittura non sono d’accordo neanche sul movente dei primi due omicidi. Inverosimile poi è che i ragazzi abbiano potuto trovare la strada per arrivare alla tomba precedentemente scavata, nel bosco e di notte, e che Fabio e Chiara non si siano insospettiti a vedere i loro “amici” portare con loro coltelli, guanti, pale.Infine, pochi sanno che nell’ansia accusatoria, e a processo finito, Andrea Volpe accuserà Nicola Sapone e Paolo Leoni di un altro omicidio, quello di Andrea Ballarin avvenuto nel 2004, autoaccusandosi dello stesso reato; si scoprirà che Sapone il giorno del delitto era in vacanza a Cuba e Volpe verrà processato per calunnia, perché confesserà di essersi inventato tutto. Risultato: sparisce la cassetta con la registrazione dell’interrogatorio di Volpe. E Volpe viene assolto. E nessuno, né giornalisti né magistrati, si interrogano sul motivo per cui Volpe avrebbe mentito su un fatto così grave; a nessuno viene il dubbio che se una persona mente in questo modo, forse potrebbe aver mentito anche sul resto. A nessuno viene in mente di ascoltare e interrogare gli altri condannati, per sentire la loro versione, che potrebbe essere importante per la ricostruzione dell’intera vicenda. No. Al contrario, Volpe continua a comparire in Tv, ad essere interrogato, e magari prima o poi scriverà un libro; le Tv mandano addirittura in onda un “confronto” tra il padre di una delle vittime, Michele Tollis, e lo stesso Volpe, che si incontrano per un colloquio davanti alle telecamere. Mentre continua a regnare il silenzio sulle versioni fornite da Leoni, Zampollo e Monterosso.Nessuno, soprattutto, si interroga per capire se dietro a tutto questo ci siano dei mandanti, ci sia una regia, non essendo possibile che una persona arrivi addirittura ad inventarsi un omicidio mai commesso per mera voglia di protagonismo, o per gioco. Sempre lo stesso Volpe in un’intercettazione dirà: «Se la gente mi infogna io tiro dentro un sacco di gente, mi invento nomi a palla… a quel punto credono a me». Nonostante ciò, Volpe verrà ritenuto “attendibile”. E ancora, dai vari mass media, continua ad essere ritenuto fonte attendibile sol perché si è autoaccusato. Attendibile viene ritenuto anche Maccione, nonostante nel suo libro “L’inferno tra le mani” dica a più riprese di non ricordare mai nulla perché era sempre strafatto di droga (cosa che invece negli atti processuali è stata smentita da Volpe, il quale dice che erano lucidissimi). Tutto il libro è, in pratica, un racconto con un unico leit motiv: io non volevo, e se ho partecipato è perché sono stato costretto, e in ogni occasione ero drogato, quindi non ricordo bene. Sempre Maccione dice che le Bestie di Satana hanno ucciso circa 18 persone tra Milano e Varese. Tra queste 18 persone ci sarebbero Doriano Molla (trovato ucciso con un filo elettrico al collo; la procura archivierà come suicidio quello che è un evidente omicidio), Christian Frigerio (scomparso e mai ritrovato), Andrea Ballarin (trovato impiccato), Stefano Longone e altri: 18 persone di cui non ricorda il nome, il luogo, le modalità della morte.Una delle cose più impotranti da sottolineare in tutta questa vicenda è che non è mai esistita nessuna setta satanica. Infatti il tribunale ha escluso l’associazione a delinquere e nessuno dei ragazzi è stato condannato in base all’articolo 416 del codice penale. Nel “Dizionario dei serial killer” a cura di Ruben De Luca, invece, viene presentata addirittura la struttura della setta e i metodi di reclutamento. La fonte dell’autore? Il “Corriere della Sera”. Anche il nome Bestie di Satana è un’invenzione. Racconta Maccione che il nome fu dato al gruppo un giorno che si trovarono a fare un rito in una casa abbandonata; un nome dato per caso, inventato lì per lì. Ma un gruppo organizzato, in particolare una setta satanica, che ha l’onore di comparire addirittura in un dizionario delle religioni, deve avere dei libri di testo, dei riti di iniziazione, delle regole precise, dei gradi. Altrimenti non è una setta, non è una religione, ma è solo, al massimo, un gruppo di sbandati senza un’ideologia. Nulla di nulla è emerso dagli atti del processo. Anzi, a domanda precisa, i “rei confessi” Volpe e Maccione hanno risposto che non ricordavano alcun rituale, alcuna formula e non avevano alcun libro di testo; anzi, non sapevano neanche la differenza tra plenilunio, novilunio, e luna piena.Messo alle strette, Maccione dirà che avevano un libro di testo, il “Necronomicon”; peccato però che questo libro sia un romanzo di Lovecraft, e non un testo satanico. Inoltre le decisioni di questa fantomatica setta venivano prese addirittura in luoghi aperti al pubblico, in mezzo alla folla; la decisione di uccidere Chiara Marino e Fabio Tollis, ad esempio, sarebbe stata presa alla Fiera di Sinigallia, un mercatino delle pulci, in stile Porta Portese, affollato più o meno come una metropolitana all’ora di punta. Non è mai esistito alcun capo. I giornali hanno riportato in genere come capo della setta Paolo Leoni. Ma nessuno dei ragazzi che hanno “confessato” ha mai additato Paolo Leoni come il vero capo. O meglio, di volta in volta è stato additato (ma dai giornali) Nicola Sapone, talvolta Maccione, mentre di recente, nel suo libro “L’inferno tra le mani”, lo stesso Maccione dice che “la mente del gruppo era Zampollo”, e sempre nello stesso libro Paolo Leoni viene indicato come una sorta di idiota che sbavava di invidia perché non partecipava mai agli omicidi in prima persona. In altre parole, Mario Maccione nel suo ultimo libro smentisce il ruolo di capo di Leoni.In alcuni articoli di giornale come capo della setta viene indicato Andrea Volpe. La verità è che negli atti processuali si legge che le decisioni venivano prese collegialmente e non c’era una vero capo. Una strana setta, quindi, senza un capo, se non per i giornali. Paolo Leoni riesce a dimostrare che il giorno in cui – a detta di Volpe e Maccione – venne presa la decisione di uccidere Fabio e Chiara, era in realtà al lavoro; ma i giudici riterranno irrilevante la circostanza. Ci sarebbe molto altro da dire, ma per gli approfondimenti rimandiamo alla lettura degli atti processuali. Brevemente: testimoni che cambiano versione continuamente; testimoni che si contraddicono a vicenda; testimoni a favore che non vengono considerati; prove a discarico non ammesse e non considerate; la mancanza di un movente per il delitto di Fabio e Chiara (di volta in volta verrà detto che il movente erano i soldi, o il fatto che Chiara fosse “la Madonna” e dovesse essere uccisa perché una setta satanica doveva sopprimere una figura così pura, o il fatto che Chiara forse volesse parlare; addirittura Maccione sostiene nel suo ultimo libro la bizzarra tesi secondo cui Chiara e Fabio volessero essere uccisi di loro spontanea volontà). E poi, immancabile in tutti i delitti di rilevanza mediatica, la mancanza dell’arma del delitto.Alla luce di tutto ciò non stupisce più di tanto che i libri usciti sulle Bestie di Satana siano tutti datati 2004 e 2005 – tranne l’ultimo scritto da Mario Maccione e Stefano Zurlo – cioè in un periodo antecedente al processo, quando le indagini erano ancora in corso. Il motivo è abbastanza semplice: qualunque giornalista dovesse oggi avvicinarsi a questo tema e leggere gli atti processuali, si troverebbe davanti una realtà completamente diversa rispetto a quella prospettata da giornali e Tv e inevitabilmente scoperchierebbe un calderone di proporzioni immani. Non a caso uno dei pochi giornalisti che hanno provato a proporre una tesi alternativa fu Alberto Ballarin, padre di Elisabetta, che scrisse un libro dal titolo “Satanisti della mutua”, ma morì prima che il libro potesse uscire in stampa. In conclusione, la vicenda delle Bestie di Satana è una delle tante farse giudiziarie che servono ad intrattenere gli spettatori della Tv, affinché non si informino mai sulla realtà attorno, e a depistare chi studia, o anche i semplici appassionati, da quello che è il vero satanismo. Il vero satanismo è un fenomeno organizzato e diffuso su scala mondiale; che coinvolge alti politici, imprenditori, avvocati, magistrati, giornalisti, professionisti di ogni risma; che vede ogni anno solo in Italia la morte di centinaia di bambini e la scomparsa nel nulla di tante persone.Alcune di queste organizzazioni sono addirittura ufficiali. Hanno dei loro siti, i loro libri di testo, i loro seguaci in ogni parte del mondo: la Chiesa di Satana di Anton La Vey; il Tempio di Seth di Michael Aquino. Queste organizzazioni sono serie, pericolose e organizzate, avendo appoggi nei presidenti americani o di Stati europei, potendo contare sull’appoggio di forze di polizia, carabinieri, magistratura; alcune indagini, come quelle relative al caso Dutroux, sono arrivate a lambire i reali del Belgio, famiglie nobili, cardinali, politici. I libri di queste organizzazioni sono talvolta in libera vendita nelle librerie esoteriche. Purtroppo, a fronte della disinformazione sul vero satanismo, l’informazione ufficiale continua a presentarci il satanismo come un fenomeno dovuto ad alcuni metallari con la terza media e senza un lavoro fisso, per continuare a nascondere quello che avviene ogni giorno sotto i nostri occhi. Per nascondere, ad esempio, un caso come quello del magistrato Paolo Ferraro, il Pm della procura di Roma che, incappato in una vera setta satanica, che aveva radici in ambito militare, è stato destituito nel giro di poche ore per infermità mentale dal suo lavoro di magistrato. Di Paolo Ferraro però i mass media non parlano. Di Paolo Leoni, Eros Monterosso e Marco Zampollo sì.(Paolo Franceschetti, estratto da “Le Bestie di Satana: la verità”, pubblicato su “Petali di Loto” sulla base di un post precedente, del 10 gennaio 2012. Franchetti studiò il caso dopo esser stato chiamato in causa, come legale, da alcuni dei ragazzi condannati: «Avvocato, ci aiuta a capire perché siamo in carcere? Non abbiamo ammazzato nessuno». Indagatore dei misteri italiani, Franceschetti ha anche ricostruito un quadro simbologico della vicenda: i cognomi di alcuni dei giovani arrestati – Leoni, Zampollo e Volpe, così come il nome di Tollis, Michele – richiamerebbero i personaggi dell’Apocalisse di Giovanni; Franceschetti rileva che l’anno di massima esposizione mediatica del caso, il 2004, fu quello segnato dalla firma del Trattato di Lisbona, la famigerata “Costituzione europea” redatta dall’oligarchia finanziaria e concepita come strumento di vessazione di massa, per mezzo dell’austerity).Quella delle Bestie di Satana è una delle vicende giudiziarie più importanti al mondo, in materia di satanismo. La “Bbc” definì questa storia una delle più scioccanti della storia d’Italia del dopoguerra. E’ importante per tanti motivi. Innanzitutto per il numero di omicidi attribuiti all’organizzazione: 4, per i quali ci sono state varie condanne, anche all’ergastolo, e altri 18 omicidi e/o sparizioni che, a torto o ragione, vengono attribuiti dai media, giornali e Tv, e dalla letteratura specifica, alla setta. Rilevante è anche il numero delle persone coinvolte: 9 persone, 9 condanne. Ergastolo per Paolo Leoni; due ergastoli per Nicola Sapone; 27 anni per Eros Monterosso e 29 per Marco Zampollo, 16 per Pietro Guerrieri, 20 ad Andrea Volpe, 16 a Mario Maccione e 23 ad Elisabetta Ballarin. La vicenda assume una rilevanza mondiale perché è uno dei pochissimi casi in cui viene condannata una setta satanica al completo. L’altro caso, anch’esso di rilevanza mondiale, fu il cosiddetto caso Manson, risalente al 1969. In altre parole, l’importanza di questo processo, già notevole di per sé, aumenta a maggior ragione se si tiene presente che chiunque si occupi di satanismo deve comunque avere a che fare con le “Bestie di Satana”, che entrano a buon diritto nella storia ufficiale del satanismo e dei serial killer, contribuendo a dare una fisionomia e un contorno a tutto questo settore specialistico.