Archivio del Tag ‘Ucraina’
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Chiesa: Kiev, i massacri della storia scritta dai vincitori
Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.Ci sono atti politici che hanno enormi conseguenze. Che spesso non si vedono (non le vedono coloro che li compiono). La differenza tra i leader politici è che ve ne sono di totalmente incapaci di calcolare gli effetti di ciò che fanno. Oppure che sono del tutto indifferenti a tutto ciò che fuoriesce dai confini modesti dei loro interessi contingenti. Io penso che in quell’8 dicembre 1991 si posero le basi per il massacro dei russi di Ucraina di oggi. Lo penso oggi, ma lo pensai anche allora. E posso dirlo perché lo scrissi. In un libro che in Italia passò quasi inosservato, che si intitolava “Russia Addio!”. Quel libro fu pubblicato anche per il pubblico russo. Con lo stesso titolo: “Proshchai Rossija!”. Il libro fu letto, in Russia, da decine di migliaia di persone. Lo lesse tutta l’élite politica. Fui attaccato, allora, dai liberali democratici filo-occidentali e dai comunisti sovietici ultra ortodossi. Per motivi opposti, naturalmente.Da osservatore straniero fui l’unico che ebbe il coraggio e la libertà intellettuale di dire tutta la verità che, con quel gesto, si spalancava davanti alla Russia (quella che si poteva immaginare e intuire, ovviamente). In tutti questi anni – ne sono passati 23 – nessuno degli scrittori russi, dei giornalisti russi, degl’intellettuali russi, ha avuto la forza di raccontare, neanche a posteriori, ciò che poteva essere visto già allora. C’è ovviamente un’enorme pubblicistica in merito: memorie, racconti, romanzi, tomi, cronache, interviste. Ma una visione d’insieme manca ancora. E la ragione è semplice: quasi nessuno di coloro che videro, agirono, assunsero responsabilità, può raccontare senza censurarsi. Questo in Russia. In Occidente tutta quella storia è stata raccontata dai “vincitori”. Ed è ovviamente falsa. E, essendo falsa, produce conseguenze catastrofiche nei comportamenti dei dirigenti di oggi. Quelli che prendono le decisioni di oggi. E che, per la loro ignoranza, per la loro superficialità, provocano i massacri di oggi. E di domani.(Giulietto Chiesa, “Ucraina, la storia secondo i vincitori e i massacri di oggi”, da “Il Fatto Quotidiano” del 6 luglio 2014).Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.
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Henn: nazisti di Kiev allevati e protetti dalla Germania
“Frega il tuo vicino”, è da sempre la strategia della Germania: secondo Dagmar Henn, il tentativo di Berlino di ridurre l’intera Europa a sua colonia economico non è altro che un tentativo di rovesciare l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Di cui la Germania sembra ripercorrere tutti i passi falsi, a cominciare dalla sfida contro la Russia: perché se gli Usa sono la superpotenza mondiale che sta minacciando Mosca sulla frontiera ucraina, a tirare le fila sono soprattutto i tedeschi, anche se per ora restano nell’ombra. In realtà non è stata la Casa Bianca ma l’Unione Europea a far firmare alla giunta golpista di Kiev l’accordo che lega l’economia ucraina a quella tedesca. Ed è stata la stessa Ue a imporre l’accordo-capestro col Fmi. L’uomo della Merkel per l’operazione-Ucraina è stato il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, coordinatore dei servizi segreti fino al 2005 e quindi «profondamente coinvolto nei fatti del Kosovo». Proprio lui «ha spinto perché l’Ucraina entrasse nella Ue: non parliamo di un agnellino e nemmeno di un pacifista», perché è stato lui il primo a parlare di “integrità territoriale” subito dopo il golpe compiuto dai neonazisti ucraini.«Tutti ricordano la famosa telefonata della Nuland che chiedeva a Jatsenjuk di andare al governo», scrive la Henn in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ma «quasi tutti hanno dimenticato» che l’emissaria di Obama diceva: «No Svoboda», ovvero: niente mano libera ai neo-nazisti di Kiev. «Fu Steinmeier che apri la porta a Svoboda», nel silenzio totale dei media, americani e tedeschi. Secondo l’analista, pochi vedono davvero quello che sta accadendo: la Germania, che finora ha “spremuto” i vicini europei «per stabilizzare l’industria e le banche tedesche», al di là delle polemiche di facciata sulle ingerenze spionistiche Cia-Nsa è perfettamente d’accordo con Washington nella politica di ostilità verso Mosca: «Tra Germania e Usa c’è complicità, non dipendenza: come accadde per la Jugoslavia, dove gli Usa ottennero le basi militari e la Germania le colonie». Attenzione: già allora, i «fascisti croati» che furono scatenati contro la Serbia «si erano rifugiati per decenni a Monaco di Baviera», pronti per «essere utilizzati ancora».«Chiedetelo ai greci: raramente la retorica politica tedesca dice la verità», continua Dagmar Henn, che denuncia il silenzio imposto ai media di Berlino. Nessuno fa notare l’autoritarismo tedesco, «e il risultato è la trasformazione della Ue in una struttura semi-coloniale con un solo centro politico ed economico, la Germania: basti pensare a Hollande che non può più nemmeno telefonare, se non autorizzato dalla Merkel». Questa struttura però «è tutt’altro che stabile, perché ormai stanno per finire i vicini di casa che ancora non sono ridotti alla miseria, mentre la crisi economica è tutt’altro che finita». Quindi, «entrambi i soci di questa aggressione», Usa e Germania, condividono lo stesso problema, «e nessuna bilancia commerciale con la Russia potrà colmare questa lacuna: entrambi hanno bisogno di una vera e propria distruzione dei valori reali su larga scala, e ne hanno bisogno subito». Storia: quando la Wehrmacht cominciò a vedere che stava perdendo la guerra nel 1943, concluse che non avrebbe mai dovuto attaccare la Russia, ma piuttosto controllare l’intero potenziale economico europeo. «Quindi è un po’ inquietante vedere oggi che, negli ultimi anni, non si è fatto altro che ripetere gli stessi errori di allora».Secondo Dagmar Henn, è impossibile dimostrare «quanto sia stretto il collegamento tra le autorità tedesche e i nazisti ucraini», perché gli archivi tedeschi sono ben chiusi «e lì si annida tutto lo sporco accumulato dal 1945 in poi». Ci sono però «forti indicazioni» che suggeriscono che «la parte peggiore delle forze ucraine» sia costituita da «pupazzi dei tedeschi, non degli americani, a cominciare dalla Timoshenko». I neonazisti, compresi quelli di Kiev, «non devono essere controllati direttamente: si mettono subito a correre nella “giusta” direzione, non appena vengono tirati fuori». Avverte la Henn: «Nelle zone intorno a Monaco ci sono sempre stati più nazisti ad occupare le posizioni ufficiali e più esuli ucraini, seguaci di Bandera, di quanti mai abbiano raggiunto gli Stati Uniti». I servizi segreti tedeschi (Bnd) si trovano a Pullach, a pochi chilometri da Monaco, e «non hanno mai lasciato cadere i loro antichi collegamenti». Secondo la Henn, «sono ancora profondamente legati alle stesse persone che tennero i collegamenti durante la guerra». A Monaco c’è stato un governo ucraino in esilio, con sede a Zeppelinstraße, e c’è ancora una università ucraina. Monaco, inoltre, è stata «il quartier generale dei terroristi ucraini dopo il 1945».Fin dalla sua indipendenza, in Ucraina c’è sempre stata una forte influenza tedesca: nel 1992 all’ambasciata tedesca di Kiev lavoravano più impiegati che in tutte le altre ambasciate occidentali messe insieme, inclusa quella americana. Mentre i funzionari governativi inglesi e americani allora cercavano di rafforzare le tendenze nazionaliste nei paesi ex Urss, il governo tedesco «aveva già fatto tutto quello che poteva fare in questo senso, non solo in Ucraina ma anche negli Stati baltici». Per questo, continua Henn, la gran quantità di agenti della Cia a Kiev «potrebbe non essere un segno di forza degli Usa in questo dramma», ma sembra piuttosto «un tentativo di recuperare il ritardo rispetto ai collegamenti già presi dai tedeschi». La Henn segnala una «strana eco storica» negli avvenimenti ucraini, che rimanda in modo sinistro al calendario del nazismo germanico. A cominciare dal massacro di Odessa, il rogo del palazzo dei sindacati lo scorso 2 maggio: sempre il 2 maggio (del 1919) Monaco di Baviera «fu conquistata dai controrivoluzionari», e la successiva repressione fece 3.000 vittime. Ancora il 2 maggio (del 1933) i nazisti «presero d’assalto gli edifici dei sindacati tedeschi».Coincidenze, o frutto di una “mente” germanica? «I nazisti tedeschi sono ossessionati dai riferimenti storici», avverte Dagmar Henn. «Sapete perché il primo campo di concentramento fu costruito a Dachau? In quel posto l’Armata Rossa bavarese vinse una battaglia all’inizio del 1919». I gerarchi di Hilter, dunque, «volevano cancellare chi era stato sconfitto, anche la sua memoria, e ci riuscirono». Conclude Henn: «Potrei sbagliarmi, mi piacerebbe sbagliarmi, ma la strategia russa al momento sembra essere mirata a creare una spaccatura tra Germania e Stati Uniti. Se avessi ragione, questa strategia sarebbe completamente inutile: non vedo nessun piano-B e non vedo nemmeno un qualche serio tentativo di informare la popolazione tedesca. Questo mi preoccupa profondamente. Ai governi tedeschi piace parlare di pace. Fino alle 5:44 del mattino».“Frega il tuo vicino”, è da sempre la strategia della Germania: secondo Dagmar Henn, esponente della sinistra tedesca (Linke), il tentativo di Berlino di ridurre l’intera Europa a sua colonia economica non è altro che un tentativo di rovesciare l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Di cui la Germania sembra ripercorrere tutti i passi falsi, a cominciare dalla sfida contro la Russia: perché se gli Usa sono la superpotenza mondiale che sta minacciando Mosca sulla frontiera ucraina, a tirare le fila sono soprattutto i tedeschi, anche se per ora restano nell’ombra. In realtà non è stata la Casa Bianca ma l’Unione Europea a far firmare alla giunta golpista di Kiev l’accordo che lega l’economia ucraina a quella tedesca. Ed è stata la stessa Ue a imporre l’accordo-capestro col Fmi. L’uomo della Merkel per l’operazione-Ucraina è stato il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, coordinatore dei servizi segreti fino al 2005 e quindi «profondamente coinvolto nei fatti del Kosovo».
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Donbass: via i russi, a cannonate, per far posto alla Shell
Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.Con la Shell, ricorda la Četverikova in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, l’Ucraina ha firmato un contratto agevolato della durata di 50 anni, con obbligo di proroga. Oggi, la compagnia petrolifera che l’inizio dello sfruttamento del giacimento è previsto «dopo la de-escalation del conflitto e la stabilizzazione della situazione», cioè quando sarà stata sterminata o cacciata di casa a cannonate la popolazione che vive nell’area del giacimento. Un territorio immenso, che si espande su 7.886 chilometri quadrati, che comprende la città di Slavyansk (situata al centro del giacimento), Izyum, una grossa parte di Kramatorsk, così come centinaia di piccoli insediamenti: Krasnyj Liman, Seversk, Yasnogorka, Kamyševka. Sempre secondo l’accordo, «gli abitanti che risiedono su questo territorio, come da contratto, devono vendere la proprietà della loro terra». In caso di rifiuto, la terra «verrà loro tolta con la forza a favore di Shell». E tutte le spese della società per l’“appropriazione del territorio” verranno risarcite dallo Stato ucraino con il ricavato dell’estrazione del gas. Per questo, Kiev è tenuta a garantire il rispetto di tutte le clausole, imponendole alle autorità locali.Oltre alla Shell, a dividersi la torta ci sono la Eurogas Ucraina (di proprietà della britannica Mc Callan Oil & Gas, a sua volta acquistata dalla statunitense Euro Gas) e la Burisma Holdings, nella quale Hunter Biden, figlio del vicepresidente americano Joe Biden, è da poco diventato uno dei membri del consiglio direttivo. Vero obiettivo della “operazione antiterrorismo”, cioè la carneficina del Donbass, è «stabilire il pieno controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk», scrive Olga Četverikova. Missione: «La totale “bonifica” della sua superficie totale per avviare, senza intoppi, il lavoro di estrazione dello “shale gas”: sul territorio, “ripulito” dalla popolazione, è prevista l’installazione di 80-140 mila pozzi)». Ciò significa «la distruzione della terra seminabile, la demolizione di impianti industriali, di edifici residenziali, di luoghi di culto, per il mantenimento delle infrastrutture del gas». Altra preda di guerra, le fertilissime “terre nere”, di cui l’Ucraina possiede il 27% del patrimonio mondiale: «In tempo di pace sarebbe difficile realizzare tutto ciò, ma la guerra copre tutto».Kiev punta dunque a «ottenere una brusca riduzione del numero della popolazione locale, e lasciare sul territorio dei giacimenti solo le persone necessarie per i lavori di estrazione del gas». I sindaci insediati dal governo golpista ucraino già promettono nuovi posti di lavoro, al posto del lavoro perso in seguito alla distruzione delle industrie. Per cui, «sopprimere la resistenza degli abitanti di Donetsk e Lugansk e ristabilire il controllo sul territorio» consentirà presto di «tagliar fuori la Russia da gran parte del mercato europeo del gas». Carte scoperte dall’autunno 2014: il segretario Nato, Rasmussen, il 20 giugno a Londra ha accusato Mosca di aver complottato per interrompere la produzione di gas di scisto, mentre già il 1° maggio al Congresso Usa è stato proposto un progetto di legge “prevenzione delle aggressioni dalla Russia – 2014”. «Proprio il desiderio di mantenere il controllo da parte delle grandi corporazioni transnazionali sui giacimenti petroliferi del Dnepr-Donets ha portato alla guerra contro il popolo di Donetsk e Lugansk, una guerra di sterminio», accusa la Četverikova.«Il massacro di civili e il clima di paura che costringe le persone a lasciare la loro patria per diventare profughi sono stati i principali strumenti per attuare gli interessi delle multinazionali, per le quali il potere installatosi a Kiev dopo il colpo di Stato è solo un abbellimento per coprire la grande pulizia etnica della popolazione russa e russofona del Donbass». In un drammatico video-messaggio diffuso il 4 luglio, il presidente della regione Donetsk, Igor Strelkov, è stato chiarissimo: «Se la Russia non otterrà un cessate il fuoco, o se non inizierà un’operazione di pace, Slavyansk con la sua popolazione di oltre 30.000 abitanti sarà distrutta in una settimana, al massimo due». Come da contratto con la Shell, nel silenzio totale dell’Europa e del resto del mondo.Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.
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Basta diktat dagli Usa, la Cina avrà la sua Banca Mondiale
Basta con l’egemonia di Wall Street, la Cina vuole una sua Banca Mondiale orientata da Pechino e non dal capitale finanziario occidentale. Mentre gli Stati Uniti premono sulla Russia con l’escalation in Ucraina e minacciano di accerchiare la Cina spostando nel Pacifico la loro flotta da guerra dopo aver imbrigliato l’Europa nella tela atlantica con il Ttip e il Tisa, i trattati segreti su merci e servizi per imporre l’american way of life a colpi di deregulation e privatizzazioni, il gigante asiatico aumenta il suo pressing per creare un’istituzione finanziaria globale in grado di fronteggiare e competere con la Banca Mondiale e l’Asian Development Bank, che Pechino ritiene troppo influenzate dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Nelle ultime settimane, segnala “La Stampa”, la Cina ha proposto di raddoppiare il capitale per l’antagonista della Banca Mondiale a 100 miliardi di dollari. Al momento, secondo il “Financial Times”, sono già 22 i paesi che hanno mostrato interesse nell’iniziativa.«La banca allo studio dovrebbe chiamarsi Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), e dovrebbe puntare inizialmente a costruire la nuova versione della Via della Seta, l’antica strada degli scambi commerciali fra Europa e Cina», scrive il quotidiano torinese. «Fra i progetti anche una ferrovia diretta da Pechino a Baghdad». Per il giornale di New York, «la Cina ritiene di non poter ottenere niente dalla Banca Mondiale o dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e così vuole una sua banca mondiale». E’ molto vasto l’interesse internazionale per l’iniziativa, ma in ogni caso «la Cina è pronta ad andare avanti anche se nessun altro vi prendesse parte». Se gli Stati Uniti arrivano a minacciare anche militarmente l’Eurasia, pretendendo di mantenere l’attuale controllo egemonico sui grandi capitali, la Cina – il maggior creditore dell’America – organizza un’evidente controffensiva, che (d’intesa con la Russia) potrebbe portare all’abbandono del dollaro come moneta internazionale, a favore dello yuan, per le forniture di gas e petrolio.L’Aiib, aggiunge “La Stampa”, sarebbe una sfida per l’Asian Development Bank, che i cinesi valutano troppo influenzata dal Giappone. «Se partisse con 100 miliardi di dollari, Aiib sarebbe già due terzi dell’Asian Development Bank, che può contare su 165 miliardi di dollari». Il Giappone e gli Stati Uniti sono i maggiori azionisti dell’Asian Development Bank, con rispettivamente il 15,7% e il 15,6%, e il presidente dell’istituto è giapponese da quando è stata fondata nel 1966, mentre la Cina controlla appena il 5,5% del colosso finanziario, anche se la sua economia è molto più grande di quella del Giappone. Pechino, che ha organizzato diversi incontri per promuovere l’iniziativa, avrebbe già firmato un apposito “memorandum of understanding” con 10 paesi. Il mondo si avvia ad essere sempre meno americano, a cominciare dal motore dell’economia globale.Basta con l’egemonia di Wall Street, la Cina vuole una sua Banca Mondiale orientata da Pechino e non dal capitale finanziario occidentale. Mentre gli Stati Uniti premono sulla Russia con l’escalation in Ucraina e minacciano di accerchiare la Cina spostando nel Pacifico la loro flotta da guerra dopo aver imbrigliato l’Europa nella tela atlantica con il Ttip e il Tisa, i trattati segreti su merci e servizi per imporre l’american way of life a colpi di deregulation e privatizzazioni, il gigante asiatico aumenta il suo pressing per creare un’istituzione finanziaria globale in grado di fronteggiare e competere con la Banca Mondiale e l’Asian Development Bank, che Pechino ritiene troppo influenzate dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Nelle ultime settimane, segnala “La Stampa”, la Cina ha proposto di raddoppiare il capitale per l’antagonista della Banca Mondiale a 100 miliardi di dollari. Al momento, secondo il “Financial Times”, sono già 22 i paesi che hanno mostrato interesse nell’iniziativa.
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Il business avverte Obama: basta sanzioni contro Putin
«Nessuno al mondo ha una vera ragione per amare gli Stati Uniti, meno che mai gli stessi americani dissanguati per le pretese di dominio di Washington sul mondo». Mentre 3 russi su 4 vorrebbero che Putin restasse al Cremlino anche dopo il 2018, il tasso di popolarità di Obama scivola al 41%. E l’economia americana traballa: la strombazzata crescita del primo trimestre 2014, di almeno il 2,6% secondo gli economisti mainstream, viene sbriciolata dalla dura realtà, che rivela uno scivolone pari al -2,9%. Non se ne stupisce Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan: «Qualsiasi economista libero e non a libro paga di Wall Street, del governo e dei poteri forti sapeva che il 2,6% era una buffonata». La verità è che «l’economia americana non può crescere perché le multinazionali spinte da Wall Street hanno portato l’economia reale fuori dai confini Usa: tutta la produzione americana è stata trasferita all’estero». E ora – questa la notizia – i poteri forti chiedono a Obama di cessare l’offensiva contro la Russia di Putin, prima che l’America ci rimetta l’osso del collo.«Le povere previsioni per l’economia americana – segnala Craig Roberts in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – hanno indotto due tra le più grandi lobby d’affari, la Camera di Commercio degli Stati Uniti e l’associazione nazionale dei produttori (o quello che rimane di essa) a prendere posizione contro l’amministrazione Obama per la paura di ulteriori sanzioni contro la Russia». E’ stata “Bloomberg News” ad annunciare la campagna promossa dai gruppi d’affari con pagine su “New York Times”, “Wall Street Journal” e “Washington Post” contro ulteriori sanzioni nei confronti del Cremlino. «Queste organizzazioni dicono che le sanzioni diminuiranno i loro profitti avendo come risultato la perdita di posti di lavoro americani». Si tratta delle due maggiori corporazioni commerciali Usa, «fonti importantissime di finanziamento delle campagne elettorali dei vari partiti politici», e ora «hanno finalmente aggiunto la loro voce a quella del mondo degli affari tedesco, francese e italiano».«Tutti, tranne l’opinione pubblica americana – dice Craig Roberts – sanno che la crisi in Ucraina è totalmente un “business” creato da Washington. Gli imprenditori europei e americani si stanno chiedendo “perché i nostri profitti e i nostri lavoratori debbano soffrire a causa della propaganda di Washington contro la Russia”». Secondo l’ex viceministro di Reagan, «Obama non sa cosa dire». Magari qualche risposta verrà dalla «feccia neocon» imbarcata alla Casa Bianca: Victoria Nuland, Samantha Powers, Susan Rice. «Obama può affidarsi al “New York Times”, al “Washington Post”, al “Wall Street Journal” e al “Weekly Standard” per spiegare perché milioni di americani ed europei debbano soffrire affinché il “ratto” dell’Ucraina vada a buon fine». In realtà, «le bugie di Washington si stanno ritorcendo contro Obama». Se la cancelliera Merkel «è completamente assoggettata ai voleri Usa», in compenso «l’industria tedesca sta dicendo all’amica americana che il valore dei propri affari in Russia è maggiore del valore sofferto a causa delle pretese imperialistiche del governo Usa».Idem il mondo imprenditoriale francese: «Sta chiedendo a Hollande cosa voglia fare con la mancanza di posti di lavoro e se lui stesso porta avanti gli interessi americani». Le sanzioni contro la Russia, inoltre, «costituiscono un colpo mortale al settore italiano più famoso e universalmente riconosciuto al mondo, quello del lusso e della moda». Così, in Europa «si sta spandendo a macchia d’olio il dissenso nei confronti di Washington». Secondo recenti sondaggi, 3 tedeschi su 4 «sono contrari alla permanenza delle basi Nato in Polonia e negli Stati baltici». L’ex Cecoslovacchia, attualmente divisa in Slovacchia e Repubblica Ceca, benché membro Nato si è opposta alla presenza americana sul suo territorio. «Recentemente, un ministrro tedesco ha detto che fare un piacere a Washington è come fare sesso orale senza ricevere nulla in cambio». Di fatto, «la pressione che i pazzi a Washington stanno mettendo sulla Nato potrebbe mandare in frantumi l’organizzazione: preghiamo perché sia così», dichiara Craig Roberts. «La scusa all’esistenza della Nato è scomparsa 23 anni anni fa con il collasso dell’Unione Sovietica. Washington ha fatto espandere la Nato molto oltre i limiti segnati dal Trattato del Nord-Atlantico».La Nato ora interviene su un territorio che va dal Baltico all’Asia Centrale: «Quindi, per giustificare la continua espansione delle operazioni, Washington ha dovuto fare della Russia un nemico». Il problema? «La Russia non vuole assolutamente essere un nemico della Nato o di Washington». A premere per lo scontro è il complesso apparato militare di sicurezza statunitense, che assorbe più di un trilione di dollari dalle tasche degli americani: la lobby della guerra «ha bisogno di una scusa per continuare a far lievitare i profitti». Avverte Craig Roberts: «Sfortunatamente, gli imbecilli di Washington hanno scelto un nemico pericoloso: la Russia è una potenza nucleare, un paese di vaste dimensioni che vanta un’alleanza strategica con la Cina. Solo un governo imbevuto di arroganza e hybris, o gestito da psicopatici e sociopatici, sceglierebbe un nemico del genere».Per fortuna, al Cremlino c’è Putin, forte del consenso del 76% dei russi «nonostante le forti opposizioni delle Ong russe finanziate da Washington». Putin ha più volte fatto notare all’Europa come le politiche americane in Medio Oriente e in Libia non siano state solo un completo fallimento, ma anche devastanti e pericolose per l’Europa e la Russia. «I pazzi a Washington hanno rimosso dei governi che tenevano a bada gli jihadisti, e ora questi violenti sono sguinzagliati e senza alcun tipo di controllo». In Medio Oriente, gli jihadisti «sono al lavoro per ridefinire i confini stabiliti dagli inglesi e dai francesi dopo la Prima Guerra Mondiale». Attenzione: «Europa, Russia e Cina hanno tutte una percentuale di popolazione musulmana e ora si preoccupano che la violenza che Washington ha scatenato in Medio Oriente possa destabilizzare anche loro stesse».Per di più, il dollaro americano è nei guai: il biglietto verde «è tenuto a galla attraverso la manipolazione del mercato finanziario e Washington sta mettendo sotto pressione i suoi Stati vassalli perché sostengano il valore del dollaro attraverso la stampa delle loro monete e il conseguente acquisto di dollari». Per tenere il dollaro in vita, aggiunge Craig Roberts, larga parte del mondo patirà le conseguenze dell’inflazione: «Quando la gente finalmente lo capirà e correrà a comprare oro, in quel momento ce lo avranno tutto i cinesi». A sentire Sergej Glazyeb, un consigliere del Cremlino, «solo un’alleanza contro il dollaro potrebbe fermare le ambizioni degli Stati Uniti». Anche per Craig Roberts «non ci può essere pace fino a che Washington continua a stampare moneta per finanziare nuove guerre: come ha detto il governo cinese, è tempo di “de-americanizzare il mondo”». Secondo Roberts, la leadership degli Stati Uniti ha completamente fallito, producendo null’altro che bugie, violenze e morte, devastando 7 paesi nel XXI secolo. «A meno che la leadership degli Stati Uniti non venga sostituita con una più a misura d’uomo, la vita sulla Terra non ha futuro».«Nessuno al mondo ha una vera ragione per amare gli Stati Uniti, meno che mai gli stessi americani dissanguati per le pretese di dominio di Washington sul mondo». Mentre 3 russi su 4 vorrebbero che Putin restasse al Cremlino anche dopo il 2018, il tasso di popolarità di Obama scivola al 41%. E l’economia americana traballa: la strombazzata crescita del primo trimestre 2014, di almeno il 2,6% secondo gli economisti mainstream, viene sbriciolata dalla dura realtà, che rivela uno scivolone pari al -2,9%. Non se ne stupisce Paul Craig Roberts, già viceministro del Tesoro di Reagan: «Qualsiasi economista libero e non a libro paga di Wall Street, del governo e dei poteri forti sapeva che il 2,6% era una buffonata». La verità è che «l’economia americana non può crescere perché le multinazionali spinte da Wall Street hanno portato l’economia reale fuori dai confini Usa: tutta la produzione americana è stata trasferita all’estero». E ora – questa la notizia – i poteri forti chiedono a Obama di cessare l’offensiva contro la Russia di Putin, prima che l’America ci rimetta l’osso del collo.
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Prelievo forzoso: il piano del Fmi per prenderci tutto
Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.L’ultimo documento del Fmi, massima istituzione finanziaria dell’oligarchia neoliberista euroatlantica, «descrive in dettaglio come d’ora in poi si potrà autorizzare l’espropriazione dei beni del settore privato e di chi ha investito in titoli di Stato, per pagare i debiti nazionali». Quello del Fondo Monetario diretto dalla francese Christine Lagarde è «un progetto straordinario, che butta a mare qualsiasi congettura finora fatta sull’acquisto di titoli di Stato». Già nel 2013 il Fmi parlava di “repressione finanziaria”: «I governi possono spalmare il debito sui fondi pensione, fondi locali e compagnie di assicurazione, costringendoli per legge ad accettare tassi di rendimento molto più bassi». Il Fondo Monetario aveva consigliato di gestire la “crisi dell’euro” aumentando le tasse, chiedendo di imporre una tassa sulla proprietà anche nei paesi europei in cui quel tipo di tassazione non esiste ancora. Ora, il Fmi spinge per una “tassa sul debito” generalizzata, «per un importo del 10% per ogni famiglia dell’Eurozona, anche su quelle famiglie che dispongono solo di modesti risparmi».Per Durden e Armstrong, «la gente è cieca: crede che in questo modo si sia data l’autorizzazione ad andare a colpire i ricchi, e non capisce che invece si sta correndo dietro chiunque», perché alla fine i “ricchi” sono pochi, da soli non basterebbero neppure se li si spennasse: molto meglio tosare milioni di contribuenti ordinari. «Quelli del Fmi non hanno messo in discussione nessuna riforma del sistema: stanno semplicemente progettando un fallimento, da ripianare buttandolo sulle spalle dei risparmiatori espropriandoli dei loro risparmi, e continuando a far chiedere altri soldi in prestito, per sempre», osserva “Zero Hedge”. E il peggio è che «non c’è nessuno che si sta preoccupando». Il denaro risparmiato dalle persone, secondo il Fmi, «dovrebbe essere utilizzato obbligatoriamente al servizio del debito», quello che lo Stato sovrano – prima dell’euro – garantiva da solo, a costo zero, con emissione di moneta. Ora invece il debito dello Stato dovrebbero pagarlo i cittadini, secondo i tecnocrati neo-feudali del Fondo Monetario: «Sostengono che, per ridurre l’enorme debito nazionale, i governi abbiano il diritto di requisire direttamente i risparmi dei cittadini. Non importa che si tratti di risparmi, di assicurazioni o di immobili, almeno il 10% potrebbe essere espropriato».E dato che il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona – impoverita disastrosamente dalla recessione economica indotta dalla moneta unica – è aumentato di più del 90% del Pil, tutta la popolazione dovrebbe sacrificare i propri risparmi, per “salvare” lo Stato lasciato in bolletta dall’euro. Come al solito, la cupola politico-finanziaria europea esegue: già a gennaio, la Bundesbank ha aderito al progetto del Fmi, concentrandosi su una “tassa sulla ricchezza”. «Nella situazione eccezionale di un imminente fallimento dello Stato – dichiara la banca centrale tedesca – un prelievo di capitale una tantum potrebbe rivelarsi un taglio più conveniente rispetto a qualsiasi altra opzione», nel caso in cui aumenti delle tasse o altre drastiche limitazioni della spesa pubblica non fossero sufficienti a soddisfare i bisogni. A giugno, il Fmi ha preparato un altro progetto, per estendere d’imperio la scadenza delle obbligazioni: cedole biennali potrebbero diventare ventennali. «Semplicemente, tu non puoi riscattare la tua obbligazione». I tuoi soldi se li tengono in ostaggio “loro”, naturalmente «con lo stesso tasso di interessi».Purtroppo, sottolinea “Zero Hedge”, «la stampa non spiegherà mai i rischi reali di certe notizie: sono troppo noiose». Quindi, nei paesi in cui ci sono delle pensioni da lavoro, «ci si potrebbe svegliare improvvisamente e venire a sapere che con quello che serve al proprio futuro si sta pagando un contributo al governo – che ringrazia per il patriottismo». Una cosa è certa: per anni, tutti i fondi pensione hanno comprato titoli di Stato perché erano considerati “tranquilli” e “senza rischi”. Non sarà più così. E il crollo dei debiti sovrani potrebbe «mandare in crash» anche i mercati finanziari che quei titoli acquistarono. Chi decide? Il Fondo Monetario, purtroppo. «Il Fmi è una dittatura non eletta da nessuno, che però può gestire la vita della gente», accusano Durden e Armstrong. E ora la Lagarde presenta il “nuovo profilo” della sua strategia: tutti i debiti pubblici – per la prima volta nella storia moderna – dovranno “trovare una copertura”, come se lo Stato fosse una famiglia o un’azienda, e non un’autonoma istituzione finanziaria pubblica.«Quest’ultimo documento non è altro che un ordine di liquidazione del debito pubblico, a spese degli obbligazionisti e a loro insaputa: azionisti che possono tranquillamente essere anche dei pensionati». Per salvarsi la poltrona, gli euro-leader stanno con gli oligarchi del Fondo Monetario, guardandosi bene dal tutelare l’interesse pubblico, cioè i cittadini. «Così, è probabile che presto l’Eurozona possa essere colpita direttamente dai piani del Fmi». Secondo gli analisti di “Zero Hedge”, la situazione è gravissima: la “soluzione finale” prospettata dalla Lagarde «potrebbe produrre anche dei disordini civili, ma solo dopo che il fatto sarà avvenuto». Questo “taglio corto” fatto ai creditori privati è una sorta di condizione preliminare che gli Stati in bancarotta devono rispettare prima di ottenere ulteriori prestiti. Prendere o lasciare: «E’ quanto il Fmi sta facendo in Ucraina, niente meno di quello che hanno fatto a Cipro». Se lo Stato non controlla più il debito, avendolo ceduto agli usurai della finanza privata, il carico fiscale è così opprimente che «ci stiamo rapidamente avvicinando al crollo della democrazia». Milioni di ignari pensionati saranno letteralmente rapinati dai dominus del Fmi. E il guaio è che «questi signori non si sentono minimamente in colpa per l’estorsione fatta ai governi».Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.
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Cheney: presto un altro 11 Settembre, ancora più letale
Il primo passo è semplice, costruire un nemico: ieri l’Islam, oggi la Russia di Putin. La seconda mossa è scritta nella storia, da Pearl Harbor al falso attacco contro navi americane nel Golfo del Tonchino, casus belli per la guerra in Vietnam. L’avvertimento questa volta viene da un personaggio particolarmente inquietante come l’ex vicepresidente Dick Cheney, secondo molti analisti la vera “mente” della gestione politica degli attentati dell’11 Settembre, perfetti per avviare l’assedio strategico della Cina con l’occupazione dell’Afghanistan e quindi ipotecare il petrolio del Golfo grazie alla campagna contro le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. E’ il “Daily Mail”, il 25 giugno 2014, a rivelare che, secondo Cheney, entro il 2010 molto probabilmente ci sarà un attacco terroristico di gran lunga peggiore rispetto a quello contro le Twin Towers, attribuito al “fantasma” di Bin Laden, già emissario della Cia in Afghanistan. In altre parole: starebbe per tornare d’attualità lo stesso copione del terrore, il pretesto per una nuova guerra.«Penso che ci sarà un altro attacco», ha detto Cheney. «E la prossima volta credo che sarà ben più letale dell’ultima». Aggiunge l’ex vice di Bush: «Immaginate cosa sarebbe se qualcuno riuscisse a portare nel paese una testata atomica, la mettesse dentro un container e la portasse sin alle porte di Washington». Parole più che inquietanti, osserva Salvatore Santoru in un post su “Informazione consapevole” ripreso da “Vox Populi”, vista l’identità del dichiarante: «Un personaggio che anche Richard Clarke, principale consigliere anti-terrorismo sotto l’amministrazione Bush, ha definito come “criminale di guerra”». Inoltre, aggiunge Santoru, «bisogna ricordare che Cheney, vicepresidente durante gli attacchi dell’11 Settembre, è anche un membro di spicco del “Project for The New American Century“ (Pnac), il famigerato gruppo di potere alla base del movimento neocon». Il gruppo – formato anche da Rumsfeld, Wolfowitz, Condoleezza Rice – è noto per aver redatto nel 2000 il documento “Rebuilding America’s Defenses”, «in cui si auspicava una “nuova Pearl Harbor” da usare come casus belli per giustificare la politica imperialista statunitense in Medio Oriente».Nel 2007, ricorda Santoru, in un’intervista per l’emittente televisiva “Democracy Now”, l’ex generale Wesley Clark, citando proprio quel documento, rivelò che la guerra in Iraq era stata pianificata con largo anticipo sugli “incidenti” costruiti ad arte, così come altri conflitti, dall’Afghanistan sino alla Libia e all’Iran. «Tenendo presente che gli attacchi dell’11 Settembre secondo molti ricercatori non furono altro che delle operazioni “false flag”, forse si dovrebbero prendere in seria considerazione le parole di Cheney, e intenderle anche come una seria minaccia per il popolo statunitense, sperando che questa volta i progetti sinistri di certi personaggi e gruppi di potere non raggiungano il proprio obiettivo, come è stato per il 9/11, e si riesca a fermarli il prima possibile». Impresa proibitiva: il Premio Nobel per la Pace che attualmente siede alla Casa Bianca sostiene di aver assassinato Bin Laden (senza una sola foto che ne documenti la morte) e un anno fa ha cercato di bombardare la Siria dopo aver armato i miliziani jihadisti per scatenare la guerra civile a Damasco. Oggi, Obama è direttamente alle prese con la Cina: mentre sta spostando nel Pacifico la proiezione navale statunitense, sta minacciando direttamente la Russia dopo aver insediato in Ucraina un governo golpista dominato da neonazisti. In questo scenario, le dichiarazioni di Cheney rivelano tutta la loro pericolosità.Il primo passo è semplice, costruire un nemico: ieri l’Islam, oggi la Russia di Putin. La seconda mossa è scritta nella storia, da Pearl Harbor al falso attacco contro navi americane nel Golfo del Tonchino, casus belli per la guerra in Vietnam. L’avvertimento questa volta viene da un personaggio particolarmente inquietante come l’ex vicepresidente Dick Cheney, secondo molti analisti la vera “mente” della gestione politica degli attentati dell’11 Settembre, perfetti per avviare l’assedio strategico della Cina con l’occupazione dell’Afghanistan e quindi ipotecare il petrolio del Golfo grazie alla campagna contro le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. E’ il “Daily Mail”, il 25 giugno 2014, a rivelare che, secondo Cheney, entro il 2020 molto probabilmente ci sarà un attacco terroristico di gran lunga peggiore rispetto a quello contro le Twin Towers, attribuito al “fantasma” di Bin Laden, già emissario della Cia in Afghanistan. In altre parole: starebbe per tornare d’attualità lo stesso copione del terrore, il pretesto per una nuova guerra.
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Renzi, atroce imbroglio: la faccia allegra della catastrofe
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale. Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno… la crisi economica si risolve con le riforme… Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi. Qualcuno parla ancora di Fiscal Compact? Nel nuovo Pd di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del Pd si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo, perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo torinese è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti, sostenitori esultanti e anestetizzati del Pd: alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader. Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La Cgil ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il Pd. Il presidente del consiglio sta sbancando.Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo. La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza, questo insegnano il Jobs Act o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da Ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza. La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia Nato e ancor di più lo faranno con il Ttip, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la Ue in appendice di Usa e Canada, mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.Forse non ce ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze e un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano. Povero Renzi, che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile. Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese.(Giorgio Cremaschi, estratto dall’intervento “Facciamo fallire il regime renziano”, da “Micromega” del 20 giugno 2014).Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?
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I Brics: addio dollaro, così fermeremo i missili Usa
Porre fine al monopolio del dollaro come valuta internazionale. Obiettivo: frenare l’aggressività militare degli Usa, che sta mettendo in pericolo la stabilità geopolitica del mondo. Russia e Cina guidano i Brics verso la de-dollarizzazione del pianeta, allo scopo di sottrarre linfa all’apparato industriale-militare statunitense. Grandi manovre sono ormai in corso, conferma “Zero Hegde”, per re-impostare il commercio mondiale costruendo un’alternativa al dollaro come moneta di scambio. «Mentre i governi di tutto il mondo sono occupati a nascondere alla loro devastata classe media la vera faccia del mercato e a distrarla dal progressivo impoverimento della sua esistenza, dietro le quinte sta avvenendo qualcosa di veramente importante, di cui solo pochissimi si rendono conto». Un nuovo sistema di scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Il nuovo sistema «potrà agire anche come sostituto de facto del Fmi», segnando la fine di un’epoca.Sono molti, segnala “Zero Hedge” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, i paesi che stanno «gettando le basi per questa guerra valutaria finale». Valentin Madrescu, di “Vor”, spiega che la “riconversione” sta avvenendo «lentamente ma inesorabilmente, nei paesi del Brics». Lavori in corso: Elvira Nabiullina, governatore della banca centrale russa, ha concertato con Putin l’imminente accordo rublo-yuan con la Banca Popolare Cinese. Sergej Glaziev, consigliere economico di Putin, sostiene la necessità di «creare un’alleanza internazionale di paesi disposti a sbarazzarsi del dollaro per i loro commerci internazionali e a rifiutarsi di continuare a stoccare dollari come riserve valutarie». L’obiettivo finale, rileva “Zero Hedge”, sarebbe quello di «far ingrippare la macchina-stampa-soldi di Washington che serve ad alimentare il suo complesso militare e industriale, che sta permettendo agli Usa di diffondere il caos in tutto il mondo, fomentando le guerre civili in Libia, Iraq, Siria e in Ucraina».La missione tecnica dei banchieri russi e cinesi: semplificare il finanziamento del commercio internazionale. «Stiamo discutendo con la Cina e con i nostri parter del Brics sull’istituzione di un sistema di scambi multilaterali, che permetterà di trasferire risorse da un paese all’altro, se necessario», dice Glaziev a “Prime News Agency”. «Una parte delle riserve valutarie potrà essere destinata a questo scopo», cioè la creazione del nuovo sistema.«Sembra che il Cremlino abbia scelto l’approccio all-in-one per costruire la sua alleanza anti-dollaro», scrive Tyler Durden. «Uno scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Allo stesso tempo, il nuovo sistema potrà anche agire come sostituto de facto del Fondo Monetario Internazionale, perché permetterà ai membri dell’alleanza di usare le risorse per finanziare i paesi più deboli». I Brics probabilmente useranno le loro attuali riserve in dollari per sostenere il nuovo sistema, «riducendo drasticamente la quantità di strumenti in dollari acquistati dai più grandi creditori esteri degli Stati Uniti».Gli scettici, aggiunde Durden, sicuramente diranno che l’alleanza dei Brics contro il dollaro non riuscirà a privare il biglietto verde del suo status di valuta di riserva globale. In compenso, bisogna ammettere che Washington «sta facendo del suo meglio per allargare le fila dei nemici del dollaro». Quando il canale televisivio “Russia 24” ha chiesto a Sergej Kostin di commentare le dichiarazioni della Nabiullina, tra le più convinte sostenitrici della svolta anti-dollaro, ha ottenuto una risposta illuminante sui contraccolpi in Europa: l’asse tra la valuta russa e quella cinese è ormai imminente, la modalità dei pagamenti rublo-yuan «sarà lasciata libera», mentre la stessa Banca di Francia – per proteggere Bnp Paribas da Wall Street – per bocca del governatore Christian Noyer annuncia che il commercio con la Cina sarà «gestito in yuan o in euro», non più in dollari. «Se la tendenza attuale dovesse continuare – rileva Durden su “Zero Hedge” – presto il dollaro sarà abbandonato dalle più importanti economie globali e sbattuto fuori dalla finanza del commercio globale. Il bullismo di Washington porterà anche i suoi alleati storici a dover scegliere l’allenza dei Brics, invece del sistema monetario attuale basato sul dollaro». Secondo Durden, «il punto di non-ritorno per il dollaro potrebbe essere molto più vicino di quanto si creda».Porre fine al monopolio del dollaro come valuta internazionale. Obiettivo: frenare l’aggressività militare degli Usa, che sta mettendo in pericolo la stabilità geopolitica del mondo. Russia e Cina guidano i Brics verso la de-dollarizzazione del pianeta, allo scopo di sottrarre linfa all’apparato industriale-militare statunitense. Grandi manovre sono ormai in corso, conferma “Zero Hegde”, per re-impostare il commercio mondiale costruendo un’alternativa al dollaro come moneta di scambio. «Mentre i governi di tutto il mondo sono occupati a nascondere alla loro devastata classe media la vera faccia del mercato e a distrarla dal suo progressivo impoverimento, dietro le quinte sta avvenendo qualcosa di veramente importante, di cui solo pochissimi si rendono conto». Un nuovo sistema di scambio monetario tra le banche centrali dei Brics faciliterà il finanziamento del commercio, bypassando completamente il dollaro. Il nuovo sistema «potrà agire anche come sostituto de facto del Fmi», segnando la fine di un’epoca.
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Non credete a Obama, è pronto a usare la bomba atomica
«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».Secondo Roberts, la Casa Bianca si è fatta convincere dai neo-conservatori che le forze nucleari russe sono ferme e impreparate, quindi un ottimo bersaglio per un attacco. «Questa falsa opinione – scrive l’analista, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – si basa su informazioni vecchie di dieci anni», prima cioè del poderoso riarmo difensivo promosso da Putin, che ha permesso alla Russia di giocare un ruolo-chiave per impedire che la Siria diventasse la scintilla della possibile Terza Guerra Mondiale. In ogni caso, «indipendentemente dalle reali condizioni delle forze nucleari russe, dal successo del “primo attacco” di Washington e dal livello di protezione dello “shield” americano», uno studioso come Steven Starr conferma che «il carattere letale delle armi nucleari» non è arginabile: un conflitto atomico non avrebbe vincitori, perché tutti soccomberebbero nella catastrofe.Lo ribadiscono autorevoli scienziati atmosferici, in studi come quello pubblicato già nel 2008 da “Physics Today”: nonostante la riduzione degli arsenali nucleari programmata con Gorbaciov nel lontano 1986 (ridurre a circa 2.000 entro il 2012 le 70.000 testate dell’epoca) non si è ancora ridotta la minaccia che una guerra nucleare rappresenta per la vita umana sulla Terra. E’ scontata la distruzione simultanea di centinaia di milioni di persone, mentre il fumo atomico emanato dalle esplosioni nella stratosfera «causerebbe l’inverno nucleare e il collasso dell’agricoltura». Sicché, «gli esseri umani scampati alla morte e alle radiazioni morirebbero comunque di fame». Reagan e Gorbaciov l’avevano ben compreso, ma «purtroppo non c’e’ stato un degno successore tra i governi americani che seguirono», sostiene Craig Roberts. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, i 9 paesi dotati di armi nucleari ancora possiedono un totale di 16.300 testate atomiche.E il maggior pericolo viene proprio dagli Usa: «E’ ormai appurato che a Washington ci siano dei politici che pensano, erroneamente, che la guerra nucleare sia una guerra che si può vincere, e che sia un valido strumento per arrestare l’ascesa di Russia e Cina che mette a repentaglio l’egemonia americana nel mondo». Il governo degli Stati Uniti, indipendentemente dal partito in carica, è «una grossa minaccia per la vita sulla Terra», accusa Roberts. E i governi europei, «che si reputano civilizzati», in realtà «non lo sono affatto, poiché permettono a Washington di perseverare nella sua sete di egemonia». E’ quello il problema: «L’ideologia che concede all’eccezionale e indispensabile America questa supremazia è un’enorme minaccia per il mondo».Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, Yemen e Somalia, per non parlare della Jugoslavia. «La distruzione parziale o totale di sette paesi del mondo operata dall’Occidente nel 21° secolo, con l’appoggio di altre “civiltà e mezzi d’informazione occidentali”, è la prova lampante che la leadership del mondo occidentale è completamente svuotata di coscienza morale e di compassione per il genere umano», dichiara Craig Roberts. «Ora che Washington è armata della sua falsa dottrina di “supremazia nucleare”, si prospetta un triste futuro per l’umanità». Secondo l’ex consigliere di Reagan, infatti, «Washington ha dato il via alla preparazione di una Terza Guerra Mondiale, e gli europei sembrano ben disposti a prenderne parte». A fine 2012, il danese Rasmussen a capo dell’Alleanza Atlantica aveva detto che la Nato non considerava la Russia come un nemico, ma «ora che la folle Casa Bianca insieme ai suoi folli vassalli ha dimostrato alla Russia che l’Occidente è ancora un nemico», Rasmussen ha cambiato posizione, dichiarando: «Dobbiamo accettare il fatto che la Russia ci considera suoi avversari», per aver sostenuto militarmente l’Ucraina (golpista) insieme agli altri paesi dell’Europa orientale.L’escalation è ormai avviata: per Alexander Vershbow, ex ambasciatore statunitense in Russia e attuale vicesegretario Nato, la Russia è «un nemico». Pertanto, «i contribuenti americani ed europei devono sostenere l’ammodernamento degli armamenti, non solo per Ucraina ma anche per Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaijan». L’apparato militare americano sta riesumando la guerra fredda, scrive Roberts, proprio perché ha appena perso la cosiddetta “guerra al terrore” in Iraq e Afghanistan. «Questo probabilmente è il punto di vista delle industrie di armamenti e di qualcuno a Washington». Ma i neocon sono ancora più ambiziosi: «Non perseguono solo il profitto nel sistema della sicurezza e degli armamenti, il loro scopo è l’egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ovvero azioni sconsiderate come la minaccia strategica che il regime di Obama, con la complicità dei vassalli europei, ha lanciato contro la Russia in Ucraina».Dall’autunno scorso, continua Roberts, il governo americano «non ha fatto che mentire sull’Ucraina, dando la colpa alla Russia per le conseguenze delle azioni di Washington e demonizzando Putin nello stesso modo in cui Washington ha demonizzato Gheddafi, Saddam Hussein, Assad, i Talebani e l’Iran». Il governo conta su formidabili complici: «La stampa “prostituita” e le capitali dei paesi europei hanno assecondato queste menzogne e questa propaganda, ripetendole senza sosta». Così, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Russia è diventato apertamente negativo. «Come pensate che vedano tutto questo Russia e Cina? La Russia ha visto la Nato spingersi fino ai suoi confini, una violazione degli accordi sottoscritti da Reagan e Gorbaciov». Peggio: Mosca «ha visto gli Stati Uniti violare gli accordi del trattato “Shield” e costituire un proprio “scudo” da guerre stellari». Se poi questo “shield” funzioni o meno «è del tutto irrilevante: il suo scopo è quello di convincere i politici e l’opinione pubblica che gli americani sono al sicuro».La notizia peggiore, continua Craig Roberts, è che i russi hanno visto gli Stati Uniti cambiare il ruolo delle armi nucleari, da mezzi deterrenti a strumenti di attacco preventivo. «E ora la Russia sente ogni giorno fiumi di menzogne ripetute in Occidente e assiste al massacro di civili nell’Ucraina russa da parte del vassallo ucraino degli Stati Uniti». Civili che Washington definisce “terroristi”, e che invece vengono sterminati «con armi come il fosforo bianco». E tutto questo «senza alcuna protesta da parte dei paesi dell’Occidente». E’ cronaca, benché oscurata dai media mainstream: «Attacchi massicci di artiglieria e aerei sulle case dell’Ucraina russa si sono compiuti nel giorno del 25° anniversario di Piazza Tienanmen, mentre Washington e i suoi paesi-marionetta hanno condannato la Cina per un evento che non è mai accaduto». La farsa della presunta “strage” di Pechino è infatti stata smascherata da fonti diplomatiche Usa: il governo cinese non ha mai sparato sulla folla degli studenti, ma ha contrattato con loro l’abbandono della piazza.«Come oggi sappiamo, non c’era stato alcun massacro in piazza Tienanmen», sottolinea Craig Roberts. «Era solo un’altra bugia di Washington, come quella del Golfo del Tonchino, come le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, come l’uso di armi chimiche di Assad, come le armi nucleari iraniane». Si stupisce, l’ex viceministro di Reagan: «E’ davvero sorprendente vedere come il mondo stia vivendo una falsa realtà creata dalle bugie di Washington. Il film “Matrix” è una fedele rappresentazione della vita in Occidente: la popolazione vive in una falsa realtà creata dai suoi governanti». L’opinione pubblica è così assuefatta da non riuscire a distaccarsene, come spiega – in quel film – Morfeo, il capo dei ribelli “risvegliati”: «La maggior parte della gente non è pronta a staccare la spina», molti di loro sono «così completamente schiavi del sistema che lotteranno per proteggerlo».Confessa Craig Roberts: «Vivo quest’esperienza ogni volta che scrivo un articolo: ecco che arrivano le proteste di quelli che non sono disposti a staccare la spina, attraverso e-mail o dai quei siti che nella sezione dei commenti accusano gli scrittori di calunnia verso i loro governi-troll». Se non altro, aggiunge l’analista, ad abboccare è l’Occidente, ma non le popolazioni russe e cinesi, quelle che vedono benissimo il cappio che si sta stringendo giorno per giorno. «Come pensate che reagirà la Cina quando Washington dichiarerà che il Mar Cinese Meridionale è una zona di interesse nazionale degli Stati Uniti, e invierà il 60% della sua flotta nel Pacifico e costruirà nuove basi aeree e navali americane dalle Filippine al Vietnam?». Finora, aggiunge Roberts, russi e cinesi «si sono comportati in modo ragionevole». Sergej Lavrov, il ministro degli esteri di Putin, è estremamente chiaro: «In questa fase, vogliamo dare ai nostri partner la possibilità di calmare gli animi. Vedremo cosa succederà in seguito. Se continueranno le accuse contro la Russia e i tentativi di pressione su di noi attraverso la leva economica, allora potremo rivalutare la situazione».«Se la folle Casa Bianca, le prostitute mediatiche di Washington e i vassalli d’Europa convinceranno la Russia che la guerra è inevitabile, la guerra diventerà davvero inevitabile», avverte Craig Roberts. «E poiché non esiste possibilità alcuna che la Nato sia in grado di montare un’offensiva convenzionale contro la Russia nemmeno lontanamente vicina alle dimensioni e alla potenza delle forze d’invasione tedesche del 1941, che poi incontrarono la distruzione, la guerra non potrà che essere nucleare, e questo significa la fine per tutti. Tenetelo bene a mente, mentre Washington e i suoi canali d’informazione continuano a far rullare i tamburi di guerra». La storia è lì a dimostrare che, oltre ogni dubbio, «tutto quello che Washington e le sue prostitute mediatiche hanno detto e dicono, non sono che bugie al servizio di un fine non dichiarato». E la cosa, purtroppo, «non si risolve votando democratico invece che repubblicano». Thomas Jefferson suggerì una soluzione: «L’albero della libertà di tanto in tanto si deve bagnare con il sangue dei patrioti e dei tiranni. E’ il suo concime naturale». Per Roberts, il guaio è che oggi «a Washington ci sono pochi patrioti e molti tiranni».«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».
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I bambini di Fukushima stanno morendo di cancro
Trentanove mesi dopo le varie esplosioni di Fukushima, il tasso di cancri della tiroide tra i bambini che vivono intorno si è elevato più di 40 volte oltre il normale. Più del 48% dei 375.000 giovani – quasi 200.000 bambini – esaminati dall’Università Medica di Fukushima nei dintorni dei fiammeggianti reattori soffrono di disturbi pre-cancerosi alla tiroide, soprattutto noduli e cisti. Il tasso va accelerando. Sono stati registrati più di 120 cancri infantili dove prima se ne registravano solo 3, dice Joseph Mangano, direttore esecutivo del Progetto Salute Pubblica e Radiazioni. L’industria nucleare e i suoi difensori continuano a negare questa tragedia della salute pubblica. Alcuni sono arrivati a dichiarare che «nessuna persona» è stata colpita dalla liberazione massiccia di radiazioni di Fukushima che, in relazione ad alcuni isotopi, ha superato quelle di Hiroshima per quasi 30 volte.Ma l’epidemia mortale di Fukushima è similare agli impatti sofferti dai bambini nei dintorni di Three Miles Island quando successe l’incidente del 1979, e dell’esplosione di Chernobyl del 1986, e come rilevato in altri reattori. La Commissione di Sicurezza Nucleare del Canada ha confermato la probabilità che l’energia atomica possa causare questo tipo di epidemie, affermando che in caso di un disastro in un reattore si produrrebbe «un aumento del rischio di cancro alla tiroide infantile». Nel valutare le prospettive di costruzione di un nuovo reattore in Canada, la Commissione dice che il tasso «aumenterebbe dello 0,3% ad una distanza di 12 chilometri» dall’incidente. Questo presuppone la distribuzione di pastiglie protettrici di ioduro di potassio e una rapida ed efficiente evacuazione, niente di quanto è successo nei casi di Three Mile Island, Chernobyl o Fukushima.Mangano ha analizzato le cifre. A partire dal decennio 1980, ha studiato gli impatti delle radiazioni prodotte da un reattore sulla salute umana; ha cominciato i suoi lavori con il leggendario radiologo Ernest Sternglass e lo studioso di statistica Jay Gould. Nelle dichiarazioni fatte nel Green Power & Wellness Showin, Mangano conferma anche che la salute in generale delle popolazioni umane situate nella direzione del vento migliora quando i reattori vengono chiusi e declina quando questi vengono aperti o riaperti. I bambini delle vicinanze di Fukushima non sono le uniche vittime. L’operaio dell’impianto Masao Yoshida è morto a 58 anni per un cancro all’esofago. Masao rifiutò eroicamente di abbandonare Fukushima nel peggior momento della crisi, salvando probabilmente milioni di vite. Ai lavoratori del reattore impiegati dai subappaltatori – molti dominati dal crimine organizzato – nessuno controlla l’esposizione alle radiazioni.E l’indignazione della gente aumenta a causa dei piani del governo per obbligare le famiglie – molte con bambini piccoli – a ritornare nella regione, fortemente contaminata, che attornia l’impianto. Dopo l’incidente del 1979, i proprietari di Three Miles Island negarono che il reattore si fosse fuso. Ma una telecamera-robot confermò più tardi il fatto. Lo Stato della Pennsylvania perse misteriosamente il suo registro dei tumori e in seguito disse che «non c’erano prove» che qualcuno fosse morto. Ma un gran numero di studiosi indipendenti confermano l’aumento dei tassi di mortalità infantile e di eccesso di cancri nella popolazione in generale. Il Dipartimento dell’Agricoltura della Pennsylvania e giornalisti locali hanno confermato anch’essi l’eccesso di morti, mutazioni e malattie tra gli animali locali.Nel decennio 1980, la giudice federale Silvia Rambo bloccò una causa collettiva presentata da 2.400 persone che vivevano in zone raggiunte dalle radiazioni portate dai venti, affermando che non erano state liberate radiazioni tanto importanti da danneggiare qualcuno. E, dopo 35 anni, nessuno ancora sa quante radiazioni sfuggirono né dove finirono. I proprietari di Three Miles Island hanno pagato silenziosamente le vittime in cambio del segreto completo. A Chernobyl un insieme di più di 5.000 studi ha prodotto una cifra di morti di più di un milione di persone. Gli effetti delle radiazioni sui più giovani nelle zone situate nella scia dei venti della Bielorussia e dell’Ucraina sono state orrende. Secondo Mangano, circa l’80% dei “bambini di Chernobyl” nati dopo l’incidente in quelle zone hanno sofferto un’ampia gamma di problemi che vanno da difetti congeniti e cancri alla tiroide a malattie delle coronarie, respiratorie e mentali di lunga durata. I risultati indicano che solo 1 su 5 dei giovani può essere considerato sano.“Medici per la Responsabilità Sociale” e il ramo tedesco dell’Associazione Internazionale dei medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare hanno avvertito di problemi simili nei dintorni di Fukushima. Il Comitato Scientifico sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche delle Nazioni Unite (Unscear la sigla in inglese) ha recentemente emesso vari rapporti che minimizzano l’impatto umano del disastro. L’Unscear è legato all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’Onu, il cui mandato è promuovere l’energia atomica. La Aie ha il vincolo della segretezza sulle scoperte dell’Onu circa gli impatti sulla salute provocati dal reattore. Per decenni l’Unscear e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno impedito che si conoscessero gli estesi danni alla salute dell’energia nucleare. Fukushima ha dimostrato di non essere un’eccezione.In risposta, i “Medici per la Responsabilità Sociale” e il ramo tedesco dell’Associazione Internazionale dei Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare hanno confutato in dieci punti quelle affermazioni, avvertendo il pubblico che la credibilità delle Nazioni Unite è ormai compromessa. Il disastro «continua ad andare avanti», dicono questi gruppi, e bisognerà controllarlo per decenni. «Le cose potrebbero peggiorare» se i venti che hanno soffiato verso Tokyo tornano verso il mare (e verso gli Stati Uniti). C’è un rischio in corso a partire dai prodotti irraggiati e tra i lavoratori del luogo perché non si stanno controllando né le dosi di radiazioni né il loro impatto sulla salute. Le stime delle dosi attuali non sono affidabili e bisogna tener conto con attenzione dei gravi impatti delle radiazioni sull’embrione umano. Gli studi dell’Unscear sulla radiazione di fondo sono anch’essi «ingannevoli», dicono i gruppi, e vanno portati a termine nuovi studi sugli effetti delle radiazioni in genetica e nelle “malattie non cancerose”.L’affermazione dell’Onu, secondo cui «non ci si aspetta effetti conoscibili sulla salute in relazione con le radiazioni tra le persone esposte» è «cinica», dicono questi gruppi. Aggiungono che le cose possono peggiorare, dato il rifiuto ufficiale di distribuire pastiglie di ioduro di potassio, che avrebbero potuto proteggere le persone dai danni alla tiroide causati dalla liberazione massiva dell’elemento radioattivo I-131. Ma le orribili notizie di Fukushima possono solo peggiorare: le radiazioni dei tre nuclei difettosi si stanno ancora riversando nel Pacifico. Il controllo delle barre di combustibile danneggiate nelle piscine sospese in aria e sparse attorno al luogo continua ad essere molto pericoloso. Il regime pro-energia atomica di Shinzo Abe vuole riaprire i 48 reattori che restano in Giappone. E sta facendo gradi pressioni sulle famiglie fuggite dopo il disastro perché tornino ad occupare le case e le città irradiate. Ma Three Mile Island, Chernobyl e il disastro di morte e malattie che si sta manifestando attorno a Fukushima rendono molto chiaro che il costo umano di queste decisioni continua ad aumentare e che sono i nostri bambini quelli che per primi ne soffrono il peggio.(Harvey Wassermann, “I bambini di Fukushlina stanno morendo”, da “Counterpunch” del 16 giugno 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Analista e scrittore, Wassermann è un organizzatore del movimento antinucleare negli Stati Uniti).Trentanove mesi dopo le varie esplosioni di Fukushima, il tasso di cancri della tiroide tra i bambini che vivono intorno si è elevato più di 40 volte oltre il normale. Più del 48% dei 375.000 giovani – quasi 200.000 bambini – esaminati dall’Università Medica di Fukushima nei dintorni dei fiammeggianti reattori soffrono di disturbi pre-cancerosi alla tiroide, soprattutto noduli e cisti. Il tasso va accelerando. Sono stati registrati più di 120 cancri infantili dove prima se ne registravano solo 3, dice Joseph Mangano, direttore esecutivo del Progetto Salute Pubblica e Radiazioni. L’industria nucleare e i suoi difensori continuano a negare questa tragedia della salute pubblica. Alcuni sono arrivati a dichiarare che «nessuna persona» è stata colpita dalla liberazione massiccia di radiazioni di Fukushima che, in relazione ad alcuni isotopi, ha superato quelle di Hiroshima per quasi 30 volte.
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Ma Renzi non piace agli Usa: quanto resisterà al governo?
Matteo Renzi non piace agli americani, che non perdono occasione per farlo notare: Obama, nell’incontro, fu freddissimo, limitandosi ad apprezzamenti sull’ “energia” del nostro presidente del Consiglio (ben più calorosi erano stati i giudizi su Enrico Letta); poi, nel momento peggiore della crisi di Crimea, le note del Dipartimento di Stato evitavano ostentatamente di citare l’Italia a differenza di Francia e Germania; poi è venuto lo schiaffo del D-Day e del G7. Insomma, l’ometto non suscita entusiasmi sul Potomac. Capita, ma perché? In fondo, con il suo inconfondibile stile alla Fonzie, tanto po’ dinoccolato e un po’ tamarro, non dovrebbe dispiacergli. Ha anche fatto il boy scout! Eppure… Forse sarà perché gli americani badano anche ad altre cose oltre che il look. Certo, a Renzi non mancano gli amici americani come Michael Ledeen, ma il guaio è che sono della destra repubblicana, colore opposto a quello dell’attuale amministrazione. Poi, sicuramente, gli americani si capivano molto meglio con Enrico Letta e, probabilmente, non gli è piaciuto il modo con cui è stato buttato giù di sella: allo zio Sam non piace che i suoi amici vengano trattati in quel modo.Ma i motivi più “pesanti” probabilmente sono altri. Il primo si chiama Eni. Gli americani avrebbero tanto gradito la nomina ad Ad di Leonardo Maugeri, già rappresentante dell’Eni a New York, grande esperto di petrolio, soprattutto loro grande amico e sicuro avversario della politica pro-Mosca di Scaroni. Con lui alla guida dell’ente, l’operazione Southstream sarebbe cosa morta e sepolta. Finalmente! E invece no: Renzi nomina Descalzi. Insomma, lo zio Sam sogna da anni di togliersi dai piedi il duo Berlusconi-Scaroni, fa quello che può per ammazzare il primo (quelle di Geithner sono lacrime di coccodrillo), aspetta con pazienza la fine del mandato dell’aborrito Scaroni e tu che fai? Nomini al suo posto il suo vice? Vero è che, in queste settimane, l’Eni ha ridotto la sua partecipazione in Southstream dal 50 al 15% in favore di tedeschi e francesi, vero è che il nuovo percorso del gasdotto passa tutto per i Balcani e non fa neppure più il passaggio per il Tarvisio ed è anche vero che Renzi non sa neppure dove stanno i Balcani ed il Tarvisio; ma sa dove sta l’Eni e ci nomina Descalzi che, per ora, lascia al suo posto Marco Alverà (che è stato quello che ha ordito la trama con i russi) e accetta che sia comunque la Snam a fare la posa dei tubi del gasdotto.Qui non ci siamo capiti: il problema non è cambiare il percorso di Southstream, ma proprio la cancellazione del progetto. E lo zio Sam si arrabbia. C’è poi la questione Finmeccanica. C’è chi dice che per far confermare l’amico De Gennaro al suo posto, gli americani abbiano dovuto smuovere Re Giorgio dal Colle, cosa poi smentita dallo stesso Re. E va bene, ma Re Giorgio o non Re Giorgio, resta che l’ometto di Palazzo Chigi ha provato a togliere di mezzo De Gennaro e anche questo non sta bene. Poi, come amministratore delegato, ci piazza Moretti, con il quale aveva vecchi legami personali per questioni fiorentine. Il fatto è che Moretti conosceva le ferrovie traversina per traversina, e quindi si dedicherà al ramo trasporti di Finmeccanica (come già sta facendo) ma di armi capisce quanto di dialetto algonkino e questo è un momento in cui gli americani, nel settore armi, hanno bisogno di interlocutori sì obbedienti, ma che capiscano di che si sta parlando. Insomma, anche qui, buca!Come si sa, Renzi ha importanti legami con Israele e, se non li ha lui, li ha il suo consigliere economico Yoram Gutgeld; questo sarebbe stato un ottimo viatico in altri tempi, ma negli ultimi anni Tel Aviv ha dato più dispiaceri che altro all’amico americano: loro sono ostilissimi al Qatar e gli americani hanno bisogno del suo gas per fare un gasdotto alternativo a quello russo (come aveva ben capito Enrico Letta), hanno urgenza di chiudere la partita palestinese e gli israeliani fanno le bizze, ora hanno bisogno di capirsi con l’Iran per mettere un freno all’offensiva di Al Qaeda in Irak senza andare a impantanarsi di nuovo lì e gli israeliani non apprezzano… Insomma, neanche da questo versante c’è modo di capirsi con il nuovo capo del governo italiano. Intendiamoci: noi abbiamo sempre apprezzato chi sa dire no agli americani e far valere l’interesse nazionale, ma è una cosa che occorre saper fare e non per fare un favore a terzi. Tutte cose che richiedono cervello lucido e spalle larghe, molto larghe. Il guaio è che Palazzo Chigi va largo a Renzi, troppo largo. Comincio a pensare che questo non durerà molto su quella poltrona.(Aldo Giannuli, “Ma perché Renzi non piace agli americani?”, dal blog di Giannuli del 20 giugno 2014).Matteo Renzi non piace agli americani, che non perdono occasione per farlo notare: Obama, nell’incontro, fu freddissimo, limitandosi ad apprezzamenti sull’ “energia” del nostro presidente del Consiglio (ben più calorosi erano stati i giudizi su Enrico Letta); poi, nel momento peggiore della crisi di Crimea, le note del Dipartimento di Stato evitavano ostentatamente di citare l’Italia a differenza di Francia e Germania; poi è venuto lo schiaffo del D-Day e del G7. Insomma, l’ometto non suscita entusiasmi sul Potomac. Capita, ma perché? In fondo, con il suo inconfondibile stile alla Fonzie, tanto po’ dinoccolato e un po’ tamarro, non dovrebbe dispiacergli. Ha anche fatto il boy scout! Eppure… Forse sarà perché gli americani badano anche ad altre cose oltre che il look. Certo, a Renzi non mancano gli amici americani come Michael Ledeen, ma il guaio è che sono della destra repubblicana, colore opposto a quello dell’attuale amministrazione. Poi, sicuramente, gli americani si capivano molto meglio con Enrico Letta e, probabilmente, non gli è piaciuto il modo con cui è stato buttato giù di sella: allo zio Sam non piace che i suoi amici vengano trattati in quel modo.