Archivio del Tag ‘Udc’
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L’incredibile Pd, il non-partito che sta suicidando l’Italia
Quando si pensa che il Pd abbia toccato il fondo, ci si sbaglia sempre: dopo la “carica dei 101” che hanno impallinato Prodi nella corsa al Quirinale ecco il governo-inciucio con Berlusconi, l’ex giaguaro da smacchiare, nonché la sospensione dei lavori alle Camere, la votazione pro-F35, il no all’ineleggibilità del Caimano e il salvataggio del ministro Alfano sul caso kazako. Quante volte si è suicidato, il Pd? Eppure è ancora lì, con un suo uomo – Enrico Letta – a capo del governo imposto da Napolitano per rassicurare la Germania e gli altri poteri forti, europei e atlantici. Ormai, dice Giacomo Russo Spena, tira aria di balcanizzazione e guerra tra le correnti. Mentre gli “Occupy Pd” lanciano su Twitter l’hashtag #Mobbasta, molti elettori si sentono giustamente traditi: avevano sostenuto il Pd turandosi il naso, in nome del “voto utile” contro il Cavaliere, e ora l’odiato “nemico” se lo ritrovano al governo. Pd e Pdl «a braccetto, come due novelli sposini».
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Travaglio: Grasso evitò di indagare Schifani, difeso dal Pd
«I 5 Stelle che han votato Grasso contro Schifani sapevano bene chi è Schifani e hanno scelto il meno peggio, cioè Grasso, ma non avevano la più pallida idea di chi è Grasso». E questo è un bel problema, dice Marco Travaglio, specie per chi dice di informarsi sul web per sfuggire alla propaganda di regime: «Se l’avessero fatto davvero, avrebbero scoperto che il dualismo Schifani-Grasso era finto». Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti cinque anni fa «non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia». Quando poi lo stesso Travaglio raccontò in televisione «chi è Schifani», i primi ad attaccarlo furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di “Rai3” Ruffini e “Repubblica”. «Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini».
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Votare No-Tav: per costringere la politica a dire la verità
Disastrosa, ideologica e sballata: come i leggendari piani quinquennali del Cremlino. L’assurdità della Torino-Lione sembra uscita dal genio inquieto di Buzzati: cambia il mondo, passano i decenni, ma nel deserto siderale che ha attorno – niente merci e niente passeggeri, né ora né mai – la Grande Opera resiste al Grande Nulla, presidiando una frontiera di fantasie, narrazioni, menzogne e puntuali intimidazioni. L’ultima: l’intenzione del governo di chiedere un risarcimento abnorme, quasi un milione e mezzo di euro, a quegli abitanti della valle di Susa che, nell’estate 2011, cercarono di fermare l’avanzata delle ruspe, non avendo di fronte a sé altro interlocutore che i reparti antisommossa. Agenti inviati a Chiomonte a proteggere gli operai che avrebbero recintato un prato, per consentire poi ai politici di dichiarare che sarebbe finalmente partita la Grande Opera voluta e finanziata dall’Europa. Falso.
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Una vera opposizione, contro l’euro-fascismo di Monti
La differenza tra destra e sinistra è l’unica cosa in cui possiamo ancora credere. Destra e sinistra oggi sono più vive che mai e si vede benissimo. La destra, in questo momento, significa Europa, Monti, banche e messa in ordine dei conti. Uno schieramento che domina perché ha il controllo dei media. La sinistra, invece, significa più politica sociale, meno disuguaglianze, sostegno ai diritti civili e una patrimoniale seria. Il patto con la Svizzera per il rientro dei capitali, noi non l’abbiamo fatto. L’hanno fatto Inghilterra e Francia, tassandoli al 20 per cento. La destra ha una natura darwiniana e razzista: vuole usare le differenze naturali per lo sviluppo. La sinistra vuole correggere le differenze naturali in modo che tutti possano competere cominciando dallo stesso livello. La situazione è tale che in virtù del ‘voto utile’ Bersani incastra persino Vendola, facendogli balenare, con estremo cinismo, l’idea delle nozze gay.
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Cremaschi: il vero spread è il flagello della disoccupazione
Mario Monti ha presentato la sua lista di estremisti di centro mentre veniva celebrata la sua vittoria sullo spread, crollato di quasi trecento punti durante il suo governo. Come abbiamo imparato, lo spread di cui si parla misura il divario tra gli interessi a dieci anni sul debito pubblico italiano e quello tedesco. È diventato unanimemente un misuratore dello stato di salute della nostra economia, per cui la sua riduzione sarebbe un indubbio successo del governo dei tecnici. Senonché c’è un altro dato che viene sostanzialmente ignorato e che invece a me pare molto più rilevante. Alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione in Germania era del 7,1% mentre quello italiano stava all’ 8,5%. Lo spread sulla disoccupazione stava dunque a 140 punti, se si usano gli stessi sistemi di calcolo e riferimento adottati per lo spread finanziario.
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Fiscal Compact: ci vogliono morti, ora la sentenza è legge
I giornali ne hanno parlato poco e in termini quasi sempre così “tecnici” da risultare incomprensibili ai non addetti ai lavori. Ma da oggi entra in vigore l’accordo europeo più pericoloso per la vita dei cittadini degli Stati con problemi di bilancio pubblico: il Fiscal Compact. Dal punto di vista “istituzionale” è una preoccupazione comprensibile: c’è il più che forte rischio che la notizia possa pesare negativamente sul declinante “europeismo da gregge” che ha fino a poco tempo fa connotato gli italiani. Con magari forti riflessi elettorali, specie per chi si prensenta come campione degli obblighi europei (Monti in primis, ma anche il Pd, l’Udc e persino berlusconiani e leghisti, che il Fiscal Compact lo hanno firmato mentre erano al governo, anche se la ratifica formale è arrivata solo il 2 marzo 2012 da parte di 25 capi di Stato e di governo (fuori Gran Bretagna e Repubblica Ceca).
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Ora però basta, con l’antiberlusconismo non ci fregate più
No, no, e ancora no. Stavolta non ci dobbiamo cascare. Stavolta ci dobbiamo porre l’impegno morale di ignorare (e semmai combattere) chi di professione gridava alla difesa della democrazia, per poi amorevolmente calpestarla per far posto ai “tecnici” grazie all’unione contronatura tra Pd-Pdl-Udc. Tutto in nome del dio spread. È una cosa psicologica, probabilmente. Le mignotte, i cucù, le bugie, i cortigiani, le corna, il sesso malato, Mediaset, conflitti di interessi, la cricca, Dell’Utri, la mafia, gli appalti, le barzellette, Feltri e Sechi che sfondano quotidianamente il muro del buonsenso, Cicchitto, le gaffe, i video delle gaffe, «il ruolo di kapò», Ghedini fuori dal tribunale di Milano. E poi, speculari: i post-it, le raccolte firme, le manifestazioni, i popoli viola, il “Fatto Quotidiano” comprato a mo’ di dichiarazione partigiana, post indignati, i libri su di lui, gli anatemi su di lui, la vergogna per lui, Valigia Blu, mille bolle blu, Se non ora quando? e le scrittrici radical-chic sul palco, Santoro e Bella Ciao.
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Vendola sconfitto: non può attaccare Monti stando col Pd
Tocca ammetterlo, e dispiace soprattutto se almeno idealmente ci si sente vicini alle proposte e alla cultura di Nichi Vendola: ma l’unico vero sconfitto di queste primarie-concorso è proprio lui. La sua strategia – come tanti del suo mondo gli avevano già fatto notare – si è dimostrata un fallimento. E il misero 15 per cento era in realtà una storia già scritta. Praticamente da tre anni a questa parte il leader di Sel ha fatto fuoco e fiamme giorno per giorno: voleva le primarie, le voleva a tutti i costi. Perché le primarie erano il rumore del mare che un bambino ascolta dentro la conchiglia, e roba del genere, raccontava lui. Pareva quasi che il futuro della sinistra, che il riscatto dei lavoratori, degli studenti, della Fiom, degli sfruttati di tutto il mondo stesse lì: nelle primarie. Un modo un po’ edulcorato per rappresentare la realtà di un Paese, e soprattutto di una coalizione sorretta dal Pd, che nel frattempo ha votato tutti i provvedimenti del governo Monti (che a parole Vendola combatte).
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Torino-Lione e trivelle: blitz nella notte, come in guerra
Di sorpresa e col favore delle tenebre: come per un’operazione di guerra. Dopo la mezzanotte, al termine di una giornata i cui i No-Tav sono rimasti inutilmente autoconvocati (e depistati) per ore, a Chiomonte, in attesa dell’annunciata visita del ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri – confermata, poi smentita e quindi annullata, nonostante lo straordinario presidio di polizia – all’1,30 di notte un corteo composto da quattro colonne di blindati, non meno di mille uomini secondo “La Stampa”, ha scortato 12 Tir da Orbassano nell’hinterland torinese fino all’autoporto di Susa, dove un’ottantina di operai e tecnici procederanno alle nuove prospezioni geologiche in vista dell’apertura del cantiere per la Torino-Lione nella primavera 2013. Tutto questo, alla vigilia del summit del 3 dicembre a Lione tra Hollande e Monti, dopo il verdetto negativo della Corte dei Conti francese: la maxi-opera, come sostengono i No-Tav, sarebbe inutile e troppo costosa.
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Vi siete chiesti per conto di chi lavora, Mario Monti?
Vi siete chiesti per conto di chi lavora, Mario Monti? Nel nome della “spending review” ora si accinge a tagliare altri 7400 posti letto: quello che rimane del sistema sanitario nazionale viene smantellato, giorno dopo giorno, grazie alla complicità dei tre partiti di maggioranza, ovvero Pd, Udc e Pdl. «Poi uno si chiede il perché del successo del Movimento 5 Stelle». Massimo Ragnedda, docente della Northumbria University, è esasperato: se proprio bisogna batter cassa, perché Monti non fa come la Germania, che si è accordata con la Svizzera per un prelievo forzoso dei capitali nascosti nelle banche elvetiche? «Basterebbe una tassa del 30% – sempre meno di quanto pagano gli italiani che onestamente pagano le tasse – per avere un gettito di 35/40 miliardi di euro». Perché non tassare quei capitali? «Sono soldi che ci spettano e che stanno fuggendo al fisco italiano». Macché, è più comodo tagliare altri 300 milioni, togliendoli all’assistenza dei malati.
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Vendola si illude di riformare il montismo: dovrà obbedire
Non facciamoci illusioni: Nichi Vendola si limita a fingere di correggere “da sinistra” l’agenda Bersani-Monti, ma senza metterla davvero in discussione. Una semplice operazione cosmetica, visto che il leader di Sel – che con il Pd ha sottoscritto una carta d’intenti assolutamente vincolante – non osa toccare nessuno dei trattati-capestro che pregiudicano il nostro futuro, a cominciare dal Fiscal Compact e dalla tagliola del “pareggio di bilancio”. Quindi, per favore, non prendiamoci in giro: «Quella di Vendola, e di chiunque intenda essere “la sinistra del centrosinistra”, mi sembra una politica morta sul nascere». Parola di Giorgio Cremaschi, che risponde così alle video-domande di Jacopo Venier su “Libera.Tv”. Ovvero: che farà Vendola se le primarie le vince Bersani, e quindi l’alleanza con Casini che considera un totem l’agenda-Monti?
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Giulietto Chiesa, appello: Grillo, possiamo salvare l’Italia
Stiamo uscendo dal porto e si comincia a ballare – per fortuna. Il terremoto c’è stato, in Sicilia, e continuerà in tutto il paese. La destra sta collassando. Il Palazzo – tutto il Palazzo – è nel panico: andiamo a una ricomposizione complicata e tumultuosa delle forze politiche. La spallata del “Movimento 5 Stelle” c’è stata – noi l’avevamo prevista e l’abbiamo appoggiata – ed è molto importante: cambia il quadro della situazione. Ma gli effetti sono, per ora, molto incerti: i rapporti di forza attuali – quelli di oggi, in questo momento – ci dicono che, se si rivota con il “Porcellum”, avremo un “governo-inciucio” tra il Pd, l’Udc, Sel e rottami vari che si aggregheranno. Avremo un governo delle banche, che avrà una maggioranza schiacciante (con il premio di maggioranza) e potrà fare quello che vuole. Un governo che ci manterrà nella posizione di colonia, a sovranità zero. E subito dopo, non dimentichiamolo, ci sarà un presidente della Repubblica che si chiama Mario Monti. Appunto: il presidente delle banche, che ci porterà in guerra a breve termine.