Archivio del Tag ‘terrore’
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Strinati: poesia per Nino Polifroni, l’eroe che rifiutò il racket
«E’ logico che prima o poi un figlio raggiunga il padre sotto molti aspetti. Uno di questi è l’età. In quest’anno siamo coetanei. Lui si è fermato per aspettarmi, io da venti corro per raggiungerlo». Con queste parole, nel 2016, Bruno Polifroni ricordava il ventennale del sacrificio del padre, Antonino Polifroni, assassinato dalla ‘ndrangheta il 30 settembre 1996 a Varapodio, nella piana di Gioia Tauro. Aveva 49 anni. La sua colpa? Essersi rifiutato di pagare il pizzo alle ‘ndrine, denunciando alle forze dell’ordine i signori del racket calabrese. Padre di sei figli e imprenditore edile, fu sottoposto – insieme alla famiglia – a un autentico inferno, fatto di intimidazioni e attentati. Prima di essere “giustiziato” a colpi di lupara mentre viaggiava verso uno dei suoi cantieri, fece in tempo a diventare un simbolo della resistenza, in Calabria, al dominio della criminalità organizzata. In esclusiva per “Libreidee”, il poeta Fabio Strinati gli dedica un commosso ricordo, in versi, sottolineando il valore civile e il tratto umano di un italiano speciale, capace di anteporre il coraggio della dignità alla paura delle feroci ritorsioni alle quali si sarebbe esposto. Nel 1992 – quando ancora si sapeva poco, del potere della ‘ndrangheta – la tensione raggiunse il culmine: Nino Polifroni su preso a fucilate, prima alla guida di un camion e poi sulla porta di casa, rimediando gravi ferite. L’imprenditore non si piegò al terrore, fino al tragico epilogo che lo attendeva, quattro anni più tardi.«Ora che è successo – scrive il figlio, Bruno – posso meditare sulla sua storia da una diversa angolatura: prima d’ora, da figlio cercavo di immaginare il suo punto di vista, da persona ormai matura negli anni, e a come si potesse sentire quando era continuamente vessato dalla ‘ndrangheta. Ora che siamo “coetanei”, ho riavuto poche settimane fa il coraggio di rispolverare documenti e registrazioni del 1992: volevo risentire e studiare le sue reazioni nei momenti più bui, quando era giornalmente minacciato insieme ai suoi figli e qualche delinquente tentava di estorcergli denaro». Aggiunge Bruno: «Ho riascoltato le sue parole, il suo fiatone nel tentare di mantenere la calma, la tensione nel non sapere fare altro per combattere quel nemico invisibile». Li avrebbero presi, i maledetti killer: Bruno Polifroni ne era certo. «Caro papà, hai avuto coraggio e determinazione», scrive. «Senza la tua tenacia, oggi, invece di essere tutti qui a ricordarti ci saremmo occupati solo di vivere una normale giornata di settembre. E spesso ci siamo arrabbiati con te, perché più volte siamo caduti nell’errore di pensare che avremmo preferito fosse così. Ma mentre ti raggiungevo nell’età ho capito che nulla succede per caso e ogni storia ha il proprio significato da mostrare: grazie per averci insegnato a vivere e a farlo da persone libere. Se tu non ti fossi sacrificato per noi, oggi saremmo ancora imprigionati e schiavi di quei delinquenti. Grazie, papà».AD ANTONINO POLIFRONIUomini senza cuorehanno chiuso il tuo sguardoposando un delitto scurosopra la tua animaonesta ed integerrima.Uomini strani d’infima naturahanno spento con violenzai tuoi occhi vitaliimmersi di una luce chiaranutriti di memoriadentro una terra caldae assolata di natura…,ma quel ricordo vivo, densodi un coraggio fertilee di tanta premura che nel tuo pettoancora rintocca l’alba del mattino,mi ricorda il tuo esser fieroche di decoro s’è nutritocome materia di perpetua luceil tuo palpito infinito, smisuratocome un fascio di biluce.(Fabio Strinati)Fabio Strinati (Esanatoglia, 1983) è poeta, artista visivo, compositore e fotografo. È presente in diverse riviste e antologie letterarie. Da ricordare “Il Segnale”, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini, la rivista Fabio Strinati“Sìlarus” fondata da Italo Rocco, e “Osservatorio Letterario – Ferrara e L’Altrove”. È stato inserito da Margherita Laura Volante nel volume “Ti sogno, Terra”, viaggio alla scoperta di Arte Bellezza Scienza e Civiltà, inserito nei “Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”. Sue poesie sono state tradotte in romeno e in spagnolo. È inoltre il direttore della collana poesia per “Il Foglio Letterario” e cura una rubrica poetica dal nome “Retroscena”, proprio sulla Rivista trimestrale del “Foglio Letterario”. Pubblicazioni: “Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo” (2014); “Un’allodola ai bordi del pozzo” (2015); “Dal proprio nido alla vita” (2016); “Al di sopra di un uomo” e “Periodo di transizione” (2017), “Aforismi scelti Vol.2” e “L’esigenza del silenzio” (2018).«E’ logico che prima o poi un figlio raggiunga il padre sotto molti aspetti. Uno di questi è l’età. In quest’anno siamo coetanei. Lui si è fermato per aspettarmi, io da venti corro per raggiungerlo». Con queste parole, nel 2016, Bruno Polifroni ricordava il ventennale del sacrificio del padre, Antonino Polifroni, assassinato dalla ‘ndrangheta il 30 settembre 1996 a Varapodio, nella piana di Gioia Tauro. Aveva 49 anni. La sua colpa? Essersi rifiutato di pagare il pizzo alle ‘ndrine, denunciando alle forze dell’ordine i signori del racket calabrese. Padre di sei figli e imprenditore edile, fu sottoposto – insieme alla famiglia – a un autentico inferno, fatto di intimidazioni e attentati. Prima di essere “giustiziato” a colpi di lupara mentre viaggiava verso uno dei suoi cantieri, fece in tempo a diventare un simbolo della resistenza, in Calabria, al dominio della criminalità organizzata. In esclusiva per “Libreidee”, il poeta Fabio Strinati gli dedica un commosso ricordo, in versi, sottolineando il valore civile e il tratto umano di un italiano speciale, capace di anteporre il coraggio della dignità alla paura delle feroci ritorsioni alle quali si sarebbe esposto. Nel 1992 – quando ancora si sapeva poco, del potere della ‘ndrangheta – la tensione raggiunse il culmine: Nino Polifroni fu preso a fucilate, prima alla guida di un camion e poi sulla porta di casa, rimediando gravi ferite. L’imprenditore non si piegò al terrore, fino al tragico epilogo che lo attendeva, quattro anni più tardi.
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Occhio ai “custodi” della democrazia non eletti da nessuno
Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».Salvini e Orbán, nondimeno, hanno dato ennesima sintesi alla loro polemica sull’Europa, incarnandola in un “barbaro” da combattere, anzi da espellere: si tratta del supermassone neo-aristocratico George Soros, finanziere di origine ungherese, noto fra l’altro per il devastante attacco speculativo alla lira italiana del 1992. E’ lui, scrive Berti, ad apparire un attendibile “cosmocrate” dei nostri tempi: un europeo trapiantato a Wall Street per lanciare dalla trincea americana la “guerra mondiale” della globalizzazione finanziaria, «quella che avrebbe brutalmente sostituito – principalmente in Europa – la politica con la tecnocrazia, finendo con l’assegnare all’oligopolio bancario apolide (travestito da “libero mercato”) le leve ultime sui destini degli ex Stati nazionali». Gestore di mega-hedge fund, nonché filosofo e mecenate di fondazioni politico-culturali mondialuste, rivestirebbe dunque con speciale verosimiglianza i panni del “dittatore” contemporaneo: il Grande Fratello di un capitalismo finanziario globalizzato «che non avrebbe più bisogno, come cent’anni fa, di un Hitler o di un Mussolini», dal momento che gli bastano un Obama truccato da progressista e l’ideologia politically correct «per preservare la propria egemonia dopo “l’incidente” del 2008 sui mercati finanziari».Chi è il vero barbaro? E chi può dare veramente del “barbaro” a chi? «Nell’Italia, nell’Europa, negli Usa del 2018 – scrive Berti – il solo porre la questione offre ormai il fianco ad accuse di connivenza con la “barbarie”». Ma la questione sostanziale, aggiunge l’analista, è questa: se il richiamo al primo dopoguerra mondiale è lecito, il rischio massimo risiede nel rifiuto di affrontare i nodi reali posti dalla storia. «Esattamente cent’anni fa l’Europa – dopo che tutti i contendenti continentali avevano più o meno perso la guerra – perse anche la pace, e in molti paesi la libertà, preparando un nuovo e più distruttivo conflitto. Questo – aggiunge Berti – avvenne perché governi ed establishment nazionali gestirono con categorie ottocentesche il dopoguerra, che segnava invece l’inizio del Novecento: sia all’interno dei sistemi-paese che nelle relazioni internazionali». Solo gli Stati Uniti, rileva l’analista, riuscirono ad attraversare il vero momento di passaggio, cioè la Grande Depressione del 1929, «senza stravolgere il loro sistema, e ridisegnando un archetipo di successo della democrazia mista di mercato».Il cambio di paradigma politico-economico del New Deal, sottolinea sempre Berti nella sua analisi, fu comunque drastico almeno quanto brutale fu la Grande Recessione: e sarebbe interessante rivedere chi, in quegli anni, dava del “barbaro” a chi, in America (al Congresso, sui media e nelle università). «Quarant’anni dopo, comunque, il paradigma fu di nuovo rovesciato su scala globale dal thatcherismo-reaganismo: e molti difensori odierni del “legittimismo democratico-liberista” erano fra i supporter del “sano sovversivismo” portato dalla nascente finanza di mercato (l’etichetta mediatica “barbarian at the gates” fu coniata in occasione dell’Opa Nabisco, il primo assalto riuscito da parte di hedge fund e junk bond all’industria tradizionale, alla fine degli anni Ottanta)». E’ in quella transizione “magnifica e progressiva”, continua Berti, che, fra l’altro, tre piccole agenzie private si affermano come decisori sovranazionali del rating, del merito finanziario di chiunque sul pianeta. «Dieci anni dopo il crack Lehman – il suo più clamoroso fallimento tecnico-politico – il rating detta ancora letteralmente legge: i voti delle tre agenzie di Wall Street, le stesse di allora, rimangono parte integrante della regolamentazione bancaria nell’Eurozona». Ma sono sempre più numerosi coloro che, per usare la terminologia di Cassese, denunciano come “mercato illiberale” quello creato dalla globalizzazione e oggi tenacemente difeso dai istituzioni finanziarie “too big” per essere controllabili dalle democrazie.«Roosevelt, il salvatore dell’Europa democratica – ricorda Berti – è stato l’unico presidente Usa ad essere stato eletto quattro volte: una “dittatura democratica” lunga 13 anni, successivamente vietata dalla legge». Gli succedette Eisenhower, che da militare aveva condotto la guerra di liberazione in Europa, e da presidente «governò con la guerra fredda e il terrore nucleare, tollerando inizialmente una “caccia alle streghe” nella politica interna». Kennedy? «Fu assassinato perché lottava per i diritti civili e l’integrazione razziale, ma aveva deciso anche la guerra in Vietnam». La “democrazia (sociale) di mercato” non è mai stata un “tipo ideale” neppure in quella che è considerata la sua patria, dice Berti. «E se deve guardarsi da scivolamenti e corruzioni non può neppure trasformarsi in ideologia né essere tutelata nella presunta ortodossia da custodi autonominati, né divenire arma di scontro politico». Ineccepibile, il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, nel ricordare – al meeting di Rimini – che l’Italia deve rispettare lo “Stato di diritto europeo”, partecipando al bilancio Ue. Gli fa eco il ministro dell’economia Giovanni Tria, sul rispetto dei parametri Ue per l’adesione all’Eurozona. Ma, aggiunge Berti, «non ha torto neppure chi sostiene che – proprio in democrazia – ogni norma è riformabile, anzi: è fatta per essere riformata. E non può essere imposto, dogmaticamente, un coefficiente numerico fissato un quarto di secolo prima». Il rapporto al 3% fra deficit e Pil? «Non è equivalente al 51% del principio democratico universale scolpito ad Atene 2.500 anni fa». Conmclude Berti: «La democrazia, fortunatamente, è antichissima. E, come sosteneva il “dittatore” britannico Winston Churchill, resta “il peggiore sistema politico, salvo tutti gli altri”».Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».
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Giovagnoli, alchimista: ero malato, e il bosco mi ha guarito
L’alchimista che vi hanno raccontato gira sempre con l’inseparabile alambicco, no? Ricordo che in un libro di scuola, quando facevo le superiori, c’era mezza pagina sull’alchimia, e c’era ’sto sfigato che girava dappertutto con il suo alambicco. Era uno così, nascosto dal cappuccio perché sente freddo alla testa, e poi l’alambicco – lui ci fa anche il bidet, con l’alambicco! Ma questo è l’aspetto folcloristico che hanno diffuso per allontanarci dall’alchimia. E’ una tecnica: rendi ridicola una persona, così non la cerchi più. Si innesca una dinamica selvaggia: il gregge segue il più forte, evitando lo sfigato solitario con il suo alambicco. Allegorie, il potere dell’immagine: in realtà l’alchimista ha la testa coperta dal cappuccio perché perché la sua attenzione è rivolta dentro di sé. Lui si chiude, e l’alambicco è l’immagine di tutto il suo sistema vitale. Lui quindi cerca di gestire i suoi flussi interni, che sono dominati da un centro mentale, un centro sentimentale, un centro sessuale creativo e un centro fisico, che è la macchina biologica che abbiamo. Cosa vuol fare l’alchimista? Vuole fare il processo inverso rispetto a ciò che hanno fatto fare all’umanità, che è stata creata e addomesticata.L’alchimista sfrutta i codici attraverso i quali hanno creato l’uomo, che è una creatura molto potente – non c’è niente, in natura, che abbia il nostro potenziale biologico. Però l’alchimista lo sfrutta non per essere come come vogliono “loro”, ma per essere come vuole lui. Quindi il processo di alchimia non è altro che un lavorare il proprio “composto”, per riconoscere la propria fattura e capire come siamo fatti, e quindi sperimentare e educare la propria macchina a fare certe cose, in modo tale che la macchina non faccia quello che vuole lei, ma quello che vuoi tu. E’ come se prendesse un computer che ha un sistema operativo: glielo toglie e gliene mette uno nuovo. Quando facciamo alchimia di gruppo, nel bosco, io invito i partecipanti a camminare bendati. Da quel momento, nella loro “macchina” (sotto la loro volontà) viene disinstallato un sistema, un programma che gli diceva “vai dove vedi”, e iniziano a dire: “Vai dove vedi con le mani, coi piedi, con i campi elettromagnetici”. Questa è una forma di alchimia. Io iniziato a praticarla dopo aver vissuto quello che un credente avrebbe attribuito all’intervento “miracoloso” di un santo, che gli ha “fatto la grazia”.Con il bosco ho vissuto un rapporto, un’esperienza forte. Avevo una malattia che non riuscivo a guarire. Avevo una “sigmoidite aspecifica con processi erosivi”. Quando il mio gastroenterologo me l’ha detto, pensavo di avere solo uno zaino, sulle spalle. Invece avevo anche una “sigmoidite aspecifica con processi erosivi”. Stavo letteralmente perdendo l’intestino. Falliti tutti i rimedi farmacologici, restava solo la via chirurgica. Mi sono detto: se sto perdendo il colon e mi devo far tagliare l’intestino, che contiene un terzo del cervello, allora vuol dire che è finito il mio tempo: me ne vado, non devo vivere per forza, e magari “dopo” starò anche meglio, chi lo sa. Quella sera ero in preda a una bella disperazione. E allora mi sono “dichiarato guerra”. E’ la prima operazione che l’alchimista compie: dichiararsi guerra. Mi sono detto: Michele, qual è la cosa che ti fa più paura? Il bosco di notte. Ci vado? Non ci vado? Scatta una sorta di sana schizofrenia, che in alchimia si chiama “doppio alchemico”. In pratica, ti sdoppi. Ti guardi da fuori, e il testimone ti osserva e ti parla. Lo dice anche Dante, “mi ritrovai per una selva oscura” (e infatti la Divina Commedia è un libro iniziatico). “Mi ritrovai”: erano in due, lui e “l’altro”. Così è cominciato quel dialogo, quella seea. “Mi fa paura, il bosco di notte”. “Bene, allora adesso ti ci porto”. “Ma sei matto?”. “Sì, ci andiamo. E senza torcia elettrica”.Così sono entrato nel bosco al buio, alla cieca. Ho cominciato a seguire un sentiero, ma poi mi sono perso. Ci sono rimasto per 4 ore. Sono successe cose turche, unne, ostrogote. Ho vissuto momenti di grande terrore, uno shock emozionale. Sono succese cose particolari, che non so descrivere perché non so cosa fossero. Però avvertito che c’erano dei movimenti, attorno a me, c’erano come delle presenze. C’era qualcuno, con me. Cos’era? Non lo so. Ho fatto incontri particolari, diciamo. E ho stretto un accordo con gli alberi: di questo non vi posso parlare, perché è una cosa che riguarda me e loro. Sta di fatto che, quando ho raggiunto la sommità del pendio, ho avuto un’esplosione di caldo fortissimo alla pancia. Ho fatto una gran sudata, poi scoppiato in singhiozzi. Sono caduto a terra, esausto, e ho pianto fino all’alba. Tornato a casa, la mattina, ho scoperto di essere totalmente guarito: non avevo più niente.Vi racconto questo dettaglio perché bisogna anche prendersi gioco di sé, per vincere. Dopo diversi anni, sapete, ero arrivato a pesare 42 chili. E quella mattina, dopo tanto tempo, sono riuscito a fare… la cacca. Ora, quando parli di un uomo e racconti che va a fare la cacca non piace, è poco virile. Ma io ho fatto la cacca e non volevo neppure tirare l’acqua: dopo anni, finalmente, avevo fatto una cacca normale. La rimiravo, pensavo addirittura di conservarla sotto spirito! Davvero: da allora non ho più avuto nessun disturbo. Il mio gastroenterologo non se lo spiegava: pensava che fossi stato a Lourdes, figuratevi. Mi sono detto: caro dottore, io e te non ci vedremo più, se non per un caffè o un aperitivo. Io questa storia l’ho vissuta e basta, e da lì non ho avuto più niente. Pensate che bello. Non vi nascondo che ho un po’ di commozione, nel raccontarla. Avevo seguito la via normale: hai problema, vai dal medico. Avevo lasciato perdere le alternative: mi ero affidato alla scienza, alla medicina ufficiale. E vi lascio immaginate a che tipo di analisi intrusive sono stato sottoposto, con tutte quelle sonde. Ero diventato carne da macello, ma non era servito a niente. Poi, appunto, sono andato nel bosco di notte.E’ successo qualcosa, sotto quegli alberi. Mi reputo una persona normalmente intelligente, capace di coltivare il dubbio. E il dubbio è una delle cose più preziose, è l’anticamera di ogni processo evolutivo. Se cominci a dubitare, smetti di prendere tutto per buono. E allora mi sono detto: è successo qualcosa, nel bosco. Non so cosa: non posso portarvi la formula chimica, non posso dire “è come se avessi preso questo farmaco che inibisce questa cosa e attiva quest’altra”. Eppure sono passato dalla malattia alla guarigione. Posso dire questo: qundo sono entrato nel bosco, quella notte, sapevo che la mia condizione andava degenerando. Lì è successo qualcosa, e infatti ne sono uscito guarito. Da allora ho cominciato a tornarci, tra gli alberi. La sera dopo sono tornato in quel bosco e ho fatto la stessa cosa, però senza più abbandonarmi totalmente. Una volta entrato ho percorso trecento metri e mi sono fermato lì in mezzo: ascoltavo. Il giorno dopo sono ritornato. Poi sono passato ad altri boschi. Cos’era successo, la prima notte? Provo a descriverlo come posso. Stare in quel bosco ha come attivato una memoria, un ricordo.Un po’ come dire: mi ricordo che sono fatto in un certo modo. E mi ricordo che posso anche modificarmi, se ho delle conoscenze. E così mi si è aperto tutto. E’ cos’ che sono morto. Quella sera sono morto: è morto il vecchio Michele, ed è iniziata una vita nuova, sicuramente consapevole e più libera. Per certi aspetti una vita anche più difficile, perché ti accorgi che nel tuo mondo precedente, di cui ti fidavi, c’erano troppe falsità. E allora dici: adesso devo veramente far fronte esclusivamente con le mie forze. E’ faticoso, tutto diventa più difficile. Sta meglio il pollo d’allevamento, sotto certi aspetti, rispetto al gallo cedrone: il pollo ha da mangiare, è protetto e curato. Ma la sua vita è in funzione del padrone. Vuoi mettere, un secondo da gallo cedrone, rispetto ai 43 giorni di vita del pollo d’allevamento? Pensate alla volpe: si sveglia ogni mattina e, di tutti i pensieri che facciamo noi, non ne fa neanche mezzo. Non pensa: devo pettinarmi prima di uscire, devo telefonare a questo e a quello, ho la scadenza dell’Iva, ho un senso di colpa che mi fa marcire dentro perché sono andato a letto con un’altra.La volpe non vive niente di tutto ciò: ha una libertà esperienziale estrema. La cosa ci deve far riflettere, perché il primo punto di partenza – per qualunque processo di guarigione – sta nel capire che stiamo vivendo una quotidianità che è totalmente artefatta. Iniziare a metterla in discussione significa aprire alternative. Poi c’è chi, come me, ha incontrato un albero, ma c’è chi può incontrare una persona e c’è chi, semplicemente, può vivere un sogno: qualcosa di particolare, che gli apre un’alternativa. Aprirsi un’alternativa, secondo me, significa raggiungere il massimo obiettivo. Dove ti porta, questa strada? E’ del tutto secondario. L’obiettivo non è raggiungere qualcosa. L’obiettivo è riuscire ad avere la voglia di cercare. Il risultato non è nel trovare, ma nel voler cercare. E quando la vivi, la ricerca stessa diventa un nutrimento assoluto.(Michele Giovagnoli, dichiarazioni relative alla conferenza al termine del seminario “Il mondo magico degli alberi: come interagire con loro e attingere a una conoscenza superiore”, svoltosi in valle di Susa il 26 agosto 2018, nei boschi che circondano la borgata Cresto, a Sant’Antonino di Susa. Alchimista e naturalista, scrittore e formatore, Giovagnoli ha pubblicato “Assoluta. Analisi logica della Rivelazione”, edizioni Il Grappolo, 2004; “Alchimia selvatica”, Macroedizioni, 2014; “La messa è finita”, UnoEditori, 2017; “Impara a parlare con gli alberi”, UnoEditori, 2018. Info: sul blog di Giovagnoli e sulla sua pagina Facebook, che documenta il suo “Contatto Tour” alla ricerca degli alberi secolari italiani).L’alchimista che vi hanno raccontato gira sempre con l’inseparabile alambicco, no? Ricordo che in un libro di scuola, quando facevo le superiori, c’era mezza pagina sull’alchimia, e c’era ’sto sfigato che girava dappertutto con il suo alambicco. Era uno così, nascosto dal cappuccio perché sente freddo alla testa. E poi l’alambicco: lui ci fa anche il bidet, con l’alambicco! Ma questo è l’aspetto folcloristico che hanno diffuso per allontanarci dall’alchimia. E’ una tecnica: rendi ridicola una persona, così non la cerchi più. Si innesca una dinamica selvaggia: il gregge segue il più forte, evitando lo sfigato solitario con il suo alambicco. Allegorie, il potere dell’immagine: in realtà l’alchimista ha la testa coperta dal cappuccio perché la sua attenzione è rivolta dentro di sé. Lui si chiude, e l’alambicco è l’immagine di tutto il suo sistema vitale. Lui quindi cerca di gestire i suoi flussi interni, che sono dominati da un centro mentale, un centro sentimentale, un centro sessuale creativo e un centro fisico, che è la macchina biologica che abbiamo. Cosa vuol fare l’alchimista? Vuole fare il processo inverso rispetto a ciò che hanno fatto fare all’umanità, che è stata creata e addomesticata.
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Salvini: Bruxelles ha sulla coscienza i morti di Genova
«Salvini fa solo demagogia», proclama da Parigi il solito Macron, pensando all’ennesima crisi-migranti (la nave Aquarius “rimbalzata” nel Mediterraneo) poco prima che l’Italia letteralmente si fermi, alla vigilia di ferragosto, di fronte al disastro di Genova: almeno 37 morti sotto le macerie del viadotto Morandi, collassato – pare – per il cedimento (non inatteso) degli “stralli”, i tiranti d’acciaio che reggevano la gigantesca infrastruttura sospesa sul capoluogo ligure. Terrore, caos, emergenza nazionale: il governo Conte, tramite Salvini e Di Maio, annuncia la revoca della concessione ad Autostrade e una multa da 150 milioni, mentre il ministro Toninelli si aspetta le dimissioni dei vertici della società. Emergono notizie purtroppo risapute: l’allarme per la tenuta del viadotto era stato rilanciato più volte, negli ultimi anni. Il problema? Soldi non disponibili per le riparazioni. «Buona parte d’Italia è da mettere in sicurezza», dichiara Salvini, a caldo, davanti alle telecamere. «C’è da metter mano a strade e ponti, autostrade, scuole, argini». Chi ce lo vieta? Ovvio: il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. «Se ci sono vincoli esterni che ci impediscono di spendere soldi (che avremmo) per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri figli o le autostrade dove viaggiano i nostri lavoratori, sarà il caso di porsi il dubbio se continuare a rispettare questi vincoli o se mettere, davanti a tutto e a tutti, la sicurezza degli italiani».Bingo: il leader della Lega ha centrato il punto. Se ne accorge anche “Bloomberg News”, che sottolinea: «Salvini punta il dito contro l’Ue per i morti a Genova». Commenta Paolo Barnard: «Concordo, ma sono silenti Tria, Conte e soprattutto Giulia Grillo, con oltre 60.000 italiani che muoiono, ogni anno, per le medesime ristrettezze economiche imposte dalla Ue». Ristrettezze «che hanno ucciso anche a Genova». E quindi, aggiunge Barnard, «Matteo Salvini mandi a Bruxelles quei conigli di Conte e Tria con 60.035 morti, non 37». Le dimensioni della catastrofe di Genova sono scioccanti: è crollato uno dei simboli dell’Italia del boom, risalente a mezzo secolo fa. Grandi opere (utili: non come il Tav Torino-Lione) che spinsero il “miracolo italiano”, sostenuto da poderosi investimenti pubblici sotto forma di deficit. Poi l’avvento nel neoliberismo, la fine della Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite e la grande stagnazione avviata con la nascita dell’Unione Europea e l’ingresso nell’Eurozona, che ha trasformato il debito pubblico: da leva stragegica per lo sviluppo a vera e propria tragedia nazionale, sotto il ricatto dello spread (la speculazione finanziaria sui titoli di Stato, non più sorretti dalla banca centrale come “prestatore di ultima istanza”).Uno schema evidenziato, in modo spettrale, dal martirio socio-economico della Grecia non più sovrana: prima la sovraesposizione debitoria incoraggiata dagli “stregoni” della Goldman Sachs, tra cui Mario Draghi, e poi – di fronte all’impossibilità di sostenere un maxi-debito non denominato in moneta nazionale, la condanna a ripagarlo per intero, imposta dal Fmi grazie a super-tecnocrati come Carlo Cottarelli. Il crollo del mastodontico viadotto genovese avvicina pericolosamente l’Italia alla Grecia: è un cedimento altamente simbolico, una sinistra premonizione. Certo, la situazione dovrà essere chiarita nei dettagli. Lo stesso Salvini pretende innanzitutto giustizia per i familiari delle vittime e chiede che l’inchiesta avviata dalla magistratura possa fornire indicazioni chiare su chi sono i responsabili di quanto accaduto: «Serve chiarezza, non può esserci un’altra strage senza colpevoli e qui hanno nomi e cognomi ben precisi: qualcuno deve finire in galera», dichiara il ministro dell’interno ai microfoni del Tg4. Ma è meglio risparmiarsi le speculazioni politiche spicciole: «Da ore in rete girano interrogazioni a questa o quella persona, ma non me la prendo con Delrio, perché non fa l’ingegnere nemmeno lui», aggiunge Salvini, evitando di “sparare” sul precedessore di Toninelli.Salvini punta giustamente al bersaglio grosso, Bruxelles: cioè il gran consiglio di tecnocrati non-eletti ai quali il governo gialloverde intende strappare larghe concessioni ai vincoli di bilancio, per poter finanziare Flat Tax e reddito di cittadinanza. Il leader della Lega sembra pronto a far pesare anche i morti di Genova: con più soldi da spendere a deficit, la tragedia si sarebbe evitata. L’inizio della fine, per noi? L’austerity varata da Monti e l’obbligo “criminale” del pareggio di bilancio inserito addirittura nella Costituzione, con il placet di Berlusconi e Bersani. Tra le macerie genovesi crolla anche la “teologia” neoliberista che predica la necessità dei tagli pubblici: l’economista post-keynesiano Nino Galloni ricorda che ogni atto di spesa produce un ritorno, in termini di Pil, anche del 300%. Impugnando lo sfacelo di Genova, l’Italia potrebbe rilanciare la sua sfida, da cui – ormai l’hanno capito tutti – può dipendere il futuro assetto politico dell’intera Europa. Per questo la Merkel tace, e il supermassone filo-vaticano Macron continua a latrare, in modo inaudito, contro il governo per il quale oltre il 60% degli italiani fa apertamente il tifo.«Salvini fa solo demagogia», proclama da Parigi il solito Macron, pensando all’ennesima crisi-migranti (la nave Aquarius “rimbalzata” nel Mediterraneo) poco prima che l’Italia letteralmente si fermi, alla vigilia di ferragosto, di fronte al disastro di Genova: almeno 37 morti sotto le macerie del viadotto Morandi, collassato – pare – per il cedimento (non inatteso) degli “stralli”, i tiranti che reggevano la gigantesca infrastruttura sospesa sul capoluogo ligure. Terrore, caos, emergenza nazionale: il governo Conte, tramite Salvini e Di Maio, annuncia la revoca della concessione ad Autostrade e una multa da 150 milioni, mentre il ministro Toninelli si aspetta le dimissioni dei vertici della società. Emergono notizie purtroppo risapute: l’allarme per la tenuta del viadotto era stato rilanciato più volte, negli ultimi anni. Il problema? Soldi non disponibili per le riparazioni. «Buona parte d’Italia è da mettere in sicurezza», dichiara Salvini, a caldo, davanti alle telecamere. «C’è da metter mano a strade e ponti, autostrade, scuole, argini». Chi ce lo vieta? Ovvio: il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. «Se ci sono vincoli esterni che ci impediscono di spendere soldi (che avremmo) per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri figli o le autostrade dove viaggiano i nostri lavoratori, sarà il caso di porsi il dubbio se continuare a rispettare questi vincoli o se mettere, davanti a tutto e a tutti, la sicurezza degli italiani».
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Delitti rituali, la magia esiste: lo svela Stephen King in “It”
“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.Iniziamo dagli omicidi rituali. La cittadina di Derry è sconvolta da una serie di omicidi, tutti diversi l’uno dall’altro per tipologia, efferatezza e modalità. Tuttavia, a un certo punto della storia, viene trovato un colpevole unico, che non ha le caratteristiche compatibili per quel tipo di delitti così eterogeneo. Eppure, dal momento che le forze dell’ordine e l’opinione pubblica non vedono l’ora di trovare un capro espiatorio, la versione di Henry Bowers che, tra l’altro si è autoaccusato dei delitti, viene accettata per vera senza neanche una verifica (pag. 709). Il meccanismo descritto dal romanzo è quello che abbiamo raccontato e sottolineato nelle vicende delle Bestie di Satana (che si autoaccusano di efferati delitti, con una versione dei fatti strampalata e incompatibile con lo stato di tempo e luogo della vicenda) e del Mostro di Firenze, ma anche nel caso Manson (anche qui si autoaccusano del delitto alcune ragazze strafatte di droga, con un Qi intellettivo molto basso e forti problemi psichici). Il romanzo è soprattutto una rappresentazione di come funziona la lotta tra bene e male. Il male è rappresentato come una forza insidiosa e silenziosa, che si insinua non in uno o più individui specifici, ma in una collettività.Il male, in pratica, sta nell’atteggiamento della gente, nel non voler vedere la realtà, nel tapparsi gli occhi davanti a verità scomode per il proprio quieto vivere. Per dirla con le parole di Fausto Carotenuto, i poteri oscuri non sono altro che la somma di tutti i nostri sentimenti negativi. Il male può essere sconfitto dall’amore, dall’amicizia (che, come dice qualcuno, è l’amore senza le sue ali) e dal coraggio di andare avanti sconfiggendo le proprie paure (nel romanzo, l’unico dei ragazzi che si lascia sopraffare dalla paura, infatti, si suicida; ucciso quindi non dal mostro che terrorizza la città, ma da lui stesso). «La gente di Derry aveva vissuto da sempre con Pennywise in tutte le sue molteplici manifestazioni; e forse, in qualche modo, era addirittura arrivata a comprenderlo, ad aver bisogno di lui, ad averlo in simpatia. Ad amarlo. Può darsi… sì, persino quello può darsi» (pag. 533). Più in generale, il mostro che terrorizza la città assume diverse forme, una per ogni paura dei vari protagonisti; il male, cioè, assume di volta in volta proprio la forma più temuta dalla vittima. Da questo punto di vista il romanzo racconta il funzionamento della cosiddetta legge di attrazione e del potere che ha la nostra volontà di materializzare proprio ciò che temiamo di più e ciò che desideriamo.«Credi di vedermi?», dice un giorno It ad uno dei protagonisti: «Tu in realtà vedi solo quello che ti concede la tua mente» (pag. 1217). E difatti, poche pagine prima, Bill pensa tra sé: «It è solo la forma che ha preso a prestito dalle nostre menti. Sono quanto di più vicino le nostre menti sappiano accettare sulla vera essenza di It» (pag. 1212). Il mostro, che alla fine viene sconfitto, esiste davvero. Ma la morale che se ne trae è che quel mostro viene alimentato dalle paure e dagli atteggiamenti degli abitanti del luogo; in poche parole, si potrebbe dire che il mostro, il male, siamo noi stessi. «It e il tempo erano in qualche modo intercambiabili; It aveva tutte le loro facce insieme con le mille con cui aveva terrorizzato e ucciso… e l’idea che It poteva essere loro era la più devastante» (pag. 564). «Stai cercando di dire che questo essere non è malvagio? Che è semplicemente parte dell’ordine naturale delle cose?», chiede Eddie a Mike. E questo mostro – ecco una parte fondamentale nel messaggio del libro – viene sconfitto solo per mezzo della volontà e dell’immaginazione dei ragazzi. Eddie usa come arma il suo inalatore per l’asma; un apparecchio già innocuo di per sé contro un mostro del genere, ma reso ancora più innocuo dal fatto che lo stesso farmacista che lo aveva venduto sapeva che era solo un placebo, pieno in sostanza di acqua fresca e nient’altro.Ciò che rende potente l’arma utilizzata è solo la forza di volontà sprigionata dal protagonista nel momento della battaglia finale. Ad esempio: «I proiettili d’argento avevano funzionato perché in sette avevano fuso insieme la loro convinzione sull’efficacia di quello strumento». Non a caso il gruppo che sconfigge il mostro è costituito da bambini, e poi verrà sconfitto di nuovo molti anni dopo, ad opera dello stesso gruppo ormai formato da adulti, che rinnovano la loro volontà di fanciulli; il chiaro messaggio dietro tutto questo è che gli adulti non sono in grado, in genere, di vedere la realtà senza preconcetti e di utilizzare l’immaginazione e la volontà. Per utilizzarla occorre tornare bambini, e forgiare una realtà diversa da quella che gli apparati del potere costituito hanno costruito per noi, come una sorta di ragnatela che ci avviluppa (non a caso It appare come un gigantesco ragno, che tesse una specie di tela invisibile su una città, che è preda del mostro senza rendersene conto).A un certo punto del libro compaiono anche le forze del bene, rappresentate da una tartaruga che esiste fin dall’inizio del tempi. La tartaruga non è stata scelta a caso da King, essendo fondamentale nella tradizione di molte religioni: in quella buddista è il simbolo del divino, in particolare dello scorrere lento del tempo, e si narra che il Buddha fosse una tartaruga, in una delle sue incarnazioni precedenti. Nella mitologia induista è uno degli Avatar di Visnù; nella mitologia cinese è l’animale che sorregge il mondo; e per i nativi americani è la madre primordiale. Ma quando Bill, uno dei protagonisti, le chiede aiuto contro il mostro, supplicandola, ella risponde: «Devi aiutarti da te, figliolo… ci sono i tuoi amici» (pag. 1220). Per quanto riguarda la magia, il libro non ne parla espressamente. Quindi non compaiono maghi, streghe, vampiri, o entità varie, e di per sé pare non parla affatto della magia pura. In realtà tutto il libro è il racconto di come operano le forze della natura sull’uomo (e la magia, come diceva Paracelso e come qualunque esoterista sa, altro non è che la conoscenza delle leggi della natura); ed è quindi il racconto di come immaginazione e volontà (le due componenti fondamentali della magia) possono modificare la realtà e plasmarla a piacimento.Nel libro c’è addirittura la magia sessuale; uno dei fatti narrati nel romanzo, incomprensibili per chi non conosce la magia, ma che rappresenta un punto cruciale di tutto il racconto, è quando i ragazzi promettono solennemente, dopo aver sconfitto il mostro, che quando questo ritornerà loro si ritroveranno di nuovo tutti insieme a combatterlo, e suggellano questo patto con un rapporto sessuale con la protagonista femminile del romanzo, Beverly Marsch. Il rapporto sessuale, infatti, ha degli effetti magici, nel senso che (come abbiamo scritto nel nostro articolo “Sesso, magia sessuale, tantra e civiltà moderna”) lega le anime delle persone che si congiungono, rafforzandone la volontà, e creando un legame invisibile ma duraturo, che può essere indirizzato verso finalità specifiche, scelte da coloro che hanno il rapporto sessuale. Questo rapporto multiplo crea un legame tra tutti, una specie di promessa, che li porterà nuovamente a riunirsi per adempiere a quel patto. «Conosco un sistema – rispose Beverly nell’oscurità – So come ridiventare tutti uniti. Perché se non saremo uniti, non usciremo vivi di qui. E’ una cosa che ci unirà per sempre e che serve a dimostrare che vi amo tutti e siete tutti miei amici» (pag. 1246). Cos’è quindi che fa vincere i ragazzi contro il mostro? E’ «la loro forza unita, resa invincibile dalla forza di quell’Altro, ed era la forza del ricordo e del desiderio, e soprattutto era la forza dell’amore e di un’infanzia dimenticata» (pag. 1264).Nel romanzo compare anche un’altra idea di fondo: quella che la nostra vita sia guidata da forze invisibili, di cui a stento percepiamo l’esistenza. Forze che solo pochi percepiscono, e che impongono di domandarsi quanto effettivamente l’uomo sia dotato del cosiddetto libero arbitrio: «C’è qualcosa che ci sta chiamando, qualcosa che ci sceglie uno ad uno. Niente di tutto questo è casuale». Questo pensa Bill, uno dei protagonisti (pag. 421). E questa idea, da fa sfondo invisibile a tutto il racconto. Il libro “It” di Stephen King, quindi, considerato da tutti il suo capolavoro, è un romanzo, ma anche un libro sulla magia, sulla magia sessuale, sull’amore, sull’amicizia, sul potere, sul funzionamento della realtà e sul funzionamento delle energie dell’universo, e dunque sulla vita. Per questo è un libro magico che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo, la maggior parte dei quali all’oscuro del reale significato del romanzo; ma attratti da esso da qualcosa… di magico, appunto. Non un romanzo del terrore, quindi, ma un libro sulla magia e sulla realtà in cui viviamo.(Paolo Franceschetti, “Stephen King, delitti rituali e magia”, dal blog “Petali di Loto” del 9 aprile 2018. Il libro: Stephen King, “It”, Sperling & Kupfer, 1344 pagine, euro 12,90).“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.
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Ma il referendum serve a restare nell’Eurozona per sempre
Ancora? Ancora con questa storia del referendum? Ma non ne avevamo già parlato? (“Radio Popolare”, 17 agosto 2012). Scusate, sono in viaggio e non mi perdo in dettagli. Mi sembra assolutamente ovvio che chi propone oggi un referendum sull’euro, da qualsiasi parte lo faccia, è un demagogo, alla ricerca di una tardiva legittimazione democratica, e un incosciente. Cominciamo dalla fine. Tutto quello che sappiamo circa l’uscita dall’euro ci indica che allo stato uscite consensuali non sono possibili, ma che se anche lo fossero andrebbero ovviamente gestite in segreto. Tanto più in segreto andranno gestite uscite unilaterali. Per favore, studiate e fate studiare Bootle che illustra precedenti storici e motivazioni (ovvie) di questa scelta (ma anche Sapir, per dirne un altro, la dà per scontata). Il motivo è semplice: annunci di qualsiasi tipo darebbero il via a fughe di capitali, mettendo rapidamente il paese nell’impossibilità di finanziare il proprio deficit estero. L’argomento degli espertoni («ma tanto i capitali sono fuggiti, ma tanto la corsa agli sportelli è già iniziata…») è corretto, ma è un argomento da espertoni. Gli espertoni, sapete, vedono la foglia e non vedono l’albero…Come ci siamo detti tante volte con Alessandro “Torny” Guerani, i controlli dei movimenti di capitali che bisognerà fare, le fughe che bisognerà impedire, nel momento della crisi, non sono quelle dei ricchi, che ci hanno già pensato, e che forse i capitali in Italia non li hanno mai avuti: sono quelli dei poveracci, che rischiano di massacrarsi se, terrorizzati dalle notizie assurde sull’inflazione diffuse da criminali di ogni risma, accettassero qualsiasi condizione pur di portare i loro (pochi) soldi fuori dall’Italia (peraltro, lo sostiene efficacemente e ironicamente anche Claudio Borghi). Ovviamente un annuncio lungo un’intera campagna elettorale è il massimo della demenza, per il motivo appena esposto. Decine di migliaia di piccoli risparmiatori si consumerebbero nell’angoscia e si rovinerebbero con le proprie mani. Chiaro il concetto? Sono sicuro che qualcuno non lo capirà: è troppo semplice e troppo pragmatico. Diranno: «Bagnai, tu vuoi uscire dall’euro a destra, vuoi salvare i capitalisti e non i piccoli risparmiatori…». Ancora?!I capitalisti, amici cari, non si combattono in questo momento: in questo momento hanno già vinto e stanno già al sicuro. I capitalisti si combattono dopo, ripristinando condizioni regolate sui mercati finanziari. Ma nel momento della crisi bisogna soprattutto evitare, lo ripeto, che siano i piccoli risparmiatori a farsi fottere il 50% nel tentativo di non perdere il 20% (che poi, dico: ma se tu resti in Italia, quale 20% perdi? Ma questo è un altro discorso, ne parliamo in un altro momento). Ma ora ci dicono che dobbiamo fare il referendum, ora, capite? Ora! Aggiungendo al danno (quello dell’euro prima, e quello del disordine creato sui mercati dopo) la beffa: «Vedete, noi siamo democratici, l’euro lo scegliete voi!». E questo perché? Per consentire di rifarsi una verginità democratica a un governo di non eletti che sta facendo gli interessi della Germania svendendo l’Italia pezzo a pezzo, ad esempio. Oppure per consentirlo a un movimento che fino a ieri propugnava politiche pinochettiane basate su analisi distorte della crisi, e la cui democraticità interna risalta da noti fatti di cronaca. Mi sembra un’ottima idea, non trovate? Un’idea, se non altro, che pur dicendoci molto poco su come usciremo dall’euro, ci dice molto, moltissimo, su chi l’ha proposta.(Aberto Bagnai, estratto da “Quelli che ‘facciamo il referendum’…”, dal blog “Goofynomics” del 4 settembre 2012. L’econonista Bagnai, ora eletto senatore con la Lega, già 6 anni fa si espresse in questi termini nel liquidare la proposta grillina di referendum consultivo sull’euro).Ancora? Ancora con questa storia del referendum? Ma non ne avevamo già parlato? (“Radio Popolare”, 17 agosto 2012). Scusate, sono in viaggio e non mi perdo in dettagli. Mi sembra assolutamente ovvio che chi propone oggi un referendum sull’euro, da qualsiasi parte lo faccia, è un demagogo, alla ricerca di una tardiva legittimazione democratica, e un incosciente. Cominciamo dalla fine. Tutto quello che sappiamo circa l’uscita dall’euro ci indica che allo stato uscite consensuali non sono possibili, ma che se anche lo fossero andrebbero ovviamente gestite in segreto. Tanto più in segreto andranno gestite uscite unilaterali. Per favore, studiate e fate studiare Bootle che illustra precedenti storici e motivazioni (ovvie) di questa scelta (ma anche Sapir, per dirne un altro, la dà per scontata). Il motivo è semplice: annunci di qualsiasi tipo darebbero il via a fughe di capitali, mettendo rapidamente il paese nell’impossibilità di finanziare il proprio deficit estero. L’argomento degli espertoni («ma tanto i capitali sono fuggiti, ma tanto la corsa agli sportelli è già iniziata…») è corretto, ma è un argomento da espertoni. Gli espertoni, sapete, vedono la foglia e non vedono l’albero…
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Tuis: il potere dei gesuiti, gli 007 del nuovo ordine mondiale
«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.«Anche tra i gesuiti si contano ovviamente molte ottime persone», ammette Tuis, intervistato a “Border Nights”, «ma la struttura ha avuto un ruolo essenzialmente negativo, nella storia: la congregazione resta un soggetto decisamente pericoloso, non a caso espulso per 70 volte da vari Stati». Rapporti difficili anche con il Vaticano: Papa Clemente XIV soppresse l’ordine religioso nel 1773. «I gesuiti erano nati come braccio speciale della Chiesa per sostituire i domenicani, politicamente poco duttili», spiega Gianfranco Carpeoro, autore di saggi che illuminano oscuri retroscena in cui convivono Chiesa e massoneria, come nel caso dell’origine del fascismo. «Poi però sempre i geusiti divennero anche scomodi, quando – dopo la conquista del Sudamerica – si accorsero che gli indigeni erano migliori, come uomini, dei “conquistadores” cristiani». Lo ricorda lo stesso Tuis, autore del libro “Gesuiti” appena pubblicato da Uno Editori: «In Paraguay i gesuiti si schierarono con il popolo anche pagando con la vita la loro scelta». E’ di ispirazione gesuitica la “teologia della liberazione”, per l’emancipazione popolare dell’America Latina. Era gesuita lo stesso cardinale Martini, in prima linea contro le guerre. Ma la Compagnia di Gesù resta ambivalente: Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice gesuita della storia, ha firmato il saggio “Questa economia uccide” ma in Argentina è stato accusato di complicità con i carnefici della dittatura militare, quella dei “desaparecidos”.Riccardo Tristano Tuis non crede a Papa Francesco: «Nonostante la parte che recita, fa il gioco del potere: il suo impegno a favore dei migranti fa parte del progetto globalista che prevede anche l’islamizzazione dell’Europa a spese della fede cristiana, verso un’ipotetica religione unica mondiale». Il suo libro è chiaro, negli intenti, fin dal sottotitolo: «L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale». Già autore de “L’aristocrazia nera”, ovvero «la storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia», Tuis racconta l’intreccio che – fin dall’origine – lega Ignazio di Loyola a potenti famiglie romane come quella dei Borgia. La missione dell’ordine: forgiare dei veri e propri 007, in grado di infiltrare qualsiasi ambiente politico e religioso, puntando al controllo del potere. Un progetto con un retroterra segreto, risalente ai Templari e da «ordini e consorzi di famiglie ancora più antiche». Nacquero così «agenti segreti con licenza di uccidere», pronti a operare clandestinamente sia nei paesi cristiani che in quelli protestanti o anglicani, «al punto che ai nostri giorni i servizi segreti deviati europei, nordamericani, del Commonwealth e d’Israele sono delle espressioni di un’unica regia: il Siv, cioè i servizi segreti del Vaticano», quelli irrintracciabili su Wikipedia.«L’alta finanza, le più grandi banche del mondo e il cartello bancario che ha dato vita al moderno signoraggio bancario – sostiene Tuis – sono il prodotto della millenaria opulenza e forza della Chiesa di Roma, che proprio grazie ai gesuiti dall’Ottocento in poi ha in mano l’economia globale attraverso le famiglie dei banchieri internazionali ai cui vertici ci sono i guardiani del tesoro papale: i Rothschild». Il libro di Tuis indaga «sull’oscuro mondo delle società segrete e dei circoli magici di matrice satanico-luciferina e cristiana», scoprendo «le loro reciproche e insospettate connessioni attraverso i gesuiti di alto livello, gli “incogniti superiori del 4° voto” che muovono anche le fila dei potenti e stratificati ordini cavallereschi», vale a dire i Cavalieri di Malta in Europa e i loro corrispettivi americani, i Cavalieri di Colombo. Insieme alla massoneria internazionale, questa galassia di poteri “invisibili” dà vita «all’esercito di grigi burocrati dell’Unione Europea e del Congresso americano, che promuovono la criminale operazione su vasta scala denominata Agenda 21».Il libro si addentra in specifici eventi storici: «Due più famosi dittatori europei, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, sono saliti al potere grazie ad operazioni clandestine dei gesuiti e degli Illuminati, che da secoli lavorano a fianco a fianco nell’instaurazione della secolare agenda mondialista “La Nuova Atlantide”, meglio conosciuta come Nuovo Ordine Mondiale». A un ex gesuita, racconta Tuis a “Border Nights” si deve l’invenzione della ghigliottina: atroce simbolo del Terrore francese, d’accordo, ma pur sempre «un modo per ridurre la sofferenza del condannato». Dai gesuiti sono nate eccellenze assolute in ogni campo, compreso quello scientifico: è la Compagnia di Gesù a gestire il potente osservatorio astronomico di Mount Graham, in Arizona. Alieni in arrivo? Meglio chiamarli “fratelli dello spazio”; nel caso un giorno atterrassero, disse il direttore del centro, perché non battezzarli? Conoscenza, segreti, informazioni riservate. «L’archivio dei gesuiti a La Spezia – dichiara Tuis – è vasto almeno quanto quello della Cia».Sanno tutto di tutti? Dossier, schedature minuziose? «Per quello nacquero: furono loro a fondare la prima intelligence della storia». Il libro di Tuis è un’indagine sul lato meno trasparente del potere, il più insospettabile: sul web circola liberamente il testo di un famigerato giuramento, in cui il novizio – nel ‘500 – si impegna anche ad uccidere, nel caso, e comunque a eseguire qualsiasi ordine senza discutere, “perinde ac cadaver”. Leggende? Purtroppo no, sostiene Tuis: «Oggi la vera battaglia è condotta nel campo dell’informazione: il mainstream deforma sistematicamente la verità. La controinformazione è fondamentale, e il potere la teme». Dietro allo speaker del telegiornale c’è spesso un politico, collegato a influenti soggetti economici. Quello che sfugge è che “tutte le strade”, o almeno molte, portino a Roma, dove il potere di quel network sarebbe esteso oltre l’immaginabile. «Non è un caso se l’aggettivo “gesuitico” ha assunto una connotazione negativa: indica qualcosa di falso e insincero, ipocrita, ma al tempo stesso raffinato e coltissimo. I gesuiti hanno una visione precisa del mondo, la loro. Arrivano dovunque, sono lì da mezzo millennio: non sarà facile fermarli».(Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “I Gesuiti. L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle Banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale”, Uno Editori, 264 pagine, euro 14.90).«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni del Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.
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Il vero motivo della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova
Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.Missione compiuta, si direbbe: dopo Seattle, Praga e altre fiammate, a Genova nel luglio del 2001 è stato letteralmente soppresso «il primo movimento di protesta, nella storia dell’Occidente, capace di mobilitarsi in modo disinteressato, cioè senza più difendere singole cause territoriali, nazionali o di categoria, ma schierandosi in modo permanente a tutela dei diritti dell’umanità, in ogni continente». Lasciata l’intelligence Usa (l’agenzia resa tristemente celebre dallo scandaloso “datagate” spionistico del governo Obama), Madsen è divenuto un fiero accusatore di un sistema manipolatorio che a Genova, dice, richiedeva un preciso tributo di sangue: la morte di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” dei ragazzi inermi nella scuola Diaz (col pretesto di bombe molotov introdotte dagli stessi agenti) e poi l’incubo delle torture inflitte ai “prigionieri” nella caserma di Bolzaneto. Tutta quella violenza barbarica sembra portare la stessa “firma” della mano segreta che, di lì a un paio di mesi, avrebbe pilotato l’immane attentato delle Torri Gemelle a New York, dando inizio alla “guerra infinita” contro il “terrorismo”. Un nome? Il massone “controiniziato” George W. Bush. Esponente, secondo Gioele Magaldi, della “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”. La costola più nera e tenebrosa dell’élite globalista, formata da “signori della guerra” che «non hanno esitato a reclutare, tra i loro affiliati, prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi».Da Al-Qaeda all’Isis, stesso copione (opaco) del terrore, scatenato contro civili, polizia e militari – ma non all’insaputa di precisi settori dell’intelligence. Prove? «Dispongo di 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi, autore del saggio “Massoni”. «Entro due anni certe carte verranno rese pubbliche», afferma Gianfranco Carpeoro, che ha firmato il volume “Dalla massoneria al terrorismo”, fornendo anche – insieme allo stesso Magaldi – un’accurata lettura della simbologia non certo islamica, ma “templare”, del recentissimo terrorismo targato Isis che ha insanguinato l’Europa a cominciare dalla Francia. Identico lo stile degli attentati: colpire nel mucchio, sparare sulla folla per terrorizzare tutti (e rendere accettabili le leggi d’emergenza, sul modello del Patriot Act statunitense disegnato per confiscare libertà e diritti). Genova? Una pietra miliare: il Rubicone varcato da un potere globalista “medievale”, neo-feudale, smisuratamente avido e bugiardo, estremamente feroce. Lo sostiene Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”. Una vera e propria confessione: «Mesi prima, per la tragica “riuscita” di quel G8 – dice – la Nsa mise a disposizione 1.500 funzionari, e a Genova (oltre alla polizia italiana) c’erano 700 agenti dell’Fbi».Nessuno lo sapeva, all’epoca, ma tutti videro lo stesso spettacolo: i reparti antisommossa si accanivano contro manifestanti inermi, ignorando deliberatamente i famosi “black bloc” spuntati dal nulla, liberi di devastare impunemente la città. I “neri” colpivano i loro obiettivi e poi si disperdevano rapidamente tra i vicoli. «E’ una tattica di guerriglia insegnata nelle scuole Nato: si chiama “swarming”», afferma – sempre nel libro di Fracassi – il generale dei paracadutisti Fabio Mini, già comandante della missione atlantica Kfor in Kosovo. «Esistono precise strutture – rivela Mini – in grado di far affluire in piena sicurezza centinaia di persone, da tutta Europa, senza il rischio di subire controlli alle frontiere, neppure dopo l’evento». Lo strascico del G8 di Genova è ancora fatto essenzialmente di rabbia e di dolore: le vittime denunciano omissioni e indulgenze, il nuovo capo della polizia (che ha preso le distanze da De Gennaro) giura che, oggi, simili episodi non potrebbero più ripetersi. Carlo Giuliani, intanto, a piazza Alimonda è morto. E la meccanica delle ricostruzioni difficilmente va oltre i dettagli del crimine. Una coltre di silenzio protegge ancora gli aspetti più decisivi: il movente e i mandanti.Per questo è importante la voce di un uomo come Madsen. «I mandanti sono le multinazionali – dice – che erano letteralmente terrorizzate dal crescente consenso di quei ragazzi: il movimento NoGlobal andava stroncato. E il loro uomo, Bush, ha semplicemente eseguito gli ordini». Com’era, il mondo, nel 2001? Stava molto meglio di adesso, secondo tutti gli indicatori. Archiviata la storica sfida con l’Urss, la guerra era praticamente assente. Anche per gli italiani, all’epoca, l’Unione Europea poteva sembrare un’istituzione amica. Si pagava ancora in lire: l’euro avrebbe iniziato a circolare solo l’anno seguente. In Afghanistan c’erano già i Talebani, ai quali si opponeva solo un leader laico e nazionalista come Ahmad Shah Massud: quando l’Alleanza del Nord entrò in azione, per prima cosa fu assassinato l’ingombrante Massud, autorevole interprete della sovranità afghana. Ucciso da un certo Hekmathyar, collegato ai servizi del Pakistan addestrati dalla Cia. «Il governo di Islamabad ha sostenuto Al-Qaeda in accordo con Bush», denunciò Benazir Bhutto, a sua volta assassinata nel 2007 per impedirle di vincere le elezioni e smascherare le trame che legavano Bush e Bin Laden al generale Musharraf, dittatore “americano” del Pakistan. Da anni, ormai, la “guerra infinita” era diventata la nuova normalità fondata su bombe e menzogne, fino all’attuale conflitto siriano.Un film dell’orrore, sostiene Madsen, grazie al quale nessuno si è più sognato di contestare frontalmente lo strapotere delle corporation e dell’oligarchia finanziaria, che in Europa è riuscita a ridurre alla fame un paese come la Grecia, senza più medicinali per i bambini, e a destituire con un golpe bianco il governo italiano democraticamente eletto. Si arrivò a insediare a Palazzo Chigi uno spettro come Mario Monti, cioè l’essere umano più lontano possibile dall’antropologia di una rockstar come Manu Chao, eroe del “social forum” che a Genova nel 2001 sognava una fratellanza universale capace di opporsi alle diseguaglianze create dalla rapina sistematica del mondo, quella che oggi spinge verso l’Europa milioni di migranti in fuga dalle loro economie sapientemente disastrate dal nostro apparato economico e politico, finanziario e militare. Un mondo migliore è possibile, recitava lo slogan dei ragazzi che guardavano al mito del “subcomandante” Marcos, esotico e mediatico custode di una biodiversità civile fondata sui diritti. Oggi, il dibattito pubblico è precipitato sotto terra, tra le rovine dell’Ue e della Bce: si parla al massimo di soldi, di Flat Tax e reddito di cittadinanza. Siamo caduti in basso? Il primo passo, sostiene Wayne Madsen, è stato il corpo esanime del militante che i grandi poteri economici, dai loro palazzi, volevano morto. E’ toccato a Carlo Giuliani. Forse, riletta così, può sembrare meno oscura la ragione (mostruosa) di quella fine così atroce.(Giorgio Cattaneo, “G8 Genova, il vero motivo della morte di Carlo Giuliani”, dal blog “Petali di Loto” del 17 aprile 2018).Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.
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Siria, risposta russa: bombe sui terroristi armati dagli Usa
Vincere definitivamente la guerra in Siria, sradicando dalla regione l’opaca ragnatela di alleanze (leggasi: terrorismo) su cui si basa la presenza statunitense, inglese e francese. Potrebbe essere questa la risposta, sul campo, che Russia e Iran – con all’apoggio della Cina in sede Onu – potrebbero mettere in atto, dopo il raid missilistico dimostrativo del 14 aprile contro le installazioni di Damasco. «L’attacco contro le basi in Siria compiuto da Francia, Regno Unito e Stati Uniti crea uno spartiacque, l’ennesimo, in questa guerra», scrive Lorenzo Vita sul “Giornale”. «Russia e Iran, alleati della Siria, hanno già detto di ritenere completamente illegittimi gli “strike” promossi dalla coalizione occidentale. E hanno parlato di “gravi conseguenze”», anche sul piano regionale. «E il fatto che Israele abbia appena chiuso lo spazio aereo sulle alture del Golan, fa comprendere che queste conseguenze regionali potrebbero rivolgersi direttamente allo Stato ebraico, colpevole di aver bombardato la base T4 in Siria e ucciso sette soldati iraniani». Le risposte di Russia e Iran saranno sicuramente su più livelli. Le potenze occidentali hanno colpito con un “one shot”, come sostenuto dal capo del Pentagono, James Mattis. «Ma adesso la palla è passata nelle mani di Mosca e Teheran che, al contrario, non avevano mai definito apertamente il ventaglio di pozioni in caso di risposta».Quello che è certo, continua il “Giornale”, è che i due alleati della Siria erano consapevoli dell’attacco. E le risposte erano pronte già da diversi giorni. «Ora potrebbero semplicemente essere messe in atto, portando anche a un’evoluzione del conflitto in senso positivo verso l’esercito siriano: se infatti l’attacco è stato limitato, e sostanzialmente innocuo, Damasco ora può rimodulare l’offensiva per la riconquista del paese». Secondo sito israeliano “Debkafile”, una forza congiunta siriana e libanese (Hezbollah) ha ripreso l’offensiva verso il fiume Eufrate. Obiettivo: strappare dal controllo degli Stati Uniti il gas di Konok e i giacimenti petroliferi di Al-Umar. L’iraniano Ali Akbar Velyati, in conferenza stampa a Damasco, avverte: «La parte orientale dell’Eufrate è un’area molto importante. Speriamo di fare grandi passi per liberare questa zona ed espellere gli americani». Un secondo livello dell’offensiva, spiega Vita, nasce dal rafforzamento della sinergia militare fra Russia e Iran. Come riporta il sito “Al Masdar news”, Teheran rivela che i bombardieri pesanti russi sono stati di nuovo autorizzati a operare negli aeroporti militari iraniani: hanno il permesso di utilizzare basi iraniane per rifornirsi di carburante.«Le informazioni su questi nuovi sviluppi – scriove Vita – arrivano anche dopo che due Tu-95 e due bombardieri pesanti Tu-22M hanno lasciato la loro base permanente in Russia per una destinazione sconosciuta. Si ritiene che siano proprio le basi iraniane dell’accordo». Il che non farà che potenziare la già dimostrata capacità di risposta degli alleati siriani: «Mentre le forze occidentali hanno comunque (anche se in maniera molto limitata) attuato un raid con i loro mezzi, la Russia in particolare non ha risposto. È stata la contraerea siriana, guidata dal supporto russo, ad abbattere decine di missili. Questo significa che, fondamentalmente, Damasco solo con il supporto russo “dietro le quinte” ha dimostrato di saper difendersi». L’idea, ora, è che la Russia e l’Iran possano «rispondere con un’offensiva che sradichi completamente gli alleati della coalizione occidentale, chiudendo il cerchio su una guerra in cui Mosca e Teheran sono coinvolte in maniera molto pesante, ma che rischia di diventare impossibile da concludere». In questo senso, il “Giornale” sottolinea che «mentre le forze occidentali necessitano di accuse su attacchi chimici per colpire l’esercito siriano, russi e iraniani non hanno alcuna condizione: loro sono lì per aiutare Bashar al Assad nella sua offensiva, e questo permette lordo di sostenere più attacchi, su più livelli».Lorenzo Vita sottolinea poi il profilo politico della situazione: «Non va dimenticato che gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere profondamente scissi al loro interno, cosa che invece non hanno dimostrato i loro nemici. La divisione fra Donald Trump e Jim Mattis può essere molto indicativa». Poi, naturalmente, c’è il ruolo della Cina: alle unità navali di Pechino già presenti nel Mediterraneo, per manovre congiunte con la flotta russa del Mar Nero, potrebbero aggiungersi altri vascelli cinesi da battaglia, nei giorni scorsi segnalati in prossimità del Canale di Suez con il presumibile obiettivo di aumentare il potere di deterrenza di fronte all’ipotesi di nuovi attacchi occidentali contro la Siria. «La Cina ha sostenuto con forza la contrarietà all’attacco in Siria compiuto da Usa, Gran Bretagna e Francia. E questo – osserva Vita – rende possibile una collaborazione ancora più forte in sede Onu fra Pechino e Mosca, tesa a creare un asse importante che si contrapponga a quello composto da Usa, Francia e Regno Unito». Una partita decisiva: si tratta di difendere Assad da chi lo bombarda per motivi “umanitari”, dopo aver armato, finanziato e protetto il peggior jihadismo di marca Isis, che ha gettato nel terrore la popolazione siriana producendo milioni di profughi. Un’emorragia, quella innescata dal terrorismo islamista (gestito dagli Usa, dalla Turchia, da Israele e dall’Arabia Saudita) che si è arrestata solo con l’intervento militare russo e iraniano che ha fatto “impazzire” i falchi della Casa Bianca.Vincere definitivamente la guerra in Siria, sradicando dalla regione l’opaca ragnatela di alleanze (leggasi: terrorismo) su cui si basa la presenza statunitense, inglese e francese. Potrebbe essere questa la risposta, sul campo, che Russia e Iran – con all’appoggio della Cina in sede Onu – potrebbero mettere in atto, dopo il raid missilistico dimostrativo del 14 aprile contro le installazioni di Damasco. «L’attacco contro le basi in Siria compiuto da Francia, Regno Unito e Stati Uniti crea uno spartiacque, l’ennesimo, in questa guerra», scrive Lorenzo Vita sul “Giornale”. «Russia e Iran, alleati della Siria, hanno già detto di ritenere completamente illegittimi gli “strike” promossi dalla coalizione occidentale. E hanno parlato di “gravi conseguenze”», anche sul piano regionale. «E il fatto che Israele abbia appena chiuso lo spazio aereo sulle alture del Golan, fa comprendere che queste conseguenze regionali potrebbero rivolgersi direttamente allo Stato ebraico, colpevole di aver bombardato la base T4 in Siria e ucciso sette soldati iraniani». Le risposte di Russia e Iran saranno sicuramente su più livelli. Le potenze occidentali hanno colpito con un “one shot”, come sostenuto dal capo del Pentagono, James Mattis. «Ma adesso la palla è passata nelle mani di Mosca e Teheran che, al contrario, non avevano mai definito apertamente il ventaglio di pozioni in caso di risposta».
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Raid Usa sulla Siria. Ma quel potere ci teme: deve mentirci
Quanto è pericoloso l’Impero della Menzogna? Quante vittime produce, ogni ora, il sistema orwelliano basato sulle fake news criminali rilanciate a reti unificate, senza le quali non potrebbe essere scagliato nemmeno un missile? La farsa dell’orrore, copione strettamente seguito anche per l’ultimo raid “mirato e limitato” sulla Siria (ben attenti, gli attaccanti, a non sfiorare installazioni russe), dimostra almeno un risvolto positivo: chi preme quei fatali pulsanti ha ancora paura dell’opinione pubblica, se si premura di mentirle con tanto impegno. Lo afferma la giornalista Enrica Perucchietti, con alle spalle saggi sul terrorismo “false flag” e sulla propaganda di regime basata su notizie sistematicamente false: noi spettatori siamo rimasti probabilente gli unici a non sapere quanto contiamo, visto che chi muove portaerei e impiega armi di distruzione di massa si preoccupa innanzitutto di raccontarci il contrario della verità, nel timore che qualcuno di noi si svegli dal letargo televisivo. E’ grazie al nostro sonno se i killer possono oggi presentarsi come giustizieri: gli Stati Uniti, che hanno scagliato decine di missili su obiettivi siriani alla periferia di Damasco, sono gli stessi che hanno trasformato la Siria in un inferno, armando i tagliagole jihadisti che hanno terrorizzato la popolazione, di fatto spingendola a stringersi attorno al regime di Assad, visto certamente come il male minore.Maschere tragiche come la fallimentare Theresa May e il suo comico di corte Boris Johnson, nei guai per il dopo-Brexit, minuettano (tra una menzogna e l’altra) con personaggi come l’inquietante Emmanuel Macron, l’uomo dei Rothschild travestito da giovane rinnovatore, incaricato di demolire il welfare di un paese reduce dal bagno di sangue dell’auto-terrorismo, magicamente cessato dopo la rottamazione di François Hollande. Tutto si tiene? Impossibile dimenticare lo stridente contrasto tra l’elegante sorriso di Barack Obama, a lungo in giro per il mondo con l’aria di essere una divinità scomodata per il bene altrui, e la fogna infestata di ratti nella quale fu fotografato il suo inviato speciale per il Medio Oriente, il senatore John McCain, in amichevole colloquio con i peggiori mozzatori di teste della regione, tra cui il tristemente celebre Abu Bakr Al-Baghdadi. Loro, tutti insieme – Obama, McCain e i colleghi dell’Isis, con la graziosa collaborazione di altri paladini dell’umanità (il turco Erdogan, l’israeliano Netanyahu e i monarchi islamisti dell’Arabia Saudita) – hanno ridotto la laica Siria ad un’apocalisse di macerie. Un girone dantesco di profughi e lutti, su cui oggi, per buon peso, si abbattono anche i missili umanitari americani, inglesi e francesi, con il pretesto dell’ultima strage ipotetica, denunciata (come tutte le altre) senza uno straccio di prova.E proprio lì sta il punto: per scatenare la violenza, c’è stato comunque bisogno del massimo sforzo per propagare notizie false, attraverso il circuito del mainstream televisivo. Se solo i giornalisti avessero continuato a fare il loro mestiere, accusa un fuoriclasse come lo statunitense Seymour Hersh, Premio Pulitzer per le sue scomode corrispondenze di guerra, noi oggi sconteremmo un numero di vittime enormemente ridotto: meno dolore e meno cimiteri, con più giornalisti onesti in circolazione. Sembra un colossale esercizio di ipnosi: il copione è sempre uguale, ma il pubblico non sembra ne accorgersene. Subisce gli eventi, preparati da una narrazione infedele e spesso paradossale fino al ridicolo, invariabilemnte accolta con rassegnato fatalismo. Non contiamo più nulla, si ripete da più parti: il grande potere fa quello che vuole, senza nemmeno considerarci. Non è vero, rileva Enrica Perucchietti: ha bisogno, ogni volta, di parlarci. Ha la necessità di raccontarci storie, di propalarci menzogne. Non lo farebbe, se non avesse paura dell’ipotetico dissenso. Non cambia mai nulla? Neppure questo è vero: di fronte all’eventualità dei raid occidentali sulla Siria e contro la Russia, dall’Italia si sono levate voci significative, come quelle di Salvini e di Bagnai. Non sarebbe accaduto, ieri, quando infuriavano altri analoghi orrori come quello libico. Contano, i politici italiani? Moltissimo, per il pubblico nazionale: insinuano il germe del dubbio, aprono praterie al pensiero autonomo, incrinano il dogma teologico dietro il quale si nascondono i finti giustizieri.L’ultimo casus belli sembra l’ennesimo capolavoro di propaganda. Non si sa neppure se sia avvenuta davvero, la presuna strage siriana di Douma. Provocata da gas nervino o da cloro? Scatenata da chi? A pochi chilometri di distanza, Israele si fa meno problemi: spara e basta, anche alla schiena, colpendo gli inermi manifestanti di Gaza. Carri armati contro bersagli mobili senza difesa, ragazzini in jeans e maglietta. Quindici morti in una sola giornata, 700 feriti anche nel replay, la settimana seguente. La minaccia di Hamas è reale? Quand’anche, esiste una parola come “sproporzione”, che passeggia nella storia tra diverse latitudini. Nel medioevo, la cavalleria occitanica schierata per proteggere i catari, perseguitati dai crociati nel sud della Francia, chiamò “desmisura” la ferocia gratuita dei vincitori. Oggi, in caso di guerra unilaterale, i media rispolverano un lessico novecentesco – l’America, la Francia, l’Inghilterra – come se davvero fossero coivolte intere nazioni, nei crimini “umanitari” di quegli eserciti. Lentamente, si va demistificando la retorica: fiori di saggi svelano che non esiste più una sola politica sovrana, un solo leader che prenda decisioni non dettate dall’oligarchia bancaria e mercantile che ha privatizzato Stati e governi. E ancora e sempre, ogni crimine viene prima annunciato in televisione con il consueto corredo di notizie false, da un potere smisuratamente egemone ma non onnipotente, che ha ancora paura che qualcuno di noi si alzi in pedi e dica: non sono d’accordo, non siete autorizzati ad agire a nome mio.Quanto è pericoloso l’Impero della Menzogna? Quante vittime produce, ogni ora, il sistema orwelliano basato sulle fake news criminali rilanciate a reti unificate, senza le quali non potrebbe essere scagliato nemmeno un missile? La farsa dell’orrore, copione strettamente seguito anche per l’ultimo raid “mirato e limitato” sulla Siria (ben attenti, gli attaccanti, a non sfiorare installazioni russe), dimostra almeno un risvolto positivo: chi preme quei fatali pulsanti ha ancora paura dell’opinione pubblica, se si premura di mentirle con tanto impegno. Lo afferma la giornalista Enrica Perucchietti, con alle spalle saggi sul terrorismo “false flag” e sulla propaganda di regime basata su notizie sistematicamente false: noi spettatori siamo rimasti probabilmente gli unici a non sapere quanto contiamo, visto che chi muove portaerei e impiega armi di distruzione di massa si preoccupa innanzitutto di raccontarci il contrario della verità, nel timore che qualcuno di noi si svegli dal letargo televisivo. E’ grazie al nostro sonno se i killer possono oggi presentarsi come giustizieri: gli Stati Uniti, che hanno scagliato decine di missili su obiettivi siriani alla periferia di Damasco, sono gli stessi che hanno trasformato la Siria in un inferno, armando i tagliagole jihadisti che hanno terrorizzato la popolazione, di fatto spingendola a stringersi attorno al regime di Assad, visto certamente come il male minore.
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Skripal, tutto falso: Londra perde la faccia, Gentiloni pure
Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.Del resto, aggiunge Blondet sul suo blog, hanno ancora cancellato neppure la “dichiarazione di guerra” dell’ambasciatore britannico a Mosca, Laurie Bristow, che il 22 marzo aveva convocato la stampa estera per confermare l’accusa. «Boris Jonson ha molte domande a cui dovrà rispondere», dice ora detto Jeremy Corbyn, il leader dell’opposizione laburista, che da settimane era sotto un inverosimile uragano di attacchi e insulti da parte dei media britannici (da “traditore” ad “antisemita”) per essersi rifiutato di unirsi al coro di condanne senza prove. Adesso tutti vedono che Corbyn aveva ragione: il governo May cadrà? Ma intanto 28 Stati occidentali, fra cui 15 dell’Unione Europea, si sono uniti all’accusa del tutto infondata abbandonandosi ad espulsioni in massa di diplomatici russi. Per bocca di Donald Tusk e Federica Mogherini, l’Ue ha dichiarato il suo appoggio assoluto al Regno Unito nelle sue false accuse, e la stessa Nato ha espulso sette addetti russi e rifiutato l’accredito a nuovi membri dello staff. «In pratica – osserva Blondet – tutte le nazioni occidentali hanno trattato la Russia da Stato canaglia, Stato criminale, paria delle nazioni, da appestato; hanno comminato nuove e più gravi sanzioni. Senza mai dar credito, nemmeno per un attimo, alle proteste russe di estraneità».E’ andata in scena «una spaventosa prova di aggressività demente, di inciviltà nei rapporti internazionali, che non poteva che preludere a qualche gravissima azione o provocazione bellica, tanto era palesemente mal fondata fin dalle prime fasi». Tanto più spaventosa, aggiunge Blondet, «perché tutti i media mainstream si sono uniti alla canea di accuse, con la bava alla bocca». Uno spettacolo inquietante: «Abbiamo avuto qui una prova dal vivo della criminosa irresponsabilità e del delirio di cui sono capaci i poteri forti, della loro attitudine al pericoloso sragionare in coro dei nostri politici, come ad un segnale convenuto, obbedendo ad automatismi di cui non scorgiamo l’origine, e per questo fanno più paura». Scherza col fuoco, l’Occidente: il governo cinese ha esplicitamente giudicato con sdegno questo comportamento incivile, sul piano internazionale, da parte di europei e statunitensi. E che l’abbia giudicato allarmante lo conferma la visita a Mosca, il 3 aprile, di una delegazione cinese capeggiata dal ministro della difesa Wei Fenghe, il quale ha detto ad alta voce: «La parte cinese è venuta ad informare gli americani di quanto siano stretti i legami tra le forze armate russe e cinesi». Un linguaggio senza edulcorazioni, chiaro e netto: «Quello che Pechino giudica il solo adatto ai gangster occidentali», avverte Blondet.Il punto è che, adesso, nessuno in Europa si sta scusando con Putin per questa «delinquenziale falsità, di cui non sappiamo ancora lo scopo vero». Gentiloni e Alfano? Pur “uscenti”, si sono vilmente accodati: hanno espulso due diplomatici russi, in ossequio alle menzogne di Londra. «Mogherini e Donald Tusk, Macron e Stoltenberg, Merkel, sono in grado di ammettere pubblicamente il loro errore – peggio che errore, solidarietà in una menzogna e complicità in un “false flag”? Per aver inscenato tutti insieme, delinquenti, una provocazione gravissima che solo la fermezza e i nervi d’acciaio di Putin e Lavrov hanno evitato di far precipitare in un conflitto armato, come era probabilmente nei piani di lorsignori?». Blondet è pessimista: «Non credo sapremo mai a cosa mirassero questi delinquenti che ci governano, recitando questa scenata. Forse a preparare una rivincita in Siria? Forse ad allargare fino a rendere irreversibile la frattura fra Russia ed Europa, mira storica della “geopolitica” britannica da McKinder?». Purtroppo, aggiunge Blondet, ci sono dei precedenti «altrettanto inspiegati, risalenti al 1994.Su un aereo proveniente da Mosca, ricorda Blondet, il 10 agosto di quell’anno la polizia di Monaco di Baviera “trovò” 363 grammi di plutonio. «Ovviamente, si scatenò un attacco concertato, da parte dei politici e dei media, sul presunto “commercio del terrore” che veniva dai mal guardati reattori nucleari sovietici; da cui malviventi evidentemente trafugavano plutonio (plutonio!) da vendere sul mercato del terrore». Questo clamore, osserva il giornalista, contribuì a far vincere le elezioni ad Helmuth Kohl. Ci volle quasi un anno di tempo prima che lo “Spiegel” uscisse con la vera storia: sull’aereo russo, il carico di plutonio era stato “piazzato” dai servizi di spionaggio tedeschi (Bnd). A quale scopo? «Varie serie di “rivelazioni” e “gole profonde” non fecero altro che rendere più complesso, e infine indecifrabile, il movente: un classico metodo di insabbiamento a cui in Italia dovremmo essere abituati, da Ustica al caso Moro», scrive Blondet. «Ovviamente ed italicamente, fu messa insieme anche una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso – dopotutto sarebbe bene sapere come mai 336 grammi di plutonio fossero nelle disponibilità del Bnd – e come potete già indovinare, finì nel nulla. Il capo del Bnd fu mandato in pensione anticipata, e fu tutto».Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.