Archivio del Tag ‘Unicredit’
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Ghigliottina esangue: perché la Boldrini deve dimettersi
Dev’essere tutta colpa del nipote di Magozurlì, quel tal Carloconti che imperversa la sera su Rai-uno trainando l’ascolto del Tiggì più caro agli italiani con un programma – l’eredità – in cui una ghigliottina cala sul gruzzolo dei concorrenti che si sono sudati la vincita rispondendo a domande impegnative sostenendo che Hitler salì al cancellierato di Germania nel 1970… Il ritorno di moda di una “invenzione” talmente micidiale che ne finì vittima persino il suo ideatore deve aver affascinato una predestinata ad alte cariche istituzionali come la presidente protempore della Camera dei deputati. La butto sull’ironico perché ho letto attentamente e con rispetto una lunga e profonda discussione che alcuni “amici” si sono scambiati sul mio “profilo facebook” scatenata da un post che a mia volta avevo condiviso dal social network.Dico subito che stimo molto coloro che conosco (al di la dell’“amicizia virtuale”) e che altrettanta stima ritengo si debba accordare anche a chi non conosco personalmente ma vedo che si appassiona a ragionare – (oggi!) – di democrazia a rischio! Ma francamente non immaginavo di provocare tanta rovente discussione, raccogliendo la segnalazione di un pezzo uscito su un blog dichiaratamente caustico nei confronti di tutto ciò che pretende di essere “politicamente corretto”. Qualunque commento rischia quindi di essere inadeguato, ma se non lo si fa nell’arena virtuale – potendosi sbagliare e correggere senza aver provocato danni irreparabili – non vedo come si possa auspicare che ciò possa avvenire nelle assemblee elettive di ogni ordine e grado. In tali consessi infatti tutti, anche i migliori, devono difendere la propria squadra non fosse altro in quanto strumento per lavorare al conseguimento dei più nobili obiettivi.Io non conosco la Boldrini se non attraverso la stima di persone che ci hanno avuto direttamente a che fare nella delicata esperienza legata alla sorte degli “ultimi”, dei migranti vittima di tante tragedie consumatesi nella indifferenza quando non nell’ostilità di buona parte dell’opinione pubblica. Ma a maggior ragione chi ha alle spalle quel tipo di storia non può permettersi di “dare scandalo” quando cambia mestiere: io non so e non mi permetto di dire che meglio sarebbe stato se si fosse legata una pietra al collo piuttosto che azionare – per la prima volta in Italia – la lama di una ghigliottina. E non è possibile cavarsela dicendo che non è corso sangue e nessuna testa è caduta nella cesta.Io sto ai fatti perché, mentre “la cosa” stava succedendo, quello che lei ha fatto passare stroncando l’“abominevole ostruzionismo grillino” (ma anche di alcuni suoi “ex compagni” di Sel e degli eletti di Fratellid’italia) è un provvedimento incoerente come tutti i decreti che lo hanno preceduto, un pezzo del quale poteva anche aver requisiti di “necessità e urgenza”, quello relativo alla soppressione dell’Imu, giusta o sbagliata che sia, ma l’altro – il grazioso regalo alle peggio banche italiane e non (vedi Unicredit) – oltre ad essere a dir poco discutibile era sicuramente rinviabile (e proprio con lo scopo di poterne discutere fino in fondo). E’ di queste stesse ore la notizia dell’apposizione di una sorta di segreto di Stato sulla richiesta di Bruxelles che il Monte dei Paschi di Siena restituisca 3 dei 4 miliardi di aiuti ottenuti dal Governomonti…Ora, mentre quel che arriva dalla Commissione Ue diventa sacro e immediatamente esecutivo se si tratta di tagliare pensioni, rientrare dal deficit eccessivo o rinunciare alla italianità della mozzarella, ecco che su questa “trascurabile raccomandazione” cala il più classico dei silenzi assordanti. Che le banche siano importanti (che sia fondamentale che tornino a svolgere la funzione del credito per cui si può considerare un bene da difendere anche la loro “italianità” alla faccia della globalizzazione) è fuor di dubbio. Ma quale uso sia meglio fare di sette miliardi e mezzo di riserve valutarie della Banca d’Italia deve essere materia su cui l’opposizione possa esercitare il diritto regolamentarmene disciplinato ad opporsi. Differentemente tale decisione, come quella su Mps o l’acquisto degli F-35 diventano prerogativa dell’Abi o una scelta insindacabile dell’esecutivo, o materia del Comitato per la Difesa Nazionale presieduto da un post-comunista che si è fatto monarca!Cose ognuna delle quali rappresenta un delitto contro la democrazia assai più grave di turpiloquio, sessismo, e – secondo me – persino delle più volgari e vergognose minacce. Che condanno, sia chiaro, come hanno fatto anche molti eletti a 5stelle – nonostante l’“obbligo di difesa della casamadre” cui ho fatto cenno. Ma che sono il sintomo, non la causa della malattia. Come lo è il tentativo (sin qui fallito) dei forconi che magari (come qualcuno paventava) credevano di avere dalla loro poliziotti e camionisti, ma non sapevano che i primi si sono tolti il casco per ravviarsi i capelli e i secondi erano garantiti da Palenzona & Lupi che di banche, pedaggi autostradali e rimborsi delle accise sul gasolio sono da sempre “razzapadrona”.Ora io credo che se la Boldrini non perde occasione per rincarare la dose affermando (virgolettato) che quello dei parlamentari 5stelle è stato un “attacco eversivo”, farebbe bene a dimettersi senza bisogno che glielo chieda nessuno, perché non può non sapere che sta seduta su una polveriera incomparabilmente più destabilizzante, i cui fuochisti sono quelli che hanno manovrato i pentiti per depistare i magistrati dallo scoprire chi sono stati se non i mandanti almeno i complici “istituzionali” dalle stragi di Capaci e via d’Amelio; perché è circondata da lobbysti che decidono indisturbati in che modo usare le risorse pubbliche per i loro affari privati e quali emolumenti attribuirsi.Allora delle due l’una: o ammetti di essere inadeguato per un ruolo imparziale e ne trai le conseguenze o sei complice di un disegno che è eversivo (quello sì) di quella stessa Costituzione su cui hai giurato. E siccome di spergiuri è piena la lista di attesa, meglio se a compiere (o avallare) le inevitabili nefandezze prossime venture saranno persone dal curriculum politico spregevole e riconoscibili come tali. Spiacente, ma di difensori della classe operaia che passavano da una festa all’altra della nobiltà romana ne abbiamo gia avuto uno, e non era neanche una donna, per cui chi – giustamente – lo attaccava, se non altro, non poteva essere tacciato di sessismo.(Claudio Giorno, “La ghigliottina esangue”, dal blog di Giorno del 2 febbraio 2014).Dev’essere tutta colpa del nipote di Magozurlì, quel tal Carloconti che imperversa la sera su Rai-uno trainando l’ascolto del Tiggì più caro agli italiani con un programma – l’eredità – in cui una ghigliottina cala sul gruzzolo dei concorrenti che si sono sudati la vincita rispondendo a domande impegnative sostenendo che Hitler salì al cancellierato di Germania nel 1970… Il ritorno di moda di una “invenzione” talmente micidiale che ne finì vittima persino il suo ideatore deve aver affascinato una predestinata ad alte cariche istituzionali come la presidente protempore della Camera dei deputati. La butto sull’ironico perché ho letto attentamente e con rispetto una lunga e profonda discussione che alcuni “amici” si sono scambiati sul mio “profilo facebook” scatenata da un post che a mia volta avevo condiviso dal social network.
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Grazzini: la Germania sta per mangiarsi le nostre banche
«Quando, alla fine del 2014, le regole dell’unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia Mps incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all’estero». Lo stesso Draghi avverte: molte banche dovranno chiudere, con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei. Con l’unione bancaria in arrivo, secondo Enrico Grazzini la Bce annuncia di fatto «un’altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani». Soluzione che «favorisce l’inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa». Lo riconosce anche Wolfgang Munchau, grande esperto di euro-economia. Che sul “Financial Times” scrive: «Perché i paesi europei si accontentano di stringere questi patti disgustosi? Per usare una metafora: perché i tacchini continuano a votare a favore del Natale?».L’unione bancaria europea, spiega Munchau, «è esattamente quella voluta dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble», il super-falco di Angela Merkel. «I contribuenti tedeschi non pagheranno nulla per la ristrutturazione delle banche estere e nessuna banca tedesca verrà mai chiusa». Sicché, «la Germania ha ottenuto tutto quello che voleva senza concedere nulla», proprio come per il Fiscal Compact: «Ha imposto la disciplina fiscale a tutta l’Europa in cambio di niente». Munchau è sconcertato: tutti i ministri – tra cui ovviamente il nostro Fabrizio Saccomanni – hanno gridato alla “svolta storica” «solo per non perdere la faccia di fronte al loro completo fallimento», perché «nulla di quello che avevano proposto è stato accettato». Volevano un fondo pubblico europeo in grado di provvedere alle ristrutturazioni bancarie in caso di “crisi sistemiche” e di garantire i correntisti? Niente da fare. La verità, dice Munchau, è che non hanno ottenuto nulla «semplicemente perché non sono in grado di coalizzarsi contro i diktat della Germania – la quale non vuole nessun fondo comune che metta a rischio le sue finanze per coprire i problemi altrui».I governi del sud Europa non hanno fiducia l’uno dell’altro, dice Munchau: non vogliono coalizzarsi, e quindi il governo Cdu-Spd riesce facilmente a imporre la sua ferrea volontà. «Il dramma è che non esiste alcuno statista europeo in grado di opporre una cooperazione solidale ed efficace di fronte alla visione unilaterale tedesca». L’unione bancaria «è la dimostrazione di come il governo tedesco delle larghe intese vuole l’Unione Europea: una unione centralizzata, diretta dalle élite finanziarie tedesche, a vantaggio esclusivo della Germania e a svantaggio degli altri paesi deboli e debitori del sud Europa. Una unione foriera di crisi senza fine». Perché il governo italiano dovrebbe rifiutare questa unione bancaria? «Perché non solo non risolve nulla – annota Grazzini su “Micromega” – ma potrebbe avere un micidiale effetto boomerang, ovvero amplificare le difficoltà delle banche». Non a caso, Draghi ha già avvertito che «con l’esame della Bce le banche deboli dovranno chiudere».A monte, la trappola è sempre la stessa e si chiama euro: l’impossibilità di emettere moneta sovrana costringe i governi a ricorrere ai titoli di Stato per finanziare il proprio debito pubblico (il debito funzionale e fisiologico, quello che serve per garantire i servizi e quindi sostenere l’economia vitale), e questo alla lunga – il caso di insolvenza – mette in pericolo le banche che quei titoli pubblici detengono. In teoria, ricorda Grazzini, il progetto di unione bancaria doveva servire a questo: spezzare il legame tra il rischio rappresentato dalle grandi banche sistemiche e quello degli stati dell’Eurozona – ovvero non indebolire le banche del Sud Europa, piene di titoli di Stato dei loro paesi. L’unione, inoltre, sarebbe dovuta servire a proteggere i risparmiatori europei con un fondo comune europeo di garanzia (per evitare la fuga all’estero dei correntisti in caso di una crisi nazionale), garantendo anche l’uniformità delle condizioni del credito: oggi le aziende italiane pagano tassi d’interesse bancari più alti rispetto a quanto pagano le aziende tedesche alle banche del loro paese. Bene, nessuno di questi regionevoli obiettivi sarà raggiunto, sostiene Grazzini: l’unico risultato sarà un ulteriore vantaggio dell’economia tedesca a spese di quella del resto d’Europa.Schäuble ha rifiutato in partenza ogni meccanismo di mutualizzazione con copertura di fondi pubblici, togliendo ossigeno a qualsiasi possibilità anti-crisi. E i ministri europei delle finanze «hanno deciso quello che perfino Draghi aveva implorato segretamente la Commissione Europea di non fare – cioè far pagare gli obbligazionisti e i creditori – per non rischiare di far precipitare le crisi bancarie», secondo il modello Cipro. Così, grazie a Schäuble, i privati (azionisti, obbligazionisti e correntisti con oltre 100.000 euro di deposito) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, e solo in seconda battuta interverranno i fondi nazionali: non sostenuti con moneta sovrana – missione impossibile nell’Eurozona – ma creati grazie a nuove tasse. In ultimissima istanza, tra dieci anni, interverrebbe «un esiguo fondo europeo di 55 miliardi, sempre di origine bancaria – cioè solo lo 0,2% circa del patrimonio complessivo delle banche europee – anche se si prevede che le banche dovranno ricapitalizzarsi per circa 100 miliardi».L’accordo fa acqua da tutte le parti, insiste Grazzini: appena una banca sarà percepita in difficoltà, «i correntisti, gli azionisti e i creditori fuggiranno, creando un circolo vizioso di diminuzione del valore e di ulteriore fuga». Il caso Cipro insegna: «Si incentiva il meccanismo di panico che condanna le banche dei paesi deboli a vantaggio delle banche dei paesi forti». In Italia, continua l’analista, ci sono 2,7 miliardi di bond bancari subordinati in scadenza nel 2014 e 4,6 nel 2015. Gli investitori a rischio reagirebbero al timore di essere colpiti vendendo i bond. Interverrebbero allora gli speculatori e i fondi-avvoltoio per “salvare le banche”. Probabilmente nascerebbe una serie infinita di ricorsi in tribunale. Al che, «per evitare il fallimento delle banche e la corsa al ritiro dei depositi, gli Stati nazionali dovranno intervenire» nell’unico modo ormai possibile, ovvero «con i soldi dei contribuenti», ottenuti a suon di tasse. Risultato: «I paesi deboli si indeboliranno ancora di più e si avvicineranno all’orlo del baratro».Ma c’è di più, continua Grazzini: Draghi sta avviando gli stress test (ovvero degli esami preventivi di solvibilità in caso di crisi) su circa 130 banche europee, tra cui 13 italiane – ma sono escluse le casse di risparmio tedesche, che Schäuble non ha voluto comprendere negli stress test – per verificare se sarebbero in grado di sopportare un grave peggioramento della situazione economica. E quali saranno i criteri applicati dalla Bce per gli stress test? I fattori di rischio che potrebbero portare le nostre banche al fallimento sono sostanzialmente tre. Pirmo: la leva finanziaria troppo elevata rispetto al capitale proprio – leva che di solito viene usata dalle banche per speculare sui mercati finanziari “ombra”, come quello dei derivati e dei titoli tossici. Secondo: l’acquisto di titoli di debito sovrano di paesi con elevato debito pubblico, come l’Italia. Terzo: i crediti in sofferenza e inesigibili.«Le banche del nord Europa, in particolare quelle tedesche e francesi, hanno una leva spropositata. Hanno un attivo pari a 30-40-50 volte il loro capitale». Per intenderci: «Deutsche Bank e Credit Suisse hanno una leva di circa 50, la francese Crédit Agricole del 62, contro una leva di circa 18 di Intesa e Unicredit. La leva – legata a capitali presi a prestito – amplifica enormemente i rischi sistemici e delle singole banche, anche perché serve soprattutto a investire nel trading, cioè su titoli obbligazionari, azionari e derivati ad alto rendimento ma, appunto, molto volatili e ad alto rischio. I ricavi di Deutsche Bank derivano per esempio al 75% circa dal trading, e non da prestiti alle imprese e alle famiglie. In pratica gran parte dei maggiori istituti europei fanno le banche d’affari invece di prestare denaro alle imprese e alle famiglie». Al contrario, «le banche del sud Europa (Italia compresa) fanno meno attività speculativa, hanno in pancia meno titoli tossici, ma hanno invece il problema di avere investito molto sui titoli pubblici del loro paese e di avere molti crediti in sofferenza, a causa della crisi economica pesante attraversata dai loro paesi: in Italia le banche hanno in pancia circa 450 miliardi di titoli pubblici e hanno sofferenze per circa 150 miliardi».Domanda: quanto peseranno i diversi fattori di rischio negli stress test? La Bce considererà più rischioso – come dovrebbe essere – avere una leva abnorme e molti titoli tossici, o avere invece investito sui titoli pubblici del proprio paese? «Se, come sembra possibile, verrà sottovalutato il rischio derivato dalla leva finanziaria, dal trading e dalla speculazione, le banche del nord Europa si salveranno e supereranno l’esame senza troppe difficoltà. Se invece sarà considerato molto rischioso detenere titoli di debito pubblico del proprio paese, allora parecchie banche dei paesi del sud Europa verranno praticamente condannate (insieme ai bilanci pubblici dei loro paesi)». A quel punto, «le banche del sud che non supereranno l’esame della Bce dovranno ricapitalizzarsi, cioè aumentare ulteriormente il loro capitale», ma è facile immaginare che «troverebbero pochi capitalisti nazionali pronti a mettere il loro denaro in banche in difficoltà».Ecco allora che «le banche meno solide del sud Europa potrebbero semplicemente fallire, come ha avvertito Draghi. O potrebbero essere facilmente acquisite a poco prezzo da quelle del nord Europa». Così, «parte del risparmio nazionale potrebbe finire in mano alle banche estere dei paesi “meno stressati”». Ecco perché questa unione bancaria non s’ha da fare: certo «non risolve il problema del credito alle imprese e alle famiglie», e inoltre «rischia di premiare le banche maggiori che speculano e di bocciare le banche che investono nell’economia reale». Verità sanguinosa: il problema delle banche italiane – il debito pubblico – sarebbe risolvibile di colpo, all’istante, uscendo dall’euro o trasformando l’euro in moneta sovrana. «Ma la sinistra raramente si accorge delle minacce che vengono dalla Ue», avverte Grazzini. «Sull’unione bancaria perfino il “Manifesto” riportava: “Certo a volte è meglio qualcosa invece di niente ed è forse meglio tardi che mai”». Ora basta, però: è tempo di «abbandonare una visione idilliaca della Ue e di avere un approccio più realistico sull’egemonia tedesca». C’è solo da augurarsi che l’offerta politica alle elezioni europee di maggio riesca almeno a mettere a fuoco il problema, da cui dipende il futuro di tutti.«Quando, alla fine del 2014, le regole dell’unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia Mps incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all’estero». Lo stesso Draghi avverte: molte banche dovranno chiudere, con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei. Con l’unione bancaria in arrivo, secondo Enrico Grazzini la Bce annuncia di fatto «un’altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani». Soluzione che «favorisce l’inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa». Lo riconosce anche Wolfgang Munchau, grande esperto di euro-economia. Che sul “Financial Times” scrive: «Perché i paesi europei si accontentano di stringere questi patti disgustosi? Per usare una metafora: perché i tacchini continuano a votare a favore del Natale?».
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Giannuli: dietro al Cavaliere c’era Andreotti, non Craxi
Berlusconi “figlio” di Craxi? No, di Giulio Andreotti. Basta vedere le «evidenti somiglianze» tra la “conglomerata del potere” andreottiana e quella successiva, berlusconiana: «La stessa formula, gli stessi avversari, la stessa collocazione di centrodestra, le stesse “amicizie pericolose”, gli stessi alleati vaticani, lo stesso inossidabile atlantismo», benché «venato di amicizie moscovite e tripoline». Non mancano i punti di contatto: dall’intreccio della Banca Rasini alla vicinanza di entrambi con la P2, fino alla presenza di uomini come Luigi Bisignani prima a fianco dell’uno, poi nella sfera d’azione dell’altro. A mettere a fuoco questa tesi è l’ultima edizione del libro di Aldo Giannuli sul “Noto Servizio”, l’intelligence-ombra di cui Andreotti si servì per tutta la durata della sua lunghissima stagione di potere.«Ho cercato di tracciare un bilancio della storia politica di Giulio Andreotti, sottolineando, grazie anche a nuovi documenti, il rapporto profondo che esiste tra Andreotti e Berlusconi, a differenza della vulgata dominante che vorrebbe le fortune del cavaliere legate a doppio filo a Bettino Craxi», spiega Giannuli nel suo blog, presentando il libro fresco di stampa. Obiettivo del saggio: «Fornire spunti nuovi, originali ma ampiamente documentati, per comprendere il sistema di potere berlusconiano» e il suo «legame inscindibile» con quello andreottiano. Filo conduttore, il ruolo-chiave di Andreotti nei retroscena italiani fin dall’istituzione dei servizi segreti. Ma attenzione: certe letture troppo “lineari” suggeriscono l’immagine del “grande burattinaio” della Prima Repubblica, e del misterioso “Noto Servizio” ridotto a docile strumento nelle sue mani.La realtà è più complessa, avverte Giannuli, che di Andreotti ha indagato l’ambiguo rapporto con l’Urss e il mondo arabo («in genere rapporti accennati, marginalizzati, messi in ombra») e il suo coinvolgimento negli scontri interni alla finanza. Proprio il controllo del mondo finanziario, a torto ritenuto un aspetto trascurabile, ebbe invece «grande rilevanza anche nel determinare i rapporti di forza», per i quali Andreotti si valse pienamente del “Noto Servizio”, la sua struttura di intelligence. Complotti, certo, ma senza dimenticare che «la storia di questo sessantennio è stata (paradossalmente) anche la storia di uno dei paesi più liberi del mondo, di una delle democrazie più partecipate, di un vivace sviluppo culturale, artistico e scientifico, di una grande vitalità economica». Nel suo “lato oscuro” non si esaurisce certo la nostra storia, anche se l’indagine aiuta ad approfondire verità nascoste.Fondamentale, il ruolo della corrente andreottiana: un “unicum” nella Dc, «in particolare per quell’intreccio di poteri che all’asse politico-finanziario legava il tentativo di controllare i media e servirsi dell’intelligence per perseguire i suoi scopi». Sullo sfondo, continua Giannuli, ci sono fenomeni di vasta portata economica, sociale e politica, che hanno determinato la nascita di un polo di interessi «di cui la corrente andreottiana fu uno degli snodi più importanti, ma non l’unico». All’origine del patto repubblicano tra la componente cattolica e quella laica, ci fu una partizione “incrociata”: ai cattolici spettava il primo piano della politica ma solo la finanza di raccolta, mentre ai laici toccava la grande finanza d’affari, ma solo il secondo piano della politica. Peccato però che già dai primi anni ‘60, attraverso lo Ior, la finanza cattolica «era in grado di muovere e orientare grandi masse di capitali che bussavano alla porta della grande finanza d’affari. E ancor più – aggiunge Giannuli – questo accadde con il formarsi delle ingenti fortune finanziarie di mafia», propiziate dal narcotraffico e decise a scegliere «proprio quel canale» per accedere alla capitalizzazione.Parallelamente, il cono d’ombra della Guerra Fredda proteggeva il formarsi di molte fortune di origine corruttiva, al pari di molte carriere propiziate dal clima della “strategia della tensione”. «Inevitabile il confluire di questi interessi in un blocco autonomo, che ebbe nella P2 la sua camera di compensazione e nel milieu andreottiano il suo cuore politico e la sua articolazione strategica». Andreotti operò al fianco di Nino Rovelli e Michele Sindona e, attraverso banche come la Commerciale di Lugano e la Rasini di Milano, diede l’assalto alla Montedison e a Mediobanca. Poi sarà impegnato con Roberto Calvi e probabilmente avrà un ruolo anche nella formazione di Capitalia di Cesare Geronzi, fino alla fusione di questa con Unicredit, «quando le lotte interne alla finanza si ponevano in termini diversi dall’antico antagonismo fra laici e cattolici e la Dc era solo un ricordo».Pur essendo cambiato nel tempo, continua Giannuli, quel blocco di interessi era rimasto pur sempre l’antico avversario del polo dei soci storici di Mediobanca, cioè quello che nel suo momento migliore si era stretto intorno all’asse Cuccia-Agnelli e, più tardi, «aveva trovato una sua nuova espressione che rinnovava quella commistione politico-finanziaria-mediatica in Silvio Berlusconi». Secondo Florio Fiorini, ex manager dell’Eni che amava definirsi “corsaro della finanza”, «Berlusconi è da una parte un prodotto della Banca Rasini e dall’altra della Banca Popolare di Novara: queste due banche, oltre che vicine al Vaticano, erano vicine al potere politico, ad Andreotti ed anche a Craxi». Per Fiorini, «se qualcuno è intervenuto a favore di Berlusconi per fargli avere dei finanziamenti, questi sono Andreotti e Craxi».Anche sulla base di questo si è formata la vulgata che vede nel Cavaliere l’erede politico di Craxi. In realtà, osserva Giannuli, i due incrociarono le loro strade solo per un breve periodo, negli anni ’80, per la questione della legge sull’emittenza: appoggiato da Craxi, Berlusconi non fu certo generoso col leader del Psi, tartassato dai telegiornali berlusconiani durante la tempesta di Mani Pulite. «Ben più duraturo, profondo e costante è stato invece il rapporto con Andreotti», anche per l’avventura televisiva del Cavaliere. Lo stesso Fiorini ritiene che Berlusconi, prima di comperare le televisioni, sia andato da Andreotti e gli abbia chiesto un consiglio politico. Andreotti gli avrebbe risposto: «Io, fossi in lei, lo farei. Nessuna copertura politica ufficiale, però lo farei».Questo, aggiunge Fiorini, significava che la strategia di Andreotti era quella di creare una nuova forza che si contrapponesse, al nord, alla finanza laica di Mediobanca. Berlusconi incoraggiato segretamente dal Divo Giulio? «Andreotti non fu solo il tattico che spesso si descrive: fu il creatore di un sistema di potere e, in questo senso, uno stratega». Secondo Giannuli, ebbe torto Moro a dire che di Andreotti non sarebbe rimasto nulla e che non sarebbe mai passato alla storia ma solo alla “triste cronaca”: «L’andreottismo fu l’espressione politica di una particolare articolazione delle nostre classi dominanti, che ha prodotti frutti che durano ancora oggi».(Il libro: Aldo Giannuli, “Il Noto Servizio. Le spie di Giulio Andreotti”, Castelvecchi, 384 pagine, 22 euro).Berlusconi “figlio” di Craxi? No, di Giulio Andreotti. Basta vedere le «evidenti somiglianze» tra la “conglomerata del potere” andreottiana e quella successiva, berlusconiana: «La stessa formula, gli stessi avversari, la stessa collocazione di centrodestra, le stesse “amicizie pericolose”, gli stessi alleati vaticani, lo stesso inossidabile atlantismo», benché «venato di amicizie moscovite e tripoline». Non mancano i punti di contatto: dall’intreccio della Banca Rasini alla vicinanza di entrambi con la P2, fino alla presenza di uomini come Luigi Bisignani prima a fianco dell’uno, poi nella sfera d’azione dell’altro. A mettere a fuoco questa tesi è l’ultima edizione del libro di Aldo Giannuli sul “Noto Servizio”, l’intelligence-ombra di cui Andreotti si servì per tutta la durata della sua lunghissima stagione di potere.
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Si scrive debito, si legge euro: ma neppure Grillo ne parla
«No, non vogliamo parlare dell’euro». Intervistato da “Bloomberg”, Beppe Grillo si rifiuta di denunciare il nemico numero uno della crisi italiana. Buio pesto, allora, se se nemmeno il “Movimento 5 Stelle” se la sente di parlare apertamente del problema-euro: «Dato che tutti i media, i sindacati, le associazioni di impresa e ovviamente i partiti non vogliono parlare dell’euro e che il capo del movimento alternativo non vuole parlare dell’euro, per ora bisogna puntare su qualcosa d’altro», prende nota il blog “Cobraf”. «Grillo oscilla sempre un poco, stando ai post del suo blog che ogni tanto fanno intravedere qualcosa di diverso, ma quando lo intervistano (solo stampa estera) ripete sempre che preferisce il default e non l’uscita dall’euro». Meglio restare nella trappola della Bce rinegoziando il debito, con «un default parziale dei titoli di Stato». L’unica chance dell’Italia? «E’ puntare sul crash per cambiare le cose. Cioè, fino al crash non si può fare molto. E solo dopo, la gente si sveglierà e il M5S andrà al governo».
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Exit Ligresti, l’uomo che ebbe in pugno politica e finanza
Facile prendersela con il vecchio don Salvatore, ora che sembra davvero finito, dopo tante cadute e tante resurrezioni. L’hanno abbandonato tutti. Dove sono, oggi, quelli che l’hanno creato, usato e sostenuto per almeno tre decenni? Alcuni sono usciti di scena, altri no. Senza i suoi molti e potenti amici nella politica e nella finanza, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi, da Enrico Cuccia a Cesare Geronzi, Salvatore Ligresti non sarebbe mai diventato Salvatore Ligresti. Mediobanca lo ha scaricato, certo: ma dopo averlo nutrito, dal 2003 al 2012, con l’incredibile cifra di 1 miliardo e 200 milioni per sostenere Fonsai. Unicredit ha chiuso i rubinetti, d’accordo: ma dopo aver assistito ai magheggi con cui gestiva le società a monte di Fonsai, Inco e Sinergia.
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Vaticano, Rotschild, Rockefeller: al potere i loro uomini
«La grave congiuntura attuale rappresenta una crisi senza precedenti. Già il crac del 2008 ha messo in evidenza la debolezza del sistema finanziario internazionale. L’Europa è sotto attacco. La si preferisce divisa, con monete deboli. Si sono gettate le premesse per la creazione di un nuovo ordine mondiale». Parola di un banchiere, che ha chiesto di restare anonimo, che per una vita ha lavorato al Banco di Santo Spirito, istituto legatissimo alle finanze vaticane, di cui lo Ior detiene una partecipazione. Nel 1989 il Banco è confluito nella Cassa di Risparmio di Roma con cui, assieme al Banco di Roma, nel 1992 fonderà la Banca di Roma, oggi parte del gruppo Unicredit.
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Luxottica: le banche ci aiutino a creare lavoro, non finanza
Le banche? «Hanno perso la testa», gettandosi nella finanza: cercano soldi facili, trascurando il credito alle imprese, e così il paese va a picco. Parola di Leonardo Del Vecchio, l’ultimo grande imprenditore italiano, patron dell’impero Luxottica. Cominciò a 27 anni, in un capannone vicino a Belluno offertogli dalla Regione per far lavorare disoccupati provenienti dalle montagne. Oggi è presente in 132 paesi, ha oltre 75.000 dipendenti di cui 62.000 in Italia. Mai uno sciopero, né una protesta. «La discussione sull’articolo 18? Fuorviante: dei miei dipendenti nessuno rischia il licenziamento, se sei un vero imprenditore il tuo sogno non è licenziare, ma assumere». Del Vecchio produce lenti per occhiali e le vende in tutto il mondo. Tra i suoi clienti più famosi la polizia stradale della California, i celeberrimi “Chips”, e marchi come Christian Dior e Yves Saint Laurent. Di più: a comprare prodotti Luxottica è anche l’esercito cinese. Incredibile ma vero: Del Vecchio produce in Italia e vende in Cina.
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Politici muti: pagati e ricattati dalla mafia della finanza
Mps, tangenti, Finmeccanica? Sono solo la vetta dell’iceberg, che spesso esplode – a orologeria – col pretesto puntuale della corruzione, grazie a dossier tenuti nel cassetto per il momento opportuno: vedi la liquidazione improvvisa di Di Pietro e della Lega, anch’essa travolta da strani scandali, e persino le intimidazioni che, da Siena, minacciano il Pd: guai a sgarrare, a deviare dall’agenda Monti. E’ la mafia, bellezza: e tu non puoi farci niente. Lo sostiene un economista europeo come il professor Bruno Amoroso. La mafia di cui parla è quella della finanza, che adotta gli stessi metodi di Cosa Nostra: usa i politici, li compra, li ricatta e li fa fuori quando non servono più o, addirittura, quando minacciano gli affari. Il grande business? Aver permesso di inquinare, con “titoli spazzatura”, il portafoglio delle banche. Ricostruzione-choc: i nostri politici sono tutti sotto ricatto, perché hanno accettato – a suon di miliardi – di svendere il sistema bancario alla finanza tossica, senza protestare.
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Sapelli: lavoro, non profitto. E bastano tre ore al giorno
Tre ore di lavoro al giorno? «Sono più che sufficienti», purché si tratti di «lavoro liberato» dalla schiavitù del profitto. Giulio Sapelli concorda con Keynes: ridurre l’orario di lavoro è possibile, eccome. «E sarebbe una grande liberazione». Parola d’ordine: cooperazione, al posto dell’attuale – fallimentare – competitività. Sembra l’annuncio di morte del capitalismo moderno, dopo oltre due secoli di industria. Lo pronuncia, senza imbarazzi, uno dei maggiori storici italiani dell’economia: professore alla London School of Economics e poi a Barcellona, Sapelli è un big di prima grandezza nel panorama economico e finanziario italiano: già consulente dell’Olivetti e consigliere di amministrazione dell’Eni, è stato presidente della fondazione del Monte dei Paschi di Siena e membro del Cda di Unicredit. Rappresentante per l’Italia di Transparency International, organizzazione che lotta contro la corruzione economica, dal 2002 è tra i componenti del World Oil Council e dal 2003 fa parte dell’International Board dell’Ocse per il settore no-profit.
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Dagospia: i Bilderberg in Vaticano con Letta e Mentana
I Bilderberg a Roma dal 13 novembre, «quasi come se fosse una provocazione», per parlare del commissariamento dei paesi dell’Eurozona più a rischio: Italia, Spagna e Grecia. «Della riunione – scrive “Dagospia” – non c’è traccia neppure sul sito ufficiale della più potente e misteriosa organizzazione mondiale che raccoglie manager, banchieri e imprenditori da tutto il mondo». Secondo le “talpe” di Roberto D’Agostino, la segretaria organizzativa del “super-clan” planetario, Marlieke de Vogel, sarebbe “disperata”, perché «l’incontro segretissimo di Roma del più potente circolo finanziario para-massonico mondiale» rischia un clamoroso flop. Motivo: l’organizzazione ha piazzato gli ospiti all’Hotel de Russie, angolo piazza del Popolo, a due passi dalla folla di troupe che presidiano il festival del cinema. Peggio: i musei vaticani saranno chiusi in anticipo per consentire ai super-oligarchi di consumare una frugale cenetta tra i capolavori d’arte: centomila euro per 80 invitati.
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Ricchissimi e senza regole, i banchieri non pagano la crisi
Sono quattro anni che si valuta di introdurre un tetto agli stipendi dei banchieri ma fino a oggi non si è fatto nulla. Ed è molto probabile che le cose non cambieranno. L’ultima proposta in ordine di tempo è arrivata dal report Liikanen, la proposta per una regolamentazione del settore bancario europeo elaborata dal membro finlandese della Bce, Erkki Liikanen, su mandato della Commissione Europea. La bozza di riforma, presentata pochi giorni fa a Bruxelles, suggerisce, fra le altre cose, di pagare i bonus ai banchieri almeno in parte in azioni e obbligazioni della banca stessa, di modo che, in caso di fallimento di quest’ultima, i manager non percepiscano la parte variabile della loro retribuzione.
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Ecco chi sono i “rentiers” che campano sulla nostra rovina
Crisi epocale, indotta con la “politica della carenza” dalle élites che intendono restaurare l’antico potere feudale su masse sterminate di sudditi, anziché di cittadini. La brutta notizia? Ci stanno riuscendo, truccando le carte: l’austerity diventa una virtù, che tutti accettano. Paolo Barnard, giornalista e saggista, denuncia senza mezzi termini i “rentiers” che sono all’origine della crisi, culminata col disastro dell’Eurozona e la fine delle sovranità finanziarie, a scapito di milioni di cittadini. I nobili di ieri, i latifondisti, gli oligarchi, e ora gli speculatori finanziari. «Scomparsi duchi e baroni, e i latifondisti delle corti borboniche, i “rentiers” hanno dovuto modernizzarsi, cioè apprendere un mestiere almeno di facciata, pur sempre ricavando le loro fortune dal sudore e dalle abilità di altri». Per Barnard, «la famiglia Agnelli in Italia è un esempio». Gli Agnelli, «forse i più inetti produttori di auto del mondo occidentale per quasi un secolo», sono sopravvissuti e hanno goduto di immensi privilegi «grazie allo sfruttamento di generazioni di immigrati meridionali e a sussidi di denaro pubblico in quantità grottesca».