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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Gli Usa vogliono il Venezuela, ma il popolo (86%) si oppone
La Guerra Fredda 2.0 ha fatto scalo in Sudamerica. Gli Stati Uniti e i loro soliti vassalli si trovano di fronte ai quattro pilastri dell’integrazione eurasiatica in corso: Cina, Iran, Russia e Turchia. È sì una questione di petrolio, ma non solo. Caracas ha commesso un peccato capitale agli occhi dei neocon; scambiare petrolio bypassando il dollaro Usa e i mercati controllati dagli Stati Uniti. Ricordate cos’è successo in Iraq? Ricordate cos’è successo in Libia? Eppure anche l’Iran sta facendo lo stesso. E così la Turchia. La Russia – perlomeno in parte – è sulla strada. E la Cina finirà per scambiare tutte le proprie fonti energetiche in petroyuan. Già lo scorso anno l’amministrazione Trump aveva sanzionato Caracas, dopo che il Venezuela aveva adottato la petro cripto-valuta ed il bolivar sovrano, escludendola dal sistema finanziario internazionale. Non c’è da stupirsi che Caracas sia sostenuta da Cina, Iran e Russia. Sono loro la vera Troika – e non la ridicola “troika tirannica”, così definita da John Bolton – che combatte contro la strategia di dominio energetico del governo Usa , che essenzialmente consiste nel continuare per sempre a scambiare petrolio in petrodollari.Il Venezuela è un ingranaggio-chiave nella macchina. Lo psico-assassino Bolton l’ha pubblicamente ammesso: «Farebbe tutta la differenza del mondo se le nostre compagnie potessero investire in Venezuela e sfruttarne le capacità petrolifere». Non si tratta solo di lasciare che la Exxon prenda il controllo delle enormi riserve di petrolio venezuelane, le più grandi del pianeta. La chiave è monopolizzare il loro sfruttamento in dollari Usa, a beneficio dei miliardari del cartello Big Oil. Ancora una volta, quel che è in gioco è la maledizione delle risorse naturali. Il Venezuela non deve poter trarre profitto dalla propria ricchezza alle condizioni che vuole; i promotori dell’eccezionalismo americano hanno quindi stabilito che lo Stato venezuelano debba essere distrutto. Alla fine, è tutta una questione di guerra economica. Vedasi l’imposizione da parte del Dipartimento del Tesoro di nuove sanzioni alla Pdvsa, che de facto equivalgono a un embargo petrolifero contro il Venezuela.È oramai appurato che quanto accaduto a Caracas non sia stata una rivoluzione colorata, ma un “regime change” promosso dagli Usa. Si è tentato di sfruttare le locali élite di “comprador” per installare come “presidente ad interim” un personaggio sconosciuto, Juan Guaidó, col suo look mansueto che, un po’ come Obama, in realtà maschera un animo da estrema destra. Tutti ricordano “Assad deve andarsene”. Il primo stadio della rivoluzione colorata siriana fu l’istigazione alla guerra civile, seguita da una guerra per procura tramite mercenari jihadisti da tutto il mondo. Come notato da Thierry Meyssan, il ruolo della Lega Araba viene ora recitato dall’Oas. E quello di Friends of Syria – ora gettato nella spazzatura della storia – dal Gruppo di Lima, il club dei vassalli di Washington. Al posto dei “ribelli moderati” di al-Nusra, potremmo avere mercenari “ribelli moderati” colombiani – o di varia estrazione ma addestrati negli Emirati.Contrariamente a quanto dicono i media mainstream occidentali, le ultime elezioni in Venezuela sono state assolutamente legittime. Non c’era modo di manomettere le macchine per il voto elettronico, made in Taiwan. Il Partito Socialista salito al potere ha ottenuto il 70% dei voti. Una rigorosa delegazione del Consiglio degli Esperti Elettorali dell’America Latina (Ceela) è stata chiara: l’elezione ha rispecchiato «in modo trasparente la volontà dei cittadini venezuelani». L’embargo americano è sicuramente maligno. Bisogna però anche ammettere che il governo Maduro è stato abbastanza incompetente nel non diversificare l’economia e nel non investire nell’autosufficienza alimentare. Rilevanti importatori di cibo, speculando come se non ci fosse un domani, stanno facendo una fortuna. Fonti attendibili a Caracas dicono tuttavia che i barrios – i quartieri popolari – al momento rimangono in gran parte pacifici.In un paese dove un pieno di benzina costa meno di una lattina di Coca-Cola, non v’è dubbio alcuno che sia stata la cronica penuria di cibo e medicinali ad aver costretto almeno due milioni di persone a lasciare il Venezuela. Il fattore chiave dell’offensiva è stato però l’embargo statunitense. Alfred de Zayas, l’inviato Onu in Venezuela, esperto di diritto internazionale ed ex segretario del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, va dritto al punto: più che attaccare Maduro, Washington sta conducendo una “guerra economica” contro un’intera nazione. È illuminante vedere come il “popolo venezuelano” consideri la situazione. In un sondaggio condotto da Hinterlaces ancor prima del golpe, l’86% dei cittadini aveva dichiarato di essere contrario a qualsiasi tipo di intervento Usa, militare o di altro tipo. E l’81% dei venezuelani ha dichiarato di essere contrario alle sanzioni statunitensi. Ne hanno abbastanza di “benigne” interferenze straniere a favore di “democrazia” e “diritti umani”.Le analisi di acuti osservatori come Eva Golinger, e soprattutto il collettivo Mision Verdad, sono estremamente utili. Quel che è certo, in puro stile Impero del Caos, è che il fine americano, al di là di embargo e sabotaggio, è quello di fomentare la guerra civile. Instabili “gruppi armati” sono stati attivati nei barrios di Caracas, agendo nel cuore della notte ed amplificando i “disordini” sui social media. Eppure Guaidó non ha assolutamente alcun tipo di potere all’interno del paese. La sua unica possibilità di successo è riuscire a installare un governo parallelo – incassando le entrate petrolifere e facendo in modo che Washington arresti i membri del governo con pretestuose accuse. Indipendentemente dai sogni bagnati dei neocon, i tipi al Pentagono dovrebbero sapere che un’invasione del Venezuela potrebbe sfociare in un pantano in stile Vietnam. L’uomo forte brasiliano in attesa, il vicepresidente e generale in pensione Hamilton Mourao, ha già detto che non ci sarà alcun intervento militare.L’ormai famigerato foglietto dello psicopatico assassino Bolton con su scritto “5.000 truppe in Colombia” è uno scherzo; non avrebbero alcuna chance contro i 15.000 cubani responsabili della sicurezza del governo Maduro; i cubani nel corso della storia hanno dimostrato che non sono molto inclini a cedere il potere. Dipende tutto da cosa faranno Cina e Russia. La prima è la maggior creditrice del Venezuela. Maduro è stato ricevuto lo scorso anno da Xi Jinping a Pechino, dal quale ha ricevuto ulteriori 5 miliardi di prestiti, in dollari, e col quale ha firmato almeno 20 accordi bilaterali. Putin gli ha invece offerto il proprio pieno sostegno al telefono, sottolineando che «le distruttive interferenze dall’estero violano palesemente le norme basilari del diritto internazionale». A gennaio 2016, il petrolio si attestava a 35 dollari al barile, un disastro per le casse del Venezuela. Maduro ha allora deciso di trasferire alla russa Rosneft il 49,9% della partecipazione statale in Citgo, sussidiaria americana di Pdvsa, per un semplice prestito di 1,5 miliardi.Non ci poteva essere notizia peggiore per Washington: i “cattivi” russi erano ora entrati in possesso di parte del principale asset del Venezuela. Alla fine dello scorso anno, bisognoso di ulteriori fondi, Maduro ha aperto alle compagnie minerarie russe l’estrazione dell’oro nel proprio paese. E non solo oro; alluminio, bauxite, diamanti, minerale di ferro, nichel, tutti ambìti da Russia, Cina e Stati Uniti. Per quanto riguarda l’oro venezuelano in mano alla Banca d’Inghilterra (1,3 miliardi di dollari) le possibilità di rimpatriarlo sono zero. E poi, lo scorso dicembre, è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso del Deep State; il volo amichevole di due bombardieri russi Tu-160 con capacità nucleari. Come osano? Nel nostro cortile?La strategia energetica dell’amministrazione Trump potrebbe implicare l’annessione del Venezuela ad un cartello parallelo di “Paesi Nord-Sud Americani per l’Esportazione di Petrolio” (Nasapec), in grado di rivaleggiare con l’alleanza Russia-Casa di Saud. Se anche ciò si realizzasse, e aggiungendo una possibile alleanza congiunta tra Stati Uniti e Qatar (basata su gas naturale liquefatto), non vi è però alcuna garanzia che sarebbe sufficiente ad assicurare ai petrodollari – e al petrogas – preminenza nel lungo periodo. L’integrazione energetica dell’Eurasia aggirerà il petrodollaro; questo il cuore della strategia di Brics e Sco. Da Nord Stream 2 a Turk Stream, la Russia vuole siglare una partnership energetica a lungo termine con l’Europa. E il dominio petroyuan è solo una questione di tempo. Mosca lo sa. Anche Ankara, Riyadh, Tehran lo sanno. Che ne dite allora del piano B, cari neocon? Siete pronti per il vostro Vietnam in salsa tropicale?(Pepe Escobar, “Venezuela, come stanno realmente le cose”, da “Information Clearing House” del 5 febbraio 2019; articolo tradotto da “Hmg” per “Come Don Chisciotte”).La Guerra Fredda 2.0 ha fatto scalo in Sudamerica. Gli Stati Uniti e i loro soliti vassalli si trovano di fronte ai quattro pilastri dell’integrazione eurasiatica in corso: Cina, Iran, Russia e Turchia. È sì una questione di petrolio, ma non solo. Caracas ha commesso un peccato capitale agli occhi dei neocon; scambiare petrolio bypassando il dollaro Usa e i mercati controllati dagli Stati Uniti. Ricordate cos’è successo in Iraq? Ricordate cos’è successo in Libia? Eppure anche l’Iran sta facendo lo stesso. E così la Turchia. La Russia – perlomeno in parte – è sulla strada. E la Cina finirà per scambiare tutte le proprie fonti energetiche in petroyuan. Già lo scorso anno l’amministrazione Trump aveva sanzionato Caracas, dopo che il Venezuela aveva adottato la petro cripto-valuta ed il bolivar sovrano, escludendola dal sistema finanziario internazionale. Non c’è da stupirsi che Caracas sia sostenuta da Cina, Iran e Russia. Sono loro la vera Troika – e non la ridicola “troika tirannica”, così definita da John Bolton – che combatte contro la strategia di dominio energetico del governo Usa , che essenzialmente consiste nel continuare per sempre a scambiare petrolio in petrodollari.
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Fake news, lo Spiegel confessa: abbiamo mentito per anni
Fake news, lo Spiegel confessa: abbiamo mentito per anni, grazie a un reporter sleale che inventava le notizieComprereste un’auto usata da quest’uomo? Battuta spesso usata per colpire politici già screditati. Ma l’uomo in questione, stavolta, ha venduto ben più che rottami di automobili: ha spacciato notizie interamente false, per anni. Se n’è accorto un collega, che l’ha denunciato. Lui s’è difeso con le unghie, fin quasi a far licenziare il rivale. Poi è crollato, ammettendo tutto. E gettando nello sconforto lo “Spiegel”, cioè il settimanale più letto in Germania, di cui era una delle penne di punta. Un principe del giornalismo contemporaneo, con parecchi premi prestigiosi alle spalle. Perché ha mentito ai lettori e all’editore per così tanto tempo? Amara confessione: era perseguitato dalla paura di essere considerato un fallito. Nel mondo di oggi, dominato dalla competizione esasperata del neoliberismo, per di più in salsa severamente teutonica, può accadere questo: nel giro di pochi giorni l’eroe diventa un mostro di ipocrisia, un bugiardo patologico, un cialtrone, e infine una vittima. Il suo nome è Claas Relotius, 33 anni, ora disoccupato. Fino a ieri era una star del giornalismo europeo, cioè la grande stampa che declassa il web come regno delle “fake news” e chiama “populisti e sovranisti” i politici non amici, non alleati e non soci dell’editore.Un vero e proprio psicodramma, per il pubblico tedesco (sempre così pronto a bacchettare i vizi altrui). Sembra il replay dello scandalo dei diesel taroccati dalla Volkswagen per mascherarne le emissioni: ma i tedeschi non erano quelli ligi alle regole? Non esattamente, spiega l’imprenditore veneziano Fabio Zoffi, poliedrico “venture capitalist” con sede a Monaco di Baviera: il sistema tedesco è efficiente (incluso il welfare) perché gode di un robustissimo sostegno pubblico, ancorché occulto. Il primo a spiegarlo fu il solito guastafeste Paolo Barnard: grazie a un cavillo formale non vengono conteggiati nel debito pubblico i miliardi che ogni anno il governo di Berlino riceve dalla Kfw (istituto di credito per la ricostruzione, l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti), così come i cospicui deficit delle Regioni. Morale, riassume Zoffi: il debito reale della Germania non è il “virtuoso” 80% del Pil sbandierato dalla Merkel, ma circa il 260% (cioè il doppio del vituperatissimo debito pubblico italiano).Beninteso: non è che sia sbagliato, investire a deficit. Il problema, precisa Zoffi, è che la Germania fa – di nascosto – quello che agli altri proibisce tassativamente di fare. Fino al caso estremo della Grecia, ridotta in miseria a causa del debito ritenuto eccessivo. Un massacro sociale – tagli feroci, licenziamenti – da cui i greci non si sono ancora ripresi. La Grecia quasi non esiste più: aziende e infrastrutture (porti, aeroporti) se l’è mangiate la Germania, mentre gli ospedali sono senza medicine per i bambini. Ma non c’erano solo tedeschi nella cabina di regia dell’operazione Troika: sul fronte greco, al Fmi operava l’ineffabile Cottarelli, mentre Mario Draghi (alla guida della Bce) proveniva dalla Goldman Sachs, cioè la banca d’affari che aveva manovrato il bilancio di Atene fino a spingere il paese verso la catastrofe. Ora invece è il potere tedesco a pagare dazio, per una volta, con un danno d’immagine rilevante: merito del talentuoso Claas Relotius, che – per fare sempre bella figura – non ha resistito alla tentazione di inventarle di sana pianta, le sue storie.Una vicenda penosa, riassunta da Kate Connolly sul “Guardian”. «La rivista tedesca “Der Spiegel” è precipitata nel caos dopo aver rivelato che uno dei suoi migliori giornalisti ha falsificato storie per anni», scrive il quotidiano inglese. Il mondo dei media «è sconvolto dalle rivelazioni su Claas Relotius», giornalista già vincitore di prestigiosi premi, che secondo il settimanale tedesco «ha inventato storie e protagonisti» in almeno 14 dei suoi 60 articoli apparsi sulle edizioni cartacee e online. E attenzione: «Anche altri giornali potrebbero essere coinvolti». Relotius, che ha rassegnato le dimissioni dopo avere ammesso la frode, scriveva per lo “Spiegel” da sette anni e aveva vinto numerosi premi per il suo giornalismo investigativo, tra cui il premio della “Cnn” come “Giornalista dell’Anno” nel 2014. E ora aveva vinto anche il premio tedesco “Reporterpreis” (Reporter dell’anno) per la sua storia su un bambino siriano. I giudici lo avevano elogiato per «la leggerezza, la poesia e la rilevanza» del suo servizio. «E’ però emerso che tutte le fonti del suo reportage erano quantomeno nebulose, e che molto di ciò che ha scritto era inventato».La falsificazione, aggiunge il “Guardian” in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”, è venuta alla luce dopo che un collega di Relotius (Juan Moreno, che aveva lavorato con lui a un articolo sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti) ha iniziato a nutrire sospetti su alcuni dei dettagli riportati dal giornalista sleale. Alla fine, Moreno ha rintracciato due delle presunte fonti che venivano citate ampiamente nell’articolo di Relotius, pubblicato in novembre. «Entrambe le presunte fonti hanno dichiarato di non avere mai incontrato Relotius». Secondo successive indagini, Relotius si sarebbe inventato anche l’esistenza di una scritta su un muro, con la frase “Messicani, state alla larga”. Insomma, il reporter tedesco era arruolato – in servizio effettivo permanente – nell’esercito del “politically correct”, quello che criminalizza qualsiasi politico – da Salvini a Trump – che osi mettere in discussione l’imperativo categorico dell’accoglienza illimitata dei migranti. «Altre storie fraudolente – aggiunge il “Guardian” – includono quella su un presunto prigioniero yemenita a Guantanamo, e una sulla star americana del football Colin Kaepernick».In un lungo articolo, lo “Spiegel” (che vende circa 725.000 copie alla settimana e ha più di 6,5 milioni di lettori online) si è detto «scioccato» dalla scoperta, e ha chiesto scusa ai propri lettori e a chiunque possa essere stato soggetto di «citazioni fraudolente, invenzioni di dettagli personali o scene inventate in posti fittizi». Più che un giornalista, a quanto pare, Claas Relotius faceva il romanziere: sceneggiava abilmente le sue storie, destinate a suscitare commozione e indignazione. Lo “Spiegel”, rivista fondata nel 1947 ad Amburgo e rinomata per i suoi approfonditi pezzi investigativi, ha detto che Relotius ha commesso una frode giornalistica «su ampia scala», e ha descritto l’episodio come «il punto più basso» nella storia del giornale, che vanta 70 anni di onorata attività. È stata persino istituita una commissione interna per riesaminare l’intero lavoro di Relotius: si sospetta che le “invenzioni” del reporter siano ancora più numerose di quelle finora rilevate. C’è il rischio, insomma, di nuove sorprese. Anche perché Relotius scriveva pure per una serie di altri noti giornali tedeschi, tra cui il “Taz”, la “Frankfurter Allgemeine” (edizione domenicale) e “Die Welt”, che ha twittato: quell’uomo «ha abusato del proprio talento».Dal canto suo, Class Relotius ha dichiarato allo “Spiegel” di rammaricarsi per le proprie azioni e di provare profonda vergogna: «Sto male e ho bisogno di aiuto», avrebbe detto. Il collega che l’ha smascherato, Juan Moreno (in forza allo “Spiegel” dal 2007), ha rischiato il suo stesso posto di lavoro, per aver affrontato Relotius, che era difeso da altri colleghi. Non volevano credergli: «Per tre o quattro settimane – ha ammesso lo “Spiegel” – Moreno ha passato l’inferno, perché all’inizio i suoi colleghi e i suoi superiori non volevano credere alle sue accuse». Per settimane, ha precisato il settimanale, Relotius è stato perfino considerato una vittima delle trame di Moreno. Il giornalista falsario «respingeva abilmente tutti gli attacchi e tutte le prove, per quanto approfondite», esibite da Moreno. Ma un certo punto, negare l’evidenza non ha più funzionato: Relotius «non ha più potuto dormire, era perseguitato dalla paura di essere scoperto». Alla fine si è arreso, «dopo esser stato affrontato da un caporedattore del giornale».Nella confessione resa al dirigente emerge tutta la sua fragilità umana: «Non era perché volevo trovare il grande scoop», ha spiegato. «Era per la paura di fallire. E la mia sensazione di essere costretto a non potermi mai permettere di fallire diventava sempre più grande, quanto più grande diventava il mio successo». Lo “Spiegel”, aggiunge Kate Connolly sempre sul “Guardian”, è uno dei giornali più importanti in Germania: ora sta cercando di salvare la propria reputazione, ma si teme che, già alle prese con i tanti problemi dell’industria dell’informazione tedesca, farà molta fatica a recuperare. «Tutti i suoi colleghi sono profondamente scossi», ha scritto la rivista. «Sono tristi e sbalorditi: sembra come un lutto in famiglia». Li si può capire, specie di fronte alle sconcertanti motivazioni addotte dal reo, “costretto” a truccare le carte non riuscendo a tollerare l’idea di essere scartato dal sistema, in quanto non abbastanza efficiente. Problema enorme: possibile che il timore del giudizio altrui possa spingere a tanto? Vale per tutti gli operatori del mainstream: magari non hanno mai inventato niente di sana pianta, come ha fatto Claas Relotius, ma quante notizie importanti omettono ogni giorno? Quanto deformano la realtà che vendono come autentica ai lettori e ai telespettatori?Comprereste un’auto usata da quest’uomo? Battuta spesso usata per colpire politici già screditati. Ma l’uomo in questione, stavolta, ha venduto ben più che rottami di automobili: ha spacciato notizie interamente false, per anni. Se n’è accorto un collega, che l’ha denunciato. Lui s’è difeso con le unghie, fin quasi a far licenziare il rivale. Poi è crollato, ammettendo tutto. E gettando nello sconforto lo “Spiegel”, cioè il settimanale più letto in Germania, di cui era una delle penne di punta. Un principe del giornalismo contemporaneo, con parecchi premi prestigiosi alle spalle. Perché ha mentito ai lettori e all’editore per così tanto tempo? Amara confessione: era perseguitato dalla paura di essere considerato un fallito. Nel mondo di oggi, dominato dalla competizione esasperata del neoliberismo, per di più in salsa severamente teutonica, può accadere questo: nel giro di pochi giorni l’eroe diventa un mostro di ipocrisia, un bugiardo patologico, un cialtrone, e infine una vittima. Il suo nome è Claas Relotius, 33 anni, ora disoccupato. Fino a ieri era una star del giornalismo europeo, cioè la grande stampa che declassa il web come regno delle “fake news” e chiama “populisti e sovranisti” i politici non amici, non alleati e non soci dell’editore.
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Cremaschi: Governo del Cedimento, pagheranno gli italiani
Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.Salvini e Di Maio hanno subìto dai mercati, dal grande padronato, dalla Ue, una pressione ben più leggera di quanto toccò alla Grecia di Tsipras nel 2014. Ma è bastato solo alludere alla stessa medicina somministrata allora dalla Troika, lo ha fatto anche Monti che ne possiede adeguate conoscenze, e i due fieri sovranisti si sono piegati come fuscelli. Dopo la tragedia greca la farsa italiana. Oramai la trattativa governo Ue ha un solo vero scopo: permettere di salvare la faccia ai gialloverdi, almeno fino alle elezioni europee. Il deficit infatti sarà ridotto dal 2,4 al 2 o anche più in basso. Questo vuol dire che, rispetto alla sua stessa manovra, il governo dovrà tagliare dai 7 ai 9 miliardi le misure che intende fare, o altre spese su altre voci. Complessivamente la manovra si configurerà come quella più liberista e austera dai tempi di Monti. Verrà stretto ancora il cappio che da più di venti anni strangola l’economia del paese, quello dell’attivo primario di bilancio. Cioè lo Stato, alla fine di tutte le partite di giro, ancora una volta restituirà ai cittadini molto meno di quello che riscuoterà in tasse e contributi.Tria ha inoltre promesso 18 miliardi di privatizzazioni all’anno per abbassare il debito. Non c’è male per chi aveva commentato la strage del Ponte Morandi riproponendo la necessità delle privatizzazioni. Ma con la disinvoltura che lo distingue è stato proprio Di Maio a propagandare la nuova grande privatizzazione. Aggiungendo che non riguarderà aziende, ma solo edifici e terreni. Se fosse vero, considerato che dopo averla regalata alla Ue questa svendita di beni pubblici sarà sottoposta a obblighi brutali, saremmo alla più grande dismissione di suolo pubblico ai privati da cento anni in qua. Nel paese dei disastri idrogeologici questa sarebbe davvero una scelta criminale. Il governo Salvini Di Maio era partito come il contestatore delle regole Ue e ne diventerà uno dei più ligi esecutori, privatizzazioni ed austerità saranno la sua vera politica, il resto propaganda. È vero dunque che la finanziaria che concorderanno Conte e Moscovici aggraverà la crisi economica, visto che l’Italia, assieme alla Germania e ad altri paesi di Europa, sta entrando in recessione. Gli industriali se ne sono accorti e, come hanno sempre fatto quando i guadagni calavano, dopo aver appoggiato il governo hanno iniziati a criticarlo. Con il solo scopo di rafforzare le posizioni liberiste di Salvini e di portarlo alla fine a guidare da solo il paese.Ma cosa resterà allora della manovra del popolo festeggiata dal balcone, tra tagli, privatizzazioni, rinvii di spesa? Ben poco. Le due operazioni bandiera, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero si sgonfieranno e si ridurranno a poche misure di facciata, dello stesso segno e dimensione degli 80 euro e delle varie mance elettorali del governo Renzi. Il reddito di cittadinanza da tempo non è più tale, ma è diventato una social card come quella di Tremonti, che si aggiunge al reddito di inclusione del governo Gentiloni. Sì darà qualche soldo in più, da spendere subito e bene col bancomat di Stato, ad una ristretta platea di poveri, ma soprattutto si finanzieranno con danaro pubblico le paghe di fame di chi lavora. Se il padrone dà 400 euro al mese, lo Stato contribuirà per arrivare a 780, ammesso che questa cifra finale resti. Quindi il reddito di cittadinanza diventerà il mezzo per introdurre in Italia il sottolavoro finanziato dallo Stato, come ha fatto la famigerata legge Hartz IV, che in Germania ha prodotto milioni di lavori sottopagati. Le aziende saranno incentivate ad assunzioni precarie con salari vergognosi, perché lo Stato ci metterà una parte della paga. Come ha preteso la lega alla fine il reddito di cittadinanza diventerà soprattutto un finanziamento alle imprese.Per quanto riguarda la legge Fornero, Salvini e Di Maio dovranno sottoscrivere con la Ue la rinuncia ad ogni sua reale abolizione. Era questa infatti la misura che più preoccupava i governi europei, tutti intenzionati ad innalzare l’età della pensione. Nessun governo farebbe invece vere obiezioni di fronte a prepensionamenti temporanei, perché questi avvengono in ogni paese. Quindi il governo dovrà giurare alla Ue che i 67 anni, a crescere, dell’età della pensione per tutte e tutti non verranno toccati. Poi potrà contrattare, ovviamente coprendo i costi con altri tagli, per quanti si allargheranno le maglie della gabbia. Le ultime proposte cancellano definitivamente quota 100 come diritto valido per sempre e promettono il pensionamento anticipato, naturalmente con le penalizzazioni di legge, solo a chi avrà maturato il requisito negli ultimi due o tre anni. Per chi ci arriva dopo ciccia. Centomila prepensionamenti da spendere in campagna elettorale e poi chi s’è visto s’è visto. Questo è il tradimento più sfacciato delle promesse elettorali di Salvini e Di Maio.Tuttavia nulla cambierà fino a che l’opposizione ufficiale al governo sarà rappresentata dai residui del centrosinistra e del centrodestra e fino a che Salvini riuscirà, grazie anche ai mass media, a distrarre l’opinione pubblica con la caccia ai migranti e con la libertà di sparare. Il governo del cambiamento diventerà il governò del cedimento, ma continuerà a servire i potenti e a spadroneggiare coi più deboli, fino a che avrà di fronte chi ha fatto le stesse politiche liberiste e ora lo accusa di non farle altrettanto bene. Per questo bisogna costruire ed estendere una opposizione sociale e politica diversa, che lotti sia contro gli imbrogli e la resa di Salvini e Di Maio, sia contro l’austerità, le regole liberiste e i diktat della Ue. La Francia, in rivolta contro quel Macron che aveva votato quasi al settanta per cento, conferma che le glorie politiche oggi sono molto effimere e che le politiche di austerità divorano chi le fa, ma anche chi finge di combatterle.(Giorgio Cremaschi, “Il governo del cedimento”, da “Micromega” del 7 dicembre 2018).Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.
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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
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La faccia tosta di Prodi, il pifferaio della svendita dell’Italia
Romano Prodi è uno dei massimi artefici della mutazione genetica della sinistra italiana, avendo validamente contribuito a traghettarla dal campo socialista al campo liberale; fa parte (con Andreatta, Ciampi e Carli) del clan dei grandi burocrati che, prima, hanno sottratto al paese la sovranità monetaria, favorendo il divorzio fra il Tesoro e la banca centrale, poi hanno operato per sottrargli anche la sovranità nazionale (e quindi la sovranità popolare); è il grande liquidatore di quell’industria di Stato che aveva promosso il nostro sviluppo industriale, e che lui ha fatto sì che venisse trasferita in mani private; è fra coloro che hanno spianato la strada alla deregulation finanziaria, alla colonizzazione del nostro sistema produttivo da parte delle imprese transnazionali, alla distruzione del potere contrattuale dei sindacati; è – con Bill Clinton, Tony Blair, Schröder e altri – fra i massimi ispiratori della “sinistra” neoliberale e antikeynesiana; si è battuto perché l’Italia entrasse a qualsiasi costo nell’Unione Europea contribuendo a realizzare l’utopia di von Hayek, cioè la nascita di un’entità sovranazionale che ha neutralizzato i principi “criptosocialisti” della Costituzione del ‘48 e imbrigliato la nostra politica economica con vincoli esterni che le vietano di ridistribuire risorse a favore delle classi subalterne.Questo è l’uomo che ha oggi la faccia tosta di lanciare un appello (sulle pagine del “Corriere della Sera” di venerdì 5 ottobre) per salvare l’Italia che, parole sue, «rischia di diventare una democrazia illiberale». Democrazia illiberale è un termine interessante, quasi un lapsus. Il binomio democrazia-liberalismo si è infatti dissolto da un pezzo, come hanno spiegato, fra gli altri, Colin Crouch e Wolfgang Streeck: i nostri sono regimi post-democratici, nei quali la democrazia si riduce all’esercizio formale di alcune procedure, mentre le vere decisioni sono delegate ai “mercati” (mitiche entità impersonali dietro cui si celano gli interessi di ben precise caste economiche), in nome dei quali governano esecutivi che giustificano le proprie decisioni antipopolari con i vincoli (che loro stessi hanno scelto di autoimporsi!) dettati da istituzioni sovranazionali prive di legittimazione democratica. Regimi liberali, nel senso che vengono ancora rispettati i diritti civili e individuali (ma non quelli sociali!), ma certamente non democratici, come ha sperimentato sulla propria pelle il popolo greco.Parlando del pericolo dell’avvento di una “democrazia illiberale”, Prodi e soci manifestano la propria paura che possa ritornare una democrazia capace di far valere gli interessi delle classi subalterne. Un ritorno che, causa la latitanza delle forze politiche che avrebbero dovuto difenderla (quelle sinistre che oggi ballano come topolini al suono dei pifferi liberali), ha assunto il volto “barbaro” della rivolta populista: dall’elezione di Trump, alla Brexit, alla bocciatura del referendum renziano, passando per la valanga di voti raccolti da formazioni di diversa coloritura ideologica (Lega e M5S in Italia, Mélenchon e Le Pen in Francia, Podemos e Ciudadanos in Spagna, ecc.) ma accomunate dal rifiuto del pensiero unico liberal/liberista. Per certa gente la democrazia diventa illiberale quando capisce che il popolo non la segue più, che non riconosce più la loro autorevolezza di “esperti” e pretende di avere voce in capitolo su temi che è troppo rozza per capire. È allora che viene agitato lo spettro di una democrazia che può trasformarsi in “dittatura della maggioranza”, o addirittura suicidarsi, aprendo la strada all’avvento di regimi totalitari. È allora che si lanciano appelli come quello di Prodi (rilanciato da Gentiloni il giorno seguente) che invita a costruire un fronte “antipopulista” che dovrebbe andare da Macron a Tsipras.Quale sublime sfrontatezza: si chiama a raccolta Tsipras, l’uomo che ha tradito il voto del suo popolo, piegandosi alla volontà della Troika e accettando che la Grecia venisse ridotta allo stato di colonia, un uomo che non ha più alcun titolo per dirsi di sinistra (giustamente Mélenchon ne ha chiesto l’espulsione dal gruppo parlamentare della sinistra europea), accostandolo a Macron, l’uomo che dopo essere stato eletto in nome di una sacra unione antipopulista, è riuscito, a causa alle sue scellerate scelte antipopolari, a perdere in tempi brevissimi il consenso raccolto con quell’espediente. Senza operare alcuna riflessione autocritica, si rilancia un progetto che si è già dimostrato fallimentare, nella speranza di poter cancellare – con la complicità del terrorismo mediatico – l’evidenza dei fatti e di far dimenticare ai cittadini il recente passato. Non funzionerà. O meglio: non funzionerà per la maggioranza dei cittadini, funzionerà invece nei confronti dei resti d’una sinistra che continua a correre verso il baratro come un branco di lemming.(Carlo Formenti, “Prodi ovvero il pifferaio stonato”, da “Micromega” dell’8 ottobre 2018).Romano Prodi è uno dei massimi artefici della mutazione genetica della sinistra italiana, avendo validamente contribuito a traghettarla dal campo socialista al campo liberale; fa parte (con Andreatta, Ciampi e Carli) del clan dei grandi burocrati che, prima, hanno sottratto al paese la sovranità monetaria, favorendo il divorzio fra il Tesoro e la banca centrale, poi hanno operato per sottrargli anche la sovranità nazionale (e quindi la sovranità popolare); è il grande liquidatore di quell’industria di Stato che aveva promosso il nostro sviluppo industriale, e che lui ha fatto sì che venisse trasferita in mani private; è fra coloro che hanno spianato la strada alla deregulation finanziaria, alla colonizzazione del nostro sistema produttivo da parte delle imprese transnazionali, alla distruzione del potere contrattuale dei sindacati; è – con Bill Clinton, Tony Blair, Schröder e altri – fra i massimi ispiratori della “sinistra” neoliberale e antikeynesiana; si è battuto perché l’Italia entrasse a qualsiasi costo nell’Unione Europea contribuendo a realizzare l’utopia di von Hayek, cioè la nascita di un’entità sovranazionale che ha neutralizzato i principi “criptosocialisti” della Costituzione del ‘48 e imbrigliato la nostra politica economica con vincoli esterni che le vietano di ridistribuire risorse a favore delle classi subalterne.
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Giulietto Chiesa in Rai con Messora, Dijsselbloem al Corsera
«Molto improbabile che nasca un governo politico, a meno che Berlusconi non faccia un passo di lato e lo sostenga dall’esterno». Così Alessandro Trocino, ai microfoni di “Radio Radicale” il 7 maggio scorso, a meno di un mese dall’insediamento di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Due previsioni, entrambe sbagliate: alla fine s’è fatto, eccome, il governo più clamorosamente politico da 25 anni a questa parte, e il Cavaliere si è ben guardato dal sostenerlo. Sei mesi dopo, lo stesso giornalista – in forza al “Corriere della Sera” – spara ad alzo zero contro Giulietto Chiesa, in realtà per colpire i 5 Stelle, “rei” di aver preso per buona l’analisi di Chiesa sull’ultima sparata del signor Jeroen Dijsselbloem, tipico esemplare del potere eurocratico: anonimo e incolore il suo profilo politico, ma micidiale quello tecnocratico, speso al servizio dell’oligarchia finanziaria che ha massacrato la Grecia e imposto il prelievo forzoso a Cipro, scatenando il panico e l’assalto ai bancomat. Cos’ha detto, l’insigne Dijsselbloem? Che l’economia italiana imploderà, per colpa del governo gialloverde. E Giulietto Chiesa? Ha interpretato le parole di Dijsselbloem nell’unico modo possibile: una minaccia. Ovvio, a questo punto, il rilancio dei 5 Stelle sul loro blog.Ovvio per tutti, salvo che per il “Corriere”, secondo cui Giulietto Chiesa ha travisato le parole dell’apollineo, impeccabile, meraviglioso Dijsselbloem. Niente di strano, peraltro: secondo Trocino, Chiesa non sarebbe altro che una specie di mentecatto. Allo storico corrispondente da Mosca (prima per “l’Unità”, poi per la “Stampa” e per il Tg5), il “Corriere” dedica un affondo che merita di essere letto come capolavoro comico, sia pure del genere neo-orwelliano inaugurato dalla popstar Colin Powell, irresistibile nel famoso numero con la fialetta all’antrace. Il grande Powell poté esbirsi all’Onu solo grazie all’altra vicenda spettacolare del secolo, altrettanto cristallina: il crollo delle Torri Gemelle, notoriamente collassate su se stesse in pochi secondi per colpa di aerei dirottati da oscuri energumeni arabi, armati di taglierini e capaci di schiantare a velocità folle, con manovre da top-gun, velivoli che non sapevano pilotare e che la stessa azienda costruttrice, la Boeing, dichiara che – semplicemente – non potrebbero volare a 900 chilometri orari, a quote così basse, senza sbriciolarsi in aria prima ancora dell’impatto.Certo si tratta di trascurabili amenità, sulle quali è impensabile si soffermi il “Corriere della Sera”, impegnato com’è a formulare vaticinii e profezie sui governi italiani, specie l’inguardabile esecutivo gialloverde, i cui azionisti politici osano mancare di rispetto ai sacerdoti della santa eurocrazia, i bramini dai nomi impossibili – Dijsselbloem, Oettinger, Dombrovskis – che gli italiani hanno tuttavia imparato ad amare, in questi anni di benessere, prosperità e serenità per tutto il continente. Come sarebbe bello, cinguetta Massimo Mazzucco – altro incorreggibile mascalzone, del calibro di Giulietto Chiesa – se finalmente, grazie alla presidenza della Rai affidata a Marcello Foa, lo stesso Chiesa potesse lasciare per un attimo la redazione di “Pandora Tv” e partecipare ogni tanto, magari in terza serata, a programmi come quelli che un tempo persino la televisione di Stato produceva, all’epoca in cui faceva anche vera informazione, con signori come Biagi, Minà, Zavoli.Pensate, dice Mazzucco, se – magari all’una di notte – ci fosse la possibilità di assistere a un confronto tra Chiesa e, per dire, il fondatore di “ByoBlu”, Claudio Messora, capace di realizzare servizi su YouTube visionati ogni volta anche da 200.000 utenti. Numeri enormi, sottolinea Mazzucco, se paragonati agli standard televisivi (per esempio, i 600.000 spettatori che faceva registrare “Matrix”, ai bei tempi). Non c’è paragone, conferma Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming con Mazzucco, anche perché la potentissima e ricchissima Tv basta accenderla, mentre un video-blog devi andartelo a cercare: quei click valgono mille volte tanto. E lo sanno, i signori dei “giornaloni”, al punto – oggi – da attaccare Giulietto Chiesa, anche a costo di fare involontariamente pubblicità alla sua web-tv. Lo sanno così bene, che il vento è cambiato, da applaudire a scena aperta l’eroico bavaglio imposto al web da Bruxelles, su iniziativa dei soliti noti – su tutti Oettinger, l’uomo che sussurra ai mercati, proprio come il suo socio Dijsselbloem.Poi, si sa, è noto che le minacce mafiose le fanno appunto i capimafia, non certo i cardinali e ciambellani del superclan euro-finanziario che ha coordinato, sul campo, il più vasto trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, che la storia moderna ricordi. Un’operazione ammantata di misticismo e ispirata dal Bene, cioè il rigore di bilancio che vieta i deficit e quindi obbliga ad aumentare le tasse, producendo le meraviglie che fanno dell’Unione Europea e in particolare dell’Eurozona il paradiso terrestre a cui il mondo intero guarda con invidia, non potendo fare a meno di ammirare il commovente spirito di cooperazione e solidarietà che oggi affratella i popoli europei, pronti a correre in soccorso del più debole e a risolvere insieme, da buoni amici, ogni controversia, a cominciare dal problema dei migranti. Un’Europa così sublime non può che primeggiare anche nell’arte del bel canto, visti i soavi gorgheggi giornalistici che si levano da giornali e talkshow. Troppo bello, lo spettacolo del Bene che celebra se stesso, per rischiare di offuscarlo con sgraziate stonature, profeti di sventura e blogger, così impudenti da insolentire il divo Dijsselbloem, l’affabile Juncker, il garbato Moscovici.A chi si fosse curiosamente convinto che lo show quotidiano sia soltanto una tragica farsa piuttosto scadente, affidata a interpreti la cui mediocrità è pari solo all’immenso potere di cui dispongono, protetto dall’anonimato finanziario che ha sequestrato la democrazia nel vecchio continente, Mazzucco va ripetendo un consiglio pratico: insistere, nel raccontare quello che si è scoperto, perché soltanto l’impegno di migliaia di neo-sudditi potrebbe un giorno restituire agli europei lo status di cittadini, a buon diritto membri di una comunità civile vera e propria, con le sue sue regole fondamentali – una su tutte: governa chi è stato designato dai cittadini, mediante regolari elezioni. Il giorno che la maggioranza si accorgesse dell’insostenibile anomalia europea, costituita da mezzo miliardo di persone governate da un consiglio di amministrazione, probabilmente i solisti come Oettinger e Dijsselbloem si troverebbero senza uno spartito e senza più nemmeno il coro, cartaceo e radiotelevisivo, al quale sono abituati: una clacque preziosa e imprescindibile, per evitare fischi e pomodori. E’ come se una lunga marcia fosse cominciata, dice Mazzucco, fino a giungere di fronte alle mura del palazzo, seminando allarme: non si spiega altrimenti tanta permura nel prendere a sberle, in pubblico, gli storici tribuni della trasparenza. Ma in caso di rivoluzione, niente paura: il grande Dijsselbloem potrebbe sempre cantare ancora, nel coro degli autorevolissimi editorialisti del “Corriere”.«Molto improbabile che nasca un governo politico, a meno che Berlusconi non faccia un passo di lato e lo sostenga dall’esterno». Così Alessandro Trocino, ai microfoni di “Radio Radicale” il 7 maggio scorso, a meno di un mese dall’insediamento di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Due previsioni, entrambe sbagliate: alla fine s’è fatto, eccome, il governo più clamorosamente politico da 25 anni a questa parte, e il Cavaliere si è ben guardato dal sostenerlo. Sei mesi dopo, lo stesso giornalista – in forza al “Corriere della Sera” – spara ad alzo zero contro Giulietto Chiesa, in realtà per colpire i 5 Stelle, “rei” di aver preso per buona l’analisi di Chiesa sull’ultima sparata del signor Jeroen Dijsselbloem, tipico esemplare del potere eurocratico: anonimo e incolore il suo profilo politico, ma micidiale quello tecnocratico, speso al servizio dell’oligarchia finanziaria che ha massacrato la Grecia e imposto il prelievo forzoso a Cipro, scatenando il panico e l’assalto ai bancomat. Cos’ha detto, l’insigne Dijsselbloem? Che l’economia italiana imploderà, per colpa del governo gialloverde. E Giulietto Chiesa? Ha interpretato le parole di Dijsselbloem nell’unico modo possibile: una minaccia. Ovvio, a questo punto, il rilancio dei 5 Stelle sul loro blog.
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Ue che manovra: spezzare l’Italia, Bruxelles ha paura di noi
Qua si mette male, molto male. Il guaio non è la manovra economica che sarà pure inappropriata e insufficiente ma che non è così drastica e rivoluzionaria, e non produrrebbe quei danni letali che si raccontano ogni giorno. Il guaio è la reazione alla manovra. Che non è poi nemmeno la bocciatura della manovra, ma è un preciso, deliberato, radicale attacco al governo in carica. Il proposito non è far cambiare la manovra ma far cadere il governo e metterlo contro al suo popolo. Non si tratta di scomodare la letteratura del complotto, i precedenti, perfino quello di Berlusconi che ora è dalla parte di chi lo fece fuori sette anni fa. Non è questione di complotti, è questione di lotta per la sopravvivenza, o se volete, è l’eterna legge dell’autoconservazione del potere che quando è in pericolo prima sparge l’inchiostro e poi aziona i tentacoli. E non si tratta di attacco all’Italia, che pure non gode di fiducia nei potentati, e nemmeno solo di pregiudizi, come dice serafico il premier Conte. No, qui è in gioco l’establishment e il suo potere. Se passa la manovra del governo italiano, e ancora peggio se non devasta l’economia come viene preannunciato tre volte al giorno, viene delegittimato l’establishment tecno-finanziario-capital-sinistrorso che regge l’Unione, di cui in Italia abbiamo molti reggicoda.Altri paesi seguirebbero l’esempio e si sentirebbero in diritto di prendere una loro strada, di non sottomettersi al diktat europeo e alla loro prescrizione tassativa. E alle elezioni europee sarebbe un massacro per gli assetti di potere vigenti, di cui Juncker, Moscovici, sono gli ultimi figuranti. Da qui il terrorismo mediatico-finanziario, le scomuniche scritte e inscenate. Si giocano tutto. Altro che bocciatura della finanziaria. Da giorni, da settimane, da mesi in un crescendo minaccioso, annunciano sventure le cassandre interne e le streghe di Macbeth, che predicevano in futuro in realtà per orientarlo secondo i loro desideri. Eurarchi, agenzie, media e ascari politici, un coro assordante. E sta realmente serpeggiando nel paese quel panico che è di solito alle origini delle catastrofi. Ma il collasso non è indotto da una manovra scarsa e sbagliata ma dall’attacco concentrico al governo, prospettandoci un’altra esperienza Tsipras, come quella che indusse il riottoso premier greco a subire i diktat della Trojka se non voleva ridurre in miseria il suo paese.Il suggerimento sottinteso che viene dato è il seguente: l’Italia ha un debito record ma, come voi dite, è solido il sistema-italia, ha beni, risparmi, proprietà private. Bene, allora mettete mano a quelli, con una patrimoniale, prelievi forzosi, blocco di capitali, tasse sulle case, obbligo d’investire in titoli pubblici, o quel che volete voi. Ovvero trovate i soldi nelle tasche degli italiani, così pagate almeno gli interessi sul debito (che non potrà mai essere estinto, è come il peccato originale ma non ce lo toglie nessun battesimo). E allo stesso tempo vi inimicate il popolo che vi sostiene. Così buonanotte al populismo, al sovranismo e a tutte le menate. Voi capite che il pericolo vero è questo e non la manovra. E non pensate che indignandosi o cercando di suscitare rabbia nel popolo, si possa rispondere con le barricate. No, è una guerra e in guerra contano i rapporti di forza. È una guerra e del resto non potevate pensare che “loro” hanno i giorni contati- come dicevano allegramente – e si limitano a contare i giorni e non a reagire. E disponendo di poteri e alleanze che voi neanche vi sognate, agiscono per mandarvi fuori strada. Voi e il vostro paese, se vi segue.A questo punto io ho paura della paura. Ho paura cioè del panico che stanno instillando nella gente, nelle notizie che fanno circolare, nelle annunciate fughe di capitali all’estero, conti prosciugati e così via. Perché sono quei fatti e soprattutto quelle psicosi agitate a produrre guai seri, reazioni a catena; a gettare i paesi nel caos e nella disperazione, per andare poi da lorsignori col cappello in mano. Questa è la vera manovra pericolosa in atto.E allora che fare? Andare alla guerra, cercare alleati anche fuori d’Europa, farsi espellere dall’Unione, scatenare l’ira del popolo? Non contate molto su quest’ultima, gli haters non sono il popolo, e il popolo vi dà ragione in tempo di pace ma quando c’è il panico e la casa brucia non stanno lì a spegnere il fuoco e ad attaccare chi l’ha appiccato, ma mirano a mettersi in salvo. E’ umano, e da questo punto di vista gli italiani sono più “umani” degli altri (anche, ma non solo per fortuna, nel senso di più vigliacchi, più voltagabbana).Del resto, i governi che sfidano l’Europa dovrebbero avere spalle larghe, grandi leader, forze compatte e decise, che qui non vediamo. Si può decidere di combattere per l’Italia e la sua dignità, ma non si può morire per Di Maio e per le velleità grilline. Bisogna essere realisti, cercare punti d’incontro, intanto crescere, trovare solide alleanze, rafforzarsi, rinsaldarsi, acquisire nuove forze. Alle prime gelate, il consenso si ritira. Sarebbe magnifico poter rovesciare l’establishment attuale ma se non si hanno energie e strategie valide, leadership adeguate ed élite alternative, meglio essere prudenti. Non si può dichiarare guerra al mondo e rispondere alle armi micidiali messe in campo dal Nemico coi tweet, gli scarponi e le manine.(Marcello Veneziani, “Ue che manovra”, da “Il Tempo” del 25 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Qua si mette male, molto male. Il guaio non è la manovra economica che sarà pure inappropriata e insufficiente ma che non è così drastica e rivoluzionaria, e non produrrebbe quei danni letali che si raccontano ogni giorno. Il guaio è la reazione alla manovra. Che non è poi nemmeno la bocciatura della manovra, ma è un preciso, deliberato, radicale attacco al governo in carica. Il proposito non è far cambiare la manovra ma far cadere il governo e metterlo contro al suo popolo. Non si tratta di scomodare la letteratura del complotto, i precedenti, perfino quello di Berlusconi che ora è dalla parte di chi lo fece fuori sette anni fa. Non è questione di complotti, è questione di lotta per la sopravvivenza, o se volete, è l’eterna legge dell’autoconservazione del potere che quando è in pericolo prima sparge l’inchiostro e poi aziona i tentacoli. E non si tratta di attacco all’Italia, che pure non gode di fiducia nei potentati, e nemmeno solo di pregiudizi, come dice serafico il premier Conte. No, qui è in gioco l’establishment e il suo potere. Se passa la manovra del governo italiano, e ancora peggio se non devasta l’economia come viene preannunciato tre volte al giorno, viene delegittimato l’establishment tecno-finanziario-capital-sinistrorso che regge l’Unione, di cui in Italia abbiamo molti reggicoda.
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Moody’s, conflitto d’interessi: è ora di portarli in tribunale
Gli italiani dovevano arrivare sull’orlo del baratro, annusare l’aspro odore di tragico default e immaginare poveri i propri figli per rendersi conto della colossale truffa internazionale che è stata (e continua ad essere) perpetrata da trent’anni ai danni dell’Italia dal capitalismo finanziario globale? Evidentemente sì, sostiene Glauco Benigni su “Megachip”, segnalando che Moody’s declassa il governo Italiano – da Baa2 a Baa3 – nel suo ruolo di emettitore di moneta e titoli di Stato, perché nel suo programma il deficit ipotizzato per il 2019 è troppo alto e le riforme fiscali non sono adeguate a garantire la crescita nel medio termine. In sostanza: attenti italiani, perché l’eventuale prossimo declassamento vi identifica come nazione non affidabile, impedirà la compravendita dei vostri titoli di Stato e aprirà la porta al commissariamento (la Grecia docet). Da notare che Moody’s si arroga il diritto di valutare l’Italia solo conto di un terzo dei creditori (non gli stranieri), esprimendo però un’opinione a beneficio di tutti. Sul “Sole 24 Ore”, Morya Longo si domanda: «Perché mai il destino dell’Italia deve essere determinato da valutatori che in passato non hanno sempre azzeccato le previsioni?». Piaccia o non piaccia, aggiunge Longo, questa è la realtà: il motivo per cui tutti gli occhi sono puntati su Moody’s e Standard & Poor’s è perché l’Italia rischia, prima o poi, di essere declassata a “junk”, spazzatura.Attenzione, obietta Benigni: chi, come, dove, quando e perché ha conferito alle agenzie di rating questa facoltà di esprimere valutazioni che poi, “piaccia o non piaccia”, diventano il parametro per stabilire l’affidabilità nei confronti del mercato obbligazionario? La risposta è semplice e triste: «Le agenzie di rating sono possedute dagli stessi soggetti che compongono, rappresentano e gestiscono di fatto il mercato azionario e obbligazionario. Corporation finanziarie pubbliche e private, istituti di credito strategico, banche, assicurazioni, fondi. Tutte istituzioni quotate nelle maggiori Borse del pianeta. Sono dunque loro i padroni dei “valutatori”. E sono dunque sempre loro i “compratori” dei titoli di Stato: sono loro, esclusivamente loro, che “fanno il prezzo” (in questo caso, di intere nazioni) in deroga a qualsiasi legge sul confronto tra domanda e offerta, che – sempre secondo loro – regolerebbe i mercati». Per Glauco Benigni «siamo dentro un labirinto, le cui chiavi sono detenute da strozzini privi di alcuna etica». A indossare per primo l’Elmo di Scipio, aggiunge Genigni, è stato il Codacons, presieduto da Carlo Rienzi, che ha presentato un esposto alla Procura di Roma in cui si può leggere: «Il declassamento si configura come un atto privato volto ad influenzare il mercato e la Commissione Ue». Vero, è proprio così.«A destare sospetto – continua il Codacons – è proprio la tempistica seguita da Moody’s, che ha proceduto al declassamento pochi giorni prima della decisione Ue, valutando quindi una manovra non formalmente definitiva». Il declassamento «interferisce in un procedimento amministrativo che ha fasi ben precise, le quali non appaiono ancora concluse». Ma c’è di più, secondo il Codacons: «In caso di apertura di un procedimento da parte della Procura, l’associazione potrà avviare un’azione collettiva a tutela dei risparmiatori e dei cittadini italiani palesemente danneggiati da un atto arbitrario assunto con una tempistica del tutto sbagliata e lesiva degli interessi del paese». Secondo Benigni, questa è l’occasione buona per aprire almeno un tavolo di trattative, con le agenzie di rating, avendo dalla nostra parte organizzazioni come Adiconsum e Adoc, Adusbef, Altroconsumo, Assoutenti, Cittadinanzattiva, Federazione Confconsumatori – Acp. E poi Federconsumatori, Movimento Consumatori, Unione Nazionale Consumatori e ogni altra rappresentanza della società civile. Obiettivo: sostenere e aderire alla presentazione dell’esposto, con l’aggiunta di «individui, parrocchie, partiti e comitati di quartiere».Stavolta, sostiene Benigni, deve muoversi l’Italia intera, «altrimenti gli italiani annegheranno nell’ignavia, nella pigrizia, nell’indolenza, nella viltà». In altre parole: «Siamo al Tumulto dei Ciompi, siamo chiamati ad una manifestazione imponente in difesa di ogni brandello di sovranità che ancora non abbiamo già ceduto». Tanto più, che se appena vediamo con chi abbiamo a fare, in questo caso, scopriamo subito che «si tratta di quel famigerato 1% che affama il rimanente 99% della popolazione». Moody’s Corporation? «E’ una società privata con sede a New York che esegue ricerche finanziarie e analisi sulle attività di imprese commerciali e statali». È stata più volte indagata da diverse autorità finanziarie (soprattutto Usa e di Hong Kong) per reati quali aggiotaggio, insider trading, circolazione di report non chiari, inadeguato controllo interno: «Insomma, azioni o omissioni fondate sul crescere o diminuire del costo dei pubblici valori o sul prezzo di certe merci, operate valendosi di informazioni riservate o divulgando notizie inconsistenti, allo scopo di avvantaggiare o far avvantaggiare altri a danno dei risparmiatori o dei consumatori».A Hong Kong, nel 2016: la Sfat ha multato Moody’s per 11 milioni di dollari. L’anno seguente, negli Usa, la società ha subito una multa da 864 milioni di dollari per aver gonfiato il rating dei mutui ipotecari. E lo scorso agosto, sempre negli Stati Uniti, la Sec ha inflitto a Moody’s una doppia sanzione, per un totale di oltre 17 milioni di dollari. «Insieme a Standard & Poor’s, Moody’s finì sotto inchiesta per l’accusa di aver manipolato il mercato con dati falsi sui titoli tossici», ricorda Benigni. «Il magistrato indagava, per aggiotaggio e “market abuse”, Ross Abercromby, l’analista di Moody’s che firmò il report diffuso il 6 maggio del 2010, a mercati aperti, in cui si affermava che il sistema bancario italiano, in seguito al tracollo della Grecia, era tra quelli a rischio. La diffusione del report, che la Procura riteneva basato su “giudizi infondati e imprudenti” provocò il crollo del mercato dei titoli italiani». Il pm e la Guardia di Finanza contestavano alle agenzie di rating anche l’aggravante di «aver cagionato alla Repubblica Italiana un danno patrimoniale di rilevantissima gravità».Sal canto suo, l’Esma (European Securities and Markets Authority, autorità paneuropea di vigilanza sui mercati) il 2 luglio 2012 ha avviato un’indagine sulle procedure seguite dalle tre principali agenzie di rating nella loro valutazione della solidità patrimoniale delle banche. Il presidente dell’Esma, Steven Maijoor, dopo i «downgrade di massa», ha sollevato il dubbio che vi siano «sufficienti risorse analitiche» presso le tre agenzie. A Moody’s si rimprovera anche di aver attribuito un rating di massima affidabilità (la cosiddetta tripla A) alla banca Lehman Brothers, fino a alla vigilia della bancarotta, sebbene l’amministratore dell’istituto, Richard Fuld, avesse esibito da tempo dei bilanci falsi e quantunque si sapesse che negli ultimi dieci anni aveva versato 300.000 dollari a deputati e senatori del Congresso statunitense al fine di corromperli. Per non parlare di tutti gli altri procedimenti che pendono o si sono conclusi a volte con condanne pesanti. E l’Italia, “piaccia o non piaccia”, dovrebbe essere valutata da costoro? Per le attività che analizza, continua Benigni, Moody’s realizza il rating che porta il suo nome: si tratta di un indice che misura la capacità di restituire i crediti ricevuti in base a una scala standardizzata e suddivisa tra debiti contratti a medio e a lungo termine. Insieme a Standard & Poor’s, Moody’s è una delle due maggiori agenzie di rating al mondo. Dal 19 giugno 1998 è quotata al New York Stock Exchange.Il primo azionista di Moody’s, con una quota maggioritaria del capitale, risulta Warren Buffett, con la holding Berkshire Hathaway (24 milioni di azioni). Successivamente, compaiono in ordine (dal sito del New York Stock Exchange): Vanguard (16,8 milioni di azioni), BlackRock (11 milioni), StateStreet (7) e Baillie Gifford (6 milioni). Alcuni critici, si legge su Wikipedia, hanno evidenziato come Moody’s – alla pari di altre agenzie – sia «remunerata dalle stesse società su cui è chiamata a esprimere giudizi di redimibilità». Inoltre, «i suoi stessi azionisti principali (banche, gruppi finanziari, fondi privati), si servono dei suoi rating per acquistare prodotti finanziari sul mercato finanziario, evidenziando una situazione di conflitto di interesse». A causa dei ripetuti e clamorosi errori di valutazione, evidenti dagli anni Novanta, le Borse in vari casi hanno mostrato di ignorare il “downgrade” di Moody’s. Lo stesso Mario Draghi, presidente della Bce, il 24 gennaio 2011 ha detto al pm di Trani: «Bisogna fare a meno delle agenzie di rating: sono altamente carenti e discreditate».Glauco Benigni fa notare che ben 11 milioni di azioni dell’agenzia Moody’s sono gestite da BlackRock, la più grande società di investimento nel mondo. Con sede a New York, Blackrock vanta un patrimonio totale di oltre 6.000 miliardi di dollari – quasi quattro volte il Pil italiano – di cui un terzo collocato in Europa. Cosa gestisce BlackRock in Italia? Dispone di pacchetti azionari tra il 5 e il 6% in Banco Popolare, Unicredit, RaiWay, Banca Popolare Milano, Azimut, Intesa SanPaolo, Atlantia e Telecom Italia, più pacchetti di circa il 3% di Fiat e Generali. «Qualche analista la considera la maggiore potenza finanziaria straniera in Italia», sottolinea Benigni. La giornalista Heike Buchter, autrice di un saggio su BlackRock pubblicato nel 2015, conclude così una sua ricerca su “Handelsblatt”: «Nessun governo, nessuna autorità ha una visione così completa e profonda del mondo finanziario e aziendale globale come BlackRock». Dunque, che farà BlackRock a Piazza Affari dopo il declassamento? E cosa aspettiamo, ribadisce Benigni, a potare Moody’s in tribunale?Gli italiani dovevano arrivare sull’orlo del baratro, annusare l’aspro odore di tragico default e immaginare poveri i propri figli per rendersi conto della colossale truffa internazionale che è stata (e continua ad essere) perpetrata da trent’anni ai danni dell’Italia dal capitalismo finanziario globale? Evidentemente sì, sostiene Glauco Benigni su “Megachip”, segnalando che Moody’s declassa il governo Italiano – da Baa2 a Baa3 – nel suo ruolo di emettitore di moneta e titoli di Stato, perché nel suo programma il deficit ipotizzato per il 2019 è troppo alto e le riforme fiscali non sono adeguate a garantire la crescita nel medio termine. In sostanza: attenti italiani, perché l’eventuale prossimo declassamento vi identifica come nazione non affidabile, impedirà la compravendita dei vostri titoli di Stato e aprirà la porta al commissariamento (la Grecia docet). Da notare che Moody’s si arroga il diritto di valutare l’Italia solo conto di un terzo dei creditori (non gli stranieri), esprimendo però un’opinione a beneficio di tutti. Sul “Sole 24 Ore”, Morya Longo si domanda: «Perché mai il destino dell’Italia deve essere determinato da valutatori che in passato non hanno sempre azzeccato le previsioni?». Piaccia o non piaccia, aggiunge Longo, questa è la realtà: il motivo per cui tutti gli occhi sono puntati su Moody’s e Standard & Poor’s è perché l’Italia rischia, prima o poi, di essere declassata a “junk”, spazzatura.
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Stiglitz: l’euro è una sciagura, uccide il futuro dell’Europa
A volte affermare l’ovvio per confutare l’assurdo non basta, così occorre farsi scudo di personaggi illustri, la cui autorevolezza viene universalmente riconosciuta. E’ quello che farò in questo sintetico pezzo, citando l’economista Premio Nobel Joseph Stiglitz. In verità egli non amerebbe prestare il fianco alla “causa sovranista”: il suo credo democratico e progressista è così radicato che, di fronte alle assurdità delle politiche di austerity sposate dalle Ue – da lui denunciate più volte e senza mezzi termini – preferisce pensare che si tratti di un metodo congegnato per decretare il fallimento delle sinistre e l’ascesa dei partiti nazionalisti di destra nel Vecchio Continente. Dunque mi limiterò a riportare alcune citazioni della sua opera massima sul tema della moneta unica e del fallimento delle attuali politiche europee, “L’euro, Come una moneta unica minaccia il futuro dell’Europa” (Einaudi, 2017). La sua posizione è già chiara dalla prefazione: «L’euro è una costruzione dell’uomo. I suoi contorni non sono il risultato di leggi di natura ineluttabile. Gli accordi monetari europei si possono rimodulare; se necessario, si potrà addirittura lasciar perdere l’euro. In Europa come altrove, possiamo resettare la bussola, riscrivere le regole dell’economia del governo, arrivare a una prosperità maggiormente condivisa, con una democrazia più forte e una maggiore coesione sociale».E ancora: «L’agenda economica neoliberista non è riuscita a migliorare i tassi di crescita, ma una cosa è certa: è riuscita a far aumentare la disuguaglianza. L’euro ci fornisce un case study dettagliato di come si è arrivati a questo». Infatti: «Mentre numerosi sono i fattori che contribuiscono alle traversie dell’Europa, l’errore alla base di tutto è uno solo: la creazione dell’euro come moneta unica». Come se non bastasse: «Ma a volte la realtà ci trasmette messaggi dolorosi: il sistema dell’euro non funziona e il prezzo da pagare, se non vi si porrà rimedio, sarà altissimo». Sul tema delle politiche neoliberiste messe in atto in Europa e sulle sciagurate misure di austerity che hanno devastato la Grecia, Stiglitz afferma categorico: «Il mondo ha pagato a caro prezzo la devozione a questa sorta di religione neoliberista, e ora tocca all’Europa. Sempre e dovunque, nel mondo, il rigore ha avuto gli effetti controproducenti osservati in Europa: quanto più severa è l’austerità tanto maggiore è la contrazione economica. Resta un mistero capire perché la Troika abbia potuto pensare che questa volta, in Europa, le cose sarebbero andate diversamente».Postfazione. L’economista illustra tutte le aporie della costruzione della moneta unica europea e come essa sia stata la causa del divario crescente tra paesi “forti” e “deboli” al suo interno, nonché dell’impossibilità di questi ultimi di uscire dalla crisi del 2008, tanto da affermare che «la crisi dell’euro l’ha creata l’euro». La costituzione dell’Eurozona è basata infatti sul credo neoliberista, una visione eccessivamente semplicistica di come funziona l’economia, che non prevede la flessibilità necessaria per rispondere al modificarsi delle contingenze e non recepisce alcuna nuova acquisizione della scienza economica. La fallimentarietà di tale teoria è comprovata: si tratta dello stesso modello applicato dal Fondo monetario internazionale nel Terzo mondo che, imponendo la riduzione dei deficit nazionali, ha trasformato la crisi in recessione e in depressione. Stiglitz definisce «feticismo del deficit» questa ossessione per l’austerità.A seguito di una parte “destruens” che farebbe collassare in un colpo solo i vari Monti, Fazio, Cottarelli e compagnia cantante, l’economista propone le sue soluzioni. E qui forse storceranno un po’ il naso coloro che erano rimasti finora incantati dalla sua lucida e perentoria bocciatura di una zona monetaria unica che manca di tutti i requisiti per essere non solo ottimale, ma anche sostenibile. Dopo aver suggerito un programma per far funzionare l’Eurozona, Stiglitz prende atto di come probabilmente non verrà attuato e, in alternativa, prospetta due soluzioni: un divorzio consensuale o la creazione di un “euro flessibile”. La prima strada sembra alquanto irrealistica in una Ue di cui si è dimostrata tutta la rigida ostilità; la seconda appare un po’ troppo possibilista e non in linea con tutta la disamina precedente. Insomma, il Premio Nobel ed ex consulente di Clinton rientra un po’ nei ranghi istituzionali, e si mostra (o si finge in cuor suo) fiducioso che una soluzione possa essere trovata. Rimane un’analisi di gran pregio, ancor più se paragonata alla pochezza scientifica e alla scarsa originalità delle nostre voci mainstream, incapaci di andare oltre teorie superate e appurate come disastrose.(Ilaria Bifarini, “Una sciagura chiamata euro”, dal blog della Bifarini del 18 ottobre 2018).A volte affermare l’ovvio per confutare l’assurdo non basta, così occorre farsi scudo di personaggi illustri, la cui autorevolezza viene universalmente riconosciuta. E’ quello che farò in questo sintetico pezzo, citando l’economista Premio Nobel Joseph Stiglitz. In verità egli non amerebbe prestare il fianco alla “causa sovranista”: il suo credo democratico e progressista è così radicato che, di fronte alle assurdità delle politiche di austerity sposate dalle Ue – da lui denunciate più volte e senza mezzi termini – preferisce pensare che si tratti di un metodo congegnato per decretare il fallimento delle sinistre e l’ascesa dei partiti nazionalisti di destra nel Vecchio Continente. Dunque mi limiterò a riportare alcune citazioni della sua opera massima sul tema della moneta unica e del fallimento delle attuali politiche europee, “L’euro, Come una moneta unica minaccia il futuro dell’Europa” (Einaudi, 2017). La sua posizione è già chiara dalla prefazione: «L’euro è una costruzione dell’uomo. I suoi contorni non sono il risultato di leggi di natura ineluttabile. Gli accordi monetari europei si possono rimodulare; se necessario, si potrà addirittura lasciar perdere l’euro. In Europa come altrove, possiamo resettare la bussola, riscrivere le regole dell’economia del governo, arrivare a una prosperità maggiormente condivisa, con una democrazia più forte e una maggiore coesione sociale».
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Ma l’austerity uccide i malati (e aggrava il debito pubblico)
Il vero pericolo per lo stato di salute di un paese e dei suoi cittadini non è rappresentato tanto da una crisi economica ma dalla risposta che a tale evento dà la politica. Non è la recessione in sé a provocare effetti disastrosi sulle vite umane, ma le sciagurate politiche di austerity attuate per superarla. A dimostrarlo sono due esperti di scienze mediche, David Stuckler e Sanjay Basu, nel libro “L’economia che uccide” (Rizzoli, 2013). Dalle ricerche condotte emerge come alcune popolazioni abbiano addirittura riportato un miglioramento nel livello di salute a seguito di periodi di grave crisi economica, come avvenuto ad esempio in Islanda, Svezia e Canada durante le recenti crisi e negli stessi Stati Uniti a seguito della Grande Depressione. È provato, ad esempio, che la minore disponibilità economica induce le persone a spendere meno per alcol e fumo e a preferire gli spostamenti a piedi piuttosto che in automobile, portando in alcuni casi a una diminuzione del tasso di mortalità. Quando per far fronte alla crisi si ricorre invece alle misure di austerity, secondo quello che è il repertorio fisso della ricetta neoliberista, vengono messi in atto una serie di tagli alla spesa pubblica e alla sanità, che minano il ruolo di tutela dei cittadini da parte dello Stato.In perfetto disaccordo con la teoria keynesiana, in un momento in cui la domanda è già depressa, tagliare la spesa pubblica significa indurre i cittadini a spendere meno, avviando così un circolo vizioso in cui a un aggravarsi della depressione della domanda fa seguito un inevitabile aumento della disoccupazione. Questo è il motivo per il quale le politiche di austerity, come testimoniato dal caso del nostro paese, anziché far diminuire il debito lo aumentano. In un simile contesto, caratterizzato dall’alta disoccupazione e l’indebolirsi della rete di sicurezza sociale, la perdita di lavoro può trasformarsi in un problema di salute. Esiste, infatti, una relazione diretta empiricamente comprovata tra spesa in welfare e speranza di vita. Come affermano i due autori: «Il prezzo dell’austerity si calcola in vite umane e quelle ormai perse non potranno più essere recuperate quando il mercato azionario tornerà a salire». A sostegno della loro tesi riportano analisi e testimonianze di quanto accaduto in Grecia a seguito della crisi, e in Italia a partire dal governo Monti.Dalla crisi economica la Grecia passa alla crisi dell’austerity, ovvero lo shock causato dalle misure imposte. In Grecia il primo pacchetto di misure di austerity imposto dal Fondo Monetario Internazionale è entrato in vigore nel maggio del 2010, senza essere sottoposto ad alcuna votazione. L’obiettivo del piano era «mantenere la spesa per la sanità pubblica al di sotto del 6% del Pil, prestando attenzione al controllo dei costi». Si tratta di un valore decisamente basso per poter garantire la qualità della sanità pubblica: per fare una comparazione, il governo tedesco spende oltre il 10% del Pil. I primi a pagarne le spese sono stati ovviamente gli anziani. Nel solo 2011 i fondi per la prevenzione e la promozione della salute sono passati da 29,6 a 5,9 milioni di euro e quelli destinati alla ricerca e al monitoraggio da 91,9 alle diciotto18,4 milioni di euro (dati Oms). A seguito di tali misure, nel 2011 in Grecia il virus dell’Hiv è aumentato del 52% e si è assistito a un’epidemia di malaria che non si riscontrava dal 1974.Fino ad allora nota come il paese con il tasso di suicidi tra i più bassi in Europa, la Grecia ha riscontrato nel 2012 una crescita di tale indicatore del 25%, a fronte di un raddoppio di persone affette da depressione. La disperazione e la rabbia del popolo greco erano tali che nell’ottobre 2012 l’arrivo della Merkel ad Atene ha richiesto il dispiegamento di 6.000 agenti di polizia per contenere i manifestanti che lanciavano pietre, bruciavano bandiere naziste e intonavano cori che dicevano “no al Quarto Reich”. Nonostante le misure di austerity, il debito pubblico greco non solo non è diminuito ma anzi è continuato a salire. Uno degli argomenti cardine del Fondo Monetario Internazionale a favore dell’austerity sosteneva che il moltiplicatore fiscale relativo alla spesa pubblica fosse pari a 0,5: dunque a un taglio della spesa statale sarebbe dovuta corrispondere una crescita del Pil. Di fronte ai fallimenti conclamati nel febbraio del 2012 il Fondo ha chiesto ai propri economisti di ricalcolare il moltiplicatore e si è scoperto che era inficiato da un errore. Il suo valore era maggiore di 1, quindi ogni taglio avrebbe prodotto una perdita. L’istituto di Washington ha ammesso di aver sottostimato gli effetti negativi dell’austerity sulla perdita di occupazione sull’economia. Quello che doveva essere un aiuto concesso alla Grecia si è tradotto in un disastro: perdita di posti di lavoro, minore reddito, calo della fiducia da parte degli europei.(Ilaria Bifarini, “Grecia, l’austerity che uccide”, dal blog della Bifarini del 7 ottobre 2018).Il vero pericolo per lo stato di salute di un paese e dei suoi cittadini non è rappresentato tanto da una crisi economica ma dalla risposta che a tale evento dà la politica. Non è la recessione in sé a provocare effetti disastrosi sulle vite umane, ma le sciagurate politiche di austerity attuate per superarla. A dimostrarlo sono due esperti di scienze mediche, David Stuckler e Sanjay Basu, nel libro “L’economia che uccide” (Rizzoli, 2013). Dalle ricerche condotte emerge come alcune popolazioni abbiano addirittura riportato un miglioramento nel livello di salute a seguito di periodi di grave crisi economica, come avvenuto ad esempio in Islanda, Svezia e Canada durante le recenti crisi e negli stessi Stati Uniti a seguito della Grande Depressione. È provato, ad esempio, che la minore disponibilità economica induce le persone a spendere meno per alcol e fumo e a preferire gli spostamenti a piedi piuttosto che in automobile, portando in alcuni casi a una diminuzione del tasso di mortalità. Quando per far fronte alla crisi si ricorre invece alle misure di austerity, secondo quello che è il repertorio fisso della ricetta neoliberista, vengono messi in atto una serie di tagli alla spesa pubblica e alla sanità, che minano il ruolo di tutela dei cittadini da parte dello Stato.
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Ci servono veri statisti, per abbattere il Muro di Bruxelles
Ma davvero tra sei mesi quest’Europa non ci sarà più, come hanno detto sia Di Maio che Salvini? Se è vera la previsione o la profezia dei due vice-premier, uniti contro il Nemico comune europeo, il 2019 accadrà qualcosa di simile al 1989: trent’anni fa cadde il Muro di Berlino, e poi crollò il comunismo. Trent’anni dopo cadrà il Muro di Bruxelles che separa i popoli dall’Europa, il potere dai cittadini, e cadrà l’eurarchia con tutti gli eurocrati. La spallata decisiva, pensano entrambi, sarà il voto di primavera sul Parlamento Europeo che ridisegnerà radicalmente i rapporti di forza e di rappresentanza. L’onda sovranista e populista è in effetti crescente in tutta Europa e sicuramente scombussolerà il Parlamento Europeo e i suoi gruppi prevalenti, socialisti, popolari e liberali. Ma avrà un impatto tale da scardinare la Commissione Europea, da conquistare la maggioranza assoluta dei seggi – o trovare alleati per farlo – e incidere poi sugli organismi sovranazionali non direttamente emanati dal Parlamento Europeo? Poi la Banca centrale europea, la Troika, e a cascata Il Fondo Monetario, le agenzie di rating, Davos…Il dubbio ci sembra più che legittimo, al di là dei desideri o delle speranze di ciascuno. La forza populista, grosso modo, potrà conquistare in Europa fino a un terzo degli elettori votanti, oltre il buco nero dell’astensionimo. Basterà una forza del genere per liquidare definitivamente l’attuale establishment europeo? E si tratterà poi di forze realmente componibili, omogenee, in grado di allearsi? L’ipotesi più probabile, invece, è che per evitare la paralisi, globalisti e sovranisti dovranno arrivare a un compromesso, a una pace armata, cioè a un armistizio, o dividersi ambiti e territori. Dal punto di vista dei grillini sarei particolarmente cauto con le profezie di vittoria e di sventura, anche perché se Salvini ha sponde reali in Francia, nel nord Europa e nell’est europeo, dovute a consonanze tematiche, a partire dall’Europa delle nazioni e dal tema dei migranti – oltre che in Russia e negli Stati Uniti – non altrettanto può dirsi del Movimento 5 stelle che resta un fenomeno italiano. E’ più facile pensare a un’alleanza delle forze sovraniste, nazionalpopuliste, piuttosto che a un’alleanza populista-radicale di tipo grillino.Dal punto di vista politico, gli avversari dei populisti sono tutti azzoppati e governano nei loro paesi in alleanze precarie, eterogenee di centro-destra-sinistra, guidando forze di minoranza: dalla Germania alla Spagna, dalla Francia a molti altri paesi. La leader politica dell’Eurozona, Angela Merkel, è in vistosa caduta ormai da tempo. E molti movimenti in ascesa, nonostante si definiscano liberali, aderiscano ai popolari o siano perfino alleati di governo con forze dell’establishment, rientrano piuttosto nel filone nazional-conservatore o sovranista-populista. Il centravanti dell’eurarchia oggi è Macron, che gode di un consenso ultra-minoritario nel suo paese, largamente impopolare in patria e assai inviso in molti paesi europei, a cominciare dall’Italia, per le sue evidenti e sleali contraddizioni: fa l’europeista global ma cura poi gli interessi francesi, predica sull’immigrazione e poi chiude l’accoglienza. L’anno scorso l’Europa intera, e l’intero quadro politico francese – giscardiani, gollisti, socialisti – scese al suo fianco per impedire che vincesse Marine Le Pen. Ha goduto di un sostegno politico, eurocratico e mediatico assoluto. Ciò nonostante la sua credibilità e i suoi consensi sono costantemente in calo, clamorosamente minoritari in Francia. Il contrario di Trump, che è sotto attacco permanente ma registra grandi risultati concreti, soprattutto sul piano economico e occupazionale e mantiene vasto consenso popolare, nonostante il suo stile colorito e discutibile.Il nemico da battere in Europa avrà la faccia di Macron più che di Juncker o di Moscovici. È il prototipo dell’eurocrate. Liberista e progressista, global ma senza rinunciare all’arroganza francese, fabbricato in provetta, figlio di maternità surrogata, adottato dalla famiglia allargata di progressisti, tecnocrati e moderati, testimonial di una Francia politically correct, gay e nera, global e antifascista, Macron è il testimonial di questa Unione pseudoeuropea. Intanto aspettiamoci, in questi mesi ogni colpo basso dall’Europa e dai suoi sicari, interni e internazionali, per far cadere o inguaiare i populisti. Spread e non solo, è una guerra e lorsignori capiscono che qui in Italia si giocano una partita che vale per l’Europa. Ma lo scenario che si apre è inquietante, tra sovranità tramontate e sovranità alternative non ancora sorte o minate. Al declino inglorioso dei vecchi partiti, si unisce il rischio aggiuntivo di un cortocircuito del populismo. Restiamo coi piedi per terra, ancorati alla realtà, e guardiamo dall’altra parte: si può davvero pensare che leader come Di Maio e compagnia possano essere gli statisti alternativi a cui affidare le sorti dell’Europa? Si può seriamente caricare su spalle così piccole e inadeguate una responsabilità così grande, come fondare, ridisegnare e guidare la nuova Europa? Uagliù, nun pazziamo, avrebbe detto Padre Pio.(Marcello Veneziani, “Il Muro di Bruxelles”, da “Il Tempo” del 9 ottobre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ma davvero tra sei mesi quest’Europa non ci sarà più, come hanno detto sia Di Maio che Salvini? Se è vera la previsione o la profezia dei due vice-premier, uniti contro il Nemico comune europeo, il 2019 accadrà qualcosa di simile al 1989: trent’anni fa cadde il Muro di Berlino, e poi crollò il comunismo. Trent’anni dopo cadrà il Muro di Bruxelles che separa i popoli dall’Europa, il potere dai cittadini, e cadrà l’eurarchia con tutti gli eurocrati. La spallata decisiva, pensano entrambi, sarà il voto di primavera sul Parlamento Europeo che ridisegnerà radicalmente i rapporti di forza e di rappresentanza. L’onda sovranista e populista è in effetti crescente in tutta Europa e sicuramente scombussolerà il Parlamento Europeo e i suoi gruppi prevalenti, socialisti, popolari e liberali. Ma avrà un impatto tale da scardinare la Commissione Europea, da conquistare la maggioranza assoluta dei seggi – o trovare alleati per farlo – e incidere poi sugli organismi sovranazionali non direttamente emanati dal Parlamento Europeo? Poi la Banca centrale europea, la Troika, e a cascata Il Fondo Monetario, le agenzie di rating, Davos…