Archivio del Tag ‘svendita’
-
Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
-
Non morì in croce e aveva 43 anni: l’altro Gesù, quello vero
Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità.E’ la possibile, vera storia di Yehoshua di Gàmala, poi ribattezzato Gesù di Nazareth (villaggio che all’epoca probabilmente non esisteva ancora), secondo l’affascinante ricostruzione che il biblista Mauro Biglino fornisce insieme a Francesco Esposito, studioso del cristianesimo delle origini. Ne parlano nell’avvincente saggio “Dei e semidei”, che esplora “il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”. A differenza dei negazionisti, anche autorevoli, che escludono categoricamente la reale storicità del personaggio, i due ricercatori sono propensi a credere che quel “rabbi giudeo messianista”, poi trasformato nella fonte stessa del successivo cristianesimo, sia realmente esistito. Doveva essere un individuo temerario, capace di sfidare il peggior potere: cioè le armi dei colonialisti romani e quelle dei loro alleati e collaborazionisti, i vari Erode e la potente casta sacerdotale del Sinedrio di Gerusalemme. Caduto il Tempio nel 70 dopo Cristo, quella stessa nomenklatura (che era stata capace di denunciare a Pilato il rivoltoso) finirà poi per trasferirsi a Roma, ottenendo di beneficiare di una vita dorata tra i lussi della capitale, come premio per aver ceduto all’impero l’ingente tesoro ebraico, mettendo così fine a ogni ulteriore tentativo di insurrezione nazionalistica. E proprio Roma, secoli dopo, diverrà la capitale della nuova religione.“Dei e semidei” esplora lo strano rapporto tra il futuro “Cristo” e Giovanni Battista, di cui era forse cugino. Entrambe le madri, Maria ed Elisabetta, erano rimaste incinte dopo aver incontrato “l’arcangelo Gabriele”, cioè il Ghevèr-El (ambasciatore di un El, personaggio in carne e ossa), che secondo il teologo e cardinale Jean Daniélou verrà poi chiamato “spirito santo”, nel corso della plurisecolare spiritualizzazione con cui le religioni hanno deformato gradualmente il testo biblico, ex-post, fino a introdurvi elementi mistici del tutto assenti nella versione letterale. Nell’ebraico originario, infatti, non esiste neppure la parola Dio, né l’idea stessa di divinità universale onnisciente, così come non c’è traccia dei concetti di eternità, spirito, onnipotenza. L’Antico Testamento racconta semplicemente la storia del patto stipulato tra la sola tribù di Giuda, uno dei 12 figli di Giacobbe-Israele, e l’El chiamato Yahwè, uno dei tanti Elohìm presenti nel testo. Quello che compare per primo, presentandosi ad Abramo, si fa chiamare El-Shaddài, cioè “signore della steppa” secondo la prestigiosa École Biblique di Gerusalemme, fiore all’occhiello dell’esegesi domenicana. In altri passi della Bibbia viene citato Elyòn, il capo supremo, che a un certo punto ammonisce gli Elohìm in assemblea: fate gli arroganti solo perché siete potenti e molto longevi, ma – li avverte – un giorno morirete anche voi, proprio come gli umani.Sempre la Bibbia parla spesso degli “angeli”, i messaggeri degli Elohìm. In ebraico, sono i “malachìm”. Il greco traduce correttamente il termine “malàch” con “ànghelos”, portaordini, mentre il latino – anziché adeguarsi al greco, (magari con il termine “legatus”?) – preferisce coniare il neologismo “angelus”, importandolo direttamente dalla lingua greca senza tradurlo, e preparandosi poi – nell’iconografia successiva – a sfornare angioletti alati e asessuati. Paolo di Tarso, l’inventore del cristianesimo, è il primo a scrivere – nelle sue lettere – che è meglio che le ragazze si coprano i capelli, nelle assemblee in cui sono presenti “gli angeli”, perché quei tizi poco raccomandabili non vanno tanto per il sottile, con le donne giovani. Le successive traduzioni bibliche tradiranno il testo in modo sconcertante: gli angeli cominceranno ad “apparire e scomparire”, persino a “volare con leggerezza”, quando invece la Bibbia scrive che erano fatti come noi, sudavano e soffrivano, e li si vedeva arrivare arrancando, “sfatti di fatica”. I cosiddetti arcangeli? Dal greco: angeli-capi. I “Gabriele”, per esempio: essere un “Ghevèr-El” significava avere la statura di un pezzo da novanta, che gestisce il potere per conto di un El. Fu proprio un “Gabriele”, forse addirittura lo stesso, a ingravidare (come, non si sa) prima Elisabetta e poi Maria.I loro figli, Giovanni e Yehoshua (Giosuè) secondo i Vangeli si incontrano e si conoscono benissimo: hanno lo stesso mandato, o funzioni parallele? Forse il primo ha un’investitura sacerdotale (discendente da Aronne), mentre l’altro politica, davidica (ereditata da Israele). Nelle acque del Giordano, Giovanni battezza i giudei zeloti, cioè i membri della fazione ostile ai romani: lo si capisce dai loro nomi. Ed è uno strano battesimo: razza di vipere, li chiama. E li avverte: se non cambiate subito mentalità, per voi la scure è già pronta, e i vostri corpi bruceranno nella Gheenna, o meglio il Ghe-Hinnom (la discarica lungo il torrente Hinnom, dove venivano gettati e arsi i cadaveri dei guerrieri sconfitti). In un mondo come quello giudeo, ultra-materiale e privo di qualsiasi cognizione di spiritualità – è la tesi del libro – sembra lecito domandarsi se, più che redimere “anime”, a Giovanni non interessasse reclutare guerriglieri: l’elenco dei loro “peccati”, infatti, è una sfilza di crimini cruenti (peraltro quasi esibiti, rivendicati con fierezza). Preparativi di una rivolta?Così dovette vederla Erode, che non ci pensò due volte: prima che fosse troppo tardi, fece decapitare il sedizioso “battista”. Di fronte alla cui morte, il suo alter ego Yehoshua-Giosuè pensò che era meglio cambiare aria. I testi evangelici dicono che si ritirò “nel deserto”, cioè sulle alture della Galilea, per 40 giorni. Ma probabilmente – secondo Biglino ed Esposito – la pausa di riflessione durò anni. Al suo ritorno, poi, ci mise poco e reclutare gli ex discepoli di Giovanni. Lo conoscevano già e in fondo lo aspettavano, per il grande momento: rovesciare finalmente la corrotta oligarchia del Sinedrio, che aveva svenduto il paese ai romani in cambio dei privilegi concessi dal potere imperiale. Il primo tentativo doveva essere fallito, con la cacciata dei mercanti dal Tempio. Il secondo, quello decisivo, fu preparato con l’ipotetica “resurrezione” di Lazzaro a Betania, paese d’origine della Maddalena. Il crisma del messia? Forse proprio questo doveva emergere, nell’evento raccontato come miracoloso: alla portata solo di un profeta, cioè un individuo prescelto e autorizzato a parlare e agire in nome di un El. Ma il carisma di Yehoshua, che non bastò a infiammare il popolo (che infatti non lo riconobbe come “mashiàh” e quindi non lo sostenne), fu sufficiente ad allarmare la casta sacerdotale, che provvide a denunciarlo per sbarazzarsene.Poi la storia si appanna, tra possibili doppi giochi: da un lato il presunto traditore Giuda l’Iscariota, e dall’altro l’uomo-ombra, il misterioso Giuseppe d’Arimatea, a sua volta membro del Sinedrio ma segretamente alleato dei “gesuani”, capace di reclamare il corpo del condannato e forse anche di salvargli la vita, tirandolo giù dalla croce in extremis e poi facendolo curare. Ricostruzione coerente? Sì, ma solo se “facciamo finta” che quella storia sia realmente accaduta, dicono Biglino ed Esposito: le tracce disponibili sono davvero esigue e frammentarie. Stando al gioco, gli autori prendono per buoni i Vangeli canonici, facendoli però letteralmente a pezzi: inevitabile, perché offrono versioni lacunose e discordanti, spesso inverosimili. L’ipotetico puzzle si completa solo attingendo ad altri testi, come i Vangeli apocrifi e gli scritti di storici come Giuseppe Flavio. “Dei e semidei” resta una lettura complessa, che procede con la massima cautela in una selva di citazioni, con il supporto di decine di autori e non meno di 90 volumi puntualmente chiamati in causa. «Restiamo nel campo legittimo delle semplici ipotesi», ammettono alla fine i due studiosi, la cui unica sicurezza è «la non certezza del dato tradizionale». Nel corso dei secoli, infatti, la tradizione «ha volontariamente coperto, attraverso sempre più complicate elaborazioni teologiche, quella che può essere una storia semplice e allo stesso tempo affascinante».E’ questo, infatti, il vero cuore del libro: con estrema accuratezza, dimostra come si sia potuti arrivare a fabbricare un culto che ha cambiato la storia dell’umanità, pretendendo di poggiarlo su documenti solidi ma in realtà franosi, se non inesistenti. La vicenda dell’aspirante messia ebraico? Umanissima, e affrontata dagli autori con profondo rispetto. Non senza rilevarne, però, le patetiche contraddizioni – non del messia, ma dei successivi narratori (evidentemente infedeli). Si racconta ad esempio che ad essere giustiziato sul Golgota fu un personaggio fenomenale, sovrumano, capace di ridestare i defunti. Ma chi sarebbe così pazzo – si domandano gli autori – da condannare un individuo capace davvero di resuscitare i morti? Non sarebbe meglio pregarlo, cortesemente, di resuscitare tutti? E allora dove sta l’inghippo? Nella datazione delle opere. Tutti i Vangeli – i cui reali autori restano tuttora sconosciuti – sono di gran lunga successivi alle famose lettere di Paolo, vero punto di partenza della nuova fede. A coniare quella religione, decenni dopo la crocifissione, è stato l’autoproclamatosi apostolo di Tarso, che però il messia non l’aveva mai conosciuto. Va da sé che i “gesuani”, gli autentici seguaci di Yehoshua, andassero su tutte le furie, nello scoprire che Paolo spacciava per vera una storia che s’era inventato da capo a piedi. Da quella narrazione di fantasia, purtroppo, nacquero in seguito i testi evangelici.Davvero uno strano cristiano, San Paolo: un perfetto politeista. «Sappiamo che vi sono molti dèi», scrive, «ma noi ne seguiamo uno solo». Dunque la sua era monolatria, non certo monoteismo. Ebreo colto, Paolo conosceva la Bibbia. Ma sapeva che il pubblico delle sue lettere – greco e romano – non sapeva leggere l’ebraico. E così ebbe buon gioco nell’inventare la fiaba che sarà poi Sant’Agostino a perfezionare. Si racconta infatti che Adamo ed Eva fossero addirittura immortali, prima del peccato originale. Si sa perfettamente che non è vero, e gli ebrei sanno anche che – nell’Antico Testamento – il peccato originale non esiste: la cacciata dall’Eden è preventiva, non punitiva, dopo che Adamo ed Eva hanno scoperto di poter avere una loro discendenza virtualmente autonoma dai guardiani del “giardino”. Ma peggio: Paolo di Tarso si mette a parlare del rabbi messianista (che non ha mai conosciuto) raccontando che aveva a cuore le sorti dell’intera umanità, non solo quella del suo popolo. Nasce qui il primo germe del geniale universalismo cattolico: la speranza della vita eterna offerta a tutti, indistintamente, proviene dall’esclusiva creatività letteraria di Paolo. Ed è qui che il contrasto coi “gesuani”, indignati, diventa insanabile: chi ha vissuto con Giosuè, standogli accanto fino alla fine, non può tollerare che sul suo conto vengano impunemente spacciate simili fandonie.Ma neppure Paolo arriva, da subito, all’idea della resurrezione: vi perviene in corso d’opera, per necessità, quando – con crescente impazienza – i nuovi fedeli gli chiedono come mai il famoso messia non sia ancora tornato, instaurando il nuovo regno (terreno) che aveva promesso, dandolo per imminente. Al che, il teorico del cristianesimo comincia a parlare di “regno dei cieli”, garantendo la sicura resurrezione anche dei primissimi fedeli, nel frattempo defunti insieme alla loro speranza di fare in tempo a veder ritornare, gloriosamente, il “salvatore”. La cui identità ufficiale, comunque – aggiungono sempre Biglino ed Esposito – verrà definita soltanto tre secoli dopo, al Concilio di Nicea, nel quale sarà l’imperatore Costantino a imporre un canone teologico univoco ai tanti cristianesimi dell’epoca. La religione imperiale nasce quindi politicamente, per votazione: dopo aver tentato di sbarazzarsene con le persecuzioni (4-5.000 vittime), il potere romano ha capito che è meglio farseli amici, i cristiani, dal momento che sono destinati a conquistare il popolo, essendo gli unici a promettere a tutti l’impensabile, cioè la resurrezione dalla morte.Nei primi due secoli, però, l’antico rabbi messianista ebraico – nel frattempo ribattezzato Gesù Cristo – è tante cose insieme, l’una in contraddizione con l’altra: risorto o non risorto, morto sulla croce o non morto, figlio di Dio o emanazione di Dio stesso, oppure un semplice profeta, o meglio ancora un semidio come tanti. «In passato ne furono inviati sulla terra anche 70 per volta», scrive Celso, citando i cristiani (che combatte). Un autore ultra-cristiano come il filosofo e poi martire Giustino, futuro Padre della Chiesa, spiega invece all’imperatore Antonino Pio che, in fondo, Gesù di Nazareth è fatto della stessa pasta di tutti gli altri semidei: «Non è che uno dei tanti figli di Zeus», nientemeno. Tracce evidenti, annotano Biglino ed Esposito, del lungo viaggio – da Oriente a Occidente – compiuto dalle cosiddette “sacre scritture”, incessantemente ritoccate e manipolate, fino al medioevo, per adeguarle agli umori culturali delle varie epoche. Atto d’inizio: il ritorno del popolo ebraico dall’esilio babilonese, all’alba del 500 avanti Cristo. Già allora si rompe l’integrità della tradizione mosaica, strettamente materialista, quando nutriti gruppi di ebrei – anziché tornare in Palestina – si disperdono ai quattro angoli del Mediterraneo, assorbendo gradualmente la cultura ellenistica, impregnata di filosofia greca.Il colpo più grave alla tradizione veterotestamentaria è inferto dalla Bibbia dei Settanta, redatta nel III secolo avanti Cristo dagli ebrei riparati in Egitto nella colonia ellenica di Elefantina: scritta in greco e destinata al pubblico non ebreo, la Septuaginta inaugura la consuetudine delle traduzioni più arbitrarie e spericolate, spiritualizzando il testo, in un’operazione che poi contaminerà la stessa Bibbia in latino. Ancora oggi, per molte comunità ebraiche come quelle italiane, il lavoro dei Settanta è considerato «una disgrazia, per l’umanità». E’ in quelle pagine, infatti, che il Khavod (il velivolo bellico di Yahwè) diventa “doxa”, insegnamento, mentre il Ruach (astronave?) si trasforma magicamente in “pneuma”, spirito. A suggerire l’ipotesi delle “macchine volanti”, pericolose e fragorose, Biglino arriva per deduzione, leggendo in modo coerente il contesto degli episodi narrati nell’Antico Testamento, in cui questi “oggetti misteriosi” agiscono. In ogni caso, in ebraico – alla lettera – Khavòd significa “pesante”, e Ruach “vento”. Eppure, con la Septuaginta, si dà fiato alle traduzioni di fantasia (anima, conoscenza) in omaggio alla cultura egemonica dell’ellenismo, in un paesaggio dominato da divinità olimpiche e mitologie letterarie, platonismo filosofico e spiritualità misterica e gnostica.Tutte espressioni culturali estranee all’ebraismo originario, adottate – con la riscrittura integrale della Bibbia – per indurre egiziani, romani e greci ad accettare gli ebrei della diaspora come depositari di una tradizione culturale altrettanto antica, e per di più allineata alla temperie religiosa del momento. Nulla, comunque, in confronto alla surreale distorsione teologica dell’Antico Testamento condotta per quasi un millennio, dai primi secoli fino al medioevo, dai Padri della Chiesa. Erano alle prese con una missione impossibile: far discendere “Gesù” dal presunto “Dio unico” dell’Antico Testamento. «Come ci sono riusciti? Facendo come se la Bibbia non esistesse proprio, cioè infischiandosene del contenuto ebraico e del suo significato originario», spiegano Biglino ed Esposito. Stessa sorte per Giosuè, alias Yehoshua di Gàmala, cittadina del Golan forse depennata fin dall’inizio per allontanare collegamenti indesiderati, visto che proprio Gàmala – roccaforte degli zeloti anti-romani – era stata un importante centro della resistenza militare ebraica contro l’invasione imperiale.Nessun rispetto, sottolineano gli autori di “Dei e semidei”, per il futuro protagonista dei Vangeli. E’ stato infatti impunemente trasformato, all’occorrenza, da rabbi giudeo messianista a salvatore del mondo, passando attraverso stadi intermedi: “logos” gnostico, oppure rassicurante semidio, perfettamente sovrapponibile alle altre divinità del periodo, adorate dai pagani, allora largamente maggioritari. La situazione si sarebbe invertita solo con l’Editto di Teodosio del 380 dopo Cristo, quando i neo-cristiani avrebbero potuto cominciare a perseguitare con ferocia, anche compiendo stragi efferate, i seguaci del paganesimo. I nodi, comunque, secondo Esposito e Biglino stanno venendo al pettine, sia pure con lentezza. Uno dei “cerotti” storicamente usati per tenere insieme Antico e Nuovo Testamento si è appena scollato: è il caso della presunta profezia “cristica” di Isaia, in realtà inesistente, con cui si pretendeva di sostenere che la Bibbia ebraica anticipasse l’avvento del redentore.“La vergine concepirà”, si traduceva fino a ieri, lasciando intendere che il sommo profeta ebraico alludesse a Maria e Gesù. Ora è emersa anche ufficialmente la traduzione corretta, recepita in primis dai vescovi tedeschi: “La ragazza è incinta”, si legge ora. Dunque non era vergine (si scriverebbe “betulà”, in ebraico), ma semplicemente giovinetta (“almà”, come infatti è scritto), e aveva il concepimento già alle sue spalle. Non era Maria, infatti, la donna citata da Isaia, ma una fanciulla vissuta secoli prima, di nome Abià, da cui si sperava nascesse un bambino destinato a trasformarsi in liberatore politico di Israele. Chi era, invece, il vero Yehoshua di Gàmala, meglio noto come Gesù di Nazareth? Certo non il personaggio che è stato raccontato, ovvero fabbricato. E questa è l’unica certezza di Biglino ed Esposito. Che si congedano dal lettore regalandogli un ultimo dubbio, dedicato all’arcangelo Gabriele: siamo proprio così sicuri che il futuro Cristo non fosse davvero un semidio, come tanti altri dell’antichità, discesi sulla terra “anche in numero di 70 alla volta”, come ricordava Celso? Erano tutti mezzosangue: nati in modo anomalo, con un genitore terrestre e l’altro celeste, o comunque non umano. Valoroso e sfortunato, “Gesù”, come gli eroi omerici figli di uomini e dèi, formidabili ma non immortali?(Il libro: Mauro Biglino e Francesco Esposito, “Dei e semidei. Il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”, UnoEditori, 340 pagine, euro 16.90).Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della comune mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità?
-
Ladri di democrazia: contro il popolo, per svendere l’Italia
Costituzione alla mano, Mattarella avrebbe dovuto incaricare Salvini, come possibile primo ministro, già nel 2018: era il leader più votato della coalizione vincente, il centrodestra, e la legge elettorale imporrebbe appunto di premiare la coalizione, non il singolo partito. Lo afferma l’avvocato Marco Della Luna, brillante saggista euroscettico, nel denunciare lo “scippo di democrazia” ora attuato con il via libera all’osceno governo giallorosso, grazie al colpo di mano di Beppe Grillo che ha prima sabotato Salvini e l’esecutivo gialloverde e poi imposto ai parlamentari grillini di allearsi con il loro nemico storico, il Pd renziano. «Da Yalta a Biarritz la mano del padrone: Trump, Macron e Merkel vogliono il Conte bis e Mattarella lo incarica in sfregio alla volontà degli italiani, che vogliono votare», scrive Della Luna nel suo blog. «La maggioranza del popolo assiste impotente al turpe gioco della partitocrazia: due partiti che si erano presentati fino a ieri dichiarandosi tra loro incompatibili, ora, dopo essere stati sconfitti molte volte nelle ultime elezioni (politiche, amministrative, europee), con l’approvazione del Quirinale si conciuciano allo scopo palese di tenersi il potere e di togliere alla gente la possibilità di essere rappresentata».Peggio: gli usurpatori «si vogliono appoggiare non al consenso degli italiani, che non hanno, ma al sostegno interessato di Francia e Germania via Ue e Bce, di cui sono fiduciari». In questo modo «è stato fatto, contro la maggioranza degli italiani e con la dichiarata pretesa di imporre una “svolta” al paese, un governo che è costituzionalmente illegittimo e illegale, secondo l’ordinamento costituzionale», sostiene Della Luna. Il ruolo del presidente della Repubblica? Nella fase di consultazioni è quello di «verificare se il candidato premier abbia una maggioranza parlamentare e se questa corrisponda sostanzialmente alla maggioranza degli elettori, affinché non vi sia contrasto tra popolo e governo». Secondo l’avvocato, invece, «Mattarella ha tradito questo suo compito, poiché ha incaricato Conte pur sapendo benissimo che quasi il 70% degli italiani vuole votare e non vuole questo governo Pd-5S». Sempre secondo Della Luna, i parlamentari grillini e piddini «hanno violato la funzione del Parlamento di rappresentare il popolo, perché la maggioranza del popolo vuol votare ed essi si sono associati per impedirlo, cioè per impedire che la maggioranza sia rappresentata, quindi per impedire la rappresentatività della democrazia».I “golpisti” sanno benissimo che il 67% degli italiani vorrebbe andare a votare. E sanno anche che, se si votasse, perderebbero: il Pd resterebbe al palo, e i 5 Stelle sarebbero letteralmente spazzati via. «La ragione per la quale tolgono al popolo questo diritto e vogliono governarlo – insiste Della Luna – è proprio la loro consapevolezza di non rappresentarlo». E quindi «lo fanno con dolo», il “golpe parlamentare”. Lo compiono «nell’interesse proprio, privato, di parte, cioè per mantenere le poltrone e per nominare loro uomini alla guida di 500 grandi aziende pubbliche». In sostanza «mirano a scegliere, pur non rappresentando il paese, il nuovo capo dello Stato, ossia l’organo che dovrebbe rappresentare il paese, in modo da assicurarsi la sua copertura». Quel che interessa, ai “golpisti”, è «continuare l’opera di svendita degli interessi e della sovranità nazionale in favore di interessi e potenze straniere, controllanti l’Unione Europea», con le «imponenti direttive di finanza pubblica recessive e in contrasto coi principi di tutela del lavoro e perequazione sociale sanciti dagli articoli 1, 3 e 36 della Costituzione».Secondo Della Luna, Mattarella sa bene che i due partiti del nuovo governo non solo hanno contro la grande maggioranza del paese, ma sono anche internamente assai divisi e stanno perdendo parte delle loro basi elettorali. Attenzione: «Mattarella stesso è stato eletto solo grazie a un premio di maggioranza incostituzionale, ossia con un vizio di rappresentatività democratica dell’allora Parlamento, ed è rimasto in carica solo per un’esigenza estrinseca di continuità istituzionale, ma con ridotta legittimazione sostanziale». Pertanto, nel momento in cui ora nomina un governo che sa esser privo di rappresentatività popolare, «Mattarella si stacca intenzionalmente e completamente dal principio della rappresentanza popolare, la quale è la fonte della legittimità del potere politico-istituzionale, anche del suo». Per Della Luna, del resto, Mattarella «aveva già omesso di tener conto della ratio della legge elettorale dopo le elezioni politiche del 2018», negando a Salvini l’incarico di formare il governo. Incarico «a cui spettava, perché la legge elettorale è con premio di maggioranza alla coalizione, e la maggioranza era andata alla coalizione di centrodestra, in cui Salvini era il segretario del più votato tra i partiti di quella coalizione».Sempre secondo Della Luna, Mattarella doveva incaricare il leader della Lega: «Se Salvini avesse trovato una maggioranza in aula, avrebbe presieduto il governo; se non l’avesse trovata, Mattarella avrebbe dovuto sciogliere le Camere e indire nuove elezioni». Invece, com’è noto, ha fatto nascere una maggioranza «intrinsecamente incoerente, interferendo anche illegittimamente sulla scelta dei ministri», come nel caso di Paolo Savona, «con l’effetto di portare a una situazione che ora consente al suo partito, il Pd, di tornare al potere, e all’asse franco-tedesco di dominare il paese senza resistenze interne». Aggiunge Della Luna: «Mattarella può permettersi di compiere tutte le suddette forzature perché tanto non ne dovrà mai rispondere ad alcuno». A monte, comunque al G7 di Biarritz sono stati Trump, Macron e Merkel, «in rappresentanza delle Tre Potenze (coi rispettivi interessi) che dominano sull’Italia», ad approvare – se non a “prescrivere” – l’inguardabile governo Conte-bis. «È alla loro volontà e alla loro fiducia che il presidente della Repubblica Italiana deve guardare, non al popolo italiano e ai suoi interessi, non alla Costituzione interna del paese».Secondo Della Luna, «si conferma che il presidente della Repubblica è un organo dell’ordinamento sovranazionale, avente il compito di assicurare l’obbedienza dell’Italia, e che l’ordinamento sovranazionale è quello che conta, mentre la Costituzione nazionale è solo un pro-forma». Mattarella? «Ha attuato e rispettato la legalità che conta, quella superiore. Il suo operato è, insomma, legittimo per motivi superiori alla legge nazionale», sostiene l’avvocato, che poi analizza inevitabilmente il sordido voltafaccia dei grillini: «I proprietari del MoVimento 5 Stelle hanno operato la conversione da movimento anti-sistema a partito spartitorio pro-sistema, apportando al sistema i voti del loro ingenuo elettorato, così come ai tempi di Veltroni il Partito Comunista (poi Pds) operò la conversione da anticapitalista a pro-bancario, e fu pertanto posto alla guida politica del paese e incaricato di sceglierne i capi di Stato, in modo che questi potessero fare ritornare il Pd al governo anche senza consenso popolare quando avrebbe perso le elezioni».La Lega, a sua volta, «ha perso per strada quasi tutta la sua carica anti-sistema». Secondo il filosofo Diego Fusaro, si è avvicinata all’altro volto del capitalismo liberista, quello dell’area di Forza Italia. Ora quindi, se vuole – chiosa Della Luna – la dirigenza della Lega può fare opposizione autentica, dura, dalle piazze, mobilitando le forze produttive tradite; oppure può fare un’opposizione europeisticamente e liberalisticamente corretta, sapendo che così potrà ritornare al governo in una coalizione di centrodestra, “verde-bluette”, «quando l’altro braccio del neoliberismo, cioè quello giallo-fucsia, sarà stanco o screditato, e si realizzerà così un’alternanza simulante la democrazia». Insomma, sfiducia assoluta nella politica nostrana: «I governanti italiani di volta in volta al potere, collaborazionisti con gli interessi stranieri, potranno partecipare al saccheggio del paese assieme ai loro patrons. Si conferma quindi la posizione asservita dell’Italia, la sua impotenza ad affrancarsi dalla dominazione e dallo sfruttamento stranieri».Costituzione alla mano, Mattarella avrebbe dovuto incaricare Salvini, come possibile primo ministro, già nel 2018: era il leader più votato della coalizione vincente, il centrodestra, e la legge elettorale imporrebbe appunto di premiare la coalizione, non il singolo partito. Lo afferma l’avvocato Marco Della Luna, brillante saggista euroscettico, nel denunciare lo “scippo di democrazia” ora attuato con il via libera all’osceno governo giallorosso, grazie al colpo di mano di Beppe Grillo che ha prima sabotato Salvini e l’esecutivo gialloverde e poi imposto ai parlamentari grillini di allearsi con il loro nemico storico, il Pd renziano. «Da Yalta a Biarritz la mano del padrone: Trump, Macron e Merkel vogliono il Conte bis e Mattarella lo incarica in sfregio alla volontà degli italiani, che vogliono votare», scrive Della Luna nel suo blog. «La maggioranza del popolo assiste impotente al turpe gioco della partitocrazia: due partiti che si erano presentati fino a ieri dichiarandosi tra loro incompatibili, ora, dopo essere stati sconfitti molte volte nelle ultime elezioni (politiche, amministrative, europee), con l’approvazione del Quirinale si conciuciano allo scopo palese di tenersi il potere e di togliere alla gente la possibilità di essere rappresentata».
-
Sapelli: siamo spacciati, a Roma nasce il governo Macron
Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».L’accenno al “ricardismo” richiama “l’economia del granturco” teorizzata dall’inglese David Ricardo e ripresa oggi – in modo paradossale – dall’economia “neoclassica” che ci domina, attraverso l’oligarchia Ue. Tesi: per poter investire, devi prima risparmiare. Era vero nell’800, oggi fa ridere (da quando c’è la moneta “fiat”, illimitata e a costo zero). Ma è il punto cardinale dell’austerity artificiale imposta da Bruxelles, cui ora l’Italia “giallorossa” sembra pronta a piegarsi in modo sconcertante. Dal canto suo, Sapelli è esplicito: «In Italia si insedia il governo Macron. Del resto lo ha annunciato trionfalmente “Repubblica” nel bel mezzo della crisi di governo, il 21 agosto, con una prima pagina memorabile perché scandalosa: “Con l’estrema destra non funziona mai”. Chiediamoci se una cosa del genere può succedere su “Le Monde”». E che dire del tweet di Trump che benedice Conte? «Qualcuno gli ha chiesto di farlo», risponde Sapelli, che precisa: «Intendo: lo ha chiesto al Dipartimento di Stato. Alcuni amici mi hanno detto che la diplomazia americana non ne sapeva nulla». Sarebbe gravissimo, osserva Ferraù. «Non è da meno il G7 di Biarritz», rincara la dose Sapelli. «Si è mai visto un ministro iraniano (Mohammad Javad Zarif) che arriva di soppiatto? La Francia è sempre stata una potenza di mediazione. Certo sono cambiate le modalità».Nel XVIII secolo, riassume il professor Sapelli, la Francia se n’è andata dall’America del Nord perché non ha potuto frenare gli inglesi, limitandosi ad appoggiare gli insorti. Da allora, dice, si è ritirata in Africa. «Ed è all’Africa che bisogna guardare per capire cosa sta succedendo in Europa». Il 7 luglio a Niamey, in Niger, è stato firmato l’accordo di libero scambio (Afcta) tra gli Stati africani. Che cosa comporta? «È la creazione di un mercato comune africano, e l’unica potenza europea egemone in grado di approfittarne è la Francia». Parigi, spiega Sapelli, «intende dominare il Mediterraneo». Concretamente, «vuol dire impossessarsi delle rotte energetiche e di quelle logistiche». Attenzione: è un controllo «che la Francia dividerà con la Cina». Secondo Sapelli, a essersi realizzato è il vecchio disegno del nazionalista Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang, pre-maoista. «Sun Yat-sen era affiliato alla massoneria francese. Sognava una vocazione occidentale della Cina: un disegno che Mao ha soltanto interrotto». E il Conte-bis? «Il nuovo governo Conte, a benedizione francese, si spiega con il fatto che Parigi deve assolutamente governare l’Italia se vuole realizzare il suo progetto espansionistico. Si tratta di un governo a vocazione geopolitica eterodiretta da parte francese».A questo proposito, Ferraù fa giustamente notare il ruolo di Sandro Gozi: alla vigilia della crisi di governo, l’esponente renziano del Pd è diventato consulente di Macron per gli affari europei. «Un arruolamento volontario, che risponde evidentemente a questo compito». E cioè: tradire l’Italia, a favore della Francia. Quindi chi comanda, adesso, a Roma? «Le nuove compagnie di ventura, i parenti odierni degli Sforza, che si vendevano a tutti». Il Movimento 5 Stelle? «E’ la compagnia di ventura più organica, più malleabile e per questo più funzionale agli obiettivi altrui». Quanto durerà, il Governo del Tradimento? «Sono due gli obiettivi che determineranno la sua durata», risponde Sapelli. «Il primo è l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Perché non un Mattarella-bis? L’altro obiettivo è la trasformazione dell’Italia in una piattaforma logistica per l’entrata della Francia in Africa e la svendita di ciò che resta del nostro apparato industriale a Francia, Germania e Cina». E gli Stati Uniti acconsentono? «Gli americani un po’ non capiscono, un po’ sono divisi», sostiene Sapelli. «Trump è sotto scacco per lo stesso motivo di Salvini, per avere aperto alla Russia. In più sono divisi tra la componente Bush-clintoniana, ispirata dal globalismo finanziario esasperato, e quella del gruppo che sostiene Trump».L’Italia ha chiuso, quindi? Siamo finiti, come paese? «L’unica speranza sono le piccole e medie imprese, però devono capire quello che sta accadendo», dice Sapelli. «Soprattutto devono capire che non possono esistere da sole, anche se da sole hanno fatto miracoli». Bisogna che le piccole imprese italiane «si impegnino per salvare un segmento delle grandi imprese e per cambiare la politica economica europea». Una rappresentanza politica ce l’hanno già: è la Lega. «Non hanno ancora afferrato, però, che in questa guerra non si fanno prigionieri». Il Nord, cioè il bacino elettorale di Salvini, produce l’80% del nostro Pil. Impossibile sperare in una proiezione nazionale? «L’Italia avrebbe dovuto fare come Polonia, Bulgaria, Ungheria», dice ancora Sapelli: «Ognuno di questi paesi ha superato le divisioni politiche interne e ha trattato con l’Europa da paese unito. Noi invece abbiamo mancato tutti gli appuntamenti che potevano aiutarci in questa direzione, dal contrasto al terrorismo alla stagflazione. E abbiamo fallito perché l’Italia continua ad essere un paese di compagnie di ventura».Se i 5 Stelle suscitano raccapriccio per il loro scandaloso voltafaccia, come definire il Pd? «Un insieme di cacicchi l’un contro l’altro armati, con una compagnia di ventura egemone, quella di Renzi». Altri pericoli in vista: «M5S e Pd vanno assimilandosi, perché anche nel Pd la base sociale e quella territoriale si vanno estinguendo», ragiona Sapelli. «Zingaretti, invece di sostenere il nuovo governo, avrebbe potuto dedicarsi a una rifondazione territoriale. Non lo farà: e questo sarà la fine, del Pd e sua». Resta solo la Lega, a quanto pare, a tifare Italia. «L’unica speranza è che oltre alle piccole medie imprese intercetti e rappresenti la borghesia nazionale. Il problema della Lega – aggiunge Sapelli – è che non ha un pensiero politico», almeno per ora. Ma la lettura dello scempio in corso resta incompleta, se non si considera l’azione del Papa: «Il Vaticano ha svolto un ruolo fondamentale, che andrà approfondito», precisa Sapelli. «Abbiamo assistito a un ritorno della religione in politica, dissimulato da preoccupazioni sociali e teologiche. Il mio caro vecchio Péguy si rivolta nella tomba», aggiunge il professore, riferendosi allo scrittore francese Charles Péguy, cattolico ma inviso all’alto clero per la sua opposizione all’ingerenza ecclesiastica nell’attività politica. Per Sapelli, nel concorrere alla caduta di Salvini, Bergoglio ha commesso un azzardo: «La Chiesa deve stare attenta – chiosa il professore – perché l’adesione alla società dei diritti potrebbe esserle fatale».Un governo fragile destinato a durare 6 mesi? Macché. Il Conte-bis durerà fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. «E Mattarella potrebbe fare il bis», dice il professor Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. Occorre andare in Africa per capire l’orrendo inciucio tra 5 Stelle e Pd, che in realtà è un governo Macron, sostiene Sapelli: nel continente nero la Francia vuole “prendersi tutto” e può contare sull’aiuto (retribuito) delle nostre “compagnie di ventura”, che stavolta permetteranno a Parigi di “finire il lavoro”. «Di fatto, comincia – anzi, riprende – la svendita dell’Italia al capitalismo franco-tedesco», proprio alla vigilia del rinnovo dei vertici delle partecipate italiane, dall’Inps all’Enel, da Leonardo all’Eni. «Il nuovo governo si va formando a tempo di record proprio per questo» afferma Sapelli, che racconta: «Pochi giorni fa ho avuto occasione di vedere il Pireo. È pieno di cinesi coperti d’oro. I greci fanno ormai solo i camerieri, gli autisti e i suonatori. Huawei è dappertutto». Il nostro destino è questo? «Sì, il nostro destino è quello che Einaudi aveva indicato all’inizio del 900: la divisione ricardiana del lavoro affida all’Italia l’agricoltura e il turismo. Oggi ci resterà solo quest’ultimo».
-
Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda
C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.Vista da fuori, la crisi italiana è una catastrofe: a vincere sono i peggiori, che spengono sul nascere il sussulto democratico (confuso, contraddittorio) nato nel 2018 dalla rivolta dei cittadini esasperati dagli abusi dell’impero finto-europeista, mercantilista e bugiardo, squallidamente privatistico anche se ammantato di istituzionalità. E’ un complotto che viene da lontano, accusa Salvini dal Quirinale, indicando tra i mandanti le oligarchie di Parigi, Berlino e Bruxelles. Non è privo di colpe lo stesso Salvini: gli errori tattici sembrano averlo spiazzato di fronte all’incredibile disinvoltura trasformistica dei congiurati grillini e renziani, semplici manovali della cospirazione contro l’Italia. Ma il capo della Lega si è esposto a facili accuse anche infamanti, con la sua visione unilaterale della tragedia dell’immigrazione: accuse disoneste, che avrebbe potuto neutralizzare allargando l’orizzonte all’Africa, alle vere cause del malessere africano e ai suoi possibili rimedi. L’errore più grande compiuto da Salvini sta probabilmente nell’essersi rifugiato nella solitudine del cosiddetto sovranismo, falsa piattaforma di opportunismi nazionalistici che infatti hanno puntualmente isolato la Lega dopo il grande successo delle europee. Non lo si sarebbe potuto liquidare così facilmente, Salvini, se avesse combattuto, in modo dialettico e inclusivo, per reclamare una Costituzione Europea finalmente democratica.Ma gli errori ottici di Salvini, peraltro non irrimediabili, non sono nulla in confronto allo scempio di verità e di decenza di cui si sono macchiati i 5 Stelle pilotati da Grillo, pronti a voltare le spalle nel modo più spregevole ai cittadini italiani che appena 14 mesi fa li avevano eletti con un mandato chiarissimo: restituire sovranità democratica alle persone comuni. Dopo aver appaltato la politica che conta (esteri, economia) a mercenari non-eletti come Conte, Tria e Moavero, il signor Grillo ha gettato la maschera: prima silurando Salvini attraverso Angela Merkel (Ursula von der Leyen alla Commissione Europea) e ora imponendo ai parlamentari pentastellati – contro la stessa base grillina, ancora una volta costretta al silenzio – il disperato, desolante matrimonio servile con il padrone europeo tramite il suo tradizionale proconsole italiano, il detestato Pd, ancora e sempre al servizio dell’establishment che ha svenduto il paese. La scommessa di Grillo è tristemente imbarazzante: dimostra che i grillini sarebbero dei poveri idioti, raggirabili anche stavolta. In realtà, milioni di elettori stanno già abbandonando la navicella populista, che è comunque servita – al regime di cui Grillo è l’occulto, grande protagonista – a non inquadrare mai il bersaglio vero, indispensabile per cambiare realmente le regole del gioco, cioè il rapporto tra governanti e governati.E’ possibile che gli attivisti grillini aprano finalmente gli occhi di fronte a un simile spettacolo, e imparino a non fidarsi mai più dei demagoghi autoritari ed estremisti, amici del popolo solo a parole ma in realtà nemici della democrazia. Li si riconosce a distanza, da una caratteristica invariabile: ai decibel, alle urla e ai Vaffa non corrisponde mai un piano preciso, fatto di soluzioni realistiche. Di qui l’inevitabile vaghezza dei programmi, che poi si traduce regolarmente in un nulla di fatto, nella migliore delle ipotesi, dopo gli altisonanti proclami rivoluzionari. Nella peggiore delle ipotesi, invece – quella italiana, incarnata dai 5 Stelle – la finta rivoluzione (alimentata dalla passione sincera di migliaia di attivisti) – finisce nella vergogna: parlamentari ricattati dal terrore di perdere la poltrona fingono di non udire lo sdegno dei loro stessi elettori e si accasano con la cricca dei perdenti, ripetutamente bocciati dagli italiani, per tenere in piedi un esecutivo pronto a obbedire ai diktat di Bruxelles. E’ il capolavoro di Grillo: dimostrare – all’Italia, e non solo – che la politica è un sordido imbroglio, e che i maggiori imbroglioni sono proprio loro, gli ex “avvocati del popolo”.Gli europei guardano, e prendono nota: dopo la falsa partenza dell’Italia gialloverde, il terreno del possibile riscatto democratico viene ora accuratamente diserbato. L’intero Parlamento di un paese avanzato, membro del G7, è manipolato da un privato cittadino, elusivo e potentissimo: mai presentatosi alle elezioni, mai neppure sottopostosi al vaglio di un regolare congresso di partito. Ha dunque ragione, Grillo, nel mostrare che al popolo bue si può davvero far credere qualsiasi cosa? Come sempre, dal letame nascono i fiori: oggi la verità finalmente emerge, anche se in modo feroce. Se il Movimento 5 Stelle è servito essenzialmente a depistare la richiesta popolare di cambiamento, dando tempo all’establishment di prendere le sue contromisure, di fronte al declino – consenso a picco, 6 milioni di voti persi in un solo anno – il signor Grillo ha deciso di suicidare la sua creatura rendendo al potere l’ultimo servizio possibile: il governo-ignominia col Pd, fingendo di non sentire che gli italiani vorrebbero tornare alle urne, per dire la loro. Giullare di razza, l’ex comico genovese non viene mai meno al senso dello spettacolo: sul suo blog si raffigura come una specie di Mosè, di fronte alle acque del Mar Rosso che si separano per intervento divino. Peccato che nella Bibbia non ci sia nessun Mar Rosso: il popolo dell’Esodo si limitò a guadare uno Yam-Suf, un acquitrino. Una palude, come quella in cui Giuseppe Grillo, detto Beppe, ha deciso di far annegare i suoi 5 Stelle, ormai utili solo come compari provvisori dell’ex impresentabile Matteo Renzi.(Giorgio Cattaneo, “Lutto per l’Italia, ostaggio di Grillo. E l’Europa ci guarda”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 agosto 2019).C’è qualcosa di oscuro e di atroce nel tradimento dei 5 Stelle, visibile dalla Luna. Nati come antidoto alla “casta”, pur di evitare il giudizio degli elettori ora si rifugiano tra le braccia di Matteo Renzi e soci, campioni dell’establishment nazionale asservito ai poteri marci – italiani, europei e planetari – che in trent’anni hanno ridotto la quarta potenza industriale del mondo a paese mediterraneo periferico e saccheggiato, ricattato dalla Bce, messo in ginocchio di fronte agli usurai di Bruxelles. Il ribaltone imposto al governo gialloverde, dopo aver costretto Matteo Salvini ad abbandonarlo, non è solo un colpo mortale inferto alla democrazia italiana: è un coltellata per tutti gli europei, Gilet Gialli in testa, che avevano osato guardare al caos italiano come laboratorio del possibile cambiamento, sia pure nato in modo sgangheratissimo e proseguito anche peggio, con un esecutivo subito impaurito di fronte al ricatto dello spread. E a celebrare il funerale della democrazia non è neppure un politico classico, ma un ex comico particolarmente abile, cinico e spietato, che in questi anni ha investito sull’odio e sulla rabbia per creare dal nulla un’enorme massa di manovra. E’ lui, il supremo manipolatore Beppe Grillo, a suonare le campane a morto: e non è solo italiano, il lutto per la fine del “governo del cambiamento” in cui, meno di un anno fa, credeva ancora oltre il 60% degli elettori del Belpaese.
-
Pieni poteri a Grillo: l’uomo del Britannia ha in mano l’Italia
Beppe Grillo era sul Britannia, il 2 giugno 1993, insieme a Mario Draghi e a tutti gli altri uomini del Deep State italiano, reclutati dalla finanza globalista per spennare il Belpaese. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e massone progressista, acuto osservatore dei retroscena italici. Moviola storica: cade il Muro di Berlino, i partiti della Prima Repubblica diventano inutili come diga contro l’Urss e quindi vengono rasi al suolo dai giudici di Mani Pulite, che – dopo cinquant’anni – si accorgono che la corruzione domina la politica nazionale. Cadono Craxi e Andreotti, ma si risparmia il Pci-Pds, incaricato di ereditare il potere nella colonia-Italia. A inceppare il piano, l’anno seguente irrompe Berlusconi (variante classica del neoliberismo puro, visto da destra). Un anno prima, invece, a condurre il gioco è ancora l’ex sinistra, da integrare nell’establishment attraverso notabili e tecnocrati, a patto che ammaini tutte le bandiere della sinistra storica, le battaglie per i diritti sociali. Mario Draghi, di formazione keynesiana, è l’uomo giusto al momento giusto, ma anche nel posto giusto (la direzione del Tesoro, da cui gestirà le turbo-privatizzazioni all’italiana che metteranno in croce il paese, svenduto a Francia e Germania). L’altro partner si chiama Romano Prodi, in quota alla sinistra Dc, incaricato di smantellare l’Iri, cioè il complesso industriale (pubblico) più grande d’Europa. Oggi, Prodi e Draghi sono i due maggiori candidati a succedere a Mattarella. E il possibile king-maker, dietro le quinte, è proprio il finto outsider Beppe Grillo.
-
Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.
-
Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
-
Sapelli: con Pd-M5S l’Italia sparisce come paese industriale
La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.In altri tempi sarebbe andata così. L’ambasciata americana avrebbe svolto un ruolo di primo piano, anche se non sotto i riflettori, per ovvie ragioni. Un governo costituente? Il sistema è così disgregato che un governo costituente non farebbe che sancire la disgregazione. Farebbe la stessa fine della bicamerale di D’Alema. Si dovrebbe riscrivere una parte della Costituzione, ma chi potrebbe farlo? Ci vorrebbe una riflessione sullo Stato in Italia e non vedo chi potrebbe farla. Prima di fare un governo costituente bisogna creare una nuova classe politica. Lo stesso proposito di ridurre il numero dei parlamentari al di fuori di una visione istituzionale è pazzesca. Del M5S non mi sorprendo perché è il massimo che poteva produrre. La Lega però non doveva prestarsi. In questo è ancora figlia di Tangentopoli. E dato che secondo me la Lega è un animaletto destinato ad andare lontano, strada facendo dovrebbe depurarsi, proprio come fanno le lumache.Che governo sarebbe quello di una maggioranza M5S-Pd? Un governo “clintoniano”, sponsorizzato dai grandi big dell’industria finanziaria mondiale. Porterebbe avanti una politica di sottomissione piena dell’Italia all’austerity europea. Uno scenario che farebbe il gioco della Francia. La crisi tedesca determina un ripiegamento di Berlino, e questo dà alla Francia una grande spinta, anche se la sua produzione industriale è ferma. Parigi però ha un rapporto privilegiato con l’Africa, che sfrutta grazie al franco Cfa avvantaggiandosi negli scambi e nelle materie prime. Senza il contrappeso tedesco, l’attivismo di Parigi rafforzerà la Cina, che ha con la Francia un rapporto privilegiato in Europa da più di un secolo. Il governo M5S-Pd sarebbe in un modo o nell’altro la vittoria di Attali. Se questo governo prende forma, l’Italia tra vent’anni non esisterà più come paese industriale. Se Salvini non l’ha compreso, l’unico fattore che potrebbe deviare questo corso degli eventi sarebbe un intervento del presidente della Repubblica, mandando il paese alle urne.Sappiamo tutti che prima di sciogliere le Camere durante la legislatura il capo dello Stato è tenuto a verificare l’esistenza di un’altra maggioranza in Parlamento. Che probabilmente ci sarebbe. D’altra parte sappiamo bene che Napolitano ha risolto i problemi a modo suo, e sempre impedendo agli italiani di votare. Come se ne esce? È la contraddizione di Mattarella. Se Mattarella varasse un governo M5S-Pd, per la prima volta andrebbe contro i suoi legami di profonda amicizia verso gli Stati Uniti, la stessa che ha ispirato il suo dovere quando è stato ministro della difesa (governi D’Alema II e Amato II). D’altra parte, consentendo la parlamentarizzazione della crisi e il patto M5S-Pd, darebbe vita a un governo contrario agli interessi americani attuali in Italia. E a mio modo di vedere, a quelli dell’Italia stessa. Quale sarebbe il programma reale del governo giallorosso? Subordinazione totale alle politiche europee dell’austerità, accelerazione del processo di deindustrializzazione, svendita degli asset strategici del paese.Una cura greca, cura si fa per dire; esattamente l’antitesi delle riforme di cui l’Italia avrebbe bisogno. Ovvero: creare una banca pubblica per il sostegno alle Pmi, quello che una volta facevano le grandi banche partecipate. L’austerity non è stata affatto moderata dal quantitative easing, che salva le banche ma non il credito. La cosa curiosa del M5S è che fino ad oggi ha governato da una posizione tipicamente disgregatrice, ostile allo sviluppo e antropologicamente negativa, cioè tutti sono ladri, cattivi e colpevoli tranne noi. Adesso, inaspettatamente, il ribellismo è diventato iper-governismo: le polemiche interne sono cessate, Grillo ha cambiato rotta senza un confronto pubblico, senza che nemmeno abbia votato la “rete”. Tutto è avvenuto attraverso gli ordini impartiti da una cuspide. Prova evidente dell’etero-direzione del M5S.Cosa dovrebbe fare Salvini? Spiegare con più chiarezza qual è la vera posizione di questo governo nei rapporti con l’Ue, la Cina, la Russia e gli Usa. Invece di un post su Facebook, la Lega dovrebbe fare un documento con i suoi punti fermi: fedeltà alla Nato, permanenza nell’euro per cambiare i trattati e la politica economica europea mediante alleanze, rapporti con la Russia su posizioni non dissimili da quelle di Colombo o Andreotti, cioè di dialogo, come io credo che Salvini voglia fare. Questo è il momento di fare politica. Anche con la Germania? Alla luce dell’incipiente crisi tedesca, non c’è momento migliore per far capire al Partito popolare europeo che l’austerity è sbagliata.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Il segreto della crisi è tra il Colle e Washington”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 17 agosto 2019).La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.
-
Bidone Gialloverde, elezioni-farsa: e ora gli oligarchi ridono
Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.Parlavano da soli gli applausi rovesciati addosso a Salvini e Di Maio dal popolo di Genova sulle macerie del Viadotto Morandi, prima che si sapesse che i super-incassatori dei pedaggi italiani, da mungere attraverso Autostrade, non erano i Benetton ma i veri padroni di Atlantia, gli americani di BlackRock. E addio “nazionalizzazione” dannunziana dell’italica rete autostradale, infrastruttura strategica costruita grazie all’uso intelligente del debito pubblico. Poi, va da sé, “il seguito è una vergogna”, come cantava Edoardo Bennato. Il peccato originale? Il cedimento sul deficit, l’addio alla cassaforte: Paolo Savona che si defila, silurato da Mattarella per la gioia di Visco, Draghi e tutti gli altri euro-strozzini che in questi decenni hanno spolpato il Belpaese, facendolo a pezzi per svenderlo agli amici degli amici. Questo significava il “niet” della Commissione: non avrete i soldi per fare quello che avevate promesso. Reazioni: nessuna. Faremo tutto ugualmente, hanno detto (barando) i bidonisti gialloverdi, sapendo perfettamente che – da quel momento – il “governo del cambiamento” era finito, clinicamente morto.Potevano protestare, insorgere? Dovevano farlo: godevano della fiducia del paese. Un fatto che aveva del miracoloso, in sé, visto il curriculum dell’Italia. Prima l’attacco al cuore del sistema, con la Prima Repubblica messa in ginocchio per via giudiziaria di fronte alle forche caudine del Trattato di Maastricht. Poi l’avvento del finto bipolarismo tra Berlusconi e Prodi, tra le “cene eleganti” di Arcore e la presidenza della Commissione Europea, passando per la Goldman Sachs. Quindi la macelleria di Monti, l’anestesia del falso medico Renzi, il pallore dei maggiordomi Letta e Gentiloni. Un establishment esausto, ridotto a banchettare sui resti di industrie e banche largamente cedute a mani straniere, grazie a governi-fantoccio appaltati a piccoli yesman. Poi sono arrivati loro, i giustizieri. Due aziende distinte: quella grillina senza idee, ma con la fedina immacolata. L’altra, la ditta leghista, con trascorsi non esattamente esaltanti, ma rigenerata da una leadership teoricamente sovraneggiante.Da come s’erano messe le cose, in autunno, c’era da sperare che i biscazzieri gialloverdi facessero fronte comune, affondando il colpo – Davide contro Golia – in modo spettacolare, magari presentandosi uniti alle elezioni europee per spiegare che le ragioni dell’Italia non sono diverse da quelle degli altri paesi, se ci si mette dalla parte del popolo e contro l’élite abusiva, privata, che domina le istituzioni pubbliche. Ma niente da fare. I due sparring partner, il leghista e il grillino, non hanno fatto altro che allenare i muscoli dei campioni, gli oligarchi, che almeno su una cosa si erano sbagliati: per un attimo, avevano pensato che Salvini e Di Maio facessero sul serio. Poi, quando li hanno visti azzannarsi tra loro ogni giorno, hanno capito di che pasta fosse, il Bidone Gialloverde. Gli hanno rubato il portafoglio, e l’hanno passata liscia: anziché coi ladri, Salvini se l’è presa coi migranti africani e coi negozietti di cannabis light. Di Maio, al solito, l’ha superato in capacità acrobatica: prima ha lisciato il pelo ai Gilet Gialli massacrati fa Macron, poi s’è genuflesso di fronte alla socia tedesca di Macron, e infine ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Ursula von der Leyen, candidata della Merkel alla guida della Commissione Ue.Ora il film è finito, ma l’alternativa è il vuoto. Sfidando il ridicolo, Matteo Salvini – armato di crocifisso – dopo aver azzoppato l’ex socio ora tenta di proporre se stesso come salvatore della patria, sperando che gli italiani abbiano la memoria così corta da non ricordare chi era, Salvini, un anno fa, cosa diceva, cosa prometteva e cosa non ha mai neppure lontanamente provato a fare, in questi lunghi mesi in cui, insieme all’altro sparring partner, ha perso in giro gli elettori. Crede davvero, il leghista, che fare da valletto (l’ennesimo) ai voraci squaletti del Tav gli possa valere grandiosi trionfi? Seriamente si illude che il 34% rimediato alle europee, tornata in cui ha votato solo un italiano su due, si possa trasformare in un’apoteosi, nelle elezioni anticipate che ora pretende? Matteo Renzi riuscì a cadere faccia terra dall’alto del suo 40%, e anche lui per un test elettorale non dovuto, personalmente imposto al paese. Storie sinistramente parallele, quelle dei due Matteo, nella bassa marea in cui la navicella italiana continua a languire, con le vele flosce, senza che sia in vista nessun alito di vento.La campagna elettorale prossima ventura – trita continuazione di quella in corso da mesi – vedrà i bidonisti ex gialloverdi recitare una farsa penosa e cattiva, da commedianti falliti. Ripeteranno sensazionali stupidaggini, tentando di convincere il pubblico che il problema è solo italiano – è tutta colpa di Di Maio, anzi di Salvini – come se Di Maio e Salvini avessero davvero potuto fare quello che volevano. Da loro sentiremo di tutto, tranne la verità. Il grottesco sta nel fatto che questi due signori si rivolgeranno agli italiani come se niente fosse, come se non sapessero quali poteri – nella migliore delle ipotesi – li hanno sabotati fin dall’inizio. Ma gli italiani oggi si interrogano anche sull’altra ipotesi, la peggiore: non sarà che quei poteri li hanno guidati da subito, a partire dall’esordio, prima gonfiandoli e poi sgonfiandoli, i simpatici bidonisti gialloverdi? Lega e 5 Stelle non si libereranno del marchio che ormai li squalifica: avevano impegnato l’onore dell’Italia, di fronte all’Europa, in una promessa di liberazione democratica. Se si maneggiano parole come giustizia, trasparenza e soprattutto sovranità, la gente rischia di prenderti sul serio. Quando poi scopre che era solo un bluff, ti presenta il conto. L’unica certezza, di fronte al cadavere del Bidone Gialloverde, è che la politica italiana è da ricostruire da zero. Con tanti saluti all’increscioso acrobata grillino e allo sceriffo balneare padano, travestito da poliziotto e illuminato dalla Madonna di Medjugorje.(Giorgio Cattaneo, “Bidone Gialloverde: ridono gli oligarchi ma non gli italiani, costretti a subire elezioni-farsa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 agosto 2019).Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.
-
Il peggiore dei mondi possibili, nutrito dalla nostra paura
Sembrava il migliore dei mondi possibili, quello che l’Europa aveva di fronte a sé fino al 2001, precisamente il 20 luglio, quando al G8 di Genova esplose la follia opaca della violenza e a lasciarci la pelle fu Carlo Giuliani, immortalato mentre col suo estintore minaccia i carabinieri intrappolati in un gippone. Ma Genova era solo l’antipasto dell’inferno: due mesi dopo, crollarono di colpo le Torri Gemelle di Manhattan. Tremila vittime l’11 settembre, e altre 12.000 negli anni seguenti a causa dei tumori provocati dalla nube d’amianto. Nel 2003, in Italia, le prime ipotesi sul possibile auto-attentato vennero avanzate da Giulietto Chiesa, nel bestseller “La guerra infinita”, ignorato dai media. Nel 2005, a “Matrix”, in prima serata su Canale 5, Enrico Mentana ebbe il coraggio di trasmettere “Inganno globale”, esplosivo documentario in cui Massimo Mazzucco dimostra che la versione ufficiale (terrorismo islamico) è integralmente falsa. Era già cominciata, la grande retromarcia dell’Occidente, ma pochissimi se n’erano accorti. Tra questi Bettino Craxi, che da Hammamet spiegò che l’euro-finanza avrebbe spolpato l’Italia. E prima ancora l’economista keynesiano Federico Caffè, sparito nel nulla nel 1987. E così Olof Palme, l’inventore del welfare svedese, ucciso l’anno prima a Stoccolma. Doveva aver capito tutto anche Aldo Moro, minacciato di morte da Henry Kissinger poco prima che di lui si occupassero, teoricamente, le Brigate Rosse.
-
Dalla Russia coi servizi (deviati) per agitare gli italiani idioti
Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.Diversi leader politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori asset nazionali. Moltissimi leader politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto sostegno alle loro carriere. L’Italia ormai riceve da organismi esterni, diretti da interessi stranieri, l’80% della sua legislazione e della sua politica finanziaria. Essa è indebitata in una moneta che non controlla e che è controllata ultimamente da banchieri privati; la Banca d’Italia è controllata pure da banchieri prevalentemente stranieri. Ciliegina sulla torta: notoriamente, nel 2011, su disposizione di Bce e Berlino, il Palazzo italiano ha eseguito un golpe per sostituire il governo Berlusconi con uno funzionale agli interessi della finanza franco-germanica. E su tutto questo nessun Pm ha mai aperto un fascicolo per corruzione internazionale: andava tutto bene!Nel confronto con questi fatti, il problema dei soldi russi alla Lega, peraltro mai dati, è insignificante, e solo un idiota può considerarlo diversamente; mentre chi ha un minimo di buon senso nota che il problema grave è un altro, ossia che i servizi segreti – sottoposti al premier Conte – abbiano eseguito un anno fa, e tirato fuori proprio ora, le intercettazioni in questione, e che le tirino fuori ora per mettere in difficoltà la Lega in un momento critico per il M5S. Si ventila pure che possa essere stata, invece, la Cia, per colpire il legame Salvini-Russia. In ambo i casi, questa è la vera interferenza, questo è lo scandalo.(Marco Della Luna, “Dalla Russia coi servizi, deviati”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2019).Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.