Archivio del Tag ‘tagliagole’
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Terrore fai da te, il mostro sfugge al suo stesso inventore?
Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.Nella seconda fase i grandi burattinai del terrorismo mondiale hanno iniziato a godere dei frutti di ciò che avevano seminato. […] Ogni volta che era necessario, negli Stati Uniti arrivava puntuale un comunicato di Bin Laden, inteso a mantenere viva la paura nella popolazione. E quando non c’era un comunicato di Bin Laden, c’era sempre un imbecille pronto a farsi beccare con le mutande piene di esplosivo mentre si imbarcava su un aereo internazionale. Qualunque attentato succedesse nel mondo – ci veniva detto – era sempre fatto da qualcuno che era in qualche modo “collegato ad Al Qaeda”. E così sono passati gli anni, con una popolazione occidentale alla quale veniva regolarmente ricordato che esiste un “pericolo islamico”. Israele ne ha approfittato per far passare sotto silenzio la sua truculenta repressione nella striscia di Gaza. Staterelli minori magari ne approfittavano per regolare dei conti interni, facendo ricadere il tutto sotto la bandiera del terrorismo. Diversi equilibri nelle nazioni africane venivano alterati con la scusa del terrorismo. E poi naturalmente c’è stata l’Isis, che ha raccolto l’eredità di una Al Qaeda ormai logora e senza più credibilità, rilanciando in Occidente la paura dei tagliagole.E così, da un’operazione all’altra, siamo arrivati all’anno funesto 2015, nel quale sono stati perpetrati i due attentati in Francia (Charlie Hebdo e Bataclàn) che hanno stabilito definitivamente che da oggi anche noi europei dobbiamo avere costantemente paura. E gli attentati di Bruxelles hanno fatto da perfetto corollario ai primi due. Ora però questa seconda fase sembra terminata, o meglio, sembra che sia sfuggita di mano ai suoi creatori, per dare luogo ad un’ondata di attentati fai-da-te che diventa sempre più difficile da catalogare all’interno di categorie ben precise. Talmente poco ortodossi sembrano essere questi terroristi dell’ultima ora, che i media si sono affrettati ad inventare un nuovo termine: il terrorista “radicalizzato rapidamente”. Come se il terrorista fosse una specie di bibita liofilizzata contenuta in bustina, nella quale basta versare un po’ d’acqua per “radicalizzarlo” dalla sera alla mattina.In realtà gli ultimi episodi – quello di Nizza, il treno in Germania, e per ultimo la strage di Monaco – mostrano chiaramente che ormai le redini del controllo sono sfuggite a chi questo terrorismo l’aveva inventato, e gli episodi di emulazione – impossibili per loro stessa natura da catalogare – rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.(Massimo Mazzucco, “Terrorismo, è iniziata la terza fase?”, da “Luogo Comune” del 23 luglio 2016).Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.
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L’auto-golpe del boia Erdogan, ladrone e super-terrorista
“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?E allora tutti, da Obama al “Manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto.Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di Eni, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno? Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “Manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la «centralità del Parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico» (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la Cnn turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada. Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”.Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le Cnn e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’Ue,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e Ttip, tanto per assicurarci sulla «centralità del Parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico», come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino. Cosa può essere successo?Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma, davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il «ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini». Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “Manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale. Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati «la centralità del Parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico», come temeva il “Manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’Mi6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto.(Fulvio Grimaldi, “Turchia, fanno tutto da soli e sono capaci di tutto”, da “Mondocane” del 17 luglio 2016).“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.
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Magaldi: da Nizza ad Ankara, nessuno vi racconta la verità
Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.Primo capitolo, la Francia: il paese è chiaramente sotto attacco a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo, le cui indagini sono state fermate dal governo Hollande con l’apposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura parigina, della triangolazione che ha coinvolto la Dgse, cioè i servizi segreti francesi, nella fornitura di armi al commando-killer (armi slovacche, acquistate in Belgio sotto la copertura dell’intelligence). Il grande spauracchio dell’ultimo scorcio si chiama Isis? Si tratta di un paravento, sostiene Magaldi, nonché di una “firma”: Isis è anche il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor, e Hathor Pentalpha è il nome della “loggia del sangue e della vendetta” fondata nel 1980 da Bush padre quando fu battuto da Reagan alle primarie repubblicane. A quella cupola di potere, sempre secondo Magaldi, è ascrivibile la regia dell’11 Settembre, con annessa “fabbricazione del nemico”, da Al-Qaeda a Saddam Hussein: della Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, hanno fatte parte sia Tony Blair, “l’inventore” delle armi di distruzione di massa irachene, sia Nicolas Sarkozy, il demolitore del regime di Gheddafi. E inoltre lo stesso Erdogan, il massimo padrino dell’Isis.«Da fonti riservate – racconta Magaldi a “Colors Radio” – sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno». Niente di più facile che il “sultano” l’abbia semplicemente anticipato, in modo farsesco, provando a disinnescare la minaccia. Ma attenzione: «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso». Cosa manca, al puzzle? Il piatto forte: le elezioni Usa. Solo allora, cioè dopo novembre, è plausibile che il quadro geopolitico possa chiarirsi. A cominciare da Ankara: al di là del chiasso organizzato in queste ore da Erdogan, dice Magaldi, la Turchia non ha ancora deciso “cosa fare da grande”. E soprattutto: come chiudere la pratica Isis, di cui resta la principale azionista.Quanto alla strage di Nizza, si tratta della «ripetizione ormai stanca» di un copione già invecchiato, quello dei tagliatori di teste che hanno seminato il terrore – con sapiente regia hollywoodiana – tra Iraq e Siria. La dominante, oggi, si chiama caos. E nessuno – tantomeno Erdogan – sa esattamente cosa accadrà domani, ovvero: su quale configurazione di forze si baseranno i poteri forti, anche super-massonici, che finora hanno assegnato precisi spazi agli attori sul terreno, da Obama a Putin, dalla Merkel a Erdogan. Sempre secondo Magaldi, il network trasversale della super-massoneria progressista si è impegnato con successo nelle primarie Usa, da un lato lanciando Bernie Sanders per spostare a sinistra la politica della Clinton, e dall’altro utilizzando Donald Trump come cavallo di Troia per eliminare dalla corsa il pericolo numero uno, Jeb Bush, ultimo esemplare della filiera Hathor Pentalpha. Comunque vada a novembre, conclude Magaldi, gli “architetti del terrore” dovrebbero finalmente perdere terreno: la stessa Clinton si starebbe smarcando da certi legami pericolosi con i settori più opachi del potere di Washington, e Trump non sarebbe certo disponibile a coprire azioni di macelleria internazionale come quelle a cui stiamo assistendo.Una grande retromarcia, dopo 15 anni di orrori? Qualche segnale lo stiamo già avendo, dice un altro analista dal solido retroterra massonica come Gianfranco Carpeoro: a inquietare i gestori del massimo potere è proprio la recente “diserzione” di una parte del vertice planetario, non più disposto ad avallare la strategia della tensione (da Bin Laden al Califfato) promossa dall’élite neo-aristocratica, quella che ha cinicamente ideato e gestito l’austerity europea incarnata da Draghi e Merkel. Se cresce il bilancio di sangue, anche in Europa – questa la tesi – è perché il potere oligarchico si sta indebolendo e teme di perdere la sua presa. E’ di ieri lo strappo del Brexit, e la Francia resta sotto tiro anche per via del suo ruolo-cardine in una struttura antidemocratica come l’attuale Unione Europea. I tempi stanno per cambiare? Se sì, a quanto pare, non sarà una passeggiata: è saggio aspettarsi di tutto, in questa fase di incertissima transizione. Certo, dice ancora Magaldi, bisogna tenere gli occhi aperti: è impensabile che la sicurezza francese abbia potuto “dimenticarsi” di quel camion-killer, parcheggiato da giorni sul lungomare di Nizza. E forse il primo a cadere sarà proprio il capo della “democratura” turca: «Erdogan sembra forte, ma in realtà è fragilissimo». Un consiglio? Allacciare le cinture, in attesa delle elezioni Usa.Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.
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Il massone Erdogan, Hathor-Pentalpha e i ragazzi dell’Isis
Si è auto-organizzato un golpe-farsa per liquidare l’opposizione residua? Lo sospettano in molti. Ma Recep Tayyp Erdogan, leader di un paese che è il bastione della Nato in Medio Oriente nonché la principale “diga” dell’Unione Europea contro l’esodo dei migranti in fuga dalla guerra in Siria, è anche il principale fiancheggiatore dell’Isis: nei mesi scorsi, la Russia ha dimostrato che la Turchia acquistava il petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico, dopo aver allestito – di concerto con gli Usa – le retrovie logistiche dei jihadisti impegnati nel tentativo di rovesciare sanguinosamente il regime di Bashar Assad. Ma c’è altro, che i media non raccontano. Secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Erdogan milita da anni nella superloggia internazionale “Hathor Pentalpha”, ritenuta responsabile della strategia della tensione globale innescata dall’11 Settembre. Una “guerra infinita” che ha travolto Afghanistan e Iraq, Yemen, Egitto, Libia, Siria.La “Hathor Pentalpha”, scrive Magaldi, fu fondata da Bush padre all’indomani della sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane all’inizio degli anni ‘80. Definita “loggia del sangue e della vendetta”, avrebbe annoverato trai suoi membri Bush junior e la sua cerchia di potere, gli uomini del Pnac, e poi leader europei come Nicolas Sarkozy e Tony Blair, oggi sotto accusa per la montatura delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam. E tra gli esponenti di quel circolo ultra-esclusivo figurerebbe lo stesso Erdogan: il leader più vicino all’Isis, al punto da far abbattere un jet russo Sukhoi-24 impegnato nei bombardamenti contro le truppe del Califfo (e le colonne di autocisterne col petrolio jihadista diretto in Turchia). Sempre Magaldi spiega che Isis, acronimo di “Stato Islamico della Siria e del Levante”, è anche – e soprattutto – un chiaro riferimento alla dea egizia Iside, il cui secondo nome è Hathor. Un modo per “firmare”, simbolicamente, la nascita dell’armata di tagliagole messa in piedi dall’Occidente con l’aiuto della Turchia.Analisti geopolitici come Aldo Giannuli sostengono che siamo di fronte a un inizio di terremoto, con clamorosi rivolgimenti in tutta l’area. Si ipotizza ad esempio che Erdogan, incassato il sostegno popolare e avviato uno spietato giro di vite contro i dissidenti, incluso un vero e proprio bagno di sangue, possa “divorziare” improvvisamente dall’Isis, presentandosi al mondo come garante del nuovo ordine, o al contrario mettersi ufficialmente alla testa del Califfato, riportato però sotto il pieno controllo turco. Sui media rimbalzano i titoli che raccontano la crisi dei rapporti fra Ankara e Washington, ma è impossibile reperire notizie sulla militanza di Erdogan nella super-massoneria internazionale neo-aristocratica e ultra-conservatrice, quella che lavora per imporre, anche e sopprattutto con il sangue e il terrorismo, la fine della democrazia. Se il leader turco è ancora inserito in quel circuito, è difficile immaginare che le sue mosse non siano concertate con il vertice-ombra dei grandi architetti del terrore.Si è auto-organizzato un golpe-farsa per liquidare l’opposizione residua? Lo sospettano in molti. Ma Recep Tayyp Erdogan, leader di un paese che è il bastione della Nato in Medio Oriente nonché la principale “diga” dell’Unione Europea contro l’esodo dei migranti in fuga dalla guerra in Siria, è anche il principale fiancheggiatore dell’Isis: nei mesi scorsi, la Russia ha dimostrato che la Turchia acquistava il petrolio contrabbandato dallo Stato Islamico, dopo aver allestito – di concerto con gli Usa – le retrovie logistiche dei jihadisti impegnati nel tentativo di rovesciare sanguinosamente il regime di Bashar Assad. Ma c’è altro, che i media non raccontano. Secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Erdogan milita da anni nella superloggia internazionale “Hathor Pentalpha”, ritenuta responsabile della strategia della tensione globale innescata dall’11 Settembre. Una “guerra infinita” che ha travolto Afghanistan e Iraq, Yemen, Egitto, Libia, Siria.
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Da Regeni all’Airbus: demolire l’Egitto che si oppone all’Isis
Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.Con l’abbattimento dell’aereo russo s’è già persa una bella quota di quel 20%, continua Grimaldi sul blog “Mondo Cane”. «Extra bonus, uomo avvisato mezzo salvato, con riferimento a Putin e Al Sisi che al Cairo avevano firmato ampi accordi commerciali, militari e di investimenti». Della “bomba a grappolo Regeni”, «tutti si ostinano a ignorare il torbido romanzo di formazione negli Usa dell’intelligence e l’approdo alla società di spionaggio Oxford Analytica, diretta da tre specialisti del terrorismo su vasta scala: Mc Coll, già capo dei servizi britannici, David Young, ex-galeotto per il complotto Watergate e John Negroponte, sterminatore di civili in Centroamerica e Iraq con i suoi squadroni della morte. Le ricadute dell’ordigno umano sono state un’altra fetta di turismo andata e, soprattutto, un gigantesco business Italia-Eni-Egitto, attorno al più grande giacimento di gas del Mediterraneo, messo a repentaglio, forse definitivamente».Addio gas all’Italia e alla Francia. «Diversamente dall’orrido Tap (Trans Adriatic Pipeline) imposto da Shell, Obama e Renzi, che devasterà le coste del Salento e degraderà la Puglia in hub energetico europeo, ma che parte dall’amerikano e filo-Erdogan Azerbaijan (ultimamente meritevole anche per l’aggressione al filo-russo Nagorno), quel gas egiziano, insieme all’altro arabo dall’Algeria, pure malvisto, ci avrebbe dato un sacco di soddisfazioni energetiche senza deturpare nulla, ma anche senza mano Usa sul rubinetto». Sicché, «dopo aver spento la musica al valzer Egitto-Italia, era arrivato in sala da ballo il castigamatti dell’Africa francofona, il restauratore della mai dimenticata FranceAfrique in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, Rca e giù giù fino al Gabon e oltre. Ma se al clown da circo dell’orrore, Hollande, il diversivo neocolonialista dai disastri nella metropoli poteva essere consentito nella FranceAfrique (dopottutto si muoveva anche nel nome della Nato), il suo precipitarsi in Egitto a concordare con Al Sisi la sostituzione del partner francese a quello italiano costituiva invasione di campo».Intollerabile, l’attivismo francese in Egitto, per gli anglosassoni, «inventori e poi padrini dei Fratelli Musulmani e dei loro apprendisti stregoni Daish». Quanto al Cairo, il problema si chiama Abdel Fatah Al Sisi, il generale che sfrattò Mohamed Morsi su richiesta di 33 milioni di egiziani, dopo la rivoluzione del 2011 che aveva insediato i Fratelli Musulmani. Una rivolta «infiltrata e manipolata dai soliti esperti di “regime change” statunitensi perchè fingesse un superamento della dittatura di Mubaraq attraverso un regime di musulmani “moderati”». Alle presidenziali votò il 35% degli aventi diritto e solo il 17% si espresse per Morsi. «Vibranti furono le congratulazioni di Washington. L’intera amministrazione dello Stato fu occupata dai Fm. Gli assassini del presidente Sadat furono ricevuti da Morsi e messi a capo del Consiglio dei Diritti Umani. L’autore del famoso massacro di Luxor fu nominato governatore di quella provincia. Seguirono gli arresti degli oppositori laici di Mubaraq e i pogrom anticristiani. Tutte le maggiori imprese dello Stato vennero privatizzate e fu annunciata la possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, una specie di Vaticano dei Fm, sponsor dell’Isis».Morsi, continua Grimaldi, inviò una delegazione ufficiale dal capo dell’Isis, Al Baghdadi, e ordinò alle forze armate di essere pronte ad attaccare la Siria, cosa che suscitò vivissime reazioni contrarie tra i militari. Morsi rimediò inviando “volontari” a supporto dei jihadisti. Questi e altri provvedimenti innescarono quella che sarebbe stata la più grande manifestazione di massa contro un presidente egiziano. I Fratelli Musulmani reagirono con le armi e per un mese si succedettero scontri sanguinosi. Il Qatar e la Turchia di Erdogan furono i primi a denunciare il “colpo di Stato”. La guerra civile fu evitata grazie alle elezioni, boicottate dagli islamisti, e in cui Al Sisi riportò il 96% dei voti. «Da quel momento inizia la campagna degli attentati terroristici. I media occidentali parlano di arresti e condanne di oppositori. Quasi sempre si tratta di Fm responsabili degli attentati con centinaia di vittime».Chi è Abdel Fatah Al Sisi? A dispetto del terrorismo islamista, con Al Sisi l’Egitto conosce una certa pace sociale: vengono liberati prigionieri politici e ricostruite le chiese copte bruciate. Ma l’economia è a pezzi, l’ostilità dell’Occidente e del Qatar provoca isolamento. «Tanto più che il Cairo si propone come autorevole mediatore nel conflitto libico e come forza effettivamente capace di debellare, con il legittimo governo di Tobruk (che aveva vinto le elezioni ed era aperto ai gheddafiani) e il generale Haftar, i mercenari Isis spediti dalla Turchia, beneaccetti dai Fratelli di Tripoli e dai tagliatori di teste di Misurata e finanziati dal Qatar. Solito pretesto per l’intervento Nato». E non è tutto: «Con l’aiuto della Cina, imperdonabile, l’Egitto raddoppia la capacità del Canale di Suez e quindi le entrare che ne derivano. Dovrebbe essere un segmento cruciale della nuova temutissima Via della Seta e dell’interscambio tra Africa e Cina. Nell’estate del 2015 l’Eni rivela la scoperta dell’enorme giacimento di gas e di altri idrocarburi nell’area marina di Zohr, che permetterebbe al Cairo di ricavarne l’equivalente di 5,5 miliardi di barili di petrolio.Anche per questo, contemporaneamente, dilaga il terrorismo dei Fratelli Musulmani: vengono uccisi il procuratore generale della Repubblica e altri alti funzionari e magistrati. Ne segue un’ondata di arresti che fa gridare in Occidente alla brutale repressione del nuovo Pinochet. Mohammed Hassanein Heikal, il più brillante e cosmopolita giornalista egiziano, già portavoce di Nasser e direttore del primo quotidiano egiziano, “Al Ahram”, sollecita Al Sisi a denunciare la macelleria saudita nello Yemen (e difatti le truppe egiziane verranno ritirate), di sostenere la resistenza del presidente siriano Assad e di cercare un riavvicinamento con l’Iran. «A 87 anni, Heikal, che anni fa avevo intervistato per il “Nouvel Observateur” scoprendovi uno dei più colti e appassionati intellettuali arabi incontrati in mezzo secolo, muore», racconta Grimaldi, «prima che Al Sisi possa portare avanti quel discorso».Nella notte dall’11 al 12 aprile, si viene a sapere che l’Egitto ha ceduto due isolotti nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nelle stesse ore re Salman è al Cairo e annuncia investimenti per 25 miliardi di dollari. Sulle due isole, Tiran e Sanafir, si dovrebbe posare il grande ponte che, nei progetti sauditi ed egiziani, unirebbe le due coste del Golfo di Aqaba. Intanto gli Usa offrono rinnovate forniture d’armi. «Se non si riesce a far tornare Morsi, meglio provare a non lasciare campo aperto a russi, italiani, francesi, cinesi». La cessione delle isole provoca una serie di manifestazioni di protesta dei nazionalisti egiziani che si chiedono dove Al Sisi stia andando, tra Russia, Cina, Usa, Libia e Arabia Saudita. «La risposta sta nelle condizioni economiche in cui l’Egitto è stato ridotto da una guerra economica, terroristica e mediatica, partita appena il nuovo presidente è arrivato al potere e si è dichiarato ispirato da Nasser. La sua pare la mossa della disperazione prima che la società egiziana precipiti nel baratro e della nazione araba non rimangano che brandelli, spettri alitanti tra le rovine di Aleppo, nella polvere dell’ultima bomba Isis a Baghdad, tra le immagini di Gheddafi sepolte in cassetti segreti di case che non dimenticano».E mentre gli altri megafoni della demonizzazione dell’Egitto e del suo “Pinochet” si stavano acquietando, anche di fronte all’evidenza del carattere “schiumogeno” che le accuse contro gli inquirenti sul caso Regeni stavano rivelando, insieme alla «ambigua identità del giovanotto, rilevata da molta stampa estera», il “Manifesto” «accentuava il suo bombardamento di contumelie, congetture, illazioni, accuse senza fondamento», denuncia Grimaldi. «Personaggi da assegnare alle categorie degli utili idioti o degli amici del giaguaro, a seconda della percezione di ognuno, tra i quali un magistrato disertore e fallito politico come Ingroia, il compare di Sofri Manconi, vari dirittoumanisti di complemento, cantanti, nani e ballerine, invocavano sull’Egitto di Al Sisi i fulmini di Giove, Marte, Saturno, Urano, Diopadre, sanzioni, embargo, interventi Onu, magari, sotto sotto, bombe alla libica. Neanche uno di questa compagnia di giro cripto-Nato che si fosse chiesto cosa cazzo ci facesse Regeni con criminali come Young, Negroponte e McColl», conclude Grimaldi. «Non è solo malafede. E’ complicità con chi usa altri mezzi per distruggere l’Egitto. Complicità, in ogni caso, con chi è comunque peggio di Al Sisi».Cade nell’Egeo il volo Parigi-Cairo, ma il primo missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni: «Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo». E così, scrive Fulvio Grimaldi, Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile. «Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista». Risultato: il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.
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Hersh: da Hillary Clinton il gas Sarin per la strage in Siria
Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.Ne parla ora sul sito “Free Thought Project” un veterano dei marines, Matt Agorist, già operatore di intelligence nella Nsa. I preliminari: un accordo, risalente al 2012, tra Barack Obama, Turchia, Qatar e Arabia Saudita «per imbastire un attacco con gas sarin e darne la colpa ad Assad», scrive “Voci dall’Estero”. «Tutte le prove punterebbero in una direzione: i precursori chimici del gas sarin sarebbero venuti dalla Libia, il sarin sarebbe stato “fatto in casa” e la colpa gettata sul governo siriano come pretesto perché gli Stati Uniti potessero finanziare e addestrare direttamente i ribelli siriani, come desideravano i sauditi intenzionati a rovesciare Assad. Responsabile della montatura, l’allora segretario di Stato Usa e attuale candidata alla presidenza per i Democrat, Hillary Clinton». Da quando gli Stati Uniti finanziano questi “ribelli moderati”, ricorda Agorist, sono state uccise più di 250.000 persone, cui si aggiungono oltre 7 milioni e mezzo di siriani sfollati all’interno del loro paese e altri 4 milioni di siriani fuggiti all’estero. «Tutta questa morte e distruzione portata da un sadico esercito di ribelli finanziati e armati dal governo degli Stati Uniti era basata – è quello che ora ci viene detto – su una completa montatura».Seymour Hersh, giornalista Premio Pulitzer, ha rivelato che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo di Bashar Assad per l’attacco con gas sarin. Obama stava cercando di usarlo come scusa per invadere la Siria. Come spiega Eric Zuesse in “Strategic Culture”, Hersh indica un rapporto dell’intelligence britannica che sosteneva che il sarin non veniva dalle scorte di Assad. «I finanziamenti venivano dalla Turchia, e parimenti dall’Arabia Saudita e dal Qatar; la Cia, con il sostegno del Mi6, aveva l’incarico di prendere armi dagli arsenali di Gheddafi in Libia». Molteplici rapporti indipendenti, continua Agorist, sostengono che la Libia di Gheddafi possedeva tali scorte, mentre il Consolato degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, controllava una “via di fuga” per le armi confiscate al regime di Gheddafi, verso la Siria attraverso la Turchia. «Anche se Hersch non ha specificamente detto che “la Clinton ha trasportato il gas”, l’ha implicata direttamente in questa “via di fuga” delle armi delle quale il gas sarin faceva parte».Riguardo al coinvolgimento della Clinton, Hersh cita l’ambasciatore americano Christopher Stevens, morto nell’assalto dell’ambasciata Bengasi: era al corrente della “via dei ratti” per trasferire tagliagole e armi letali in Siria, ed è impensabile che non ne avesse informato il suo “capo”, cioè Hillary. Lo conferma il giornalista investigativo Christof Lehmann, che ha scoperto prove che coinvolgono il capo di stato maggiore Martin Dempsey, il direttore della Cia John Brennan e il governo saudita. Alla Clinton, poi, non mancherebbero precedenti: secondo il “Free Thought Project”, «ha legami con i cartelli criminali internazionali che hanno finanziato lei e suo marito per decenni». Oltre 5 milioni di dollari, poi, sarebbero stati versati alla Fondazione Clinton dall’Arabia Saudita. Il grande movente della guerra contro la Siria? «La costruzione di un oleodotto per il petrolio dei Saud attraverso la Siria verso il più grande mercato del petrolio, l’Europa». Al primo golpe della Cia, nel dopoguerra, risposero colpi di Stato siriani, fino all’ascesa al potere di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel 1970. Risultato: «L’oleodotto trans-arabico a lungo pianificato dai Saud non è ancora stato costruito. E la famiglia reale saudita, che possiede la più grande azienda mondiale di petrolio, l’Aramco, non vuole più aspettare».Obama, aggiunge Matt Agorist, è il primo presidente degli Stati Uniti ad aver seriamente tentato di svolgere il loro tanto desiderato “cambio di regime” in Siria, in modo da consentire la costruzione attraverso la Siria non solo dell’oleodotto trans-arabico dei Saud, ma anche del gasdotto Qatar-Turchia che la famiglia reale Thani (amica dei Saud), che possiede il Qatar, vuole che sia costruita lì. Gli Stati Uniti sono alleati con la famiglia Saud (e con i loro amici, le famiglie reali del Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman). La Russia, invece, è alleata con i leader della Siria – così come in precedenza lo era stata con Mossadeq in Iran, Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia e Yanukovich in Ucraina. Tutti rovesciati con successo dagli Stati Uniti, ad eccezione del partito Baath in Siria, quello degli Assad. Per abbatterlo, dunque, gli Usa hanno autorizzato anche l’uso di armi chimiche. E la persona che ha pronunciato il fatidico sì, secondo Hersh, era la Clinton: la donna che adesso sfida il “cattivone” Trump per la Casa Bianca.Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.
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E’ il potere a fabbricare il terrore, ma il 30% non ci casca più
La Terza Guerra Mondiale? Ci siamo già dentro: ed è cominciata l’11 settembre del 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle e quindi le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Da allora, solo guerra. Non c’è davvero altro modo per definire lo scenario di inarrestabile e devastante destabilizzazione globale, con milioni di morti e popoli in fuga, in un’aera vastissima: dall’Asia Centrale al Medio Oriente, all’Africa, fino al terrorismo finto-islamista che minaccia l’Europa. La buona notizia – l’unica – è che un 20-30% dell’umanità di sta “risvegliando”, e ha capito che non si può più fidare del sistema mainstream, politico e finanziario, economico e mediatico. E’, in sintesi, la visione fornita in questi giorni da Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, ora animatore del network “Coscienze in Rete”, che diffonde contro-informazione con particolare attenzione al profilo invisibile, anche “spirituale”, degli avvenimenti. La tesi: una piramide “nera” di potere fomenta la paura e l’odio, in ogni parte del mondo, per generare altra paura e altro odio, in una spirale senza fine.Nel corso di una lunga intervista radiofonica a “Forme d’Onda”, trasmissione web-radio, Carotenuto espone il suo pensiero in termini anche estremamente sintetici: la guerra in Siria non è che l’ultimo capitolo della grande guerra ultra-decennale contro i regimi “laici” dell’area islamica, da quello di Saddam a quello di Gheddafi. Lo strumento-cardine del “potere nero”? Il cosiddetto fondamentalismo jihadista, ieri Al-Qaeda e oggi Isis. «Tutte creazioni dell’intelligence occidentale, che ha obbligato le monarchie del Golfo – a loro volta, una creazione occidentale, recente e precaria – ad appoggiare, finanziare e armare i tagliagole dello Stato Islamico», facendo esplodere di colpo – in parallelo – anche la tradizionale rivalità tra sunniti e sciiti. Movente fondamentale: «Costruire un nuovo, grande nemico, chiaramente percepito come tale, capace di rimpiazzare il “nemico pubblico” del passato, l’Unione Sovietica». Secondo Carotenuto, «l’Occidente non impiegherebbe più di 15 giorni a sbaragliare l’Isis, ma non lo fa: perché è una sua creazione». L’obiettivo è semplice: demolire ogni residua sovranità statale e regionale oltre il Mediterraneo, e – in Europa – convincere i cittadini che dovranno accettare necessarie restrizioni, dovendo fronteggiare un nemico pericoloso, crudele, folle.«Essendo impossibile “fabbricare” un nemico anche solo lontanamente paragonabile all’Unione Sovietica, per potenziale strategico e militare – continua Carotenuto – si è scelta l’opzione più comoda, quella del terrorismo, ripescando dall’immaginario collettivo l’antica eredità delle Crociate, lo schema “cristianità contro Islam”». Suggestioni storiche ma soprattutto terrorismo, dunque: un’arma “low cost”, invisibile ma onnipresente, che può colpire a Damasco o a Parigi, «in questo caso, magari, per dimostrare – mettendo in piazza la strana inefficienza degli apparati di sicurezza francesi – la necessità di un super-Stato gendarme, ovviamente europeo, che sequestri ogni restante potere democratico nazionale». Geopolitica e terrore. E’ la tecnica del caos, quella della strategia della tensione già usata in passato, in Italia: anche allora, quando c’erano le Brigate Rosse, tanti giovani inconsapevoli sono stati manipolati, per un causa che credevano loro, ma che invece faceva parte di un disegno eterodiretto che aveva il medesimo scopo, incutere paura e legittimare i governanti al potere».Il grande obiettivo, per Carotenuto, è sempre lo stesso: impedire che si risvegli la coscienza. «Se uno “dorme”, resta nelle sue abitudini di consumo e continua a fidarsi di quello che i media gli raccontano, si abituerà a sopravvivere passando da un’emergenza all’altra, senza mai vedere che il nemico, quello vero, non è lontano da noi – e non è ovviamente musulmano». Nonostante tutto, Carotenuto scommette sul futuro: «C’è almeno un 20-30% dell’umanità che si sta letteralmente risvegliando alla verità e non cade più nell’inganno. Per questo, probabilmente, assistiamo a tanta violenza: i dominus hanno capito di averci già perso, e puntano a spaventare gli altri, quelli che “dormono” ancora. Ma è del tutto evidente che la tendenza non è a loro favore: i “risvegli” sono destinati a crescere».La Terza Guerra Mondiale? Ci siamo già dentro: ed è cominciata l’11 settembre del 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle e quindi le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Da allora, solo guerra. Non c’è davvero altro modo per definire lo scenario di inarrestabile e devastante destabilizzazione globale, con milioni di morti e popoli in fuga, in un’aera vastissima: dall’Asia Centrale al Medio Oriente, all’Africa, fino al terrorismo finto-islamista che minaccia l’Europa. La buona notizia – l’unica – è che un 20-30% dell’umanità di sta “risvegliando”, e ha capito che non si può più fidare del sistema mainstream, politico e finanziario, economico e mediatico. E’, in sintesi, la visione fornita in questi giorni da Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, ora animatore del network “Coscienze in Rete”, che diffonde contro-informazione con particolare attenzione al profilo invisibile, anche “spirituale”, degli avvenimenti. La tesi: una piramide “nera” di potere fomenta la paura e l’odio, in ogni parte del mondo, per generare altra paura e altro odio, in una spirale senza fine.
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Lo straordinario coraggio del popolo siriano parla a tutti noi
Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.Più di due anni fa, la mia ex-videoredattrice indonesiana pretese una risposta in tono alterato: «Così tante persone muoiono in Siria! Ne vale davvero la pena? Non sarebbe più semplice e migliore per i siriani mollare e lasciare che gli Stati Uniti abbiano ciò che esigono?». Cronicamente pietrificata, questa giovane donna era sempre alla ricerca di soluzioni facili per mantenersi al sicuro, e con significativi vantaggi personali. Come tanti altri oggi, di questi tempi, per sopravvivere e andare aventi, hanno sviluppato un sistema contorto che poggia su tradimenti, autodifese e inganni. Come rispondere a una domanda del genere? Era legittima, dopo tutto. Eduardo Galeano mi disse: «La gente sa quando è il momento di combattere. Non abbiamo il diritto di dirglielo… e quando lo decide, è nostro obbligo sostenerla, anche guidandola se ci avvicina». In questo caso, il popolo siriano ha deciso. Alcun governo o forza politica potrebbe imporre a un’intera nazione tale enorme eroismo e sacrificio.I russi l’hanno fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, e i siriani lo fanno ora. Due anni fa risposi così: «Ho assistito al crollo totale del Medio Oriente. Non c’era più niente in piedi. I paesi che hanno optato per la propria strada sono stati letteralmente rasi al suolo. I paesi che hanno ceduto ai dettami occidentali hanno perso anima, cultura ed essenza, trasformandosi alcuni nei luoghi più miseri della terra. E i siriani lo sapevano: se si arrendevano, sarebbero divenuti un altro Iraq, Yemen o Libia, perfino Afghanistan». E così la Siria si oppose. Decise di combattere, per sé e per la sua parte nel mondo. Ancora una volta, elesse il suo governo e si appoggiò al suo esercito. Qualunque cosa gli occidentali dicessero, qualsiasi tradimento le Ong scrivessero, la semplice logica lo dimostrava. Questa nazione modesta non ha media così potenti da condividere i propri coraggio e agonia col mondo. Sono sempre gli altri che ne commentano la lotta, spesso in modo del tutto dannoso. Ma è innegabile che, mentre le forze sovietiche fermarono l’avanzata dei nazisti a Stalingrado, i siriani sono riusciti a fermare le forze fasciste alleate degli occidentali nella sua parte del mondo.Naturalmente la Russia ne è direttamente coinvolta. Naturalmente la Cina osserva, anche se spesso nell’ombra. E l’Iran ha dato aiuto. Ed Hezbollah del Libano ha fatto ciò che descrivo spesso, una lotta epica assieme a Damasco contro i mostri estremisti inventati e armati da Occidente, Turchia e Arabia Saudita. Ma il merito principale deve andare al popolo siriano. Sì, ora non c’è più nulla del Medio Oriente. Ora sono più le lacrime che le gocce di pioggia a scendere su questa terra antica. Ma la Siria è in piedi. Bruciata, ferita, ma in piedi. E come è stato ampiamente riportato, dopo che le forze armate russe sono giunte in soccorso della nazione siriana, oltre 1 milione di siriani è potuto reintrare a casa… spesso trovando solo cenere e devastazione, ma a casa. Come le persone tornarono a Stalingrado, oltre 70 anni fa.Quindi quale sarebbe la mia risposta a tale domanda ora: “sarebbe più facile il contrario”, arrendersi all’Impero? Credo qualcosa del genere: «La vita ha un senso, è degna di essere vissuta solo se possono essere soddisfatte certe condizioni di base. Non si tradisce un grande amore, sia esso per un’altra persona o per un paese, l’umanità o gli ideali. Se non lo si fa, sarebbe meglio non nascere affatto. Allora dico: la sopravvivenza del genere umano è l’obiettivo più sacro. Non qualche effimero vantaggio o ‘sicurezza’ personale, ma la sopravvivenza di tutti noi, persone, nonché della sicurezza di tutti noi, esseri umani». Quando la vita stessa è minacciata, la gente tende a opporsi e a combattere, istintivamente. In quei momenti, alcuni dei capitoli più monumentali della storia umana sono stati scritti. Purtroppo, in quei momenti, milioni morirono. Ma la devastazione non è a causata da coloro che difendono la nostra razza umana. E’ causata dai mostri imperialisti e dai loro succubi.La maggior parte di noi sogna un mondo senza guerre, senza violenza. Vogliamo che la vera bontà prevalga sulla Terra. Molti di noi lavorano senza sosta per tale società. Ma fino a quando non sarà costruita, fino a quando ogni egoismo estremo, avidità e brutalità sarà sconfitto, dobbiamo lottare per qualcosa di molto più “modesto”, per la sopravvivenza dei popoli e dell’umanesimo. Il prezzo è spesso orribile. Ma l’alternativa è un grande vuoto. Semplicemente il nulla, alla fine, e nient’altro! A Stalingrado, milioni morirono per farci vivere. Nulla rimase della città, tranne che acciaio fuso, mattoni sparsi e un oceano di cadaveri. Il nazismo fu fermato. L’espansionismo occidentale iniziava la ritirata, all’epoca verso Berlino. Ora la Siria, con calma ma stoicamente ed eroicamente, si oppone ai piani sauditi, qatarioti, israeliani, turchi e occidentali per distruggere il Medio Oriente. E il popolo siriano ha vinto. Per quanto tempo, non lo so. Ma ha dimostrato che un paese arabo può ancora sconfiggere potenti orde assassine.(Andre Vltchek, “La Siria è la Stalingrado del Medio Oriente”, dalla rivista oline “New Eastern Outlook” del 2 gennaio 2016, ripreso dal newsmagazine “Aurora”. Andre Vltchek è un filosofo e scrittore russo, anche regista e giornalista investigativo, ideatore di “World Vltchek”, applicazione per Twitter).Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.
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Donald Trump: l’Isis deve tutto a Obama e a Hillary Clinton
«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».Grande imbarazzo, da parte dellintervistatore della Fox News, di fronte alle affermazioni di Trump «che contrastano e smentiscono tutta la falsa propaganda del Pentagono delle “guerre civili” causate dai “tiranni sanguinari” (Gheddafi ed Assad)», scrive “Sponda Sud”. Alla fine, osserva Luciano Lago sul magazine di geopolitica, «alcune verità vengono fuori anche nel marasma della disinformazione e della becera propaganda condotta dai grandi media», persino grazie a un “mostro” politico come Trump. «La guerra in Siria, realizzata mediante l’appoggio di alcuni paesi occidentali e di alcuni paesi arabi ai terroristi sostenuti ed armati dall’estero, ha causato la morte di oltre 250.000 persone fino al momento attuale», ricorda Lago su “Sponda Sud”. «La narrazione dei media occidentali aveva cercato di presentare il conflitto siriano come una “guerra civile”, ignorando il fatto che in Siria erano stati infiltrati decine di migliaia di mercenari jihadisti, di varie nazionalità, armati dagli Usa e finanziati dalle monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Qatar e Kuwait), sulla base di un progetto concepito dal Pentagono di rovesciare il regime di Assad».Obiettivo occulto degli Usa, «arrivare ad uno smembramento del paese arabo per facilitare il controllo delle risorse e creare uno stato sunnita sotto la “protezione” saudita e occidentale, isolando la parte sciita e filo-iraniana del paese». I terroristi dei vari gruppi jihadisti «erano stati inizialmente addestrati in appositi campi creati dalla Cia nel 2012 in Giordania, successivamente in Turchia, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Bashar al-Assad, giudicato ostile agli interessi degli Usa e delle potenze regionali come (fra gli altri) l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia», continua Lago. «I servizi di intelligence Usa già da anni avevano finanziato i gruppi radicali sunniti della Siria per sobillare un conflitto inter-confessionale e provocare una rivolta popolare all’interno del paese». A questo scopo «avevano fatto infiltrare, nel 2011, diversi loro agenti con il compito di creare scontri a fuoco ed episodi di rivolta, in modo da screditare il governo di Assad e provocare una rivolta popolare».Le cose però non sono filate lisce: il piano ha trovato un forte ostacolo nella resistenza della popolazione siriana e nella dura reazione dell’esercito di Damasco «contro i gruppi terroristi inviati dall’estero, veri e propri tagliagole al servizio dei monarchi sauditi». Anche la creazione dello Stato Islamico e del suo esercito jihadista, sembra certo che abbia trovato la collaborazione della Cia, della Dia e dei servizi israeliani, prosegue Lago. Il tutto sotto la copertura degli Usa, «interessati a creare il pretesto per l’intervento militare della Nato e per attuare il piano di divisione dei due paesi-chiave della regione, Siria e Iraq, entrambi collegati con l’Iran». Poi è arrivato l’intervento militare russo, iniziato il 30 settembre. La mossa di Putin «ha guastato i piani del Pentagono, oltre a quelli dell’Arabia Saudita e della Turchia che già contavano di spartirsi il territorio e le risorse della Siria». L’intervento russo «ha impedito il crollo del regime siriano e ha imposto un alt all’avanzata dello Stato Islamico che, in teoria, le potenze occidentali dichiaravano di voler combattere ma che contava su forti complicità e sul patrocinio delle monarchie del Golfo».«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».
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Mini: tutto quello che non ci dicono, sul Califfo Al-Baghdadi
Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.Questo profilo collima con la descrizione dei guardiani del campo di detenzione statunitense di Camp Bucca che lo ebbero ospite nel 2004. Secondo i registri del Pentagono la Commissione di revisione e rilascio lo propose per la liberazione alla fine dello stesso anno in quanto “prigioniero di basso livello”. Altre fonti, tra cui le dichiarazioni del colonnello Kenneth King già comandante di Camp Bucca affermano che Al-Baghdadi fu detenuto dal 2005 al 2009. Nei centri di detenzione come Camp Bucca e Camp Addler stazionavano comuni cittadini, delinquenti e attivisti islamici. Al-Baghdadi non sembrava appartenere a questi ultimi. Tuttavia in quel periodo nasceva l’esigenza americana di organizzare milizie sunnite per contrastare il nascente potere sciita in Iraq. Furono addestrati centinaia di ex miliziani, militari ed ex agenti segreti di Saddam Hussein. Nei luoghi di detenzione furono reclutati jihadisti, mercenari e soprattutto sunniti in funzione antisciita.Inoltre, una buona parte degli internati iracheni rilasciati dalle commissioni di verifica furono arruolati nelle file degli stessi gruppi di fuoco e d’informatori al servizio degli americani o delle compagnie private di sicurezza. Di fatto, quando gli americani iniziarono a sostenere e organizzare le bande anti Assad in Siria, alcuni gruppi jihadisti come Al Nusra si trovarono mescolati ai militari siriani defezionisti, ai ribelli organizzati e ad altri gruppi di tagliagole. Non è detto che avessero un centro comune al quale rispondere, ma non era neppure necessario. Avevano l’addestramento per fare da soli in nome di chiunque. Se Al-Baghdadi non fu arruolato e indottrinato non si capisce cosa gli abbiano dato da mangiare, bere e fumare perché improvvisamente un predicatore da quattro soldi o un oscuro impiegato diventa un genio.Si dice che nel 2006 (mentre era in galera) fosse membro del comitato sharia dei Mujiaheddin dell’Msc che in quell’ anno divenne Isi: emanazione di al Qaeda e futuro Isis o Isil. Probabilmente esercitava l’autorità all’interno dello stesso campo di detenzione. Forse era un abile mediatore e doppiogiochista. Comunque era un fenomeno. Una volta uscito, questo Al-Baghdadi assunse la direzione dell’Isi. Dal 2010 organizzò e diresse centinaia di attacchi terroristici, sfidò apertamente l’autorità di al Qaeda, assorbì i foreign fighters di Al Nusra e combattè contro le odiate milizie sciite di Muqtada al Sadr. Fu dato per assassinato nel 2012, ma le stesse autorità irachene lo smentirono. Nel 2014 cacciò da Raqqa la fazione di Al Nusra ancora fedele ad Al Qaeda e si proclamò Califfo. Apparentemente fece tutto da solo. La moglie ha ragione, non è lui.(Fabio Mini, “Cosa non sappiamo del Califfo”, dal “Fatto Quotidiano” del 5 dicembre 2015, intervento ripreso da “Megachip”).Mentre Russia e Turchia si scambiano insulti e accuse è tornata di moda la madre di tutte le accuse: il sedicente Califfo Al-Baghdadi sarebbe il prodotto “involontario” del sistema di detenzione adottato dagli americani. Avrebbe ideato e creato il mostro Isis sotto il naso dei suoi secondini. La tesi è suggestiva, ma non convince. Su Al-Baghdadi si sa poco o nulla e la stessa ex moglie appena liberata in Libano dopo uno scambio di prigionieri con Al Nusra ha dichiarato: «Dicono che sono la moglie ma io non lo so. Ho divorziato da mio marito sette anni fa», (2008?) «e non era quello che è ora». C’è da crederle. Perchè l’alternativa è credere alle biografie più o meno ufficiali e più o meno fantasiose che in realtà sembrano riferirsi a persone diverse. Prima della guerra Al-Baghdadi era forse un introverso imam in una piccola moschea di provincia, forse era un impiegato di bassa categoria, forse un ladruncolo di periferia. Un compagno all’università islamica lo definisce “insignificante”.
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L’imam filo-Pd e la fiction del terrore, da Osama all’Isis
“La verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie”. (Winston Churchill). Il livello di propaganda che emana dai media in questa grande campagna d’autunno all’insegna della strategia della tensione globale ha ormai superato ogni limite di tolleranza, per non dire di decenza. Credo che oramai questa cosa del “più la bugia è grossa e più la gente la crederà” stia loro sfuggendo di mano. La saggezza popolare, quella che, nella scritta sul muro qui sopra, sfida il nemico fantasmatico a palesarsi nel reale per un virile e decisivo fare a cazzotti, è sempre pronta a vedere la nudità dell’imperatore e ogni volta che appare un nuovo nemico già ex-amico, una nuova compagine terroristica dal nome improbabile, un nuovo babau – anche se non è ancora stato trovato un caratterista all’altezza dell’Osama Bin Laden fatto morire nell’epico finale della serie “Al Qaeda” – è sempre meno disposta a crederci. La grossezza della bugia deve diventare quindi enormità, essa si gonfia fino a che un giorno, inevitabilmente, non potrà che esplodere in faccia a coloro che l’hanno creata ed hanno continuato a gonfiarla a dismisura credendo di poterlo fare all’infinito.Si comincia a credere sempre meno alla narrazione di ogni ennesimo attentato anche se non si appartiene alla categoria dei complottisti, perché nel mondo dell’informazione mainstream 2.8, stanno esagerando, secondo me, con quella che ormai non è nemmeno più affabulazione ma pura mitopoiesi. E’ una cascata di menzogne con l’aggravante della presunzione dell’idiozia totale dell’ascoltatore. Le palle, di tutti i colori, rotolano in salotto dal televisore trasformandocelo in un’area bimbi dell’Ikea. La creazione del nemico è fatta di caratteristi ed improbabili macchiette che lo risulterebbero anche in un film di 007, dei quali ormai si lanciano al pubblico solo i pochi brandelli rimasti dopo che si sono fatti immancabilmente esplodere, tra cui sempre gli incredibili passaporti intonsi. A volte sono solo nomi senza volto, Carneadi assurti agli onori della cronaca per ancor meno del quarto d’ora sindacale. Immagini fuggenti che però rimangono bene impresse nella mente, come solo i fantasmi riescono a fare.Vogliamo parlare dei famigerati filmati dell’Isis mandati regolarmente alla Signora Katz (alla quale scommetto nessuna intelligence va a chiedere come faccia ad avere sempre il canale aperto con l’Isis)? Lì vale il trucco del “non possiamo ovviamente mostrarvene le immagini”. E’ noto che basta offrire un lieve input al nostro inconscio per farlo scatenate in immaginazioni degne del peggior incubo. All’inizio il messaggio è “Jihadi John è un terrorista islamico che ha tagliato la testa ad un prigioniero occidentale”. Poi vi fanno vedere uno vestito ed incappucciato di nero (il Babau) con un coltello in mano e il prigioniero inginocchiato. Vi descrivono cosa accade in seguito ma non vi fanno vedere ovviamente le immagini, tanto voi ve le figurate lo stesso il più crude possibile e meglio di qualsiasi Eli Roth alla regia. Una volta stabilito il collegamento islamico=tagliagole attraverso lo shock emotivo della decapitazione fantasticata, senza contare l’evocazione di un archetipo come il sacrificio umano, basterà solo nominare “Isis” o anche solo “coltello”, e tutti risponderanno correttamente con la vampata di terrore che paralizza e sconvolge e l’odio verso il boia fantasma di turno.Siamo cani infedeli, è vero, ma cani di Pavlov. Questo è nient’altro che condizionamento operante.Un arnese vecchio come il cucco ma che, a quanto pare, ancora funziona. Non so se ve ne siete accorti ma, con questi ultimi attentati interpretati dai caratteristi islamici, gli sceneggiatori globalisti dello spin-off di “Al Qaeda”, ovvero “Isis”, stanno cercando di palestinizzare l’Europa. E visto che il masterplan in Europa è il governo unico, la sbobba unica europea che governi il meticciato ingovernabile del prossimo regno delle corporation post Ttip, dopo Parigi la prossima location del tour della paura non può che essere Bruxelles. E’ ovvio che, se il terrorismo minaccia Bruxelles, ci vuole più Europa. Con la speranza forse che “sarà l’Isis a far nascere l’Europa” (“il discorso di Hollande tocca un punto cruciale: che è stata colpita l’Europa, non la Francia. E che quando si parla di confini non si parla di quelli nazionali. Forse la tragedia di Parigi può essere la svolta per il Vecchio Continente”).Un’altra cosa che non credo riusciranno a reggere in eterno, oltre le spudorate menzogne, è l’imposizione della dissonanza cognitiva tra Islam terrorista cattivo / Islam di pace e moderato. Già si fatica a capire perché, mentre si sta facendo di tutto per farci percepire gli islamici come terroristi sanguinari e tagliagole, e quindi farceli odiare, allo stesso tempo ci stiano riempiendo di islamici a strafottere, con l’obbligo di accoglierli, amarli e di non indulgere nell’islamofobia (una delle cinquanta sfumature del piagnonismo minoritario politicamente corretto). Ma come si fa? Pretenderebbero che li odiassimo (come Netanyahu, ad esempio) e allo stesso tempo li amassimo cristianamente come Papa Francesco. La percezione quantistica dell’Islam. “Ti odio e poi ti amo e poi ti amo e poi ti odio e poi ti amo”, cantava Mina, ma era una canzone. Qui siamo in guerra e in guerra non è concepibile non sapere chi è il nemico o ondeggiare nell’indeterminazione, a meno che ciò non serva a qualcuno e noi siamo solo pupazzi ammaestrati o i cani di Pavlov di cui sopra.E’ ovvio che non tutti i musulmani sono jihadisti e wahabiti e che non tutti gli imam sono come quello a Brest che insegna ai bambini che la musica è haram e che chi l’ama sarà tramutato in porco, altrimenti non esisterebbe la pregevolissima musica mediorientale.D’altra parte nelle manifestazioni di condanna degli islamici al terrorismo (dallo slogan chiaramente spin #notinmyname), nonostante il tentativo di farle passare per oceaniche dalla solita informazione che esegue solo gli ordini, si è trattato di appena 400-500 gatti tra il solito piddinume da parata ed esclusi l’omaccia della Cgil, il Landini ingolfato, il centrodestra in tracce (Casini e Cicchitto) e le istituzioni in contumacia. A Milano hanno rischiato di essere stati di più al raduno degli ex-paninari in S.Babila. Insomma il “da che parte stanno” che in guerra è di prammatica e durante la Seconda Guerra Mondiale mandò i giapponesi d’America in campi di concentramento, è ancora per noi un mistero. Perciò, quando senti l’Allahu akbar gridato dai saraceni appena sbarcati, è l’antico sangue templare che ti ribolle nelle vene o solo il timore che, una volta in Europa, l’islamico pacifico e moderato getti la maschera e vada a dar di rota alla vecchia scimitarra?Vi è un’innegabile ambiguità islamica che permette a qualcuno di manipolarla a scopo di creazione del caos. Ciò che mi sembra interessante chiedersi, a questo punto, è perché diavolo le istituzioni islamiche, più che scendere inutilmente e vergognosamente in quattro gatti in piazza in favore di telecamera, non denuncino l’evidente strumentalizzazione globalista dei suoi estremisti jihadisti a progetto per scopi che paiono servire più che altro i loro nemici storici ed il loro alleato in bisinissi l’Arabia Saudita, per non parlare dei doppiogiochisti turchi, da sempre con un piede nell’Islam e l’altro in Europa. Perché insomma queste istituzioni moderate, di pace e fratellanza, che dovrebbero rappresentare i buoni ed onesti tra i musulmani, non dicano: “Ci siamo accorti anche noi che è un grande inganno e vogliamo denunciarlo perché ci danneggia come danneggia voi”. Invece, zitti.Cari saraceni, non è che ci state credendo veramente a questa reconquista, per caso? Non crederete anche voi, spero, alla telenovela della Katz con il trailer della Tour Eiffel che crolla nel prossimo episodio? Pensate che facendo i piddini e campagna elettorale per loro, ciò possa servire alla causa del profeta? Ci costringete quindi proprio ad odiarvi, noi che volevamo solo amarvi? Perché sappiate che islamico + piddino raddoppia i punti e si completa prima la raccolta.(Barbara Tampieri aka Lameduck, “Il tempo dell’inganno universale”, da “L’Orizzonte degli Eventi” del 22 novembre 2015).“La verità è così preziosa che bisogna proteggerla sempre con una cortina di bugie”. (Winston Churchill). Il livello di propaganda che emana dai media in questa grande campagna d’autunno all’insegna della strategia della tensione globale ha ormai superato ogni limite di tolleranza, per non dire di decenza. Credo che oramai questa cosa del “più la bugia è grossa e più la gente la crederà” stia loro sfuggendo di mano. La saggezza popolare, quella che, nella scritta sul muro qui sopra, sfida il nemico fantasmatico a palesarsi nel reale per un virile e decisivo fare a cazzotti, è sempre pronta a vedere la nudità dell’imperatore e ogni volta che appare un nuovo nemico già ex-amico, una nuova compagine terroristica dal nome improbabile, un nuovo babau – anche se non è ancora stato trovato un caratterista all’altezza dell’Osama Bin Laden fatto morire nell’epico finale della serie “Al Qaeda” – è sempre meno disposta a crederci. La grossezza della bugia deve diventare quindi enormità, essa si gonfia fino a che un giorno, inevitabilmente, non potrà che esplodere in faccia a coloro che l’hanno creata ed hanno continuato a gonfiarla a dismisura credendo di poterlo fare all’infinito.
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Putin: Isis, la recita è finita. Erdogan gli compra il petrolio
«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.E’ la prima risposta, devastante, che la Russia rivolge alla Turchia dopo l’abbattimento del bombardiere Sukhoi-24 sul confine con la Siria. “Incidente” non seguito da scuse ufficiali di Ankara, che ha evidentemente cercato la rissa per sparigliare le carte sul terreno, dopo l’energica azione militare di Mosca che ha radicalmente cambiato lo scenario, mettendo in fuga l’invincibile Califfato sostenuto sottobanco da sunniti e occidentali. Mentre ora i bombardieri di Mosca volano scortati dai caccia, equipaggiati con missili aria-aria, e i cieli sono stati sigillati dallo scudo missilistico allestito dall’esercito russo (batterie di S-400 e sorveglianza speciale da parte della Flotta del Mar Nero), la Russia reagisce con misure durissime contro Ankara: bando su frutta e verdura, stop ai voli charter e ai pacchetti turistici, ripristino dei visti e divieto di assumere manodopera turca. E’ solo il primo passo, avvisa Mosca, perché la lista può essere estesa. Per ora il Cremlino evita di colpire i prodotti manifatturieri. E nulla trapela sui grandi progetti a rischio, come la prima centrale nucleare turca e il gasdotto Turkish Stream, che avrebbero ripercussioni anche sull’economia e sugli interessi geopolitici russi.Una bastonata mirata, dunque, senza danneggiare troppo l’economia. La stampa russa ipotizza contromisure turche che spaziano dal boicottaggio del Turkish Stream, che costringerebbe Mosca a rivedere la propria strategia energetica verso l’Europa, alla chiusura del Bosforo e dello stretto dei Dardanelli alle navi da guerra russe dirette in Siria, sfruttando le differenti interpretazioni della controversa legislazione marittima. Malgrado tutto, Ankara sembra però voler tentare il disgelo, non avendo percepito il sostegno dei leader occidentali dopo l’annuncio delle sanzioni russe. Evidente l’imbarazzo nell’area Nato: così come ha colpito la Turchia, l’informazione russa sul sostegno all’Isis (con dossier anche fotografici) potrebbe colpire anche gli altri sostenitori occulti del Califfato, che ora si affannano a inseguire i russi sulla via dei bombardamenti, dopo aver sostenuto per anni, sottobanco, la guerra del Califfo per rovesciare Assad e ridurre la Siria come la Libia. Qualcosa è cambiato, dopo lo storico accordo tra Obama e l’altro grande sponsor della Siria, l’Iran. Licenziato il generale Allen, che dirigeva il sostegno americano all’Isis, Obama ha dato il suo ok all’intervento militare di Putin.Nessuno, peraltro, si aspettava che Mosca mettesse in campo una tale potenza di fuoco, e con tanta celerità. Tutti spiazzati, gli ex “amici” dell’Isis, a cominciare da Israele, che ha regolarmente bombardato le milizie libanesi di Hezbollah impegnate in Siria contro il Califfato. Secondo svariati osservatori, proprio il progressivo venir meno del sostegno occulto allo Stato Islamico può aver generato tensioni e ricatti, dalla strage di Parigi contro la Francia di Hollande alle possibili minacce contro Erdogan, grande “padrino” dell’Isis attraverso la frontiera-colabrodo fra Siria e Turchia, comodamente utilizzata dai jihadisti per trovare ripario, ottenere armamenti e finanziarsi attraverso il traffico di petrolio. Ora, l’ennesima svolta di Mosca – l’offensiva mediatica, dopo quella militare – mette a nudo la farsa che ha finora tenuto in piedi l’Isis, che utilizza vasta manovalanza da paesi portati alla disperazione dalle guerre occidentali ma è stato lasciato crescere impunemente solo per un cinico calcolo. Il sacrificio del jet russo abbattuto (dopo quello dell’altro aereo, il volo di linea fatto esplodere sul Sinai, con più morti di quelli nelle strade di Parigi) ha indotto Mosca a cambiare passo. La recita è finita. Chi ha organizzato e sostenuto l’Isis, d’ora in poi, dovrà aspettarsi di tutto.«La coalizione guidata dagli Usa ha iniziato a sorvolare i cieli di Iraq e Siria un anno prima dell’inizio delle nostre operazioni militari: sono convinto che abbiano visto tutto», dice il ministro degli esteri russo, Sergeij Lavrov. Hanno “visto tutto” (il traffico di petrolio dal territorio controllato dall’Isis alla Turchia) ma «non hanno fatto nulla, per qualche ragione sconosciuta». E’ un colpo da ko quello sferrato da Putin il 2 dicembre 2015: la Russia esibisce prove, anche fotografiche e satellitari, del traffico di petrolio che l’Isis trafuga e rivende in Turchia per finanziarsi. E al vertice del business inconfessabile c’è la famiglia Erdogan, l’oligarca alla guida di Ankara (paese Nato) e il figlio, Bilal. Entrambi, accusa Mosca, fanno lucrosi affari coi tagliagole del Califfato, come sostiene il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov. Per la prima volta, viene strappato il velo sui “misteri” dell’Isis: quello che già si sapeva diventa verità ufficiale: non solo la Cia ha sempre sostenuto lo Stato Islamico insieme alla Francia e agli alleati del Golfo, sauditi e Qatar in primis, ma l’altro grande alleato, la Turchia, vede coinvolta la famiglia presidenziale nello scandalo del contrabbando di greggio.