Archivio del Tag ‘Unione Europea’
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Sì: premiato il governo che lavora col favore delle tenebre
«Aprite gli occhi: hanno dichiarato guerra, a tutti noi». In momenti come questo, si fa acuta la nostalgia per una voce che si è spenta lo scorso 26 aprile, quella di Giulietto Chiesa. Si poteva non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma non era possibile non riconoscergli l’impegno civile, praticamente titanico, coraggiosamente profuso al prezzo della perdita di molti privilegi. La sua missione, spesso solitaria, era quella di chi dedica la propria vita per avvertire i prigionieri della caverna, spiegando che – là fuori – c’è chi sta preparando il peggio: per tutti, nessuno escluso, compresi quelli che continuano a illudersi di essere al riparo, di fronte alla catastrofe incombente. Come i non molti intellettuali liberi di questo paese, anche Giulietto Chiesa aveva dato una chance ai grillini, evitando di demonizzarli, fin da quando sembravano vittime dell’insopportabile interdizione mediatica riservata agli outsider. Ed era poi stato sempre tra i primi, Giulietto, a capire di che pasta fosse veramente fatto, quel movimento: moltissimi giovani, animati dalle migliori intenzioni, ma (questa la loro colpa) disposti a tacere di fronte all’autoritarismo di Grillo & Casaleggio, all’imposizione “militare” del consenso interno, al divieto di dissenso. Che democrazia potrebbe mai costruire, un partito-caserma senza democrazia?La più raggelante delle risposte viene, oggi, dalla miserrima bozza – poche decine di paginette – con cui il governo Conte informa Bruxelles su come vorrebbe spendere i soldi dell’eventuale Recovery Fund. Tra le misure escogitate per far uscire il paese dalla crisi economica provocata non tanto dal Covid, quanto dal governo stesso (cioè dal lockdown “cinese” imposto all’Italia, senza una strategia per limitare i danni al sistema-paese), l’ex “avvocato del popolo” messo a Palazzo Chigi dai 5 Stelle pensa di impiegare miliardi di euro per abolire il denaro contante, potenziare la video-sorveglianza sui cittadini e mettere in orbita «una costellazione di satelliti 5G». Vorrebbe anche realizzare la schedatura sanitaria degli italiani, e addirittura «studiare differenti stili di vita delle persone», e quindi «impostare politiche di prevenzione», laddove gli italiani rifiutassero di obbedire, cioè di seguire gli “stili di vita” proposti dal governo. Sempre Giuseppe Conte, quello che «non lavora col favore delle tenebre», vorrebbe pure «potenziare il contrasto alle “fake news”», cioè limitare ulteriormente la libertà di espressione e «regalare altri soldi ai delatori di regime», per dirla con Massimo Mazzucco, che ha condiviso l’ultima stagione di Giulietto Chiesa aprendo insieme a lui l’esperimento di “Contro Tv”, una delle voci che più danno fastidio al governo dei 5 Stelle.Proprio della libertà di informazione, Giulietto Chiesa – già comunista, poi allontatosi dalla sinistra – aveva fatto una vera e propria ragione di vita. Che cosa direbbe, di fronte alla situazione di oggi? Si commenta da sola la decisione del governo grillino (unico, in questo, nei paesi occidentali) di istituire a Palazzo Chigi una sorta di Ministero della Verità, una super-commissione orwelliana incaricata di “bonificare” il web da tutte le notizie scomode per l’esecutivo, ovvero per i poteri sovranazionali per i quali lavora, in piena sintonia con le élite cinesi e franco-tedesche, incluse quelle (atlantiche) che hanno proposto prima Greta Thunberg e poi Bill Gates come nuovi eroi per un pianeta post-democratico, popolato da sudditi diligenti, sottomessi e conformati alla religione tecno-psicologica del politicamente corretto. Triste, la parabola dei 5 Stelle: hanno ferocemente tradito le loro promesse elettorali (tutte, dalla prima all’ultima), e per questo hanno visto più che dimezzarsi i loro voti, ma sono riusciti in una storica impresa: assestare un colpo mortale alla democrazia italiana. Lo hanno fatto prima sistemando a Palazzo Chigi l’oscuro Giuseppe Conte, allievo del più influente gruppo di potere vaticano, e ora privando gli elettori della possibilità di eleggere 345 parlamentari. Era il piano di Licio Gelli: l’ha realizzato Beppe Grillo, attraverso Luigi Di Maio.A sconfortare non è l’aspetto tecnico dell’esito referendario, che premia le richieste esplicite dei grandi poteri finanziari (far dimagrire i Parlamenti, indebolendo in tal modo le possibilità di opposizione). Se un giorno la democrazia italiana dovesse risorgere, il brutale taglio inflitto il 20-21 settembre 2020 potrebbe essere riparato, con un adeguato ridisegno delle istituzioni. Quello che scoraggia, piuttosto, è la cecità di moltissimi italiani: punendo la piccola casta rappresentata dai parlamentari, dotata di scarsissimi poteri, non si sono resi conto di aver fatto un favore immenso alla grande casta, quella che conta e che detta ai governi le sue condizioni. Peggio ancora: quasi tre italiani su quattro non hanno approfittato del voto – che era la prima vera occasione di espressione, loro concessa, dopo mesi di arresti domiciliari e poi di libertà vigilata – per pronunciare apertamente un “no” che arrivasse, forte e chiaro, alle orecchie di chi sta abusando di loro, dopo averli terrorizzati (anziché aiutati) di fronte all’epidemia del coronavirus. Deprime, questo harakiri collettivo. E non solo: la catastrofe referendaria non può che incoraggiare i manipolatori, che infatti già annunciano di voler procedere, a spron battuto, con la loro agenda.Si tratta di un’agenda che può apparire “infernale”, cioè sinistramente totalitaria, essendo fondata sull’eliminazione delle libertà residue: i prestanome al governo – Conte, Di Maio, Zingaretti – vorrebbero sottoporre la popolazione a un controllo asfissiante, tecno-sanitario, senza più veri diritti, dopo aver opportunamente causato una profonda depressione economica, destinata a tenere in ansia la maggior parte degli italiani, assillati da gravi problemi quotidiani di ordine pratico. A questo si è arrivati per gradi, alimentando a dismisura la paura del Covid. Come valutare altrimenti gli eventi che abbiamo alle spalle? Immagini-simbolo, quelle della parata dei camion militari carichi di bare. Il conteggio degli orrori è fuori controllo, dal divieto di eseguire autopsie all’emarginazione sistematica dei medici (italiani) che annunciavano di aver messo a punto efficaci terapie per ridurre il Covid a malattia “normale”, perfettamente curabile. Inutile ricorrere alle statistiche, come quelle ufficiali che ricordano come l’influenza stagionale del 2017 (per la quale non si adottò nessuna quarantena) abbia prodotto quasi lo stesso bilancio di vittime della cosiddetta pandemia del 2020, presentata come terrificante e invincibile. Non avendo più dati spaventosi da esibire – ricoveri, morti – oggi si agita il numero dei semplici contagiati, ossia persone in buona salute, prive di sintomi. E funziona.Per chi non l’avesse ancora capito, siamo in guerra. Non è neppure importante scoprire da cosa sia scaturito, il maledetto virus. E’ fondamentale, invece, comprendere come sia stato finora utilizzato in un’unica direzione: contro di noi, come avrebbe detto Giulietto Chiesa. Contro di noi, gente della strada, ieri sparavano i terroristi cosiddetti “islamici”: facevano crollare torri, falciavano passanti. Mai che cercassero di colpire obiettivi simbolici del potere, teoricamente loro nemico: nel mirino c’erano solo e sempre le persone comuni. Oggi, il Covid si presenta come un’occasione d’oro, irripetibile, per chiunque volesse mettere in atto un piano di dominio capace di radere al suolo l’idea stessa di democrazia. Come con il terrorismo, a stravincere è l’arma della paura: la sua efficienza è micidiale, perfettamente dosata attraverso il sistema del mainstream media. Nei suoi ultimi anni, Giulietto Chiesa reiterò spesso il medesimo allarme: una catastrofe sta per travolgerci. Pensava ai bankster, ai sicari economici, ai mandanti in doppiopetto dei terroristi, agli sciacalli della “guerra infinita”. Ora siamo alla palese sovragestione di un virus. La catastrofe fanto temuta è finalmente arrivata: non impugna un mitra, ma indossa un camice.Avremo ancora un democrazia? Avremo ancora libertà e diritti? Servirebbero parole chiare, dai politici. L’unico personaggio che si sia pronunciato in questi termini, in Europa, negli ultimi mesi, è stato Robert Kennedy Jr. nel suo memorabile discorso a Berlino. Il mondo libero guarda a Donald Trump e alle imminenti presidenziali americane. I nano-politici italiani, incluse le sedicenti opposizioni, si sono limitati all’orticello elettorale delle regionali. Il sistema-paese sta svanendo sotto i nostri occhi, e nessuno sembra disposto a fermarlo, il governo che «lavora col favore delle tenebre». Così, l’agenda avanza: l’incredibile Zingaretti, quello che ha fatto spendere alla Regione Lazio 14 milioni di euro per mascherine mai arrivate, e ora vorrebbe imporre ai laziali il Tso del vaccino antinfluenzale, oggi propone all’altro grande statista, Di Maio, di dare la mazzata decisiva all’Italia, a colpi di “riforme” come quella (scandalosa) appena convalidata dagli ignari votanti, impauriti e imbavagliati nelle inseparabili mascherine. A proposito: perché prendersela con Di Maio e Zingaretti, quando sono moltissimi cittadini a non chiedere di meglio che restare chiusi in casa, magari denunciando chi passeggia con il cane? E’ in corso una guerra mondiale, e il grosso della popolazione nemmeno se ne accorge. Ci si domanda da dove possa mai cominciare, la rianimazione di una democrazia ridotta così.«Aprite gli occhi: hanno dichiarato guerra, a tutti noi». In momenti come questo, si fa acuta la nostalgia per una voce che si è spenta lo scorso 26 aprile, quella di Giulietto Chiesa. Si poteva non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma non era possibile non riconoscergli l’impegno civile, praticamente titanico, coraggiosamente profuso al prezzo della perdita di molti privilegi. La sua missione, spesso solitaria, era quella di chi dedica la propria vita ad avvertire i prigionieri della caverna, spiegando che – là fuori – c’è chi sta preparando il peggio: per tutti, nessuno escluso, compresi quelli che continuano a illudersi di essere al riparo, di fronte alla catastrofe incombente. Come i non molti intellettuali liberi di questo paese, anche Giulietto Chiesa aveva dato una chance ai grillini, evitando di demonizzarli, fin da quando sembravano vittime dell’insopportabile interdizione mediatica riservata agli outsider. Ed era poi stato sempre tra i primi, Giulietto, a capire di che pasta fosse veramente fatto, quel movimento: moltissimi giovani, animati dalle migliori intenzioni, ma (questa la loro colpa) disposti a tacere di fronte all’autoritarismo di Grillo & Casaleggio, all’imposizione “militare” del consenso interno, al divieto di dissenso. Che democrazia potrebbe mai costruire, un partito-caserma senza democrazia?
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Spariti i 5 Stelle, ora il Pd vorrebbe “commissariare” Conte
Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.Comunque, a me non sembra una vera vittoria del Pd. Toscana a parte, il centrosinistra si è affermato con candidati per certi versi “populisti” come Emiliano e De Luca, che cercano di difendere apertamente gli interessi della loro regione oppure si fanno notare per dichiarazioni e atteggiamenti che spopolano sul web o non passano mediaticamente inosservati. Allo stesso modo non mi sembra che si possa parlare di una sconfitta della Lega in quanto tale. Laddove la Lega è concreta sui bisogni del territorio, fa proposte specifiche e opera, riesce a farsi apprezzare dagli elettori, come si è visto con Zaia e Toti. Non guadagna consensi laddove invece si presenta solo come movimento di protesta, trattando argomenti di politica nazionale o criticando l’Europa. Salvini, se voleva essere il vero leader del centrodestra, avrebbe dovuto giocare meglio la partita delle regionali puntando su specifici problemi economici locali. Per esempio, in Toscana sulla vicenda Mps che si sta nuovamente complicando, in Campania sui contratti di produttività per spingere l’occupazione giovanile, in Puglia sull’ex Ilva di Taranto.Cosa accadrà ora al governo? Non ha vinto il Pd il senso stretto, ma sicuramente ha perso il M5S, che non può intestarsi l’affermazione del Sì al referendum, visto che non era l’unico partito a sostenerlo. Inoltre, alle regionali sono arrivati pochi voti rispetto alle politiche di due anni fa. Mi sembra anche che i pentastellati si stiano sfaldando, dato che non si capisce chi comanda tra Crimi, Di Maio, Grillo e Casaleggio jr, senza dimenticare che Di Battista ha fatto campagna contro Emiliano. Zingaretti avrà vinto grazie ai populismi, ma a questo punto vorrà il suo trofeo. Conte è nei guai, perché non si può certo dire che abbia vinto lui. Tra l’altro, l’esito del referendum costringerà i partiti a occuparsi di legge elettorale, il che appare un po’ assurdo visti i problemi economici che il paese è chiamato ad affrontare. Ci saranno non poche liti, e non è nemmeno da escludere che non si riesca ad arrivare all’approvazione della legge in questa legislatura. Detto questo, personalmente ritengo che il referendum sia illegittimo perché si sarebbe dovuto tenere a marzo, ma è stato rinviato a settembre causa Covid. Tuttavia non bisogna dimenticare che lo stato d’emergenza relativo alla pandemia è stato prorogato fino a metà ottobre, quindi non si sarebbe dovuto votare.Se Zingaretti ha vinto, cosa chiederà a Conte? Oltre al ricorso al Mes sanitario, vorrà una situazione in cui il Pd potrà avere più peso nell’utilizzo dei fondi europei, nelle decisioni economiche e nei rapporti con le regioni. In buona sostanza, chiederà un po’ dei posti che adesso hanno i 5 Stelle. Per fare cosa? Il problema è che i dem non sono in grado di sbloccare gli investimenti, sono vaghi e generici, e la linea economia del governo non verrà di fatto modificata. Come sempre è accaduto dopo le pestilenze, anche oggi ci vorrebbe un condono fiscale, ma non lo faranno. Casomai continueranno con una navigazione a vista senza una politica che aiuti davvero crescita e occupazione. Essendoci un’alleanza anomala tra due partiti “tortuosi” avremo ancora un governo che faticosamente prende poche decisioni, non particolarmente azzeccate. Alla fine, credo che sarà solamente una questione di poltrone: a parte il Mes sanitario, non compare all’orizzonte alcuna possibile linea di discontinuità. Basta pensare ai vari dossier economici. Il Pd non sembra avere una proposta sull’ex Ilva, su Alitalia, su Mps, su Autostrade. Senza dimenticare che non pare nemmeno avere in mente una normativa per sbloccare gli investimenti come accaduto per il ponte di Genova.(Francesco Forte, dichiarazioni rilasciate a Lorenzo Torrisi nell’intervista “Il Pd vuole commissariare Conte, ma aspetta Mattarella”, pubblicata dal “Sussidiario” il 23 settembre 2020. Forte è stato ministro delle finanze e ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie).Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.
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Recovery-Conte: tutti prigionieri, via il cash e 5G dal cielo
«Abbiamo trovato e analizzato il documento che contiene le linee-guida del governo su come utilizzare i soldi del Recovery Fund», annuncia Massimo Mazzucco, su “Contro Tv“. Scopriamo così che i nostri stessi soldi verranno, fra le altre cose, utilizzati per «facilitare la transizione verso una cashless community» (cioè: abolizione del contante), e soprattutto per «potenziare i sistemi di video-sorveglianza sui cittadini». Non solo: i soldi in arrivo dall’Ue sarebbero impiegati per «mettere in orbita una costellazione di satelliti 5G» (senza alcuna garanzia per la nostra salute, aggiunge Mazzucco). Si va verso un regime di polizia sanitaria permanente: il Recovery verrebbe usato per «realizzare la schedatura sanitaria dei cittadini». L’esecutivo dell’ex “avvocato del popolo” intendere «studiare differenti stili di vita delle persone», e ovviamente «impostare politiche di prevenzione, quando la gente dovesse decidere di non seguirli». Il governo Conte propone inoltre di «potenziare il contrasto alle “fake news”» (ovvero, secondo Mazzucco, «regalare altri soldi ai delatori di regime»). E c’è anche un miliardo di euro per il Vaticano: «Noi abbiamo le scuole che crollano, però diamo un miliardo alla Chiesa per rimettere a posto le sue strutture».
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Se al Popolo delle Mascherine resta il piacere di votare No
Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli complemanente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.Sono sempre loro a decidere quale canzone cantare, a seconda dei momenti: il guaio, semmai, è che poi la cantiamo tutti, o quasi tutti, lasciando che siano i medesimi sceneggiatori a scegliere per noi lo spartito del giorno. I pessimisti parlano apertamente di zootecnia, sia pure evolutissima e sapientemente truccata da politica, da informazione, da entertainment culturale. E’ ancora possibile cantare fuori dal coro, entro certi limiti; al momento giusto, però, non manca mai un Vasco Rossi che sappia richiamare all’ordine, da par suo, gli eventuali indisciplinati. Di tanto in tanto, al Popolo delle Mascherine è ancora concesso l’antico lusso della celebrazione democratica, elettorale, a condizione – beninteso – che dal voto non dipenda niente di importante. Bazzecole, piccole faide tra nano-leader, guerriglie tra clan. Da Greta Thunberg a Beppe Grillo, il passo è brevissimo: ci si ritrova con Luigi Di Maio ministro degli esteri, e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. L’unico campionato vinto dal Fratello di Montalbano, per ora, è quello della vaccinazione obbligatoria più inutile del pianeta, il siero contro l’influenza, mentre i suoi fieri oppositori – il barbaro Salvini (l’energumeno al citofono) e la piccola Giorgia («sono italiana, sono cristiana») – si stringono attorno al redivivo Nonno Silvio, che spedisce in aula un fenomeno indimenticabile come Mariastella Gelmini ad aprire ufficialmente la stagione della Vaccinazione Universale Obbligatoria.Al Popolo delle Mascherine è consentito celebrare il rito solenne delle elezioni regionali, tra gossip e sondaggi, già pregustando l’esiziale bilancio che proporrà vincitori e vinti, come se davvero i cambi di casacca e di poltrona portassero in dote un qualche lume capace di rischiarare la lunga notte polare nella quale i sudditi sono stati abbandonati, costretti a subire eventi non spiegati, letteralmente incomprensibili, se non protetti dal segreto. «Questo governo non lavora col favore delle tenebre», ha detto l’umorista Conte, l’ometto che ha proibito la circolazione di ogni possibile notizia giungendo a imporre la supervisione di un Ministero della Verità, abilitato a vigilare e censurare, nemmeno fossimo in Corea del Nord. Un atto d’imperio madornale, scandaloso, contro il quale però non s’è levata alcuna voce, dalle redazioni: non un fiato, né dai telegiornali né dai sindacati; non una sillaba dal mitologico Ordine dei Giornalisti, sempre che esista ancora. Anzi, al contrario: tutti i cantori si sono esercitati nello stesso coro, giungendo a ostracizzare e ridicolizzare anche i Premi Nobel che avessero avuto l’impudenza di esprimere un loro libero pensiero. L’aria che tira è scurissima, nel paese delle Sardine e dei magistrati formato Palamara: forse persino Primo Levi, oggi, rischierebbe di beccarsi del negazionista.Si dirà che è scontato anche questo, presso i sudditi che vivono sui social e si muovono soltanto se hanno in tasca il dispositivo telefonico di tracciamento volontario personale. Tutto ovvio e normalissimo, per chi ha creduto che Barack Obama fosse una specie di Babbo Natale in versione gospel. Normale, per chi ha accolto con un bell’applauso il macellaio Mario Monti, per chi crede ancora che Romano Prodi sia una sorta di filantropo bonario, per chi pensa che la truce Angela Merkel sia meglio dell’aborrita Maggie Thatcher, la Strega del Nord (che almeno ha rovinato solo gli inglesi, lasciando in pace il resto dell’Europa). Normale, per chi ancora crede alla leggenda nera del Debito Pubblico, e pensa che la sbalorditiva solidità italiana – case, risparmi – possa andare benissimo per gli avvoltoi che sognano l’eterna patrimoniale, mentre non valga nulla per il rating dell’Ue (che tratta l’Italia come un pezzente da mettere alla porta, un povero paesucolo insolvente). Tutto normale, per chi riesce addirittura a fare il tifo per i nazi-terroristi prezzolati che portano la guerra nelle strade americane, usurpando senza ritegno persino il nome e le bandiere dell’antifascismo.E in fondo al tunnel, naturalmente, c’è pure un referendum. Anche questo è concesso, ai cittadini in libertà provvisoria: votare per tagliare quel poco di democrazia formale che ancora sopravvive. Massacrare il Parlamento, volontariamente: un harakiri magistrale. Poltrone oggi tristemente inutili, scavalcate da poteri decisivi, eppure ancora temute: per quello che potrebbero diventare, domani, se a occuparle fosse gente d’altra razza. Come – per dire – quel coraggioso Kennedy, capace di scuotere i dormienti con il suo appello berlinese al bene più prezioso, l’orgoglio di sentirsi liberi. I saggi dicono che non serve frugare tra i complotti, per fare l’inventario del disastro: basta e avanza lo spettacolo di un corpo elettorale rassegnato a votare ogni volta con odio, contro qualcuno, anziché per qualcosa. Accadde con Matteo Renzi, nell’improvvida chiamata alle urne che gli costò il posto. Votarono in massa, gli italiani, per zittire il fanfarone (ma nessuna alternativa era in cantiere: dopo di lui lo zombie Gentiloni, e ora addirittura Conte). Cosa farà, stavolta, il Popolo delle Mascherine? Assalterà i seggi, per punire il grottesco ducetto del Distanziamento, l’omino che ha imposto il bavaglio alla nazione? Oppure resterà a casa, davanti alla partita? O peggio: voterà convintamente per suicidare il Parlamento? L’elettore, oggi, sa di essere considerato meno di niente. Gli resta quel miniscolo potere, soltanto per un giorno: dire No. E’ poco, ma è qualcosa. La franchezza di un messaggio: non ci piace, quello che ci avete fatto.(Giorgio Cattaneo, “Al Popolo delle Mascherine resta una possibilità: il piacere di dire No”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 settembre 2020).Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli completamente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.
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Mes e Recovery, la trappola per svenderci a Parigi e Berlino
«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario”, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».Tutto questo, «per compensare i grand commis de l’État d’oltralpe di aver appoggiato la nostra diplomazia in Europa» nelle trattative sul Recovery Fund. «Appoggio di cui non vi era nessun bisogno – scrive Sapelli – se non quello artatamente creato dalle molecole in movimento nella mucillaggine», molecole debitamente «eterodirette». Per Sapelli, finalmente «si disvela l’arcano»: per realizzarsi pienamente, aggiunge l’economista, la concentrazione capitalistica «dovrebbe integrare in forma subalterna, ossia tipica del capitalismo estrattivo (in questo caso di marca tedesca e francese) segmenti del capitalismo italiano». Attenzione: questo dominio capitalistico-coloniale «i francesi lo sperimentano ancora su larga scala in Africa, usando soprattutto la forza militare», mentre la Germania – priva di un esercito temibile – deve ricorrere a «forme di pressione che sono rese esplicite (e non volute) nel caso Navalny, ossia attraverso un lavorio di intelligence, contro-informazione e indebolimento degli Stati in cui sono localizzate le imprese da “estrarre”, sino a giungere alla corruzione su larga scala, come fu evidente già con il Dieselgate e ora con il caso Wirecard».Sapelli allude all’impresa di pagamenti che è stata prossima ad acquistare Deutsche Bank e che è al centro di uno scandalo finanziario di immani proporzioni, e il cui amministratore delegato «si è rifugiato o in Bielorussia o in Russia, protetto dai servizi segreti tedeschi e russi». Tornando all’Italia, «si capisce bene che ricevere i fondi a prestito del Mes o non riceverli diviene – in questa situazione – solo una sorta di scelta politica, perché di essi non vi è assolutamente nessuna necessità finanziaria». Il guaio? Al governo Conte, e ai partiti che lo sostengono, manca «una linea strategica riformista e produttivista rispetto all’Italia e all’Europa». E così, «la maggioranza mette in scena un dilemma che in realtà potrebbe non esistere: dilaniarsi tra lo scegliere se stare con i populisti di destra o con quelli di sinistra». Si tratta quindi di decidere se vogliamo «cadere nelle mani dei fanatici dell’ierocrazia europeista», oppure «nelle mani di coloro che sono contro l’Europa tout court, secondo i modelli della destra sociale più classica, spesso neonazista, antisemita e in ogni caso tipica di quello che intere biblioteche hanno classificato come “anticapitalismo di destra”».La vera tragedia, conclude Sapelli, è rappresentata dall’inconsistenza politica italiana: in pratica, siamo «una maionese», ma «senza chef». In giro si cono soltanto «cucine da campo improvvisate», ma purtroppo «inamovibili». E nessuno, nella “cucina da campo”, segue la vera questione. E cioè: «I fondi europei che giungeranno sono meno di quelli che si potrebbero raccogliere lanciando un prestito nazionale a lunga scadenza». Allora, ragiona Sapelli, «sarà inevitabile essere sottoposti in Italia alle procedure di controllo della Commissione Europea». Fatale corollario: la «conseguente imposizione delle controriforme fiscali e pensionistiche», cioè le misure ammazza-Italia che si riterranno più idonee «per procedere a quella centralizzazione capitalistica a cui si lavora alacremente, come si è detto, dietro quegli specchi che accecano elettori ed eletti, in par condicio», mentre il paese – cui si propone “l’avanspettacolo” del Mes – si accinge a votare stancamente per le regionali e per il referendum contro il Parlamento, in una situazione in cui il conto alla rovescia annunciato da Bankitalia – nei guai una famiglia su tre – è confermato dalle statistiche che indicano in zona pericolo non meno di 90.000 piccole imprese. E il governo – che ha in cassa quasi 100 miliardi di euro – anziché usare quelli, si prepara a cadere nella trappola del Mes?«Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario“, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».
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Silenzio sul Nobel a Trump, che spaventa i nemici dell’Italia
La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore sia della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».Gli eventi attuali – secondo il blog – ci dicono che «gli ebrei dei lager e dell’Olocausto», cioè gli israeliani «sempre pronti alla guerra con chi li voleva annientare», anche in futuro «staranno, come è giusto che sia, coi loro liberatori dal giogo hitleriano, ossia innanzitutto con gli Usa». E il “reset” dei rapporti geostrategici del Medio Oriente non finisce qui, avverte Mitt Dolcino: si parla già di normalizzazione degli accordi di pace tra Israele e Marocco. Poi sarà la volta dell’Arabia Saudita, l’ultima, la sede de La Mecca. «Quello che sta accadendo è che i “mizrahim” torneranno a ricoprire il ruolo ricoperto per secoli, in Medio Oriente, fino alla nascita di Israele. Dunque ecco spiegato il nervosismo delle potenze ex coloniali europee, superate in curva: non serve ad esempio avere la Francia o la Gran Bretagna per preservare il petrolio dell’area, basta Gerusalemme». Questo avviene chiaramente con la benedizione di Washington «ma soprattutto con l’avallo russo». Mosca, «vedendoci lungo, non ci pensa nemmeno a concedere la vittoria all’asse sino-tedesco, con Turchia ed Iran a supporto», visto che in quel caso la Russia «verrebbe letteralmente circondata, a sud, est e ovest».Ecco dunque materializzarsi il nuovo Risiko mediterraneo, che andrà in porto se Trump verrà confermato, «lasciando poi al prossimo mandato trumpiano la “regolazione” operativa di Cina e Germania». Sempre secondo Mitt Dolcino, pochi considerano che la grande perdente sarà soprattutto la Francia, che a breve potrebbe perdere addirittura l’accesso privilegiato all’Algeria. A quel punto «dovrà rifarsi con l’anello debole, l’Italia, conquistandola certamente a livello economico». Ecco perché Roma «dovrà necessariamente schierarsi con Washington e Tel Aviv, con cui i rapporti sono sempre stati più che cordiali» (come del resto anche con il mondo arabo). Secondo Dolcino, il grande silenzio sul Nobel a Trump, da parte «dei media italici cooptati all’Ue» deriva proprio dal grande rimescolamento in atto nell’area mediorientale. Dolcino accusa l’establishment italiano «ormai al soldo di Parigi e Berlino», potenze impegnate nella conquista del Belpaese, grazie ai collaborazionisti italici, in una sorta di neo-feudalesimo in cui le élite nostrane avrebbero il ruolo dei piccoli feudatari. Il loro obiettivo: far pagare al 99% della popolazione il peso finanziario della crisi, preservando i grandi capitali.Attenzione: sono proprio le élite a detenere la proprietà dei grandi media. E sono sempre loro, «che non hanno necessità di lavorare», a sostenere con maggior forza «l’immigrazione dall’Africa», ovvero l’invasione delle nostre coste da parte di individui «senza contezza dei propri diritti civili e sociali, nonchè economici». Un’umanità fragile, insomma, «da usare per sostituire gli italiani eccessivamente esigenti», in un penisola «forse troppo bella per essere lasciata agli indigeni». Logico che poi queste élite (non solo italiche) tifino soprattutto sinistra, ossia il lato politico più vicino a questa Ue, «troppo simile all’Europa sognata dalla Germania nazista». Senza dimenticare – chiosa Dolcino – che «l’incredibile invasione dei neri anche nella Lombardia leghista – ossia pro-Ue e da sempre filo-tedesca – potrebbe essere finalizzata a rimpiazzare a termine i meridionali italiani con manodopera di sostituzione a costo più basso, nelle more di una ipotetica secessione del settentrione (là da venire, per restare nell’euro) all’altezza della Linea Gotica)».La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».
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L’Italia ha in cassa 98 miliardi: usi quelli, non i prestiti Ue
«Sembra che l’appoggio francese al Recovery Fund sia stato condizionato alla disponibilità italiana a cedere asset strategici a gruppi espressione o collegati all’economia transalpina. Occorrerà quindi vedere se ci saranno transazioni bilaterali in cui la proprietà francese dei nostri asset strategici andrà a consolidarsi». Non solo: «Oltre a una condizionalità formale palese, potrebbe essercene una occulta, concordata nell’ambito dei negoziati che hanno preceduto il Consiglio Europeo che ha dato il via libera al Recovery Fund». Lo afferma Domenico Lombardi, ex consigliere economico del Fmi, intervistato da Lorenzo Torrisi per il “Sussidiario”. Lombardi segnala inoltre che il saldo di Tesoreria, cioè l’ammontare del conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca d’Italia (con cui gestisce gli incassi e i pagamenti), non solo ha raggiunto livelli record, ma continua a crescere, e oggi sfiora i 100 miliardi di euro. Perché non usare subito quei soldi per salvare le aziende – che stanno per chiudere, massacrate dal lockdown – anziché insistere con l’elemosina del Mes, vincolata a pesanti condizionalità? In altre parole: il governo ha in cassa una somma enorme, grazie ai massicci aiuti garantiti dalla Bce dopo che Christine Lagarde ha provveduto ad acquistare titoli di Stato italiani. Soldi a palate, spendibili subito: perché il governo esita? Oltretutto, dice Lombardi, l’iter per il Recovery Fund si annuncia lunghissimo e incerto.Se l’esecutivo ha presentato una prima bozza su come spendere i soldi che arriverebbero forse tra un anno, la Commissione Europea deve ancora inviare a Roma le sue linee guida. Dopodiché, come ha spiegato Conte, a metà ottobre inizieranno delle interlocuzioni (prima a livello nazionale, poi tra governo e Bruxelles) per individuare i progetti che potranno essere finanziati con le risorse del Recovery Fund. «Di fatto – scrive Torrisi sul “Sussidiario” – si sta prendendo sempre più consapevolezza che bisognerà attendere almeno la primavera per ricevere la prima tranche dei complessivi 209 miliardi di euro». Anche per questo motivo «si è tornati a invocare, specie dal Pd, il ricorso dell’Italia al Mes», tanto più che il ministro della salute, Speranza, ha presentato al premier «un piano di investimenti nella sanità da 68 miliardi di euro in sei anni». Eppure, stando alle risorse attualmente già in cassa, non ci sarebbe alcuna necessità di ricorrere al Mes. Per Domenico Lombardi, è stata «sopravvalutata la facilità» con cui si potrà attingere alle risorse europee. Tra l’altro, ricorda Torrisi, il Recovery Fund dovrà essere ratificato da tutti i paesi membri. E anche in questo caso, precisa Lombardi, «gli esperti avevano avvertito che si trattava di risorse condizionate».L’ex consulente del Fmi sottolinea l’esigenza di pretendere «la necessaria trasparenza nelle interlocuzioni tra governo e Commissione, così che tutti gli stakeholder siano debitamente informati sulle condizionalità che si andranno formando e che non conosciamo». Prima fra tutte, l’incognita rappresentata dalla Francia, che secondo fonti di stampa avrebbe richiesto il controllo di quote crescenti dell’economia italiana, in cambio dell’ok di Macron al piano di aiuti per il nostro paese. Quanto alla citata trasparenza, osserva Torrisi, «non è detto che il Parlamento italiano verrà chiamato ad approvare quello che sarà il Recovery Plan, frutto del negoziato tra governo e Commissione Europea». Su questo, Lombardi afferma: «Mi auguro che dinanzi a ogni prestito internazionale, soprattutto di dimensioni significative, la maggioranza che sostiene questo governo abbia l’opportunità di esprimersi in Parlamento, così come è stato del resto annunciato nel caso di accesso al Mes». Un sospetto: «Temo che la decisione sul Mes sia stata già presa tempo fa, e che adesso si stia cercando il momento opportuno per garantirne l’attuazione politica», dice Lombardi. «Così si spiegano le reiterate sottolineature sulle condizioni finanziarie convenienti legate a questo prestito».In realtà, aggiunge Lombardi, «trovo goffo questo tentativo di ottenere un suggello politico sulla base degli aspetti di convenienza finanziaria, anche perché – spiega – se siamo dinanzi a una scelta fondamentale legata al ruolo dell’Italia nell’Europa, la semplice valutazione finanziaria appare del tutto inadeguata». Proprio a livello finanziario, infatti, emerge l’importante saldo attivo di Tesoreria: il 3 luglio era di circa 70 miliardi di euro, oggi sappiamo che a fine luglio è salito a 80 miliardi, e a fine agosto è arrivato addirittura a 98 miliardi. Oltretutto – aggiunge Lombardi – il 4 settembre il Mef ha annunciato di aver cancellato l’asta dei Bot trimestrali prevista per il 9 settembre «in seguito all’assenza di specifiche esigenze di cassa». Se il Mes fosse così strategico, il ricorso al fondo speciale «dovrebbe fondarsi su dati accurati», cosa che secondo Lombardi «non sembra stia avvenendo». Insiste l’ex stratega del Fondo Monetario: «Non possiamo assistere alla scomparsa di imprese dal tessuto economico e sociale del paese e contemporaneamente avere un saldo di Tesoreria così elevato», che oltretutto tiene conto persino del calo delle entrate tributarie (-7,7%) registrato nei primi sette mesi dell’anno, per colpa del lockdown.«Credo che insistere sulla necessità di accedere al Mes di fronte a un saldo del genere – scandisce Lombardi – testimoni in modo incontrovertibile la scelta politica sottostante alla richiesta di ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità». Tradotto: sottoporre l’Italia alle pesanti condizionalità previste, nonostante il paese disponga oggi di una straordinaria liquidità. Pressioni esterne, dunque? Il fatto che il pacchetto Mes sia ancora in discussione, ragiona Lombardi, significa sue cose: da un lato testimonia «la volontà di una parte del governo di ponderare bene questa scelta», e dall’altro risulta «coerente con pressioni che l’Italia potrebbe avere ricevuto, magari anche nell’ambito di quei negoziati per il buon esito del Recovery Fund». Non c’è la “pistola fumante”, ma gli indizi abbondano: «Può darsi che, nell’ambito delle varie condizionalità di tipo politico (non tecnico) concordate in sede di negoziato prima o durante il Consiglio Europeo di luglio, sia stato compreso anche l’accesso dell’Italia al Mes». Si andrebbero quindi a sommare pesantissime condizionalità? «Per un’economia a elevato debito come quella italiana – sostiene Lombardi – potrebbero facilmente scattare delle clausole di salvaguardia che rischierebbero di introdurre nel nostro paese delle scelte che non verrebbero prese esclusivamente dal governo italiano».Il rischio, chiarisce lo stesso Torrisi, è quello di un’eterodirezione nella gestione del debito, soprattutto nel momento in cui torneranno in vigore le regole del Patto di Stabilità, attualmente sospese. Chiaramente – conferma Lombardi – l’Italia sarebbe più esposta, su quel fronte: «Quando si hanno dei rapporti creditizi in essere, l’opinione dei creditori conta». E così, «la visione che altri paesi europei hanno dei problemi italiani e delle loro soluzioni avrebbe un peso ancora maggiore, rispetto alla situazione attuale». Un rischio che sarebbe meglio evitare, ovviamente. In questi giorni, mentre è stata cancellata l’asta dei Bot trimestrali, è stato collocato un Btp ventennale, le cui richieste hanno superato gli 80 miliardi di euro. Questo si inserisce in una serie di altre iniziative, come il Btp Italia e il Btp Futura, che mirano a migliorare la gestione del debito pubblico e il “classamento” dei titoli, cosa che magari costa al Tesoro un po’ di più, ma che garantisce maggior stabilità e minor esposizione alle fronde speculative. Sono tutte iniziative ottime, aggiunge Lombardi, che testimoniano un eccellente accesso al mercato di cui oggi l’Italia gode. E visto che il Mes è destinato a paesi in difficoltà con i mercati finanziari, conclude Lombardi, «non vedo perché l’Italia dovrebbe crearsi uno stigma quando è invece in grado di soddisfare pienamente la sua domanda di cassa e addirittura avere un saldo di Tesoreria a livelli record».Questo saldo record, ipotizza Torrisi, potrebbe essere tenuto alto in via precauzionale, temendo un cambio di linea della Bce: finora, grazie a Christine Lagarde, la banca centrale ha acquistato in maniera massiccia titoli di Stato italiani, mettendo al sicuro il bilancio di Roma. E se domani tutto dovesse mutare? Se la Bce dovesse cambiare veramente linea – obietta Lombardi – il prestito del Mes, a livello quantitativo, «sarebbe una goccia nel mare». Detto questo, «effettivamente il motivo precauzionale per il saldo di Tesoreria è importante», ammette l’ex consulente del Fmi. «Ma non possiamo dimenticare – aggiunge – che nel contempo ci sono imprese che stanno morendo o sono già morte». Proprio perché gli operatori economici «stanno fronteggiando un’incertezza inedita, nella nostra storia recente», secondo Lombardi «sarebbe utile che lo Stato onorasse il pagamento dei suoi debiti con le imprese in tempi assai più brevi, utilizzando proprio parte di quel saldo di Tesoreria». Avendo un’esigenza di rifinanziamento così massiccia, per via dell’enorme debito pubblico, «la migliore assicurazione per l’Italia è rivitalizzare il tessuto economico». chiosa Lombardi: «Questo lo si fa non solo stanziando contabilmente risorse, ma aumentando la velocità di circolazione delle stesse».«Sembra che l’appoggio francese al Recovery Fund sia stato condizionato alla disponibilità italiana a cedere asset strategici a gruppi espressione o collegati all’economia transalpina. Occorrerà quindi vedere se ci saranno transazioni bilaterali in cui la proprietà francese dei nostri asset strategici andrà a consolidarsi». Non solo: «Oltre a una condizionalità formale palese, potrebbe essercene una occulta, concordata nell’ambito dei negoziati che hanno preceduto il Consiglio Europeo che ha dato il via libera al Recovery Fund». Lo afferma Domenico Lombardi, ex consigliere economico del Fmi, intervistato da Lorenzo Torrisi per il “Sussidiario“. Lombardi segnala inoltre che il saldo di Tesoreria, cioè l’ammontare del conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca d’Italia (con cui gestisce gli incassi e i pagamenti), non solo ha raggiunto livelli record, ma continua a crescere, e oggi sfiora i 100 miliardi di euro. Perché non usare subito quei soldi per salvare le aziende – che stanno per chiudere, massacrate dal lockdown – anziché insistere con l’elemosina del Mes, vincolata a pesanti condizionalità? In altre parole: il governo ha in cassa una somma enorme, grazie ai massicci aiuti garantiti dalla Bce dopo che Christine Lagarde ha provveduto ad acquistare titoli di Stato italiani. Soldi a palate, spendibili subito: perché il governo esita? Oltretutto, dice Lombardi, l’iter per il Recovery Fund si annuncia lunghissimo e incerto.
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Della Luna: vietato illudersi, a vincere è sempre il peggiore
Al fondo della evidente sterilità del pubblico dibattito sociopolitico vi è un malinteso che si compone solamente, appunto, rendendo quel dibattito un esercizio inerte di inganni e autoinganni. Verso l’attività politica interna e internazionale, istituzionale, economica, la sensibilità della gente ha richieste di trasparenza, correttezza, legalità, rispetto, moralità di fondo, e di una giustizia che operi gratis et amore legis. Per contro, l’attività politica, istituzionale, economica, è una competizione in cui, per non perdere, è indispensabile ricorrere alla segretezza, alla scorrettezza, alla slealtà, all’inganno, al ricatto, alla violenza, alla violazione delle regole, alla strumentalizzazione del potere giudiziario. La sensibilità popolare continua, pertanto, a richiedere alla politica, alle istituzioni (compresa quella giudiziaria), all’economia, ciò che esse per loro natura non possono dare, fare, essere. Tra le varie pretese, continua ad avanzare quella che la competizione politica e la competizione economica si facciano senza commettere reati, cioè rispettando le norme, mentre il vantaggio competitivo viene in gran parte proprio dalla superiore capacità di sottrarsi alle norme rispetto ai concorrenti, e ancor più, specie nell’attuale società di mercato, dalla capacità di comperare o altrimenti condizionare il legislatore e il governo al fine di ottenere scelte fatte a proprio vantaggio, nonché i tribunali al fine di ottenere una giustizia di favore per sé, e repressiva verso i competitori, come ampiamente spiego nel mio “Le chiavi del potere” (Aurora Boreale, 2019).La composizione di questa oggettiva divergenza tra le esigenze della sensibilità etica da una parte e le regole della realtà dall’altra, avviene in quanto, da un lato, il potere costituito, le istituzioni, l’economia, controllando i mass media, riescono a dare di se stessi un’immagine più o meno accettabile e che nasconde il peggio della realtà, le cause vere dei mali, offrendo spiegazioni ingannevoli, capri espiatori, nemici esterni e prospettive di giustizia e miglioramento; mentre, dall’altro lato, la sensibilità della gente mal sopporta la consapevolezza della sgradevole realtà suddetta, quindi è predisposta ad accogliere quell’immagine rassicurante, a credere nelle spiegazioni fornite, a prendersela con i capri espiatori e i falsi nemici, a sperare nella giustizia e nei miglioramenti. Così avviene che il dibattito per l’opinione pubblica continua a cibarsi di scemenze quali sono le campagne di moralizzazione della politica e dell’economia mediante provvedimenti come la legge Severino, lo Spazzacorrotti, il blocco della prescrizione, e via blaterando. Continua, perché la maggioranza della gente non apprende da tutte le numerose e multiformi esperienze che ci hanno mostrato che non si vince se non si viola le regole, se non si ruba per alimentare le clientele, e se non si serve ai poteri forti fuori dello Stato, che altrimenti ti abbattono a colpi di rating, di spread, di Colle, di mass media, di avvisi di garanzia. E che vogliono papparsi fino in fondo quel che si può togliere all’Italia.Alla luce di queste considerazioni, evoco qui Fabrizio Fratus, che, nel suo sagace pezzo odierno “La politica è un po’ come Diletta Leotta: bella ma finta” dice cose non solo condivisibili, ma anche molto utili; solo che non parla propriamente della politica, bensì del teatrino e dei teatrinanti dietro cui sta e agisce la politica vera, quella che decide le cose grandi e non si lascia discutere in piazza né in tribunale. Fratus parla di un oramai incessante, camaleontico, proteiforme “adattarsi [nonché] rimodellarsi all’occorrenza” dei partiti politici. Questo modo di procedere, che non si cura della coerenza, è chiamato realismo politico, però non sempre paga. M5S, Pd e Lega si sono esibiti in ripetute giravolte e contraddizioni totali. Il primo, quando ha visto che da solo non poteva fare un governo, è passato dal rifiuto aprioristico di ogni alleanza, al governo con la Lega; poi, per restare al governo, è passato dal rifiuto assoluto di accordi col Pd a un abbraccio col Pd; e in generale da posizioni anti-sistema a posizioni intra-sistema per conservare la poltrona. Risultato: crollo dei consensi, perché il suo elettorato disapprova le contraddizioni e le confusioni.Similmente, il Partito Democratico, «che negli ultimi 14 anni è stato al governo per ben 11,5 anni», per riprendersi il potere e per tema di una vittoria salviniana, si è inciuciato col M5S, mentre prima, a testa alta, stava ai suoi antipodi. Salvini – spiega Fratus – sa che neppure con la Lega al 55% potrebbe governare, perché i mercati lo affonderebbero; perciò si è rimangiato tutto su Ue ed euro, dicendo che dobbiamo tenerceli perché utili all’Italia; ed è anche virato verso il centro politico, si è dato alla ricerca assidua del Washington consensus; e, peggio di tutto – aggiungo io – ha invocato Draghi a Palazzo Chigi: sembra quasi che voglia proporsi al posto del Pd come partito di servizio del turbocapitalismo finanziario dei prima vituperati eurocrati e banchieri predoni. Ingenuo allora meravigliarsi di un abboccamento Salvini-Renzi: i due già hanno in comune frequentazioni verdiniane e il progetto di abbattere Conte. Il disegno politico dei due Mattei, secondo Fratus, è di sostituire il Bisconte con un governo tecnico Lega-Fi-Iv fino ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica – lo correggo: presidente del Protettorato; poi andare al voto col proporzionale, e formare un governo Lega-Fi-Iv con un Giorgetti.Ma Fratus ritiene probabile che a uscir vincitore sarà invece Giorgia Meloni, siccome è «l’unica che da anni e piano piano stia realmente costruendo un progetto politico valido e coerente, mentre Matteo Salvini non è considerato autorevole e soprattutto non ha appoggi all’estero. Giorgia Meloni è in forte crescita, è più stimata di Salvini, è donna e ha ottimi rapporti con i conservatori americani ed europei. Soprattutto non è percepita come un pericolo». In realtà nessuno dei predetti concorrenti andrà al potere. Il potere – cioè quello che decide e impone per esempio l’euro, certi modelli finanziari e socioeconomici, la liquidazione degli Stati nazionali, le migrazioni di massa – non è alla loro portata, ed essi devono addirittura astenersi dal criticare a fondo le sue scelte, se vogliono entrar nell’area di governo e infilare le dita nel vaso delle caramelle (solo chi non aspira a far ciò può essere e restare liberamente critico verso il sistema e i suoi interessi). Il potere vero non si mette certamente in gioco nel voto popolare. Lo si vede anche dalla facilità con cui tiene il Pd al governo e al Colle praticamente sempre, anche col solo 20%, e anche se il Pd apertamente inchioda il paese alla recessione per favorire la campagna di acquisti da parte dei capitali stranieri.E’ inutile, illusorio chiedere a un partito politico di essere una forza critica del sistema, di essere intellettualmente sincero o per fare gli interessi collettivi, cari Borghi e Bagnai: ogni soggetto che aspiri ad entrare nella camera dei bottoni e dei bonbons, o anche solo ad ottenere consenso popolare e accesso ai mass media, deve da un lato censurarsi e adeguarsi al potere vero; e dall’altro lato adeguarsi alla capacità di comprensione della gente, concentrandosi sul breve termine della rincorsa dei sondaggi e dei processi. Servire al potere costituito consiste, per un partito, innanzitutto, nell’apportargli l’obbedienza popolare. Nel 2002 scrivevo, a questo proposito: «Al fine che le masse che ricevono motivatori illusori e credano in questi motivatori e nella legittimità del sistema, i privilegi economici veri ricevuti dagli associati al potere, e la funzione di tali privilegi, devono essere o nascosti (non notiziati, giudiziariamente coperti) o legittimati mediante un camuffamento… Esistono agenzie che forniscono servizi di legittimazione ideale al potere (anche se esse stesse costituiscono centri di potere), come i partiti, i sindacati, le religioni organizzate e i news media, imbonendo il popolino; esse ricevono in cambio corrispettivi utilitari» (”Le chiavi del potere”, 2002-2003-2019, pagina 306). Per contro, chi vuole promuovere mutamenti per trasformare a fondo il sistema, deve agire sul piano teoretico, scientifico, filosofico, spirituale.(Marco Della Luna, “I teatrinanti del malinteso sociopolitico”, dal blog di Della Luna del 14 febbraio 2020).Al fondo della evidente sterilità del pubblico dibattito sociopolitico vi è un malinteso che si compone solamente, appunto, rendendo quel dibattito un esercizio inerte di inganni e autoinganni. Verso l’attività politica interna e internazionale, istituzionale, economica, la sensibilità della gente ha richieste di trasparenza, correttezza, legalità, rispetto, moralità di fondo, e di una giustizia che operi gratis et amore legis. Per contro, l’attività politica, istituzionale, economica, è una competizione in cui, per non perdere, è indispensabile ricorrere alla segretezza, alla scorrettezza, alla slealtà, all’inganno, al ricatto, alla violenza, alla violazione delle regole, alla strumentalizzazione del potere giudiziario. La sensibilità popolare continua, pertanto, a richiedere alla politica, alle istituzioni (compresa quella giudiziaria), all’economia, ciò che esse per loro natura non possono dare, fare, essere. Tra le varie pretese, continua ad avanzare quella che la competizione politica e la competizione economica si facciano senza commettere reati, cioè rispettando le norme, mentre il vantaggio competitivo viene in gran parte proprio dalla superiore capacità di sottrarsi alle norme rispetto ai concorrenti, e ancor più, specie nell’attuale società di mercato, dalla capacità di comperare o altrimenti condizionare il legislatore e il governo al fine di ottenere scelte fatte a proprio vantaggio, nonché i tribunali al fine di ottenere una giustizia di favore per sé, e repressiva verso i competitori, come ampiamente spiego nel mio “Le chiavi del potere” (Aurora Boreale, 2019).
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Non ci resta che Draghi. Chi lo spiega a Conte e Mattarella?
Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».Chi può aver ordinato di bruciare il tetto della casa di Draghi, proprio la notte in cui a Bruxelles si teneva il primo vertice europeo sull’emergenza Covid? «Gli stessi gruppi dai quali Draghi si era appena sganciato», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. A svelare i retroscena sul clamoroso riposizionamento di Draghi è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che evidenzia il ruolo delle superlogge sovranazionali nella gestione occulta del potere. Draghi, sintetizza Magaldi, era presente in ben 5 Ur-Logdes di segno oligarchico, vere e proprie “officine” della costruzione neoliberista europea. Un mondo dal quale poi, a partire dal 2019, ha preso le distanze: era ancora a capo della Bce quando evocò addirittura la Modern Money Theory (emissione illimitata di denaro a costo zero) come possibile soluzione temporanea per rianimare l’economia, oppressa dall’austerity che soffoca la spesa pubblica. Secondo Magaldi, Draghi non è solo: la stessa Christine Lagarde (e altri big del grande potere) hanno abbandonato le superlogge reazionarie per approdare al fronte progressista, impegnato a riconquistare il pieno ritorno alla democrazia e alla sovranità finanziaria. Di qui l’inedita spendibilità del “nuovo” Draghi, per far uscire l’Italia dal tunnel in cui l’ha cacciata Conte, col pretesto del coronavirus.«Mario Draghi – conferma Carpeoro – ha deciso di giocare una sua importante partita personale». E’ davvero “pentito” di esser stato uno degli uomini-simbolo del rigore finanziario europeo, dopo aver contribuito alle grandi, disastrose privatizzazioni che negli anni Novanta sabotarono l’economia italiana? «E’ impossibile valutare oggi la sincerità delle sue intenzioni», ammette Carpeoro: «Certe cose le possiamo capire solo a giochi fatti». E a proposito di giochi: Draghi ambisce a sostituire Conte? Non proprio: «Draghi ha fatto sapere, semmai, di essere interessato al Quirinale». E qui, tutto si complica: «Appena Conte se n’è accorto, ha candidato Mattarella a succedere a se stesso, esattamente come Napolitano». Ipotesi improbabile, secondo Carpeoro, ma non impossibile: «Credo che Matterella non desideri restare capo dello Stato ad ogni costo; però penso anche che ci penserebbe, se qualcuno glielo chiedesse». Che presidente è stato, finora? Non peggiore di altri, sempre per Carpeoro, almeno fino al lockdown: «Poi invece, con l’emergenza decretata da Conte, ha firmato di tutto: ha avallato anche atti che non avrebbe dovuto né potuto avallare». In altre parole, si sarebbe reso pienamente corresponsabile delle forzature che molti giuristi hanno imputato a Conte, accusato di aver calpestato la Costituzione.Lo sguardo di Carpeoro è lucidamente distaccato da quello che definisce «gossip complottista», ma il suo giudizio resta durissimo: «L’enfasi attribuita alla gestione del coronavirus è un fatto di potere: se la gente è assillata da una preoccupazione come quella, imposta dai media in modo totalizzante, evita di occuparsi dell’operato del potere. In altre parole: il virus è comodissimo, per chi comanda». Un esempio, tra i tanti? La scuola: «Se avessi dei figli, quest’anno non ce li manderei». La scuola è nel caos, in preda al delirio del distanziamento. «E nessuno che ricordi che la scuola italiana era già in stato di sfacelo, ben prima dell’epidemia: carenze di insegnanti, soffitti che crollavano in testa agli alunni. Domando: in tutti questi mesi che cosa ha fatto, la graziosa ministra Azzolina, per affrontare questi problemi? Risposta facile: zero». Ecco dunque che a far dimenticare tutto è arrivata la paura (provvidenziale) del virus, con dettagli surreali – all’italiana – come i seggioloni a rotelle al posto dei banchi. Siamo allo sbando? «Era inevitabile, e innanzitutto per colpa nostra», dice Carpeoro: «Per anni siamo andati appresso a politici inesistenti, anziché preoccuparci di obbligare la politica a dare risposte serie, capaci di progettare il futuro».Ecco perché, oggi, la prospettiva di un impegno diretto di Mario Draghi nella politica italiana sembra davvero una risorsa strategica, data la situazione comatosa del paese – vicino al collasso socio-economico – e senza nemmeno l’ombra di un’offerta elettorale all’altezza della situazione. «Solo che le poltrone contese sono due – Palazzo Chigi e Quirinale – mentre i pretendenti sono tre», riassume Carpeoro: ci sono Draghi e Mattarella, più Conte (che ovviamente ha meno peso degli altri due, ma farà di tutto per restare dov’è). Molto, dice lo stesso Magaldi, dipende proprio da Mattarella: «Il presidente della Repubblica sa benissimo che deve la sua elezione al Quirinale proprio a Draghi, che – quand’era a capo della Bce – convinse Matteo Renzi, allora premier, a farlo eleggere capo dello Stato». Poi però è arrivata la bufera-Covid, che ha sparigliato le carte: Conte ha cavalcato la paura, secondo i dettami dell’Oms pilotata fronte reazionario mondiale che utilizza la Cina come testa di ponte, verso un Occidente non più libero, con meno diritti e sottoposto al ricatto del terrore sanitario. Mattarella, purtroppo, non si è opposto alla decretazione emergenziale di cui Conte è accusato si aver abusato. Draghi sembra guidare il fronte opposto: quello del ritorno alla normalità nel più breve tempo possibile. Forti i legami di Draghi con gli Usa, dove si sta giocando la partita delle presidenziali: lo stesso Trump (come Draghi) non è affatto entusiasta del lockdown “cinese”. Lo stallo italiano sarà risolto da Washington? Saranno guai, avverte Carpeoro, se Trump non dovesse essere rieletto.Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».
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Della Siega: il coraggio di ripartire dall’Italia dei Comuni
«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».Massimo Della Siega è stato invitato a candidarsi, come sindaco, da due gruppi civici, “ViviAmo Varmo” e “Varmo comunità”. Nelle elezioni comunali, specie nei paesi con pochi abitanti (appena 2700, in questo caso), gli schemi classici – centrodestra contro centrosinistra – lasciano il tempo che trovano. Specie se poi a dover «fare sintesi» è un personaggio come il dottor Della Siega, per vocazione abituato all’ascolto e al dialogo: prima le idee, purché buone, a prescindere dalla fonte da cui provengono. «Sarà un fatto di carattere», dice, in web-streaming su YouTube: a vincere è il pragmatismo del medico, dell’approccio scientifico. «Poi, certo, nel mio modo di essere influisce anche la mia esperienza del Movimento Roosevelt, che è laico e trasversale, oltre le appartenenze, pur nell’ispirazione liberal-socialista». Lo conferma – in video-chat con Massimo su “MrTv” – il conterraneo Roberto Hechich, altro dirigente “rooseveltiano”, che riassume: «Qui si tratta di rianimare la politica italiana, parlando a tutti i partiti – nessuno escluso – per aiutarli a ritrovare la sovranità di fondo della democrazia sostanziale, confiscata attraverso i pericolosi equivoci di un’Europa mai nata. Lo si è visto anche adesso, con il Covid: aiuti scarsi, tardivi e gravati da pesanti condizionalità».Beninteso: il caso di Varmo resta un’esperienza civica, profondamente comunale, in cui a essere “rooseveltiana” è la storia (personale) del candidato sindaco, ben attento a concentrarsi sul paese con un programma di buon senso. Esempio: «In cassa ci sono un sacco di soldi che dovevano essere spesi per opere pubbliche, ma sono rimasti bloccati: amministrare non è mai facile, tra mille lacci e laccioli, ma forse è giunta l’ora di abbandonare le titubanze, perché la situazione oggi lo richiede». Oppure: «Il territorio è frazionato, e le periferie si sentono trascurate: noi istituiremo una Consulta permanente delle borgate, in modo che tutti possano segnalare puntualmente le loro necessità». La capacità di ascolto resta la prima virtù: del medico, e a maggior ragione del politico. E le prime note che al candidato tocca ascoltare, anche a Varmo, oggi sono dolenti: «Tutti sanno che la vera emergenza è quella economica: la drammatica eredità del Covid. Molte attività non riusciranno a riprendersi, molte famiglie faticheranno a vivere». Sarà proprio questa la prima linea nella quale si impegnerà il Comune: «Abbiamo risorse limitate, ma le useremo per dare ossigeno a chi non ce la fa: è una priorità assoluta».A Massimo Della Siega ha fatto piacere ascoltare il sermone di Mario Draghi al Meeting di Rimini, con la netta distinzione tra “debito buono” e “debito cattivo”. «L’ho sempre pensato anch’io, nel mio piccolo: non bisogna aver paura di fare deficit per sostenere iniziative destinate a creare lavoro, e al tempo stesso occorre evitare gli sprechi, cioè le spese improduttive». La comunità di Varmo è la prima a saperlo: gente abituata a utilizzare in modo oculato gli investimenti. L’industria è di taglio artigianale: chimica, tessile, alimentare, legno, profumi, lavorazione dei metalli. Solida agricoltura: foraggi, cereali e zootecnia. Le campagne – le Grave Fiuliane – producono fantastici vini, grazie ai terreni di origine alluvionale: nei millenni, il Tagliamento ha trascinato a valle i ciottoli dolomitici delle Alpi Carniche, arricchendo il suolo di mineralità marina che poi, nei calici, si traduce in profumi ed eccellenza vinicola. Non è che l’ennesima pagina del riscatto nazionale, di cui proprio il vino è diventato un ambasciatore importante, anche in termini di export.La parola d’ordine, oggi, è proprio questa: risollevarsi. «E’ un impegno, la partecipazione civica, che dovrebbe coinvolgere moltissimi italiani», dice Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il fondatore: «L’esempio di Massimo Della Siega testimonia benissimo la capacità di interpretare il presente: oggi più che mai, è necessario scendere in campo in prima persona». Il Comune, peraltro, rappresenta una dimensione ideale: gli eletti sono direttamente controllabili, in piena trasparenza, dagli elettori che li hanno democraticamente scelti. Non è poco, in un mondo in cui il potere è diventato lontanissimo e post-democratico, quasi invisibile, affidato a vertici pressoché irraggiungibili (nazionali, europei, planetari). Candidarsi a casa propria, innanzitutto, significa accettare una scommessa: dimostrare che è possibilissimo, malgrado tutto, fare qualcosa di buono, e lo si può fare partendo proprio dal paese in cui si vive. “Dal particulare all’universale”, era un motto del grande Rinascimento italiano. Oggi lo si potrebbe tradurre con un altro termine: “glocal”. «Pensare globalmente, e agire localmente», sintetizzava Alex Langer, ideologo dei primissimi Verdi italiani.«L’importante è restare connessi, uniti, ascoltando le ragioni di tutti», dice Massimo Della Siega, pensando a Varmo e al Medio Friuli nel quale il paese è collocato: se i Comuni scontano i tempi di vacche magre accelerati dal Patto di Stabilità e dalla continua diminuzione di risorse statali, è giunto il momento di fare rete. «Nel nostro caso, l’idea è quella di aprire canali di comunicazione coi paesi vicini, per mettere in piedi servizi migliori». In altre parole, l’unione fa la forza. «La crisi economica indotta dall’emergenza Covid avrà conseguenze pesantissime: chi ancora non se ne fosse accorto, lo scoprirà nei prossimi mesi». La prima arma è la consapevolezza: essere lucidi, saper valutare la situazione. Serve a mettere in campo una strategia vincente per uscire dal tunnel. Quasi mezzo secolo fa, a schiantare il Friuli fu il sisma. Oggi, un terremoto di altro genere – ancora peggiore – sta frustando l’Italia, tutta quanta. I friulani non si lasciarono abbattere, allora. E non hanno l’aria di volersi arrendere nemmeno stavolta. E chissà che anche Varmo, nel suo piccolo, non possa fare storia.Il Varmo, piccolo affluente del Tagliamento, dà il titolo all’omonima novella di Ippolito Nievo: gli intrecci dell’umanità minuta (fine Ottocento) vivono di vita propria, grazie alla magia del paesaggio a cui ciascuno sente di appartenere. Sempre a Varmo sono ambientati due romanzi, “La casa a nord-est” e “La stazione di Varmo”, di Sergio Maldini, amico del giovane Pasolini e poi di Dino Buzzati. Il terzo romanzo potrebbe scriverlo, delibera su delibera, lo stesso Massimo Della Siega, rubando un po’ di tempo ai suoi pazienti all’ospedale. L’impegno degli italiani – oggi, in piena Era del Covid – ha un sapore inevitabilmente diverso: il paese intero è finito in terapia intensiva insieme alla sua economia, e la politica non sta certo meglio. Proprio il Comune resta la prima trincea, immediata, in cui è possibile incidere: non contro qualcuno, ma per ottenere qualcosa che faccia bene a tutti. E’ il dono più prezioso, in fondo: la consapevolezza di essere una comunità pienamente democratica, dove nessuno deve restare indietro. Le regole generali sono da riscrivere? Certo, ma occorre tempo. In municipio, invece, l’impresa è a portata di mano: si può cominciare da subito. Basta guardarsi negli occhi, per capire – insieme – da dove ripartire.(Giorgio Cattaneo, 5 settembre 2020).«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».
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‘Draghi, falso messia: risponde all’élite che ci impose Conte’
Lo scorso sabato sera c’era davvero una insolita fila di auto blu sotto casa di Mario Draghi, che ormai si muove e parla già come se fosse a Palazzo Chigi. Salvatore della patria? Non scherziamo: è uno dei massimi artefici del disastro nel quale ci troviamo. Lo sostiene Cesare Sacchetti, sul blog “La Cruna dell’Ago”. Sacchetti è tra quanti – non pochi – si mostrano scettici, rispetto all’ipotetica “conversione democratica” dell’ex numero uno della Bce, tra i massimi architetti del rigore europeo, già protagonista delle grandi privatizzazioni degli anni ‘90 che sabotarono il futuro dell’economia italiana. Al meeting estivo di Cl a Rimini, ricorda Sacchetti, Draghi si è scagliato contro chi ha messo a rischio il futuro dei giovani. Non dovrebbe far altro che guardarsi allo specchio – scrive – se davvero volesse individuare il colpevole. I giovani sono condannati a una vita di incertezze e di precarietà permanente a causa della feroce applicazione delle dottrine ordoliberiste imposte da Bruxelles e dalla grande finanza internazionale. «Draghi infatti è stato uno dei più feroci e spietati esecutori del piano economico del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale».L’oligarchia partorì già negli anni’70 la deindustrializzazione dei decenni successivi, attuata attraverso un’ondata di privatizzazioni selvagge. Ora, «l’uomo che salvò l’euro e condannò la Grecia alla più grave devastazione economica mai vista dal dopoguerra», è tornato a parlare: lo ha fatto in occasione del congresso europeo di cardiologia, ed è stato ancora più esplicito. «Ha chiaramente detto che si uscirà dalla crisi da Covid solamente attraverso “il vaccino e con test di massa e tracciamento” che nella sua idea dovranno diventare la nuova normalità». La sorveglianza di massa – scrive Sacchetti – sarà dunque la caratteristica fondamentale di questo nuovo totalitarismo globale. «Appare ormai evidente che la crisi pandemica sia stata espressamente pensata, come predisse Jacques Attali (uomo a stretto contatto con i vertici del mondialismo), per partorire un governo unico mondiale che esautori definitivamente le nazioni, che dovranno lasciare il posto a questa nuova dittatura globale. Draghi sa perfettamente queste cose, così come sa che è lui, e non Conte, l’uomo designato dalla gerarchia sovranazionale per portare l’Italia verso l’ultima fase del Nuovo Ordine Mondiale».I segnali, continua Sacchetti, c’erano già tutti nei mesi scorsi: prima ancora del manifestarsi della cosiddetta “pandemia”, tra i palazzi si faceva già insistentemente il nome di Draghi. Il “partito del governatore” ha trovato terreno fertile prima nella Lega, quando Giorgetti prima e Salvini poi hanno espresso parole di elogi nei suoi confronti, è si è progressivamente esteso a tutto l’arco parlamentare fino a coinvolgere il M5S e il Pd. «Draghi dietro le quinte ha tessuto pazientemente la sua tela e non sta facendo altro che aspettare che il corso degli eventi di questa crisi lo porti poi a Palazzo Chigi». Ad aggiungersi al già folto fronte che lo sostiene è giunto «uno dei massimi esponenti del globalismo, ovvero Bergoglio», che ha pensato bene di insignirlo di un prestigioso incarico presso l’Accademia delle Scienze Sociali. In sostanza, conclude Sacchetti, le élite hanno già iniziato a liberarsi di Conte, «fino a pochi mesi fa sostenuto ardentemente dalla corrente anticattolica e filo-massonica vicina a Bergoglio», ma ora «praticamente scaricato». Anche i media, non a caso, gli starebbero voltando le spalle: “Repubblica”, con un tempismo sospetto, dà spazio a uno studio (che sarebbe stato sul tavolo del governo già a febbraio) secondo il quale il coronavirus avrebbe potuto portare ad un collasso delle terapie intensive, ed era quindi raccomandabile istituire delle zone rosse subito.«L’operazione che sta portando avanti il sistema è semplice, quanto diabolica», scrive Sacchetti: «Si sta disfacendo di Conte accollandogli la responsabilità di non aver agito in tempo per fermare gli effetti del Covid». In altre parole, si colgono due piccioni con una fava: «Ci si libera di Conte, che ormai in questa fase non serve più (bruciato per aver privato gli italiani della libertà e per aver portato il paese al collasso economico), e al tempo stesso si continua a far credere alla masse che questo virus effettivamente sia letale, quando le autopsie realizzate dai medici a Bergamo e Milano hanno provato che non è state l’agente virale ad uccidere, ma le terapie sbagliate». Per l’analista de “La Cruna dell’Ago”, è molto più conveniente «continuare ad agitare lo spauracchio del virus mortale e dire che Conte non ha agito in tempo per fermarlo». A quel punto, «i media che prima difendevano compatti l’ex “avvocato del popolo” daranno in pasto l’allievo del cardinale Silvestrini alle masse, mentre continueranno a preparare il terreno a Draghi».Cesare Sacchetti prevede però che l’ex governatore della Bce «non entrerà in scena prima di grandi tumulti e violenze». Sacchetti contesta la massoneria, in blocco, cui addebita il fatto di seguire una strategia precisa, identica da secoli: creare volutamente delle situazioni di grande sconvolgimento, per poi dare vita all’esito già prestabilito (secondo il motto “ordo ab chao”). «Più passano i giorni, più si avvicina il momento in cui la bomba economica esploderà», avverte “La Cruna dell’Ago”. «I media hanno provato a far credere, maldestramente, che il crollo del Pil del 12,8% di quest’anno sia il peggiore dal 1995, quando in realtà era dal 1945 che non si vedeva un crollo così devastante. Il terrorismo sanitario è stato, in questo senso, semplicemente perfetto per provocare dei danni economici senza precedenti: ha partorito una condizione da economia di guerra, che sarà l’arma per mettere le masse con le spalle al muro e costringerle ad accettare il nuovo autoritarismo globale ordinato dalle élite». Le crisi, in questo gioco, continuano a essere l’anima di tutto: «Sono i processi di cui si serve la cabala mondialista da molti decenni, per avanzare a grandi passi verso il supergoverno mondiale».Per Sacchetti, il coronavirus ha proprio questo obbiettivo finale. E, nell’immaginario del mondialismo, dovrà cambiare il pianeta (e l’Italia, in particolare, in quanto «culla della cristianità»). Draghi, dunque, giunge in quest’ultima fase «nelle vesti di falso messia, inviato dalla cabala globalista», con il compito di «drenare il paese delle sue ultime risorse vitali e condurlo verso gli Stati Uniti d’Europa», che per Sacchetti sono «del tutto imprescindibili per consentire la nascita della dittatura mondiale». Senza l’Italia a bordo, aggiunge, la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa continuerà a restare una chimera. Quello che sta per arrivare – continua l’analista – è dunque un periodo di grandi tumulti e disordini, dovuti all’inevitabile instabilità sociale ed economica «accuratamente preparata da chi tira le fila dei governi in tutto il mondo», di fronte alla quale le masse saranno in larga parte impreparate. «Tutto questo porterà a favorire ancora di più il clima ideale di instabilità auspicato dalle élite per consegnare il paese a Draghi e raffigurarlo come il “salvatore”». A quel punto, conclude Sacchetti, «l’ex governatore della Bce porterà a termine il lavoro iniziato molti anni addietro sul panfilo Britannia».Sempre secondo il cattolico Sacchetti, è fondamentale comprendere la natura «spirituale» della guerra in corso, dal momento che non è il denaro la principale motivazione alla radice della crisi scatenata attraverso il Covid: «Chi sta ai massimi livelli ha in mano il sistema bancario e controlla la creazione stessa del denaro in maniera illimitata. Sono i livelli inferiori della gerarchia che vogliono sfruttarla per arricchirsi, ma sempre attenendosi fedelmente all’agenda delle grandi famiglie di banchieri come Rothschild o Rockefeller». All’élite finanziaria, Sacchetti oppone Trump e Putin, «che non vogliono far inginocchiare le loro nazioni ai piedi di questa cabala». Questi mesi, conclude Sacchi, in tono misticheggiante – saranno decisivi per comprendere «se si è aperta la finestra tanto bramata dal Nuovo Ordine Mondiale oppure se il piano sarà sventato da contingenze di carattere politico ispirate probabilmente sempre dalla Provvidenza».Lo scorso sabato sera c’era davvero una insolita fila di auto blu sotto casa di Mario Draghi, che ormai si muove e parla già come se fosse a Palazzo Chigi. Salvatore della patria? Non scherziamo: è uno dei massimi artefici del disastro nel quale ci troviamo. Lo sostiene Cesare Sacchetti, sul blog “La Cruna dell’Ago“. Sacchetti è tra quanti – non pochi – si mostrano scettici, rispetto all’ipotetica “conversione democratica” dell’ex numero uno della Bce, tra i massimi architetti del rigore europeo, già protagonista delle grandi privatizzazioni degli anni ‘90 che sabotarono il futuro dell’economia italiana. Al meeting estivo di Cl a Rimini, ricorda Sacchetti, Draghi si è scagliato contro chi ha messo a rischio il futuro dei giovani. Non dovrebbe far altro che guardarsi allo specchio – scrive – se davvero volesse individuare il colpevole. I giovani sono condannati a una vita di incertezze e di precarietà permanente a causa della feroce applicazione delle dottrine ordoliberiste imposte da Bruxelles e dalla grande finanza internazionale. «Draghi infatti è stato uno dei più feroci e spietati esecutori del piano economico del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale».
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Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi
La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero: liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”, come spiegato al Meeting di Rimini proprio da quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare». Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.«La nomina di Monti è un’autentica vergogna, che denunceremo in ogni sede – tuona Magaldi, massone progressista – fino a quando il “fratello” Mario non avrà rassegnato le dimissioni: è uno scandalo che si affidi l’indirizzo europeo della sanità proprio al personaggio che operò i tagli che, la scorsa primavera, hanno reso il sistema sanitario italiano più debole e vulnerabile di fronte all’esplosione pandemica». In web-streaming su “MrTv”, la web-tv aperta dal Movimento Roosevelt, Magaldi cita i versi di Fabrizio De Andrè: i “buoni consigli” di Monti sono quelli di chi, per raggiunti limiti di età, «non può più dare il cattivo esempio». Vale anche per Sergio Mattarella, sostiene Magaldi, rinfacciando al capo dello Stato la scelta di negare a Paolo Savona, nel 2018, l’accesso a una leva strategica come il ministero dell’economia, «che da Savona sarebbe stato gestito assai meglio, che non da Giovanni Tria». Fu proprio quella mossa, richiesta dalle potenti oligarchie massoniche reazionarie – dice Magaldi – a sabotare in partenza le ambizioni del governo gialloverde, certamente fragile ma capace di spaventare gli eurocrati come il tedesco Günther Oettinger, portavoce della massoneria “neoaristocratica” (la stessa di Monti), che si premurò subito di avvertire gli italiani che sarebbero stati “i mercati” a insegnare loro come votare.Da allora sembra passato un millennio: i 5 Stelle, che due anni fa erano alle prese con le loro rivoluzionarie promesse elettorali, ora fanno da ruota di scorta a un Pd ridotto in brandelli, che non vede l’ora di liberarsi di Conte ma intanto è impantanato dalla segreteria di Zingaretti, che – dopo aver sprecato 14 milioni di euro in mascherine mai arrivate alla Regione Lazio – ora vorrebbe imporre ai laziali over-65 (e ai sanitari) la vaccinazione antinfluenzale. «Il Movimento Roosevelt – precisa Magaldi, che ne è il presidente – è tra quanti hanno chiesto al Tar di sospendere l’esecutività dell’ordinanza di Zingaretti: l’istanza di sospensione non è stata accolta, ma la battaglia non è finita: a breve, il Tar dovrà pronunciarsi nel merito, valutando cioè l’inopportunità della somministrazione obbligatoria di un vaccino che secondo gli stessi medici non avrebbe efficacia nel quadro del contenimento del Covid». Per molti anziani, addirittura, la vaccinazione antinfluenzale potrebbe essere pericolosa per la loro salute: «Se davvero la si volesse imporre, limitando in caso contrario la loro libertà di movimento – avverte Magaldi – si aprirebbe un contenzioso di altro genere, rispetto al quale Zingaretti è bene che si prepari fin d’ora».Di vaccini inopportuni ha parlato – a Berlino – nientemeno che l’avvocato Robert Kennedy junior, nella giornata di protesta contro il “distanziamento universale” che ha radunato milioni di manifestanti (non solo nella capitale tedesca, ma anche in città come Londra, Zurigo e Madrid). «Robert Francis Kennedy milita nel nostro circuito sovranazionale, quello della massoneria progressista», precisa Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge nella sovragestione politica. Al netto di quella che Magaldi definisce «l’ossessione di Kennedy per i vaccini», e senza però sottovalutare «il ricorso troppo disinvolto a determinati vaccini, da parte di una sanità che tende a somministrarli depenalizzando i produttori e proponendo quindi l’immunizzazione piuttosto che la cura delle malattie», Magaldi sottolinea il valore simbolico dell’intervento di Kennedy a Berlino, che ha citato espressamente lo storico discorso di suo zio, John Kennedy, nel ‘61: se il Muro di Berlino era il simbolo del totalitarismo del dopoguerra (quello dell’Urss), oggi – per il nipote – la protesta dei berlinesi è una grande risposta alla nuova tentazione totalitaria, quello di chi sta cavalcando il Covid in modo forsennato, sfruttando la paura.Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy potrebbe – domani – diventare un player importante, negli Usa, se si volesse ricostruire una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, concentrata sul pieno recupero della democrazia e dei diritti sociali che il neoliberismo ha eroso, scolorito e cancellato. Del resto, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, sono eminenti economisti ad ammettere, oggi, che la globalizzazione neoliberale – fatta di solo mercato – è praticamente fallita. L’aveva annunciato già negli anni ‘90 il grande antropologo svizzero Jean Ziegler nel saggio “La privatizzazione del mondo”, spiegando che lo smantellamento del welfare avrebbe impoverito le popolazioni e messo fuori uso i servizi, a cominciare da quello sanitario, in Italia letteralmente devastato da Mario Monti. Insieme a Elsa Fornero (tuttora interpellata in televisione, come se fosse un esempio di governatrice illuminata), lo stesso Monti ha terremotato anche il sistema pensionistico, rendendo più debole la società e aumentando l’insicurezza: problemi che oggi stanno letteralmente per esplodere di fronte alla crisi-Covid, rispetto a cui Giuseppe Conte non ha soluzioni: «Molte famiglie stanno esaurendo i soldi, e gli imprenditori – che temono di chiudere i battenti, o di dover vendere la loro casa per salvare l’azienda – sanno che gli spiccioli del Recovery Fund arriverebbero solo a rate e a piccolissime dosi: troppo poco, e troppo tardi».Al di là degli imbarazzanti proclami di Conte – sonoramente contestato a Catania, nei giorni scorsi, al grido di “buffone” – è infatti proprio la catastrofe incombente (90.000 imprese a rischio, non meno di 5 milioni di posti di lavoro secondo l’Istat) a spingere i nani della politica italiana verso il possibile salvatore Mario Draghi. Persino “Dagospia” ha segnalato «un codazzo di auto blu, sotto la casa romana dell’ex presidente della Bce». Il crollo del sistema-Italia è paventato dalla stessa banca centrale: una famiglia su tre – avverte Bankitalia – a ottobre potrebbe non sapere più come arrivare a fine mese. Se il governo giallorosso sembra quindi avere le ore contate, non è certo da questo Parlamento che potrebbe venire una soluzione: si pensa a un esecutivo di salvezza nazionale, come quello varato da Monti nel 2011 ma di segno diametralmente opposto. Ormai la recita è finita: di che pasta sia fatta, questa Unione Europea, lo hanno capito tutti. Serve una rivoluzione copernicana, come quella evocata da Draghi sul “Financial Times”: ossigeno illimitato, sotto forma di miliardi, fino a quando l’economia non si sarà ripresa. Succederà? Dipende: la partita è complessa, ammette Magaldi, che indica un altro ostacolo ingombrante, ovvero la Cina. Meglio ancora: il “partito cinese” che opera tra le quinte del governo Conte.«Nei giorni scorsi – dice Magaldi – ho letto su “La Verità” che stanno emergendo gravi responsabilità di Conte, nel ritardo con cui è stata gestita la fase iniziale dell’emergenza, senza contare l’invio – proprio in Cina – di materiali sanitari che, di lì a poco, sarebbero stati preziosi in Italia, dove invece scarseggiavano». Non solo: è di qualche giorno fa la forte irritazione degli Usa nei confronti di “Giuseppi”, che l’8 agosto – con un decreto mantenuto riservato – ha concesso a Telecom un primo via libera per utilizzare la tecnologia Huawei per il 5G, contravvenendo così alle esplicite richieste della Casa Bianca. Per Magaldi, in Italia il clan filo-cinese «include il massone reazionario Romano Prodi, che ambisce al Quirinale». L’ombra della Cina – che omai di fatto controlla l’Oms – si allunga anche sulla scandalosa nomina di Mario Monti, altro esemplare della massoneria oligarchica che ha messo in croce l’Italia utilizzando l’austerirty Ue per i propri inconfessabili scopi di natura privatistica. E’ lo stesso clan, insiste Magaldi, che – a partire dalla fine degli anni ‘70, con Kissinger – ha contribuito a creare la Cina di oggi, un “mostro” bifronte (benessere economico, ma niente democrazia), come modello per un futuro Occidente senza più diritti: come quello che gli strateghi del Covid stanno cercando di imporre, a colpi di restrizioni, ben sapendo che in questo modo si lasciano collassare intere economie, come quella italiana.Magaldi celebra «la grandezza di Mario Draghi», dimostrata dalla capacità di cambiare radicalmente i propri convincimenti, «arrivando così anche a farsi perdonare le tante colpe del passato», cioè gli anni in cui Super-Mario dirigeva dal Tesoro la svendita del Belpaese, e poi – dalla Bce – non muoveva un dito per salvare l’Italia dalla tempesta dello spread. Il ribaltamento dei ruoli è un clamoroso indicatore di quanto sta succedendo, in Italia e nel mondo: da un parte i big come Draghi, convertiti al socialismo liberale e all’economia keynesiana (citata e praticata dallo stesso Donald Trump), e dall’altra gli irriducibili oligarchi che manovrano Conte, in uno scenario in cui galleggiano il silenzioso Mattarella, il mai pentito Prodi e l’impresentabile Monti, legatissimo alla “sorella” Merkel e ora premiato – in spregio all’Italia – dagli oscuri burocrati dell’Oms finanziata da Pechino e da Bill Gates, l’uomo che sogna il microchip obbligatorio per l’umanità. Di fronte al collasso politico planetario imposto dalla gestione della Grande Paura, l’agenda elettorale italiana è risibile: le regionali del 20-21 settembre ripropongo la farsa del finto scontro tra centrodestra e centrosinistra, mentre alla vigilia del referendum che propone di tagliare anche l’ultimo pezzo di democrazia (il Parlamento) si indebolisce di giorno in giorno l’entusiasmo dei “tagliatori”. Se l’orizzonte che conta è quello delle presidenziali Usa del 5 novembre, con il finto progressista Biden opposto a un Trump sostenuto dai massoni progressisti, il paesaggio italiano – in attesa che l’increscioso Conte esca di scena – è dominato da due totem altrettanto contrapposti: da una parte il lugubre Monti, dall’altra l’irriconoscibile Mario Draghi.La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero, liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”». Lo ha spiegato al Meeting di Rimini proprio quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, «propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare. Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.