Archivio del Tag ‘Ue’
-
Omeopatia, a rischio i farmaci per 11 milioni di italiani
Dal Parlamento al Tar, si consuma in queste settimane la battaglia per salvare centinaia di medicinali omeopatici dalla scomparsa. Il casus belli? Le modalità con cui il legislatore italiano ha recepito la direttiva europea che prevede la “schedatura” dei medicinali omeopatici in commercio e la valutazione sulle modalità produttive per garantirne la qualità. Il cosiddetto “decreto Balduzzi”, poi convertito in legge, ha imposto tariffe di registrazione per le specialità medicinali 700 volte superiori a quelle precedenti e questo ha gettato nel panico le aziende, soprattutto quelle medio-piccole che si troverebbero costrette a chiudere o a fare tagli drastici per poter andare avanti. Peraltro, la procedura, nella distorsione italiana, come ha spiegato anche Omeoimprese (l’associazione industriale italiana dei produttori di rimedi omeopatici), impone che i medicinali omeopatici vengano registrati come se fossero nuovi, mentre sono sul mercato da decenni.
-
Benetazzo: scordiamoci l’Italia, sta per essere cancellata
Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.La svendita del paese, ricorda Benetazzo sul suo blog, è una ingloriosa esclusiva del centrosinistra: prima Amato, poi D’Alema e quindi Prodi. «Si vende l’argenteria, per pagare i debiti contratti per giocare alle slot machine». Ormai ci siamo: senza un Piano-B, si salvi chi può. «Non ci saranno scialuppe per tutti, molti faranno la fine di tante povere pecore: scannati vivi». E non serviranno a nulla «il pianto in diretta presso il talk show di turno, l’appello di qualche autorità rinsavita o le esternazioni prosaiche formulate dagli ambienti cattolici». Non si scappa: la strada è segnata da quella maledetta lettera firmata da Draghi e Trichet, col pretesto di «mettere il paese in sicurezza economica e finanziaria», dopo l’esplosione dello spread gonfiato dallo stesso super-potere finanziario con l’obiettivo di mettere in crisi l’Italia per poi sbranarla comodamente, a prezzi di saldo, con la complicità del personale politico nazionale. Le chiamano “riforme strutturali”: quanto accadrà nei prossimi mesi non è altro che l’applicazione di quella lettera. «Andatevela a rileggere e studiare, nei minimi dettagli», scrive Benetazzo. Era tutto scritto: dopo aver messo mano a pensioni e risparmi, sarà “obbligatorio” intervenire su quei gangli vitali che finora nessuno ha avuto il coraggio di modificare.Quelli della lettera? Potranno sembrare «capisaldi di buon senso, necessari per sgravare il peso della attuale fiscalità diffusa», almeno per provare a rimettere in moto «un paese che tra otto anni sarà scalzato dal Messico e dal Brasile». Chi non ha “visto” subito il pericolo – lo smantellamento del sistema-Italia – tenterà una retromarcia per salvarsi. Ma ormai sarà troppo tardi anche per i «diversamente rinsaviti». Quelli che pagheranno il conto più amaro, continua Benetazzo, saranno proprio quei soggetti che hanno vissuto per decenni «dentro una cupola intoccabile», cioè i dipendenti pubblici e parastatali: «Finalmente capiranno che cosa significa, semanticamente, il termine di “equità sociale” quando calerà la scure del Memorandum of Undestanding affiancato dalle Omt, Outright Monetary Transactions». Sarà la fine del paesaggio socio-economico al quale siamo abituati da sempre. Se qualcuno dei tagli farà piazza pulita di alcune storture, il risultato sarà devastante: terra bruciata, là dove c’era la comunità nazionale italiana.Succederà a colpi di imposizioni europee, quando non avremo più risorse a cui attingere: aumento della concorrenza nei servizi pubblici (fine delle baronie e dei feudi di famiglia, ma probabilmente tariffe più care) e nuova fiscalità, per rendere le imprese italiane più competitive (fine dell’Irap e diminuzione dell’Ire). Poi: “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria, ovvero «assicurazioni private ove non sussista più l’intervento generico dello stato sociale», con tanti saluti al welfare sanitario universale. Il mercato del lavoro? Più “dinamico ed efficiente”. Traduzione: «Libertà di licenziamento senza obblighi di reintegro». In agenda anche la “liberalizzazione dei servizi professionali”, quindi la fine degli ordini professionali, e la “riforma della contrattazione sindacale”, cioè il ridimensionamento del potere contrattuale di sindacati ormai rassegnati a negoziare solo la perdita dei diritti del lavoro. Altro capitolo, il “miglioramento dell’efficienza amministrativa”, ovvero: «Inserimento di indicatori di performance per i dipendenti pubblici per la valutazione del loro operato». E naturalmente, “snellimento dei centri di responsabilità”. Leggasi: abolizione del Senato e delle Province, e accorpamento dei Comuni, cioè gli ultimi centri istituzionali ancora controllabili dai cittadini mediante l’istituto delle elezioni. A volte la democrazia ha funzionato? Niente paura: laddove rischia di ostacolare il business, verrà semplicemente rimossa.Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.
-
Liberarsi dall’euro, non-moneta fraudolenta e totalitaria
La nostra maledizione? Si chiama euro. «Più che una moneta, è un metodo di governo occulto, elitario, illegittimo, autoritario e antidemocratico». Una minaccia «che divide, anziché unire i popoli europei, col terrorismo della miseria (fuori dall’euro) e la promessa della prosperità (dentro l’euro)». Un mito, «falsificato in diverse varianti, a seconda della realtà socio-economica interna di ciascun paese». L’inizio della fine? Lo storico divorzio tra governi e banche centrali, dove queste ultime hanno cessato di fungere da “bancomat” degli Stati per sostenere la spesa pubblica. Di qui le “riforme strutturali” che prevedono stangate fiscali e misure recessive, privatizzazioni dei servizi, devastazione del lavoro con flessibilità, precarizzazione e licenziamenti facili. Era un piano preciso: togliere ossigeno agli Stati, azzoppando le economie democratiche a vantaggio delle élite. Lo spread? «Chiaramente pilotato dalla Bce, come “clava di ultima istanza” per costringere i governi periferici a imporre l’amara medicina».Obiettivo: smantellare lo Stato democratico – garante dei cittadini – per privatizzare tutto, a beneficio di pochi ricchissimi. E tutto questo, osserva Alberto Conti su “Megachip”, grazie a un alibi come il «falso dogma dell’indipendenza della politica monetaria ai fini della stabilità». Così, si è formata l’euro-burocrazia al servizio delle lobby economico-finanziarie, che di fatto si arrogano il diritto d’interpretare il processo di unificazione europea, «falsamente presentato con la persuasiva immagine progressista dei padri fondatori di un sogno, che in realtà si è trasformato in un incubo», soprattutto per paesi come l’Italia. Col maturare della crisi, «l’euro mostra sempre più la sua vera natura di moneta fraudolenta, con la funzione di idrovora della ricchezza pompata dal basso verso l’alto». Ma la cosa peggiore è che questi falsi ideologici «alimentano odio e false contrapposizioni d’interesse tra i popoli, in nome della “competitività nei liberi mercati”, senza mai specificare se fisici o finanziari, in una logica di commistione diabolica dove per salvare gli uni occorre distruggere gli altri».Che l’euro sia una non-moneta, continua Conti, lo testimonia il suo disegno strutturale fin dalla nascita (Maastricht, Bundesbank, Deutsche Bank), i cui esiti nefasti si stanno manifestando dopo poco più di un decennio dalla sua entrata in vigore, precipitati e aggravati dalla crisi finanziaria globale che ha il suo epicentro a Wall Street. Basta un raffronto dell’euro col dollaro – i debiti sovrani europei e quello federale Usa – per capire le analogie e le differenze della “nostra” (si fa per dire) moneta con quella di riferimento globale, cioè il dollaro di Bretton Woods, dal 1971 divenuto «la principale arma di contrapposizione ostile e violenta dell’impero col resto del mondo». Quanto all’euro, «da promessa di simbolo e motore economico dell’Unione Europea», si è presto rivelato essere il suo esatto opposto, cioè «strumento di prevaricazione di pochi sempre più ricchi sulle masse impoverite». Una vera «forza disgregatrice dell’Unione Europea, dopo i primi illusori anni». La catastrofe della periferia, però, è di tali proporzioni da travolgere di seguito anche il centro, che però un risultato lo ha comunque ottenuto: consolidare l’economia della Germania riunificata, “stabilizzando” un alleato strategico degli Usa.«Si pronuncia euro, copyright della Bce, ma si legge “potere della finanza globale neoliberista”», realizzato «attraverso la longa manus di un sistema bancario privatizzato e asservito agli interessi dell’élite, come già le corporation che monopolizzano i mercati fisici e il sistema mediatico che disinforma e addormenta le masse». Dunque, che fare? Abbattere questo “mostro” o riformarlo, mettendolo al servizio dei popoli? Per Conti, «la natura non riformabile di questa sovrastruttura tecno-politica può pur sempre trasfigurare in positivo semplicemente abrogandone la sua caratteristica principale, il totalitarismo progressivamente istituzionalizzato, cioè il fatto di essere una “moneta unica” non nel senso che è comune (10 paesi dell’Ue non l’hanno mai adottata), ma nel senso che non ammette altre valute là dove invece è stata introdotta nel 2000». Tecnicamente basterebbe aggiungere in ogni paese dell’Eurozona una nuova moneta nazionale (Euro-lira, Euro-marco, Euro-pesetas), inizialmente nel rapporto 1:1 con l’euro; la nuova moneta sostituirebbe quella della Bce per la fiscalità e i pagamenti interni al paese, lasciando all’euro la funzione di pagamento nelle transazioni tra paesi diversi. Decisivo il rapporto dei cambi: andrebbe aggiornato periodicamente «sotto il controllo di un nuovo Parlamento Europeo, finalmente dotato della dignità di un vero governo di competenza strettamente confederale, che governa la Bce collegialmente».Questa misura, per avere il successo sperato e traghettare l’Europa fuori dalla crisi, dovrebbe essere accompagnata da un decalogo di cambiamento radicale. Mai più cessioni improprie di sovranità nazionale, a cominciare da quella monetaria interna. Mai più obbedienza cieca, sotto ricatto, ai diktat del circo della finanza globalizzata. Mai più salvataggi pubblici dei crack degli speculatori privati, grandi o piccoli. Mai più la primazia del profitto privato sulla difesa del lavoro. Mai più il contrasto alla recessione con misure recessive. E mai più libera circolazione di merci e capitali contro gli equilibri e gli interessi leciti dell’economia locale. Inoltre, aggiunge Conti, bisognerebbe bloccare gli attacchi speculativi eterodiretti alla valuta nazionale, impedire che i “debiti sovrani” finiscano fuori controllo. Mai più interferenze delle lobby, le grandi mafie che oggi dettano ai governi le misure da infliggere ai cittadini. Obiettivo possibile, a patto che risorga lo Stato democratico come “attore dell’economia”, con «funzioni di stimolo e di controllo sistemico». Dalla dignità dello Stato dipende quella dei cittadini, quindi la democrazia: serve «una forte volontà politica» per globalizzare i diritti, verso un futuro di pace che ci liberi dall’incubo.La nostra maledizione? Si chiama euro. «Più che una moneta, è un metodo di governo occulto, elitario, illegittimo, autoritario e antidemocratico». Una minaccia «che divide, anziché unire i popoli europei, col terrorismo della miseria (fuori dall’euro) e la promessa della prosperità (dentro l’euro)». Un mito, «falsificato in diverse varianti, a seconda della realtà socio-economica interna di ciascun paese». L’inizio della fine? Lo storico divorzio tra governi e banche centrali, dove queste ultime hanno cessato di fungere da “bancomat” degli Stati per sostenere la spesa pubblica. Di qui le “riforme strutturali” che prevedono stangate fiscali e misure recessive, privatizzazioni dei servizi, devastazione del lavoro con flessibilità, precarizzazione e licenziamenti facili. Era un piano preciso: togliere ossigeno agli Stati, azzoppando le economie democratiche a vantaggio delle élite. Lo spread? «Chiaramente pilotato dalla Bce, come “clava di ultima istanza” per costringere i governi periferici a imporre l’amara medicina».
-
Potere massonico: Silvio e Giorgio, affinità e fratellanza?
«Berlusconi ha avuto molto, in passato, in termini di supporto e relazioni significative, dall’ambiente libero-muratorio. Per converso, sono stati proprio alcuni circuiti massonici sovranazionali a pretendere e a determinare la caduta politica del “fratello Silvio” nell’autunno del 2011, imponendo il collocamento del “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi». Un’affermazione forte, che il leader del “Grande Oriente Democratico” Gioele Magaldi ha rilasciato in un’intervista a Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara, autori del saggio “I panni sporchi della sinistra” (Chiarelettere). Ma l’obiettivo dei due autori non è tanto il Cavaliere, la cui militanza massonica è arcinota, quanto l’uomo del Colle: «Il complesso rapporto creatosi nel corso degli anni tra Berlusconi e Napolitano – scrivono – suggerisce sintonie che spesso vanno oltre la simpatia personale e il reciproco rispetto che può esistere tra figure che dovrebbero essere radicalmente lontane, sia per storia intellettuale e professionale sia per schieramento politico».Se di Berlusconi si ricorda l’iscrizione alla Loggia P2 di Licio Gelli nel 1978, da cui poi proseguì «il suo percorso massonico alla corte del Gran maestro Armando Corona dal 1982 al 1990», con accanto Marcello Dell’Utri – sempre secondo Magaldi – per tessere la rete di relazioni alla base di Forza Italia, per Pinotti e Santachiara è «molto più complesso il discorso che riguarda Napolitano», come affermano nel loro libro, di cui “Affari Italiani” pubblica un’anticipazione. «È possibile che le sintonie con Berlusconi siano state facilitate da comuni vicinanze su questo terreno? Secondo Magaldi – che lo ha affermato in numerose interviste – non vi sono dubbi sul fatto che il presidente della Repubblica sia un “fratello”». Dichiarazioni certamente insufficienti, ammettono i due giornalisti, intenzionati ad “approfondire” il tema con «un’autorevole fonte», che però «ha chiesto di rimanere anonima». Si tratta di «un avvocato di altissimo livello, cassazionista, consulente delle più alte cariche istituzionali, massone con solidissimi agganci internazionali in Israele e negli Stati Uniti». L’avvocato sarebbe «figlio di un dirigente del Pci, massone, e lui stesso molto vicino al Pd». Secondo il legale, già il padre di Napolitano è stato «una delle figure più in vista della massoneria partenopea».Avvocato liberale, poeta e saggista, Giovanni Napolitano avrebbe trasmesso al figlio Giorgio (notoriamente legatissimo al padre, che ammirava profondamente) non solo l’amore per i codici ma anche quello per la “fratellanza”? «A rafforzare la connotazione “muratoria” dell’ambiente in cui è nato Giorgio Napoletano c’è un altro massone, amico fraterno del padre: Giovanni Amendola, padre di Giorgio, storico dirigente del Pci e figura fondamentale per la crescita intellettuale e politica dell’attuale presidente della Repubblica», scrivono Pinotti e Santachiara. «Va detto che l’appartenenza alla massoneria non è un reato, anzi, molto spesso figure a essa legate sono diventate protagoniste di rivoluzioni innovatrici e progressiste». Certo, il legame massonico «rappresenta una modalità di gestione del potere di cui poco si conosce». Modalità che «è spesso determinante per capire i fatti più recenti della politica italiana e internazionale». Per molti aspetti, sostiene la “fonte” dei due reporter, «Napolitano è assimilabile a Mitterrand, che era anche lui massone», ed è stato il politico più decisivo nell’imporre in Europa sia il regime dell’euro che l’asfissia del rigore come “virtù” neoliberista, oggi simboleggiata dal tetto del 3% deficit-Pil per la spesa pubblica. Un vincolo fatale, che sta mettendo in croce le democrazie europee e demolendo il nostro tessuto socio-economico.Sempre secondo l’anonimo avvocato napoletano citato da Pinotti e Santachiara, la visione di Napolitano è identica a quella della “république” incarnata da Mitterrand, «un monarchico travestito da socialista» secondo un ex consulente dell’Eliseo come l’economista Alain Parguez, nemico giurato dell’euro-regime di Bruxelles. «L’appartenenza massonica di Napolitano è molto diversa da quella di Ciampi, fa riferimento a mondi molto più ampi», continua “l’avvocato”. «Ciampi inoltre è un cattolico. Napolitano si muove in un contesto più vasto». La massoneria italiana, dal canto suo, ha sempre espresso grande simpatia verso l’attuale presidente della Repubblica, sostengono i due autori del libro. «Il Gran maestro del Grande Oriente d’Italia (Goi), avvocato Gustavo Raffi, si è rivolto più volte pubblicamente a Napolitano, esprimendo simpatia e deferenza». Il 10 maggio 2006, dopo la prima elezione alla presidenza della Repubblica, Raffi esultava indicando la scelta di Napolitano come «uno dei momenti più alti nella vita democratica del paese», ed esprimeva felicitazioni «a nome dei liberi muratori del Grande Oriente d’Italia».Stesso entusiasmo nel marzo del 2010, per la rielezione di Napolitano al Quirinale, di fronte all’agonia del Parlamento tramortito dall’exploit di Grillo dopo la micidiale “cura dimagrante” affidata a Monti e Fornero. E il 13 giugno 2010, lo stesso Raffi si è spinto «sino alla soglia di pesanti rivelazioni, rispondendo a una domanda non casuale di Lucia Annunziata», nella trasmissione Rai “In mezz’ora”. Domanda: «Napolitano potrebbe essere un massone sotto il profilo dei valori?». Netta la risposta di Raffi: «A mio avviso sì, per umanità, distacco, intelligenza, per avere levigato la pietra, per averla sgrezzata, lo dico in linguaggio muratorio, in questo senso sì». Anche nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, aggiungono Pinotti e Santachiara, si registrano convergenze tra la spinta celebrativa del Colle e i momenti pubblici organizzati dalla massoneria italiana, artefice forte del Risorgimento. Il 7 gennaio 2011 Raffi apre le danze dichiarando: «Come ci ricorda con il suo esempio altissimo il capo dello Stato Giorgio Napolitano, abbiamo il compito di ritrovare fiducia, unità e coesione nazionale, capacità di risolvere i problemi, insieme a progetti che indichino la strada al di là di ogni polemica di parte e del cortile degli interessi».«Berlusconi ha avuto molto, in passato, in termini di supporto e relazioni significative, dall’ambiente libero-muratorio. Per converso, sono stati proprio alcuni circuiti massonici sovranazionali a pretendere e a determinare la caduta politica del “fratello Silvio” nell’autunno del 2011, imponendo il collocamento del “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi». Un’affermazione forte, che il leader del “Grande Oriente Democratico” Gioele Magaldi ha rilasciato in un’intervista a Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara, autori del saggio “I panni sporchi della sinistra” (Chiarelettere). Ma l’obiettivo dei due autori non è tanto il Cavaliere, la cui militanza massonica è arcinota, quanto l’uomo del Colle: «Il complesso rapporto creatosi nel corso degli anni tra Berlusconi e Napolitano – scrivono – suggerisce sintonie che spesso vanno oltre la simpatia personale e il reciproco rispetto che può esistere tra figure che dovrebbero essere radicalmente lontane, sia per storia intellettuale e professionale sia per schieramento politico».
-
Sapelli: Italia kaputt, la Germania ci prenderà tutto
Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.Ma lasciamo perdere, queste cose nel tempo dei reset non le ricorda più nessuno, anche se contano. Questo attacco dell’Ue è ingiustificato, formalmente e politicamente. Ma esso è il frutto di un’enormità politica che ha offerto al dominio teutonico la testa dell’Italia su un piatto d’argento: un governo di pacificazione coalizionista che non riesce a presentare al Parlamento una finanziaria bloccata e su di essa chiedere la fiducia. Così si litiga mesi e mesi su qualche punto di Iva e sull’Imu sì o no, con un ministro del Tesoro incapace di trovare un miliardo nel bilancio dello Stato e che ci rappresenta in Europa con un’incapacità che non si è mai vista… Ma certo il problema è grande: se inviassero la troika cosa dovrebbe fare Letta? Dovrebbe in ogni caso farle fare un passo indietro e mandarla a casa a Bruxelles. Se cediamo ora su questo punto siamo finiti: ossia, il sistema industriale ed economico è finito. Chiunque parli con le cuspidi del potere economico tedesco sa che la battaglia d’Italia sono ora decisi a vincerla loro, i tedeschi, comprando a prezzi di svendita tutto ciò che è possibile.Ai francesi danno qualche spaziale consolazione e agli Usa non possono opporsi rispetto ai grandi gruppi, ma le medie imprese tascabili e co. – tra parentesi, ne abbiamo perse il 20% in questi ultimi due anni, ossia circa mille! – debbono finire in mano tedesca, secondo una logica di complementarietà nella maggioranza dei casi e non di distruzione, tipo quella operata da Prodi e compagni quando fecero le privatizzazioni. È quindi nella distruzione generale un passo avanti per occupazione e reddito e conservazione del patrimonio cognitivo. Ma vuol dire la subalternità economica assoluta. Questo non piace agli Usa, lo ripeto da sempre e da sempre ripeto che la via di uscita non è economica ma diplomatica e strategica: è geostrategica sino a nuovi rapporti con la Russia. Se non fanno questo, Letta e Alfano, se non si opporranno direttamente, come dovrebbero patriotticamente fare, alle misure ingiuste che si profilano venire dall’Europa, faranno entrambi la fine di Papandreou: chiese un referendum prima dell’arrivo della troika, ora è sparito, non se ne parla più, non si sa neppure dove sia finito.(Giulio Sapelli, “La Germania prepara la campagna d’Italia”, da “Il Sussidiario” del 19 novembre 2013).Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.
-
Banche fuorilegge, da rottamare? Fa parte del piano
«E’ tutto un peggiorare i servizi, aumentare i costi e le tariffe, destabilizzare i bilanci, dequalificare il personale». Degrado programmato, che procede tra trent’anni e coinvolge anche le grandi imprese private, a cominciare da un settore cruciale e decisivo per l’economia e la società: quello bancario. Marco Dello Luna lo chiama “Progetto Disorganizzazione”. Obiettivo: «Consentire ai capitali stranieri di impadronirsi dei gangli fondamentali dell’economia nazionale», e quindi «dirigere le nostre istituzioni attraverso la detenzione del debito pubblico italiano». Tutte cose «già abbondantemente realizzate». Nel lungo periodo, «si sta lavorando per produrre un dissesto funzionale generale del sistema Italia, in modo che si formino le condizioni di emergenza e di consenso popolare» per trasferire la gestione di tutto agli eurocrati, «come burattini dell’unico Stato super-creditore e super-efficiente: la Germania». Sono andate in questo senso anche le politiche economiche degli ultimi governi, «finalizzate a rafforzare la recessione del paese riducendone la competitività».Oggi, sostiene l’avvocato Della Luna, il conto economico della grande maggioranza delle banche si regge su tre colonne «improprie e instabili», che crollerebbero all’istante «se venisse applicata la tanto strombazzata legalità». Primo, gli utili fittizi: si segnano a bilancio utili solo teorici, relativi a crediti in sofferenza ma classificati “a rischio ordinario”. «Contenzioso sommerso: se emergessero, e prima o poi emergeranno, salterebbero sia i conti economici che quelli patrimoniali, quindi tutto il sistema bancario italiano». Seconda “colonna di burro”, gli alti guadagni realizzati vendendo prodotti finanziari fraudolenti, una prassi che sta distruggendo il risparmio. Terzo problema capitale, «la quasi sistematica applicazione di tassi d’interesse e commissioni oltre la soglia di usura», che la Banca d’Italia continua a non “vedere”. Risultato: «Non possiamo applicare le leggi alle banche, altrimenti il sistema bancario salta per aria».Come si è arrivati a tanto? «Tappe fondamentali, legate ai più bei nomi della politica italiana, sono la trasformazione delle banche pubbliche in società private finalizzate al profitto e gestite da fondazioni in mano ai partiti». Abolita la separazione delle banche di credito e risparmio da quelle di azzardo speculativo, dalle stesse teste – Draghi in primis – che hanno pensato la privatizzazione di Bankitalia, ceduta ai finanzieri – prima solo “de facto”, poi anche formalmente dal 2006. Nell’organizzazione del personale e del rapporto coi clienti, ormai vige il “Metodo Mc Kinsey”. Via i vecchi funzionari collaudati e preparati, rimpiazzati da giovani inesperti (la formazione costa), assunti con precari contratti da fame e incoraggiati a “vendere per vendere”, nel brevissimo termine. Addio all’antico core business bancario: non più raccolta del risparmio ed erogazione del credito con attenzione alla qualità e solvibilità dei clienti nel tempo, ma vendita forzata di prodotti finanziari, bancari e assicurativi.Inoltre, aggiunge Della Luna, all’ignaro pubblico si sono erogati crediti “facili” sotto forma di prodotti strutturati, «contenenti la fregatura, cioè trasferendo il rischio dalla banca ai risparmiatori, senza avvertirli». Poi ecco i tagli al credito verso le imprese in crisi: e quindi recessione, meno redditi, meno risparmi e dunque meno investimenti. Ancora: si pretende che i direttori di filiale si comportino da super-manager, per giunta senza il personale necessario, mentre si adottano metodi di vendita prettamente commerciali: «Al personale si ordina di telefonare a liste preconfezionate di clienti per vendere carte di credito, polizze, prodotti finanziari». Intanto, si allargano le remunerazioni dei vertici «anche quando hanno cagionato gravissimi danni», mentre a impiegati e funzionari si taglino posti di lavoro, stipendi, premi di produzione; si disdicono i contratti di categoria, si allunga l’orario serale di lavoro, si intimidiscono i dipendenti. Tutto questo viene deciso dai vertici, come in una catena di comando militare. Gli obiettivi? Spesso vengono dettati «senza le risorse (di tempo, competenze e personale) per raggiungerli». Frustrazioni, contraddizioni, difficoltà: le conseguenze vengono «scaricate sui dirigenti locali e sui quadri direttivi».La strategia di assegnare compiti e obiettivi irrealizzabili «può essere letta come una tecnica di sottomissione», sostiene Della Luna. «Combinata alla sistematica dequalificazione del personale e alla soppressione dei diritti contrattuali», questa “strategia dello sfascio” «sembra preludere a una profonda ristrutturazione dei rapporti sociali». Critiche sul ruolo delle banche, che dovrebbero tornare a far credito all’economia reale anziché speculare con la finanza, sono giunte di recente anche da Napolitano, «che peraltro sottoscrisse la privatizzazione di diritto della Banca d’Italia». Per l’Abi, invece, le banche sono imprese private e quindi devono far profitti, libere cioè di inseguire i business più lucrosi. Peccato che proprio le banche «hanno l’esclusiva dello svolgimento di un servizio di pubblica necessità, cioè la creazione e la allocazione della liquidità». Della Luna ricorda che il 92% della moneta è creata dalle banche di credito mediante l’erogazione di credito. Inoltre, quello bancario è anche un servizio che implica l’uso di un potere pubblico, per la creazione di moneta: una posizione esclusiva, di “monopolio del denaro”, che dovrebbe imporre alle banche di rispettare le necessità dell’economia e della società, «e di non strozzinarle per aumentare i propri profitti». Ma ai boss dei partiti, evidentemente, va bene così.«E’ tutto un peggiorare i servizi, aumentare i costi e le tariffe, destabilizzare i bilanci, dequalificare il personale». Degrado programmato, che procede tra trent’anni e coinvolge anche le grandi imprese private, a cominciare da un settore cruciale e decisivo per l’economia e la società: quello bancario. Marco Dello Luna lo chiama “Progetto Disorganizzazione”. Obiettivo: «Consentire ai capitali stranieri di impadronirsi dei gangli fondamentali dell’economia nazionale», e quindi «dirigere le nostre istituzioni attraverso la detenzione del debito pubblico italiano». Tutte cose «già abbondantemente realizzate». Nel lungo periodo, «si sta lavorando per produrre un dissesto funzionale generale del sistema Italia, in modo che si formino le condizioni di emergenza e di consenso popolare» per trasferire la gestione di tutto agli eurocrati, «come burattini dell’unico Stato super-creditore e super-efficiente: la Germania». Sono andate in questo senso anche le politiche economiche degli ultimi governi, «finalizzate a rafforzare la recessione del paese riducendone la competitività».
-
Le Pen e Orban fascisti? Ma Grillo non sa di cosa parla
Passi la condanna dell’atroce “Alba Dorata” che sfrutta la disperazione della Grecia affamata dalla Troika, richiamandosi direttamente all’iconografia nazista. Ma mettere sullo stesso banco egli imputati – categoria: epigoni del fascismo – l’ungherese Viktor Orban e la francese Marine Le Pen è più che assurdo: è ridicolo. Orban? «Quello che il blog di Grillo definisce un estremista è in realtà un moderato che combatte contro quelle lobby europee che anche Grillo dice di combattere», protestano gli analisti del blog “Scenari economici”. Tema: il “ritorno del fascismo in Europa”, evocato dal leader del M5S in vista dell’apertura della campagna elettorale per le europee 2014, in programma con terzo V-Day il 1° dicembre a Genova, destinato a segnare la svolta anti-euro del network coordinato da Casaleggio. Pietra dello scandalo, per “Scenari economici”, un recente post nel quale Grillo tenta di smarcarsi dai “colleghi” europei anti-Ue dopo la dura reprimenda impartita ai suoi parlamentari, troppo “teneri” con i profughi di Lampedusa, su cui per Grillo deve continuare a gravare il reato di clandestinità confezionato dalla Bossi-Fini.Il Grillo del novembre 2013 non spara più solo contro la piccola casta italiana dei “maggiordomi”, ma prende di mira quella vera: «Le oligarchie finanziarie si baloccano con governi compiacenti o direttamente imposti da loro». Si è “accorto”, Grillo, che «la Bce ha ormai il potere di influenzare la composizione dei governi nazionali». Brutta gente: «Questi alchimisti dello spread evocano una nuova guerra santa contro i “populismi”, rei di mettere in discussione un’architettura economica costruita sopra le teste dei cittadini». Povertà e la disoccupazione dilagano ovunque, in Europa: «La Grecia è stata lasciata morire dai “fratelli” europei, sacrificata sull’altare delle banche tedesche e francesi che volevano indietro la loro “libbra di carne”». L’Ue pretende «la spoliazione dei beni dello Stato e la distruzione del tessuto sociale, dei servizi di prima necessità, come la sanità». L’Europa? «Sta diventando un lazzaretto. Chi si ammala è lasciato alla sua sorte». Che razza di Europa è questa? «Assomiglia a quelle riunioni di mafiosi in cui chi sgarra viene assassinato».“Solidarietà”, insiste Grillo, doveva essere la prima parola, il primo mattone dell’edificio europeo. E invece, «i garanti dello status quo ormai insopportabile (in Italia la coppia al comando è Napolitano-Letta) continuano imperturbabili nelle loro convinzioni ignorando il mondo che gli sta crollando intorno. Indifferenti a un mostro che si sta svegliando e che sarà difficile, quasi impossibile, rinchiudere nelle gabbie del suo passato se diventerà più forte». Per questi «finti democratici», ma anche per le nostre democrazie, è in arrivo una minaccia che proviene direttamente dal cimitero della storia: «Il fascismo sta avanzando grazie a questi sciagurati in tutta Europa». Un sondaggio trasforma “Alba Dorata” nel primo partito in Grecia con il 26%, proprio come in Francia il Front National di Marine Le Pen, quotato al 24%. In Norvegia avanzano i conservatori, ma si afferma anche il Partito del Progresso, «nel quale militò Anders Breivik, responsabile dell’uccisione di 77 persone». E in Ungheria «il governo di estrema destra ha stilato una lista nera di personalità che avrebbero fornito ai media stranieri informazioni contro l’immagine del paese». Il premier Orban «ha cambiato la Costituzione minando l’indipendenza della banca centrale, l’autonomia della magistratura e dell’autorità garante della privacy e ha come obiettivo la Grande Ungheria nazionalista».Orban e Marine Le Pen nello stesso zoo del killer Breivik? «Quali sono le cause della nascita dei nuovi fascismi?», taglia corto Grillo. «Chi sono i veri responsabili? Chi ha tradito la democrazia?». Ora, che la politica «assurda» imposta dall’Ue ai paesi del Sud stia spingendo movimenti antisistema è senza dubbio vero, ma siamo sicuri che sia un male? Non è un sollievo, al contrario, se qualcuno comincia ad affrontare la “dittatura” di Bruxelles? «Grillo non si rende conto che quello che lui ha detto su questi movimenti, all’estero (ma anche in Italia), potrebbero dirlo tranquillamente su di lui», scrive “Scenari economici”. Se infatti un giudizio netto su “Alba Dorata” è più che comprensibile, «ben diverso è il discorso già con Marine Le Pen, una donna relativamente giovane che ha rinnovato un movimento profondamente nostalgico e che rifiuta la dicotomia destra-sinistra: quale fascismo potrebbe portare Marine Le Pen?». E poi: «Grillo ha mai letto il programma del Front National? Si può veramente aver paura di Marine Le Pen?». Certo non la temono i milioni di francesi che a maggio la voteranno, per spedirla a Strasburgo a difendere la Francia, cioè a fare il “mestiere” al quale, da Parigi, François Hollande continua a sottrarsi.Capitolo Orban. «Di solito, chi scrive sul premier ungherese è un ignorante disinformato», magari vittima della “distorsione mediatica” che, secondo “Scenari economici”, colpisce regolarmente Budapest. «Per esempio, nessuno ha mai detto che l’Ungheria sta vivendo una buona ripresa economica, sta riassorbendo la disoccupazione mentre la sua valuta, il fiorino ungherese, regge il mercato senza troppi problemi: i tempi del Fmi sono un ricordo». Orban un autocrate dittatoriale? Gli ungheresi sono con lui, democraticamente: l’hanno rieletto nel 2010 in modo schiacciante, con oltre il 50% del consensi, perché prometteva di liberare l’Ungheria dai ricatti della cupola di Bruxelles. Quanto alla banca centrale, Orban l’ha semplicemente ri-nazionalizzata, togliendola al controllo dell’élite finanziaria privatizzatrice. «Fino a quando Grillo continuerà a inserire tra indubbie verità alcune menzogne sarà sempre meno credibile», conclude “Scenari economici”. «Parlare male dell’Ungheria di Orban significa mentire», ovvero «continuare sulla strada di quell’estremismo di sinistra, in linea con i parlamentari del Movimento eletti in Parlamento, che sta distruggendo il Movimento e facendo perdere ogni voto moderato che Grillo aveva raccolto nel febbraio 2013».Passi la condanna dell’atroce “Alba Dorata” che sfrutta la disperazione della Grecia affamata dalla Troika, richiamandosi direttamente all’iconografia nazista. Ma mettere sullo stesso banco egli imputati – categoria: epigoni del fascismo – l’ungherese Viktor Orban e la francese Marine Le Pen è più che assurdo: è ridicolo. Orban? «Quello che il blog di Grillo definisce un estremista è in realtà un moderato che combatte contro quelle lobby europee che anche Grillo dice di combattere», protestano gli analisti del blog “Scenari economici”. Tema: il “ritorno del fascismo in Europa”, evocato dal leader del M5S in vista dell’apertura della campagna elettorale per le europee 2014, in programma con terzo V-Day il 1° dicembre a Genova, destinato a segnare la svolta anti-euro del network coordinato da Casaleggio. Pietra dello scandalo, per “Scenari economici”, un recente post nel quale Grillo tenta di smarcarsi dai “colleghi” europei anti-Ue dopo la dura reprimenda impartita ai suoi parlamentari, troppo “teneri” con i profughi di Lampedusa, su cui per Grillo deve continuare a gravare il reato di clandestinità confezionato dalla Bossi-Fini.
-
Panni sporchi: Napolitano e la resa della sinistra italiana
Dalle amicizie pericolose di Bersani a quelle di D’Alema, dalle ambigue innovazioni di Renzi alle ombre dell’Ilva su Vendola. Fino al “nuovo compromesso storico” di Enrico Letta e ai segreti di Giorgio Napolitano. Non risparmia nessuno “I panni sporchi della sinistra”, il libro di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara (edito da “Chiarelettere”) che mette a nudo le magagne del centrosinistra. Un lavoro nel quale i due autori analizzano una serie di inchieste giudiziarie che riguardano, a vario titolo, il mondo della sinistra. Dalla galassia-Bersani, quella dei Penati, Pronzato e Veronesi, alla vicenda di Flavio Fasano, referente di D’Alema invischiato in una storia di mafia. Dallo scandalo Ilva al caso Unipol, passando per i trasferimenti di due magistrate, Clementina Forleo e Desirée Digeronimo, che avevano indagato sulle responsabilità di importanti esponenti politici di sinistra. Per l’ex sinistra italiana, una vera e propria “mutazione genetica”: tra Quirinale e Berlusconi, Cia e massoneria.
-
Povero uno su 4: spiegate a Letta che si chiama catastrofe
Un europeo su quattro è a rischio povertà: secondo Eurostat, ci sono 120 milioni di persone in pericolo. «Ci vuole una bella dose di umorismo nero per parlare, oggi, di una ripresa imminente», una ripresa “a portata di mano”, come dice Enrico Letta. La realtà è brutale: disoccupazione record e assenza totale di politiche per l’occupazione. Senza lavoro, replica Luciano Gallino, l’economia reale non può che affondare. «Chi parla di ripresa asseconda le teorie economiche neoliberali che hanno conquistato il discorso mediatico: si guarda esclusivamente al Pil, e non al modo in cui è prodotto». Certo, «il Pil può crescere di qualche punto perché sono ripartite le attività finanziarie: ma che ripresa è questa?». La verità è che, a differenza degli Usa, «con le sue politiche di austerità, l’Europa non sta facendo altro che favorire la disoccupazione. Ignorando un altro aspetto fondamentale: la povertà».Solo in Italia, denuncia Gallino in un’intervista rilasciata all’“Huffington Post” e ripresa da “Micromega”, ci sono milioni di precari che guadagnano pochi euro all’anno e vivono nella disperata attesa del rinnovo di un contratto. Secondo i dati ufficiali, è seriamente a rischio almeno un quarto della popolazione europea. «Sono questi gli indicatori che bisogna tenere a mente quando si parla, perché le luci che si scorgono in fondo al tunnel possono anche essere i fari di un Tir che arriva a tutta velocità» e ci viene addosso. E il bello è che tutto questo non è affatto inevitabile: «Ad esempio, l’Ue potrebbe varare un grande progetto per l’occupazione», anziché imporre la follia del pareggio di bilancio in Costituzione. «In tutta la loro storia, gli Stati Uniti avranno rispettato il pareggio di bilancio quattro o cinque volte: vorrà pur dir qualcosa. Invece, il Parlamento italiano ha liquidato la questione in un quarto d’ora. Alla pesca del pesce azzurro nel Mediterraneo si sarebbero dedicati più tempo ed energie».Parlando della legge di stabilità, il viceministro dell’economia Stefano Fassina ha ammesso che una terapia shock per l’Italia è impossibile, per via dei vincoli imposti dall’attuale politica economica dell’Eurozona. Persino nel governo Letta c’è dunque chi auspica una “correzione di rotta”? Niente più che sussurri, dice Gallino, in un momento in cui servirebbe parlare forte e chiaro: «I nostri governanti (come quelli di altri paesi) appaiono totalmente succubi dei dettami di Bruxelles, questa è la verità. Mentre un grande paese fondatore dovrebbe avere la forza e l’energia per chiedere – se necessario – una riforma dei trattati o quanto meno un’interpretazione meno passiva degli stessi. I nostri governi – sia quello attuale che quello precedente – non l’hanno fatto. Si sono comportanti come il militare di leva che batte i tacchi e obbedisce all’ordine».Lo stesso Fassina si guarda bene dal prendere il toro per le corna. Nel suo ultimo libro, Gallino lo chiama “il colpo di Stato di banche e governi”. E spiega: «Dal 2010 in poi è intervenuto nei paesi dell’Unione Europea un paradosso: i milioni di vittime della crisi si sono visti richiedere perentoriamente dai loro governi di pagare i danni che essa ha provocato, dai quali proprio loro sono stati colpiti su larga scala. Il paradosso è che la crisi, fino all’inizio del 2010, è stata un crisi delle banche. Poi è iniziata una straordinaria operazione di marketing: si è fatta passare l’idea che il problema fossero i debiti pubblici degli Stati. Detta in parole semplici: i parlamenti hanno ceduto potere ai governi; i governi hanno ceduto alla Commissione Europea e alla Bce; la Bce e la Commissione Europea hanno assecondato Fmi e Banca Mondiale, e tutti insieme hanno ceduto alle grandi istituzioni finanziarie, che hanno bilanci superiori a quelli degli Stati nazionali».Un europeo su quattro è a rischio povertà: secondo Eurostat, ci sono 120 milioni di persone in pericolo. «Ci vuole una bella dose di umorismo nero per parlare, oggi, di una ripresa imminente», una ripresa “a portata di mano”, come dice Enrico Letta. La realtà è brutale: disoccupazione record e assenza totale di politiche per l’occupazione. Senza lavoro, replica Luciano Gallino, l’economia reale non può che affondare. «Chi parla di ripresa asseconda le teorie economiche neoliberali che hanno conquistato il discorso mediatico: si guarda esclusivamente al Pil, e non al modo in cui è prodotto». Certo, «il Pil può crescere di qualche punto perché sono ripartite le attività finanziarie: ma che ripresa è questa?». La verità è che, a differenza degli Usa, «con le sue politiche di austerità, l’Europa non sta facendo altro che favorire la disoccupazione. Ignorando un altro aspetto fondamentale: la povertà».
-
Expo-guerra, il bazar galleggiante dell’Italia che affonda
Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».Per il ministro Mauro, il bazar navigante – ribattezzato “crociera di morte” – non andrà a vendere armi di distruzione di massa al di fuori dalle convenzioni internazionali, ma resta una «missione di promozione» che incrocerà aree dove impazzano guerre e repressioni, come ad esempio Congo, Nigeria e Kenya, o terre «dove governi potenti finanziano guerre per procura», scrivono Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, indicando paesi come l’Arabia Saudita impegnata in Siria, o il Barhein con la sua “primavera” cancellata dai militari. Regioni del mondo «dove le spese sociali vengono ridimensionate se non cancellate per sostenere la sicurezza interna e le frontiere, come in Angola e Mozambico». Oman, Dubai, Doha, Gibuti, Madagascar, Sudafrica, Ghana, Senegal, e poi su fino a Casablanca in Marocco, e poi Algeri. In navigazione fino al 7 aprile 2014. Costo: 20 milioni di euro, di cui 7 a carico dello Stato e 13 dei “partner dell’industria privata”. «Soldi ben spesi: potranno usare la portaerei, lunga 244 metri e larga 39, come una grande fiera espositiva itinerante», con stand per accogliere i clienti. Prezzo amico: 200.000 euro per ogni giorno di navigazione.La portaerei non venderà certo l’immagine turistica dell’Italia: gli “ambasciatori” del paese sono le industrie di Finmeccanica come Agusta-Westland (elicotteri da guerra), Oto Melara (cannoni), Selex Es (sistemi radar e di combattimento), Wass (siluri), Telespazio (satelliti), e poi Mbda, coi suoi missili Aspide, Aster, Teseo. Poi ci sono la Intermarine (vascelli militari) e Elt, che offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea, terrestre e navale, mentre Beretta mette in mostra le sue pistole, accanto agli stand di lusso che presentano gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape. «Ogni cannone, ogni missile, ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti – scrivono i giornalisti del “Manifesto” – significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altre migliaia di bisognosi, affamati e morti, soprattutto tra i bambini, per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate». Ma niente paura, sulla nave «ci sono anche gli “operatori umanitari” pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi, per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare “le popolazioni bisognose”».Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».
-
La via dei lupi, per resistere. Vale un film: facciamolo
Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.«Viviamo in città lontano dalla natura, mangiamo senza fame e beviamo senza sete, ci stanchiamo senza che il corpo fatichi, rincorriamo il nostro tempo senza raggiungerlo mai». Così scriveva, Carlo Grande, nel libro-confessione “Terre alte”. «Abbiamo bisogno di riprenderci le nostre vite, di trovare una strada che ci riporti al centro di noi stessi». Era solo il 2008, ma sembra un secolo fa. «Quando si ha, come noi, una tale sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro, quando non ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre di che vivere e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una prigione senza confini, da cui è difficile fuggire». Oggi, col precipitare della crisi, molte di queste sicurezze sono cadute: sono migliaia, milioni, i cittadini italiani ed europei che hanno ripreso a preoccuparsi per la loro sorte immediata, a causa di una sofferenza decretata dall’alto di un potere oscuro, percepito come ostile. Un potere accusato di aver tradito la sua promessa, venendo meno al suo dovere.E’ proprio il dolore per il tradimento – quello del principe che gli ha sedotto la figlia – a scatenare la furia del feudatario valsusino: il Delfino francese ha calpestato le regole, su cui si regge la civiltà medievale del “paratge”, l’onore tra uomini liberi che accettano volontariamente di mettersi al servizio l’uno dell’altro. E’ la “civiltà mediterranea”, nella quale Simone Veil individua l’ultima reincarnazione dell’Atene di Pericle (il culto della bellezza) prima che le forze più aggressive della storia spegnessero la luce, dalle legioni conquistatrici alla sanguinosa repressione delle eresie libertarie. Se oggi i critici più intransigenti puntano il dito contro il nazi-capitalismo finanziario che muove i burattini di Bruxelles imponendo la “desmisura” di condizioni-capestro assolutamente insostenibili per il 99% dei cittadini, i territori riscoprono il valore dimenticato della comunità solidale, come dimensione indispensabile non solo per l’autodifesa, ma anche per la coltivazione di quell’umanesimo in mancanza del quale non potremmo vivere. Anche così si può rileggere la vicenda di François: senza il coraggioso sostegno della sua gente non sarebbe mai riuscito a ribellarsi né a evadere dal carcere, né tantomeno a resistere così a lungo tra le nevi delle sue montagne.E’ esattamente questo tipo di bellezza che il film è ansioso di esprimere, nel silenzio incantato delle foreste. C’è anche una salutare nostalgia per il “mondo bambino” del medioevo più luminoso, la civiltà di uomini e donne che sapevano gioire, piangere, commuoversi, tra montagne che – per secoli – tennero in vita la Repubblica degli Escartons, straordinario esperimento di autogoverno cantonale, nel cuore dell’Europa. Si parlava occitano, la lingua di François, quella in cui Dante avrebbe voluto scrivere la Commedia, perché solo i trovatori provenzali – i primi, dall’avvento della cristianità – avevano riscoperto la tenerezza dell’amore, quella dei lirici greci, e avevano cominciato a cantarla, sfidando l’oscurantismo vaticano grazie alla protezione di autorità politiche tolleranti. «Il film – dice oggi Carlo Grande – sarebbe un fecondo generatore di bellezza, un balsamo alla solitudine morale: credo in questo film perché credo in questa storia, in questo libro, in tempi di carestia fisica (di aria, di acqua, di terra) e spirituale (etica ed estetica)». Il cinema italiano non è in grado di produrre il film, per questo si pensa a Hollywood. Un percorso da fare insieme, appropriandosi della causa. Basta anche solo un piccolo tributo d’onore, per co-finanziare l’adattamento in inglese. E far sentire che la comunità non se la sente di abbandonare il suo antico eroe: oggi come allora, il vecchio François – guerriero riluttante, partigiano della libertà – per tornare a lottare sulla “via dei lupi” ha davvero bisogno di noi.(Per aderire alla sottoscrizione è sufficiente prenotarsi, senza alcun anticipo di denaro, sulla piattaforma di social crowdfundig “Produzioni dal basso”, dichiarando la propria disponibilità a sostenere il progetto, anche solo con la quota minima di 20 euro. Più quote danno diritto alla presenza nei titoli coda, al dvd e all’invito a proiezioni nei cinema. L’obiettivo è vicino: ancora pochi click e si raggiungeranno i 4.000 euro necessari a finanziare la revisione della sceneggiatura, che consentirà di impostare la produzione del film).Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.
-
Gallino: banche e governi, colpo di Stato contro di noi
Curare la recessione con diktat recessivi? E’ il paradosso dell’Unione Europea, dal 2010 in poi: costringere le vittime della crisi – milioni di cittadini – a pagare i danni che la stessa crisi ha provocato. Una colossale serie di errori commessa da governi ottusi? No, purtroppo: impossibile pensare che non sapessero che l’austerità sarebbe stata «una ricetta suicida dal punto di vista economico, se non anche da quello politico». In realtà, accusa Luciano Gallino, i governanti europei «sapevano e sanno benissimo che le loro politiche di austerità stanno generando recessioni di lunga durata». Il problema è un altro: «Il compito che è stato affidato loro dalla classe dominante, di cui sono una frazione rappresentativa, non è certo quello di risanare l’economia: è piuttosto quello di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione del reddito, della ricchezza e del potere politico dal basso verso l’alto». Un meccanismo spietato, «in corso da oltre trent’anni». Gallino lo chiama: il colpo di Stato di banche e governi.Il nemico da smascherare è proprio l’élite, «messa in pericolo dal fallimento delle politiche economiche fondate sull’espansione senza limiti del debito e della creazione di denaro privato a opera delle banche, diventato palese con l’esplosione della crisi finanziaria nel 2007». I cittadini europei e americani, scrive Gallino nel suo ultimo libro pubblicato da Einaudi e anticipato da “Micromega”, hanno già sopportato pesanti oneri, «prima per il processo di espropriazione cui sono stati sottoposti», e in seguito «per le conseguenze dirette della crisi». Il problema dei governi è diventato: stroncare qualsiasi opposizione allo smantellamento del welfare. Due le mosse decisive: incolpare lo Stato (spesa pubblica) per i guasti di una crisi innescata in realtà dal sistema bancario, e inchiodare i cittadini alla paura, nella logica dell’emergenza. «Così come in caso di guerra non si tengono elezioni per stabilire chi e come debba razionare i viveri, di fronte all’emergenza denominata “debito eccessivo dei bilanci pubblici” le misure da intraprendere per sopravvivere sono concepite da ristretti organi centrali: a partire dal Consiglio Europeo, formato dai capi di Stato o di governo degli Stati membri».Al “piano di guerra” collaborano la Commissione Europea (il cui presidente fa parte del Consiglio) e naturalmente la Bce, con l’immancabile apporto del Fmi. In altre parole, la Troika: quella che emana diktat che i governi dovranno semplicemente ratificare ed eseguire. «Cosi è avvenuto per molti documenti: il memorandum inviato alla Grecia, il pacchetto di misure – mirate espressamente a smantellare lo stato sociale – chiamato Euro Plus, il cosiddetto “patto fiscale” ovvero Trattato sulla stabilità, la creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità». Il trucco: «Essendo l’approvazione “chiesta dall’Europa”, i Parlamenti obbediscono, come è costretto a fare un organo politico in situazione di emergenza». Così, grazie a una super-casta composta da «poche dozzine di persone», la democrazia in Europa è «in corso di rapido svuotamento».Persino il Trattato della Ue, più attento al “libero mercato” che non alla democrazia, ormai «appare aggirato sotto il profilo legale e costituzionale dai dispositivi autoritari messi in atto di recente dai governi e dalla Troika». La libertà è finita: «Alle centinaia di milioni di cittadini della Ue, ciò che quel ristretto gruppo decide è presentato come “alternativlos”, cioè privo di qualsiasi alternativa: pena, minacciano i governi, il crollo dell’euro, dei bilanci sovrani, dell’intera economia europea». Di fronte a simili minacce, «che i media ripropongono ogni giorno a tamburo battente», i cittadini degli Stati-cardine della Ue hanno finora «subito a capo chino gli interventi dell’autoritarismo emergenziale dei loro governi e della Troika di Bruxelles», che ormai stanno assumendo il profilo di «un colpo di Stato a rate».Curare la recessione con diktat recessivi? E’ il paradosso dell’Unione Europea, dal 2010 in poi: costringere le vittime della crisi – milioni di cittadini – a pagare i danni che la stessa crisi ha provocato. Una colossale serie di errori commessa da governi ottusi? No, purtroppo: impossibile pensare che non sapessero che l’austerità sarebbe stata «una ricetta suicida dal punto di vista economico, se non anche da quello politico». In realtà, accusa Luciano Gallino, i governanti europei «sapevano e sanno benissimo che le loro politiche di austerità stanno generando recessioni di lunga durata». Il problema è un altro: «Il compito che è stato affidato loro dalla classe dominante, di cui sono una frazione rappresentativa, non è certo quello di risanare l’economia: è piuttosto quello di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione del reddito, della ricchezza e del potere politico dal basso verso l’alto». Un meccanismo spietato, «in corso da oltre trent’anni». Gallino lo chiama: il colpo di Stato di banche e governi.