Archivio del Tag ‘Unione Europea’
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Europee, contro il Pd di Renzi l’unico vero “voto utile”
La confusione è grande, perché non esiste un piano-B sufficientemente chiaro: non c’è ancora un possibile governo per l’alternativa, a cominciare dall’economia. Rispetto alle politiche 2013, però, la situazione si è molto chiarita: la crisi sta devastando famiglie e imprese, e la protesta contro Bruxelles ormai dilaga in tutta Europa, da Londra a Parigi. Si improvvisano liste no-euro per cogliere il vento favorevole, mentre sul fronte opposto fioccano scongiuri: ma sono motivati dalla scarsa credibilità attribuita a molte espressioni no-euro, piuttosto che da una reale convinzione nelle virtù della moneta unica, il cui fallimento disastroso è ormai sotto gli occhi di tutti. I critici più coerenti, sulle barricate da anni contro l’anomalo regime monetario di Francoforte, unico al mondo, invitano a non considerare affatto un fallimento quello dell’euro, bensì il perfetto compimento – col massimo profitto possibile – del piano oligarchico di cui l’euro sarebbe il braccio armato: ridurre gli Stati all’impotenza e preparare la loro resa definitiva alle ragioni del più forte, cioè il capitalismo globalizzato che oggi si rifugia nella speculazione finanziaria e nella razzia ai danni dello Stato, non potendo più ricorrere, come prima, al consueto saccheggio del colonialismo industriale a spese del terzo mondo.La situazione geopolitica si va facendo esplosiva, con gli Stati Uniti che accerchiano la Cina nel Pacifico e intanto in Ucraina logorano il più importante alleato dei cinesi, la Russia, con la piena collaborazione di un’Europa-fantasma, domani al guinzaglio anche sul piano commerciale grazie al varo del Trattato Transatlantico, che minaccia di porre fine alla storica sovranità giuridica europea in materia di libero scambio, agricoltura, energia, salute, lavoro, pensioni, sicurezza alimentare. Nell’offerta elettorale italiana, per molti aspetti sconcertante, uno spettro variegato di forze – da destra a sinistra – denuncia perlomeno alcuni aspetti della crisi. Una sola, il Pd, procede invece a rullo compressore verso un regime di devastante pericolosità. Jobs Act e precariato obbligatorio, abolizione del Senato, legge elettorale liberticida: secondo i maggiori giuristi è a rischio la sopravvivenza stessa della democrazia, o di quel che ne rimane, grazie soprattutto al soggetto politico prescelto per tenere l’Italia in stato di sofferenza, sprofondando il paese in una depressione irreversibile. Se una vera soluzione non c’è ancora, milioni di elettori andranno alle urne il 25 maggio con in testa un’idea precisa: la convizione che ogni voto contro il Pd di Renzi sia un voto utile.Fermare il Bugiardo di Firenze, in qualunque modo. Per milioni di elettori, molestati dal debordante presenzialismo televisivo del premier, è la vera missione del voto del 25 maggio. Vale tutto: qualsiasi lista – da Tsipras a Fratelli d’Italia – può servire a sbarrare la strada a quello che la maggioranza relativa degli italiani ormai considera il pericolo numero uno per il paese, il Pd, percepito come il partito di gran lunga più compromesso coi “nemici” storici dell’Italia. Partito che ora, con Renzi, si appresta a sfrerrare il colpo di grazia di fronte al quale Berlusconi e persino Monti avevano esitato. Vecchia, triste regola degli ultimi decenni: il super-potere sceglie la sinistra (intesa come partiti) per colpire a fondo i ceti popolari. Così Prodi, D’Alema e Amato introdussero privatizzazioni, tagli e flessibilità, producendo sofferenze e precariato. Oggi, il partito del super-potere euroatlantico teme l’antagonista Grillo, e gli oppone il giovane Matteo. Obiettivo: fingere di innovare il paese e in realtà smantellare quel che resta dello Stato, a beneficio del grande capitale finanziario che si appresta a banchettare su pensioni e sanità, scuola, servizi vitali, acqua potabile, trasporti.
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Ragazzi, eravamo ricchissimi. E vi hanno rubato tutto
Questo è per voi, il giovane, la giovane, italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… VOLTATO INDIETRO voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.Poi cosa si vede? Si vede che i vostri nonni, padri e madri HANNO FATTO I COMPITI A CASA hanno fatto i compiti a casa. Dopo 35 anni dai cumuli di macerie, e dai mandarini solo due volte all’anno in tavola, l’Italia diventa la quinta potenza mondiale, il primo paese al mondo per risparmio privato e per ricchezza privata pro-capite. Scese Cristo e moltiplicò i pesci? No, no. Tuo nonno e tuo padre fecero i compiti a casa. E arriviamo al 1994, quando le agenzie di rating ci definivano “Economia leader d’Europa”, quando stracciavamo la Germania sia in produzione che export. Ricchi, ricchissimi. E arrivate voi. I giovani italiani si presentano dal Notaio dopo il 1994 per reclamare LA GIUSTA EREDITA’ la giusta eredità del quinto paese più ricco del mondo, quindi lavoro garantito, stipendi per casa, matrimonio e bei risparmi. No? Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? DOVE SONO FINITI I SOLDI, IL 5° PIL DEL MONDO, GLI ENORMI RISPARMI, LA 1a RICCHEZZA PRIVATA DEL MONDO, IL LAVORO, CIOE’ TUTTA L’EREDITA’ DEI 70 ANNI DI LAVORO DI TUO NONNO E DI TUO PADRE? Dove sono finiti i soldi, il 5° Pil del mondo, gli enormi risparmi, la 1a ricchezza privata del mondo, il lavoro, cioè tutta l’eredità dei 70 anni di lavoro di tuo nonno e di tuo padre? Ancora giratevi indietro, ragazzi. Cosa si vede? Si vede che i padri fondatori dell’Italia si erano seduti sulle macerie della guerra e avevano scritto la PIU’ AVANZATA COSTITUZIONE la più avanzata Costituzione nell’interesse pubblico del mondo. Anno 1948. Diritti garantiti, Stato sovrano, Parlamento sovrano, Costituzione sovrana. Una legislazione del lavoro che era invidiata da tutto il pianeta. I giovani italiani si presentano oggi dal Notaio per reclamare LA SECONDA GIUSTA EREDITA’ la seconda giusta eredità: si chiama DIRITTI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA GA-RAN-TI-TI diritti della Costituzione italiana ga-ran-ti-ti. Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? Sì, nulla. Non vi avevano detto che nel 1993 dei tecnocrati europei che nessun italiano ha mai eletto avevano creato il Trattato di Maastricht, poi nel 2007 quello di Lisbona, che hanno esautorato il Parlamento del tutto, hanno tolto all’Italia la sovranità monetaria, e hanno persino soppresso la nostra Costituzione. Risultato: NON AVETE NESSUN DIRITTO CHE L’ITALIA POSSA OGGI DIFENDERE PER VOI Non avete nessun diritto che l’Italia possa oggi difendere per voi. Shock. Ricapitoliamo: Esistevano per voi giovani, DUE EREDITA’ CAPITALI due eredità capitali, costruite per voi dai vostri nonni, padri, madri, e Padri Fondatori, che vi avrebbero garantito il futuro di dignità e prosperità e democrazia. Erano lì fino al 1999! Oggi non ci sono più. MA COME E’ POSSIBILE Ma come è possibile? Come accade che 70 anni di lavoro per voi svaniscano nel nulla negli ultimi 5 minuti?Chi vi ha… RUBATO IL FUTURO E LA VITA STESSA QUANDO VI SPETTAVA DI DIRITTO IN EREDITA’ DOPO 70 DI LAVORO, VITA, LOTTA E MORTE DEI VOSTRI NONNI, GENITORI E PADRI FONDATORI rubato il futuro e la vita stessa quando vi spettava di diritto in eredità dopo 70 anni di lavoro, vita, lotta e morte dei vostri nonni, genitori e padri fondatori? Risposta: Unione Europea dei Tecnocrati non eletti che lavorano per un pugno di speculatori Neofeudali, primi fra tutti i tedeschi, che vogliono divorare l’Italia. Chi vi scrive pubblica da 5 anni le prove su prove su prove di questo crimine contro di voi, perpetrato attraverso la creazione dell’Eurozona coi suoi Trattati di cui sopra.Soluzione: LE DUE EREDITA’ SONO VOSTRE! RIPRENDETELE, IN DUE MODI: le due eredità sono vostre! Riprendetele, in due modi: a) Assediare il Parlamento, che s’inginocchi a chiedere scusa agli italiani, stracci i Trattati Ue della rapina storica contro l’Italia, riporti la sovranità monetaria e costituzionale in Italia; b) Gridare alle forze armate della Repubblica di arrestare Giorgio Napolitano, principale complice della rapina storica in Italia, dissolvere il governo di Renzi servo dei tedeschi distruttori dell’Italia, e che riportino la sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale in Italia. Fuori dall’Eurozona. Le forze armate hanno giurato fedeltà alla Costituzione, devono farlo. Poi tornate dal Notaio e reclamate le vostre EREDITA’ eredità, questa volta nel nome dei vostri nonni, padri e madri, che ve l’avevano lasciata. Alzate la testa, ragazzi, la piazza è vostra, ma non per fare casino. Per reclamare CIO’ CHE VI SPETTA IN EREDITA’ ciò che vi spetta in eredità.(Paolo Barnard, “Giovani, se capite questo farete le barricate”, dal blog di Barnard del 3 maggio 2014).Questo è per voi, giovani italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.
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Terzi: subito più deficit per tutti, o l’Europa è spacciata
I posti di lavoro sono scomparsi perché il fatturato delle imprese è crollato, e senza domanda non c’è lavoro. Da qui nasce il provvedimento del governo Renzi che riduce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti per aiutare la ripresa dei consumi. Il governo avrebbe preferito farlo aumentando il deficit, ma sarà costretto invece a finanziarsi tagliando ancora la spesa pubblica: tagli permanenti di tasse saranno finanziati da tagli permanenti di spesa. Risultato: «Molto semplicemente, qualcuno in Italia starà meglio e qualcun altro starà peggio», osserva un economista come Andrea Terzi. «La riduzione della spesa (buona o cattiva che sia) comprime immediatamente redditi e risparmi del settore privato. D’altro canto, la riduzione dell’Irpef lascerà nelle tasche di qualcun altro più reddito e più risparmio. Crescerà la domanda interna? Poco o nulla. E anzi calerà, se una fetta di quel reddito redistribuito ai lavoratori dipendenti non dovesse essere spesa».Ben più efficace sarebbe la manovra – scrive Terzi in un intervento su “Sbilanciamoci” ripreso da “Megachip” – se Renzi potesse sforare i limiti imposti dalle regole europee sul disavanzo. Ma solo a certe condizioni: «Se i risparmi creati dalla riduzione fiscale saranno spesi in merci tedesche, crescerà il Pil della Germania e l’Italia si ritroverà presto col rapporto deficit-Pil di nuovo in allarme rosso». Per uscire dalla spirare dell’euro-crisi, dice Terzi, c’è un’unica soluzione: l’aumento della spesa pubblica, mediante una forma concordata di “deficit comune europeo”. Le altre soluzioni sono binari morti. Più credito bancario? Opzione non realistica: «La Bce non può fare quasi nulla: se la domanda è depressa, le imprese non investono, né le banche sono propense a rischiare. Tassi negativi e quantitative easing sono solo palliativi». Opzione due: più export? Negativo. Nemmeno se crollasse il valore dell’euro si riuscirebbero a recuperare i 7 milioni di posti di lavoro che mancano all’appello dal 2008, per non parlare dei 19 milioni di occupati scomparsi dall’Eurozona.E se fossimo tutti competitivi come la Germania? «È la ricetta del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. E non si sa se ridere o preoccuparsi (più la seconda)», continua Terzi. «Significherebbe accontentarsi di prezzi più bassi per portar via fatturato agli altri, allargando a tutta l’Europa quella stessa strategia che la Germania ha potuto realizzare solo grazie al fatto che qualcun altro, altrove in Europa o nel mondo, alimentava il fatturato delle proprie imprese». Meglio, di gran lunga, l’opzione tre: più disavanzo pubblico, che è «il motore delle altre due», nonché «il vero e unico carburante della domanda». Niente di così strano, peraltro: «È quello che gli Stati Uniti hanno impiegato, pur col contagocce, per uscire dalla recessione. Ed è quello di cui la Cina si è servita, in dosi massicce, per evitare la recessione globale». Stati Uniti e Cina: paesi sovrani, a moneta sovrana. L’Europa dell’euro, invece, si rifiuta ostinatamente di ricorrere al deficit, «autocondannandosi al declino».In Europa, aggiunge Terzi, prevale la convinzione (infondata) per cui il disavanzo pubblico sarebbe una sorta di “ripiego”, di “droga” da cui è bene stare alla larga, pena l’assuefazione, l’inflazione o un’altra crisi finanziaria. Tutto sbagliato: nelle economie monetrarie contemporanee, «la fonte ultima di denaro in circolazione» è proprio «la spesa del settore pubblico che eccede gli introiti fiscali». Se per lo Stato il saldo è zero (pareggio di bilancio) o addirittura positivo (avanzo primario), comincia la tragedia per aziende, famiglie, lavoratori. L’élite neoliberista nega la realtà: il denaro viene creato dal nulla, non è un “tesoro” conquistato e accantonato. Perché non crearne di più e investirlo, sotto forma di spesa pubblica, cioè deficit positivo? Secondo Terzi, si tratta innanzitutto di convincere i poteri forti europei – Germania in primis – a «lasciar crescere il disavanzo pubblico europeo in maniera economicamente e politicamente equilibrata»,e cioè «non certo concedendo a questo o a quel paese di sforare il tetto nazionale consentito».Obama propone che i paesi coi deficit pubblici più piccoli «mettano a repentaglio le proprie finanze pubbliche per aiutare gli altri», mentre Draghi sostiene che «il risanamento delle banche e delle finanze pubbliche farà crescere la fiducia». Nemmeno i ricercatori più attenti della Bce ci credono, osserva Terzi, visto che alcuni di loro hanno scritto che la devastante crisi tedesca del 1931 fu causata proprio dall’austerità. L’economista ritiene invece percorribile la creazione di «un “disavanzo pubblico europeo” finalizzato alla piena occupazione», cioè l’obiettivo che l’élite eurocratica contrasta in ogni modo, fin dalla nascita dell’Unione Europea. Piena occupazione: proprio quello che i signori di Bruxelles non vogliono. Eppure, insiste terzi, il lavoro per tutti «risolverebbe molti problemi assieme: dal rispetto dei vincoli nazionali, allo spread, al rilancio del credito bancario». Per cui «è indispensabile, e drammaticamente urgente, studiare una soluzione condivisa». Un’ottima soluzione, democratica: quella che l’euro-regime vuole evitare a tutti i costi, anche a rischio di far fare a mezza Europa la fine della Grecia.I posti di lavoro sono scomparsi perché il fatturato delle imprese è crollato, e senza domanda non c’è lavoro. Da qui nasce il provvedimento del governo Renzi che riduce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti per aiutare la ripresa dei consumi. Il governo avrebbe preferito farlo aumentando il deficit, ma sarà costretto invece a finanziarsi tagliando ancora la spesa pubblica: tagli permanenti di tasse saranno finanziati da tagli permanenti di spesa. Risultato: «Molto semplicemente, qualcuno in Italia starà meglio e qualcun altro starà peggio», osserva un economista come Andrea Terzi. «La riduzione della spesa (buona o cattiva che sia) comprime immediatamente redditi e risparmi del settore privato. D’altro canto, la riduzione dell’Irpef lascerà nelle tasche di qualcun altro più reddito e più risparmio. Crescerà la domanda interna? Poco o nulla. E anzi calerà, se una fetta di quel reddito redistribuito ai lavoratori dipendenti non dovesse essere spesa».
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Voto europeo inutile, non ci sono alternative al regime
«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».In un intervento sul “Corriere della Collera”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, De Martini accusa il presidente Napolitano, ricordando che all’epoca di Mani Pulite era a capo della corrente “migliorista” del Pci, quella «più colpita dalla Tangentopoli 1992», che affondò la dirigenza milanese del partito, capitanata da Barbara Pollastrini e Gianni Cervetti. Oggi, di fronte allo scandalo Expo, il capo dello Stato «usa il suo supremo magistero per rassicurare i cittadini che l’incidente non avrà conseguenze sull’afflusso degli elettori alle elezioni europee». Protesta De Martini: da Napolitano «non una parola sul reato, sulla mancanza di distinzioni politiche tra i ladri e non una parola sui ricettatori che sono impegnati nelle elezioni europee, non una parola per chiedere di rivedere i meccanismi di controllo. Non una promessa di giustizia». Uno scenario che denota «miseria morale e umana» e fotografa la «meschina preoccupazione» della casta politica, al timone dell’Italia che affonda dopo aver ceduto la sua sovranità ai “signori dello spread”, i padroni dei mercati finanziari.«Ormai – continua De Martini – le elezioni europee sono state scelte come elemento di disinformazione principale per distrarre gli elettori e come pretesto per condurre una campagna contro il movimento di Beppe Grillo», in cui peraltro De Martini non nutre fiducia: «La sua irrilevanza a livello europeo apparirà evidente dopo il risultato: anche se ottenesse tutti i seggi a disposizione dell’Italia (73), verrebbe annegato tra i rappresentanti degli altri 27 paesi che costituiscono l’Unione (750)». Marine Le Pen? Annunciata come grande moralizzatrice, secondo “Le Monde Diplomatique” non ha mai superato l’8% a livello nazionale. A monte, pesa la grande menzogna sulle elezioni europee, strombazzata da uno slogan pubblicitario martellante: “Scegli tu chi guiderà l’Europa”. «Niente di più falso», replica De Martini. «La tenzone tra Juncker e Schultz è falsa come un biglietto da tre euro. Il presidente della Ue non viene scelto dal Parlamento, bensì dal Consiglio, il quale può benissimo – l’ha già fatto – non tenere conto del risultato elettorale nella scelta del presidente».Mentre in tutta Europa «le elezioni europee vengono viste come un evento secondario, caratterizzato da una affluenza decrescente che non influisce sulla politica nazionale», in Italia invece si dice il contrario. Secondo De Martini, parlano i numeri: in Francia l’astensionismo è crescente dal 2009 in poi ed è previsto che aumenti ancora. In Italia, dal 14% di astensioni dal voto del 1976 siamo passati al 50 % delle scorse elezioni, per non parlare del 52% raggiunto alle elezioni siciliane. In Spagna, aggiunge il blogger, la crisi «non favorirà certo l’affluenza al voto», mentre l’Inghilterra l’anno prossimo «farà un referendum per andarsene dalla Ue», e nel frattempo «Romania e Bulgaria sono in stato di allarme per l’Ucraina». Da noi, aggiunge De Martini, le elezioni vengono richieste a furor di popolo solo alle comunali di Roma, perché il sindaco Marino «ha rifiutato di accettare il piano-mazzette proposto dalla sua maggioranza e pretende che nessuno rubi». Sicché esiste «una concordia da larghe intese per sostituirlo al più presto», tenendo conto che nella coalizione c’è anche «il principale quotidiano cittadino, di proprietà di un gruppo che avrebbe in appalto la costruzione del metrò su cui il sindaco ha avuto la pretesa di indagare».Per De Martini, «il risultato delle elezioni europee – previa martellante campagna statale per la partecipazione e previa elargizione di 80 euro al popolino – serve a consentire che l’esperienza governativa di Matteo Renzi e compagnia possa definirsi democratica almeno nella versione rosé, utile a non incuriosire troppo qualche legalitario residuo». Secondo il “Corriere della Collera”, la scelta non esiste: «Berlusconi e Renzi sono tanto simili da sembrare padre e figlio», mentre un successo di Grillo non basterebbe a dare uno scossone al sistema. «La pura verità è che l’astensione dal voto è il solo strumento democratico utile da usare da parte dei cittadini che non vogliano ricorrere alla violenza per ristabilire la legalità e attirare l’attenzione del mondo». Votare alle europee? «Serve solo a legittimare cambiamenti di quote nella ripartizione del bottino». E se poi il dibattito si allarga ora anche agli euroscettici, il remie Ue «se ne avvantaggerebbe, e avrebbe la pretesa di rappresentare tutti, anche i contrari», acquisendo più forza nell’imporre «i suoi dogmi di austerity».«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».
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Cremaschi: l’euro è stato creato per demolire la sinistra
A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.Infatti la scelta distintiva del governatorato di Baffi era stata proprio la manovra sulla moneta. La lira veniva rivalutata rispetto al dollaro, in modo da rendere meno pesante la bolletta energetica, e svalutata rispetto al marco, per sostenere la produzione industriale. Baffi motivò esplicitamente queste scelte con la necessità di non svalutare i salari e fu l’unico governatore a non demonizzare la scala mobile e il sistema di protezione sociale. Lo Sme invece mise al centro della politica economica la rigidità monetaria, adottando quel liberismo che andava al governo in Gran Bretagna con Thatcher e negli Usa con Reagan. I nostri primi interpreti di quella svolta furono il governatore Ciampi e il ministro del Tesoro Andreatta. Che assieme decisero nel 1981 la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, con il conseguente obbligo di vendere sul mercato i Bot per finanziare la spesa pubblica. E con l’attacco alla indicizzazione dei salari che ebbe il suo apice in quel decreto Craxi di taglio della scala mobile, contro cui Enrico Berlinguer fece la sua ultima battaglia.In sintesi l’euro e la perdita formale della sovranità monetaria a favore della Bce sono il punto di arrivo, e non la partenza, di un sistema di accordi e decisioni che avevano un obiettivo dichiarato: rendere impossibili le politiche economiche keynesiane, imporre gli interessi della globalizzazione finanziaria e dei mercati come vincoli insuperabili per gli Stati. Il pareggio di bilancio in Costituzione, votato da noi anche dalla destra oggi anti-euro, è l’ultimo atto formale di tale politica trentennale. L’effetto euro sulle economie europee é stato duplice. Da un lato la moneta unica è stata lo strumento per istituzionalizzare ovunque le politiche liberiste. La Grecia é stata distrutta con il ricatto della sua espulsione dall’euro. Da noi lo slogan “lo vuole l’Europa” ha accompagnato ogni operazione di smantellamento dei diritti del lavoro e dello Stato sociale. Dall’altro lato la moneta unica forte ha finito per mettere alla pari economie che pari non erano, facendo della zona euro non un’area di crescita comune, bensì il campo di battaglia della competizione estrema.Di questo si è avvantaggiata profondamente l’economia tedesca, che con il governo socialdemocratico Schroeder all’inizio del duemila ha colpito duramente i diritti del lavoro, aprendo così la via all’era Merkel. La depressione salariale da sola non fa competitività, ma se si somma ad un sistema industriale forte che gode di una moneta particolarmente favorevole, allora la fa eccome. Perché l’euro desse risultati economici con un minimo di equilibrio ci sarebbe voluto un boom salariale in Germania. Invece sono nati a milioni i cosiddetti mini-job, lavori precari con paghe da pochi euro l’ora, per i quali dal Belgio son partite denunce alla Corte di Giustizia Europea a causa delle delocalizzazioni che hanno lì provocato. E questa politica continua oggi in primo luogo per opera della socialdemocrazia e della complicità sindacale. La legge sul salario minimo, vantata come un successo progressista, è in realtà una formalizzazione del dumping sociale. Stabilire che nel 2017 la paga minima in Germania sarà di 8,50 euro all’ora, quando ora in Francia è di 10, significa usare l’euro come arma di devastazione economica di massa.Ora i due partiti che guidano l’Unione Europea, la Germania e gli altri principali governi, Pse e Ppe, promettono un allentamento dei lacci delle politiche di austerità. Ma mentono sapendo di mentire perché in realtà il sistema euro, con i suoi trattati non rinegoziabili, da Maastricht al Fiscal Compact, non prevede alternative alle politiche liberiste. O salta o continua come sempre, e proprio di questa rigidità si fa forte la signora Merkel, che così ha spianato ogni debole ostacolo da parte della Spd. Tre anni fa una intervista di Giuliano Amato a Rossana Rossanda puntava sul ritorno al governo dei socialisti in Francia e Germania per farla finita con l’austerità. Non voglio infierire – certo il centrosinistra europeo è oramai una formazione social-liberale che ha ben poco della sinistra – ma la realtà è che il sistema europeo non è riformabile.Le tre misure più avanzate di cui si discute in campagna elettorale – condono di una parte del debito per i paesi del sud Europa, Eurobond, trasformazione della Bce in un istituto che dia i soldi direttamente agli Stati e non alle banche – non sono realizzabili senza cancellare, e non semplicemente aggiustare, i trattati che stanno a presidio dell’euro. E in ogni caso sarebbero impedite da qualsiasi governo tedesco. Chi sostiene queste misure dovrebbe aggiungere: o si fa questo, o salta la baracca perché così non si può andare avanti. Invece questo non viene detto, e così il sistema di potere economico finanziario che guida l’Europa capisce che non si fa sul serio. Il fondatore della Linke tedesca, Oskar Lafontaine, aveva proposto un piano europeo di smontaggio dell’euro, ma il suo stesso partito non ha avuto il coraggio di sostenerlo. E tutta la sinistra europea oggi esprime la stessa paura.È chiaro che dire no all’euro non basta se non si rimuove la politica economica liberista che ha portato alla sua costruzione, ma la fine della moneta unica è una condizione necessaria per poter ricostruire una politica economica e sociale fondata su eguaglianza e democrazia. È una condizione necessaria, ma non sufficiente; e proprio questa insufficienza avrebbe dovuto essere il campo d’azione di una vera sinistra. Come ho cercato di spiegare, l’euro non é tutto, ma è il simbolo monetario delle politiche liberiste e di austerità. La sinistra non doveva subire il ricatto psicologico di chi accusa di nazionalismo la rivendicazione della sovranità monetaria, mentre in realtà difende l’internazionalismo di banche e finanza. La sinistra non avrebbe dovuto avere il tabù dell’euro, ma anzi avrebbe dovuto fare della contestazione della moneta unica la leva per spingere in campo una critica popolare e di massa al liberismo.La sinistra doveva dire no all’euro dal suo punto di vista, e così questo punto di vista sarebbe tornato in campo nella crisi europea. Invece il campo è stato abbandonato e così il no all’euro è diventato vessillo delle destre autoritarie, xenofobe e neofasciste. Che ovviamente lo usano a loro modo e per i loro fini. Il risultato è che la politica europea è bloccata tra la continuazione delle politiche di austerità sotto le larghe intese Ppe-Pse e la contestazione degli euroscettici reazionari. E il sostegno Ue al governo ucraino infarcito di neonazisti, mostra che ci sono momenti e situazioni in cui questi due schieramenti possono trovare sintesi. Un’alternativa di sinistra a tutto questo si ricostruirà solo quando le sue forze sapranno proporre senza tabù la messa in discussione dei poteri e delle politiche dell’Europa reale, senza trastullarsi con una Europa ideale tanto ipocrita quanto inesistente.In Italia questo significa una sinistra che rompa davvero con il Pd e apra il confronto e il dialogo con il “Movimento 5 Stelle”, che avrà tanti limiti e contraddizioni, ma che finora ha anche il merito democratico di aver impedito un lepenismo di massa nel nostro paese. La prima cosa da proporre subito dopo le elezioni europee è un referendum costituzionale sui trattati e sull’euro, così come si fece già nel 1989. Lo chieda anche la sinistra che non vuol morire renziana. Aveva ragione Berlinguer a dire no allo Sme, e ha torto oggi la sinistra a non mettere in discussione quell’euro che è stato messo lì per distruggerla.(Giorgio Cremaschi, “Perché la sinistra deve dire no all’euro”, da “Micromega” del 14 maggio 2014).A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.
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Vittorio Grilli alla Jp Morgan come Blair, l’amico di Renzi
Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.Il più celebre “ex”, in questo campo, è il britannico Tony Blair, in forza proprio alla Jp Morgan: di recente, a Londra, Blair ha nuovamente incontrato Matteo Renzi, col quale si era visto, a suo tempo, già a Firenze. Gli ex politici “promossi” nel gotha della finanza planetaria, aggiunge Galbiati, fanno gola alle grandi banche internazionali, «sempre attente a raccogliere i fuoriusciti che possono garantire loro gli appoggi giusti per entrare nel giro degli affari degli Stati. E in Italia – aggiunge il giornalista di “Repubblica” – tra la gestione di 2.000 miliardi di debito pubblico e le nuove privatizzazioni annunciate dal presidente del consiglio Matteo Renzi, non manca certo il lavoro per gli advisor finanziari».All’epoca dei primi contatti con Jp Morgan, Grilli era direttore generale del Tesoro e a luglio 2011 si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario Draghi alla guida di Banca d’Italia, grazie all’appoggio di Giulio Tremonti e di Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, finito al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Superato da Ignazio Visco nella corsa per il vertice di Bankitalia (e smentita la migrazione verso Wall Street), Grilli era stato chiamato da Monti come viceministro dell’economia. Diventerà il titolare del dipartimento, però, solo a luglio del 2012, quando il “premier dello spread” deciderà di lasciare l’interim del Tesoro. Da ministro, ricorda ancora Galbiati, Grilli «era stato al centro di una polemica per l’acquisto di un appartamento a Roma finanziato dal Monte dei Paschi di Siena con un mutuo superiore all’importo del valore della casa».Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.
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Parigi, Londra, Roma: un voto per scardinare il regime Ue
L’incognita del voto in Francia è sicuramente «il punto più vulnerabile della costruzione europea», in questa fase.Segue a ruota l’Inghilterra, dove si prevede un’affermazione non irrilevante dell’Ukip che, però, difficilmente supererà di molto il 25% e quasi certamente non raggiungerà il 30%. Discorso diverso: da sempre, l’europeismo inglese è piuttosto tiepido. Non a caso, infatti, «l’Inghilterra non è nell’Eurozona e, spesso, in politica estera, ha seguito più gli Usa che i partner europei». Secondo Giannuli, un forte successo dell’Ukip darebbe una spinta forse decisiva all’Inghilterra a sciogliere gli ormeggi europei. Inoltre lo United Kingdom Independence Party è particolarmente forte nel Galles, paese che potrebbe essere contagiato dal secessionismo della Scozia, che sta andando al referendum sulla separazione da Londra. «Se si profilasse un’uscita contemporanea di Scozia e Galles, entrerebbe seriamente in crisi il Regno Unito, riducendolo di fatto alla sola Inghilterra o poco più, con effetti che si riverserebbero anche sulla Ue, che si troverebbe a dover ripensare tutti i trattati istitutivi».Infine, il caso italiano: le soglie critiche sono quelle legate al derby Renzi-Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle «deve superare il 25% per mantenere un certo peso politico», mentre il neo-premier «è nei guai se va sotto il 30% anche di un solo voto». Soprattutto, «la distanza fra i due deve essere superiore ai tre punti dal punto di vista di Renzi e inferiore da quello di Grillo». Infatti, una differenza sotto i tre punti «renderebbe il M5S competitivo con il Pd in caso di elezioni politiche». In soldoni, conclude Giannuli, «il problema è quello della stabilità del quadro politico del massimo debitore di Europa: se il governo entra in fibrillazione e si trascina con sé le leggendarie riforme renziane, i mercati finanziari europei non possono non risentirne». Ai “mercati”, infatti, piace tanto il regime di Bruxelles: prepariamoci a vederli di nuovo all’opera, a suon di spread, se il vento di rivolta – come tutto lascia pensare – comincerà a soffiare su tutta l’Europa, con la sola ovvia eccezione della Germania, dove il consenso pro-euro è quotato attorno al 90%.Il voto francese, inglese e italiano può mettere in crisi l’Ue. Attenti a leggere bene il risultato europeo del 25 maggio: se una delle tante liste anti-austerità (o meglio, anti-Germania) dovesse ottenere un clamoroso successo in un paese, le forze di governo di quel paese si troverebbero strette fra la tenaglia del vincolo europeo e la pressione interna anti-Ue. Alcuni governi, per non essere travolti, potrebbero essere costretti ad adottare politiche meno arrendevoli verso Bruxelles. Altri, invece, potrebbero scegliere la strada opposta, col rischio di una conflittualità sociale ben più aspra del passato. In ogni caso, la crisi elettorale potrebbe spingere diversi sistemi politici al limite della rottura. Lo sostiene Aldo Giannuli, guardando al verdetto delle europee: se in Germania vincerà la linea Merkel-Spd mentre nel resto d’Europa cresceranno molto le liste euroscettiche, una “grande coalizione” a Strasburgo tra popolari e socialdemocratici rafforzerebbe ulteriormente la percezione di una “Europa tedesca”, facendo esplodere gli atteggiamenti anti-tedeschi e anti-Ue, determinando una spirale incontrollabile.
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Pilger: quella che sta iniziando si chiama guerra mondiale
Perchè tolleriamo di minacciare un’altra guerra mondiale in nostro nome? Perchè permettiamo menzogne che giustifichino questo rischio? La portata del nostro indottrinamento, scrisse Harold Pinter, è un «brillante, persino arguto, atto di ipnosi di immenso successo», come se la verità «non fosse mai accaduta nemmeno mentre stava accadendo». Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo “Riassunto aggiornato della politica estera degli Usa”, il quale mostra come, dal 1945, essi abbiano provato a sollevare più di 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano massicciamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, abbiano bombardato la popolazione civile di 30 nazioni, abbiano fatto uso di armi chimiche e biologiche e abbiano attentato alla vita di leader stranieri.In molti casi il Regno Unito ne è stato complice. Il grado di sofferenza umana causato, per non parlare dei crimini perpetrati, è ben poco conosciuto in Occidente, malgrado la presenza del sistema di comunicazioni più avanzato del mondo e del giornalismo nominalmente più libero. Il fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo – il “nostro” terrorismo – sia musulmana non può essere detto. L’informazione che il jihadismo estremo, che portò all’11 Settembre, era stato coltivato come arma dalla politica anglostatunitense (“operazione ciclone” in Afghanistan) è stata soppressa. In aprile, il Dipartimento di Stato Usa ha reso noto che, in seguito alla campagna della Nato del 2011, «la Libia è divenuta un rifugio per terroristi».Il nome del “nostro” nemico è cambiato nel corso degli anni, dal comunismo all’Islam, ma generalmente esso è incarnato da qualsiasi società indipendente dall’egemonia dell’Occidente che occupi un territorio strategicamente utile o disponga di abbondanti risorse naturali. I leader di queste nazioni scomode vengono generalmente deposti con la violenza, come i democratici Muhammad Mossedeq in Iran e Salvador Allende in Cile, o uccisi come Patrice Lumumba in Congo. Tutti loro vengono sottoposti a campagne denigratorie dai media occidentali – pensiamo a Fidel Castro, Hugo Chavez e ora Vladimir Putin. Il ruolo di Washington in Ucraina differisce solo per le sue implicazioni nei nostri confronti. Per la prima volta dalla presidenza Reagan, gli Stati Uniti stanno minacciando di ricondurre il mondo in guerra. L’Europa dell’est e i Balcani sono avamposti della Nato e l’ultimo “Stato cuscinetto” al confine con la Russia viene fatto a pezzi.Noi occidentiali stiamo sostenendo dei neonazisti nel paese in cui i nazisti ucraini sostennero Hitler. Dopo aver architettato il colpo di Stato di febbraio contro il governo democraticamente eletto a Kiev, il piano di Washington per la conquista della storica e legittima base navale Russa in Crimea è fallito. I russi si sono difesi, come hanno fatto per oltre un secolo di fronte ad ogni minaccia e invasione da parte dell’Occidente, ma l’accerchiamento da parte della Nato ha avuto un’accelerazione, insieme agli attacchi orchestrati dagli Stati Uniti contro gli ucraini di etnia russa. Se Putin venisse provato ad accorrere in loro aiuto, il suo ruolo di paria predestinato giustificherebbe la Nato ad intraprendere una guerriglia che potrebbe trasferirsi all’interno dello stesso territorio russo.Putin ha invece frustrato il partito della guerra cercando una distensione con Washington e l’Ue, ritirando le truppe russe dal confine e invitando gli ucraini di etnia russa a non partecipare ai provocatori referendum nelle regioni dell’Est. Questa parte di popolazione russofona e bilingue – un terzo del totale – aspira da tempo a una federazione democratica che rispecchi le differenze etniche del paese e che sia al contempo autonoma e indipendente da Mosca. Molti di loro non sono né separatisti né ribelli, ma cittadini che vogliono vivere sicuri nella loro patria.Come le rovine di Iraq e Afghanistan, l’Ucraina è stata ridotta a un parco divertimenti della Cia – diretto dal direttore della Cia John Brennan a Kiev, assieme ad “unità speciali” che sovrintendano ad attacchi selvaggi su coloro i quali si oppongono al golpe di febbraio. Guardate i video, leggete le denunce dei testimoni oculari del massacro di Odessa di questo mese. Squadre di criminali fascisti hanno bruciato la sede dell’unione del commercio, uccidendo le 41 persone intrappolate al suo interno. Guardate la polizia starsene a guardare. Un dottore ha raccontato di aver tentato di salvare alcune persone, «ma sono stato fermato dai sostenitori dei nazi. Uno di loro mi ha spinto via rudemente, promettendomi che presto io e gli altri ebrei di Odessa avremmo avuto la medesima sorte… mi chiedo perchè il mondo intero se ne stia in silenzio».Gli ucraini russofoni stanno lottando per la loro sopravvivenza. Quando Putin ha annunciato il ritiro delle truppe russe dal confine, il segretario della difesa della giunta di Kiev – un membro fondatore del partito fascista Svoboda – ha rincarato dicendo che gli attacchi contro “i ribelli” sarebbero proseguiti. In perfetto stile orwelliano, la propaganda in Occidente ha ribaltato il tutto in “Mosca cerca di fomentare il conflitto e la provocazione”, secondo il segretario degli Esteri britannico William Hague. Il suo cinismo fa da pari con i grotteschi complimenti di Obama alla giunta per la sua «notevole compostezza» nel seguire il massacro di Odessa. Benchè sia fascista e illegale, la giunta è descritta da quest’ultimo come «propriamente eletta». Ciò che conta non è la verità, ha detto una volta Henry Kissinger, ma ciò che è percepito essere vero.Nei media statunitensi, le atrocità di Odessa sono state presentate come «confuse» e «una tragedia» in cui i «nazionalisti» (neonazisti) hanno attaccato i «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum a sostegno della Federazione Ucraina). Il “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch ha condannato le vittime: “La sparatoria è stata probabilmente innescata dai ribelli ucraini, dice il governo”. La propaganda in Germania è stata guerra fredda allo stato puro, con il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” che avvertiva i suoi lettori della “guerra ancora non dichiarata dalla Russia”. Per i tedeschi è una fantastica ironia che Putin sia l’unico leader a condannare l’ascesa del fascismo nell’Europa del 21° secolo.Una popolare banalità è che “il mondo sia cambiato dopo l’11 Settembre”, ma cosa è veramente cambiato? Secondo il grande informatore Daniel Ellsberg, un golpe silenzioso è già avvenuto a Washington e ora a governare è un militarismo rampante. Il Pentagono ultimamente svolge “operazioni speciali” – guerre segrete – in 124 paesi. In patria, una povertà crescente e una morente libertà sono il corollario ad uno stato di guerra perpetua. Aggiungiamo il rischio di una guerra nucleare e la domanda è: perchè tolleriamo tutto ciò?(John Pilger, “Rompere il silenzio, la guerra mondiale sta iniziando”, da “Asia Times” del 14 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Perchè tolleriamo di minacciare un’altra guerra mondiale in nostro nome? Perchè permettiamo menzogne che giustifichino questo rischio? La portata del nostro indottrinamento, scrisse Harold Pinter, è un «brillante, persino arguto, atto di ipnosi di immenso successo», come se la verità «non fosse mai accaduta nemmeno mentre stava accadendo». Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo “Riassunto aggiornato della politica estera degli Usa”, il quale mostra come, dal 1945, essi abbiano provato a sollevare più di 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano massicciamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, abbiano bombardato la popolazione civile di 30 nazioni, abbiano fatto uso di armi chimiche e biologiche e abbiano attentato alla vita di leader stranieri.
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Giannuli: da Geithner un aiutino a Silvio contro Putin?
E’ possibile che il siluro arrivato a Napolitano a novembre, con il libro di Alain Friedman, sia indipendente da questa uscita di Timothy Geithner, che rilancia la tesi del complotto internazionale ai danni del Berluska. Ma qualche sospetto viene e, comunque, anche se è plausibile che Friedman non potesse prevedere questa uscita attuale di Geithner, è molto poco probabile che questi non sapesse del precedente. Ed allora: perché e perché proprio ora? E in pieno finale di campagna elettorale? Per di più, Geithner usa un’espressione piuttosto pesante quando dice di aver sconsigliato ad Obama di aderire all’invito degli esponenti Ue: «Non possiamo macchiarci le mani del sangue di questo uomo». Certo potrebbe trattarsi di linguaggio figurato. Ma, anche qui, sorge il dubbio che si volesse dir di più.E va da sé che Geithner avrà sicuramente consultato prima il presidente – o chi per lui – dovendolo tirare in ballo; d’altra parte, se così non fosse stato, avremmo già dovuto leggere un comunicato della Casa Bianca che definisce queste come “posizioni e ricordi personali che il presidente non conferma”, eccetera. E invece… Dunque, il capo dell’amministrazione in carica ha deciso di lasciar fare. Il primo effetto di questa uscita è oggettivamente un assist a Berlusconi, presentato come la vittima di un complotto della cattiva Ue, rafforzando e raddoppiando l’uscita di Friedman. Per di più le reazioni sono smentite che non smentiscono un accidenti, anzi mi ricordano la frase della signorina richiesta di certe prestazioni che replicava: «Prima di tutto queste cose io non le faccio, poi l’erba è bagnata e 50 euro sono pochi». Imbarazzante!E il Cavaliere, giustamente dal suo punto di vista, cerca di cavalcare la cosa come può, visto che i servizi sociali fanno presto a diventare arresti domiciliari e non è prudente prendersela con il Colle. Ma tutto questo avrà un effetto elettorale, frenando la caduta di Fi? E perché a Geithner preme tanto aiutare il periclitante Cavaliere? Qualche effetto elettorale è possibile che ci sia, spingendo un po’ di berlusconiani tiepidi, indecisi fra la spiaggia e le urne, a scegliere le seconde. Ma di quanti potrebbe trattarsi? Certo, anche uno 0,4%, per uno che sta affondando e deve resistere voto per voto, è un aiuto, anche se non risolutivo. Ma sapete che ci sono di quei regali dei quali si dice “basta il pensiero”. E qui il dubbio è che l’omaggio non sia tanto al capo di Fi, quanto all’amico, sodale, confidente e diremmo quasi socio di Putin. Siamo in tempi di rapporti difficili fra Casa Bianca e Cremlino e, forse, serve un buon mediatore. O forse si vuole invitare a star fermo e restare neutrale un possibile capo della lobby filo-russa.Peraltro, questo potrebbe essere un missile a più testate: un sorriso al vecchio amico Silvio, ma anche un pizzicotto a quegli antipatici della Ue, che non stanno facendo quello che dovrebbero contro i cattivi russi che invadono l’infelice Ucraina… Immaginate se venisse fuori altro, che si dimostrasse l’ingerenza della Ue negli affari di governo di un paese membro. E magari ancora di più… Sarebbe una circostanza davvero noiosa, vi pare? Certo nella testa degli americani oggi c’è più Kiev che Roma. Però, se dovesse esserci anche qualche effetto romano, la cosa non guasterebbe: sbaglieremo, ma il giullare fiorentino non è nelle grazie dei padroni di casa. E se gli si può guastare la festa non è cosa che possa dispiacere. E anche Grillo, abbiamo il sospetto che, sulla riva occidentale dell’Atlantico, sia visto peggio di un anno fa.Tutto sommato, anche se il Cavaliere ha avuto le sue infedeltà, fornicando con l’autocrate russo e con il pirata berbero buonanima, è pur sempre un vecchio amico su cui si può contare. Infine, visto che ci siamo, la cosa può tornare utile anche a liberare la sedia del Quirinale. Certo, Re Giorgio è un vecchio amico sempre leale; però, da qualche tempo, inizia ad essere troppo contestato e non è più funzionale come un tempo. Forse è il momento di cambiarlo con un più giovane ed efficiente amico degli Usa…E’ possibile che il siluro arrivato a Napolitano a novembre, con il libro di Alain Friedman, sia indipendente da questa uscita di Timothy Geithner, che rilancia la tesi del complotto internazionale ai danni del Berluska. Ma qualche sospetto viene e, comunque, anche se è plausibile che Friedman non potesse prevedere questa uscita attuale di Geithner, è molto poco probabile che questi non sapesse del precedente. Ed allora: perché e perché proprio ora? E in pieno finale di campagna elettorale? Per di più, Geithner usa un’espressione piuttosto pesante quando dice di aver sconsigliato ad Obama di aderire all’invito degli esponenti Ue: «Non possiamo macchiarci le mani del sangue di questo uomo». Certo potrebbe trattarsi di linguaggio figurato. Ma, anche qui, sorge il dubbio che si volesse dir di più.
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Geithner e il golpe 2011, Sapelli: nel mirino era Tremonti
Prima Alan Friedman, col suo libro nel quale Prodi, De Benedetti e lo stesso Monti ammettono che nel 2011 c’erano state “consultazioni”, anche da parte di Napolitano, per far fuori Berlusconi, il premier in carica. Ora la conferma arriva da Timothy Geithner, uomo di Wall Street dirottato a Washington come ministro del Tesoro di Obama: la Casa Bianca, scrive oggi Geithner, nel 2011 ricevette pressioni da parte di alcuni paesi europei per far cadere Berlusconi. Il “golpe”, insomma, c’è stato. «Non sono sorpreso», commenta l’uomo di Arcore. «È la conferma di ciò che ho sempre sostenuto, che c’è stata una precisa volontà di togliere di mezzo un premier democraticamente eletto che difendeva gli interessi del suo paese e contrastava quelli della Germania». Ma secondo Giulio Sapelli, docente di storia economica nell’università di Milano, la tecnocrazia europea targata Angela Merkel aveva qualcun altro nel mirino: Giulio Tremonti. Era lui l’uomo nero della Troika, il vero bersaglio dell’Ue, perché resisteva – in ogni modo possibile – ai diktat dell’austerity.Quella che oggi sgancia Geithner è una bomba: «Funzionari dell’Ue chiesero a Obama di far dimettere Berlusconi». Per prima cosa bisogna contestualizzare gli eventi, raccomanda Sapelli, intervistato da Fabio Franchini per “Il Sussidiario”. Geithner, ex ministro di Obama, nel 2014 scrive un libro dove racconta come a far cadere il governo Berlusconi non siano stati gli Usa, bensì la tecnocrazia europea dominata dai tedeschi. Motivo? «Perché l’Italia si era detta non favorevole a salvare la Grecia portando quote ulteriori di capitali rispetto a quelli che già versava al fondo della Comunità Economica Europea». Se Geithner dice questo, aggiunge Sapelli, «vuol dire che ora come ora i rapporti tra Germania e Usa sono lacerati, pessimi. Uno come lui che ha avuto responsabilità internazionali di altissimo livello (mentre oggi le ha nel mondo finanziario) e che scrive un libro con dentro cose di questo tipo…».Il vero obiettivo di Bruxelles era Tremonti, insiste Sapelli: era lui l’uomo da far cadere. «Consiglio di andare a sfogliare le appendici di “Uscita di sicurezza”, scritto dall’ex ministro dell’economia: contengono delle verità terribili. Tremonti ha continuato ad avvisare la Comunità Europea sull’arrivo imminente della crisi, invitando a perseguire politiche antideflazionistiche, che andavano però a contrastare le mire tedesche. Andava allontanato». L’Italia, o meglio Tremonti, vittima dunque di una vera e propria ritorsione? «Sì, ma anche della sua stessa debolezza politica». Secondo Sapelli, uno come Tremonti «avrebbe dovuto trovare il modo di dirle anche da ministro le cose che dice nel libro». Il fatto resta senza precedenti: nella “democratica” Europa «non era mai accaduto che un governo eletto fosse destituito così. Quell’esecutivo era sì traballante, ma non ancora sfiduciato dal Parlamento. Costituzionalmente parlando è una cosa gravissima».E la calamità dello spread? «Non ha alcun senso. Lo spread, come dimostrano i fatti di oggi, era un’invenzione: era tenuto volontariamente alto per creare una psicosi. Lo spread adesso è caduto mica per merito del governo Renzi, bensì perché i mercati dei paesi emergenti, che prima tiravano, stanno manifestando i primi sentori di una crisi». Alla vigilia del voto del 25 maggio, che conseguenze può avere una rivelazione di questa portata che svela queste trame? Geopolitica: gli americani oggi impegnati in Ucraina nel braccio di ferro contro Putin sanno benissimo che il libro di Geithner avrà un’enorme eco mediatica, quindi «hanno tutto l’interesse a destabilizzare la Merkel e i governi che la sostengono». Alla luce del retroscena di Geithner, il ruolo di Napolitano in quei convulsi mesi estivi e autunnali cambia o rimane invariato? Sapelli non ha dubbi: «Dico solo una cosa: riflettiamo sul viaggio della regina Elisabetta in Italia: chi è venuta a trovare la regina? il Papa e Napolitano. Ecco».Prima Alan Friedman, col suo libro nel quale Prodi, De Benedetti e lo stesso Monti ammettono che nel 2011 c’erano state “consultazioni”, anche da parte di Napolitano, per far fuori Berlusconi, il premier in carica. Ora la conferma arriva da Timothy Geithner, uomo di Wall Street dirottato a Washington come ministro del Tesoro di Obama: la Casa Bianca, scrive oggi Geithner, nel 2011 ricevette pressioni da parte di alcuni paesi europei per far cadere Berlusconi. Il “golpe”, insomma, c’è stato. «Non sono sorpreso», commenta l’uomo di Arcore. «È la conferma di ciò che ho sempre sostenuto, che c’è stata una precisa volontà di togliere di mezzo un premier democraticamente eletto che difendeva gli interessi del suo paese e contrastava quelli della Germania». Ma secondo Giulio Sapelli, docente di storia economica nell’università di Milano, la tecnocrazia europea targata Angela Merkel aveva qualcun altro nel mirino: Giulio Tremonti. Era lui l’uomo nero della Troika, il vero bersaglio dell’Ue, perché resisteva – in ogni modo possibile – ai diktat dell’austerity.
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Ue, Mosca e Pechino soci perfetti: è l’incubo degli Usa
E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».L’elemento saliente di quel periodo, ricorda Helevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è la seconda guerrra cecena, combattuta tra il 1999 e il 2001. «La strategia militare elaborata da Putin implicò delle perdite fortissime tra i civili residenti in Cecenia (sia ceceni che russi) e questa violazione dei diritti umani non venne mai denunciata politicamente e formalmente dagli “occidentali” perchè troppo importante era Putin in relazione ad un possibilissimo ritorno al potere dei neo-comunisti». Altro errore, analogo: «Trattare la Cina come “qualcosa di rosso” perché c’è il Pcc al potere». Altro caso di miopia che, sempre secondo Halevi, «rende una grossa parte della sinistra completamente scema senza possibilità d’appello». Il modo migliore di intepretare la nuova Cina? «E’ vederla come un fenomeno ultra-bismarckiano», pur tenendo conto del fatto che «la formazione di una potenza bismarckiana delle dimensioni della Cina pone dei problemi per l’altra potenza», quella americana.Una visione, questa, elaborata già nel 1999 dalla Rand Corporation. Cina ultra-bismarckiana? A coniare la formula fu Zalmay Khalilzad, afghano emigrato negli Usa diventato sotto Bush figlio e ambasciatore Usa a Kabul dopo il 2001, poi ambasciatore in Iraq dopo il 2003 ed infine ambasciatore statunitense all’Onu. Sul versante geopolitico, Khalilzad spiega perchè – con la Cina di oggi – gli Usa non possono avere rapporti di sola cooperazione amichevole o di solo conflitto. «Pochi hanno colto la dimensione duale e contraddittoria degli interessi Usa in Cina, ma per coglierli basta studiare – leggendo il “Wall Street Journal” e l’“International New York Times” – Walmart, Apple e la General Electric». Quei colossi «sono in Cina per rifornire in primo luogo il mercato Usa, in secondo luogo il resto del mondo, in terzo luogo per vendere sul mercato cinese in crescita asfissiante (letteralmente)». Il successo della loro presenza in Cina «dipende dalla crescita cinese, che è organizzata dallo Stato bismarckianamente».Questa crescita, continua Halevi, significa «capacità di mettere in piedi in breve tempo grosse strutture industriali con ampie economie di scala e con ritmi di lavoro parossistici». Tutto ciò «conferisce una dimensione concreta alla globalizzazione». Esempio, il caso Apple, con iPad e iPhone «progettati negli Usa, prodotti da una società di Taiwan ma localizzata in Cina», perchè «a Taiwan e nemmeno negli Usa avrebbero potuto costruire, in poco tempo e con tutte le infrastrutture di collegamento, un insieme di impianti che occupano oltre 700 mila persone». Così, si è generato «uno iato crescente tra gli interessi economici del capitale Usa e la capacità dello Stato Usa di garantirne gli interessi in maniera coerente». Per esempio, negli Usa si discute la necessità di far rivalutare la moneta cinese, lo yuan: «A non volerlo sono proprio le società Usa che operano dalla Cina».Fino alla fine degli anni ‘90, prosegue Halevi, il mantenimento dell’egemonia statunitense si fondava sul ruolo della spesa pubblica federale (senza la quale il sistema militare, politico e finanziario non funzionerebbe) e sul ruolo del dollaro. Due elementi che permettevano e permettono il controllo delle cruciali zone energetiche del Medio Oriente. Un analista come Zbigniew Brzezinski sostenne che il controllo dell’arco energetico che va dall’Arabia Saudita all’insieme del Medio Oriente pemette di “tenere al guinzaglio” simultaneamente sia il Giappone che l’Unione Europea. «Giustissimo, per quel periodo», dice Halevi. «Da allora, la Russia è emersa come superpotenza energetica e la Cina come fulcro della produzione industriale mondiale, nonchè come asse dei meccanismi finanziari sui mercati delle materie prime, come il carbone».«Insieme alla finanziarizzazione degli Oceani e soprattutto dell’Artico – conclude Halevi – la dinamica dei prodotti finanziari globali non è certo determinata dal debito pubblico italiano e dallo spread, bensì dalla Cina». Sicché, la formazione di un “continuum” economico tra Cina, Russia ed Europa, Germania in primis, «è nei piani sia cinesi che tedeschi e russi». La parte più debole meno coordinata è quella russa, «perchè il processo di disgregazione dell’Urss apertosi nel 1991 è lungi dall’essersi concluso: la Russia è una superpotenza energetica, ma come forza statuale è ancora nel day-after del 26 dicembre del 1991». Per gli Stati Uniti, dunque, «è essenziale che non si formi alcun “continuum” euroasiatico, altrimenti entrerebbe seriamente in crisi la capacità dello Stato americano di proteggere coerentemente gli interessi del capitale Usa».E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».
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Bruxelles taglia i fondi, Torino-Lione in via d’estinzione?
Inutile, mostruosa, sanguinosa per il debito pubblico italiano. Ma soprattutto: senza più un soldo. Il movimento No-Tav e l’opposizione francese alla linea Tav Torino-Lione annunciano che la grande opera è ufficialmente in via di estinzione, almeno secondo la Commissione Europea. Già la Francia, lo scorso anno, aveva posticipato al 2030 l’eventuale avvio dei lavori sul versante transalpino. Pochi mesi dopo, la Svizzera ha confermato che l’attuale linea internazionale che collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa, la Torino-Modane, appena riammodernata con l’ampliamento del traforo del Fréjus, potrebbe da sola incrementare l’attuale traffico merci del 900%. Peccato che le merci non ci siano: il trasporto fra i due paesi è ormai crollato, complice la crisi e la saturazione storica dei mercati di consumo. Dal punto di vista strategico, invece, la Torino-Lione è un binario morto: l’asse delle merci predilige la direttrice nord-sud, Genova-Rotterdam.Tuttora, la linea Torino-Lione non esiste: dopo vent’anni, l’unico cantiere aperto è quello di Chiomonte, dove si sta scavando – al rallentatore – solo un “cunicolo esplorativo”. Nessuna traccia, per ora, dei preparativi per quello che un giorno, forse, sarà il traforo ferroviario vero e proprio, lungo 57 chilometri. Quel giorno con ogni probabilità non arriverà mai, dicono i No-Tav, presentando un cospicuo dossier. Tanto per cominciare, anche se i giornali non ne hanno parlato, un anno fa è stato revocato metà del contributo europeo promesso da Bruxelles. Si tratta di una decurtazione ingente: dai 671,8 milioni di euro inizialmente concessi (cifra irrisoria, peraltro, a fronte del costo miliardario dell’opera, largamente a carico di Italia e Francia) si è scesi a 395,3 milioni di euro. Una riduzione del 41%. «Il pesante ridimensionamento riguarda tutto il programma europeo, il cui importo complessivo passa da 2,09 miliardi di euro a soli 891 milioni, quindi con una riduzione del 57%».Pressoché azzerati, continuano i No-Tav, i finanziamenti l’avvio del tunnel di base, 1,63 miliardi di euro: 150 milioni sono stati dirottati in Francia su perforazioni (non previste) nella cosiddetta Galleria di Saint Martin La Porte. Sale intanto alle stelle, secondo i No-Tav, il costo di Tlf: è di 75 milioni il conto della la società Lyon Turin Ferroviaire incaricata di realizzare l’opera, «“premiata” per la sua gestione fallimentare del contributo europeo, dimezzato dalla Commissione». Ltf, aggiunge il movimento valsusino, «cominciò a scavare quando già sapeva di non finire nei termini». All’avvio del mini-tunnel esplorativo di Chiomonte, i governi di Roma e Parigi «sapevano perfettamente che il contributo era stato dimezzato, che il termine previsto (fine 2016) sarebbe andato ben oltre il 31 dicembre 2015 e che tutte le spese effettuate dopo quella data non sarebbero state ammesse dall’Unione Europea».Anche se la stampa mainstrem racconta che la mini-galleria di Chiomonte sarebbe stata ormai scavata per metà, la realtà è tutt’altra: «La “talpa” procede a passo di lumaca, ha scavato appena 641 metri sui quasi 7 chilometri e mezzo totali, viaggiando ad appena 2,5 metri al giorno anziché i 10 metri previsti. Anche a velocità doppia, al 31 dicembre 2015 risulterà scavata solo metà galleria; tutta solo a febbraio 2018 (al di fuori dei termini del contributo europeo)». E visto che l’Ue contribuisce solo se la galleria sarà completata nei termini previsti, «si rischiamo ulteriori perdite di contributi». E se la magistratura di Torino accusa i No-Tav di aver causato parte dei ritardi con la forte opposizione all’avvio del piccolo cantiere di Chiomonte, il movimento ribatte citando la Commissione Europea, che registra, testualmente, «un notevole ritardo dovuto a difficoltà amministrative e tecniche».Inoltre, la Piattaforma del Corridoio Torino-Lione ravvisa la «infattibilità politica di proporre la costruzione di una nuova linea senza fare tutto il possibile affinché quella esistente torni a essere la principale arteria di trasporto in seguito ai lavori di ampliamento nel traforo ferroviario del Fréjus». Il movimento No-Tav lo dimostra da anni, dati alla mano: «La linea esistente è ampiamente sotto-utilizzata, nonostante il suo recente adeguamento che consente oggi il passaggio di treni merci di ogni tipo e dimensione», compresi i conteiner “navali” e i Tir caricati sui treni. «Anziché usare il Tav per fare carriera, i politici riflettano su quello che dicono», sottolineano i No-Tav, che denunciano il “patto del silenzio” sulla burocrazia europea: «Fino ad oggi la “Decisione C(2013) 1376” della Commissione Europea è rimasta nascosta al legittimo controllo dei cittadini contribuenti. Solo la pressante azione del movimento No-Tav ha permesso di squarciare il velo sull’insuccesso di Ltf e delle politiche dei governi italiano e francese». Continua, intanto, «lo scandalo del silenzio sulla gestione della Torino-Lione».Inutile, mostruosa, sanguinosa per il debito pubblico italiano. Ma soprattutto: senza più un soldo. Il movimento No-Tav e l’opposizione francese alla linea Tav Torino-Lione annunciano che la grande opera è ufficialmente in via di estinzione, almeno secondo la Commissione Europea. Già la Francia, lo scorso anno, aveva posticipato al 2030 l’eventuale avvio dei lavori sul versante transalpino. Pochi mesi dopo, la Svizzera ha confermato che l’attuale linea internazionale che collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa, la Torino-Modane, appena riammodernata con l’ampliamento del traforo del Fréjus, potrebbe da sola incrementare l’attuale traffico merci del 900%. Peccato che le merci non ci siano: il trasporto fra i due paesi è ormai crollato, complice la crisi e la saturazione storica dei mercati di consumo. Dal punto di vista strategico, invece, la Torino-Lione è un binario morto: l’asse delle merci predilige la direttrice nord-sud, Genova-Rotterdam.