Archivio del Tag ‘Ue’
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Io non sono Charlie, che è complice dei nostri veri assassini
Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.Accanita seminatrice di odio antislamico, beceramente razzista, un concentrato di volgarità, vuoi di solleticamenti pruriginosi (Wolinski), vuoi da ufficio propaganda dei macellai di musulmani, al servizio del suprematismo euro-atlantico-sionista e, dunque, vessillo della civiltà occidentale a tutti cara, pure alle banche. Tanto che queste la salvarono dal fallimento e le infilarono economisti di vaglia, come Bernard Maris, pure dirigente nel Consiglio Generale della Banca di Francia. Rientra in questo ordine di cose l’entusiasmo con cui il mattinale ha accolto l’opera del sodale Michel Houellebecq, celebratissimo e ora protettissimo romanziere, il cui capolavoro, “La sottomissione”, è uscito in felice sincronismo con l’attentato. La sottomissione deprecata per tutte le centinaia di pagine è quella dell’Occidente che ha “rinunciato a difendere i suoi valori” e “ha ceduto all’Islam, la più stupida delle religioni”. Non meraviglia che, sul “Il Fatto Quotidiano”, il vignettista Disegni solidarizzi con i colleghi parigini e, in particolare, con il già citato amico e maestro Wolinski.Chissà perché m’è venuto in mente il giorno, al tempo del disfacimento Nato della Jugoslavia, quando collaboravo a una sua rivista, in cui Disegni mi cacciò dal giornale, spiegandomi che non poteva tollerare nel suo giornale uno che stava dalla parte dei serbi. House Organ di sinistra, con altri (“Libération”, “Le Monde”), dei servizi segreti franco-israeliani, è anello fintamente satirico della catena psicoterrorista che ci deve ammanettare tutti e trascinarci convinti alla guerra contro democrazia e resto del mondo. L’attentato parigino, preceduto dagli altri tre grandi episodi della campagna per il Nuovo Ordine Mondiale, Torri Gemelle-Pentagono, metrò di Londra, ferrovia di Madrid (ma noi siamo stati gli antesignani: Piazza Fontana, Italicus, Brescia, Moro, le bombe del mafia-regime), si inserisce alla perfezione nella storia del terrorismo “false flag”. Minimo, o massimo, comune denominatore, un cui prodest che si risolve immancabilmente a vantaggio della vittima conclamata e a esiziale detrimento dei responsabili inventati.L’apocalisse scatenata dal capitalismo terrorista in tutto il mondo, come di prammatica anche stavolta è stata firmata dall’urlo Allah-U-Akbar. Prova inconfutabile di chi siano i mandanti, no? A prima vista, l’operazione rientra nella campagna di destabilizzazione dell’Europa che, attraverso sfascio economico-sociale, conflitti interetnici e misure di “sicurezza”, deve rafforzare la marcia verso Stati di polizia, politicamente ed economicamente assoggettati all’élite sovranazionale, ma controllati da proconsoli e signori incontrastati della vita dei loro sudditi. Si possono individuare due motivazioni specifiche: una punizione USraeliana a Hollande, che non si era peritato di invocare la revoca delle sanzioni al mostro russo, inaccettabile incrinatura del blocco bellico del Nuovo Ordine Mondiale (avviso alla Merkel e ad altri devianti), con effetti a lungo termine di disgregazione sociale e conflitto inter-etnico; oppure un contributo della casta antropofaga francese, in questo caso concordato con i padrini d’oltremare, alla guerra infinita esercitata, fuori, contro le colonie recuperande (Mali, Chad, Rca, Maghreb) e, a casa, contro il cuneo sociale islamico e l’insubordinazione di massa che compromettono le mire dei correligionari dei maestri di Tel Aviv, Hollande, Fabius, Sarkozy, Lagarde.Pensate alle ricadute della carneficina “islamista” di Parigi, ascoltate gli ululati delle mute di sciacalli che per un bel po’ avranno modo di cibarsi di cadaveri della verità. Quante ragioni di più avranno, agli occhi dei decerebrati dai media, i trogloditi nazifascisti e razzisti che si aggirano in sparuti ma vociferanti drappelli per l’Europa, e sono tanto utili a spostare il giudizio di estrema destra, di fascismo, dalla classe dirigente a queste bande di manipolati. Quanto si attenuerà la protesta per le immonde condizioni dei migranti invasori. Quanto ne saranno rafforzati l’impeto e l’impunità degli addetti alla repressione di “corpi estranei”, come dei dissidenti autoctoni: Ilva, Tav, Tap, Trivelle, basi militari, disoccupazione, miseria, Renzi che toglie gli ultimi lacciuoli ai grandi evasori (avete visto che chi guadagna di più potrà evadere di più) e a quelli in cui era stata costretta l’inclinazione a delinquere di Berlusconi. Sempre più degna dei suoi antichi e recenti titolari, si ergerà una civiltà partorita dai roghi e dagli squartamenti di mille Torquemada, dalle crociate da mille anni mai interrotte, dalla guerra infinita, dal dio bliblico, il più sanguinario e protervo della storia.Bonus aggiuntivo, la distrazione di massa occidentale dalla dittatura neoliberista in progress, dal genocidio sociale euro-atlantico e dalle guerre militari ed economiche che portano avanti. La distrazione, da noi, dalle canagliate, una dopo l’altra, che ci infliggono il ciarlatano zannuto e le sue risibili ancelle. Tutto questo si ripete nei secoli della tirannia feudalcapitalista, monotonamente e anche con trasparente pressapochismo, salvaguardato, però, dalle coperture mediatiche. Coperture nelle grandi occasioni condivise con passione sfrenata dal “Manifesto”: mobilitati tutti i furbi e i naives della redazione e del suo cerchio magico per ben 13 articoli fiammanti per 6 pagine, fotone e vignette, in difesa della libertà di stampa offesa. Ce ne fosse uno, tra questi pensosi guru del politically correct, che, sulla scorta di una storia clamorosa di “false flag” padronali, da Pearl Harbour al Golfo del Tonchino, dallo stesso 11 Settembre al piano del Pentagono (Northwoods) di far saltare per aria, sotto etichetta cubana, palazzi governativi negli Usa e abbattere un aereo di studenti statunitensi nel cielo dell’Isola, avesse osato un assolo problematico, dubbioso.Gli autori dell’eccidio, veri professionisti che non avevano nemmeno effettuato un sopralluogo sulla scena. Che bisogno c’era? Servono così, bruti selvaggi, tanto dietro hanno chi professionista lo è davvero. Kalachnikov alla mano e passamontagna sul viso, hanno sbagliato portone e cercato indicazioni da un passante. Sono stati identificati prima ancora che si asciugasse il sangue. Nuovamente esponenti di quella comunità islamica che stoltamente si è tollerata, che deve stare bagnata con la coda tra le gambe. Tre di quei 18mila tagliagole stranieri, perlopiù europei, di cui l’Intelligence e la polizia sapevano tutto e li tenevano fissi d’occhio e di intercettazioni, ma che potevano agevolmente espatriare, addestrarsi nelle basi governate da istruttori Usa-Nato e gestite dai subalterni giordani, turchi, qatarioti, sauditi. Per poi altrettanto agevolmente rientrare, sotto lo sguardo comprensivo dei protettori dello Stato, e dedicarsi al mercenariato imperiale domestico. Di conseguenza, si ammette, sorveglianza zero sui “potenziali terroristi”, pur celebrati dall’ossessiva vulgata del “nemico della porta accanto”.Ora, vista la figuraccia del mancato controllo su uscite verso il Medioriente e rientro, cambiano versione: quelli lì non sono affatto stati in Siria. Invece si sono addestrati sparacchiando qua e là per Parigi, con tanto di istruttori di rango, sempre fuori da sguardi e cimici indiscreti. Figuraccia al cubo. E così, dal momento in cui è iniziata la sparatoria, subito ripresa e telefonata dai giornalisti di “Ch” con telefonino e comunicata dal furgone della polizia sul posto, poi mitragliato, è passata quasi mezz’ora prima dell’arrivo di rinforzi, in una delle metropoli più sorvegliata e tecnologizzata del mondo. Chi fossero i tre, mica s’è saputo grazie al costante controllo su movimenti e discorsi scientificamente condotto dai modernissimi flic tecnologizzati francesi. Figurati, è bastata una carta d’identità abbandonata nella fuga da un attentatore che, comprensibilmente, terminata la sparatoria e in fuga frenetica dalla scena, ha ammazzato il tempo tirando fuori il portafoglio (per vedere se bastava per il taxi?) e frugatoci dentro, estratta la tessera, l’ha posta in bella evidenza sul sedile.Ricorda quell’umoristico passaporto di Mohammed Atta, presunto capofila dei dirottatori dell’11/9, trovato lindo e intonso nel pulviscolo di tre grattacieli disintegrati. Con Atta che dal padre viene rivelato vivo, nella disattenzione assoluta dei gazzettieri. Visto che ovviamente la carta d’identità è stata lasciata a bella posta, quale sarà stato lo scopo? Indicare una testa di legno come autore e coprire quelle vere? Vedremo, nei prossimi giorni, quanto questa operazioni prodest all’Obama in precipitoso calo di consensi (come lo era Bush al tempo delle Torri), a multinazionali, banche, Pentagono e armieri, tutti quelli che devono gestire il trasferimento di ricchezza dalla periferia al centro e dal basso verso l’alto. E poi, scendendo per li rami, a un’Ue di nominati da business e arsenali, in crisi di credibilità e fiducia; a despoti europei reclutati per fare da capro espiatorio pagatore nella guerra alla Russia e al resto del mondo; a produttori di tecnologie per il controllo sociale; alle combine mafiose tra Pd e soci e faccendieri. Allo sparaballe in carenza di aria fritta. Al papa che sollecita gli islamici, solo loro, a farla finita con il terrorismo. Dall’altra parte, vedremo di che prodest ci avvantaggeremo noi, comuni mortali, islamici, cristiani o niente, di che lacrime gronderemo e di che sangue….Concludendo, un esercizio di fantasia. Immaginiamo cosa sarebbe successo, in termini di esecrazione e persecuzione degli antisemiti, se quelle vignette su Allah a culo all’aria e Maometto stupratore bombarolo avessero preso di mira Jahve, Mosé, o un qualsiasi “eterno ebreo” alla Himmler. E immaginiamo anche cosa risponderebbero quelli delle attuali chiassate per la libertà di stampa, nel paese al 69° posto per libertà di stampa, Ordine dei giornalisti e categoria tutta, se gli si chiedesse di manifestare per le centinaia di giornalisti assassinati nei paesi sotto tutela amica, Iraq, Messico, Honduras. Sempre più urgente e credibile, fondata su potenzialità politico-economico-militari letali per la criminalità organizzata che regge un impero in decadenza, diventa la formazione del fronte antagonista avviato da Hugo Chavez e portato avanti con intelligenza e dinamismo da Vladimir Putin: blocco asiatico-latinoamericano di Russia, Cina, Brics, governi e masse insubordinati. Ne consegue l’urgenza di smascherare e spazzare via i contractors della sedicente “Sinistra” che abitano nei sottoscala del menzognificio imperiale e ne ripetono le deformazioni della realtà finalizzate alla criminalizzazione dei diversi non sottomessi: lo “zar” omofobo Putin, “dittatori” vari, i musulmani, “violenti” asociali di varia estrazione, purchè non militari e poliziotti.(Fulvio Grimaldi, “Io non sono Charlie”, dal blog di Grimaldi dell’8 gennaio 2014.Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.
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DeLong: l’euro è un disastro, l’Ue non impara dalla storia
Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.«Nel mio piccolo – scrive DeLong in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – pensavo che tutti (o quanto meno tutti quelli che contavano qualcosa nel governo dell’economia mondiale) avessero imparato queste quattro lezioni che la storia (1919-1939) ci aveva così crudelmente impartito». E invece, i boss dell’Eurozona e i loro consulenti «guardavano fuori dalla finestra e spettegolavano su Facebook», scrive DeLong, evidentemente convinto che la causa della catastrofe europea sia imputabile a semplici, madornali errori, anziché a un calcolo cinico e lucido: costruire la crisi per contrarre lavoro e diritti, far esplodere i profitti dell’élite a spese del 99% della popolazione, far sparire lo Stato per privatizzare tutto, a cominciare dai servizi vitali. DeLong si limita a domande tecniche, chiedendosi «come si è arrivati a tanto». Ovvero: «Perché Maastricht non ha istituito un unico regolatore/supervisore bancario», per poter «allineare la politica finanziaria con quella monetaria?». Maastricht, inoltre, non ha previsto un sistema per trasferire i fondi necessari a quei paesi «che avrebbero potuto entrare in recessione (come inevitabilmente accade), quando gli altri paesi sono in grande espansione».Maastricht, poi, «ha lasciato un bel pezzo delle sue prerogative di “prestatore di ultima istanza” nelle mani dei governi nazionali, che non possono stampare denaro (e quindi ottemperare al ruolo), invece di mettere il tutto nelle mani della Banca Centrale Europea, che invece potrebbe». Inoltre, «visto che le esportazioni di un paese sono nient’altro che le importazioni di un altro», come mai «non scattano automaticamente quelle politiche idonee a che i paesi in deficit possano ridurre le loro importazioni ed aumentare le loro esportazioni?». Già, perché? «E perché, viceversa, non si adottano automaticamente le politiche idonee a che i paesi in surplus aumentino le loro importazioni e riducano le loro esportazioni?». DeLong sembra non “vedere” il disegno criminale, l’organizzazione del disastro: preferisce pensare a eurocrati imbranati, banchieri sprovveduti, tecnocrati dilettanti? L’economista francese Alain Parguez, già consulente dell’Eliseo ai tempi di Mitterrand, riferisce che Jacques Attali, uno dei massimi padri dell’euro, avrebbe pronunciato testualmente le seguenti parole: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che la moneta unica l’abbiamo creata per la loro felicità?».DeLong, invece, propende per l’ipotesi dell’ingenuità che avrebbe pesato sulle decisioni dei fondatori dell’Ue, certi che il tempo avrebbe corretto le imperfezioni iniziali. «In alcuni – scrive – c’era la convinzione che alcuni specifici dettagli, se posti nel Trattato Maastricht, avrebbero rimandato questo progetto per anni, o addirittura per decenni, mentre la logica degli eventi avrebbe inevitabilmente portato sia ad una crescita organica che allo sviluppo dei pezzi mancanti del Trattato». Secondo questa logica, continua DeLong, alla prima grande recessione l’unione monetaria avrebbe senz’altro istituito un sistema per i trasferimenti fiscali. E ancora, alla prima importante crisi bancaria, la Bce avrebbe senz’altro adottato le funzioni di “prestatore di ultima istanza” (e a seguire, si sarebbe velocemente realizzata l’Unione Bancaria). Gli altri paesi europei, continua l’economista, «avevano considerato il Trattato di Maastricht come un rinnovo dell’impegno politico tedesco in favore di una più stretta integrazione europea». Per questo l’Europa si è fidata, incautamente, della riunificazione tedesca? Sì, risponde DeLong: gli europei non-tedeschi erano convinti che «se si fosse scoperto che c’era qualcosa da pagare per le conseguenze non palesemente previste del Trattato di Maastricht, la Germania lo avrebbe fatto».Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.
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Chi e perché ha pianificato proprio adesso la strage di Parigi
«Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.«Se i segni di nervosismo e di insubordinazione in Europa dovessero aumentare, non escludo la possibilità di clamorosi e sanguinosi attacchi terroristici sul nostro continente», scriveva “Piotr” il 14 dicembre scorso su “Megachip”. Attentati «fatti per dimostrare che il “pericolo fondamentalista” è reale (e per dimostrare, a chi è in grado di udire, che il caos può essere usato ovunque, che non ci sono zone franche: tutto sommato, l’Italia non è stata bombardata terroristicamente per dieci anni di fila, negli anni Settanta?)». Allì’indomani della strage di Parigi, “Piotr” aggiunge: «I potenti, sghignazzando o piangendo lacrime di coccodrillo, si muovono sempre sopra le vittime innocenti, perché le vittime innocenti sono il complemento alla loro potenza. Hanno creato un mondo dove un giornale satirico è un bersaglio migliore di un “vulture fund”. E non per sbaglio». Lo stesso Aldo Giannuli, autore di saggi sulla strategia della tensione che utilizza il terrorismo come manovalanza, si domanda se non vi sia «qualche manina non islamica dietro gli attentatori». Vale la pena esplorare tutte le piste, sostiene Giannuli, dato che «a trarre giovamento da questa strage saranno in diversi: ad esempio il Fn che si appresta a fare vendemmia di voti, di conseguenza anche Putin che proprio sul Fn sta puntando per condizionare l’Europa sulla questione delle sanzioni».Ad “avvantaggiarsi” dal clima di sgomento creato dall’attentato, aggiunge Giannuli, c’è sicuramente anche Israele, «che rinsalda i vincoli con l’Europa ogni volta che c’è un episodio di questo genere». Inoltre, la strage di Parigi beneficia «chiunque voglia destabilizzare la Francia in particolare e l’Europa in generale». Giannuli ricorda il precedente francese dello stragista “solitario” Mohammed Merah, protagonista dell’eccidio di Tolosa: cecchino di origine algerina, «era stato a lungo collaboratore dei servizi segreti francesi in operazioni di infiltrazione del mondo jiadista e, ad un certo momento, era inspiegabilmente sfuggito di controllo e, sempre inspiegabilmente, aveva fatto quella strage. Peccato che non abbia potuto spiegare cosa gli fosse passato per la testa, perché crivellato di colpi al momento della cattura». Sulla stessa linea anche Giulietto Chiesa: «Guardarsi dalla spiegazione più semplice, che è quella di scatenare l’odio contro “i musulmani”. Chi organizza queste operazioni lo fa a ragion veduta e, appunto, per suggerire l’interpretazione che sia comprensibile “all’uomo della strada”. Non è quasi mai così».Certo, aggiunge Chiesa su “Megachip”, la strage «è l’ultimo anello di una catena insanguinata che accompagna da dieci anni una storia di vignette anti-islamiche». Chi alimentava lo “Scontro di Civiltà” ogni volta poteva gioire: «Aumentavano le divisioni, si rompeva ogni equilibrio delicato e provvisorio fra libertà di espressione e sentimenti religiosi. Aumentava l’odio, cioè la benzina della guerra». Attenzione: «Sopra questo panorama livido, c’è il futuro della Francia e dell’Europa: Parigi, Berlino e Bruxelles sono alla vigilia di scelte che possono cambiare il destino del continente». Il presidente François Hollande, ricorda Chiesa, in questi giorni aveva persino ipotizzato la revoca delle sanzioni alla Russia. «Ovunque si discute di un cambiamento della disciplina monetaria e finanziaria dell’Europa, per prevenire la bomba greca. I nervi sono tesi, perché siamo in cima a uno spartiacque della storia europea e mondiale e le decisioni politiche contano davvero. Se i politici sono ricattabili, tutto può essere visto come un ricatto. Figuriamoci le stragi».«Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.
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Renzi a casa, se i finti dissidenti del Pd facessero sul serio
La rivolta dei “dissidenti” contro Renzi? Un gioco delle parti, che ha un unico obiettivo: far credere che il Pd sia ancora un partito di sinistra, tamponando l’emorragia di elettori delusi. Ma è solo teatro, secondo Marco Della Luna: i vari Cuperlo, Fassina e Civati si limitano a una «apparente battaglia interna» rumorosa ma inconlcudente, basata su temi «interessanti ma marginali» come il Jobs Act, «che in fondo introduce cambiamenti modesti rispetto a quanto già fatto dai governi precedenti». La sciagurata riforma Fornero? Approvata da tutto il Pd, unito e compatto, come sempre è stato il centrosinistra di fronte alle “controriforme” varate per colpire i lavoratori, dal pacchetto Treu alla legge Biagi. Comandano i poteri forti euroatlantici, economici e finanziari. Il Pd si limita a obbedire, con Renzi che recita il suo copione narrativo e i “dissidenti” che lo completano coi loro ricami verbali. «La critica reale – scrive Della Luna – sarebbe quella sui risultati pratici del suo governo e su dove ci sta portando in concreto e a breve». L’Italia sta collassando, e Renzi non ha un “piano-B”. «A giugno scatterà la clausola di salvaguardia che porta l’Iva al 25%, in mancanza di ripresa del Pil. Vi immaginate la conseguenza per la domanda interna?».Anziché limitarsi a schermaglie tattiche, a Renzi bisognerebbe «chiedergli di andarsene e togliergli la fiducia semplicemente perché ha completamente fallito e non ha un piano alternativo, e si difende solo mentendo sui dati e attribuendo la colpa a capri espiatori come i gufi, i frenatori, i dissidenti, i conservatori». La realtà è ben altra: «Anche con lui, continuano a crescere disoccupazione, indebitamento, deficit, pressione fiscale». La promessa renziana di un rilancio mediante investimenti massicci europei? «E’ stata stroncata proprio dalla Commissione Europea e dal quello Juncker che egli ha sostenuto e votato, oltre che dal paese guida, la Germania». Renzi in Europa? Non pervenuto: «La sua presidenza semestrale dell’Ue è contata zero». Quanto alla spending review, «è stata fermata proprio da lui: minacciava il meccanismo del consenso partitocratico». Nient’altro che «un bluff», il renzismo, per prendere tempo ed eludere l’unica grande, vera decisione possibile, «cioè l’uscita dall’euro se entro marzo l’euro non verrà riformato e gli investimenti non verranno iniziati in misura adeguata, non la pagliacciata dei 21 miliardi per tutta l’Ue».Secondo Della Luna, servirebbero almeno 2.000 miliardi, cioè quelli che la Bce ha dispensato alle banche per tappare i buchi di bilancio. Dove crede di andare, l’Italia, con le imprese sottoposte a una pressione fiscale del 68% contro il 47% di Stati Uniti e Germania? Il cambio «artificialmente alto e non aggiustabile», sancito dall’euro, «ostacola le esportazioni». Impossibilie fare investimenti antirecessivi, «a causa dei vincoli europei di bilancio e della rinuncia al controllo della moneta». Risultato: «Nel mercato competitivo globale, con queste premesse, l’Italia è semplicemente e automaticamente spacciata, e senza bisogno di aspettare che i milioni di disoccupati, sottoccupati, maloccupati, inoccupati e precari di oggi diventino i pensionati alla fame di domani». Le promesse e le rassicurazioni di Renzi? «Sono balle che nascondono la catastrofe imminente, così vicina che Renzi e Berlusconi non provano nemmeno a evitarla, e preferiscono, con la spinta di Merkel e Napolitano, correre a riforme elettorali e parlamentari mirate a porre la partitocrazia in grado di tenere in pugno il paese anche nell’imminente periodo di rovina economica e rottura sociale».Se l’opposizione interna del Pd fosse sincera, conclude Della Luna, darebbe battaglia su questo: «Direbbe che, senza un’inversione immediata della rotta, finiamo diritti sugli scogli esattamente come la Costa Concordia in mano a Schettino. Non continuerebbe a votargli la fiducia, ma gliela negherebbe apertamente denunciando le sue vere intenzioni, ormai chiarissime. Intenzioni che continuano quelle dei suoi predecessori». Troppo debole numericamente, la minoranza Pd? «Le grosse scissioni nell’apparato di un partito non avvengono fintantoché il partito garantisce all’apparato i suoi abituali profitti da “intermediazione politica”. E ora, figuriamoci, gli apparati pregustano le spese per le Olimpiadi del 2024». In tutto ciò, la sensazione è che «i supposti dissidenti» in realtà stiano facendo il gioco delle parti, d’accordo con Renzi, «nel senso che inscenano, nella tradizione del migliore Pci entro il vecchio consociativismo, un’opposizione di sinistra allo scopo che il partito di Renzi e delle riforme inutili e autoritarie non perda suoi elettori di sinistra, e che questi ancora si illudano di essere rappresentati dentro quel partito».La rivolta dei “dissidenti” contro Renzi? Un gioco delle parti, che ha un unico obiettivo: far credere che il Pd sia ancora un partito di sinistra, tamponando l’emorragia di elettori delusi. Ma è solo teatro, secondo Marco Della Luna: i vari Cuperlo, Fassina e Civati si limitano a una «apparente battaglia interna» rumorosa ma inconlcudente, basata su temi «interessanti ma marginali» come il Jobs Act, «che in fondo introduce cambiamenti modesti rispetto a quanto già fatto dai governi precedenti». La sciagurata riforma Fornero? Approvata da tutto il Pd, unito e compatto, come sempre è stato il centrosinistra di fronte alle “controriforme” varate per colpire i lavoratori, dal pacchetto Treu alla legge Biagi. Comandano i poteri forti euroatlantici, economici e finanziari. Il Pd si limita a obbedire, con Renzi che recita il suo copione narrativo e i “dissidenti” che lo completano coi loro ricami verbali. «La critica reale – scrive Della Luna – sarebbe quella sui risultati pratici del suo governo e su dove ci sta portando in concreto e a breve». L’Italia sta collassando, e Renzi non ha un “piano-B”. «A giugno scatterà la clausola di salvaguardia che porta l’Iva al 25%, in mancanza di ripresa del Pil. Vi immaginate la conseguenza per la domanda interna?».
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Halevi: senza deficit c’è solo crisi, e l’Italia non ha scampo
«Per l’Italia: non si deve sperare in alcuna politica economica che non sia il prodotto di una riscossa di classe e di popolo. Il problema è come crearla. Non lo so. Bisognerebbe creare una rete di quadri avulsi dalla politica di superficie». Parola di Joseph Halevi, economista dell’università di Sydney. Nessuna illusione, scrive Halevi nelle sulle “osservazioni di fine anno”, dato il dominio oligarchico che incatena l’Europa. Meglio «togliersi dalla testa che riprese keynesiane e relative politiche siano possibili: lo sono sempre di meno e la prospettiva è che lo saranno sempre meno». Tagli sempre più netti alla spesa pubblica, dunque niente “ripresa”: se lo Stato non spende (pareggio di bilancio) l’economia non fa che peggiorare. Zero investimenti pubblici, nessuno spazio per politiche espansive di marca keynesiana: «I blocchi di potere non lo permettono e questo ne elimina la fattibilità e la stessa attualità». L’Europa sembra dunque decisa a suicidarsi. In più, «la bolla rappresentata dalla crescita cinese si sta sgonfiando e non è controbilanciata dalla ripresa della crescita in India. Ne consegue che il sistema delle materie prime è entrato in profonda deflazione dei prezzi. Sarà un fenomeno di lunga durata».Questo, scrive Halevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, implica due cose: una crescente incertezza in tutti i mercati finanziari legati alle materie prime (mercati molto vasti, considerando i derivati) e la “reimmersione” dei paesi emergenti, i Brics. «Il fenomeno è già molto pronunciato in America Latina, soprattutto in Brasile e Argentina. Lo è meno in Africa – precisa Halevi – perché nel continente continua l’intensa espansione cinese nel settore delle risorse sia minerarie che agricole». Tuttavia il Sudafrica, la più grande economia del continente nero, è soggetto allo stesso processo in atto in America Latina. L’implicazione maggiore, continua il professor Halevi, riguarda le esportazioni dell’Ue verso gli emergenti: ad essere colpito è soprattutto l’export tedesco, e il danno si somma a quello causato dalla crisi russa. La maggiore implicazione, continua Halevi, consiste nel fatto che i mercati finanziari collegati alle materie prime non sono a sé stanti, ma sono un tutt’uno col resto dei “mercati”.L’incertezza sulle materie prime la flessione dei Brics «spiegano, almeno in gran parte, perché le società finanziarie e di rating – e quindi le borse – non danno una valutazione positiva alla caduta dei prezzi delle materie prime e del petrolio». Invece di considerare la caduta dei detti prezzi come una cosa positiva per i consumi (benzina meno cara = maggiori consumi di mezzi di trasporto, gasolio meno caro = costi di produzione minori, la considerano come un ulteriore aggravamento del quadro deflazionistico generale. Se per l’Italia non ci sono speranze – mancando del tutto la volontà politica di invertire la rotta – per il resto del mondo secondo Halevi una ripresa è possibile solo nel senso del Teorema Bellofiore-Summers. Tra il 2006 e il 2007, ricorda Halevi, l’economista Riccardo Bellofiore formulò la nozione di “endogenous financial keynesianism”, cioè l’indebitamento smisurato dei salariati e delle famiglie come volano principale della crescita e soprattutto dei profitti.Un anno o due anni fa, Larry Summers formulò la stessa idea affermando che l’unico modo per contrastare la stagnazione è rilanciare la bolla dell’indebitamento. «Aveva ragione – dice Halevi – nel senso che aveva colto che, come già fece Bellofiore, il blocco di potere capitalistico, per quanto variegato possa apparire, è completamente lontano da politiche keynesiane. Ed è ciò che è successo in America: per questo Elizabeth Warren, che è stata una nomina di punta di Obama, è in totale rottura con lui e lo sta accusando di essere uno strumento in mano agli interessi finanziari». Ma non è che Obama sia un “venduto”, precisa Halevi. «E’ che questo è il meccanismo capitalistico attuale. Se la Warren fosse stata presidente si sarebbe dovuta adeguare, oppure andarsene».«Per l’Italia: non si deve sperare in alcuna politica economica che non sia il prodotto di una riscossa di classe e di popolo. Il problema è come crearla. Non lo so. Bisognerebbe creare una rete di quadri avulsi dalla politica di superficie». Parola di Joseph Halevi, economista dell’università di Sydney. Nessuna illusione, scrive Halevi nelle sulle “osservazioni di fine anno”, dato il dominio oligarchico che incatena l’Europa. Meglio «togliersi dalla testa che riprese keynesiane e relative politiche siano possibili: lo sono sempre di meno e la prospettiva è che lo saranno sempre meno». Tagli sempre più netti alla spesa pubblica, dunque niente “ripresa”: se lo Stato non spende (pareggio di bilancio) l’economia non fa che peggiorare. Zero investimenti pubblici, nessuno spazio per politiche espansive di marca keynesiana: «I blocchi di potere non lo permettono e questo ne elimina la fattibilità e la stessa attualità». L’Europa sembra dunque decisa a suicidarsi. In più, «la bolla rappresentata dalla crescita cinese si sta sgonfiando e non è controbilanciata dalla ripresa della crescita in India. Ne consegue che il sistema delle materie prime è entrato in profonda deflazione dei prezzi. Sarà un fenomeno di lunga durata».
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Nel nome di Roosevelt, per smascherare i vampiri del rigore
Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.Il nostro (ancora per poco) presidente della Repubblica, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” nell’aprile del 1978, ha distrutto con zelo e costanza il benessere italiano, avallando la formazione di governi direttamente funzionali ai desiderata di un manipolo di plutocrati globalizzati. Napolitano, adducendo una improbabile stanchezza, ha deciso di farsi da parte. Come mai un uomo come lui, abituato fin dai tempi dell’invasione sovietica in Ungheria a vivere il potere per il potere, ha inteso abbandonare anzitempo il suo ruolo? Forse perché alcuni riservati mondi, magari quegli stessi che aiutarono Alan Friedman a scrivere “Ammazziamo il Gattopardo”, gli hanno fatto capire con una certa perentorietà di non essere più gradito? Anche in Grecia, altra vittima designata della crudeltà di una Troika in versione Mengele, l’aria sembra essere cambiata. Il premier Samaras, iniziato come Napolitano presso la superloggia “Three Eyes”, non è riuscito a trovare i numeri in Parlamento per eleggere un nuovo presidente della Repubblica gradito al politburo di Bruxelles.Il dispiegarsi di tante minacce e blandizie, ad opera dei soliti noti, questa volta non è bastato per alterare il corso della democrazia ellenica. Solo pochi anni fa il premier greco in carica, il socialista Papandreou, fu invitato a rimangiarsi la promessa di indire un referendum per chiedere al suo popolo cosa ne pensasse delle politiche “lacrime e sangue” richieste da alcuni organismi finanziari sprovvisti di legittimità democratica. Allo stesso modo, alcuni emissari di specifiche Ur-Lodges, digrignando i denti, spaventarono fin da subito il molliccio Hollande, costringendo il presidente francese ad appiattirsi in silenzio ai voleri di Angela Merkel. Oggi invece, anche e soprattutto grazie al ritrovato protagonismo di alcuni massoni di ispirazione progressista come Gioele Magaldi, già iniziato presso la Ur-Lodge democratica “Thomas Paine”, il potere di “persuasione” dei sadici emissari tenuti al guinzaglio dai vari Draghi, Juncker e Lagarde è di molto diminuito.In Italia si gioca una partita decisiva per le sorti dell’intero pianeta. Molti italiani, nonostante i melliflui ragionamenti articolati dai vari Renzi e Napolitano, resistono di fronte alla prospettiva di una definitiva “cinesizzazione” del Belpaese. Questi italiani devono fare massa critica all’interno di un contenitore chiaro, visibile, limpido, forte ed efficace: questo contenitore si chiama “Movimento Roosevelt”. Il Movimento Roosevelt non è massonico né para-massonico. Il Movimento Roosevelt, inizialmente metapolitico, non intende entrare direttamente nell’agone elettorale, rivolgendosi invece a tutte le forze politiche già presenti sul territorio nazionale affinché abbandonino definitivamente i falsi miti del rigore e dell’austerità. Più saranno i cittadini pronti a combattere una battaglia di civiltà insieme a noi, maggiore sarà la nostra capacità di cambiare in meglio l’esistente.Tutti coloro i quali, pur contingentemente tesserati all’interno di partiti di destra, centro o sinistra, sentano di dover difendere i capisaldi della nostra civiltà, ovvero uguaglianza fra tutti gli uomini, diritto al lavoro, difesa del welfare e della sovranità popolare, non perdano altro tempo iscrivendosi immediatamente. Qualora i partiti esistenti, sordi di fronte alla volontà di cambiamento che sale dal basso, dovessero continuare a dare vita a governi consociativi eterodiretti dall’esterno, il Movimento Roosevelt si trasformerà in partito, chiedendo a viso aperto il consenso dei cittadini. Le migliaia di persone che si ritroveranno per la prima volta insieme a Perugia nel gennaio/febbraio del 2015 sono destinate a rendersi protagoniste di un processo storico, imitando dopo un secolo e mezzo l’epopea gloriosa dei mille garibaldini in camicia rossa. Chi non intende spendersi personalmente per difendere la democrazia, non la merita.(Francesco Maria Toscano, “Chi non difende la democrazia, non la merita”, da “Il Moralista” del 2 gennaio 2015. Sul sito, nella home page, è scaricabile il modulo di iscrizione al “Movimento Roosevelt”).Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.
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Foa: avremo un altro Napolitano, pronto a tradire l’Italia
L’alibi è sempre lo stesso, l’indifendibile Berlusconi, quello delle “cene eleganti” ad Arcore con la “nipote di Mubarak” mentre esplodeva la tempesta dello spread. Imbarazzante, e pure ingombrante: amico di Putin e di Gheddafi. L’Italia “non se lo può permettere”, recitava la propaganda mainstream allineata a un centrosinistra che per vent’anni gli aveva attribuito ogni male, fingendo di ignorare che la radice della crisi italiana – la fine della finanza pubblica, la grande privatizzazione, la precarizzazione del lavoro – è da imputare proprio alla sinistra “istituzionale” e tecnocratica dei vari Prodi, Ciampi, D’Alema, Padoa Schioppa. Una vicenda devastante, il cui ultimo decisivo capitolo l’ha scritto Giorgio Napolitano. Ripercorrendo la storia di questo decennio, scrive Marcello Foa sul “Giornale”, si scopre che, nei momenti più critici, Napolitano ha usato tutto il suo prestigio per spingere italiani e politici «nella direzione voluta dall’establishment europeo, che appare come un referente più forte, alto e influente della Costituzione italiana». Sicché, «parlare di tradimento del mandato non è improprio: di certo quello di Re Giorgio appare come un tradimento dell’Italia».Non illudiamoci che a Napolitano subentri un eletto «autenticamente patriottico», continua Foa, visto che le condizioni non sono affatto cambiate: il “padrone” è sempre l’élite finanziaria europea neoliberista, mercantilista, neo-feudale, quella a cui – probabilmente con l’eccezione del solo Berlusconi, peraltro prigioniero dei suoi conflitti d’interesse – ogni potente italiano ha sempre obbedito, negli ultimi decenni. Napolitano non fa certo eccezione: «Non è stato un buon presidente – scrive Foa – per la semplice ragione che non ha rispettato l’essenza, l’anima, la missione di un Capo dello Stato: che è quello di servire il popolo, di rispettare in modo inflessibile la Costituzione, di difendere la sovranità». L’uomo del Colle, invece, «appartiene a quella élite di politici che, in Italia ma non solo, di fatto si prodiga per svuotare di significato proprio la carica, le istituzioni e in ultima analisi il paese che dovrebbe difendere», anche se lo fa illudendo l’opinione pubblica con «il rispetto formale del mandato e della Costituzione», così come «i richiami ai valori nazionali e al senso dello Stato». Un copione «rituale, retorico, obbligato».Ma attenzione: «Il tono cambia quando il presidente parla di Unione Europea; in questo caso – osserva Foa – trapela l’appartenenza, la convinzione, il senso storico di una missione». Infatti, «il presidente che dovrebbe difendere la Costituzione curiosamente lancia continuamente appelli alla cessione di sovranità e di poteri a favore della Ue, di cui auspica l’unione politica», naturalmente «per il bene degli italiani». Peccato che Napolitano si sia prodigato «per difendere, proteggere e al momento giusto lanciare quei politici o quei tecnici che la pensano come lui e con cui condivide le stesse referenze sovranazionali», non esattamente “amiche” dell’Italia. «E’ stato Napolitano ad avallare il colpo di Stato con cui le élite europee hanno fatto cadere Berlusconi nel 2011, attribuendo simultaneamente l’incarico al suo grande amico e sodale Mario Monti, tra l’altro beneficiandolo della nomina improvvisa a senatore a vita; dunque rendendo possibile l’attuazione di un piano che, come ormai ampiamente dimostrato, è stato concepito mesi prima della caduta del Cavaliere».Poco dopo, è lo stesso Napolitano a spingere «un altro giovane emergente sodale», Enrico Letta, a Palazzo Chigi. E poi, dopo pochi mesi, a «benedire l’improvvisa ascesa, ma gradita a certi ambienti, di Matteo Renzi, superando un’antipatia e una diffidenza personale che ora traspare, ma a cui si è inchinato in ossequio a logiche che al popolo non vengono mai spiegate: un “obbedisco” a modo suo». Nessuna illusione sul futuro: le forze che dominano in Parlamento, inclusa Forza Italia, non osano infatti mettere in discussione i diktat del rigore, dal Fiscal Compact al pareggio di bilancio, cioè le misure (da tutti votate) che in tre anni hanno “suicidato” il paese, facendogli pagare una flessione del Pil da 450 miliardi e provocando la catastrofe della disoccupazione, il fallimento di migliaia di aziende, il crollo dei consumi e del gettito fiscale, l’esplosione di un debito pubblico micidiale perché non denominato in moneta sovrana. Gli italiani fiutano la rovina: tre anni di guerra, milioni di poveri, le pensioni tagliate dalla riforma Fornero votata anche dal Pd. Italia kaputt, come voleva il “padrone” tedesco che temeva la concorrenza del made in Italy. Ecco perché «via un Napolitano se ne farà un altro, che offra le stesse garanzie e vanti le stesse appartenenze», profetizza Foa. «Perché questa è la logica del potere che governa davvero l’Europa. E dunque anche quel che resta dell’Italia. Ma agli italiani non va detto e men che meno spiegato».L’alibi è sempre lo stesso, l’indifendibile Berlusconi, quello delle “cene eleganti” ad Arcore con la “nipote di Mubarak” mentre esplodeva la tempesta dello spread. Imbarazzante, e pure ingombrante: amico di Putin e di Gheddafi. L’Italia “non se lo può permettere”, recitava la propaganda mainstream allineata a un centrosinistra che per vent’anni gli aveva attribuito ogni male, fingendo di ignorare che la radice della crisi italiana – la fine della finanza pubblica, la grande privatizzazione, la precarizzazione del lavoro – è da imputare proprio all’obbedienza ai poteri forti da parte della sinistra “istituzionale” e tecnocratica dei vari Prodi, Ciampi, D’Alema, Padoa Schioppa. Una vicenda devastante, il cui ultimo decisivo capitolo l’ha scritto Giorgio Napolitano. Ripercorrendo la storia di questo decennio, scrive Marcello Foa sul “Giornale”, si scopre che, nei momenti più critici, Napolitano ha usato tutto il suo prestigio per spingere italiani e politici «nella direzione voluta dall’establishment europeo, che appare come un referente più forte, alto e influente della Costituzione italiana». Sicché, «parlare di tradimento del mandato non è improprio: di certo quello di Re Giorgio appare come un tradimento dell’Italia».
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Luttwak: ok Prodi al Quirinale, a un patto: rinneghi l’euro
Romano Prodi al Quririnale, con l’appoggio degli Usa? A una condizione su tutte: deve rinnegare l’orrore monetario rappresentato dall’euro, che sta decretando la fine del benessere in Europa. «Prodi è un economista provato e una persona onesta. E di onestà, nella politica italiana, non c’è un’offerta illimitata. Però lui dovrebbe dire: sono onesto e competente, ma ho fatto un grave errore: l’euro». Parola di Edward Luttwak, intervistato da “Italia Oggi”. «Traducendo liberamente dall’inglese-americano all’italiano», ad Aldo Giannuli suona così: “Prodi è stato un nostro nemico e un fautore di quella porcheria di moneta, però è uno dei pochi in Italia che capisca qualcosa di economia, per cui, se non si intestardisce a fare il filo-tedesco e a difendere l’euro, se ne può discutere”. Per orientarsi nella battaglia che sta per iniziare intorno al Quirinale, aggiunge Giannuli, occorre capire che c’è una novità rispetto al passato: questa volta il presidente della Repubblica, molto più che da Montecitorio e Palazzo Madama, scaturirà da telefonate tra Mosca, Berlino, Francoforte e Washington.Oggi, continua Giannuli sul suo blog, la globalizzazione impone dinamiche diverse: il Quirinale è diventato più interessante di Palazzo Chigi anche in ragione della stabilità settennale del primo e della precarietà del secondo. Al centro della crisi mondiale, la guerra valutaria in atto, in cui il dollaro non è più il signore incontrastato di un tempo: «Oggi il dollaro deve fare i conti con lo yuan renminbi cui è legato da un perverso intreccio: il secondo si tiene volutamente sotto-apprezzato per favorire le esportazioni, ma inizia ad essere accettato come moneta di scambio internazionale (come è accaduto da ultimo nel contratto sino-russo per il gas e da altre intese con paesi asiatici e latino-americani)». Cercare di destabilizzarlo, secondo Giannuli «sarebbe non solo difficile e poco utile, ma anche pericoloso, visto che, nella pancia della banca centrale cinese riposano tremila miliardi di dollari fra banconote e T-bond pronti ad essere riversati sul mercato, con gli effetti che è facile immaginare».D’altro canto, «anche ai cinesi non conviene tirare la corda più di tanto, perché, se il dollaro va a fondo, quei tre milioni di miliardi vanno in fumo, e poi si brucia il principale mercato di sbocco delle sue merci». Ai cinesi dà fastidio che gli americani emettano liquidità “facile”, con l’effetto di svalutare i loro stessi crediti, ma poi, alla fine, conviene acconciarsi in un equilibrio precario, che non esclude i colpi bassi, ma non può mai saltare del tutto. «Come terzo incomodo fra i due colossi c’è l’euro, una moneta sbagliata che non dovrebbe esistere e invece esiste», e rischia di rendere «molto più precario» l’equilibrio fra dollaro e yuan. «Non è un mistero che una parte degli americani vedrebbe volentieri sparire questa moneta», mentre altri temono che il crollo dell’euro potrebbe innescare un effetto domino. «Ma, sia che si voglia far fuori l’euro, sia che lo si voglia solo ridimensionare (come si fece con lo yen nel 1985), occorre metterci le mani su, e il modo migliore è controllarne il punto debole». Se la Germania è il punto forte, l’Italia è quello debole: la Grecia, il Portogallo e forse la Spagna «possono rappresentare malanni seri ma curabili», mentre l’Italia, «con il suoi 2.000 e passa miliardi di debito, rappresenta il vero rischio mortale: a un default italiano, l’euro non sopravvivrebbe».Senza più moneta sovrana, si sa, il debito pubblico – risorsa fondamentale e leva strategica per lo sviluppo dell’economia – diventa invece un problema. Non potendo più ricorrere alla libera emissione di valuta per sostenere la spesa pubblica, «la pressione fiscale indotta dal peso degli interessi condanna la nostra economia a lenta morte per asfissia», con il Pil condannato a scendere e quindi il debito destinato a crescere ancora in rapporto al Pil. Senza contare la scure finale dell’Ue, pareggio di bilancio e Fiscal Compact: «C’è chi pretende che troviamo altri 100 miliardi all’anno per rispettare il patto di stabilità che prevede il dimezzamento del debito entro un certo numero di anni: follie». L’Italia straziata dall’euro è diventata «un cadavere tenuto a galla con interventi-tampone»? Prima o poi, allora, «è di qui che occorrerà partire per rifare l’ordine monetario del continente». In questo quadro, continua Giannuli, Napolitano ha agito come sorta di garante-commissario, diventando il vero interlocutore a livello internazionale, mentre Berlusconi, Monti, Letta e Renzi si succedevano l’uno all’altro. «Si capisce che, per il sistema internazionale, un interlocutore stabile sia una esigenza di primaria importanza. Ed è importante che il presidente sia “la persona giusta”, capace di usare i “poteri silenti” previsti dalla Carta Costituzionale. Di qui le crescenti interferenze su una questione che, in altri tempi, sarebbe stata assai meno notata nell’agenda internazionale».Chi lo ha capito per primo, fra i candidati, è stato proprio Prodi, «che ha iniziato una complessa manovra avvolgente proprio sul piano internazionale, capendo che i voti necessari si possono raccogliere più facilmente fuori che in Italia». Dopo la visita di Prodi a Mosca, dall’amico Putin, «il Cavaliere ha esplicitamente lasciato cadere il veto su di lui dicendosi pronto a discuterne, mentre Minzolini e Rossella hanno esplicitamente invitato Berlusconi a far sua questa candidatura». Sicuramente, aggiunge Giannuli, «Prodi non ha problemi a farsi appoggiare da Berlino, di cui è stato sempre tanto amico. E anche da Francoforte non dovrebbe mancare la simpatia. In fondo, poi Prodi potrà sdebitarsi con Draghi assicurandogli l’appoggio italiano per la candidatura al Fmi». Il problema più serio? E’ il nulla osta a stelle e strisce. «Per quanto russi, tedeschi e Bce possano essere autorevoli, sarebbe dura spuntarla contro un veto americano». Inoltre, Prodi non è il candidato naturale di Renzi: il premier «capisce perfettamente che, con Prodi al Quirinale, la sua permanenza a Palazzo Chigi potrebbe durare meno di un mese».Renzi potrebbe tentare di convincere gli americani e «ostentare la più schietta ortodossia atlantica, pur di evitare che la “mortadella dal volto umano” si insedi sul Colle». Viceversa, se ci fosse una pressione congiunta dei russi, dei tedeschi e della Bce, «con un appoggio americano anche solo tiepido», alla fine Renzi sarebbe costretto ad accettarlo e magari a proporlo, «per evitare di subirlo apertamente». Ma gli americani che pensano di Prodi? «E’ sempre stato amico della Germania, da sette-otto anni lo è pure della Cina», in più «tresca con i russi ed è stato ostile alla guerra del Golfo». Con questi precedenti non dovrebbe avere speranza alcuna. «Ma, in politica, mai dire mai». Specie dopo le parole di un uomo come Luttwak, ben addentro all’establishment di Washington. Insomma, conclude Giannuli, «non è detto che dal Potomac debba necessariamente arrivare un “niet”», e d’altra parte gli americani non saprebbero che farsene di una Pinotti, di un Veltroni o di un Franceschini. Serve un candidato di caratura internazionale. Prodi saprà convincere i suoi vecchi antipatizzanti? Per Giannuli, «la partita è molto più aperta di quel che si pensi». Potrebbero spuntare Amato, D’Alema, Cassese, forse Gentiloni. Ma intanto «l’unica candidatura in pista a livello internazionale è quella di Prodi: per ora, è il solo nome che si fa».Romano Prodi al Quririnale, con l’appoggio degli Usa? A una condizione su tutte: deve rinnegare l’orrore monetario rappresentato dall’euro, che sta decretando la fine del benessere in Europa. «Prodi è un economista provato e una persona onesta. E di onestà, nella politica italiana, non c’è un’offerta illimitata. Però lui dovrebbe dire: sono onesto e competente, ma ho fatto un grave errore: l’euro». Parola di Edward Luttwak, intervistato da “Italia Oggi”. «Traducendo liberamente dall’inglese-americano all’italiano», ad Aldo Giannuli suona così: “Prodi è stato un nostro nemico e un fautore di quella porcheria di moneta, però è uno dei pochi in Italia che capisca qualcosa di economia, per cui, se non si intestardisce a fare il filo-tedesco e a difendere l’euro, se ne può discutere”. Per orientarsi nella battaglia che sta per iniziare intorno al Quirinale, aggiunge Giannuli, occorre capire che c’è una novità rispetto al passato: questa volta il presidente della Repubblica, molto più che da Montecitorio e Palazzo Madama, scaturirà da telefonate tra Mosca, Berlino, Francoforte e Washington.
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L’eclissi di Napolitano e il clan occulto dei golpisti mondiali
Dopo nove anni passati sul Colle Giorgio Napolitano si appresta (forse) a lasciare. In poco tempo l’ex comunista migliorista ha trasformato un paese relativamente prospero come l’Italia in una valle di lacrime. In questo senso si può dire che Napolitano è stato molto efficace, riuscendo con abilità e costanza a realizzare gran parte degli obiettivi che alcuni occulti consessi gli avevano implicitamente affidato. Chi ha letto il libro di Magaldi, “Massoni”, sa come l’attuale presidente della Repubblica sia stato iniziato presso la Ur- Lodge “Three Eyes” nel lontano 1978. La “Three Eyes”, motore e centro decisionale di una offensiva reazionaria senza precedenti, supervisionò in passato una serie di accadimenti nefasti e sanguinari: dal golpe greco dei “colonnelli” fino all’operazione “Condor” in America Latina, molte delle tragedie conosciute e perpetuate dall’Uomo a partire dagli anni ’60 fino ai giorni nostri portano indiscutibile il timbro della famigerata loggia dai “tre occhi”.Napolitano è quindi epigono di una stagione tragica, violenta ed infingarda, fortunatamente destinata per consunzione a chiudersi per sempre. Negli stessi anni in cui Kissinger e soci “cucinavano” in giro per il mondo le dittature militari poi personificate dai vari Pinochet e Videla, in Italia si riaffacciava il pericolo golpista. I tentativi del principe Junio Valerio Borghese prima e quello di Edgardo Sogno poi rappresentavano infatti coerenti tasselli di un mosaico globale. Grazie al cielo Arthur Schlesinger Jr., già “maestro venerabile” della superloggia progressista “Thomas Paine”, riuscì a proteggere la democrazia italiana dalla grinfie di alcuni noti “contro-iniziati”. La P2, giova ripeterlo, altro non era se non il braccio italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, centro elitario ed occulto che muoveva come pedine i tanti “Gelli” allevati e pasciuti in giro per il mondo.Proprio l’organica appartenenza presso una delle Ur-Lodges in assoluto più influenti ha permesso a Giorgio Napolitano di devastare di fatto l’Italia tra gli applausi scroscianti di un sistema mediatico appositamente “addomesticato”. La massoneria reazionaria sovranazionale, nelle sue diverse articolazioni, ha oggi affinato metodi ed approcci. Il nazismo classico, ora improponibile in Europa, è stato sostituito da un tecno-nazismo soft che uccide cavalcando il mito della “purezza del bilancio” in luogo dell’oramai vetusta “purezza della razza”. Per completare una torsione oligarchica in grado di affamare una gran parte di cittadini resi sudditi dalla paura e dal bisogno, è necessario quindi che tutti gli attori in commedia recitino lo stesso copione. Dal 2011 fino ad oggi Napolitano ha di fatto commissariato l’Italia, nominando premier-fantoccio con il chiaro obiettivo di assecondare bramosie private. Monti, Letta e ora Renzi hanno difatti attuato politiche volutamente recessive, pensate per distruggere il tessuto economico italiano e diffondere miseria, disoccupazione e disperazione.Per questo la scelta del successore di Napolitano sarà indispensabile per capire quale piega prenderà l’Italia nei prossimi anni. Un nuovo Presidente della Repubblica organico alle Ur-Lodges neo-aristocratiche proverà infatti anche in futuro a neutralizzare gli esiti di una elezione libera e democratica, tenendo di continuo sotto scacco un Parlamento già declassato al ruolo di misero e decorativo orpello. Quelli che sperano nell’ascesa di un nuovo Presidente della Repubblica “tecnico” e “indipendente”, parlano in realtà in nome e per conto di quegli stessi mondi che da tempo selezionano ministri dell’Economia come Grilli, Saccomanni o Padoan. Chi esercita il potere in forza di un mandato popolare tenderà in linea di principio a difendere interessi diffusi. Chi, al contrario, come Monti o Padoan, ricopre posti di pubblica responsabilità senza avere un voto, evidentemente gode di altre fonti occulte di legittimità. Fonti che il libro “Massoni” smaschera, fornendo a chiunque le chiavi per comprendere genesi e ratio di alcuni accadimenti altrimenti apparentemente inspiegabili.(Francesco Maria Toscano, “L’eclissi di Giorgio di Napolitano, presidente della Repubblica in forza alla Ur-Lodge Three Eyes”, da “Il Moralista” del 22 dicembre 2014).Dopo nove anni passati sul Colle Giorgio Napolitano si appresta (forse) a lasciare. In poco tempo l’ex comunista migliorista ha trasformato un paese relativamente prospero come l’Italia in una valle di lacrime. In questo senso si può dire che Napolitano è stato molto efficace, riuscendo con abilità e costanza a realizzare gran parte degli obiettivi che alcuni occulti consessi gli avevano implicitamente affidato. Chi ha letto il libro di Magaldi, “Massoni”, sa come l’attuale presidente della Repubblica sia stato iniziato presso la Ur- Lodge “Three Eyes” nel lontano 1978. La “Three Eyes”, motore e centro decisionale di una offensiva reazionaria senza precedenti, supervisionò in passato una serie di accadimenti nefasti e sanguinari: dal golpe greco dei “colonnelli” fino all’operazione “Condor” in America Latina, molte delle tragedie conosciute e perpetuate dall’Uomo a partire dagli anni ’60 fino ai giorni nostri portano indiscutibile il timbro della famigerata loggia dai “tre occhi”.
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Ipotesi Putin: Prodi al Quirinale con la grazia per Silvio?
Prepariamoci al peggio: si chiama Romano Prodi e sarebbe il più inflessibile esattore dell’Ue, il massimo custode delle tasse e supremo garante dei creditori internazionali che stanno letteralmente spremendo l’Italia. Lo sostiene Aldo Giannuli, scrutando tra le manovre per la successione a Napolitano. Tutti i nomi finora circolati, dice il politologo dell’università di Milano, servono solo a «coprire il nome del vero candidato da tirare fuori dopo aver fatto cadere gli altri, e qui il nodo ha un solo nome: Prodi». Sulla carta è il candidato ideale del fronte anti-Nazareno, che però non avrebbe i numeri necessari a farlo eleggere. Due ipotesi, allora: «O Renzi sta pensando di sbarazzare il campo dal suo più pericoloso sfidante, per aprire la strada a un Gentiloni o a una Pinotti, oppure si sta veramente valutando di eleggere “la mortadella dal volto umano” al Quirinale». Bruciare Prodi sulla via del Colle per candidarlo all’Onu? Possibile, ma Renzi non può garantirgli il Palazzo di Vetro. Sicuramente qualcosa è stato deciso durante lo “strano” viaggio che il professore ha appena condotto a Mosca.«Prodi è sempre stato tanto amico dei tedeschi, poi dei cinesi, ma anche dei russi», scrive Giannuli nel suo blog. «In fondo, l’affare Gazprom partì quando lui era presidente del Consiglio e molti ricordano la sede moscovita della Nomisma (d’accordo, pagata dal Sismi, ma questo conta fino ad un certo punto) che dava autorevoli pareri al Cremlino». Dunque, «Renzi candida Prodi (ed è ovvio che la candidatura parta dal paese di appartenenza del candidato), però poi si aggiunge un autorevolissimo appoggio di russi, tedeschi e (perché no?) cinesi. Col che, la candidatura all’Ag dell’Onu prenderebbe decisamente corpo. Per cui, la gita russa di Prodi andrebbe letta come il sondaggio della disponibilità di Putin a sostenerlo. Vedremo se i pellegrinaggi continueranno anche a Berlino, Pechino, magari Washington». Giannuli però insiste sulla seconda ipotesi, il Quirinale. Indispensabile, però, l’appoggio di Berlusconi. «Già, ma come convincere il Cavaliere a votare quello che certamente odia di più?». Forse la risposta ce l’ha in tasca Putin: «E’ tanto amico del Cavaliere che può anche chiedergli un favore, magari assicurandogli la tanto sospirata grazia».In fondo, continua Giannuli, l’eventuale ripresa dei progetti Gazprom dovrebbe stare molto a cuore anche al Cavaliere. E poi, magari, Prodi potrebbe godere l’appoggio della Ue. Infatti è «uomo di sicura fede europeista (tradotto: farebbe benissimo il ruolo di commissario Ue in Italia, garantendo il debito anche a costo di impiccare uno per uno gli italiani per pagare gli interessi)». In fondo, «potrebbe essere sopportato anche dagli americani o, quantomeno, dall’attuale amministrazione Usa». Per convincere Berlusconi ci vorrebbe «lo zuccherino finale», cioè la concessione della grazia. «Chi meglio di Prodi potrebbe dargliela?». Giannuli non ha dubbi: «Già sento i commenti: “Con la grazia al Cavaliere, da parte del suo storico avversario, si chiudono venti anni di guerra civile”… “E’ una svolta epocale, solo Prodi poteva farlo”». A meno che non provveda direttamente Napolitano, un minuto prima di lasciare il Colle. «Insomma un mega-inciucio, un super-Nazareno che ingoia e digerisce la fragile opposizione interna al Pd (come potrebbero non votare Prodi?)». Ipotesi, d’accordo. «Però una cosa possiamo dirla da adesso: mai vista una elezione del Presidente con giochi coperti ed intrighi come questa. E siamo solo agli inizi…».Prepariamoci al peggio: si chiama Romano Prodi e sarebbe il più inflessibile esattore dell’Ue, il massimo custode delle tasse e supremo garante dei creditori internazionali che stanno letteralmente spremendo l’Italia. Lo sostiene Aldo Giannuli, scrutando tra le manovre per la successione a Napolitano. Tutti i nomi finora circolati, dice il politologo dell’università di Milano, servono solo a «coprire il nome del vero candidato da tirare fuori dopo aver fatto cadere gli altri, e qui il nodo ha un solo nome: Prodi». Sulla carta è il candidato ideale del fronte anti-Nazareno, che però non avrebbe i numeri necessari a farlo eleggere. Due ipotesi, allora: «O Renzi sta pensando di sbarazzare il campo dal suo più pericoloso sfidante, per aprire la strada a un Gentiloni o a una Pinotti, oppure si sta veramente valutando di eleggere “la mortadella dal volto umano” al Quirinale». Bruciare Prodi sulla via del Colle per candidarlo all’Onu? Possibile, ma Renzi non può garantirgli il Palazzo di Vetro. Sicuramente qualcosa è stato deciso durante lo “strano” viaggio che il professore ha appena condotto a Mosca.
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La ricchezza non gocciola: sempre più ricchi, a nostre spese
La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.Il termine trickle-down può essere tradotto con la parola “gocciolamento”. Un’espressione che evoca processi naturali, e che serve a dare alla dottrina un carattere di spontaneità irrefutabile.I neoliberisti sono bravi, in queste narrazioni: l’arbitrio che viene tradotto come libertà di decisione; la subordinazione del bene individuale a quello comune descritta come una prevaricazione indebita dello Stato; la tutela dei più deboli vista come incoraggiamento alle tendenze parassitarie; i meccanismi di previdenza accusati di essere de-responsabilizzanti.(Esempi recenti li troviamo nella retorica della compagine governativa, in particolare quella del nostro caro leader, il facondo Renzi. L’ultimo che mi ha colpito è stata quando a proposito dell’idea di mettere il Tfr in busta paga ha affermato, più o meno, che doveva finire l’epoca dello “Stato-mamma”). In rete mi sono imbattuto in una vignetta che illustra molto bene il concetto di Trickle-down, come ce lo raccontano e come funziona veramente. Molto carina, vero?, ma restava una metafora senza supporto scientifico.Manco a farlo apposta, leggo sul “Washington Post” un articolo di Christopher Ingram a commento del grafico costruito da Pavlina Tcherneva sulla base di dati ricavati dal recente lavoro di Piketty. Il titolo dell’articolo è significativo: “Il deprimente grafico che segue dimostra che i ricchi non si stanno impossessando della fetta di torta più grande: si stanno prendendo tutta la torta”. Il grafico lo trovate qui sotto: rappresenta la distribuzione dell’incremento dei redditi dal secondo dopoguerra a oggi, fra il 10% più ricco della popolazione (in rosso) e il restante 90% (in blu), e dimostra che una quota sempre maggiore di ricchezza prodotta finisce nelle tasche dei più facoltosi. Notare l’inesorabile declino della quota blu a beneficio di quella rossa, culminato con il crollo degli anni ’80 grazie agli effetti della reaganomics e della pretestuosa trickle-down theory. Notare anche come la quota blu non solo è andata diminuendo, ma negli ultimi anni è diventata in termini reali addirittura negativa. Il grafico non dice nulla che non sapessimo o sospettassimo già, ma lo dice in maniera molto eloquente. Va ricordato però che sono dati riferiti alla realtà statunitense. Dati europei, ne sono convinto, mostrerebbero una distribuzione molto più equilibrata. O no?(Mauro Poggi, “Tricke-up, la ricchezza non gocciola”, da “Appello al Popolo” del 1° novembre 2014).La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.
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Bugie mondiali: Shell, Samsung e Gdf-Suez come Pinocchio
Ricchissimi, potentissimi. E soprattutto bugiardi. Al punto da meritarsi il “Premio Pinocchio”, attribuito da una platea di 61.000 persone. A guidare la lista sono tre grandi multinazionali planetarie: Shell, Gdf Suez e Samsung. L’accusa: devastazione ambientale, falsa immagine “verde”, sfruttamento degli operai, lavoro minorile. A “processarle”, a Parigi, sono decine di migliaia di cittadini: un record di partecipazione, che testimonia «la crescente indignazione dei cittadini verso i gravi impatti sociali e ambientali delle attività delle multinazionali», scrivono su “Comune-info” gli attivisti francesi di “Amici della Terra”, organizzatori del premio insieme a “Popoli Solidali – Action Aid France” e al Crid, Centro di ricerca e informazione per lo sviluppo. «Shell – scrivono – ha alzato le mani al cielo con il “Premio Pinocchio” nella categoria “Una per tutti, tutto per me” con il 43% dei voti, per la moltiplicazione dei suoi progetti di estrazione del gas di scisto in tutto il mondo, salvo che in Olanda, suo paese di origine, dove è sottoposta ad una moratoria».Mentre si vanta di svolgere le sue attività rispettando “principi ambiziosi”, scrivono gli “Amici della Terra”, questa multinazionale, come le altre grandi imprese petrolifere, dimostra che il suo comportamento, specie in Argentina e in Ucraina, è ben diverso: «Assenza di consultazioni delle popolazioni, pozzi scavati in zone naturali protette e su terreni agricoli, bacini all’aria aperta per le acque utilizzate per le perforazioni e quindi tossiche, opacità delle operazioni finanziarie». Alla Shell fa compagnia la francese Gdf Suez, “premiata” col 42% dei voti nella categoria “Più verde del verde”, a causa delle sue sbandierate “obbligazioni verdi”. «Lo scorso maggio scorso, questo gigante energetico aveva annunciato con fierezza di aver emesso la più importante “obbligazione verde” che fosse mai stata realizzata da un’impresa privata, raccogliendo due miliardi e mezzo di euro presso degli investitori privati per realizzare i suoi cosiddetti progetti energetici. Ma, osservando con maggiore attenzione l’iniziativa, si poteva rilevare che nessun criterio sociale o ambientale chiaro era associato a queste obbligazioni “verdi” e che inoltre l’impresa non aveva mai reso nota la lista dei progetti finanziati».Gli organizzatori del “premio” sospettano che le “obbligazioni verdi” possano essere serviti anche a finanziare «progetti distruttivi, come ad esempio le dighe di grandi dimensioni, come quella di Jirau in Brasile», che Gdf Suez cita come esempio, «mentre d’altra parte continua a investire massicciamente nelle energie fossili». Primeggia invece nella categoria “Mani sporche, tasche piene”, col 40% dei voti, la coreana Samsung, «per le indegne condizioni di lavoro negli impianti che fabbricano prodotti in Cina: ore di lavoro eccessive, salari da miseria, lavoro infantile». Nonostante ripetute inchieste, appelli della società civile e una denuncia depositata in Francia, «questa impresa leader dell’alta tecnologia si intestardisce a negare tutte queste accuse». Denunciando numerose violazioni dei diritti dei popoli e dell’ambiente, il “Premio Pinocchio” istituito nel 2008 è diventato sempre più importante, per premere sulle imprese chiedendo il rispetto dei diritti umani, dell’ambiente e delle popolazioni. Una strada comunque in salita, ammette Juliette Renaud, degli “Amici della Terra”: «Le pressioni esercitate dalle lobby costringono i governi all’inazione».In Francia, una proposta di legge contro gli abusi delle multinazionali, «non è stata ancora messa in votazione e non è nemmeno iniziata la discussione». Se non altro, agginge la Renaud, «contrapponendo fatti concreti ai bei discorsi delle imprese», il “Premio Pinocchio” mostra che i vuoti giuridici permettono alle imprese di agire in completa impunità, in Francia e nel resto del mondo. Per Fanny Gallois, responsabile delle campagne di “Popoli Solidali – Action Aid France”, «ovunque nel mondo, uomini e donne si mobilitano per far rispettare i loro diritti e per ottenere delle condizioni degne di vita e di lavoro». Il “premio” funge da mefagono, premendo sui governanti: «E’ giunto il momento di considerare le multinazionali responsabili dei danni che causano». Secondo Pascale Quivy, del Crid, i decisori politici europei non dovrebbero sottovalutare la crescente popolarità del “Premio Pinocchio”, «emanando delle norme vincolanti per le imprese in materia di responsabilità sociale, ambientale e fiscale», da far applicare sia in Europa che nel resto del mondo. Illusioni? Con la probabile ratifica del Ttip da parte dell’Ue, attraverso il Trattato Transaltantico le multinazionali non solo continueranno a fare quello che vogliono, ma potranno addirittura dettare legge e punire, con pesanti sanzioni, gli Stati che oseranno ostacolarle in nome dei diritti per i quali si batte il “Premio Pinocchio”, gloriosa bandiera culturale di un’Europa civile che probabilmente sta per smettere di esistere.Ricchissimi, potentissimi. E soprattutto bugiardi. Al punto da meritarsi il “Premio Pinocchio”, attribuito da una platea di 61.000 persone. A guidare la lista sono tre grandi multinazionali planetarie: Shell, Gdf Suez e Samsung. L’accusa: devastazione ambientale, falsa immagine “verde”, sfruttamento degli operai, lavoro minorile. A “processarle”, a Parigi, sono decine di migliaia di cittadini: un record di partecipazione, che testimonia «la crescente indignazione dei cittadini verso i gravi impatti sociali e ambientali delle attività delle multinazionali», scrivono su “Comune-info” gli attivisti francesi di “Amici della Terra”, organizzatori del premio insieme a “Popoli Solidali – Action Aid France” e al Crid, Centro di ricerca e informazione per lo sviluppo. «Shell – scrivono – ha alzato le mani al cielo con il “Premio Pinocchio” nella categoria “Una per tutti, tutto per me” con il 43% dei voti, per la moltiplicazione dei suoi progetti di estrazione del gas di scisto in tutto il mondo, salvo che in Olanda, suo paese di origine, dove è sottoposta ad una moratoria».