Archivio del Tag ‘Unione Europea’
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Giannuli: criticano i forconi ma tacciono sull’infame Ue
Chi ha paura dei “forconi” e dell’estrema destra che tenta di cavalcarli? «Diciamocelo, il Nemico (quello con la N maiuscola) non è Forza Nuova ma l’asse Bce-Berlino. E in Italia i nomi sono quelli di Letta, Monti, Napolitano». Di fatto, scrive Aldo Giannuli, la sinistra residua, incluso «quel che resta di Rifondazione, Pdci, Sel, antagonisti vari e simili», si sta letteralmente suicidando, «perché non ha il coraggio di scegliere la barricata anti-Ue». Non prendere posizione in modo chiaro sul principale terreno di scontro «significa finire ai margini dello scontro politico». La rivolta non è quella che gli elettori di sinistra si sarebbero aspettati? Normale: «La crisi sta precipitando e iniziano a manifestarsi i primi movimenti di protesta “fuori controllo”». Ma chi accusa i manifestanti di essere “fascistoidi” come può pensare di avere le carte in regola, se non ha fatto che voltare le spalle al paese per obbedire a Bruxelles?Certo, non ci sono bandiere rosse nelle piazze dei “forconi”. Niente studenti e lavoratori precari, «niente sofisticati “lavoratori immateriali” ma contadini, camionisti, impiegati licenziati e piccoli imprenditori rovinati: tutta gente che fa lavori materialissimi e per niente post moderni». Nessuna egemonia di sinistra, stavolta, «ma solo una rivolta populista rabbiosa quanto antipolitica, esasperata e di basso profilo culturale». Questo fenomeno, continua Giannuli, non è “il popolo”, come pensa Grillo, e non ha i numeri di un movimento di massa: «Non stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone, ma al più di qualche decina di migliaia, però attenzione a non sottovalutarlo. A mio avviso, non siamo di fronte alla vera fiammata, ma solo al suo esordio: questo è lo starnuto che annuncia l’influenza e, forse, la polmonite». Impazzano le dietrologie: è un movimento fascista? C’è dietro la mafia o un Berlusconi furibondo che gioca allo sfascio? E’ il prodotto dell’aizzamento di Grillo?«Magari può far comodo pensarlo per far quadrare un po’ i conti, ma non si capisce niente di questo movimento se non si parte da un fatto: c’è una tale esasperazione sociale per gli effetti delle sciagurate politiche di austerità di Monti e di Letta (e di cui il Pd è il massimo responsabile) che il primo che inalbera un cartello con scritto “morte ai politici” si tira dietro un corteo», scrive Giannuli nel suo blog. «Questo movimento non è stato “inventato” da nessuno, è cresciuto spontaneamente». Ciò non toglie che ci siano “sovrapposizioni” come quelle di Forza Nuova, o che il Cavaliere «ci stia generosamente inzuppando il pane». E’ saggio mettere in conto «una nuova e più intensa fiammata», magari in vista delle elezioni europee, che saranno «un referendum pro o contro l’euro e la Ue». La piazza? Chiede proprio questo: di farla finita con la Bce e con lo strapotere rovinoso di Bruxelles. «Dunque, è il momento di essere chiari», sottolinea Giannuli. «Personalmente non esito a dire che io starò dalla parte “antieuropea”, voterò e sosterrò chi chiederà la fine dell’euro».Sottinteso: «Non è dell’Europa dei diritti e della solidarietà che stiamo parlando», un’Europa che peraltro «non so se sarà mai realizzata», continua Giannuli. «Ma so per certo che non potrà esserlo sino a quando ci sarà questa Europa di banchieri e tecnocrati. Così come non sono affatto convinto che il pericolo principale in questo momento sia quello si una ripetizione in tutta Europa dei casi di Grecia e Ungheria». In Europa occidentale, la nuova destra può avere successo se si presenta «in abiti più stinti e tranquillizzanti» come quelli del Front National di Marine Le Pen, ma l’ondata dei cosiddetti “euroscettici” andrà semmai a beneficio di gruppi come Afd (Alternativa per la Germania), Veri Finlandesi, gli anti-euro inglesi dell’Ukip capitanato da Nigel Farage, fino al M5S. Gruppi che «non mi pare possano essere definiti in alcun modo partiti fascisti». Mentre c’è anche una sinistra (soprattutto in Grecia, Portogallo e forse Spagna) che «sta trovando il coraggio di dirsi antieuropea (se per antieuropea si intende questa Europa dei finanzieri e non un qualsiasi ideale europeista)». A tacere – salvo poi lamentarsi dei “forconi” – è invece la sinistra italiana.Chi ha paura dei “forconi” e dell’estrema destra che tenta di cavalcarli? «Diciamocelo, il Nemico (quello con la N maiuscola) non è Forza Nuova ma l’asse Bce-Berlino. E in Italia i nomi sono quelli di Letta, Monti, Napolitano». Di fatto, scrive Aldo Giannuli, la sinistra residua, incluso «quel che resta di Rifondazione, Pdci, Sel, antagonisti vari e simili», si sta letteralmente suicidando, «perché non ha il coraggio di scegliere la barricata anti-Ue». Non prendere posizione in modo chiaro sul principale terreno di scontro «significa finire ai margini dello scontro politico». La rivolta non è quella che gli elettori di sinistra si sarebbero aspettati? Normale: «La crisi sta precipitando e iniziano a manifestarsi i primi movimenti di protesta “fuori controllo”». Ma chi accusa i manifestanti di essere “fascistoidi” come può pensare di avere le carte in regola, se non ha fatto che voltare le spalle al paese per obbedire a Bruxelles?
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Bruxelles produce odio, cresce il rischio di una guerra
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso in Europa è visto come una promessa di guerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europa intera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?Spostiamoci a ovest. Il Parlamento catalano ha indetto il referendum indipendentista per l’autunno del 2014. I franchisti del governo madrileno hanno risposto che il referendum non si farà mai. Nel frattempo, in Francia i sondaggi prevedono che il Front National diverrà partito di maggioranza alle prossime elezioni. A quel punto il patto franco-tedesco su cui si fonda l’Unione sarà cancellato nella coscienza della maggioranza dei francesi, e la balcanizzazione del continente precipiterà. Questa dinamica mi pare il contesto in cui leggere le convulsioni agoniche della penisola italiana. Il governo Letta Alfano Napolitano, filiale del partito distruttori d’Europa, è in camera di rianimazione. Può durare o crollare poco importa: non è in grado di mantenere nessuna promessa, neppure quelle fatte ai suoi padroni di Francoforte.Il movimento dei forconi è tracimare del nervosismo sociale. Nel 2011 il movimento anticapitalista tentò di fermare l’aggressione finanzista, ma non ebbe la forza per mettere in moto una sollevazione solidale. La precarizzazione ha sgretolato la solidarietà tra lavoratori, e il movimento si risolse in una protesta che il ceto politico-finanziario, per criminale interesse e per imbecillità conformista, rifiutò perfino di ascoltare. Ma la sollevazione non si ferma, perché ha i caratteri tellurici di una disgregazione della base stessa del consenso sociale. E’ una sollevazione priva di interna coerenza, priva di strategia progressiva. Ci sono dentro elementi di nazionalismo, di razzismo, di egoismo piccolo-proprietario, ma anche elementi di ribellione operaia, di democrazia diretta e rabbia libertaria. Non è importante la sua confusa coscienza, le contrastanti ideologie e i contrastanti interessi che la mobilitano. Conta il fatto che il suo collante obbiettivo è l’odio contro l’Europa. Questo odio non può che essere portatore di disgrazie.(Franco “Bifo” Berardi, “I forconi e la deflagrazione dell’Europa”, da “Micromega” del 13 dicembre 2013).Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
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Ci tosano come Cipro: e grazie ai forconi, non se ne parla
Eterodiretti? Chissà. Una cosa è certa: «Il timing è perfetto». Come quando è esplosa a Istanbul la protesta di Gezi Park (per poi sparire subito) nel momento in cui «la Turchia di Erdogan doveva essere un po’ spennata sui mercati finanziari perché cresceva troppo e qualche scommessa era a rischio». O come adesso in Ucraina, dove «le proteste vanno avanti da settembre, ma solo ora che è diventato conveniente speculare su quel paese hanno assunto proporzioni mediatiche». Attenzione, avverte Mauro Bottarelli: nei giorni dell’emergenza “forconi”, in Italia stanno succedendo cose inenarrabili: «Ci sono almeno tre banche clinicamente morte che andranno o salvate o mantenute in vita artificialmente», l’indice Mib va male, Banca Etruria ha perso il 22% in due sedute e necessita di un aumento di capitale «miracolistico» ed è appena stato tagliato il rating di Banca Carige, «eppure lo spread non si muove». Che sta succedendo? Semplice: in sede europea è stato appena ufficializzata l’introduzione della procedura-Cipro: prelievo forzoso sui correntisti. E nessuno, per ora, ne deve parlare.
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Perché l’Ue ti frega (spiegato al signor Marco, idraulico)
Marco, non è solo una questione di gruppi di speculatori e di ideologi che hanno creato un sistema, l’Eurozona, per succhiarti il sangue da Bruxelles. Non è solo il fatto che hanno scritto Trattati che annullano quel poco di potere del Parlamento italiano e del governo di aiutarti con la spesa pubblica. Non è solo che hanno scritto sul marmo dell’Europa delle Austerità imposte all’Italia che tu devi essere tassato a morte per venirti a succhiare ancora più sangue. Non è solo che non esiste un singolo politico italiano che ci capisca qualcosa e che possa difenderti (Grillo meno di tutti, stai in occhio!). E’ anche che in quelle stanze dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle sono piene di… Marco, non ti prendo in giro… sono piene di marziani in giacca e cravatta senza la più pallida idea di cosa significhi essere una persona umana. Una persona che vive in una casa e che alle 6,30 del mattino di tutti i giorni si alza per salire sul furgone con la borsa degli attrezzi. O cosa significhi lavorare. E questi decidono per te.Oggi un grande giornale finanziario americano ci informa che in quelle stanze – dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle vengono prese – un tizio di nome Benoit Coeuré della Banca Centrale Europea ha detto: «Il nostro compito ora è difendere i nostri successi finora ottenuti». Poi un altro alieno di nome Guntram Wolff, che dirige una super lobby chiamata Bruegel, ha detto: «I governi nazionali hanno combattuto a lungo per la loro sovranità, e giustamente la difendono». I successi finora ottenuti… La sovranità dei governi nazionali… Marco, ti sembra un successo l’euro? Quando avevi 32 anni e lavoravi per l’idraulica dei nascenti Lidi Ferraresi, e con quel lavoro hai creato 34 posti di lavoro per almeno trent’anni che hanno mantenuto 34 famiglie per trent’anni e hai sistemato le tue tre figlie, tu, Marco, stavi come oggi?Marco, il governo di allora – quando per i primi 5 anni avevi un credito bancario quasi senza interessi e poi al massimo ti caricavano un 4% con tutta tranquillità, e quando il Tesoro a Roma decideva LIBERAMENTE di darti il 12% d’interessi sui Bot per arricchirti – ti sembra libero come quello di oggi? Ma Marco, sai chi sono ‘sti due alieni di Bruxelles, i signori Benoit Coeuré e Guntram Wolff? Sono gli uomini che oggi ti comandano, comandano il tuo ‘governo’, e che ti fottono 42 anni di lavoro. Marco, PRENDIMI SUL SERIO. Marco, noi della Me-Mmt siamo qui per spiegarti tutto questo, per aiutarti, e per darti i mezzi di difenderti. La guardi “La Gabbia” su La7 il mercoledì sera?(Paolo Barnard, “Perché la Ue ti fotte, spiegato al sig. Marco dell’Idraulica Ferrini e soci”, dal blog di Barnard del 7 dicembre 2013).Marco, non è solo una questione di gruppi di speculatori e di ideologi che hanno creato un sistema, l’Eurozona, per succhiarti il sangue da Bruxelles. Non è solo il fatto che hanno scritto Trattati che annullano quel poco di potere del Parlamento italiano e del governo di aiutarti con la spesa pubblica. Non è solo che hanno scritto sul marmo dell’Europa delle Austerità imposte all’Italia che tu devi essere tassato a morte per venirti a succhiare ancora più sangue. Non è solo che non esiste un singolo politico italiano che ci capisca qualcosa e che possa difenderti (Grillo meno di tutti, stai in occhio!). E’ anche che in quelle stanze dove tutte le decisioni che fottono la tua vita, la tua azienda, i tuoi fornitori-creditori, i tuoi debiti e i 42 anni di lavoro che hai alle spalle sono piene di… Marco, non ti prendo in giro… sono piene di marziani in giacca e cravatta senza la più pallida idea di cosa significhi essere una persona umana. Una persona che vive in una casa e che alle 6,30 del mattino di tutti i giorni si alza per salire sul furgone con la borsa degli attrezzi. O cosa significhi lavorare. E questi decidono per te.
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Benvenuti in Albania, al call center si lavora per 600 euro
«Se il call center si sposta in Albania, portiamo l’Albania qui da noi. Cioè, riduciamo drasticamente i salari». Lo rivela l’ultimo contratto di settore siglato da Cgil, Cisl e Uil con le due strutture padronali, Assotelecomunicazioni e Assocontact, in cui si prevede una sorta di “salario di ingresso” al 60% della paga minima, riferisce il “Fatto Quotidiano”. Coi loro 100.000 occupati – senza contare quelli interni alle aziende – i call center «sono la vetrina per clienti in cerca di informazioni oppure da assoldare con proposte “allettanti”». Il contratto si riferisce a questi ultimi, i lavoratori a progetto (co.co.pro.) in “outbound”, cioè coloro che effettuano chiamate verso l’esterno (telemarketing, televendite, ricerche di mercato). Si tratta di 30.000 addetti, per i quali la riforma Fornero ha richiesto il ricorso alla contrattazione per determinarne la retribuzione. E così, aziende e sindacati di categoria hanno siglato un contratto che prevede il riconoscimento del minimo tabellare (circa 1.000 euro netti al mese) ma ridotto al 60% fino a gennaio 2015. Da quella data, poi, si risale di anno in anno fino a tornare al 100% (del minimo) nel 2018.«Una forma originale di “salario di ingresso” prolungato nel tempo», la definisce Salvatore Cannavò sul “Fatto”. Inoltre, per le nuove assunzioni al termine del contratto, l’azienda utilizzerà lavoratori presenti in una speciale graduatoria: per potervi accedere, gli aspiranti dipendenti dovranno sottoscrivere “un atto di conciliazione individuale”, di valore giuridico, che li impegna in anticipo a rinunciare «a diritti pregressi, che non vengono nemmeno specificati». Anche da parte sindacale, l’accordo è stato difeso come «una importante novità nel panorama delle relazioni industriali». Le parti hanno addirittura siglato un comunicato congiunto. Cesare Avenia di AssTel sostiene che «non era mai avvenuto prima che si stipulasse un accordo avente come oggetto dei lavoratori non dipendenti». La retribuzione’ Ultra-minima, certo. Però «amplia le certezze per i lavoratori». Tra queste: la contrattazione separata, che secondo fonti sindacali «impedisce loro di accedere al contratto generale».Nati impetuosamente agli inizi degli anni Duemila, ricorda Cannavò, i call center si sono evoluti confusamente con contratti “selvaggi”, messi in evidenza da film come “Parole sante” di Ascanio Celestini e “Tutta la vita davanti”, di Paolo Virzì, tratto dal libro di Michela Murgia “Il mondo deve sapere”. «Il call center sembra la catena di montaggio degli anni Duemila», sottolinea il “Fatto”. Nel 2006, l’allora ministro del lavoro Cesare Damiano, «uno dei pochi che si occupa ancora di lavoro», con una circolare riuscì a stabilizzare circa 24.000 lavoratori, ma il dispositivo fu poi “smontato” dal successivo governo Berlusconi. «Nel frattempo si è ampliato il fenomeno di delocalizzazione alla ricerca del costo del lavoro più basso», parzialmente mitigato da una misura introdotta nel 2012 dal governo Monti, che sospende gli incentivi per le aziende che delocalizzino fuori dai confini dell’Ue.Per i call center, «settore simbolo del precariato», lo spettro della delocalizzazione incombe da sempre sui lavoratori di marchi come Sky, Fastweb, Vodafone. «Tra i paesi preferiti la vicina Albania, con circa 60 aziende tra Durazzo, Valona e Tirana. Ma anche la Romania o la Tunisia». Attenzione: se negli anni Duemila i lavoratori manifestavano soprattutto per regolarizzare il proprio lavoro, ora la protesta è contro le delocalizzazioni, come dimostrano le recenti agitazioni dei dipendenti Fastweb, Almaviva, E-Care. «In tempi di crisi ogni lavoro è essenziale, anche quello meno professionale dei call center, per quanto si tratti ormai di una occupazione rilevante», conclude Cannavò. «In Puglia, ad esempio, Teleperformance è la seconda azienda dopo l’Ilva con 3.000 dipendenti, mentre Almaviva (ex Atesia) ne occupa 24.000 in Italia». Per i nuovi addetti al telemarketing, la paga scende dunque a 600 euro, full time. I sindacati? Firmano, entusiasti: benvenuti in Albania. «Di questo passo», commenta Giuliana Cupi di “Alternativa”, «tra poco, per lavorare dovremo pagare: e scommetto che qualche sindacato riuscirà pure a vantarsi di aver salvaguardato i posti di lavoro».«Se il call center si sposta in Albania, portiamo l’Albania qui da noi. Cioè, riduciamo drasticamente i salari». Lo rivela l’ultimo contratto di settore siglato da Cgil, Cisl e Uil con le due strutture padronali, Assotelecomunicazioni e Assocontact, in cui si prevede una sorta di “salario di ingresso” al 60% della paga minima, riferisce il “Fatto Quotidiano”. Coi loro 100.000 occupati – senza contare quelli interni alle aziende – i call center «sono la vetrina per clienti in cerca di informazioni oppure da assoldare con proposte “allettanti”». Il contratto si riferisce a questi ultimi, i lavoratori a progetto (co.co.pro.) in “outbound”, cioè coloro che effettuano chiamate verso l’esterno (telemarketing, televendite, ricerche di mercato). Si tratta di 30.000 addetti, per i quali la riforma Fornero ha richiesto il ricorso alla contrattazione per determinarne la retribuzione. E così, aziende e sindacati di categoria hanno siglato un contratto che prevede il riconoscimento del minimo tabellare (circa 1.000 euro netti al mese) ma ridotto al 60% fino a gennaio 2015. Da quella data, poi, si risale di anno in anno fino a tornare al 100% (del minimo) nel 2018.
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Se la Comunità fronteggia il Privante che mangia lo Stato
Non abbiamo la minima idea di come andrà a finire. Ma sappiamo che in questo momento – oggi, non nel futuro – sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel seguente modo: io studio, in buona parte per imparare a fare un lavoro per qualcun altro; questo qualcun altro ha bisogno di me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro; prestando il mio lavoro, guadagno abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia – tutte cose che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga durata. E anche per pagare le tasse con cui un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato – mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici. Se ragioniamo in termini di complesso di vita, sostiene Miguel Martinez, ci rendiamo conto della portata storica di questa fase: è «l’agonia dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato».Questo dato di fatto è talmente enorme e pauroso, che – almeno in Europa e soprattutto in Italia – le persone pensanti «tendono a cercare rifugio in discorsi che hanno quasi sempre tre caratteristiche: sono rivolti al passato, sono idealistici e sono paralleli», osserva Martinez in un post su “Kelebeklerblog”, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ci rifugiamo nel passato perché «tutti i riferimenti, sia per indicare ciò che va demonizzato, sia per indicare ciò che va esaltato, si trovano in storie di cui abbiamo perso completamente il senso. Che si tratti della cristianità, del nazismo, dello stato liberale e/o sociale o del comunismo, ogni argomentare sul passato – che pure è un tema affascinante – nasconde false piste su come agire nel presente». Sicché, dalla fine di un complesso di vita deriva un elemento molto concreto: lo svuotamento dello Stato dal basso verso l’alto. «In apparenza, lo Stato non solo ancora esiste, ma alla testa assume forme sempre più totalizzanti: andiamo sempre più verso la costruzione di un unico massiccio dispositivo, cui si è scelto di dare il nome di “Europa”. Sotto questo unico dispositivo, altri reggono più o meno bene. Pensiamo, in Italia, al dispositivo militare; oppure all’immenso sistema Tav, cioè il geniale meccanismo inventato dopo Tangentopoli per permettere alla Fiat, alle grandi cooperative dette “rosse” e alla mafia di continuare ad arricchirsi con i soldi pubblici».Dove emerge invece in modo evidente la dissoluzione dello Stato è in basso: «Ogni giorno, quando ci guardiamo attorno, vediamo un altro pezzo che scompare. Che sia il consultorio di quartiere venduto per fare velocemente quattrini, il vigile che non controlla più, il custode o le saponette che mancano nella scuola, la ludoteca che perde un operatore, l’autobus che non passa più». Di questo passo, «tra qualche mese, gli anziani che si recavano all’Asl a due passi da qui dovranno prendere due autobus per recarsi all’altro capo della città, perché il presidio chiude (il Comune dice che è colpa della Regione, tiè). Sono storie che tutti conosciamo, avvengono lentamente, ciascuna da sola sembra evitabile, attribuibile quindi a un errore o a una debolezza. Ma se un giorno riuscissimo a metterle tutte insieme, vedremmo che se lo Stato negli ultimi anni si è ridotto in alto – poniamo, tanto per sparare qualche cifra del tutto inventata – del 10%, in basso si è ormai ridotto del 50%. E a quel punto capiremo che si tratta di storia, non di questo o quell’assessore».In questo vuoto, secondo Martinez si inseriscono due attori, il Privante e la Comunità Attiva. «Il Privante (meglio noto come “il privato”, con un curioso contorcimento semantico) raramente sostituisce le funzioni dello Stato, salvo in qualche caso come gli asili nido». Di solito, il Privante «occupa gli spazi dello Stato per nuovi fini, come le caserme in dismissione che le finanziarie stanno acquistando per fare grandi alberghi». Succede come con lo Stato: «In alto ci sarà pure un po’ di “crisi”, ma i soldi continuano a girare in quantità che superano la possibilità di consumo degli stessi ricchi. E quindi non mancano i clienti per i grandi alberghi, i ristoranti o le Ferrari. Casomai, nella stessa città, sono i non ricchi la cui sopravvivenza viene minacciata direttamente». Il Privante, come dice il nome, priva: «Esclude gli altri cioè da quelli che in passato erano in qualche maniera spazi sociali». Viceversa, «ovunque in Italia emergono quelle che possiamo chiamare le Comunità Attive, innumerevoli associazioni e soprattutto comitati che nascono ogni giorno». Soggetti collettivi, che «suppliscono alla scomparsa dello Stato» e di fatto «si organizzano da sé e al di fuori delle istituzioni», spesso lavorando «in quello che viene chiamato con disprezzo il “proprio orticello”».In questi anni, le Comunità diventate un elemento sempre più importante: «Credo che ciò spieghi in buona parte lo straordinario risultato ottenuto da Beppe Grillo alle elezioni, una cosa che forse sfugge ai grandi media che trascurano le mille realtà locali di questo paese». Il successo di Grillo, che non ha precedenti nella storia italiana, «è stato costruito totalmente al di fuori e contro i media, grazie a migliaia e migliaia di singole persone, che quasi sempre riflettevano le confuse e varie esigenze dei comitati che ovunque combattevano per cause non rappresentate dalle istituzioni, dalla lotta contro gli inceneritori a quella contro il Tav». Milioni di persone, che «si sono sentite talmente libere dal rispetto dovuto alle istituzioni e ai partiti da scegliere qualcosa di totalmente innovativo nel panorama politico italiano». Secondo Martinez, «c’è una convergenza di forze travolgenti, che sta cambiando in maniera irriconoscibile il mondo. Questa convergenza sta già portando alla crisi lenta ma irreversibile del triangolo Cittadino, Lavoro, Stato, e quindi alla fine di tutto il complesso di vita in cui siamo cresciuti e che forma il nostro modo di vedere le cose».Proprio perché la crisi è convergente, aggiunge Martinez, non possiamo sperare in una “soluzione”: «Si fa benissimo a resistere dove si può – a chiedere un metro in meno di un tunnel in val di Susa e un bidello in più nella scuola elementare». Ma attenzione: «Non illudiamoci che l’argine terrà», perché questa crisi «implica in particolare lo svuotamento, a partire dal basso, dello Stato», a beneficio del Privante e della Comunità Attiva. «Chiaramente, il Privante ha immensi vantaggi. Non solo ha più soldi; soprattutto, i soldi permettono di costruire rapporti contrattuali a lungo termine, molto più solidi dei rapporti affettivi su cui si fonda la Comunità». Per questo, «è più facile che il futuro sia quindi “neofeudale” che comunitario». Per fortuna, però, si va espandendo anche la Comunità, che spesso nasce come struttura di autodifesa contro il Privante. «Le cose cambiano – conclude Martinez – se mi pongo un altro tipo di domanda: in che modo posso fare qualcosa lì dove mi trovo, oggi, con le persone e le storie che ci sono realmente? Qui c’è lo spazio della libertà, in cui le nostre scelte possono contare qualcosa».Non abbiamo la minima idea di come andrà a finire. Ma sappiamo che in questo momento – oggi, non nel futuro – sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel seguente modo: io studio, in buona parte per imparare a fare un lavoro per qualcun altro; questo qualcun altro ha bisogno di me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro; prestando il mio lavoro, guadagno abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia – tutte cose che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga durata. E anche per pagare le tasse con cui un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato – mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici. Se ragioniamo in termini di complesso di vita, sostiene Miguel Martinez, ci rendiamo conto della portata storica di questa fase: è «l’agonia dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato».
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Spagna, tragica lotteria: premio in palio, uno stipendio
Il lavoro rende liberi, recitava l’insegna irridente alle porte dell’inferno nazista, dove – oltre allo sterminio di massa – si sperimentava anche l’enorme vantaggio economico di milioni di operai ridotti in schiavitù. Oggi, dopo settant’anni, il lavoro come diritto è finito. E’ scomparso il lavoro come percorso di vita e progresso sociale, avverte Gennaro Carotenuto: «Il lavoro nel quale fare emergere le proprie capacità, il proprio impegno, la propria fatica e mettere a frutto le proprie inclinazioni e talenti è definitivamente alle nostre spalle». Adesso, sotto il regime dell’euro-rigore in cui deflagra la grande recessione occidentale, il lavoro stabile è il “sogno di una vita”, da raggiungere magari in età avanzata e per un colpo di fortuna. La notizia che arriva dalla Spagna «è di quelle difficili da digerire». Per il 6 gennaio un’impresa catalana, il gruppo Enrique Tomás, «metterà in palio in una lotteria abbinata a quella tradizionale del Niño, un posto di lavoro a tempo indeterminato».Lo slogan con il quale si pubblicizza l’iniziativa è altrettanto sintomatico, aggiunge Carotenuto nel suo blog. Il lavoro – un lavoro qualsiasi, ovviamente: un semplice posto di lavoro, cioè uno stipendio – ormai è proprio “il sogno di una vita”. «Per l’iniziativa verranno messi in palio 100.000 biglietti a cinque euro l’uno e il vincitore avrà perfino il diritto di cedere il posto di lavoro ad un “consanguineo o affine fino al terzo grado”». Sarà l’impresa Enrique Tomás a stabilire dove impiegare il vincitore, con una retribuzione in linea con gli altri salari del gruppo. Tra i premi minori, anche tre anni di mutuo pagato. Chiosa Carotenuto, docente universitario e saggista: «Chi scrive – e sono fortunato – è nella condizione di potersi prendere il lusso di indignarsi ma non di giudicare chi invece volesse provare». Non giudicare: sarebbe come schernire i poveri in fila per un piatto di minestra.Sempre sul suo blog, Carotenuto spiega chiaramente come la pensa: «Non brindo certo alla decadenza di Berlusconi», a lungo “protetto” dai «burocratini» del Pd. «Non dovevate farcelo entrare, in Parlamento: era ineleggibile, e non vi siete opposti. C’era un enorme conflitto d’interesse, e avete trattato. Ci avete mangiato la crostata insieme e ancora dovete spiegare perché. Gli avete lasciato fare la grande porcata perché conveniva anche a voi autonominarvi invece che farvi eleggere». Intanto, l’Italia crollava. Drammatica la sintesi che Paolo Barnard offre nello studio di Paragone, su La7: nel 2011, la Bce ha ricattato il governo Berlusconi (cioè i cittadini italiani) cessando di colpo di acquistare i nostri titoli di Stato, facendo salire alle stelle il debito pubblico. Volevano imporre Monti e il pacchetto-austerità della Troika. Letta e il Pd? Non pervenuti. Intanto, là fuori, le aziende chiudono e il lavoro sparisce. Se aprissero una lotteria anche in Italia, ci sarebbe la coda.Il lavoro rende liberi, recitava l’insegna irridente alle porte dell’inferno nazista, dove – oltre allo sterminio di massa – si sperimentava anche l’enorme vantaggio economico di milioni di operai ridotti in schiavitù. Oggi, dopo settant’anni, il lavoro come diritto è finito. E’ scomparso il lavoro come percorso di vita e progresso sociale, avverte Gennaro Carotenuto: «Il lavoro nel quale fare emergere le proprie capacità, il proprio impegno, la propria fatica e mettere a frutto le proprie inclinazioni e talenti è definitivamente alle nostre spalle». Adesso, sotto il regime dell’euro-rigore in cui deflagra la grande recessione occidentale, il lavoro stabile è il “sogno di una vita”, da raggiungere magari in età avanzata e per un colpo di fortuna. La notizia che arriva dalla Spagna «è di quelle difficili da digerire». Per il 6 gennaio un’impresa catalana, il gruppo Enrique Tomás, «metterà in palio in una lotteria abbinata a quella tradizionale del Niño, un posto di lavoro a tempo indeterminato».
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Missione, salvare l’Italia: ora Renzi non ha più alibi
Tre milioni di votanti: una mobilitazione popolare inattesa, in un paese assediato dallo sciopero dei “forconi”. Anche chi guarda al Pd con scetticismo e preoccupazione deve ammettere che i numeri popolari espressi dalle primarie dell’8 dicembre che hanno largamente incoronato Matteo Renzi rappresentano un segnale chiaro: la speranza che un cambiamento sia ancora possibile, e che possa avvenire per via elettorale. E’ una sorta di “sentimento democratico”, che – nonostante le abissali differenze – induce periodicamente milioni di italiani a recapitare un messaggio: ai referendum per fermare il nucleare e la privatizzazione dell’acqua, e alle politiche per indirizzare un ultimatum alla casta attraverso Grillo. Così, grazie agli italiani che hanno votato per il sindaco di Fiorenze, la tombale “stabilità” costruita da Napolitano è già in crisi. «Mentre Renzi riceve i voti di milioni di elettori democratici, il premier del Pd, Enrico Letta, riceverà una fiducia scontata con i voti di Alfano, Formigoni, Schifani. E’ molto difficile pensare che queste scene possano stare insieme».Lo sintetizza Jacopo Iacoboni, sulla “Stampa”: il difficile per Renzi comincia ora, perché «si delineano due scene stridenti e totalmente incompatibili». Da una parte «un uomo non ancora quarantenne che conquista la guida del partito con una campagna aperta, popolare, e chiedendo un voto agli italiani», e dall’altra, «in stanze divenute grigie, purtroppo, il Parlamento delle “larve intese” (neanche più larghe)». Dal corpo elettorale del Pd arrivano indicazioni inequivocabili: l’outsider Civati «è andato piuttosto bene, senza fare sfracelli ma dando segno di vitalità», mentre il dalemiano Cuperlo è colato a picco, «non perché non fosse un uomo di valore: semplicemente perché è apparso totalmente schiacciato e legato all’abbraccio mortale della burocrazia del partito (e della Cgil): un tandem micidiale che farebbe perdere una partita anche a Maradona, se esistesse, nell’Italia 2013».«In tempi di disaffezione e di protesta dilagante», scrive Ezio Mauro su “Repubblica”, la risposta dell’8 dicembre è «sorprendente e confortante», perché rappresenta «un atto di fede nella democrazia e persino nella politica, unito a una speranza testarda di cambiamento: in mezzo ad una crisi gravissima, che con la mancanza di lavoro sta erodendo la democrazia materiale del paese, le primarie dicono che per il popolo di sinistra la politica è ancora l’unico strumento per cambiare l’Italia, a patto che incominci a cambiare se stessa». Aggiunge Mauro: «Ogni volta che la sinistra dischiude le sue porte e chiede ai cittadini di partecipare la reazione è positiva, nonostante le delusioni e le frustrazioni accumulate in passato per la dissipazione dei dirigenti». Secondo il direttore di “Repubblica”, giornale “organico” al Pd, «la sinistra è seduta su un giacimento di energia democratica». Archiviata l’ombra lunga della nomenklatura dalemiana, ora non ci sono più alibi: «Renzi ha vinto soprattutto per questo: per la promessa di cambiare il Pd e il paese. Dovrà farlo subito, cominciando dalla legge elettorale, dai costi della politica, dalla crisi del lavoro».Guai se il sindaco di Firenze disperdesse l’ultima speranza, aggiunge Mauro, perché i milioni di elettori che hanno votato Renzi pretendono un cambiamento radicale. Un notevolissimo atto di fiducia, se si considera che il neosegretario non ha ancora detto praticamente nulla su come “rivoluzionerebbe” l’Italia. Pochi spiragli anche dal discorso della vittoria, pronunciato a caldo: «Ci siamo resi conto che tocca a noi perché abbiamo conosciuto l’euro e non l’Europa». L’orizzonte che conta è quello delle europee: con l’annunciata battaglia no-euro affidata alla credibilità di un certo Berlusconi e alle sgangherate analisi che Grillo ha offerto alla platea del V-Day di Genova. Finora, Renzi ha ignorato il problema, sostenendo che l’Italia può rimediare – da sola – ai guasti di Bruxelles, semplicemente ripulendo se stessa dai suoi vizi. Nel frattempo, il paese sta affondando, col premier di turno costretto a tagliare servizi vitali per rispettare i lacci e le tagliole fiscali imposte da una Troika che nessuno ha eletto. Attenti a non dare per morto il Pd, avverte Aldo Giannuli, perché i suoi elettori (regolarmente frustrati da pessimi dirigenti) pretendono una svolta “di sinistra”, che punti cioè a tutelare i diritti della maggioranza. Manca ancora l’attesa spiegazione: nemmeno Renzi ha finora spiegato perché il paese stia crollando, ricattato dai poteri forti che dominano le istituzioni europee e impongono la capitolazione del sistema-Italia. Tre milioni di voti sono un’enorme apertura di credito. L’ultima, prima che qualcuno spenga la luce.Tre milioni di votanti: una mobilitazione popolare inattesa, in un paese assediato dallo sciopero dei “forconi”. Anche chi guarda al Pd con scetticismo e preoccupazione deve ammettere che i numeri popolari espressi dalle primarie dell’8 dicembre che hanno largamente incoronato Matteo Renzi rappresentano un segnale chiaro: la speranza che un cambiamento sia ancora possibile, e che possa avvenire per via elettorale, persino attraverso gli attuali partiti. E’ una sorta di “sentimento democratico”, che – nonostante le abissali differenze – induce periodicamente milioni di italiani a recapitare messaggi espliciti: ai referendum per fermare il nucleare e la privatizzazione dell’acqua, e alle politiche per indirizzare un ultimatum alla casta attraverso Grillo. Così, grazie agli italiani che hanno votato per il sindaco di Firenze, la tombale “stabilità” costruita da Napolitano è già in crisi. «Mentre Renzi riceve i voti di milioni di elettori democratici, il premier del Pd, Enrico Letta, riceverà una fiducia scontata con i voti di Alfano, Formigoni, Schifani. E’ molto difficile pensare che queste scene possano stare insieme».
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L’euro-oligarchia tortura i greci, senza più cibo né farmaci
Il 20 novembre il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha chiesto che i greci «facciano altri sacrifici» per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Troika. Definire questa una richiesta di sacrifici di sangue non è un’iperbole. Il grosso dei tagli al bilancio greco avviene nel settore sanitario e sociale. Stando al rapporto appena pubblicato dall’Ocse, “Health at a Glance 2013”, la spesa pro capite per la sanità in Grecia è crollata dell’11,1% tra il 2010 ed il 2011, il crollo peggiore in tutti i 34 paesi membri dell’Ocse. È aumentata la mortalità infantile. Come c’era da aspettarsi, il secondo posto va ad un’altra vittima della Troika, l’Irlanda, dove la spesa per la sanità è diminuita del 6,6%. Negli anni successivi la situazione è peggiorata drammaticamente. Ad un incontro dell’Associazione Medica di Atene il 16 novembre, il ministro della sanità greco Andonis Georgiadis è stato accolto da urla di “assassino economico” dalle centinaia di medici e operatori sanitari presenti.Pochi giorni prima Georgiadis, confermando che l’ente sanitario nazionale avrebbe licenziato oltre 1.200 medici, si era preso tutto l’onore di questa decisione. Oltre 6.000 medici sono già emigrati in cerca di un impiego. La stessa settimana Georgiadis ha ammesso che i pazienti di oncologia hanno liste di attesa di un anno per le cure negli ospedali pubblici, inclusi quelli di Atene e Thessaloniki. Al Policlinico di Iraklio, a Creta, devono aspettare fino all’ottobre 2014! Tutto il sistema è stato gettato nel caos quando sono stati chiusi otto ospedali nell’area di Atene. Uno studio condotto dalla Scuola nazionale di sanità pubblica dimostra che un greco su tre ha ridotto il dosaggio dei propri farmaci per farli durare più a lungo. I pazienti cronici hanno ridotto del 30% le visite dal 2011 al 2013, perché non possono più permettersi di pagare il ticket.Questa politica uccide, come dimostra il fatto che negli ultimi 4 anni l’aspettativa di vita è scesa da 81 a 78 anni. E questo non vale solo per gli anziani e gli infermi. L’Unicef riferisce che 600.000 bambini e giovani in Grecia sono malnutriti e vivono al di sotto del livello di povertà, mentre un altro studio ha rilevato che il 60% degli scolari affronta «l’incertezza del cibo» mentre il 23% patisce la fame. Tre famiglie su cinque in aree «socialmente vulnerabili» non sono neanche in grado di offrire ai propri figli una fetta di pane a colazione prima di mandarli a scuola. Decine di migliaia di genitori si sono dovuti rivolgere ad enti per l’infanzia quali “Sos Children’s Villages”, perché non possono più permettersi di nutrirli. Nonostante questi effetti killer, l’intenzione del governo è di ridurre la spesa sociale di un altro 10%. La disoccupazione aumenterà così dal 28 al 34%, con la disoccupazione giovanile arrivata ad un incredibile 64%.(“L’oligarchia euro chiede altri sacrifici di sangue”, intervento pubblicato da “Movisol” e ripreso da “Megachip” il 3 dicembre 2013).Il 20 novembre il capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha chiesto che i greci «facciano altri sacrifici» per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Troika. Definire questa una richiesta di sacrifici di sangue non è un’iperbole. Il grosso dei tagli al bilancio greco avviene nel settore sanitario e sociale. Stando al rapporto appena pubblicato dall’Ocse, “Health at a Glance 2013”, la spesa pro capite per la sanità in Grecia è crollata dell’11,1% tra il 2010 ed il 2011, il crollo peggiore in tutti i 34 paesi membri dell’Ocse. È aumentata la mortalità infantile. Come c’era da aspettarsi, il secondo posto va ad un’altra vittima della Troika, l’Irlanda, dove la spesa per la sanità è diminuita del 6,6%. Negli anni successivi la situazione è peggiorata drammaticamente. Ad un incontro dell’Associazione Medica di Atene il 16 novembre, il ministro della sanità greco Andonis Georgiadis è stato accolto da urla di “assassino economico” dalle centinaia di medici e operatori sanitari presenti.
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Della Luna: di Ue si muore, spiegatelo a Laura Boldrini
Il senso dell’Europa per Laura Boldrini? Un dogma ultraterreno, forse. Un super-potere intoccabile, sacro e inviolabile come la monarchia medievale. Ortodossia granitica, che per Marco Della Luna è sintomo di «totalitarismo ideologico». Scandalizzato, l’analista indipendente, di fronte all’intervista che la presidente della Camera – portata in Parlamento da Nichi Vendola – ha rilasciato a “Tgcom 24” a fine novembre. La Boldrini «si è espressa in termini emotivi, etici, generici, spaziando tra l’ovvio e il celebrativo, sempre però evitando di parlare in concreto delle cause tecniche accertabili dei problemi e delle soluzioni tecniche possibili». Il passaggio più sconcertante? Quello in cui Laura Boldrini affronta il tema della disaffezione verso l’infame regime europeo: gli euroscettici sono innanzitutto un male, un problema, forse addirittura un pericolo di stampo neonazista. Non una parola sulle contestazioni ormai universali riguardo alla palese insostenibilità sia dell’euro, sia di un governo non democratico (non eletto) come quello di Bruxelles.A irritare l’avvocato Della Luna, l’artificio «strumentale» in base al quale si identifica l’Unione Europea con l’Europa stessa, «per poter così dire che chi è contrario o critico verso l’apparato Ue è contrario all’Europa», cioè alla culla della storia e della civiltà occidentale. Doppia operazione illiberale: non solo si preferisce delegittimare l’avversario per evitare di discutervi, ma si insiste anche nel negare l’evidenza della catastrofe provocata dall’ordinamento Ue-euro. «Dogmatismo pericoloso», annota Della Luna, prima di inoltrarsi tra le sorprese del Boldrini-pensiero: «E’ grazie all’Europa che non abbiamo più le discariche (ma gli inceneritori), è grazie all’Europa che vi sono limiti al livello di inquinamento delle città, è grazie all’Europa che gli studenti universitari hanno l’Erasmus». Attenzione: a parlare così non è una passante distratta, disinformata e disastrosamente qualunquista, ma la presidente della Camera.«Begli argomenti a difesa dell’Unione Europea ha trovato questa protagonista della politica, tanto portata a giudicare tutto e tutti, appassionatamente e con grande sicurezza di sé, forte anche di un innegabile carisma verso moltissime persone, anche in posizioni di rilievo, che guardano a lei con speranza. Argomenti patetici, di una pochezza e di una puerilità inammissibili, adatti a persuadere chi? I bambini?». Della Luna è costernato: «Riflettiamo su quale dovrebbe essere il livello di competenza, di preparazione e di comunicazione al pubblico della terza carica dello Stato». Imbarazzante. Perché rivolgersi al pubblico in questo modo? I casi sono due: «O vive dentro un suo mondo dorato sconnesso dalle realtà, oppure pensa che l’opinione pubblica abbia un’età mentale e una capacità critica da quinta elementare».Il senso dell’Europa per Laura Boldrini? Un dogma ultraterreno, forse. Un super-potere intoccabile, sacro e inviolabile come la monarchia medievale. Ortodossia granitica, che per Marco Della Luna è sintomo di «totalitarismo ideologico». Scandalizzato, l’analista indipendente, di fronte all’intervista che la presidente della Camera – portata in Parlamento da Nichi Vendola – ha rilasciato a “Tgcom 24” a fine novembre. La Boldrini «si è espressa in termini emotivi, etici, generici, spaziando tra l’ovvio e il celebrativo, sempre però evitando di parlare in concreto delle cause tecniche accertabili dei problemi e delle soluzioni tecniche possibili». Il passaggio più sconcertante? Quello in cui Laura Boldrini affronta il tema della disaffezione verso l’infame regime europeo: gli euroscettici sono innanzitutto un male, un problema, forse addirittura un pericolo di stampo neonazista. Non una parola sulle contestazioni ormai universali riguardo alla palese insostenibilità sia dell’euro, sia di un governo non democratico (non eletto) come quello di Bruxelles.
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Perché mai dovremmo prendere ordini da Olli Rehn
Un fisico da attore comico, il classico volto pacioccone da commedia brillante: lo sfigato che tenta inutilmente di farsi prendere sul serio. In virtù dell’indecente ordinamento feudale dell’Unione Europea, persino uno come lui – Olli Illmari Rehn, classe 1962, proveniente dal paese di Babbo Natale – è in grado di impartire moniti e severe direttive ai 60 milioni di individui che compongono il popolo italiano. Popolo che pure è autorizzato (per ora) a continuare a votare per il suo Parlamento nazionale, quello di Roma, il quale però ha ormai competenza solo sull’1% dei problemi del paese: il 99% è infatti appannaggio diretto di Francoforte e Bruxelles, per gentile concessione di Washington. Così, a spiegare agli italiani di che morte dovranno morire può provvedere impunemente un tizio come il signor Rehn, dal 2010 “commissario europeo per gli affari economici e monetari”. Un super-potente, nonostante quella faccia un po’ così. Un gauleiter, a tutti gli effetti: con piena facoltà di emanare diktat acuminati, anche se non è mai stato eletto da nessuno di noi.Economia, relazioni internazionali e giornalismo: il curriculum del “signor no” che da qualche tempo perseguita gli italiani riassume da solo la mappa strategica dei territori-chiave riconquistati dal pensiero unico, negli ultimi decenni, per imporre la ricetta economica dell’oligarchia neoliberista: il trionfo dei pochi sui molti, la geopolitica piegata all’egemonia globalizzata delle élite finanziarie e mercantili, la disinformazione come arma pervasiva e invisibile del regime. Per capire chi è il “ministro dell’economia” della Commissione Europea basta aprire la relativa paginetta di Wikipedia: vi si legge che Rehn si è laureato nel Minnesota, si è specializzato a Oxford e ha approfondito le sue competenze sul corporativismo e la competitività industriale negli Stati europei minori, quelli che oggi sono sottoposti alle amorevoli cure della Troika. Ma anche Olli Rehn, dopotutto, è un essere umano: è sposato, ha un figlio, in gioventù ha persino giocato a calcio nella serie A finlandese.Moderato, è in politica dalla fine degli anni ’80. Nella triste Europa dell’Unione si è affacciato nel 1991, guidando la delegazione finlandese, per poi approdare all’euro-Parlamento nel ’95. Anni cruciali, quelli seguenti, segnati dall’incontro con l’uomo del destino, il connazionale Erkki Liikanen, futuro governatore della banca centrale finnica e all’epoca “ministro” della Commissione Europea guidata da Romano Prodi. Col tempo, Rehn ha preso il posto di Liikanen ed è rimasto pressoché in pianta stabile nell’esecutivo sub-imperiale europeo, prima presieduto da Prodi e poi da Barroso. Uno specialista, il dottor Rehn: è stato lui a trattare l’ingresso nell’Ue di Romania e Bulgaria, nonché a tenere in caldo l’adesione della Turchia. Così efficiente, il signor nessuno venuto da freddo, da meritarsi la poltronissima di super-ministro dell’economia, dalla quale minacciare ogni giorno – con le solite armi di distruzione di massa dell’economia – chiunque non intenda piegarsi alle micidiali “direttive” di Bruxelles.Al popolo italiano – e a tutti gli altri, sventurati ostaggi dell’Eurozona traditi dalle rispettive partitocrazie nazionali – resta da spiegare per quale ragione al mondo un paese come l’Italia dovrebbe prendere ordini (perché di questo si tratta) da un anonimo funzionario come l’ex calciatore finlandese. In Italia si combatte per un seggio in Parlamento, si corre per le primarie e si accorre ai meeting di Grillo, si favoleggia ancora sulle notti di Arcore, si discute (en passant) su come smontare la Costituzione e su come eventualmente rimontare una vera legge elettorale. E intanto si chiacchiera sull’Imu, si prende nota dei soggiorni europei del turista Letta e del fido banchiere Saccomanni, si vocifera di privatizzazioni e nuovi tagli, nuove tasse, nuovi orrori. E nessuno mai che spieghi per chi e per che cosa gli italiani dovrebbero votare, se poi alla fine a decidere del loro destino saranno ancora e sempre gli invisibili Padroni dell’Universo, per i quali lavorano gli estremisti in doppiopetto come Olli Rehn.Un fisico da attore comico, il classico volto pacioccone da commedia brillante: lo sfigato che tenta inutilmente di farsi prendere sul serio. In virtù dell’indecente ordinamento feudale dell’Unione Europea, persino uno come lui – Olli Illmari Rehn, classe 1962, proveniente dal paese di Babbo Natale – è in grado di impartire moniti e severe direttive ai 60 milioni di individui che compongono il popolo italiano. Popolo che pure è autorizzato (per ora) a continuare a votare per il suo Parlamento nazionale, quello di Roma, il quale però ha ormai competenza solo sull’1% dei problemi del paese: il 99% è infatti appannaggio diretto di Francoforte e Bruxelles, per gentile concessione di Washington. Così, a spiegare agli italiani di che morte dovranno morire può provvedere impunemente un tizio come il signor Rehn, dal 2010 “commissario europeo per gli affari economici e monetari”. Un super-potente, nonostante quella faccia un po’ così. Un gauleiter, a tutti gli effetti: con piena facoltà di emanare diktat acuminati, anche se non è mai stato eletto da nessuno di noi.
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Il Grillo no-euro pensa ai giovani: non emigrate, cospirate
Non c’è ancora una ricetta precisa – sull’euro “solo” un referendum – ma il nemico è finalmente messo a fuoco: la vera casta, quella di Bruxelles, che emana i peggiori diktat (Fiscal Compact e pareggio di bilancio) per volontà della Commissione Europea, cioè di un governo-fantasma e onnipotente, che nessuno ha mai eletto. E’ la svolta genovese di Grillo, quella del terzo V-Day: la colpa principale della nomenklatura italiana non è più la sua endemica corruzione, ma l’accondiscendenza criminosa verso il potere “nemico” che ha usurpato l’orizzonte europeo per trasformare l’Unione in una sorta di dittatura, ben decisa a rovinare un paese come l’Italia. Balza agli occhi il dato generazionale della piazza grillina, osserva Anna Lami: il popolo di Grillo ha un’età media di trent’anni, è fatto di giovani coppie, studenti, famiglie con bambini. «A differenza delle primarie del Pd, delle convention berlusconiane e della gran parte dei ritrovi di quello che resta della sinistra anticapitalista, i pensionati nella piazza pentastellata sono una sparuta minoranza».«Chi negli anni a venire porterà sulle spalle il peso dei disastri che questo sistema sta producendo – aggiunge Anna Lami nel suo reportage su “Megachip” – attualmente guarda ai 5 Stelle con speranza». E il V-Day di Genova segna un salto significativo nel profilo politico del movimento grillino: si riducono i meri attacchi alla casta politica e crescono quelli all’Europa dell’austerità e dell’euro. «Si tenta anche di delineare i primi tratti che dovrebbero caratterizzare in positivo la società del futuro (citati gli esempi di Correa, Morales e Maduro), in maniera a tratti confusa, ma indice di un significativo progresso che, probabilmente, Grillo e Casaleggio intendono innestare nella coscienza del “loro” popolo». Parole dirette, emergenze stringenti: povertà («ci sono 8 milioni di poveri, non possiamo continuare a far finta che non esistano»), precarietà occupazionale («c’è troppa gente costretta ad accettare qualsiasi ricatto per sopravvivere»), allargamento del divario tra ricchi e poveri. Napolitano? Merita l’impeachment: «Rimarrai solo», tuona Grillo, rivolto all’uomo del Colle. «La tradirai da solo, l’Italia».“Oltre”, la parola chiave del meeting, è soprattutto «andare oltre il concetto di quest’Europa, a cui non credono più neanche i bambini». In sette punti, ecco delineata la politica estera europea del “populista arrabbiato”. Innanzitutto un referendum sull’euro: «Siamo stati truffati quando siamo entrati, e ora ci troviamo a competere in un mercato schizofrenico». Deve pur esserci un piano-B, perché di questo passo c’è solo il collasso dell’Italia. Gli eurobond, per imporre alla Bce di sostenere i debiti sovrani? «Non li accetteranno mai, ma li chiederemo lo stesso». Come? Stringendo un’alleanza coi paesi mediterranei: «Non dobbiamo parlare con la Merkel, ma con i paesi simili a noi, con problemi simili ai nostri». Cioè Francia, Spagna, Grecia, Portogallo. «Gli economisti mi criticheranno? Sono loro la rovina di questo paese, in cinquant’anni non ne hanno azzeccata una». Il resto sono conseguenze, ben esplicitate. Come il no al pareggio di bilancio: «Vedremo noi se e come sforare, e non per diritto costituzionale. Abbiamo perso la sovranità monetaria, quella economica, quella dei nostri figli». Idem per il Fiscal Compact, da abolire: «Non possiamo accettare un contratto per il quale dovremo tagliare 50 miliardi l’anno per vent’anni». Ai giovani, protagonisti della piazza, un’esortazione forte: «Non dovete emigrare, dovete cospirare!».Non c’è ancora una ricetta precisa – sull’euro “solo” un referendum – ma il nemico è finalmente messo a fuoco: la vera casta, quella di Bruxelles, che emana i peggiori diktat (Fiscal Compact e pareggio di bilancio) per volontà della Commissione Europea, cioè di un governo-fantasma e onnipotente, che nessuno ha mai eletto. E’ la svolta genovese di Grillo, quella del terzo V-Day: la colpa principale della nomenklatura italiana non è più la sua endemica corruzione, ma l’accondiscendenza criminosa verso il potere “nemico” che ha usurpato l’orizzonte europeo per trasformare l’Unione in una sorta di dittatura, ben decisa a rovinare un paese come l’Italia. Balza agli occhi il dato generazionale della piazza grillina, osserva Anna Lami: il popolo di Grillo ha un’età media di trent’anni, è fatto di giovani coppie, studenti, famiglie con bambini. «A differenza delle primarie del Pd, delle convention berlusconiane e della gran parte dei ritrovi di quello che resta della sinistra anticapitalista, i pensionati nella piazza pentastellata sono una sparuta minoranza».