Archivio del Tag ‘Unione Europea’
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Carpeoro: viene dall’estero l’attacco personale a Di Maio
Tutti a sbranare Di Maio a reti unificate per la vicenda del padre, piccolo imprenditore, accusato di aver fatto lavorare in nero alcuni dipendenti. Scatenati i giornalisti nei talkshow, ma anche politici come Renzi e Maria Elena Boschi, che usò i suoi canali per aiutare la banca di famiglia (Di Maio invece sarebbe completamente estraneo all’incidente paterno). Inutile far finta che l’offensiva contro il capo dei 5 Stelle sia casuale: l’attacco personale al vicepremier gialloverde è palesemente orchestrato dai super-poteri europei ai quali il governo Conte ha tentato di opporsi, provando a difendere il deficit al 2,4% nel Def 2019. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Dalla massoneria al terrorismo” e acuto osservatore, anche tramite canali privilegiati, dell’attualità italiana: mesi fa denunciò il siluramento di Marcello Foa alla presidenza della Rai imputandolo a pressioni francesi su Berlusconi tramite Antonio Tajani, contattato da Jacques Attali (padrino di Macron) su consiglio di Giorgio Napolitano. Ora ci risiamo: se il governo gialloverde sfida il rigore di Bruxelles, è dall’estero che proviene l’attacco – durissimo, personale – a Luigi Di Maio: un boccone da gettare in pasto alla grande stampa, allineata col vecchio establishment.Ecco spiegata, probabilmente, l’improvvisa distensione nei toni tra Roma e Bruxelles: «I mezzi coercitivi di un certo potere sono molto forti», dichiara Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. I gialloverdi sotto attacco? «Forse questa classe politica non è sufficientemente forte da poter affrontare questo tipo di situazione: lo vedremo, nei prossimi giorni». Di certo, sottolinea Carpeoro, la difesa del deficit 2019 – in controtendenza rispetto all’austerity imposta dall’Ue – non era una messinscena: Lega e 5 Stelle ci hanno provato davvero, a rompere la consegna neoliberista dei tagli ciechi alla spesa pubblica. Ora però devono vedersela con quelli che Carpeoro definisce “mezzi coercitivi”, ovvero «ricatti personali, manovre: ti buttano fango addosso». Per esempio, «nell’operazione “papà di Di Maio” io vedo mani fuori dai confini». Assurdo attaccare il figlio per un’accusa come il lavoro nero a carico del padre, d’accordo. Ma chi la fa, l’aspetti: «Gli attacchi dei 5 Stelle, grazie a cui sono andati al potere, non erano molto diversi».Per affondare Di Maio «si attaccano dove possono», aggiunge Carpeoro, che ribadisce: «Questa manovra viene dall’estero. Di Maio non è stato attaccato per una questione di moralismo, è stato attaccato per fiaccargli le reni su una cosa che stava facendo». Ovvero: far indietraggiare l’Italia sulla manovra col deficit al 2,4%. «E pare ci siano riusciti – o meglio, vedremo». Di Maio è stato dunque ritenuto più attaccabile di Salvini? Non è detto: «Forse, a quei poteri, Salvini aveva già detto di sì: del resto, attacchi chi hai bisogno di attaccare». Aggiunge Carpeoro: «Con chi si è sentito, negli ultimi giorni, Salvini? Con Berlusconi. Probabilmente lo hanno fatto ragionare in un certo modo. Di Maio era più difficile farlo ragionale, e allora gli hanno preparato il “piattino”». Sempre secondo Carpeoro, per Di Maio ormai questa non è più una battaglia politica: «E’ una battaglia per capire se vive o muore, politicamente. C’è chi dice che nel Movimento 5 Stelle sia accerchiato? Sono cose che si accavallano. Ci sono altri cavalli che scalpitano, nei 5 Stelle, per cui ognuno cerca di fare il “piattino” all’altro. Dall’estero, Di Battista gli ha già detto “stai sereno”», come Renzi disse a Letta. Se non altro, possiamo star certi che non ci saranno elezioni anticipate in primavera: «Sarebbe pazzo, Di Maio, ad andare alle elezioni in questa situazione».Tutti a sbranare Di Maio a reti unificate per la vicenda del padre, piccolo imprenditore, accusato di aver fatto lavorare in nero alcuni dipendenti. Scatenati i giornalisti nei talkshow, ma anche politici come Renzi e Maria Elena Boschi, che usò i suoi canali per aiutare la banca di famiglia (Di Maio invece sarebbe completamente estraneo all’incidente paterno). Inutile far finta che l’offensiva contro il capo dei 5 Stelle sia casuale: l’attacco personale al vicepremier gialloverde è palesemente orchestrato dai super-poteri europei ai quali il governo Conte ha tentato di opporsi, provando a difendere il deficit al 2,4% nel Def 2019. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Dalla massoneria al terrorismo” e acuto osservatore, anche grazie a fonti privilegiate, dell’attualità italiana: mesi fa denunciò il siluramento di Marcello Foa alla presidenza della Rai imputandolo a pressioni francesi su Berlusconi tramite Antonio Tajani, contattato da Jacques Attali (padrino di Macron) su consiglio di Giorgio Napolitano. Ora ci risiamo: se il governo gialloverde sfida il rigore di Bruxelles, è dall’estero che proviene l’attacco – durissimo, personale – a Luigi Di Maio: un boccone da gettare in pasto alla grande stampa, allineata col vecchio establishment.
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Pomicino ai gialloverdi: ma io con il deficit facevo sviluppo
I nodi stanno venendo al pettine: il bullismo di Salvini e Di Maio ha già prodotto danni all’economia delle imprese e delle famiglie. A Palazzo Chigi cominciano a capire che la corda non si può tirare all’infinito, altrimenti si spezza. Per ora siamo alla tattica. Come finirà? Ognuno dovrà cedere qualcosa, ma non troppo. Da entrambe le parti l’esigenza è quella di apparire ciò che non si è: vincitori nella trattativa con l’Ue e vincitori sul paese riottoso. Ma la verità di fondo è un’altra. Il vero confronto non è quello con la Commissione, ma con i mercati, perché questa legge di bilancio non contiene nulla che stimoli la crescita. E’ dal 1995 che l’Italia è la Cenerentola d’Europa per tasso di crescita. Da che cosa dipende? Dalla drastica diminuzione della produttività del lavoro. Significa non aver fatto innovazione, investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo, con il risultato di basare la competitività delle nostre imprese sulla compressone dei salari.A chi crede che la compressione dei salari sia dovuta alla gabbia nella quale ci costringe la moneta unica, rispondo che non è così, assolutamente. Tutti coloro che lo pensano, immaginano di poter compensare attraverso periodiche svalutazioni. Ma in questo modo si ottiene solo un recupero di competitività di prezzo, non di competitività vera, quella di prodotto. Le regole europee, sulla quale la Commissione ha dato prova di un irrigidimento quasi fanatico, fanno male all’economia italiana, non c’è dubbio. Ma qui tocchiamo il valore, il vantaggio e il costo complessivo dell’Unione Europea. Settant’anni di pace, tassi di interesse molto bassi e un mercato di 480 milioni di persone. Sui tassi, chi come me ha dovuto fare il ministro del bilancio con tassi di interesse del 12-14%, fino al 20%, sa cosa significa avere il vantaggio di un tasso di interesse che possiamo avere solo con l’euro, non con la moneta nazionale. Poi, è vero, c’è il costo delle rigidità che vanno riformate.Che cos’ha fatto la Bce in questi anni? Ha prodotto liquidità, non in maniera diretta, stampando moneta, ma indiretta, acquistando i debiti sovrani. Certo, è un elemento di debolezza che la Bce non possa immettere direttamente liquidità nel sistema economico, come fanno tutte le banche centrali. E’ una rigidità legata allo statuto dell’euro. Andrebbe superata in modo strutturale dando alla Bce gli stessi strumenti che hanno le altre banche centrali. Intanto l’ha risolta Draghi con il “quantitative easing”. Ma fare quello che dico io serve una vera unione politica. Questo è l’altro elemento essenziale. Molti hanno immaginato che l’unione monetaria partorisse automaticamente l’unione politica. E invece, la Ue è rimasta la somma dei singoli governi nazionali. Così tutte le rigidità sono figlie di un Consiglio dei capi di Stato e di governo che non ha un respiro europeo da almeno 15 anni.Governo e Commissione raggiungeranno un compromesso più o meno ridicolo, ma non è questo il problema vero. Ci sono i mercati, ma non solo. Avremo un anno di difficoltà economica crescente. Non cresceremo dell’1,5%, come pensa il governo, ma ancor meno delle previsioni che ci danno intorno allo 0,9 o 1%. L’unica salvezza del paese sarà data dal risparmio precauzionale delle famiglie. Il reddito di cittadinanza? Non funzionerà. Dovrebbe preparare le persone al lavoro, e invece sapete come si risolverà? In una grande assunzione di “formatori”. Finirà per aumentare il nostro grado di collisione con i mercati. E’ vero, ora si sono calmati – ma sarà così per poco, perché con l’indebitamento previsto dal governo di investimenti non se ne fanno. Io sono stato accusato di avere fatto grande indebitamento, ma è una critica ingiusta. Non solo avevamo problemi politici da affrontare, come il terrorismo e l’inflazione a due cifre, ma crescevamo del 2,5-3% e la nostra spesa in conto capitale era del 5% del Pil, mentre noi oggi siamo tra il 2,5 e il 3% del Pil. Abbiamo sottratto in termini di spesa per investimenti circa 6-700 miliardi di euro.(Paolo Cirino Pomicino, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Cari Salvini e Di Maio, io con il deficit facevo sviluppo”, pubblicata su “Il Sussidiario” il 28 novembre 2018).I nodi stanno venendo al pettine: il bullismo di Salvini e Di Maio ha già prodotto danni all’economia delle imprese e delle famiglie. A Palazzo Chigi cominciano a capire che la corda non si può tirare all’infinito, altrimenti si spezza. Per ora siamo alla tattica. Come finirà? Ognuno dovrà cedere qualcosa, ma non troppo. Da entrambe le parti l’esigenza è quella di apparire ciò che non si è: vincitori nella trattativa con l’Ue e vincitori sul paese riottoso. Ma la verità di fondo è un’altra. Il vero confronto non è quello con la Commissione, ma con i mercati, perché questa legge di bilancio non contiene nulla che stimoli la crescita. E’ dal 1995 che l’Italia è la Cenerentola d’Europa per tasso di crescita. Da che cosa dipende? Dalla drastica diminuzione della produttività del lavoro. Significa non aver fatto innovazione, investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo, con il risultato di basare la competitività delle nostre imprese sulla compressione dei salari.
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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
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Bifarini: squadristi dello spread, se li smentisci ti oscurano
Le élites europee e italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica. Il piano del nuovo governo italiano non sembra così radicale? Infatti non lo è, ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti. Ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone (è stato fatto anche a me), anche se chi la esercita è minoritario nel paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette. Dopo una recente serata a “Otto e mezzo”, su La7, sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti. Una sorta di bullismo mediatico, così volgare da lasciarmi senza parole. Faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd) si è scomodato per me, bloccandomi su Twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalla banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in Tv.In televisione avevo detto che mettere in discussione l’Europa è necessario. Che l’austerity è una ricetta che non ha funzionato e non funziona. E’ un modello adottato su scala universale in modo acritico, e l’Europa ne è in questo momento la portatrice più avanzata. Tutti addossano alle politiche del governo l’aumento dello spread, ma accade principalmente perchè il quantitative easing di Draghi e della Bce è agli sgoccioli. Però questo nessuno lo spiega. Perché questi attacchi? Viviamo in una delle società più inique di sempre. Un ristrettissimo numero di persone detiene la maggioranza del potere nel mondo e in questo paese. La loro ricetta di gestione è questo fondamentalismo economico che è il neoliberismo, e anche se non funziona non lo si può mettere in discussione con delle critiche. Chi ha in mano il potere detiene il controllo dei media che sembrano fare di tutto per mantenere lo status quo. Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia nel 2002, spiega che le ricette di Banca Mondiale, Fondo Monetario Interneazionale, Wto e vari altri organismi sovranazionali producono spesso effetti devastanti nei paesi in cui vengono applicate. Ho moltissimi punti in comune con le teorie di Stiglitz, ma nel contesto maistream la comprensione di questi temi non è passata.Con un martellamento a tappeto hanno convinto gli italiani che l’economia è sapere ogni giorno quali siano le oscillazioni dello spread e le dinamiche del debito. Ma questa non è economia. L’economia ha il compito di far star meglio le persone. I veri problemi dell’economia sono la mancanza di crescita e la disoccupazione. In Italia si dovrebbe anche iniziare a rivedere il meccanismo d’asta usato per il collocamento dei Btp. Il sistema di gestione del debito pubblico italiano va rivisto. La modalità del ‘prezzo marginale d’asta’ comporta che i titoli vengano assegnati al prezzo più basso offerto e quindi al tasso più alto. Ciò comporta un costo del debito pubblico elevatissimo. Basterebbe fare come in Germania, dove esiste un importante sistema di banche pubbliche che intervengono nelle aste dei titoli pubblici. Come si esce da questa fase critica per i mercati? E’ questo continuo stato di tensione che ha effetti deleteri sui mercati. Dovrebbe cambiare l’approccio europeo. I mercati speculano sulle aspettative. La Bce dovrebbe preservare la stabilità dei mercati con politiche monetarie ad hoc.Da noi la classe politica ha tradito gli italiani con privatizzazioni che non vi dovevano essere, o entrando nell’unione monetaria Ue senza che vi fossero le condizioni. In Francia si scende in strada per rivendicare istanze popolari che qui ogni giorno si disprezzano come populismo. Ma è normale, parliamo dei sistemi di privilegi che una casta vuole continuare a mantenere. Il vero problema è questa ideologia delle élites che costringe ampie masse europee all’austerity e alla povertà. Ora, con arroganza aristrocratica, chi detiene le redini di questo tipo di società vuole ancora preservare i propri privilegi. Come si crea la crescita? Con investimenti pubblici produttivi: grandi investimenti e opere che creino lavoro. Con questi interventi ci occuperemmo dello stato di salute del nostro territorio – che abbiamo visto in che condizione è, vedasi il ponte di Genova e tutti i disastri che sono capitati anche ultimamente – e metteremmo in moto un circolo viruoso che procura crescita e benessere. Resta questo lo scopo dell’economia, non l’informazione giornaliera sullo spread. Lo Stato non può continuare a chiedere al cittadino più di quanto dà.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate ad Antonio Amorosi per l’intervista apparsa su “Affari Italiani” il 21 novembre 2018, ripresa dal blog della Bifarini).Le élites europee e italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica. Il piano del nuovo governo italiano non sembra così radicale? Infatti non lo è, ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti. Ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone (è stato fatto anche a me), anche se chi la esercita è minoritario nel paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette. Dopo una recente serata a “Otto e mezzo”, su La7, sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti. Una sorta di bullismo mediatico, così volgare da lasciarmi senza parole. Faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd) si è scomodato per me, bloccandomi su Twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalla banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in Tv.
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Quelli che ‘ma se usciamo dall’euro chi ci compra il debito?’
Notiziona dalla Cina: finalmente anche i cittadini potranno investire in obbligazioni di Stato cinesi! Eheeee? Lo so, detta così sembra una supercazzola, ma è la pura e cruda verità. Fino ad oggi, i cinesi non compravano i bond emessi dal loro Stato. E allora come faceva il governo di Pechino? Non hanno il debito pubblico? Eccome se ne hanno: i dati riportati dal “Sole 24 Ore” confermano un debito pubblico nel Paese di Mezzo che sfiora i cinquemila miliardi di dollari, cifra che andrebbe moltiplicata per 2,5 se tenessimo in considerazione anche i debiti dei governi locali (le municipalità). Ma allora, se registrano queste astronomiche cifre, chi compra di norma il debito pubblico cinese? Risposta: le banche pubbliche cinesi! Chi sa leggere, ne tragga le conseguenze anche per il nostro debito, giudicato “intollerabile” dalla marmaglia degli economisti nostrani.La Cina da venerdi 16 novembre consente agli investitori al dettaglio di acquistare obbligazioni governative locali presso le banche. La People’s Bank of China (Pboc) ha annunciato che gli investitori al dettaglio potranno d’ora in poi acquistare obbligazioni governative locali presso le banche commerciali, estendendo l’elenco delle obbligazioni disponibili per loro sulle piattaforme bancarie. In precedenza, gli investitori individuali potevano acquistare buoni del tesoro attraverso un complicatissimo meccanismo che rendeva sterile l’investimento e solo dal 2016. Alcuni ritengono che la mossa volta a favorire il pubblico retail contribuirà ad alleggerire il peso del debito pubblico finora tutto sulle spalle delle banche, principali acquirenti di obbligazioni cinesi, e quindi che aumentà lo spazio per i prestiti delle banche alle attività imprenditoriali.Comunque sia, lo studio dei debiti pubblici stranieri conferma ancora una volta che la retorica sul nostro debito pubblico non ha una base economica solida, ma si fonda unicamente sulla propaganda politica esterofila. Pechino ha comunque sempre incentivato il ricorso al credito per stimolare la domanda interna, con il risultato che gli investimenti sono esplosi a circa il 40% del Pil, il doppio della media europea.(Massimo Bordin, “Quelli che ‘ma se usciamo dall’euro chi ci compra il debito pubblico?’”, dal blog “Micidial” del 19 novembre 2018).Notiziona dalla Cina: finalmente anche i cittadini potranno investire in obbligazioni di Stato cinesi! Eheeee? Lo so, detta così sembra una supercazzola, ma è la pura e cruda verità. Fino ad oggi, i cinesi non compravano i bond emessi dal loro Stato. E allora come faceva il governo di Pechino? Non hanno il debito pubblico? Eccome se ne hanno: i dati riportati dal “Sole 24 Ore” confermano un debito pubblico nel Paese di Mezzo che sfiora i cinquemila miliardi di dollari, cifra che andrebbe moltiplicata per 2,5 se tenessimo in considerazione anche i debiti dei governi locali (le municipalità). Ma allora, se registrano queste astronomiche cifre, chi compra di norma il debito pubblico cinese? Risposta: le banche pubbliche cinesi! Chi sa leggere, ne tragga le conseguenze anche per il nostro debito, giudicato “intollerabile” dalla marmaglia degli economisti nostrani.
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Magaldi: se cedono sul deficit i gialloverdi perdono la faccia
Riscrivere, insieme, le regole del mondo. Ingenuo? Forse, ma necessario. “Se non così, come? E se non ora, quando?”, si potrebbe dire, parafrasando Primo Levi. E’ la premessa – implicita – da cui sembra muovere, sempre, l’analisi che dell’attualità politica offre Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), libro-evento che svela la natura supermassonica del potere mondiale. Da presidente del Movimento Roosevelt, meta-partito che si propone di rigenerare la politica italiana partendo da una piattaforma realmente progressista, fondata sul ripristino della sovranità democratica, Magaldi guarda con attenzione al possibile cantiere rappresentato dal governo gialloverde. Ipotesi: ribaltare la narrazione mainstream, ai cui diktat ideologici «si sono appecoronati l’ex sedicente centrodestra e l’ex sedicente centrosinistra», entrambi proni alle direttive dell’élite finanziaria – in sintesi: smantellare l’industria italiana e privatizzare il paese consegnandolo a un oligopolio di grandi poteri economici finto-europeisti, che in realtà utilizzano l’Ue per i loro obiettivi privatistici. Contro questo establishment, almeno fino a ieri, si era levata la voce dei 5 Stelle, gradualmente sovrastata da quella di Salvini. E ora, dopo tanto abbaiare, il governo Conte si appresta a calare clamorosamente le brache rinunciando al pur misero 2,4% di deficit previsto per il 2019?
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Tav, razza padrona: le fate ignoranti della Torino defunta
Giuro che non volevo credere ai miei orecchi quando ho sentito a “Otto e mezzo”, una delle magnifiche sette madamine torinesi “organizzatrici” della manifestazione in piazza Castello, Patrizia Ghiazza, dichiarare bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali relative alla discussa linea del Tav Torino Lione. Ha detto proprio così: «Posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera». Il fatto è che la manifestazione di cui figuravano come promotrici Patrizia Ghiazza e le altre chiamava in causa – forse a loro insaputa, ma indiscutibilmente – proprio il merito delle ragioni tecniche e ambientali dell’opera, per dire che era giusta e buona, e che la si sarebbe dovuta assolutamente fare pena la rovina della città e della regione. E ora sappiamo che quell’“entrata nel merito” con quella perentoria conclusione, era avvenuta nella più completa ignoranza dei dati fondamentali, dei più elementari fattori di valutazione, per un atto di fede, diciamo così, nei confronti dei governi precedenti e nel valore metafisico dell’opera.Esattamente all’opposto del movimento contro cui tutte quelle persone sono state chiamate in piazza, il movimento No-tav, che ha sempre fatto, fin dalla sua origine, per più di vent’anni, puntigliosamente, quasi ossessivamente, dei dati tecnici dell’opera (flussi di traffico, impatto ambientale, dimensione dei costi e dettagliate voci di spesa, alternative operative), e dell’informazione su di essi, il principale argomento della sua opposizione. Se un aspetto ha colpito coloro che si sono occupati, anche in chiave scientifica – politologica, sociologica, antropologica – di quel movimento, è stato la costante abbondanza di documentazione e di informazione tecnica presente nei loro siti, al contrario degli opposti siti “Si-Tav” (a cominciare da quello di Telt), generici e reticenti. E a me personalmente ha fatto sempre molta impressione, fin dal 2005, dai tempi di Venaus quando incominciai a osservare la valle, la competenza non solo degli “attivisti” e dei promotori dei comitati e delle manifestazioni, ma dei manifestanti stessi. Irsuti montanari e madri di famiglia o nonne, ragazzotti delle superiori o artigiani di valle, pensionati, operai, commercianti, sapevano di logistica e trasportistica, del “Corridoio V” e delle “rotture di carico” con il loro aggravio di costo, di flussi di traffico su gomma e su ferro e di sistemi idrogeologici, dell’impatto degli scavi sulla qualità e quantità delle acque e sulle polveri sottili.Nessuno di loro si è mai sottratto al confronto sui contenuti dicendo di esserne all’oscuro! Ora, che nella rappresentazione da parte dei “giornaloni”, quegli uomini e quelle donne vengano dipinti come rozzi cultori del “nimby”, sorta di nuovi barbari pre-illuministici in conflitto con la modernità, mentre la folla di piazza Castello viene promossa a esempio di buona cittadinanza, fa parte del mondo alla rovescia prodotto da una sfera mediatica intossicata da interessi predatori e per questo generatrice di sfiducia su scala allargata. Esemplare, d’altra parte, l’atteggiamento nei loro confronti esibito, senza reticenze, da un’altra delle “fatine” torinesi, Giovanna Giordano, che a proposito della resistenza dei valligiani ha detto, testualmente, ad “Agorà”: «Se ci credono veramente e amano la decrescita felice, qui intorno in Piemonte ci sono tante meravigliose valli dove possono comprarsi una mucca e una pecora e decrescere felicemente. Ma che lascino vivere noi».Giovanna Giordano, detta “Nana” dagli amici, nominata sul campo da “Repubblica” «madamina di ferro, informatica e nonna», nell’enfasi del suo speach, dimentica che “loro” – i valsusini refrattari – stanno nella loro valle, dove vorrebbero che li si “lascino vivere” senza avere il proprio territorio devastato dal treno degli altri, mentre “noi” – il “noi” di Giovanna, intendiamoci – abitiamo in città ignorando del tutto, come si è visto, l’impatto su “quel” mondo che evidentemente non ci riguarda. Le ha già risposto, in modo esemplare, in questo stesso sito, il sindaco di Susa Sandro Plano. Qualcun altro ha ricordato la Maria Antonietta del “mangino brioches”. Ma si potrebbe anche evocare il Marchese del Grillo, quello del “Io sono io, e voi…”. In quel “che lascino vivere noi!” (abbandonando le case “loro”) c’è tutto un programma, o meglio un profilo: da razza padrona. Da ceto medio-alto predatorio, che non vede l’altro perché ripiegato su di sé, sulle proprie credenze infondate ma indiscutibili, la propria rete di pari elevata a mondo, i propri piccoli interessi promossi a Nomos. Il salotto di nonna Speranza con le sue “piccole cose di pessimo gusto” proposto come modello estetico assoluto.Certo, si potrebbe non farla troppo grossa. E considerare quell’esternazione un “refuso retorico”, una sorta di incidente comunicativo – insomma, una voce dal sen fuggita – ma sarebbe in qualche modo riduttivo. Perché in realtà c’era in quelle due righe, sintetizzato, un po’ tutto il mood di buona parte del management torinese: il sentimento sotteso alla parte più determinata di quella piazza – il suo nocciolo duro – costituito da quel mondo delle imprese e delle professioni cittadine che eleva se stesso a misura dell’universo avendo perduto però le proprie capacità propulsive. Declinante, ma determinato tuttavia a non mollare la presa sul proprio contesto, considerando ogni bene comune “disponibile”. Ogni dimensione pubblica privatizzabile. E ogni alterità – quali che ne siano le ragioni – irrilevante. Altro che cittadini con il senso del dovere di cui vaneggia Vladimiro Zagrebetsky (Vladimiro, si badi! non Gustavo) su “La Stampa”.Un esempio per tutti: il presidente della Camera di Commercio, tal Vincenzo Ilotte, che dichiara senza un attimo di resipiscenza che «la città si è formalmente espressa sulla Tav, non credo ci sia molto da discutere». Sì, proprio così: non crede che ci sia più “molto da discutere” perché – in piazza, evidentemente – la città si è “formalmente espressa”. Formalmente! Che, se le parole hanno ancora un qualche senso, dovrebbe voler dire: seguendo una qualche procedura di legittimazione. E dimentica che l’unica espressione “formale” è stata la deliberazione del Consiglio comunale (che la si giudichi opportuna o meno) con cui si è dichiarata “formalmente” Torino città No-Tav. E che i 20 o 25 o 30mila di piazza Castello sono pressoché un decimo dei torinesi che due anni fa hanno eletto a maggioranza quel Consiglio e quella giunta. Questo sarebbe un esempio di coscienza civica? O anche solo di cultura democratica? Personalmente mi sembra un perfetto esempio di quel “populismo” contro cui si dice al contrario di volersi opporre.Il problema però non sono le singole persone. Il problema, inquietante, per certi aspetti disperante, è che quello “stile” ha animato tutta la preparazione della mobilitazione di sabato 10 novembre. L’asfissiante campagna mediatica, guidata dai giornali cittadini “Stampa” e “Repubblica”, appartenenti ora al medesimo gruppo finanziario assai interessato all’opera. Nei dieci giorni di bombardamento mediatico non una voce fuori dal coro, non un dato, una documentazione, una valutazione indipendente. Niente pensiero, niente ragionamento, niente argomentazione razionale. Molti, troppi slogan. Spacciati a piene mani come verità sacrali (di quelle che non hanno bisogno di conferme fattuali perché sarebbero auto-evidenti). Nessuno ha detto ai cittadini chiamati al giudizio di dio della piazza, che quel treno è fatto per le merci e non per i passeggeri. Che tra Torino e Lyon (e Parigi) c’è già un treno veloce – un Tgv – cinque volte al giorno, sulla linea storica, che attualmente è utilizzata a meno di un quinto della sua capacità. Che i flussi di traffico tra Italia e Francia sulla direttrice alpina sono in calo da anni, sia su rotaia che su autostrada.Che supposto che si facesse il “tunnel di base” di 57,5 km, la linea si fermerebbe a St. Jean de Maurienne, tra i pascoli, sul versante francese (perché la Francia non ha deliberato le infrastrutture di raccordo e non ne ha per ora intenzione) e a Susa sul versante italiano. E, a proposito di tunnel di base (il cui impatto sul sistema idrogeologico della valle ma anche di Torino sarebbe pesantissimo), che nonostante viaggi per quasi l’80% in territorio francese sarebbe pagato per circa il 60% da noi!). Che del mitico “Corridoio V” (il quale secondo le allucinazioni dei nostri politici regionali dovrebbe collegare Lisbona con Kiev, anzi, secondo le ultime esternazioni, l’Alantico e il Pacifico) non c’è traccia, non esiste più perché Portogallo e Spagna si sono chiamati fuori e dalla Slovenia in là nessuno ci pensa, per cui le tanto decantate merci dovrebbero proseguire verso est sui famigerati camion o arrivare in camion per andare verso ovest (dove? mah?)…E’ assai probabile che una parte almeno del successo di pubblico di quella manifestazione sia dovuta – oltre alla mobilitazione dei “media” e delle corporazioni cittadine – alla pessima prova offerta in questi due anni dalla giunta Appendino: dal suo pressapochismo, dalle troppe assenze dai luoghi dolenti del tessuto cittadino, dalla promesse non mantenute, dall’isolamento sociale in cui si è confinata. C’era, in quella piazza, anche tanto giustificato disagio. Ma il giudizio sulla promozione dell’“evento” e sulla sua gestione non cambia. Resta imbarazzante – francamente imbarazzante – che l’imprenditoria di una città che è stata, per buona parte del Novecento, un esempio di livello mondiale di “company town” – un modello di capacità industriale potentissimo – si riduca oggi ad affidare il proprio futuro a un’idea vuota – a impiccarsi a un totem fradicio, abbiamo scritto – cioè a un simbolo quale il Tav fallito in partenza, immaginato in un tempo e in un mondo finiti, destinato allo spreco massiccio di risorse che – con un uso più assennato – potrebbero rivelarsi importanti.Fa male vedere che gli operatori economici di una città un tempo abitata da produttori orgogliosi di sé si riducano a pietire eventi e opere quali che siano purché alimentino flussi di denaro octroyé, concesso da Roma o dall’Europa, anziché contare sulla propria capacità innovativa e sulla creatività del sistema urbano. E’, in qualche modo, il “sistema Torino” – la configurazione di interessi economici, politici e bancari che ha gestito il declino di Torino nel trentennio trascorso e che si è mossa in piazza per riperpetuarsi, con gli stessi volti, le stesse sigle (il Pd buttato fuori dalla porta alle amministrative e rientrato dalla finestra in piazza) allargate ora alla destra, Forza Italia in primis, ma anche Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega. La Lega di Salvini, aggiuntasi all’ultimo momento perché sa che, in casi come questi, gli ultimi saranno i primi e, con molta probabilità, sarà lei l’utilizzatore finale di tutto ciò. Come dire che le fatine turchine di Torino hanno lavorato, in fondo, per il Re di Prussia.(Marco Revelli, “Le fate ignoranti di Torino”, dal blog NoTav.info del 19 novembre 2018).Giuro che non volevo credere ai miei orecchi quando ho sentito a “Otto e mezzo”, una delle magnifiche sette madamine torinesi “organizzatrici” della manifestazione in piazza Castello, Patrizia Ghiazza, dichiarare bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali relative alla discussa linea del Tav Torino Lione. Ha detto proprio così: «Posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera». Il fatto è che la manifestazione di cui figuravano come promotrici Patrizia Ghiazza e le altre chiamava in causa – forse a loro insaputa, ma indiscutibilmente – proprio il merito delle ragioni tecniche e ambientali dell’opera, per dire che era giusta e buona, e che la si sarebbe dovuta assolutamente fare pena la rovina della città e della regione. E ora sappiamo che quell’“entrata nel merito” con quella perentoria conclusione, era avvenuta nella più completa ignoranza dei dati fondamentali, dei più elementari fattori di valutazione, per un atto di fede, diciamo così, nei confronti dei governi precedenti e nel valore metafisico dell’opera.
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Un Gilet Giallo per Macron, fragile yesman dei Rothschild
La Francia, intesa come popolo, non s’è lasciata spaventare dalle leggi speciali introdotte grazie all’opaca stagione del terrorismo domestico targato Isis. Complice la legge elettorale a doppio turno, una minoranza del paese è caduta nell’equivoco Macron, l’uomo-Rothschild sponsorizzato dal supermassone neo-conservatore Jacques Attali, ma il Palazzo – lo stesso che minaccia l’Italia, anche sbarcando migranti oltre frontiera – ora è costretto a fare i conti con la marea di una protesta di massa tipicamente transalpina, quella dei Gilet Gialli, con numeri da capogiro: 300.000 manifestanti sguinzagliati in duemila città fino a bloccare strade e autostrade, per protesta contro i ricari della benzina. La polizia, riassume il “Post” ammette che è molto difficile rispondere alle mobilitazioni: sono diffuse a macchia di leopardo, spesso sono improvvise e non autorizzate, e in più «sono composte da persone che non sono abituate a protestare». Popolo in piazza, inscenando qualcosa che ricorda le prove generali di una possibile insurrezione. Chi sono e cosa chiedono, i cittadini francesi che indossano come una bandiera i giubbottini retro-riflettenti della sicurezza stradale?Il movimento dei Gilet Gialli non ha un’organizzazione formale o un leader riconosciuto, scrive sempre il “Post”: i comunicati parlano genericamente di una protesta «del popolo francese». Le principali informazioni sono state diffuse attraverso Facebook. È un movimento che non fa riferimento ad alcun partito o sindacato. Sulla pagina Facebook si dice che i Gilet Gialli sono «persone come me e te», ovvero «un pensionato, un artigiano, uno studente, un disoccupato, un uomo d’affari», Soprattutto, «una persona che è preoccupata di non arrivare alla fine del mese». Il movimento protesta contro la diminuzione del potere d’acquisto. Nel mirino, le auto: oltre all’aumento della benzina e del gasolio, il governo si è infatti mosso per abbassare i limiti di velocità, aumentare gli autovelox e introdurre incentivi per le auto elettriche o ibride. Dopo un anno in cui il prezzo del gasolio è salito del 23% e quello della benzina del 15, il governo ha deciso di imporre dal gennaio 2019 ulteriori tasse che faranno aumentare il prezzo dei carburanti.Cambiare aiuto? I manifestanti protestano: i rincari andrebbero a pesare su chi già ha una situazione economica difficile. Comprare una vettura nuova, elettrica o ibrida, costa troppo. A fianco dei manifestanti il presidente del partito conservatore Les Répubblicains, Laurent Wauquiez, che ha invitato Macron a «correggere i suoi errori». Come annota “Scenari Economici”, il gilet giallo è comparso addirittura in Parlamento: a indossarlo, il 21 novembre, è stato un moderato, Jean Lassale, che proviene dal movimento MoDem di François Bayrou, ma all’ultima elezione è passato nella Udf, Union Pour la Democratie Française (altro partito centrista). «Quindi non un populista estremista, anzi un moderato che ha già ricoperto anche cariche esecutive nel proprio dipartimento dei Pirenei». Per “Scenari Economici” si tratta di «un’espressione della Francia rurale che si sente tradita dal governo dei ricchi di Macron». Inutile aggiungere che, dopo aver indossato il gilet, Lassale è stato espulso per aver violato il “dress code” dell’aula parlamentare.Dai moderati alla sinistra: Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, ha partecipato alla manifestazione di Parigi e ha parlato di «un grande momento di autorganizzazione popolare», riferisce il “Post”. Dal canto suo, il segretario del Partito Socialista, Olivier Faure, ha avvertito il governo che «senza dialogo» c’è il rischio di non andare avanti. «Negli ultimi giorni il governo ha mantenuto una posizione ambivalente, dicendo di comprendere le ragioni della mobilitazione, ma restando fermo sulle misure da adottare», aggiunge sempre il “Post”. Emmanuel Macron, il cui indice di popolarità è oggi molto basso, non ha parlato delle proteste, mentre il primo ministro Edouard Philippe ha riconosciuto la nascita di un movimento «senza precedenti» perché organizzato in modo indipendente dai sindacati. Ha detto di «sentire» la rabbia dei francesi, «la sofferenza, la mancanza di prospettive, l’idea che le autorità per molto tempo non hanno risposto alle preoccupazioni», ma ha confermato gli impegni presi da Macron: «Siamo all’ascolto dei francesi, abbiamo sentito la loro esasperazione. Ma la rotta non cambia se si alza il vento».I Gilet Gialli hanno ricevuto anche il sostegno del sovranista Rassemblement National (l’ex Front National): «La mobilitazione è stata un grande successo», ha detto Marine Le Pen, spiegando che il governo deve prendere delle decisioni politiche velocemente per far tornare la pace: «Per ora, però, non ho sentito niente». Il segretario della Cfdt, Lawrence Berger, uno dei più importanti sindacati del paese, ha invitato Emmanuel Macron a «riunire molto rapidamente» le varie organizzazioni «per costruire un patto sociale», ma il primo ministro ha per ora respinto questa ipotesi. Quello che gli analisti avevano annunciato negli ultimi anni sta semplicemente accadendo: sia pure con dosi eccezionali di flessibilità rispetto al rigore Ue (e mantenendo l’inaudito parassitismo coloniale su 14 paesi africani, a cui Parigi sottrae ogni anno 500 miliardi di euro, accentuando in tal modo l’esodo dei migranti) la politica oligarchica di cui Macron è il rappresentante sta mettendo la Francia di fronte all’impossibilità di mantenere inalterato il proprio welfare, restando prigioniera della camicia di forza dell’Ue e dell’Eurozona. Diktat emanati da poteri non democratici, a cui la Francia dei Gilet Gialli si sta ribellando.La Francia, intesa come popolo, non s’è lasciata spaventare dalle leggi speciali introdotte grazie all’opaca stagione del terrorismo domestico targato Isis. Complice la legge elettorale a doppio turno, una minoranza del paese è caduta nell’equivoco Macron, l’uomo-Rothschild sponsorizzato dal supermassone neo-conservatore Jacques Attali, ma il Palazzo – lo stesso che minaccia l’Italia, anche sbarcando migranti oltre frontiera – ora è costretto a fare i conti con la marea di una protesta di massa tipicamente transalpina, quella dei Gilet Gialli, con numeri da capogiro: 300.000 manifestanti sguinzagliati in duemila città fino a bloccare strade e autostrade, per protesta contro i ricari della benzina. La polizia, riassume il “Post” ammette che è molto difficile rispondere alle mobilitazioni: sono diffuse a macchia di leopardo, spesso sono improvvise e non autorizzate, e in più «sono composte da persone che non sono abituate a protestare». Popolo in piazza, inscenando qualcosa che ricorda le prove generali di una possibile insurrezione. Chi sono e cosa chiedono, i cittadini francesi che indossano come una bandiera i giubbottini retro-riflettenti della sicurezza stradale?
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Violenta e totalitaria: la dittatura della religione monoteista
Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità, invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).Ovviamente, aggiunge Della Luna, per realizzare il loro progetto – l’uomo nuovo, il nuovo ordine mondiale – le regioni devono eliminare rapidamente il vecchio, vincendone le resistenze «con la violenza, che è sempre risultata indispensabile», perché il “vecchio”, il tradizionale, «è storicamente consolidato nell’animo della gente, nella sua sensibilità e nei mores come “fisiologia” del funzionamento culturale, sociale, politico, economico, spirituale». Che siano monoteiste (c’è un solo Dio), enoetistiche o monolatriche (gli dèi sono tanti, ma solo uno è prevalente), secondo Della Luna le religioni hanno la stessa impostazione delle ideologie politiche totalitarie: fascismo, nazismo, comunismo, maoismo. «Infatti sono tutte “species” di quella fallacia illuministica, costruttivistica, che con Karl Popper possiamo chiamare “utopismo”, ingegneria sociale “olistica”». Vale a dire: il convincimento che, in base a una nuova teoria o scoperta o rivelazione, sia possibile e doveroso ristrutturare l’uomo e la società come si ristruttura una casa – basta un buon progetto, molta buona volontà, la giusta forza e fermezza, e tutto funzionerà per il meglio: si realizzerà un ordine perfetto che durerà fino alla fine dei tempi.Puntualmente, invece, ogni tentativo di quel genere «manca la meta prefissa e causa immense sofferenze, immense stragi e persecuzioni, immensi danni civili e materiali, prima di cadere o di trasformarsi in qualcos’altro», dal momento che «un corpo sociale non è una casa, non è un corpo inerte che si possa modificare a piacimento, ma un corpo vivente, e vivente secondo un ordine, una fisiologia, sviluppatisi lentamente nel corso della sua storia, cioè di secoli». Mentre le religiosità politeistiche «esprimono e sostengono questi equilibri organici e assettati, rispettosi perlopiù delle varie componenti etniche, culturali, cultuali e censuarie del corpo sociale», essendo quindi «religiosità mature, includenti», al contrario, le religioni monoteiste – sempre per Della Luna – sorgono tutte, storicamente, «come progetti monomaniacali, rivoluzionari, escludenti, olistici e utopistici nel predetto senso, aggravati dal fatto di essere prescritti da un dio (o da una ‘scienza’ sentita come verbo divino, come è il caso del mercatismo), quindi dall’essere indiscutibili». Per questo, inevitabilmente, «generano violenza, così come le ideologie totalitarie», non solo perché «devono eliminare la religione già esistente per sostituire ad essa il loro modello», ma anche perché «promettono la soluzione rapida dei problemi esistenziali – la morte, il senso della vita, la giustizia».La religione usa la violenza per affermarsi, dice Della Luna, ma poi continua a usare la violenza anche per nascondere il fatto di non essere riuscita a mantenere le sue promesse: «Recentemente si è visto il fallimento pratico del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto». I devoti sono scossi da onde di frustrazione: non potendo le religioni riconoscere il loro fallimento, questa frustrazione «deve essere scaricata all’esterno, affinché non crei lacerazione interna o dubbi – deve essere scaricata, cioè, su un capro espiatorio, che può essere interno (gli eretici) oppure esterno (gli infedeli, chi non si converte alla nuova religione): tutti questi capri espiatori vanno uccisi per volere di Dio». I primi cristiani, come si legge nel Nuovo Testamento, si aspettavano «il ritorno in gloria e potenza del Redentore entro pochi anni», letteralmente: prima che l’ultimo dei viventi al tempo di Gesù fosse morto. La tempistica è stata allungata e infine «proiettata su un orizzonte indefinito, solo poiché questa predizione non si avverava». Similmente, aggiunge Della Luna, i Testimoni di Geova «predicevano il Giudizio per il 1914, ma poi ovviamente hanno dovuto cambiare le loro pubblicazioni».L’islamismo è propriamente monoteista, annota Della Luna, perché afferma l’esistenza di un unico essere di natura divina – onnipotente, onnisciente, eterno, creatore di tutti gli altri esseri. «Le altre religioni non sono monoteiste». L’atonismo era monolatrico, ossia «tributava culto a un unico dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei». Il mazdeismo crede in due dei: Ahura Mazda, il bene, e Arei Manyu (Ahriman), il Male. Anche il giudaismo, dice Della Luna – presentando il libro di Nicola Bizzi “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina” (Aurora Boreale, 2018) – riconosce una pluralità di Elohim (parola di origine ignota, che noi traduciamo impropriamente come “dei”), di cui Jahvè è uno (gli altri sono Milkom, Kamosh, Baal Peor, El Elion). Inoltre, aggiunge Della Luna, nella Bibbia questi Elohim vengono descritti come esseri tangibili, materiali, simili agli dei greci e romani, mentre nella cultura ebraica antica «non esistono nemmeno i concetti di ente immateriale, di eternità, di onnipotenza, di creazione dal nulla – concetti tipicamente greci». Quindi anche il giudaismo – che adora l’Elohim Jahvè in mezzo a tanti altri Elohim – potrebbe essere classificato come «monolotria politeistica».E il cristianesimo? «Parte come monoteismo, mai in seguito, col Concilio di Nicea, viene ad affermare esplicitamente l’unità della sostanza divina e la pluralità (trinità) delle persone di Dio. Poi, nei secoli, assorbe – soprattutto nella sua confessione cattolica – il vissuto devozionale della pluralità dell’esperienza e della manifestazione divina attraverso la creazione di un esercito di figure intermedie, dagli angeli ai santi alla Madre divina». Oggi fa notizia il radicalismo islamico jihadista coltivato dall’imperialismo occidentale per frantumare la regione petrolifera, mentre il giudaismo – che si impose con la violenza (la tribù di Gioacobbe che stermina i consenguinei, tutti discendenti di Abramo) si riberbera nell’Israele armato fino ai denti, in guerra perenne coi vicini. Lo stesso Nicola Bizzi afferma che il cristianesimo, dopo essersi imposto con la massima ferocia, in tempi recenti si è “civilizzato”, prendendo le distanze da quella stessa violenza che aveva praticato per 17 secoli. Il cristianesimo moderno, secolarizzato e non più politicamente al potere, è stato «ridimensionato dalla critica epistemologica, storica, filologica». La frustrazione per la sua mancata promessa «è stemperata dallo stesso stemperarsi, assieme al senso del divino, dell’aspettativa di quella soluzione». Quel che ne resta si scarica perlopiù all’interno: il credente viene educato a imputare a se stesso – peccatore – la causa del malandare delle cose. «Quindi è ora facile per questa religione far dimenticare, presso le masse non istruite, il suo prevalente passato», cioè un millennio e mezzo di potere violento e totalitario.(Il libro: Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Aurola Boreale, 162 pagine, 15 euro).Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità sulla scorta dell’ultimo libro di Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Della Luna invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).
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Questa Ue a pezzi attacca l’Italia? Farà volare Salvini e soci
L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.La differenza tra prestiti e produzione economica è al 131,8% ma il governo è comunque convito che riuscirà a raggiungere una crescita economica sostanziale, sebbene le previsioni europee siano piuttosto cupe. Il 13 novembre scorso era il termine per presentare una revisione della bozza di bilancio; Roma non si è attenuta a tale termine. Ora la leadership europea sta minacciando l’Italia con sanzioni, fino a quando questa non risulterà adempiente: uno schiaffo per l’Italia che potrebbe dover versare una multa pari a 3,4 miliardi di euro. Il governo italiano sta intraprendendo una linea indipendente in merito a diverse tematiche. Viene visto come filo-russo nelle sue richieste di abolizione, o almeno di diminuzioni, delle sanzioni contro la Federazione russa. Il primo ministro italiano Giuseppe Conte sostiene che Mosca debba essere riammessa al G7. Il primo ministro lo scorso ottobre ha visitato Mosca, poi ha definito la Russia quale soggetto globale essenziale e ha invitato Putin a visitare l’Italia. Nonostante le misure punitive che l’Ue ha imposto, Conte ha sottoscritto diversi accordi commerciali e d’investimento.Lo scorso anno, il partito di maggioranza parlamentare russo, Russia Unita, insieme alla Lega Nord italiana, membro della coalizione di maggioranza, hanno firmato un accordo di collaborazione. Il Consiglio regionale del Veneto, dove il vice primo ministro Matteo Salvini detiene una posizione di forza, nel 2016 ha riconosciuto Crimea come parte della Russia. L’Austria è un altro membro dell’Ue amico della Russia. Persino il recente “scandalo dello spionaggio”, chiaramente messo in scena da forze esterne per rovinare quella relazione bilaterale, non è riuscito a danneggiare quel rapporto. «Siamo un paese con dei buoni contatti con la Russia, siamo aperti al dialogo: non cambierà, in futuro», ha dichiarato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, di fronte ai giornalisti il 14 novembre. Il partito popolare conservatore e l’estrema destra il Partito della Libertà – entrambi membri della coalizione di governo – sono ben disposti nei confronti di Mosca e non sono sostenitori delle politiche di sanzione promesse dall’Ue.L’Ungheria è un altro membro dell’Ue a sostenere la Russia. Lo scorso mese, il Parlamento Europeo ha votato a favore dell’avvio delle procedure di sanzione secondo l’articolo 7 contro l’Ungheria. Il governo guidato dal primo ministro Viktor Orban è stato accusato di aver messo a tacere i media, di aver bersagliato le Ong e di aver rimosso dal loro incarico giudici indipendenti. L’avvio delle procedure previste da tale articolo apre le porte alle sanzioni; l’Ungheria potrebbe, prima o poi, essere privata del suo diritto di voto all’interno dell’Ue. In realtà il paese viene punito per essersi rifiutato di accogliere immigrati. Questa è la seconda volta che le procedure secondo l’articolo 7 vengono avviate. La prima volta è stato lo scorso anno, quando la Commissione Europea ha dato il via libera all’articolo 7 contro la Polonia per le sue riforme giudiziarie. Per sospendere il diritto di voto dell’Ungheria e introdurre le sanzioni è necessaria una votazione unanime, e questa mossa rischia di venire bloccata dalla Polonia. A sua volta, l’Ungheria ha detto che starebbe a fianco di Varsavia nel caso in cui l’Ue avviasse le procedure per punirla. Le due nazioni sono unite nei loro sforzi per sostenersi a vicenda e respingere gli sconfinamenti di Bruxelles in un momento in cui l’Ue sta attraversando uno dei periodi più duri della storia.Ungheria, Polonia e Russia stanno cercando di attirare l’attenzione dell’Europa sulla minaccia alla pace e alla democrazia proveniente dall’Ucraina, problema che è stato per lo più messo a tacere dalla leadership europea. La Slovacchia è un altro membro dell’Ue che nutre quello che alcuni definiscono un “legame speciale” nei confronti della Russia. Non si è mai dimostrata a favore delle sanzioni contro la Russia e l’ha dichiarato apertamente. Lo scorso mese, Peter Pellegrini, il suo nuovo primo ministro, ha invitato l’Ue a rivedere la politica in materia di sanzioni. Anche in Grecia è scoppiato un conflitto diplomatico ma, come nel caso dell’Austria, potrebbe avere offuscato quei legami storici che comunque non è riuscita a recidere. Cipro è sempre stato un paese amico della Russia, ma sia Nicosia che Atene non sono in condizioni di poter proteggere la loro indipendenza, in quanto entrambi sono fortemente indebitate e dipendono dai prestiti esteri.La battaglia tra Bruxelles e Roma giunge nel momento in cui l’Europa si sta preparando per le elezioni del Parlamento Europeo che si terranno a maggio 2019. Le misure punitive intraprese dall’Ue contro l’Italia non potranno che condurre ad un crescente sostegno pubblico di quel governo che presta voce contro le pressioni e difende la propria gente. Questo porterà ad un aumento degli euroscettici italiani che vinceranno seggi in Parlamento. Considerando l’elevato malcontento di molte nazioni nei confronti dell’Ue, risulta difficile prevedere i risultati delle elezioni. Presto al comando ci saranno nuove persone con opinioni diverse sui problemi che incombono sull’Ue, così come sul futuro degli Stati membri. Tutto potrebbe cambiare, compreso il rapporto con la Russia e le sanzioni che sono diventate così impopolari e hanno portato molti leader nazionali a sfidare apertamente la “saggezza” di tale politica imposta da una élite di potere.(Arkady Savitsky, “L’Italia getta il guanto di sfida all’establishment di Bruxelles”, da “Strategic Culture” del 12 novembre 2018, ripreso da “Come Don Chisciotte” il 22 novembre grazie alla traduzione di Elena Scapin).L’Unione Europea di recente si è trovata a dover gestire non pochi problemi in quanto, alcuni suoi membri, tra i quali Polonia e Ungheria, hanno sfidato apertamente l’ordine stabilito. Questa volta siamo di fronte ad una situazione molto seria: Bruxelles deve affrontare le sfide da parte dell’Italia, la terza potenza economica nazionale nell’Eurozona e l’ottava economia globale in termini di Pil nominali. Con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti, l’Italia è una nazione europeista e membro fondatore dell’Ue. Il governo italiano ha respinto le richieste da parte dell’Ue di rivedere la bozza di bilancio per l’anno 2019, proposta che prevede un deficit Pil al 2,4% e che potrebbe minacciare il debito pubblico nazionale. La coalizione di governo di Roma, costituita dalla Lega e dal Movimento populista 5 Stelle, ha deciso di incrementare il prestito allo scopo di poter finanziare le promesse elettorali, come la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali. Lo scorso mese la Commissione Europea ha lamentato che questi obiettivi di spesa vanno contro le norme dell’Ue. Su Roma pesa un enorme debito pubblico che la posiziona al secondo posto nell’Eurozona.
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Le 10 bufale sulla Torino-Lione, il Tav più inutile del mondo
Un sindacalista, un magistrato, un docente universitario. Ci si mettono in tre, a spiegare – ancora una volta – che la maledizione chiamata Tav Torino-Lione è assolutamente evitabile, per il bene di tutti, e senza alcuna conseguenza. O meglio: l’inutile traforo su cui si litiga da decenni, senza che ancora ne sia stato scavato nemmeno un centimetro, né Italia né in Francia, è bene che venga rottamato tra i progetti che raccontano la follia di epoche lontane. Dato che la disinformazione impera a reti unificate, specie dopo la ridicola manifestazione delle “madamine” torinesi (non una parola per spiegare la necessità della grande opera), a fornire ragguagli inoppugnabili provvedono Paolo Mattone dei Cobas, il giudice Livio Pepino (già consigliere della Cassazione) e il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino. Su “Volere la Luna”, smontano tutte le dicerie su cui si basa la leggenda (miliardaria) dell’ipotetica alta velocità Italia-Francia: voci e superstizioni che la stampa non si premura mai di verificare, facendo semplicemente da grancassa al declinante establishment italo-piemontese. «La prosecuzione del progetto non ha alcuna utilità economica o necessità giuridica e si spiega solo con gli interessi di gruppi finanziari privati e con le esigenze di immagine di un ceto politico che sarebbe definitivamente travolto dal suo abbandono. Perché, dunque, continuare?».Il “contratto di governo” tra Movimento 5 Stelle e Lega prevede, con riguardo alla nuova linea ferroviaria Torino-Lione, «l’impegno a ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia». Tanto è bastato, sostengono i tre, a produrre un duplice effetto: da un lato si è finalmente aperto un dibattito sulla effettiva utilità dell’opera, «fino a ieri esorcizzato dalla rappresentazione del movimento No Tav, complice la Procura della Repubblica di Torino, come un insieme di trogloditi e di terroristi». Dall’altro, l’atteggiamento razionale del governo «ha mandato in fibrillazione i promotori (pubblici e privati) dell’opera, l’establishment affaristico, finanziario e politico che la sostiene e i grandi media che ne sono espressione (“Stampa” e “Repubblica” in testa) che, non paghi di ripetere luoghi comuni ultraventennali sulla necessità dell’opera per evitare l’isolamento del Piemonte dall’Europa (sic!), hanno cominciato ad evocare fantasiose penali in caso di recesso dell’Italia». In attesa delle indicazioni della commissione preposta all’analisi costi-benefici e delle conseguenti decisioni politiche, è dunque utile fare il punto sulla situazione, partendo dall’esame delle affermazioni più diffuse circa l’utilità della Torino-Lione, il cui impatto sarebbe di per sé devastante: vent’anni di cantieri, urbanistica sconvolta, montagne piene di amianto e uranio, rischi idrogeologici catastrofici.Primo assunto “teologico” del Tav in valle di Susa, rilanciato da Sergio Chiamparino: «La nuova linea ha una valenza strategica e unirà l’Europa da est a ovest». Il governatore del Piemonte evoca un collegamento tra l’Atlantico e il Pacifico, «senza considerare che la stazione atlantica è scomparsa nel 2012 con la rinuncia del Portogallo, e che dalla prevista stazione finale di Kiev mancano, per arrivare a Vladivostok e al Pacifico, oltre 7.000 chilometri». Una prospettiva «priva di ogni riscontro reale, posto che una linea ferroviaria ad alta capacità-velocità non è prevista in modo compiuto neppure in Lombardia e Veneto». Peggio: il tratto sloveno non esiste nemmeno sulla carta, mentre in Ungheria e Ucraina nessuno sa che cosa sia il Corridoio 5, come inizialmente si chiamava la linea. «Al netto di bufale interessate e di anacronistici sogni di grandeur – scrivono Mattone, Pepino e Tartaglia – la verità non è quella di una nuova “via della seta” ma, assai più prosaicamente, del solo collegamento ferroviario tra Torino e Lione (235 chilometri, comprensivi di un tunnel di 57 chilometri)», già coperto dall’attuale linea valsusina Torino-Modane «ripetutamente ammodernata e utilizzata per un sesto delle sue potenzialità».Seconda bufala: «La nuova linea creerà nuovi orizzonti di traffico». Non è così, spiegano i tre analisti. Il trasporto merci su rotaia attraverso il Fréjus (di passeggeri non si parla più da vent’anni) è in caduta libera dal 1997, e da allora si è ridotto del 71%. Lo ammette persino l’Osservatorio istituito presso la Presidenza del Consiglio, riconoscendo che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, sono state smentite dai fatti». Nello stesso periodo, i traffici nella direzione Italia-Svizzera hanno continuato a crescere: del 43% nel periodo 1997-2007, quando pure le linee ferroviarie italo-svizzere, con pendenze analoghe, passavano attraverso tunnel ad altitudine simile a quella del Fréjus: il tunnel del Lötschberg, lungo 14,6 chilometri a 1400 metri di quota, e quello storico del San Gottardo, lungo 15 chilometri a 1151 metri di quota, in uso fino al 2016. Parallelamente, il volume del traffico complessivo attraverso la frontiera italo-francese (compreso quello su strada) è diminuito del 17,7%. Ciò dimostra che le ragioni della caduta di traffico sono strutturali e non hanno nulla a che vedere con le caratteristiche tecniche della linea ferroviaria, il cui ammodernamento non attira di per sé solo nuovo traffico. Lungo la direttrice transalpina est-ovest è in atto da tempo una tendenza al calo del flusso di merci, mentre lungo l’asse italo-svizzero e quello italo-austriaco il traffico ha continuato a crescere, anche se dopo il 2010 ha rallentato.Una interpretazione ragionevole? «Le direttrici nord-sud collegano il cuore dell’Europa con i porti della sponda nord del Mediterraneo e da lì con l’estremo oriente». I mercati della Cina e del Sud-Est Asiatico? «Sono lontani dalla saturazione e per di più quel sistema produttivo è in grado di fornire merci di rimpiazzo delle nostre a prezzi nettamente più bassi». Viceversa, l’asse est-ovest collega mercati intereuropei fra loro simili e in condizioni di saturazione materiale. In altre parole: non ci sono più merci da far circolare. Niente, comunque, che richieda nuovi canali di comunicazione: quelli attuali sono semi-deserti. Già questo smentisce il terzo assunto “teologico” del fronte pro-Tav, secondo cui «il collegamento ferroviario Italia-Francia deve essere ammodernato perché obsoleto e fuori mercato a causa di limiti strutturali inemendabili». Precisa, anche qui, la replica di Mattone, Pepino e Tartaglia: «Dopo la favola dell’imminente saturazione della linea storica, sostenuta contro ogni evidenza per vent’anni, i proponenti dell’opera e i loro sponsor politici si attestano ora su presunte esigenze dettate dalla modernità, che imporrebbe di «trasformare – con il tunnel transfrontaliero di 57 chilometri – l’attuale tratta di valico in una linea di pianura, così permettendo l’attraversamento di treni merci aventi masse di carico pari a quasi il triplo di quelle consentite dal Fréjus».La debolezza della tesi è di tutta evidenza: «Se infatti il traffico è in costante diminuzione e agevolmente assorbito dalla linea storica con le pendenze che la caratterizzano (e che per di più – come si è visto – non sono state di ostacolo all’aumento del traffico ferroviario tra Italia e Svizzera) a che serve un intervento modificativo che comporta rischi ambientali enormi e una spesa di miliardi?». A giustificarlo, secondo i tre analisti, c’è soltanto «una cultura sviluppista senza limiti, sempre più anacronistica». Quarta diceria: «I costi dell’opera sono assai più ridotti di quanto si dica, ammontando per l’Italia a soli 2, massimo 3 miliardi di euro». Per Mattone, Pepino e Tartaglia «siamo di fronte a una sorta di “gioco delle tre carte”, assai poco rispettoso della verità e dell’intelligenza degli italiani (e dei francesi)». Il costo dell’intera opera, infatti, è stato determinato dalla Corte dei Conti francese nel 2012 – senza successivi aggiornamenti o rettifiche – in 26 miliardi di euro, di cui 8,6 miliardi destinati alla tratta transnazionale, per la quale è previsto un finanziamento europeo pari, nella ipotesi più favorevole, al 40% del valore (3,32 miliardi di euro).I dati diffusi dai fautori dell’opera riguardano invece la sola tratta internazionale, che – data la scelta del governo italiano di proceder per fasi (il cosiddetto “progetto low cost”) – dovrebbe essere costruita per prima, anche a prescindere dalla prevedibile dilatazione dei costi: il 28 febbraio 2018, il Cipe ha portato a 6,3 miliardi di euro il «costo complessivo di competenza italiana per la sezione transfrontaliera», indicato poco più di due anni prima in 2,56 miliardi). In altre parole, siamo di fronte a un puro artificio contabile, visto che l’ulteriore spesa «non viene affatto annullata, ma semplicemente differita». Ovvero: si parla solo di quei “2-3 miliardi” (già diventati 6,3) senza più citare gli altri 20-25 miliardi quantificati dalla magistratura contabile francese. Ma non è tutto. I supporter del Tav provano anche a tingersi di verde: «Il potenziamento del trasporto su rotaia – dicono – è finalmente una scelta di tutela dell’ambiente». Giusto, se si intendesse: abbandoniamo le autostrade e trasferiamo i Tir sulla rete ferroviaria esistente (la stessa Torino-Modane in valle di Susa supporterebbe perfettamente i treni con a bordo i camion, se solo esistessero). Qui invece si prevede «la costruzione ex novo di un’opera ciclopica», con un impatto notoriamente insostenibile sul piano ambientale.Mattone, Pepino e Taraglia citano «gli effetti dello scavo di un tunnel di 57 chilometri in una montagna a forte presenza di amianto e uranio con un cantiere ventennale che produrrà un inquinamento certo, a fronte di un recupero successivo del tutto incerto», senza contare gli ingenti consumi energetici per il sistema di raffreddamento del tunnel, la cui temperatura interna sarà superiore ai 50 gradi. E’ dipo ecologista (ma altrettanto infondato) anche il “sesto comandamento” della Torino-Lione: «Con il Tav diminuiranno, comunque, i Tir sull’autostrada e il connesso inquinamento». Anche questa, replicano i tre analisti, è una pura petizione di principio, con la quale si dà per certo lo spontaneo abbandono dell’autostrada da parte dei Tir e il loro passaggio alla ferrovia – tutto da dimostrare, e legato a variabili future e incerte (costi, e non solo). Ma c’è di più. Se davvero si volesse trasferire il traffico dalla gomma alla rotaia, basterebbe imporre – come in Svizzera – pedaggi salatissimi agli autotreni. In Italia si procede al contrario: incentivi per il carburante e pedaggi autostradali in favore dei camionisti. «Passare dagli incentivi alle penalizzazioni sarebbe certo una sfida complessa». La follia italiana dei pro-Tav? «Millantare aspirazioni ecologiste mentre si praticano politiche contrarie».Settima bufala: «La realizzazione della Torino-Lione è una straordinaria occasione di crescita occupazionale che sarebbe assurdo accantonare, soprattutto in epoca di crisi economica». L’affermazione, dicono Mattone, Pepino e Tartaglia, «è un caso scolastico di mezza verità trasformata in colossale inganno». Che la costruzione di un’opera (anche dannosa) produca posti di lavoro, è incontestabile. Ma il punto è un altro: posto che serva, quest’opera, quanto lavoro genera, rispetto ad altri possibili investimenti? Servono calcoli precisi, soprattutto in una situazione come questa, in cui non ci sono risorse per tutto e un investimento ne esclude altri. «Orbene, l’esperienza dimostra in modo inoppugnabile che un piano di messa in sicurezza del territorio è molto più utile (superfluo ricordarlo nell’Italia dei crolli, delle frane e delle esondazioni) e assai più efficace in termini di creazione di posti di lavoro di qualunque infrastruttura ciclopica». Le grandi opere, infatti, sono «investimenti ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di mano d’opera (con pochi posti di lavoro per miliardo investito e per un tempo limitato), mentre gli interventi diffusi di riqualificazione del territorio e di aumento dell’efficienza energetica producono un’alta intensità di manodopera a fronte di una relativamente bassa intensità di capitale (con creazione di più posti di lavoro per miliardo investito e per durata indeterminata)». La Torino-Lione, quindi, «è tutt’altro che l’affare evocato dai proponenti e dai loro sponsor politici».Ottava leggenda: «Trent’anni fa si sarebbe potuto discutere, ma oggi i lavori sono ormai in uno stato di avanzata realizzazione e non si può tornare indietro». Affermazione priva di ogni consistenza: «Del tunnel transfrontaliero, infatti, non è stato a tutt’oggi scavato neppure un centimetro». Sono state realizzate solo opere preparatorie, tra cui lo scavo in territorio francese di 5 chilometri di tunnel geognostico «impropriamente spacciato, in decine di filmati e interviste a tecnici e politici, per l’inizio del traforo ferroviario». Le piccole opere propedeutiche si sono già mangiate un miliardo e mezzo di euro, ma ciò rende solo più urgente una decisione, che deve intervenire prima dell’inizio dei lavori per la realizzazione del tunnel di base e i cui termini sono drammaticamente semplici: a fronte di un’opera dannosa per gli equilibri ambientali e per le finanze pubbliche (come dimostrato dalle analisi di costi e benefici effettuate da studiosi accreditati come il francese Prud’Homme e gli italiani Debernardi e Ponti), conviene di più contenere i danni – mettendo una croce sul miliardo e mezzo colpevolmente speso sino ad oggi – o continuare in uno spreco di miliardi?L’ultima nata delle motivazioni pro-Tav è la sicurezza: «Per mettere in sicurezza il tunnel storico del Fréjus serviranno a breve da 1,4 a 1,7 miliardi di euro: meglio, anche sul piano economico, costruirne uno nuovo». Ovvero: «Il tunnel esistente dovrebbe essere adeguato a caro prezzo in quanto a canna singola e doppio binario e senza vie di fuga intermedie; non ne vale la pena e tanto vale abbandonarlo per sostituirlo con il nuovo super-tunnel di base». Se le motivazioni fossero quelle addotte, un intervento ben più urgente ‒ a cui destinare le scarse risorse disponibili (e del quale, curiosamente, nessuno parla) – dovrebbe essere effettuato sulla linea ad alta velocità Bologna-Firenze, con quasi 74 chilometri di gallerie (la più lunga, quella di Vaglia, di 18,713 chilometri, cinque in più del Fréjus) tutte a canna singola e doppio binario, senza tunnel di soccorso, con un traffico molto più intenso che al Fréjus e in buona parte ad alta velocità. Né va dimenticato che nella galleria del Fréjus sono stati effettuati lavori di adeguamento tra il 2003 e il 2011 spendendo qualche centinaio di milioni di euro: per la parte francese, «l’intervento è stato effettuato al risparmio e in difformità da quanto correttamente (una volta tanto) fatto nella parte italiana». Ai francesi, «che già hanno provveduto ad addossare all’Italia (col consenso di un nostro distratto Parlamento) una parte dell’eventuale costo del nuovo tunnel di base decisamente sbilanciata a loro favore», occorrerebbe chieder conto delle carenze del tunnel “storico” dovute al loro modo di lavorare.In conclusione: qualcuno è in grado di spiegare perché mai bruciare 20-30 miliardi nell’inceneritore della Torino-Lione? Per non pagare le salatissime penali previste in caso di rinuncia, ripetono i pro-Tav, che parlano di sanzioni «fino a un ammontare di due miliardi e 500 milioni». Qui, protestano Mattone, Pepino e Tartaglia, «siamo di fronte a una bufala allo stato puro: non esiste, infatti, alcun documento europeo sottoscritto dall’Italia che preveda penali o risarcimenti di qualsivoglia tipo in caso di ritiro dal progetto». Gli accordi bilaterali tra Francia e Italia «non prevedono alcuna clausola che accolli a una delle parti, in caso di recesso, compensazioni per lavori fatti dall’altra parte sul proprio territorio». In caso di appalti aggiudicati, il nostro codice civile prevede che, ove il soggetto appaltante decida di annullarli, le imprese danneggiate hanno diritto a un risarcimento comprensivo della perdita subita e del mancato guadagno che ne sia conseguenza immediata (per un ammontare che, di regola, non supera il 10% del valore dell’appalto). Ma finora non è stato aggiudicato (e nemmeno bandito) nessun appalto, per il tunnel di base. Il Grant Agreement del 25 novembre 2015, sottoscritto da Italia, Francia e Unione Europea, dispone che «nessuna delle parti ha diritto di chiedere un risarcimento in seguito alla risoluzione ad opera di un’altra parte», prevedendo sanzioni amministrative e pecuniarie nel solo caso in cui il beneficiario di un contributo abbia commesso irregolarità o frodi. I finanziamenti europei sono erogati solo in base all’avanzamento dei lavori, quindi la rinuncia non comporta alcun dovere di restituzione dei contributi (mai ricevuti). Dati incontrovertibili: una panoramica decisamente vertiginosa. E’ possibile parlare di una grande opera per vent’anni, esasperando la popolazione, senza mai degnarsi di elargire uno straccio di verità?Un sindacalista, un magistrato, un docente universitario. Ci si mettono in tre, a spiegare – ancora una volta – che la maledizione chiamata Tav Torino-Lione è assolutamente evitabile, per il bene di tutti, e senza alcuna conseguenza. O meglio: l’inutile traforo su cui si litiga da decenni, senza che ancora ne sia stato scavato nemmeno un centimetro, né Italia né in Francia, è bene che venga rottamato tra i progetti che raccontano la follia di epoche lontane. Dato che la disinformazione impera a reti unificate, specie dopo la ridicola manifestazione delle “madamine” torinesi (non una parola per spiegare la necessità della grande opera), a fornire ragguagli inoppugnabili provvedono Paolo Mattone dei Cobas, il giudice Livio Pepino (già consigliere della Cassazione) e il professor Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino. Su “Volere la Luna”, smontano tutte le dicerie su cui si basa la leggenda (miliardaria) dell’ipotetica alta velocità Italia-Francia: voci e superstizioni che la stampa non si premura mai di verificare, facendo semplicemente da grancassa al declinante establishment italo-piemontese. «La prosecuzione del progetto non ha alcuna utilità economica o necessità giuridica e si spiega solo con gli interessi di gruppi finanziari privati e con le esigenze di immagine di un ceto politico che sarebbe definitivamente travolto dal suo abbandono. Perché, dunque, continuare?».
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Solo neoliberismo, dai gialloverdi, contro il neoliberismo Ue
Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».Fieramente, il governo Conte scrive all’Ue che manterrà i provvedimenti a tutela dei poveri, il cosiddetto reddito di cittadinanza o quel che ne resta («ormai è chiaro che è solo un ampliamento delle misure del governo Gentiloni», il suo “reddito di inclusione”). L’esecutivo dice che allenterà le rigidità e i vincoli del sistema pensionistico? Invece «resta la Fornero con tutti i suoi vincoli», anche se «per alcuni saranno meno duri». Questa è la realtà, sottolinea Cremaschi. Poi ci sono i condoni fiscali, le promesse di investimenti e altre misure in base alle quali il governo contesta alla Ue le sue previsioni pessimiste e conferma invece che l’Italia crescerà e per quella via ridurrà il debito. Così alla fine «lo scontro tra governo e Ue sta diventando una sorta di ridicola contesa tra ottimisti e pessimisti, su previsioni che, la storia insegna, sono quasi sempre sbagliate, tutte». Ma il governo fa un passo in più, aggiunge l’ex sindacalista: di fronte alle contestazioni sui suoi numeri “ottimisti”, l’esecutivo aggiunge delle “garanzie”. «La prima è la privatizzazione dell’1% del patrimonio pubblico: sembra poco, ma la proprietà pubblica teoricamente viene valutata in ben 1.800 miliardi di euro. Quindi il governo prometterebbe 18 miliardi di ricavi da vendite di beni pubblici».Di Maio assicura che si metteranno all’asta solo proprietà demaniali di poco valore, non i “gioielli” finanziari e industriali? «Bene, ma se davvero fosse così – obietta Cremaschi – o saremmo di fronte a una bufala, o alla gigantesca privatizzazione di circa un terzo di suolo pubblico, visto che la proprietà demaniale da sola vale circa 60 miliardi: altro che gli ettari dati in concessione per il terzo figlio». Secondo Cremaschi, il governo cerca di rispondere alle accuse Ue con le privatizzazioni, «quindi al liberismo con più liberismo, seguendo pedissequamente ciò che fece Monti». Il super-tecnocrate «viene imitato anche nell’altra mossa del governo: l’impegno a non far salire in ogni caso il deficit oltre il 2,4%». Altra bufala, o «garanzia vera e pericolosa»? Nel secondo caso, «il governo dovrà alla fine definire clausole di riduzione del deficit, aumento dell’Iva e tagli di spesa pubblica, esattamente come hanno fatto Monti, Renzi e Gentiloni», e magari «lasciando quelle clausole velenose in eredità ai governi successivi, come hanno fatto tutti i predecessori».Insomma, il governo «alza la bandiera dell’orgoglio nazionale», ma poi «segue sempre di più la via liberista classica dell’Unione Europea». Se n’è accorto il ministro delle finanze della Germania, Olaf Scholz, l’unico ad avere espresso parole di comprensione sulla manovra italiana, affermando che in nostro paese ha diritto di aiutare i più poveri come si fa in tutta Europa. «Paradossalmente – aggiunge Cremaschi – se il governo Merkel fosse ancora il padrone assoluto della Ue, il compromesso sarebbe vicino». Ma sono proprio i governi e i partiti “fratelli” della Lega di Salvini i più duri contro l’Italia. «E siccome questi governi e questi partiti di destra hanno un peso sempre maggiore nella Ue, e il loro avversario Macron compete con loro sul loro stesso terreno, ecco che dare una lezione all’Italia diventa un terreno ove mostrare chi è più forte», sostiene Cremaschi. Così come fermare i migranti, anche dire stop alle “spese folli” degli italiani «è diventato un vanto, ove ogni governante mostra quanto sia più duro degli altri».Per una sorta di legge del contrappasso, conclude l’ex sindacalista, «il governo gialloverde paga nella Ue l’affermarsi delle idee e dei comportamenti di cui va più fiero Salvini». A questo punto, «è difficile prevedere se lo scontro governo italiano-Ue continuerà, o se alla fine ci sarà un compromesso nel nome della continuità delle politiche liberiste che entrambi i contendenti praticano». In ogni caso, secondo Cremaschi «siamo di fronte allo scontro tra due diverse destre economiche e politiche, che configgono nel nome degli stessi valori di fondo e degli stessi programmi di privatizzazioni e tagli allo stato sociale». Per rompere la gabbia del liberismo, nel nome della giustizia e dell’eguaglianza sociale, per Cremaschi «è più che mai necessario essere contro il governo e contro la Ue».Il governo ha fieramente confermato la sua manovra di bilancio mentre le opposizioni tifano Ue: sembra uno scontro epocale, ma se si diradano le opposte propagande vediamo che siamo di fronte a due modi, (non tanto) diversi di intendere lo stesso liberismo. Lo afferma Giorgio Cremaschi, già dirigente di lungo corso della Fiom, ora esponente di “Potere al popolo”. «La Ue e i suoi fanatici, compresa la penosissima sinistra dello spread, rivendicano tutto l’impianto delle politiche di austerità, che in Grecia hanno distrutto il paese e in Italia, oltre ai danni sociali che viviamo, hanno fatto crescere enormemente il debito pubblico», scrive Cremaschi su “Micromega”. Da quando si è insediato Monti, che ha alzato le tasse e tagliato la spesa pubblica mutilando il welfare (pensioni in primis, legge Fornero) il debito pubblico italiano è aumentato di 400 miliardi di euro, ricorda Cremaschi: «Segno che le politiche di austerità per ridurre il debito lo fanno aumentare, e che la propaganda a loro favore si fonda sul nulla e sul falso». Giusto quindi abbandonarle e seguire altre vie, ovvero «ciò che la propaganda opposta del governo gialloverde rivendica». Solo che, anche qui, secondo Cremaschi «la realtà è ben diversa dagli annunci».