Archivio del Tag ‘sviluppo’
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Lupi farà la guardia ai cantieri Tav, alla faccia della crisi
Il superministero di Corrado Passera non c’è più. Forse per esigenze di spartizione, forse per presa d’atto dei fallimentari risultati del banchiere prestato alla politica, Enrico Letta torna all’antico, separando sviluppo economico da infrastrutture e trasporti. Sul primo spezzone chiama il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, bersaniano per fede politica e anche per riconosciuto pragmatismo. Sul secondo lascia accomodare Maurizio Lupi, 53 anni, uomo di Cl, da sempre vicinissimo a Roberto Formigoni e alla Compagnia delle Opere. La nomina di Lupi caratterizza il governo Letta in modo netto: chiude la strada a ogni ripensamento sulla politica delle grandi opere. L’ex assessore milanese è sempre stato schieratissimo in favore di ogni iniziativa che abbia un significativo contenuto di cemento. Il Tav prima di tutto, ma anche il ponte sullo Stretto di Messina, il Mose di Venezia, strade e autostrade e via elencando.
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Italia, potenza scomoda: dovevamo morire, ecco come
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
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Nato e Bce, con tanti saluti all’Italia (e minacce a Grillo)
Dall’ultra-atlantista Emma Bonino, pronta a tutte le più sanguinose guerre decise da Washington, all’ultra-europeista Fabrizio Saccomanni, direttore di Bankitalia con esperienze sia alla Bce che al Fmi, dopo gli studi alla Bocconi e alla Princeton University. Due ministri-chiave, esteri ed economia, già delimitano in modo inequivocabile il perimetro del secondo “governo Napolitano”, con Letta premier e Alfano vice, più altri mestieranti della nomenklatura: Gaetano Quagliariello alle riforme, probabilmente per una legge elettorale anti-Grillo e un presidenzialismo all’italiana, Maurizio Lupi a infrastrutture e trasporti (leggasi: Tav Torino-Lione), nonché il redivivo Dario Franceschini (rapporti col Parlamento) e i “presentabili” Nuzia De Girolamo (agricoltura), Beatrice Lorenzin (sanità) e l’ex sindaco padovano Flavio Zanonato (sviluppo). Ministri-vetrina: la campionessa Josefa Idem (sport), il direttore della Treccani, Massimo Bray (cultura), il presidente dell’Istat Enrico Giovannini (altro“saggio”, ora incaricato di gestire lavoro e welfare) e la italo-congolese Cécile Kyenge, medico e primo ministro di colore nella storia italiana, delegata all’integrazione.
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Colombo: crescita o decrescita? Pagano solo i poveri
Abbiamo aspettato la crescita come un Messia salvatore sotto forma di prodotti, di vendite, di profitti, di lavoro che torna, una terra promessa per la quale bastano alcune leggi, alcune sagge mosse di governo, alcuni sacrifici, magari duri ma necessari, che ti traghettano sulla parte salva del mondo. Su una sponda la corsa della civiltà lascerà indietro i neghittosi di un mondo antico e obsoleto che vogliono garanzie prima di dare. Sull’altra il mondo orgoglioso del nuovo profitto e del nuovo reddito, dove ognuno è protettore di se stesso, dunque affidabile. Chiaro? C’è qualche dubbio. «In tutti i casi la ricetta economica che ne discende è brutale: per avere crescita occorre più disuguaglianza, perché solo più disuguaglianza è in grado di imprimere il necessario dinamismo alla società. Tutto ciò spiega perché la parola eguaglianza – che pure figura, insieme a libertà e a fraternità tra le categorie chiave della modernità – sia caduta così in disuso nel lessico contemporaneo, compreso quello della sinistra».
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Cancro, lezione dall’India: vietato lucrare sui medicinali
Collassati sul nostro ombelico come siamo dal giorno del risultato elettorale rischiamo di non accorgerci di quel che succede nel resto del mondo e di andare alla deriva come un frammento di pack quando si stacca dal mare di ghiaccio artico e lentamente, ma inesorabilmente, si scioglie trascinando a fondo i naufraghi che vi fossero sfortunatamente rimasti aggrappati. Così bisogna essere ascoltatori assidui di “radiotre-mondo” o “radiotre-scienza”, o lettori attenti e selettivi di quanto di più autorevole offe la rete, per aver saputo che – (oltre che sulla vicenda tragica ma dai risvolti sempre più grotteschi dei marò) la corte suprema di New Delhi è stata chiamata a pronunciarsi in questi giorni su di una vicenda che ha ben più ampi risvolti etici, politici e sociali.
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Stipendi da 250 euro: le multinazionali ricattano la Grecia
Stipendi mensili di 250-300 euro, solo per il lavoro part-time e modifiche nel diritto del lavoro per evitare di incorrere al pagamento degli indennizzi. Questa proposta è stata annunciata durante un incontro tra il ministro greco dello sviluppo economico Kostis Chatzidakis e i delegati di undici società multinazionali, tra cui Barilla, Bic Violex e Nestlé. Secondo l’edizione domenicale del “To Vima”, agli occhi dei dirigenti delle multinazionali, un’ulteriore riduzione degli stipendi sarebbe un prerequisito per l’incremento della competitività. «Investiremmo molto di più, se la Grecia fosse più propensa agli investimenti», hanno dichiarato all’unisono gli undici dirigenti, chiedendo una limitazione delle pratiche burocratiche, una riduzione dei costi energetici e una semplificazione delle procedure per svolgere le attività produttive. Tuttavia, i dirigenti hanno sorpreso il governo greco quando hanno sollevato la questione di un’ulteriore riduzione degli stipendi, in modo particolare per i giovani disoccupati.
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Futuro sostenibile: lavoro, terra e denaro non sono merci
Lavoro, terra e denaro: tre cose che, se diventano “merce”, decretano la fine del sistema sociale ed economico. Difatti, eccoci qua: globalizzazione, delocalizzazione delle produzioni, precarizzazione del lavoro, diseguaglianze crescenti, finanziarizzazione del comando capitalistico. Debito, pubblico e privato, come strumento di imbrigliamento della società, della politica e del lavoro. E poi guerre, crisi e insicurezza come condizione umana permanente. Fino a quarant’anni fa i meccanismi portanti dell’accumulazione del capitale erano stati il mito dello sviluppo economico e la crescita di salari, consumi e welfare: una sintesi di fordismo e politiche keynesiane governata con la continua espansione della spesa pubblica e l’intervento dello Stato nell’economia. Non era un mondo perfetto, come provvide a ricordare la grande contestazione del ’68. E oggi? Stiamo ancora peggio. E siamo alla vigilia di un nuovo, clamoroso cambio di paradigma: sarà valido soltanto ciò che potrà essere sostenibile.
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La profezia di Godley: con l’euro, nazioni ridotte a colonie
Poi non dite che non ci avevano avvisati. L’euroscettico Wynne Godley lo fece, in modo perentorio, a partire dal lontano 1992, al momento del varo del Trattato di Maastricht. Tesi: senza un governo democratico federale, l’Europa affidata solo all’euro e alla Bce è fatta apposta per portare le sue nazioni al collasso economico. Perché, senza un potere di spesa illimitato e “pronta cassa”, alla prima crisi seria si spalancherà l’inferno delle austerità e le economie più deboli cominceranno a soccombere, andando incontro alla catastrofe sociale. Godley non era un profeta, ma semplicemente un economista democratico: «Se un paese o una regione non ha alcun potere di svalutare – scriveva nel ’92 – e se questo paese non è il beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora un processo di declino cumulativo e terminale sarebbe inevitabile e condurrebbe, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà e alla fame».
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Cremaschi: fallito l’euro, stracciamo i trattati del rigore
Prima di discutere se e quanto durerà l’euro, su cui si abbattono le alterne vicende delle Borse e dello spread, sarebbe necessario misurarsi con il fallimento sociale e politico della moneta unica. Diamo pure credito alle buone intenzioni, quelle di cui è lastricata la via che conduce all’inferno. Sicuramente i governi italiani ed europei, soprattutto di centrosinistra, che hanno partecipato alla costruzione dell’euro pensavano così di contribuire alla unificazione democratica del continente. La moneta unica unificherà paesi che si sono combattuti per secoli e alla fine porterà agli Stati Uniti d’Europa. L’Italia avrà solo da guadagnare ad avere la stessa moneta dei paesi più ricchi ed efficienti del continente, ne riceveranno giovamento i conti pubblici, il sistema produttivo e finanziario, la stessa efficienza della pubblica amministrazione.
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Atene, tecnocrati Ue nel panico: vietato farsi riconoscere
Atene come Kabul: ormai è zona di guerra, almeno per i funzionari dell’Unione Europea. Che hanno ricevuto istruzioni sconcertanti: stare lontano dalle piazze, rintanarsi in casa, sprangare le finestre. E soprattutto: non farsi riconoscere come funzionari di Bruxelles, perché sarebbe pericoloso: «Attenzione a documenti, badge di identificazione o altri oggetti che dimostrino l’affiliazione di primo piano alle istituzioni europee». Lo rivela il giornale “To Vima”, che ha reso pubblico l’incredibile vademecum distribuito dalla Commissione Europea ai suoi uomini in missione nella capitale ellenica: evitare le “zone calde” e le manifestazioni, anche a costo di dover annullare riunioni importanti. Letteralmente: «Non stare dietro le finestre o sul portone di un palazzo per guardar passare il corteo: la vostra presenza potrebbe provocare una reazione aggressiva da parte dei manifestanti». E ancora: «Chiudere le finestre della stanza, in modo da non essere soggetti a possibili usi di gas lacrimogeni da parte della polizia». E restare anonimi, come gangster latitanti o spericolati 007 in territorio nemico.
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Cremaschi: questi sindacati non servono più a nessuno
Scomparsi, proprio mentre c’è più bisogno di loro: «Bisognerebbe forse rivolgersi a “Chi l’ha visto?” per avere notizie dei gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Uil», i grandi sindacati ormai spariti anche dallo spettacolo mediatico, dopo aver puntato sulle elezioni: «La Cisl è stata promotrice della lista Monti, mentre la Cgil ha investito tutto sulla vittoria di Bersani». Sindacati da rottamare? Dopo la boutade di Grillo, spara senza pietà sulle grandi confederazioni lo stesso Giorgio Cremaschi, già leader della Fiom, da tempo critico contro gli ex colleghi: si sono buttati in politica in un tentativo disperato di affrontare la crisi del sindacalismo, «che ora sta precipitando dopo anni e anni di scivolamento verso il basso». Tentativo fallito, peraltro, «perché un gran numero degli iscritti alle loro organizzazioni non li ha seguiti e ha votato “5 stelle”», non “fidandosi” più di quelle che ormai appaiono soltanto nomenklature, timide nella denuncia di una crisi devastante, che sta provocando l’estinzione del lavoro e una inaudita catastrofe sociale.
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Lo spassoso governo Santoro, con Zingales all’economia
C’è un pigia pigia impudico per inserirsi nel vuoto lasciato dalla tremenda spallata che il movimento di Beppe Grillo ha assestato al sistema dei partiti. Michele Santoro, che evidentemente ha un alto concetto di sé, ha proposto un suo governo che, a sentir lui, dovrebbe essere sostenuto dal M5S e dal Pd. Premier Stefano Rodotà, interni Anna Maria Cancellieri, difesa Fabio Mini, istruzione Milena Gabanelli, welfare Maurizio Landini, sviluppo Fabrizio Barca, economia Luigi Zingales e via elencando. Ancora un passo e Santoro si sarebbe autonominato premier o, almeno, ministro delle comunicazioni. A sentir questi nomi nel programma televisivo condotto da Paola Saluzzi, Paolo Flores d’Arcais si è illanguidito, inumidito quasi fino alla lacrime: «Sarebbe un governo meraviglioso», ha mormorato, in estasi. Invece la proposta di Santoro è grottesca, in sé e nei designati, peraltro incolpevoli.