Archivio del Tag ‘Tony Blair’
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Paghiamo il pizzo al Pentagono, purché non faccia più guerre
Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele. Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione. Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente americano non può farci niente. Il presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini. In pratica, Obama è irrilevante. Può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice: “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà: “Sissignore!”.Obama può promettere l’assistenza sanitaria a 50 milioni di americani che non ce l’hanno, ma non può sconfiggere il veto della lobby della guerra e della lobby delle assicurazioni. La lobby della guerra dice che i profitti di guerra sono più importanti dell’assistenza sanitaria e che il paese non si può permettere sia la “guerra al terrore” che la “medicina socializzata”. La lobby delle assicurazioni dice che l’assistenza sanitaria deve venir data dalle assicurazioni sanitarie private; altrimenti non possiamo permettercela. Le lobby della guerra e delle assicurazioni hanno sventolato le loro agende con i contributi versati in campagna elettorale e molto velocemente hanno convinto il Congresso e la Casa Bianca che lo scopo reale del progetto di legge sull’assistenza sanitaria è di salvare soldi tagliando i benefici a “Medicare” e “Medicaid”, e quindi «mettere gli “entitlements” [diritti acquisiti] sotto controllo». “Entitlements” è una parola usata dalla destra per denigrare le poche cose che, in un lontano passato, il governo faceva per i suoi cittadini. La “Social Security” e “Medicare”, ad esempio, vengono denigrati come “entitlements”.La destra continua senza sosta a parlare della “Social Security” e di “Medicare” come se fossero regali dati a persone incapaci che rifiutano di prendersi cura di se stesse, quando in realtà i cittadini vengono di gran lunga sovratassati con un’imposta del 15% nelle loro paghe per avere in cambio dei magri benefici. Infatti per decenni ormai il governo federale ha finanziato le sue guerre e i budget militari con le entrate in surplus raccolte dalla tassa sul lavoro della “Social Security”. Sostenere, come fa la destra, che non possiamo permetterci l’unica cosa nell’intero budget che ha in modo consistente prodotto delle entrate in eccesso sta ad indicare che lo scopo reale è di portare il cittadino medio ad uno stato di indigenza. I veri “entitlements” non vengono mai menzionati. Il budget della “difesa” è un entitlement per il complesso militare e della difesa, sul quale il presidente Eisenhower ci mise in guardia 50 anni fa. Una persona dev’essere folle per credere che gli Stati Uniti, “l’unica superpotenza del mondo”, protetta da oceani ad Est e a Ovest e da Stati-fantoccio a Nord e a Sud, abbia bisogno di un budget della “difesa” superiore all’intera spesa militare del resto mondo messo insieme.Il budget militare è nient’altro che un “entitlement” per il complesso militare e della sicurezza. Per nascondere questo fatto, l’entitlement viene mascherato come una protezione contro i “nemici” e fatto passare attraverso il Pentagono. Io dico, eliminiamo l’intermediario e distribuiamo semplicemente una percentuale del budget federale al complesso militare e della sicurezza. In questo modo non avremo bisogno di inventare scuse per invadere altri paesi e andare a fare la guerra con il solo scopo di dare al complesso militare e della difesa il suo “entitlement”. Sarebbe molto più economico dargli i soldi direttamente, e salverebbe anche un sacco di vite umane e sofferenze in patria e all’estero. L’invasione statunitense dell’Iraq non aveva proprio niente a che fare con gli interessi nazionali americani. Aveva a che fare con i profitti sugli armamenti e con l’eliminazione di un ostacolo all’espansione territoriale israeliana. Il costo della guerra, oltre i 3 trilioni di dollari, è stato di 4.000 americani morti, oltre 30.000 feriti e mutilati, decine di migliaia di matrimoni americani distrutti e carriere perdute, un milione di iracheni morti, quattro milioni di iracheni profughi e un paese ridotto in macerie. Tutto questo è stato fatto per i profitti del complesso militare e della sicurezza e anche affinchè la paranoide Israele, armata con 200 bombe nucleari, potesse sentirsi “sicura”.La mia proposta renderebbe il complesso militare e della difesa ancora più ricco, dato che le compagnie riceverebbero i soldi senza aver bisogno di costruire le armi. Piuttosto, tutti i soldi potrebbero venir usati per bonus multimilionari e dividendi distribuiti agli azionisti. Nessuno, in patria o all’estero, dovrebbe venir ucciso, e il contribuente sarebbe ben più felice. Non c’è alcun interesse nazionale americano nella guerra in Afghanistan. Come rivelato dall’ex ambasciatore britannico Craig Murray, lo scopo della guerra è di proteggere gli interessi della Unocal per un oleodotto che passa attraverso l’Afghanistan. Il costo della guerra è di gran lunga superiore all’investimento dell’Unocal nell’oleodotto. L’ovvia soluzione è di comprare l’Unocal e dare l’oleodotto agli afghani come parziale risarcimento per la distruzione che abbiamo inflitto a quel paese e alla sua popolazione, e di portare le truppe a casa.Il motivo per cui le mie ragionevoli soluzioni non verranno attuate è che le lobby pensano che i loro “entitlements” non potrebbero sopravvivere se diventassero evidenti a tutti. Loro pensano che se il popolo americano sapesse che le guerre stanno venendo combattute per arricchire le industrie degli armamenti e del petrolio, la gente fermerebbe le guerre. In realtà, il popolo americano non ha diritto di opinione su ciò che il “suo” governo fa. I sondaggi mostrano che metà o più della metà del popolo americano non sostiene le guerre in Iraq e Afghanistan e non sostiene l’escalation del presidente Obama per quanto riguarda la guerra in Afghanistan. Nonostante ciò, le occupazioni e le guerre continuano. La Russia di Putin ha già paragonato gli Usa alla Germania nazista, e il premier cinese ha paragonato gli Usa a un debitore irresponsabile e immorale. Gli inglesi stanno indagando sul loro capo criminale, l’ex primo ministro Tony Blair, e l’inganno che mise in piedi contro il suo stesso consiglio dei ministri per fornire una scusa a Bush per la sua invasione illegale dell’Iraq.Agli investigatori inglesi è stata negata l’abilità di presentare accuse penali, ma la questione della guerra basata interamente su una macchinazione di bugie e inganni sta venendo ben diffusa. Riecheggierà per tutto il pianeta, e il mondo vedrà che non esiste un’indagine simile negli Usa, il paese da dove ebbe origine la Guerra Falsa. Nel frattempo, le banche d’investimento Usa, che hanno distrutto la stabilità finanziaria di molti governi, incluso quello degli Usa, continuano a controllare, come hanno sempre fatto fin dall’amministrazione Clinton, la politica economica e finanziaria degli Usa. Il mondo ha sofferto in modo terribile per i gangsters di Wall Street, e adesso guarda all’America con occhio critico. I sondaggi nel mondo mostrano che gli Usa e il suo capo-fantoccio vengono visti come le due più grandi minacce per la pace. Washington e Israele superano nella lista dei più pericolosi il regime pazzoide della Nord Corea. Quando il dollaro sarà sovra-inflazionato da una Washington incapace di pagare i suoi conti, il mondo sarà spinto dall’avidità e cercherà di salvarci per salvare i suoi investimenti, oppure dirà “grazie a Dio, che liberazione”.(Paul Craig Robers, estratti da “Il fantoccio Obama”, intervento pubblicato da “Information Clearing House” e ripreso dal blog “Vox Populi” il 25 agosto 2015. Eminente economista e politologo, Craig Roberts fu tra i più stretti collaboratori di Ronald Reagan).Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele. Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione. Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente americano non può farci niente. Il presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini. In pratica, Obama è irrilevante. Può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice: “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà: “Sissignore!”.
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Perché l’America si limita a fingere di combattere l’Isis
“Charlie Hebdo”, la falsa morte di Bin Laden, l’aggressione alla Siria e poi all’Ucraina per colpire Putin che non vuole piegare la Russia al codice atlantico, mentre gli Usa cercano di stringere l’Europa nella morsa del Ttip, spaventati dalla Cina che ormai acquisisce la leadership mondiale dell’economia. Tutto chiaro: scenari e retroscena, geopolitica e moventi. Ma il mainstream continua a non prenderne atto, relegando la controinformazione (ormai dilagante) alla sfera del web. Ne abbiamo le prove, ripete il regista Massimo Mazzucco: l’unico terrorismo preoccupante è sempre e solo terrorismo di Stato, strategia della tensione, a partire dal crollo delle Torri Gemelle l’11 Settembre. «Non potrei mai dire chi e come le ha fatte crollare, con quale esplosivo, ma quello che è certo è che sono crollate per demolizione controllata, non certo perché colpite da due aerei di linea». Nel mainstream italiano, spicca una voce isolata e notevole, quella di Marcello Foa, che – dalle pagine del “Giornale” – continua a snocciolare pillole di verità destinate ai non addetti ai lavori. Per esempio, quelle sull’atroce Isis: nessuno ferma i tagliatori di teste perché sono stati messi lì apposta dagli Usa. Ecco il motivo per cui l’Isis non viene annientato.«Chi osserva con disincanto le vicende in Medio Oriente lo ha capito da tempo: l’America che negli anni Duemila ha lanciato una guerra feroce – e decisamente sproporzionata – ad Al Qaeda, ora appare molto svogliata contro una minaccia ben più concreta: quella dell’Isis». Foa non menziona il Pnac, il progetto per il “Nuovo Secolo Americano” che già prima del 2000 annunciava la “guerra infinita” innescata dal terrorismo fatto in casa, con l’obiettivo finale di arginare la Cina entro il 2017. Preferisce limitarsi a osservazioni contingenti, collegando eventi che i media tendono a non collegare mai. «Come ho documentato da tempo – scrive – l’Isis un paio di anni fa è stato usato, armato e finanziato da Arabia Saudita, Emirati Arabi e dagli stessi Stati Uniti nel tentativo di abbattere il regime di Assad. Grazie anche a quei finanziamenti l’Isis si è ampliato, si è rafforzato ed è partito alla conquista di larghe parti dell’Iraq e ha infiltrato i suoi jihadisti in altri paesi, fino alla Libia». Risultato: «L’Isis, come purtroppo ben sappiamo, sta destabilizzando tutta la regione». Ma gli Stati Uniti si guardano bene dal fermarlo.Per molti osservatori internazionali, da Pepe Escobar a Thierry Meyssan, l’Isis è un mostro fabbricato in provetta nei laboratori della Cia e del Pentagono, con la collaborazione di Israele. E’ ancora Mazzucco a ricordare il ruolo di Tel Aviv nel cosiddetto terrorismo islamico: «Alla vigilia della strage di “Charlie Hebdo” fu lo stesso Netanyahu ad avvertire i francesi che, se avessero firmato la dichiarazione a sostegno della nascita dello Stato di Palestina, avrebbero avuto guai, in casa, coi fondamentalisti». E perché mai gli arabi dovrebbero prendersela con chi aiuta i palestinesi? Il ragionamento, ovviamente, non regge. A meno che non lo si capovolga: il problema non sono “gli islamici”, ma chi manovra i fondamentalisti per i propri scopi politici. Come Netanyahu, in prima fila a Parigi alla grottesca parata dei potenti in occasione dei solenni funerali delle vittime di “Charlie Hebdo”. «E’ uno schema banale, che si ripete alla noia, eppure i media fingono di ignorarlo perché sono funzionali a quello stesso sistema», accusa Mazzucco, intervistato da “Border Nights”. Il copione è invariato, cambiano solo gli attori.Le comparse dell’Isis, denuncia Gioele Magaldi nel bestseller “Massoni”, sono state accuratamente selezionate da manovalanza occidentale, coordinata dalla cupola massonica del massimo potere concentrata nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, la superloggia segreta dei Bush che ha reclutato anche leader europei come Blair, Aznar e Sarkozy, oltre al turco Erdogan. Nella “Hathor Pentalpha”, che Magaldi definisce “loggia del sangue e della vendetta”, nata da George Bush padre dopo la sconfitta subita da Reagan alle presidenziali del 1980, sarebbero confkuiti i campioni del vertice neocon americano, da Dick Cheney e Paul Wolfowitz, il falco Donald Rumsfeld, profeti della globalizzazione neoliberista come Samuel Huntington e decine di satelliti regionali, tra cui anche l’ex presidente del Senato italiano Marcello Pera e l’ex ministro della difesa Antonio Martino. Per Magaldi, la “Hathor Pentalpha” ha diretto l’operazione 11 Settembre, in collaborazione con un certo Bin Laden. E poi ha creato il nuovo orrore, quello dell’Isis, non a caso battezzato con il nome della dea egizia, di cui “Hathor” è il secondo nome. Una “firma” piuttosto esplicita, ideata da ambienti esoterici sempre molto attenti ai nomi, alle date, ai numeri che compongono il contenuto simbolico a cui viene attribuito anche un preciso significato propiziatorio.Marcello Foa resta a debita distanza dalle recenti dietrologie, costantemente oscurate dai grandi media, ma non rinuncia a lanciare avvertimenti. L’Isis? «L’America ufficialmente dice di volerlo combattere. E gli alleati arabi, ufficialmente, non sostengono più i miliziani del nuovo Califfato. Ma qualcosa non torna: sarebbero bastate alcune giornate di bombardamenti intesi sulle milizie Isis – stile quelli condotti sulla Libia – per letteralmente annientare l’Isis. Invece, l’America ha dato sì avvio ai bombardamenti, ma con il freno tirato; limitandosi a bombardamenti simbolici. E l’Isis infatti ha continuano ad espandere la sua influenza». Ora, continua Foa, il sospetto degli analisti trova conferma nelle denunce dei piloti americani, che affermano di essere frenati da regole di ingaggio assurde. Foa cita fonti giornalistiche: «Ci sono stati momenti in cui avevo gruppi dell’Isis nel mirino ma non avevo l’autorizzazione a colpire», ha detto a “Fox News” il pilota di un F-18. Può passare anche un’ora, prima che il pilota possa bombardare. Perché? Lo spiegano Mazzucco, Meyssa, Escobar e tutti gli altri. Foa preferisce formulare la domanda: «Perché l’America non vuole distruggere l’Isis? E perché i paesi europei, pur essendo direttamente esposti alla minaccia jihadista, lasciano fare?».“Charlie Hebdo”, la falsa morte di Bin Laden, l’aggressione alla Siria e poi all’Ucraina per colpire Putin che non vuole piegare la Russia al codice atlantico, mentre gli Usa cercano di stringere l’Europa nella morsa del Ttip, spaventati dalla Cina che ormai acquisisce la leadership mondiale dell’economia. Tutto chiaro: scenari e retroscena, geopolitica e moventi. Ma il mainstream continua a non prenderne atto, relegando la controinformazione (ormai dilagante) alla sfera del web. Ne abbiamo le prove, ripete il regista Massimo Mazzucco: l’unico terrorismo preoccupante è sempre e solo terrorismo di Stato, strategia della tensione, a partire dal crollo delle Torri Gemelle l’11 Settembre. «Non potrei mai dire chi e come le ha fatte crollare, con quale esplosivo, ma quello che è certo è che sono crollate per demolizione controllata, non certo perché colpite da due aerei di linea». Nel mainstream italiano, spicca una voce isolata e notevole, quella di Marcello Foa, che – dalle pagine del “Giornale” – continua a snocciolare pillole di verità destinate ai non addetti ai lavori. Per esempio, quelle sull’atroce Isis: nessuno ferma i tagliatori di teste perché sono stati messi lì apposta dagli Usa. Ecco il motivo per cui l’Isis non viene annientato.
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G8 Genova, prove generali per lo choc dell’11 Settembre
La Corte europea dei diritti umani ha certificato sul piano legale e formale ciò che era già chiaro sul piano sostanziale a tutti gli uomini onesti presenti sulla faccia della Terra: i poliziotti che fecero irruzione presso la scuola Diaz a Genova la notte del 21 luglio del 2001 si abbandonarono volutamente a pratiche di tortura. I giudici inoltre, dopo avere accertato l’utilizzo di metodi e prassi degne del regime argentino di Jorge Videla, stigmatizzano pure l’inerzia del sistema Italia nel (non) rendere giustizia alle vittime. Non solo i torturatori protagonisti della mattanza di Genova non ricevettero condanne penali proporzionate alla gravità dei fatti, ma molti di loro non furono neppure individuati e/o espulsi dai corpi di polizia. Paradossalmente, quindi, ancora oggi, lo Stato italiano potrebbe affidare il mantenimento dell’ordine pubblico a uomini resisi protagonisti nel recente passato di condotte che avrebbero ben meritato una ragionevole e giustificata condanna alla pena dell’ergastolo (con relativo isolamento diurno). Il capo della polizia del tempo, prefetto Gianni De Gennaro, siede adesso al vertice di Finmeccanica, degno premio da garantire a chi ha già irrimediabilmente infangato l’immagine dell’Italia nel mondo.Comunque, della gravità dei fatti di Genova si sapeva già prima che la corte europea si pronunciasse nel merito, così come ampiamente nota era la propensione dei governi ad insabbiare e sminuire la gravità di quanto accaduto. Che l’Italia del 2001 somigliasse più al Cile di Pinochet che ad una democrazia occidentale è un dato di fatto. Meno chiare sono invece le ragioni che determinarono una tanto grave sospensione delle libertà democratiche, realizzata da un corpo armato grazie alla fattiva complicità del governo dell’epoca. Proviamo insieme ad indagare ora la parte nascosta della faccenda, avendo cura di collegare razionalmente i tanti tasselli di un unico mosaico. A pagina 535 del libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi è possibile scorgere una traccia importante. Come saprà chi ha letto il libro, l’ultimo capitolo riporta un dialogo intercorso fra quattro massoni di alto rango, appartenenti cioè al circuito segreto delle Ur-Lodges, vero e sconosciuto vertice del potere globale. Ad un certo punto, nel ricordare le precondizioni che consentirono l’arrivo di George W. Bush alla Casa Bianca, uno dei “fratelli” domanda all’altro: “A proposito, perdonami se ti interrompo, non ci hai parlato dei fatti del G8 di Genova, del luglio 2001. Chi ne fu responsabile, ai piani alti del potere?”.Sfortunatamente non è possibile leggere la risposta offerta da Frater Kronos, massone oligarchico al quale la domanda era rivolta, di fatto impedita dalla rapida entrata in scena di Frater J.: “Scusate se mi intrometto. Ma è solo per dire che affronteremo la questione, che è intimamente collegata alla preparazione dell’11 settembre successivo, nei prossimi volumi di Massoni”. Per avere maggiori dettagli non resta che attendere l’uscita, si spera imminente, degli altri volumi. Nel frattempo però è possibile abbozzare un ragionamento anche limitandosi ad analizzare soltanto le circostanze già conosciute. Come sappiamo la strage dell’11 Settembre del 2001 fu pensata, voluta e pianificata all’interno di una specifica loggia, la Hathor Pentalpha, fondata tra gli altri da Bush padre e Dick Cheney. Una loggia certamente influente in America ma con addentellati presenti in tutto il mondo, Italia compresa. E’ possibile leggere i fatti di Genova alla stregua di esperimento preparativo in vista dell’evento principale (l’attacco alle Torri Gemelle) da consumarsi di lì a poco sull’altra sponda dell’Atlantico? Beh, io credo di sì.Tanto per cominciare è giusto ricordare come nel 2001 il ministro della difesa del governo italiano fosse Antonio Martino, figura organica alla loggia dei Bush, mentre sullo scranno più alto di Palazzo Madama sedeva allora un altro politico iniziato nella stessa Ur-Lodge “del sangue e della vendetta”: Marcello Pera. Dipoi, per giustificare un uso spropositato della forza, la polizia italiana fabbricò dopo i fatti di Genova alcune prove false, a partire dal ritrovamento delle famose “molotov”. Analogamente George W. Bush e Tony Blair (anche quest’ultimo affiliato presso la Hathor Pentapha) si inventarono di sana pianta la presenza di fantomatiche “armi di distruzione di massa” per rendere possibile un insensato e folle attacco all’Iraq di Saddam Hussein. La tecnica volta ad esasperare un finto pericolo per dare vita a scelte altrimenti improponibili fu chiaramente testata pure a Genova. Una tecnica nella quale i massoni della Hathor Pentalpha eccellono. Basti pensare a cosa è recentemente accaduto nella Francia di Sarkozy (Hathor Pentalpha), e a cosa ora accade nella Turchia di Erdogan (Hathor Pentalpha). Ordo ab chao.(Francesco Maria Toscano, “Il filo esoterico che lega la mattanza della scuola Diaz alla strage dell’11 Settembre”, dal blog “Il Moralista” del 15 aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, fondato con Gioele Magaldi).La Corte europea dei diritti umani ha certificato sul piano legale e formale ciò che era già chiaro sul piano sostanziale a tutti gli uomini onesti presenti sulla faccia della Terra: i poliziotti che fecero irruzione presso la scuola Diaz a Genova la notte del 21 luglio del 2001 si abbandonarono volutamente a pratiche di tortura. I giudici inoltre, dopo avere accertato l’utilizzo di metodi e prassi degne del regime argentino di Jorge Videla, stigmatizzano pure l’inerzia del sistema Italia nel (non) rendere giustizia alle vittime. Non solo i torturatori protagonisti della mattanza di Genova non ricevettero condanne penali proporzionate alla gravità dei fatti, ma molti di loro non furono neppure individuati e/o espulsi dai corpi di polizia. Paradossalmente, quindi, ancora oggi, lo Stato italiano potrebbe affidare il mantenimento dell’ordine pubblico a uomini resisi protagonisti nel recente passato di condotte che avrebbero ben meritato una ragionevole e giustificata condanna alla pena dell’ergastolo (con relativo isolamento diurno). Il capo della polizia del tempo, prefetto Gianni De Gennaro, siede adesso al vertice di Finmeccanica, degno premio da garantire a chi ha già irrimediabilmente infangato l’immagine dell’Italia nel mondo.
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Guerra e bugie: rapinare la Jugoslavia, tutto cominciò lì
Guai se la denuncia del nazifascismo, risuonata nel 70° anniversario della liberazione di Auschwitz, serve a depistare l’opinione pubblica dall’altro fascismo, il “nostro”, fondato sulla menzogna che giustifica le peggiori, sistematiche aggressioni. Per esempio la Libia di Gheddafi, travolta dopo la decisione di costituire una banca africana e una moneta alternativa al dollaro. E la Jugoslavia, rasa al suolo dopo la decisione della Germania di riconoscere i separatisti: inaccettabile, per la nascente Eurozona, la sopravvivenza di un grande Stato multientico con l’economia interamente in mani pubbliche. E avanti così, dalla Siria all’Ucraina, fino alle contorsioni terrificanti del cosiddetto Isis, fondato sulle unità di guerriglia addestrate dall’Occidente in Libia contro Gheddafi, poi smistate in Siria contro Assad e quindi dirottate in Iraq. Possiamo chiamarlo come vogliamo, dice John Pilger, ma è sempre fascismo. E’ il “nostro” fascismo quotidiano. «Iniziare una guerra di aggressione», dissero nel 1946 i giudici del tribunale di Norimberga, «non è soltanto un crimine internazionale, ma è il crimine internazionale supremo». Se i nazisti non avessero invaso l’Europa, Auschwitz e l’Olocausto non sarebbero accaduti.«Se gli Stati Uniti e i loro vassalli non avessero iniziato la loro guerra di aggressione in Iraq nel 2003, quasi un milione di persone oggi sarebbero vive, e lo Stato islamico, o Isis, non ci avrebbe in balìa delle sue atrocità», scrive Pilger in una riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. I nuovi “mostri” sono «la progenie del fascismo moderno, svezzato dalle bombe, dai bagni di sangue e dalle menzogne, che sono il teatro surreale conosciuto col nome di “informazione”». Infatti, «come durante il fascismo degli anni ‘30 e ‘40, le grandi menzogne vengono trasmesse con la precisione di un metronomo grazie agli onnipresenti, ripetitivi media e la loro velenosa censura per omissione». In Libia, nel 2011 la Nato ha effettuato 9.700 attacchi, più di un terzo dei quali mirato ad obiettivi civili, con strage di bambini. Bombe all’uranio impoverito, Misurata e Sirte bombardate a tappeto. L’omicidio di Gheddafi «è stato giustificato con la solita grande menzogna: stava progettando il “genocidio” del suo popolo». Se gli Usa avessero esitato, disse Obama, la città di Bengasi «avrebbe potuto subire un massacro che avrebbe macchiato la coscienza del mondo». Peccato che Bengasi non sia mai stata minacciata da nessuno: «Era un’invenzione delle milizie islamiche che stavano per essere sconfitte dalle forze governative libiche».Le milizie, scrive Pilger, dissero alla “Reuters” che ci sarebbe stato «un vero e proprio bagno di sangue, un massacro come quello accaduto in Ruanda». La menzogna, segnalata il 14 marzo 2011, ha fornito la prima scintilla all’inferno della Nato, definito da David Cameron come «intervento umanitario». Molti dei “ribelli”, segretamente armati e addestrati dalle Sas britanniche, sarebbero poi diventati Isis, decapitatori di “infedeli”. «Per Obama, Cameron e Hollande – scrive Pilger – il vero crimine di Gheddafi era l’indipendenza economica della Libia e la sua dichiarata intenzione di smettere di vendere in dollari Usa le più grandi riserve di petrolio dell’Africa», minacciando così il petrodollaro, che è «un pilastro del potere imperiale americano». Gheddafi aveva tentato con audacia di introdurre una moneta comune in Africa, basata sull’oro, e voleva creare una banca tutta africana per promuovere l’unione economica tra i paesi poveri ma dotati di risorse pregiate. «Era l’idea stessa ad essere intollerabile per gli Stati Uniti, che si preparavano ad “entrare” in Africa corrompendo i governi africani con offerte di collaborazione militare». Così, “liberata” la Libia, Obama «ha confiscato 30 miliardi di dollari dalla banca centrale libica, che Gheddafi aveva stanziato per la creazione di una banca centrale africana e per il dinaro africano, valuta basata sull’oro».La “guerra umanitaria” contro la Libia aveva un modello vicino ai cuori liberali occidentali, soprattutto nei media, continua Pilger, ricordando che, nel 1999, Bill Clinton e Tony Blair inviarono la Nato a bombardare la Serbia, «perché, mentirono, i serbi stavano commettendo un “genocidio” contro l’etnia albanese della provincia secessionista del Kosovo». L’ambasciatore americano David Scheffer affermò che «circa 225.000 uomini di etnia albanese di età compresa tra i 14 e i 59 anni potrebbero già essere stati uccisi». Sia Clinton che Blair evocarono l’Olocausto e «lo spirito della Seconda Guerra Mondiale». L’eroico alleato dell’Occidente era l’Uck, Esercito di Liberazione del Kosovo, «dei cui crimini non si parlava». Finiti i bombardamenti della Nato, con gran parte delle infrastrutture della Serbia in rovina – insieme a scuole, ospedali, monasteri e la televisione nazionale – le squadre internazionali di polizia scientifica scesero sul Kosovo per riesumare le prove del cosiddetto “olocausto”. L’Fbi non riuscì a trovare una singola fossa comune e tornò a casa. Il team spagnolo fece lo stesso, e chi li guidava dichiarò con rabbia che ci fu «una piroetta semantica delle macchine di propaganda di guerra». Un anno dopo, un tribunale delle Nazioni Unite sulla Jugoslavia svelò il conteggio finale dei morti: 2.788, cioè i combattenti su entrambi i lati, nonché i serbi e i rom uccisi dallUck. «Non c’era stato alcun genocidio. L’“olocausto” era una menzogna».L’attacco Nato era stato fraudolento, insiste Pilger, spiegando che «dietro la menzogna, c’era una seria motivazione: la Jugoslavia era un’indipendente federazione multietnica, unica nel suo genere, che fungeva da ponte politico ed economico durante la guerra fredda». Attenzione: «La maggior parte dei suoi servizi e della sua grande produzione era di proprietà pubblica. Questo non era accettabile in una Comunità Europea in piena espansione, in particolare per la nuova Germania unita, che aveva iniziato a spingersi ad est per accaparrarsi il suo “mercato naturale” nelle province jugoslave di Croazia e Slovenia». Sicché, «prima che gli europei si riunissero a Maastricht nel 1991 a presentare i loro piani per la disastrosa Eurozona, un accordo segreto era stato approvato: la Germania avrebbe riconosciuto la Croazia». Quindi, «il destino della Jugoslavia era segnato». La solita macchina stritolatrice: «A Washington, gli Stati Uniti si assicurarono che alla sofferente economia jugoslava fossero negati prestiti dalla Banca Mondiale, mentre la Nato, allora una quasi defunta reliquia della guerra fredda, fu reinventata come tutore dell’ordine imperiale».Nel 1999, durante una conferenza sulla “pace” in Kosovo a Rambouillet, in Francia, i serbi furono sottoposti alle tattiche ipocrite dei sopracitati tutori. «L’accordo di Rambouillet comprendeva un allegato B segreto, che la delegazione statunitense inserì all’ultimo momento». La clausola esigeva che tutta la Jugoslavia – un paese con ricordi amari dell’occupazione nazista – fosse messa sotto occupazione militare, e che fosse attuata una “economia di libero mercato” con la privatizzazione di tutti i beni appartenenti al governo. «Nessuno Stato sovrano avrebbe potuto firmare una cosa del genere», osserva Pilger. «La punizione fu rapida; le bombe della Nato caddero su di un paese indifeso. La pietra miliare delle catastrofi era stata posata. Seguirono le catastrofi dell’Afghanistan, poi dell’Iraq, della Libia, della Siria, e adesso dell’Ucraina. Dal 1945, più di un terzo dei membri delle Nazioni Unite – 69 paesi – hanno subito alcune o tutte le seguenti situazioni per mano del moderno fascismo americano. Sono stati invasi, i loro governi rovesciati, i loro movimenti popolari soppressi, i risultati delle elezioni sovvertiti, la loro gente bombardata e le loro economie spogliate di ogni protezione, le loro società sottoposte a un assedio paralizzante noto come “sanzioni”. Lo storico britannico Mark Curtis stima il numero di morti in milioni. «Come giustificazione, in ogni singolo caso una grande menzogna è stata raccontata».Guai se la denuncia del nazifascismo, risuonata nel 70° anniversario della liberazione di Auschwitz, serve a depistare l’opinione pubblica dall’altro fascismo, il “nostro”, fondato sulla menzogna che giustifica le peggiori, sistematiche aggressioni. Per esempio la Libia di Gheddafi, travolta dopo la decisione di costituire una banca africana e una moneta alternativa al dollaro. E la Jugoslavia, rasa al suolo dopo la decisione della Germania di riconoscere i separatisti: inaccettabile, per la nascente Eurozona, la sopravvivenza di un grande Stato multientico con l’economia interamente in mani pubbliche. E avanti così, dalla Siria all’Ucraina, fino alle contorsioni terrificanti del cosiddetto Isis, fondato sulle unità di guerriglia addestrate dall’Occidente in Libia contro Gheddafi, poi smistate in Siria contro Assad e quindi dirottate in Iraq. Possiamo chiamarlo come vogliamo, dice John Pilger, ma è sempre fascismo. E’ il “nostro” fascismo quotidiano. «Iniziare una guerra di aggressione», dissero nel 1946 i giudici del tribunale di Norimberga, «non è soltanto un crimine internazionale, ma è il crimine internazionale supremo». Se i nazisti non avessero invaso l’Europa, Auschwitz e l’Olocausto non sarebbero accaduti.
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Asse Londra-Pechino: ciao Usa e Ue, godetevi la Merkel
Nessuno se ne accorge, ma la Gran Bretagna sta divorziando dall’Europa “tedesca” e stringe un’alleanza strategica con la Cina, nemico numero uno degli Stati Uniti. Lo rivela l’economista Giulio Sapelli: i media non ne parlano, avverte, e la cosa non è affatto casuale, data l’enormità delle conseguenze che comporta. In pratica, Londra “saluta” anche Washington e annuncia che d’ora in poi “farà da sé”, sul piano geopolitico, aderendo al gigantesco complesso finanziario messo in piedi da Pechino, nel Pacifico, per contrastare l’egemonia degli Usa e del Giappone. Per Sapelli, storico dell’università di Milano, si tratta di una vera e propria “guerra”, assolutamente clamorosa e non più sotterranea, da quando il Regno Unito ha aderito formalmente all’Aiib, l’Asian Infrastructure Investment Bank fondata dai cinesi nel 2013. Un gigante che «si propone la missione di creare infrastrutture nella regione asiatico-pacifica in diretta concorrenza con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Banca Asiatica di Sviluppo», quest’ultima con sede a Manila.«Com’è noto – scrive Sapelli sul “Sussidiario” – queste tre istituzioni sono dominate dagli Usa e dal Giappone, unitamente a un ruolo secondario, ma importante, degli europei». In una sua relazione del 2010, la Banca Asiatica di Sviluppo sosteneva che, per realizzare il complesso di infrastrutture necessarie allo sviluppo dell’area euro-asiatica, si sarebbero dovuti come minimo investire 8 trilioni di dollari dal 2010 al 2020. «Finora nulla è stato fatto, ed è per questo che la nuova istituzione, promossa dalla Cina, nel lasso di tempo dal 2013 al 2014, aumentava il suo capitale da 50 a 100 miliardi con l’intervento decisivo dell’India nella cofondazione della stessa banca». In breve, racconta Sapelli, nel 2014 a Pechino si svolse una cerimonia di insediamento della nuova banca a cui parteciparono, oltre alla Cina e all’India, paesi come Thailandia, Malesia, Singapore, Filippine, Pakistan, Bangladesh e Brunei, insieme a Cambogia, Laos, Birmania, Nepal, Sri Lanka, e persino Uzbekistan e Mongolia. «Significative anche le firme del Kuwait, dell’Oman e del Qatar, a cui si aggiunsero nel 2015 anche quella della Giordania e dell’Arabia Saudita, nonché del Tagikistan e infine del Vietnam». Ma attenzione: nel 2015 hanno aderito anche Nuova Zelanda e Inghilterra.Sapelli considera «straordinaria» già la notizia dell’adesione della Nuova Zelanda, «che aspira sempre più manifestamente a una politica differenziata rispetto all’Australia», che non a caso nel contesto del “Trans-Pacific Pact” ha firmato con gli Stati Uniti un accordo militare in funzione anti-cinese e dichiaratamente pro-giapponese. «Ma la notizia bomba – sottolinea Sapelli – è quella dell’adesione dell’Inghilterra». Cameron e Osborne, primo ministro e titolare degli esteri, sono stati chiari fin da subito, anche sul “Telegraph”, dichiarando che «il Regno Unito, in primo luogo, ha di mira i suoi interessi nazionali». Il problema, avverte Sapelli, ha gà avuto i suoi risvolti nel contesto della Nato, in cui «il Regno Unito ha diminuito i suoi investimenti in armamenti portandoli sotto il tetto del 2%, soprattutto in armi convenzionali, mentre invece, di contro, aumentava la sua spesa difensiva sul fronte nucleare missilistico, in terra, in cielo, in mare». Il Regno Unito? Non si sta affatto “isolando”. Al contrario: «Si sta sempre più allontanando dall’Europa», e quindi «guarda sempre più al mondo e in primo luogo all’Asia e, con atteggiamento più incerto, all’Africa».Quello a cui Londra sta voltando le spalle è «l’Europa deflazionistica, germanico-teutonica, antirussa». Per Sapelli, questo è «il trionfo postumo della Thatcher, che fu costretta a dimettersi dal suo stesso partito perché non credeva nell’accrocchio di un euro costruito a immagine del marco». Secondo l’analista, questa decisione inglese «avrà conseguenze devastanti in Europa, perché la Francia, da sola, non osa opporsi alla Germania». Quanto all’Europa del Sud, «è profondamente infetta dall’ideologia blairista e neoliberista, che altro non è che l’altra faccia dell’ordoliberalismus tedesco». Di fatto, «il Regno Unito abbandona l’Europa per ritornare a essere una potenza mondiale intracontinentale». E per far questo, «sceglie di allearsi con la Cina in una prospettiva di lungo periodo», ampliando così il solco apertosi con la crisi di Suez del ‘56, quando gli Usa (e l’Urss) si opposero all’invasione inglese dell’Egitto non-allineato di Nasser, mettendo fine al monopolio britannico sul Mediterraneo. Alla nascita del clamoroso asse Londra-Pechino, gli Stati Uniti hanno reagito «in modo convulso, come al solito nervoso, indispettito e privo di lungimiranza strategica». In ogni caso, continua Sapelli, è indubbio che «la ferita è profonda». E l’incapacità egemonica degli Usa «in quest’occasione è apparsa in modo preclaro e drammatico». Infatti, «tutte le famiglie politiche degli Usa sono in preda al caos».La divisione tra Stati Uniti e Gran Bretagna «non potrà che rafforzare la Cina e, di fatto, anche la Russia, con conseguenze inaspettate anche nel Mediterraneo». Nella nuova super-banca cinese, infatti, sono presenti anche Giordania, Arabia Saudita, Oman e Qatar: «Una chiara dichiarazione di guerra diplomatica agli Usa, impegnati in trattative sul nucleare con l’Iran». Inutile aggiungere, conclude Sapelli, che le conseguenze saranno «drammatiche» anche per l’Italia, «paese a sovranità limitata e verso cui il Regno Unito aveva avuto dagli Usa la delega di occuparsi dei suoi esiti governativi e oltre, com’era stato reso manifesto dalla non lontana visita privata della Regina Elisabetta e del suo consorte all’allora presidente Giorgio Napolitano», evento che Sapelli definisce «caso unico al mondo di visita privata di un monarca a un presidente della Repubblica». Tra le ombre che gravano sul nostro paese, anche l’influenza israeliana nell’eventuale dopo-Netanyahu e i rivolgimenti in Libia per mano dell’Isis. Tutto questo, anche alla luce della svolta inglese: chi condizionerà le decisioni strategiche italiane nel Mediterraneo?Sullo sfondo, naturalmente, l’impressionante iniziativa della Cina di Xi Jingping, che «ha iniziato a costruire una possente rete di istituzioni alternative al potere dominante del mondo di oggi, ossia agli Usa». In particolare, Pechino «sta costruendo una rete di istituzioni finanziarie alternative a quelle egemonizzate dagli Usa e dai suoi alleati europei». Si è iniziato con la Brics Bank, che oltre ai cinesi raccoglie Brasile, Russia e India, e si è continuato con la “New Silk Road”, «che unisce in un progetto infrastrutturale e finanziario i paesi che, dalla Mongolia all’Afghanistan, sino alla Turchia, costituiscono il cuore dell’Eurasia, o meglio dell’Heartland, sulla rotta che fu di Alessandro Magno, al quale Xi Jinping si dice spesso idealmente si accomuni». Dinanzi a queste iniziative, «l’Occidente è rimasto muto, sprofondando nel suo autismo germanico in Europa e nella sua dissociazione schizofrenica negli Usa», dove «l’isterico ometto» Netanyahu, invitato dai repubblicani, ha potuto parlare al Congresso sfidando «l’inconsapevole povero Obama». Insomma, «il disordine sta diventando caos». E in questo caos, la Cina avanza. Reclutando addittura l’Inghilterra.Nessuno se ne accorge, ma la Gran Bretagna sta divorziando dall’Europa “tedesca” e stringe un’alleanza strategica con la Cina, nemico numero uno degli Stati Uniti. Lo rivela l’economista Giulio Sapelli: i media non ne parlano, avverte, e la cosa non è affatto casuale, data l’enormità delle conseguenze che comporta. In pratica, Londra “saluta” anche Washington e annuncia che d’ora in poi “farà da sé”, sul piano geopolitico, aderendo al gigantesco complesso finanziario messo in piedi da Pechino, nel Pacifico, per contrastare l’egemonia degli Usa e del Giappone. Per Sapelli, storico dell’università di Milano, si tratta di una vera e propria “guerra”, assolutamente clamorosa e non più sotterranea, da quando il Regno Unito ha aderito formalmente all’Aiib, l’Asian Infrastructure Investment Bank fondata dai cinesi nel 2013. Un gigante che «si propone la missione di creare infrastrutture nella regione asiatico-pacifica in diretta concorrenza con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Banca Asiatica di Sviluppo», quest’ultima con sede a Manila.
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Da Moro a Renzi, la democrazia italiana chiude i battenti
Forse qualcuno non si è ancora accorto che il diritto rappresentativo democratico, affermatosi nell’Italia repubblicana dal dopoguerra, si sta polverizzando sotto i nostri occhi, frantumato dal revisionismo costituzionale «in atto da diverso tempo, ma ora arrivato tragicamente alle ultime battute d’arresto», grazie al «golpe finanziario euroatlantico». E’ appena accaduto «qualcosa di assolutamente inedito negli ultimi 70 anni di storia repubblicana», scrive Rosanna Spadini: nella notte del 13 febbraio 2015 «un governo ha modificato la Costituzione unilateralmente». Ovvero: un gruppo di parlamentari “nominati”, «pur non avendo avuto la maggioranza alle ultime elezioni, ma avendola ottenuta solo in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale», ha modificato la Costituzione «asfaltando in un solo colpo la democrazia». Il “golpe notturno” è stato eseguito «in apnea di democrazia», da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte. La Costituzione? Ormai «obsoleta e superflua», un intralcio al profitto dei bankster. Con Renzi, va a segno il piano antidemocratico nato trent’anni fa.Il “Porcellum”, osserva la Spadini su “Come Don Chisciotte”, è una legge ancor più devastante dei diritti di rappresentanza democratica della Legge Acerbo imposta da Mussolini. «Infatti non c’è nemmeno bisogno del 25% dei voti per ottenere il premio di maggioranza: chi arriva primo fra le varie liste e coalizioni, quale che sia la percentuale, ottiene la maggioranza di 340 seggi a Montecitorio». Di qui la tendenza alla formazione di “larghe intese”, «sottoposte al ricatto». La riforma del Senato promossa dal governo Renzi, poi, «prevede la fine del bicameralismo perfetto e l’abolizione del Senato elettivo, sostituito con una Camera composta da consiglieri regionali e sindaci e ridotta da 315 a 100 membri». Il nuovo Senato non voterà più la fiducia al governo, né gli sarà consentito di legiferare (tranne che su alcuni temi: riforme costituzionali e trattati internazionali). Di fatto, l’abolizione del Senato elettivo «sospende il diritto repubblicano e si inserisce in una fase di “anomalia legislativa”», inaugurando la transizione «da un regime rappresentativo, espressione dialettica tra i vari gruppi sociali e politici, a uno autocratico, che tende ad semplificare i metodi deliberativi, per imporre la volontà esclusiva di gruppi di potere oligarchico».La logica, sintetizza Spadini, non è più quella della collaborazione e del compromesso, di conciliazione delle diverse istanze, ma espressione della richiesta di più spedita efficienza del processo deliberativo, inteso come mera applicazione di una volontà autocratica. «Le ultime riforme previste dunque prevedono una riduzione ulteriore dei poteri democratici del Parlamento attraverso la trasformazione di un ramo delle Camere, da organo legislativo a pieno titolo a mera funzione di collegamento tra Stato ed enti locali». Questo, assieme alla nuova legge elettorale (con ampio premio di maggioranza al partito più votato), «assegnerà più potere alle maggioranze e ai governi, indebolendo invece il Parlamento e le opposizioni». Un uomo solo comando, non eletto da nessuno: Renzi, il maggiordomo dei poteri forti che «sta rottamando la democrazia», in una situazione «molto vicina al colpo di Stato». Il problema? Salvare la Costituzione, prima che gli italiani diventino definitivamente sudditi senza più diritti. «Eroe del populismo postmoderno», Renzi finora è stato «un abile impresario politico della virtualità rassicurante, un valido affabulatore della narrazione neoliberista blairiana», idolatrato da elettori raggirati e destinati «a un’esistenza di precariato professionale perpetuo».Certo, ammette Spadini, il “golpe” viene da lontano, «e fu segnato da passaggi chiave nella storia economico-politica italiana». L’assassinio di Moro, nel maggio 1978, «serviva per impedire la partecipazione dei comunisti al governo, evento traumatico per gli Usa», ma «giovò anche al progetto dell’area valutaria europea». Infatti, «nel marzo del ’79 ci fu l’incriminazione del governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi, il quale poi, benché prosciolto da tutte le accuse, dovette dimettersi». Subito dopo, il capo del governo Giulio Andreotti ufficializzerà l’entrata dell’Italia nello Sme. «Nel 1981, con l’accordo Ciampi-Andreatta, verrà sancito il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, dando inizio così all’impennata dell’aumento degli interessi sul debito pubblico». Nel ’92 poi si aprì la stagione di Mani Pulite, una “rivoluzione mediatico-giudiziaria” che avrebbe provocato la demonizzazione della classe politica dirigente della Prima Repubblica, «ovvero quella casta che, pur tra episodi di corruzione, aveva permesso la crescita economica e l’aumento dei salari». A seguire, il primo processo di liberalizzazioni e privatizzazioni. «Infine le dimissioni di Berlusconi nel 2011, pilotate dalla Bundesbank, provocarono il succedersi dei governi Monti, Letta e Renzi, non votati da nessuno, e il via libera per la strategia Usa di destabilizzazione del Medio Oriente, in un’ottica ostile alla Russia».Ora, continua Spadini, le famigerate e sbandierate “riforme” «transiteranno la società italiana verso un assetto sociale darwininiano, dove la distanza tra le classi si farà sempre più marcata», difendendo privilegi e «demolendo quel sistema di welfare che ha salvaguardato il benessere dei cittadini fino ad ora». Privatizzazioni, abbattimento dei diritti del lavoro, tassazione spietata sulle fasce più basse, riduzione degli ammortizzatori sociali e della pubblica amministrazione, limitazione della democrazia. «Renzi – scrive il “Daily Mirror”– è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La Jp Morgan». Riforma della Costituzione, del Senato, della Rai, del lavoro (Jobs Act), della pubblica amministrazione, della giustizia, della scuola, del sistema elettorale. «Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi, su suggerimento della banca d’affari Jp Morgan, che ha arruolato proprio Blair tra i suoi consiglieri strategici», conclude Spadini. «Benvenuti nel nuovo mondo dei licantropi, che praticano quotidianamente l’equilibrio funambolesco del potere, oscillante tra virtualità rassicuranti e rovine sociali».Forse qualcuno non si è ancora accorto che il diritto rappresentativo democratico, affermatosi nell’Italia repubblicana dal dopoguerra, si sta polverizzando sotto i nostri occhi, frantumato dal revisionismo costituzionale «in atto da diverso tempo, ma ora arrivato tragicamente alle ultime battute d’arresto», grazie al «golpe finanziario euroatlantico». E’ appena accaduto «qualcosa di assolutamente inedito negli ultimi 70 anni di storia repubblicana», scrive Rosanna Spadini: nella notte del 13 febbraio 2015 «un governo ha modificato la Costituzione unilateralmente». Ovvero: un gruppo di parlamentari “nominati”, «pur non avendo avuto la maggioranza alle ultime elezioni, ma avendola ottenuta solo in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale», ha modificato la Costituzione «asfaltando in un solo colpo la democrazia». Il “golpe notturno” è stato eseguito «in apnea di democrazia», da un Parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte. La Costituzione? Ormai «obsoleta e superflua», un intralcio al profitto dei bankster. Con Renzi, va a segno il piano antidemocratico nato trent’anni fa.
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Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
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Wall Street Journal: le armi della Cia ai tagliagole dell’Isis
Già nel 2012 osservatori indipendenti come Thierry Meyssan l’avevano annunciato: centinaia di jihadisti provenienti dalla Libia erano stati segretamente trasferiti in Siria, attraverso la Turchia, per dare il via all’operazione degli Usa contro il governo Assad, travestita da “rivoluzione democratica”. Ora la partita è persa, ammesso che la Russia – assediata al confine con l’Ucraina – riesca a mantenere la sua assistenza alla Siria. Punto di svolta, la strage di civili del 2013 sterminati dai “ribelli” col gas nervino per tentare di incolpare il governo di Damasco. Il casus belli perfetto per inennescare i bombardamenti della Nato, fermati in extremis nel settembre del 2013 da un’inedita alleanza: i milziani libanesi di Hezbollah e le truppe speciali inviate dall’Iran in Siria, il “no” di Papa Francesco e quello del Parlamento britannico, le navi da guerra dislocate dalla Cina nel Mediterraneo in appoggio alla flotta del Mar Nero schierata da Putin a protezione dei siriani. Adesso che l’operazione è fallita, lo ammette anche il “Wall Street Journal”: sono stati gli Usa ad armare i “ribelli” che, vista la mala parata in Siria, ora combattono in Iraq sotto il nome di Isis.
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La sensazionale notizia della presenza dell’Isis in Libia
Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?Visto il tragico copione degli eventi, Vincenzo Brandi su “Megachip” ricorda che quattro anni fa fu attaccato il paese più prospero dell’Africa, uno Stato che «stava in pace da 42 anni» ed «era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù». Il Pil di Tripoli era il più alto di tutto il continente: la Libia di Gheddafi «ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo Stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione», e inoltre «riconosceva pienamente i diritti delle donne, aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare», dopo aver «allontanato tutte le basi militari straniere, acquisendo una piena indipendenza». La campagna militare anglo-francese del 2011, cui si associò l’Italia in extremis per tutelare i terminali petroliferi dell’Eni, fu preceduta dalla consueta disinformazione mirata a creare consenso bellico, con l’invariabile demonizzazione del dittatore, grande amico dell’Italia fino al giorno prima, accusato persino di aver fatto scavare inesistenti fosse comuni, evidentemente per occultare i corpi di altrettanto immaginarie stragi di civili.Sulla Libia, nel 2011 gli Usa si lasciarono ritrarre in posizione più defilata. «La pensavamo come l’Italia: non bisogna intervenire», dice ora a “La7” un super-falco come il politologo Edward Luttwak, che però sui tagliagole mediatici del “Califfato” oggi dice: «Non chiamiamoli Isis, ma Islam: quello è il pericolo da fermare». E’ esattamente la stessa conclusione a cui puntano i macellai parigini di “Charlie Hebdo” e lo stragista solitario danese: il risultato delle loro azioni è la criminalizzazione indiscriminata di tutti i musulmani, verso lo “scontro di civiltà” tanto caro ai signori della guerra, al comando della politica estera Usa a partire dall’11 Settembre. Secondo Gioele Magaldi, autore del libro-denuncia “Massoni”, l’ex presidente francese Sarkozy, che per primo attaccò la Libia bomdardando Bengasi, sarebbe affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, loggia a cui apparterrebbe anche Tony Blair, l’inventore delle “armi di distruzione di massa” di Saddam. Lo stesso filo rosso-sangue collegherebbe Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali 2016, con lo stesso al-Baghdadi, il leader jihadista in apparenza comparso dal nulla – come Bin Laden – per terrorizzare l’opinione pubblica occidentale.Nell’immenso caos nel quale è stato precipitato il mondo dopo il crollo dell’Urss, si susseguono ipotesi di spregiudicati complotti – alcuni chiaramente leggibili subito, altri confermati spesso dai fatti a posteriori, da prove e ammissioni – mentre avanza all’orizzonte l’inevitabile collisione geopolitica con la Cina, sempre più prossima a una Russia sfidata in Siria e ora assediata alla frontiera con l’Ucraina. Oltre alla coltre di nebbia stesa dai media e dai tanti “debunker”, gli incursori anti-complottistici (la Gran Bretagna ha recentemente reclutato centinaia di “troll” da scatenare su Facebook per smentire le accuse più insidiose), restano perfettamente percepibili le trame in corso, soggette poi al vaglio dell’imponderabile, e in particolare le manovre dell’Occidente per incunearsi nella grande faglia che separa i due rami dell’Islam: da Bin Laden in poi, finora l’intelligence atlantica ha puntato sui sunniti, arma letale contro l’Iran sciita e i suoi alleati regionali, come le milizie libanesi di Hezbollah che hanno arginato l’espansione di Israele. Nonostante quasi 15 anni di guerre ininterrotte, rovine, vittime e profughi, paesi devastati, “fallimenti” dietro cui si celano lucrosissimi business di armamenti e ricostruzioni, i signori della guerra restano al riparo: nessuno si domanda perché tutto questo accada, e il mainstream può persino permettersi di inscenare la “sorpresa libica” dell’Isis, col suo spettacolo dell’orrore.Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?
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Putin: 11 Settembre organizzato dagli Usa, eccovi le prove
L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.La notizia trapela dal newsmagazine “Veterans Today”: un collaboratore, Gordon Duff, segnala che sulla “Pravda” del 7 gennaio 2015 si parla dell’imminente, clamorosa iniziativa dei russi: smascherare definitivamente l’imbroglio mondiale dell’11 Settembre, quello degli arei dirottati sulle Torri “all’insaputa della Cia e dell’Fbi”, senza alcuna reazione da parte della difesa aerea americana. «Le evidenze satellitari russe che provano la demolizione controllata del World Trade Center con “armi speciali” – scrive “Come Don Chisciotte” – sono state recensite da un redattore di “Veterans Today”, mentre si trovava a Mosca». Gli analisti ritengono che l’attuale situazione di “guerra fredda” tra Washingon e Mosca rappresenti la quiete prima della tempesta: «Putin colpirà una sola volta, ma ha intenzione di farlo con notevole durezza», annuncia “Veterans Today”. «L’elenco delle prove include delle immagini satellitari», aggiunge il newsmagazine, e il materiale in via di pubblicazione «dimostrerebbe la complicità del governo degli Stati Uniti negli attacchi del 9/11 e la successiva manipolazione dell’opinione pubblica».«Le ragioni dell’inganno e dell’assassinio dei propri cittadini – continua Duff – avrebbero servito gli interessi petroliferi degli Stati Uniti e delle corporazioni statali del Medio Oriente». La Russia si preparebbe quindi a dimostrare, in modo clamoroso, che «l’America ha utilizzato il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, contro i suoi stessi cittadini, per creare il pretesto per un intervento militare in paesi stranieri». Se così dovesse essere, aggiunge Duff, «la conseguenza diretta della tattica di Putin sarebbe quella di rendere note le politiche terroristiche segretamente adottate dal governo degli Stati Uniti: secondo gli analisti americani, la credibilità del governo statunitense ne risulterebbe compromessa e ci sarebbero, di conseguenza, delle proteste di massa nelle città e infine una rivolta generalizzata». A quel punto, si domanda Duff, gli Usa come potranno rapportarsi ancora sulla scena politica mondiale? «La leadership americana nella lotta contro il terrorismo internazionale ne risulterebbe totalmente compromessa, dando un immediato vantaggio agli Stati-canaglia e ai terroristi islamici».Lo stesso Barack Obama non è immune da accuse: tutti ricordano la scandalosa gestione dell’ultimo capitolo dell’affare Bin Laden, dichiarato morto in Pakistan senza uno straccio di prova, il presunto cadavere inabissato nell’Oceano Indiano. Morti anche i soldati del commando che avrebbe ucciso il capo di Al-Qaeda ad Abbottabad: fulminati “per errore” da fuoco amico, a Kabul, poche settimane dopo il misterioso blitz. Tutte le voci più importanti della dissidenza, negli Usa, hanno denunciato come palesemente falsa la versione ufficiale sulla strage dell’11 Settembre, mentre il Senato degli Stati Uniti ha concluso, di recente, che l’Fbi era perfettamente al corrente delle mosse dei futuri dirottatori-kamikaze. Finora, il manistream ha avuto buon gioco nel rifiutare i sospetti, avvalorando la verità ufficiale sulla base di una semplice tesi: il crimine evocato – strategia della tensione, con numeri smisuratamente stragistici – è troppo mostruoso per essere accettato. Impossibile digerire l’idea che qualcuno, al Pentagono, abbia organizzato l’attentato del secolo, arrivando addirittura ad “accecare” l’aviazione Usa per molte ore e a “sequestrare” il presidente Bush, fatto letteralmente scomparire “per proteggerlo”, e anche per impedirgli di reagire. “Complottismo”, è stata finora la formula liquidatoria per seppellire le scomode verità sull’11 Settembre, illuminate da prestigiose contro-inchieste: le Torri sarebbero crollate secondo le procedure della “demolizione controllata”, grazie all’impiego di esplosivi speciali come la nano-termite, di origine militare. E se ora Putin riuscisse davvero a confermare questa versione con evidenze esclusive?Gioele Magaldi, autore del dirompente libro “Massoni”, sulla scorta di documentazione top secret di origine massonica (che l’autore si dichiara pronto a esibire in caso di contestazioni) rivela che Osama Bin Laden non fu soltanto reclutato dalla Cia in Afghanistan ai tempi dell’invasione sovietica, ma fu “affiliato” nientemeno che da Zbigniew Brzezinski e inserito nel potentissimo club ultra-segreto delle superlogge internazionali. Una di queste, denominata “Hathor Pentalpha”, sarebbe stata creata da Bush padre con intenti palesemente eversivi: usare il terrorismo per manipolare l’opinione pubblica e trascinare l’Occidente nella “guerra infinita”, a beneficio delle super-lobby del petrolio e delle armi. Nella “Hathor Pentalpha” sarebbe arruolato anche Tony Blair, che più di ogni altro si spese per costruire la suprema menzogna delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Oggi, l’erede di Bin Laden è il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca in Iraq, perché potesse combattere nel sedicente “Esercito Siriano Libero” e poi fondare l’Isis, il cui nome coincide con quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, nei testi antichi chiamata anche “Hathor”. Solito schema: creare l’armata del terrore per poi scatenare una guerra. E, prima ancora, una campagna elettorale: quella di Jeb Bush, ultimo rampollo della dinastia presidenziale del fondatore della “Hathor Pentalpha”, definita «superloggia del sangue e della vendetta» perché nata quando Bush – affiliato a superlogge reazionarie – fu battuto nella corsa alla Casa Bianca da Ronald Reagan, sostenuto da clan massonici concorrenti.Sempre secondo Magaldi, lo stesso Putin è “affiliato” a una superloggia latomistica internazionale. L’autore di “Massoni” sostiene inoltre che da qualche anno sia in atto una sorta di guerra inframassonica: le “Ur-Lodges” progressiste starebbero preparando una controffensiva, dopo gli ultimi decenni in cui il mondo è caduto letteralmente nelle mani dell’élite finanziaria che ha pilotato la globalizzazione più selvaggia, calpestando i diritti dei popoli e gettando anche l’Occidente in una crisi senza precedenti, il cui punto più critico è l’Europa, dove le classi medie sono state rapidamente impoverite a beneficio dell’oligarchia neo-feudale che domina Bruxelles con il dogma neoliberista del rigore. In parallelo, si muovono scenari geopolitici: come previsto da tutti gli analisti, il gigante cinese è cresciuto in modo esponenziale, minacciando la supremazia americana. La Russia di Putin, prima provocata in Siria e ora assediata in Ucraina a due passi da casa, rappresenta la prima linea del fronte, mentre i Brics lavorano nelle retrovie per preparare un’alternativa multipolare, anche finanziaria, alla “dittatura” del petrodollaro. Quella che Papa Francesco chiama Terza Guerra Mondiale si sta avvicinando. Nel tentativo di scongiurarla, Putin giocherà davvero la sconvolgente carta delle “prove definitive” per accusare il governo Usa per l’11 Settembre?L’attacco alle Torri Gemelle «è stato pianificato dal governo degli Stati Uniti, ma è stato eseguito per procura, in modo tale che l’attacco contro l’America e il popolo degli Stati Uniti sembrasse un’aggressione effettuata da organizzazioni terroristiche internazionali». Attenzione: «Le prove fornite sarebbero a tal punto convincenti, da smontare completamente la versione ufficiale dell’11 Settembre sostenuta dal governo degli Stati Uniti». Quali prove? Quelle che starebbero per essere pubblicate a Mosca, controfirmate nientemeno che da Vladimir Putin. Ultima mossa, clamorosa, per tentare di fermare la macchina da guerra che – dalla Siria all’Ucraina – sta assediando i non-allienati allo strapotere di Washington, Russia e Cina in primis, tenendo sotto ricatto anche i paesi del petrolio e la stessa Europa, costretta a varare sanzioni autolesioniste contro l’impero del gas e usare la Nato come minaccia contro Mosca. Il presidente russo, annuncia la “Pravda”, si prepara dunque al colpo del ko: l’esibizione di «prove schiaccianti», satellitari, che inchioderebbero l’intelligence di Bush al crimine dell’11 Settembre, spaventoso massacro ai danni dei cittadini americani, da terrorizzare al punto da indurli a sostenere le guerre a venire, cominciando da Iraq e Afghanistan.
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Hathor-Isis, il clan occulto del terrore e la strage di Parigi
Il 16 dicembre del 2014, sulla scia di alcuni attentati appena avvenuti in Pakistan ed Australia, avevo scritto un pezzo dal titolo “Esiste un nesso fra la discesa in campo di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice talebana?”. All’interno dell’articolo in questione, frutto di una attenta meditazione di alcuni preziosi spunti contenuti nel libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi, delineavo uno spaccato in grado di evidenziare il palese nesso di causalità che lega il rinnovato protagonismo della famiglia Bush in politica con l’improvviso riesplodere su scala planetaria del terrorismo islamico. Il califfo dell’Isis Abu Bakr Al Baghdadi, perfettamente calatosi nei panni di un nuovo Bin Laden, risulta infatti affiliato presso la Ur-Lodge Hathor Pentalpha, officina del sangue e della vendetta fondata da Bush padre in compagnia di personaggi del calibro di Dick Cheney, Don Rumsfeld, Bill Kristol, Sam Huntington, Tony Blair, Paul Wolfowitz e molti altri ancora. Una superloggia, cresciuta negli anni come una mala-pianta, che annovera al proprio interno pure ex capi di Stato europei come Josè Maria Aznar e Nicolas Sarkozy.Anche gli italiani Antonio Martino e Marcello Pera sono organici alla Hathor Pentalpha, mentre a Silvio Berlusconi, pur formalmente proposto nel 2003 da George W. Bush in persona, non è mai stato concesso di accedere direttamente ai lavori di questo perverso quanto elitario consesso (“Massoni”, pag. 537). La Hathor Pentalpha è una Ur-Lodge eretica e incontrollabile, punto nevralgico e occulto di una strategia del terrore senza patria e senza confini. A chi serve una escalation criminale e sanguinaria presuntivamente ispirata da una fanatica interpretazione dell’insegnamento del profeta Maometto? Serve a tutti quelli che hanno bisogno di alcune pezze d’appoggio indispensabili per pianificare e giustificare la prosecuzione di quello “scontro di civiltà” teorizzato non a caso da un gruppo di intellettuali che orbitano intorno al think-tank Pnac, schermo paramassonico etero-diretto dagli iniziati della Hathor Pentalpha. L’Islam non c’entra nulla con gli attentati parigini di oggi così come non c’entrava nulla con l’attacco alle Torri Gemelle di ieri, trattandosi in realtà di stragi orchestrate da uomini che strumentalizzano il cielo per comandare in terra.Se così non fosse, come spiegare altrimenti la presenza all’interno della superloggia Hathor Pentalpha di personaggi formalmente espressione di differenti declinazioni dell’Islam politico, come il sultano dell’Oman, quello del Bahrein, o come i principi regnanti dell’Arabia Saudita? Siamo quindi in presenza di una cinica operazione di manipolazione su larghissima scala, così raffinata e precisa da obnubilare la capacità di discernimento non solo della gran parte della pubblica opinione, ma anche di molti aspiranti intellettuali alla Ernesto Galli della Loggia, protagonista odierno di uno sgangherato editoriale uscito sul “Corriere della Sera” che di buono conserva solo il titolo (“L’undici settembre europeo”). L’ignobile attacco costato la vita ai giornalisti e ai vignettisti di “Charlie Hebdo” ricorda davvero i fatti dell’undici settembre; ma non perché, come crede nella sua beata innocenza Galli della Loggia, l’eccidio di ieri testimonia la mai sopita furia di gruppi appartenenti alla galassia del fanatismo islamico (buonanotte, Ernesto!); quanto perché, al contrario, sia i tragici fatti del 2001 che quelli appena accaduti sembrano portare in controluce i segni della stessa identica superloggia, quella dedicata alla divinità egizia Hathor, altrimenti detta Iside (ovvero Isis).La domanda giusta a questo punto è un’altra: perché colpire la Francia? Forse per consentire a Marine Le Pen di vincere le prossime elezioni presidenziali cavalcando con sapienza i crescenti e comprensibili sentimenti di ostilità nei confronti del diverso? Esistono politici francesi, oltre Sarkozy, certamente organici alla Hathor Pentalpha? Forse, provando a trovare risposte a simili interrogativi sarà possibile rendere giustizia alle povere vittime di un attacco barbarico e riprovevole che ripugna le coscienze dei giusti. (Nb: Aver citato alcuni personaggi, italiani o stranieri, come appartenenti ad una determinata Ur-Lodge – nel caso di specie, la Hathor Pentalpha – non rende costoro automaticamente responsabili di eventuali atti o strategie efferate compiute da singoli individui o gruppi affiliati alla medesima superloggia. Punto quest’ultimo peraltro chiarito a più riprese nelle pagine del libro “Massoni”).(Francesco Maria Toscano, “L’eccidio parigino e l’ombra lunga della Ur-Lodge Hathor Pentalpha”, dal blog “Il Moralista” dell’8 gennaio 2015).Il 16 dicembre del 2014, sulla scia di alcuni attentati appena avvenuti in Pakistan ed Australia, avevo scritto un pezzo dal titolo “Esiste un nesso fra la discesa in campo di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice talebana?”. All’interno dell’articolo in questione, frutto di una attenta meditazione di alcuni preziosi spunti contenuti nel libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi, delineavo uno spaccato in grado di evidenziare il palese nesso di causalità che lega il rinnovato protagonismo della famiglia Bush in politica con l’improvviso riesplodere su scala planetaria del terrorismo islamico. Il califfo dell’Isis Abu Bakr Al Baghdadi, perfettamente calatosi nei panni di un nuovo Bin Laden, risulta infatti affiliato presso la Ur-Lodge Hathor Pentalpha, officina del sangue e della vendetta fondata da Bush padre in compagnia di personaggi del calibro di Dick Cheney, Don Rumsfeld, Bill Kristol, Sam Huntington, Tony Blair, Paul Wolfowitz e molti altri ancora. Una superloggia, cresciuta negli anni come una mala-pianta, che annovera al proprio interno pure ex capi di Stato europei come Josè Maria Aznar e Nicolas Sarkozy.
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Hathor Pentalpha e Isis, il romanzo criminale che ci attende
Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.Si tratta di massoni speciali, potentissimi, interconnessi fra loro nel super-network segreto delle Ur-Lodges. Uomini del massimo potere, abituati da sempre a influire nelle grandi decisioni geopolitiche, condizionando istituzioni che – in Occidente, a partire dagli Usa – vengono considerate esse stesse una sorta di emanazione massonica: senza il secolare impegno laico della “libera muratoria” europea nella lotta contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico, non avremmo avuto gli Stati moderni, la scienza moderna, la cultura moderna. Erano massoni i maggiori scienziati – da Newton a Einstein – così come i maggiori letterati e musicisti. Massoni anche i padri fondatori degli Stati Uniti. Massone l’americano Roosevelt, spettacolare campione della spesa pubblica vocata allo sviluppo della piena occupazione, secondo il credo del più grande economista del ‘900, il massone inglese John Maynard Keynes, su cui si basa tutta la sinistra europea marxista e post-marxista che ha messo in piedi il grandioso sistema di protezione sociale del welfare, fondato sulla sovranità democratica e monetaria per mitigare gli appetiti antisociali del “libero mercato”.La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt alle Nazioni Unite, l’assemblea planetaria eretta sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale, prefigura un’umanità redenta, liberata, globalizzata nei diritti e nelle aspirazioni al futuro. Esattamente il contrario dell’attuale globalizzazione neo-schiavistica, aristocratica, mercantilista, neo-feudale. Un disegno cinico e reazionario, oggi chiamato semplicemente “crisi”, sviluppato negli anni ‘70 dai ristrettissimi circoli elitari internazionali preoccupati dall’avanzata del loro grande nemico: la democrazia. Da qui il famigerato memorandum di Lewis Powell per stroncare la sinistra in tutto l’Occidente e il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e traviarlo, in modo che non servisse più l’interesse pubblico, ma obbedisse ai diktat delle grandi lobby, l’industria delle armi, le grandi multinazionali invadenti e totalitarie.Una storia già raccontata? Sì, anche, da diversi analisti “eretici”. Ma mai, finora, dallo sconcertante punto di osservazione del massone Magaldi, che fornisce dettagli inediti e spiegazioni spiazzanti, partendo da una rivelazione capitale: tutti gli uomini del massimo potere, nel ‘900, sono sempre stati accomunati dall’iniziazione esoterica. Questo fa di loro gli esponenti privilegiati di un circuito cosmopolita autoreferenziale e invisibile, protetto, ma al tempo stesso profondamente dialettico, non sempre concorde. Anzi, proprio alla guerra sotterranea che ha dilaniato il “terzo livello” del super-potere è dedicata la straordinaria contro-lettura di Magaldi: che nel golpe in Cile, ad esempio, non vede solo il noto complotto delle multinazionali americane per colpire il governo socialista, pericolosamente amico dei lavoratori e dei loro salari, ma anche – e soprattutto, in questo caso – il ruolo decisivo del massone Kissinger nel colpo di Stato promosso dalla Cia contro il massone Allende, come monito all’intera America Latina, da ridurre a periferia coloniale, e anche alla stessa Europa, dove le stesse “menti raffinatissime” hanno organizzato il “golpe dei colonnelli” in Grecia e i tre tentativi di colpo di Stato in Italia, affidati a Borghese e Sogno ma supervisionati da Licio Gelli, emissario della potentissima superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger.Sul fronte opposto, si è mossa nell’ombra la “fratellanza bianca” delle superlogge progressiste, per tentare di rintuzzare i colpi dei “grembiulini” oligarchici. Come in un romanzo di Dan Brown, in un film di Harry Potter? Non a caso, sostiene Magaldi: proprio nel cinema e nella letteratura, negli ultimi anni, si è concentrata l’azione delle Ur-Lodges democratiche, in attesa di una grande riscossa – pace contro guerra, diritti contro privilegi – di cui lo stesso libro del “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla superloggia progressista “Thomas Paine”, è parte integrante. Per credere a Magaldi, all’inizio della lettura, occorre accettare di indossare i suoi occhiali. Poi, però, già dopo poche pagine, diventa impossibile togliergli: quelli che aggiunge, infatti, sono preziosi tasselli che spiegano ancor meglio i passaggi-chiave della storia del “secolo breve”, senza mai discostarsi dalla verità accertata, dalla storiografia corrente. Solo (si fa per dire) Magaldi aggiunge nomi e cognomi. Completa la storia che già conosciamo integrandola con indizi inequivocabili, che illuminano retroscena finora rimasti in ombra.I riflessi della “grande guerra” che Magaldi racconta li stiamo pagando oggi: la crescita delle masse in Occidente è finita, e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Tutto è cominciato alla fine degli anni ‘60, prima con la morte di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, poi con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King, che le Ur-Lodges progressiste volevano entrambi alla Casa Bianca. Nessuno si stupisca, dice Magaldi, se da allora la sinistra è stata sconfitta in modo sistematico: hanno vinto “loro”, i padreterni neo-feudali che volevano confiscare i diritti democratici e le garanzie del lavoro, retrocedendo i cittadini occidentali al rango di sudditi impauriti dal futuro e assediati dal bisogno. Sempre “loro”, gli egemoni, si sarebbero persino abbandonati a un clamoroso regolamento di conti: il clan che voleva George Bush alla Casa Bianca avrebbe fatto sparare a Reagan, e i sostenitori occulti di Reagan, per rappresaglia, di lì a poco avrebbero promosso l’attentato simmetrico a Wojtyla, eletto Papa anche col sostegno occulto degli amici di Bush.Poi, su tutto, è calato l’ambiguo sudario della pax massonica, suggellato nello storico patto “United Freemasons for Globalization”, sottoscritto nel 1981 non solo dalle superlogge occidentali di destra e di sinistra, ma anche dai “confratelli” sovietici alla vigilia della Perestrojka di Gorbaciov e dagli stessi cinesi, in vista delle grandiose riforme del “fratello” Deng Xiaoping. Peccato che però qualcuno abbia “esagerato”, riconosce il super-massone oligarchico che si firma “Frater Kronos”, nella sconcertante appendice del libro di Magaldi, in cui quattro pesi massimi delle Ur-Lodges si confrontano sulla trattazione, dopo aver aiutato il massone italiano a mettere in piazza tanti segreti di famiglia. “Frater Kronos”, su cui si lesinano le informazioni personali per mascherarne l’identità, dimostra l’autorevolezza del grande vecchio del potere occidentale. «No, non sono il fratello Kissinger», scherza, quasi a suggerire che potrebbe trattarsi di un pari grado, del calibro di Zbigniew Brzezinski. Anche “Frater Kronos” – chiunque egli sia in realtà – conferma l’allarme: qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita a una superloggia definita inquietante, pericolosa e sanguinaria, denominata “Athor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro lo schermo della “primavera araba”. Il nuovo bersaglio è la Russia di Putin? C’è una precisa geopolitica del caos: e i golpisti occidentali puntano sempre sulla loro creatura più grottesca, il fondamentalismo islamico. Ci stanno lavorando dal lontano 2009, quando i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Regista dell’operazione? Sempre loro: la famiglia Bush. Per la precisione il fratello di George Walker, Jeb Bush, che vorrebbe fare di Al-Baghdadi il nuovo Bin Laden, da spendere per le presidenziali 2016. Dietrologia? Anche qui, “Massoni” fornisce chiavi inedite, partendo dall’attitudine esoterica degli iniziati: Isis non è solo il nome dell’orda terroristica messa in piedi da segmenti della Cia, è anche quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, carissima ai massoni che si definiscono anche “figli della vedova”. In alcuni testi antichi, Isis è chiamata anche con un altro nome, Athor. Proprio come la superloggia di Bush e Blair. Il Medio Oriente sta bruciando, è tornato lo spettacolo dell’orrore dei tagliatori di teste. “Frater Kronos” è preoccupato, il 2015 comincia male. Sicuri che non sia il caso di indossarli ancora, gli occhiali di Gioele Magaldi?(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.