Archivio del Tag ‘Terra’
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Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli
«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti».
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Organizzare la speranza, oltre il massacro che sta arrivando
La prima notizia è che le cose vanno di male in peggio: si profila il taglio epocale del sistema di welfare sul quale si sono basati decenni di progresso e pace sociale. Decenni turbati da crisi profonde, ma con sempre una luce in fondo al tunnel: un sistema di diritti e di solidarietà garantite, nonché la fiducia in un avvenire migliore, per sé e per i propri figli. La seconda notizia forse è ancora più preoccupante: la società civile non reagisce e, per ora, si limita a subire in silenzio le spietate punizioni di massa che gli scienziati europei del “rigore” hanno commissionato a Mario Monti. Dietro la maschera del saggio guaritore incaricato di organizzare la “ripresa” mediante le più drastiche “riforme strutturali”, medicina amara ma necessaria, il tecnocrate del Bilderberg e della Goldman Sachs, esponente dell’élite finanziaria mondiale, sta inoculando nel sangue italiano tossine mortali, in grado di stroncare per decenni qualsiasi economia.
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Petrini: tutti agricoltori, per salvare il mondo dai banchieri
Dopo la battaglia per l’acqua vinta esattamente un anno fa con i referendum, è giunto il momento di far partire quella per il suolo: dobbiamo trasformarci da consumatori in co-produttori, perché il nostro modo di mangiare è il primo atto agricolo ed è in grado di cambiare un modello di produzione che ci sta portando sull’orlo del baratro. Dobbiamo scegliere i gruppi di acquisto solidale, i mercati dei produttori locali e soprattutto essere coscienti e informati per sostenere una nuova forma di resistenza. I nostri nonni stenterebbero a crederlo, siamo una società che spende più per dimagrire che per mangiare. Non ho nostalgia per il mondo antico, ma dobbiamo far tornare i giovani alla terra e al mestiere di contadino, perché c’è più saggezza e conoscenza in un contadino che in un banchiere.
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Pallante: dismisura, il nemico che si traveste da amico
Là dove c’era un mare “del colore dei pavoni”, cullato da “onde cangianti”, ora c’è l’inferno petrolchimico: raffinerie, stoccaggi e cemento, attracchi per le petroliere. E’ la costa di Priolo, venti chilometri tra Catania e Siracusa, devastata dalle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno inaugurate dal profetico patron dell’Eni, Enrico Mattei, l’uomo che aveva osato sfidare le superpotenze energetiche mondiali. Quando precipitò “misteriosamente” col suo aereo il 27 ottobre 1962 a Bascapè, sulle colline dell’Oltrepò Pavese, Mattei tornava da un viaggio-lampo in Sicilia: nel tripudio popolare, dal balcone del municipio di Gagliano Castelferrato aveva appena annunciato la nuova era del metano e del lavoro per tutti. Risultato: quel mare, ora, non è più balneabile. La colpa non è del progresso, dice Maurizio Pallante, ma della “dismisura” del cosiddetto sviluppo, il demone contro ci si batté Pasolini, che pure si appassionò (pericolosamente) al mistero della tragica fine di Mattei.
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Ribelli Usa: sovranità alimentare, riprendiamoci la terra
Bastano 150 metri quadrati di terra, coltivata ad orto: possono risolvere da soli il problema dell’alimentazione, per un anno intero, di una famiglia composta da quattro persone. Se il mondo di sfascia giorno per giorno sotto i colpi imperiali della finanza, tra le macerie di un modello di sviluppo giunto al capolinea – con l’inutile corollario del “rigore” inflitto ai cittadini da governi che non hanno soluzioni per uscire dal tunnel – la nuova frontiera del futuro ha un nome antico: sovranità alimentare. Tradotto: trovare un po’ di tempo per tornare alla terra, almeno part-time, e mettersi a coltivare l’orto. Anche nelle città? Sì, certo: e se gli spazi scarseggiano, non resta che occupare quelli liberi. Detto fatto: nel Giorno della Terra, con un atto di disobbedienza civile, centinaia di attivisti americani si sono radunati ad Albany e hanno letteralmente invaso l’Area Gill, vasto appezzamento di proprietà dell’università californiana Berkeley, finora utilizzato solo per testare pesticidi e supportare operazioni speculative.
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Miracolo, auto ad aria per tutti: il futuro comincia nel 2013
Umanesimo, ingegno al servizio dell’uomo: senza scomodare l’Italia del ‘400 e l’età aurea di Lorenzo il Magnifico, o magari personaggi come Galileo e Einstein, il dottor Fleming e Johannes Gutenberg, il più modesto ingegnere francese Cyril Guy Nègre presentò il suo gioiello, denominato “Eolo”, al Motorshow di Bologna. Era solo il 2001: l’anno dell’infame G8 di Genova, seguito a ruota dall’orrore dell’11 Settembre, il super-pretesto della grande predazione energetica mondiale, armi in pugno, cominciata in Kuwait per estendersi all’Iraq e a tutto il Medio Oriente, fino all’Iran, passando per la Libia. Parola d’ordine: petrolio. Che vuol dire, a catena: crisi, guerre, finanza “impazzita”, inquinamento, catastrofe climatica, futuro in bilico. Ha impiegato undici anni, l’ingegner Nègre – uno specialista, reduce dai box della Williams in Formula Uno – per realizzare la versione finale del gioiello: oggi si chiama “AirPod” e sarà la prima vettura ad aria compressa della storia del mondo. Costa appena un euro per cento chilometri. Emissioni: zero.
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Bunker Roy, la salvezza è scalza: ce la insegnano i poveri
Vorrei portarvi in un altro mondo, e condividere con voi una storia d’amore lunga 45 anni: con i poveri, quelli che vivono con meno di un dollaro al giorno. Sono cresciuto in India, con un tipo di istruzione molto snob, elitaria, e questo mi ha quasi distrutto. Ero pronto per essere un diplomatico, un professore, un medico: era tutto predisposto. Non sembra, ma all’epoca ero stato campione indiano di Squash, per tre anni. Tutto il mondo di fronte a me era a mia disposizione, tutto era ai miei piedi: non potevo sbagliare. Poi ho pensato che, tanto per curiosità, mi sarebbe piaciuto vivere e lavorare in un villaggio, per vedere com’era. Nel 1965 ho raggiunto quella che in India è stata definita la peggior carestia del Bihar, e per la prima volta ho vissuto la fame, la morte: gente che moriva di fame. Mi ha cambiato la vita.
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Migrazioni climatiche: ogni anno, milioni di persone in fuga
La Terra si riscalda troppo e fa avanzare il deserto oppure le acque, che sommergono intere regioni. Siccità o inondazioni, stesso risultato: un esodo biblico, con la fuga di milioni di persone, specie dalle aree sovrappopolate dell’Asia e del Pacifico, dov’è più forte l’esplosione demografica degli ultimi anni. Solo nell’ultimo biennio, secondo gli osservatori più attenti, più di 42 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. E la situazione è destinata a peggiorare: «I cambiamenti climatici aumenteranno la frequenza e la gravità di tali eventi, rendendo zone sempre più ampie inospitali e insicure per gli insediamenti umani», afferma nel suo ultimo rapporto l’Asian Development Bank. Emergenza anche economica, ad aggravare il bilancio della crisi: alluvioni, terremoti, siccità e incendi ci costano sempre di più, e la colpa è del “climate change”. Un conto salatissimo per l’umanità: 300 miliardi di euro, solo nel 2011, cioè il doppio dell’anno precedente.
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Terra nativa: macché Tav, il futuro cresce solo nell’orto
We could be heroes, just for one day. Si fa presto a dire “eroi”: definizione attribuita quasi sempre a sproposito, magari in mezzo a qualche battaglia con morti e feriti. Per fortuna non ci furono morti, nel 2005, in quel lembo di terra miracolosamente piana che s’insinua a ridosso della Francia, all’ombra di montagne altre più di tremila metri. I feriti invece non mancarono: finirono all’ospedale, travolti in piena notte dalla furia dei manganelli. Seguirono due giorni di quasi-insurrezione popolare, con in testa i sindaci in fascia tricolore, e il governo fu costretto ad accantonare il progetto. Doveva essere la prima area di cantiere per la Torino-Lione, e venne sbaraccata. «Il Comune ce l’ha assegnata in comodato d’uso, e adesso quei terreni li abbiamo seminati a grano». Il Comune è quello di Venaus, luogo simbolo della “resistenza” No-Tav, che ora si è trasferita a Chiomonte. Scampato il pericolo, Venaus ha cominciato a coltivare il futuro.
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Curzio Maltese: stop alla Torino-Lione, scandalo italiano
Se io o voi fossimo della val di Susa, probabilmente oggi saremmo sulle barricate a difendere la salute dei figli, la nostra e una terra che rischia di essere stravolta e umiliata per sempre. Già questa banale osservazione avrebbe dovuto procurare alle lotte No Tav maggior rispetto di quanto ne sia stato riservato dalla politica e dai media in questi vent’anni, ovvero nessuno. Le ironie dei giornali di destra e del conduttore di uno dei più squallidi programmi radio, “La Zanzara”, sul povero Luca Abbà, caduto mentre stava inscenando una protesta del tutto legittima e pacifica su un traliccio, meritano in pieno la reazione di Alberto Perino: «Sciacalli, jene».
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Corona No-Tav: combatterò per la val Susa, nuovo Vajont
Noi non viviamo in democrazia, viviamo in democratura: è un misto tra democrazia e dittatura. Per questo io sto con gli abitanti della val di Susa: non perché mi schiero con un colore politico o con l’altro, ma perché la ragione ce l’hanno loro che vivono quei luoghi, che sono da secoli in quella terra, che la amano, hanno sofferto, l’hanno costruita con il sangue e il sudore. Lì ci abita il cuore, non ci abita gente normale, non ci abitano corpi. E’ inaccettabile che qualcuno si arroghi il diritto di andare lì, come hanno fatto con il Vajont, e spazzare via la gente, spazzare via i boschi, secoli di cultura, tradizioni, storie. Motivazioni tecniche? Ogni omicidio ha bisogno di un movente. E chi va in val di Susa e vuole stuprarla non si rende conto di fare un danno al cuore di quella gente, non al portafogli. Per questo non riusciranno a comprare gli abitanti della valle.
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Venite a visitare il mare di gioia che non riuscite a vedere
E’ difficile raccontare il mare senza mai staccarsi da terra. Può succedere solo se il mare ce l’hai dentro di te, senza neppure saperlo: e allora i prati in fiore diventano fondali rigogliosi, i cieli scogliere ventose, i rami degli alberi trame intricate di corallo. E’ un mare di stagioni, quello dipinto dai ragazzi che dipingono sulla riva del grande fiume, proprio là dove il fiume si rassegna a salutare gli argini erbosi e ad entrare nella prigione di cemento della città. La città è Torino e la riva dei pittori coraggiosi, poeti del mare, si chiama Moncalieri: i ragazzi arrivano puntuali ogni mattina, si fanno compagnia, pranzano insieme. E poi, si mettono in ascolto: fanno silenzio, e lasciano scrosciare tutto il mare che hanno dentro. E’ un mare segreto, incontaminato. E loro lo dipingono, sfiorando un viaggio che i comuni mortali, semplificando, a volte chiamano con un nome misterioso: felicità.