Archivio del Tag ‘super-potere’
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Falsa morale (e veri interessi) da chi pilota l’immigrazione
Poteri forti, interessi fortissimi. Attraverso i media da loro gestiti, giustificano l’immigrazione di massa come rimedio alla denatalità dei paesi occidentali. Ma la giustificazione non regge, secondo Marco Della Luna, «perché quelli sono i medesimi poteri (interessi) forti che hanno indotto la denatalità, soprattutto attraverso la loro politica monetaria deflazionistica e recessiva la quale, assieme al modello sociale ad essa collegato, al contrario delle sue promesse di sviluppo e stabilità, ha tolto lavoro e prospettive per il futuro, nonché partecipazione democratica». Sono i medesimi super-poteri che «mantengono quella politica nonostante i suoi effetti, e che con essa si sono arricchiti e potenziati politicamente». Sono sempre loro a produrre i flussi migratori, «fomentando o conducendo direttamente guerre in Africa e Asia, per i loro interessi petroliferi, minerari, militari e per vendere armi, e praticandovi il land grabbing», la “rapina” delle loro terre. Poteri che «permettono ai comitati d’affari» anche italiani, «in veste politica o religiosa», di «speculare e rubare sul traffico dell’accoglienza», al riparo del Vaticano e dei mass media «moraleggianti». Tutto questo permette ai grandi padroni di «giocare al ribasso sui salari grazie alla manodopera immigrata».Per Della Luna, si tratta di «un traffico che distrae grosse risorse economiche altrimenti spendibili per sostenere l’occupazione e gli investimenti, quindi la natalità», senza contare «problemi di criminalità, di sicurezza del territorio e di malattie importate». Facciamo pochi figli? E’ sempre scarsa la domanda interna di beni? E’ perché «già abbiamo scarso reddito, scarsi servizi e scarsa sicurezza». E loro, i poteri al servizio degli “interessi forti”, «ci tolgono altri soldi, altri servizi e altra sicurezza per offrire il mantenimento (per giunta gratuito, senza lavorare) a chiunque arrivi: un invito potentissimo ad accorrere in massa, rivolto a un bacino di centinaia di milioni di poveri, che mette in moto un flusso inesauribile, che richiederà risorse inesauribili, ossia esaurirà presto quelle disponibili». Per Della Luna, da sempre ultra-critico verso l’immigrazione “pilotata”, il cerchio si chiude: «Con la recessione e la disoccupazione si produce la denatalità che giustifica l’accoglienza, la quale sostiene la denatalità».Al tempo stesso, «con l’imperialismo e l’interventismo nei paesi poveri si alimentano i flussi migratori, scaricandone i costi sui paesi occidentali, in cui le condizioni di vita e le prospettive per il futuro si deteriorano al punto che essi risultano attraenti solo per i migranti economici che vengono da aree molto peggiori, mentre per noi davvero aver figli diviene sempre meno sostenibile e desiderabile». Così sta avvenendo una sorta di graduale sostituzione etnica: «Fuori noi, dentro loro». E’ la sindrome dei panda, che «quando si trovano in cattività, in un ambiente cioè che non sentono più come il loro, smettono di riprodursi». Preti e mass media dicono che noi occidentali dobbiamo accettare l’immigrazione di massa da quei paesi per espiare il fatto che, in passato, li abbiamo colonizzati e sfruttati? «Ma chi decise la colonizzazione e la usò per arricchirsi – ribatte Della Luna – erano non già i popoli (occidentali), bensì proprio quelle medesime élites che oggi stanno praticando l’imperialismo verso quei paesi, a spese (anche) dei popoli occidentali, e che posseggono i media e gestiscono l’informazione, cioè la propaganda, a loro profitto».(Marco Della Luna, “Elites e migrazione, falsa morale e veri interessi”, dal blog di Della Luna del 15 agosto 2016).Poteri forti, interessi fortissimi. Attraverso i media da loro gestiti, giustificano l’immigrazione di massa come rimedio alla denatalità dei paesi occidentali. Ma la giustificazione non regge, secondo Marco Della Luna, «perché quelli sono i medesimi poteri (interessi) forti che hanno indotto la denatalità, soprattutto attraverso la loro politica monetaria deflazionistica e recessiva la quale, assieme al modello sociale ad essa collegato, al contrario delle sue promesse di sviluppo e stabilità, ha tolto lavoro e prospettive per il futuro, nonché partecipazione democratica». Sono i medesimi super-poteri che «mantengono quella politica nonostante i suoi effetti, e che con essa si sono arricchiti e potenziati politicamente». Sono sempre loro a produrre i flussi migratori, «fomentando o conducendo direttamente guerre in Africa e Asia, per i loro interessi petroliferi, minerari, militari e per vendere armi, e praticandovi il land grabbing», la “rapina” delle loro terre. Poteri che «permettono ai comitati d’affari» anche italiani, «in veste politica o religiosa», di «speculare e rubare sul traffico dell’accoglienza», al riparo del Vaticano e dei mass media «moraleggianti». Tutto questo permette ai grandi padroni di «giocare al ribasso sui salari grazie alla manodopera immigrata».
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Brexit, il sogno si avvera: torna il fantasma della democrazia
Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.Brexit suona davvero come fine del mondo, di quel mondo: dal “there is no alternative” di Margaret Thatcher negli anni ‘80 al “padroni a casa nostra” del fatidico 2016. Non c’è alternativa all’iper-liberismo totalitario, neo-aristocratico e privatizzatore del regime fiscale del 3%, dell’Eurozona e del Ttip? A quanto pare, gli inglesi non concordano: una alternativa deve per forza esistere, altrimenti finisce anche il popolo – inteso come comunità votante, sociale ed economica. Da Londra sembra levarsi un boato, destinato ad assordare l’Occidente, fino a coprire di ridicolo anche i più recenti belati italiani: «Noi non siamo mai stati contrari all’Unione Europea, vorremmo solo che fosse un po’ più democratica», ha ripetuto di recente in televisione il grillino Di Battista, nel solco del Casaleggio che, alla vigilia delle europee, dichiarò a Marco Travaglio: «Noi non siamo contrari all’euro». Come se lo scenario fosse dominato dalla paura di dover sfidare apertamente un regime tenebroso, capace di tutto.Aspettiamoci qualsiasi cosa, scrive Federico Dezzani sul suo blog: dal voto inglese fino alle elezioni americane, c’è da temere colpi di coda inimmaginabili. Chi ha cercato in ogni modo di evitare la Brexit adesso farà l’impossibile per sbarrare la strada a Donald Trump, l’imprevedibile tycoon si cui il super-potere non si fida, anche perché – in mezzo a tante chiacchiere confuse e violente – accusa Obama e la Clinton per l’affermazione dell’Isis in Siria e blatera di accordi strategici con la Russia per porre termine alla sporchissima “guerra infinita” che sta ininterrottamente insanguinando il mondo a partire dall’11 Settembre. In questa chiave, hanno ripetuto svariati analisti, va letta anche la strategia della tensione in atto dal Medio Oriente agli Usa, fino agli attentati europei di Parigi e Bruxelles. Segnali che indicano che l’élite del “there is no alternative” è spaccata e inquieta, una parte del vertice planetario si sta defilando di fronte al conto spaventoso dei costi umani della privatizzazione globale, a partire dal massacro della Grecia, con guerre ovunque e l’esodo biblico dei profughi. Ma il voto inglese supera le manovre di vertice, e rimette in campo il fantasma di gran lunga più temuto dagli architetti del medioevo Ue: quello della democrazia.Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.
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Nessuno affronta davvero la crisi, così gli elettori non votano
Fino a ieri, la maggioranza votava per il meno peggio. Oggi, in assenza di vere alternative ai gestori della crisi, l’elettore medio non se la sente più di rassegnarsi all’impossibilità di soluzioni: quasi un cittadino su due, infatti, preferisce restare a casa piuttosto che accordare ancora una volta – a candidati deludenti – la solita mezza fiducia, concessa con estrema riluttanza. E’ il dato forse più sostanziale che emerge dalla tornata amministrativa del 5 giugno 2016, tra l’atteso successo dei 5 Stelle a Roma, il pareggio Sala-Parisi a Milano, la riconferma di De Magistris a Napoli, l’erosione del consenso di Fassino a Torino. La partita è gigantesca e si chiama crisi. Il primo orizzonte a oscurarsi è quello nazionale, precariamente presidiato da Matteo Renzi, ma in realtà lo spettacolo va in onda in mondovisione tra l’Europa del Brexit, il martirio a rate della Grecia, la guerra in Siria, i profughi, la devastazione economica indotta dal regime di austerity varato dall’Unione Europea attraverso l’Eurozona e le sue politiche volutamente recessive, a partire dalla prescrizione suicida del pareggio di bilancio.Nessuno, tra i principali candidati italiani delle amministrative, ha declinato in modo chiaro, a livello locale, l’opprimente quadro sovranazionale, da cui dipende anche la sofferenza quotidiana dei Comuni, a prescindere dal colore politico dei suoi amministratori di turno. Si preferisce affidarsi a storie più comode da raccontare, operazioni-trasparenza contro piccole cupole di potere, l’orgoglio degli sfidanti, la freschezza dei più giovani, l’entusiasmo degli esordienti contro il cinismo dei reggenti di lungo corso. Nulla, comunque, che abbia un’attinenza diretta e frontale col nocciolo del problema: e cioè la revoca – storica – di sovranità democratica, che condanna anche gli enti locali a fare i conti col poco che resta, tagliando servizi e spremendo i contribuenti a suon di imposte. Era il tema attorno a cui il “Movimento Roosevelt” creato da Gioele Magaldi aveva provato a lanciare, per Roma, la candidatura rivoluzionaria di un economista prestigioso ed “eretico” come il keynesiano Nino Galloni. Tesi: impossibile governare una città col vincolo del 3% sulla spesa, impossibile investire sul futuro e sul benessere collettivo se prima non si respingono al mittente tutti i diktat dell’Ue che, a cascata, dal governo centrale ricadono sui Comuni.Lo scenario post-elettorale resta dunque intermedio e transitorio, anche a prescindere dai ballottaggi: neppure dagli “spareggi”, infatti, potrà scaturire un’opzione alternativa di politica economica. In generale, si osserva un lento declino del gruppo oggi al potere – rappresentato dal Pd – che sconta le inevitabili difficoltà di un governo allineato a Bruxelles, cioè a Berlino. A Roma, a sparigliare le carte è ovviamente l’eredità del caso-Marino, in una città che comunque aveva vissuto una sostanziale alternanza, da Veltroni ad Alemanno – così come Milano, passata dalla Moratti a Pisapia. Torino resta un caso diverso, forse più interessante, perché dall’avvento del gruppo post-Pci, guidato da Castellani e poi Chiamparino, l’ex città Fiat era sempre rimasta compatta attorno alla sua compagine di potere, fino ad accettare un candidato come Fassino, proveniente dalla preistoria della Prima Repubblica. Ancora oggi Fassino arriva primo, ma – questa la novità – dovrà affrontare i rischi del ballottaggio. Non che la sfidante grillina intavoli un’alternativa strutturale, naturalmente: ancora una volta, il sistema euro-catastrofico non è in discussione. In compenso, si sgretola il fronte dei supremi guardiani di quel sistema, la ex sinistra cooptata dai super-poteri europei per far digerire agli italiani la grande crisi in programma, la fine dei diritti sociali, la disoccupazione come nuova normalità. Quel sistema sta franando, e lo dimostra la vastissima diserzione delle urne. Ma nessuna vera alternativa è ancora in campo.Fino a ieri, la maggioranza votava per il meno peggio. Oggi, in assenza di vere alternative ai gestori della crisi, l’elettore medio non se la sente più di rassegnarsi all’impossibilità di soluzioni: quasi un cittadino su due, infatti, preferisce restare a casa piuttosto che accordare ancora una volta – a candidati deludenti – la solita mezza fiducia, concessa con estrema riluttanza. E’ il dato forse più sostanziale che emerge dalla tornata amministrativa del 5 giugno 2016, tra l’atteso successo dei 5 Stelle a Roma, il pareggio Sala-Parisi a Milano, la riconferma di De Magistris a Napoli, l’erosione del consenso di Fassino a Torino. La partita è gigantesca e si chiama crisi. Il primo orizzonte a oscurarsi è quello nazionale, precariamente presidiato da Matteo Renzi, ma in realtà lo spettacolo va in onda in mondovisione tra l’Europa del Brexit, il martirio a rate della Grecia, la guerra in Siria, i profughi, la devastazione economica indotta dal regime di austerity varato dall’Unione Europea attraverso l’Eurozona e le sue politiche volutamente recessive, a partire dalla prescrizione suicida del pareggio di bilancio.
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Uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael
L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La trama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna, Henry Kissinger.I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”. Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non ci siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, spesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
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Debito, la Bce grazia l’Irlanda: fine del regime del rigore?
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire investimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.
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D’Alema: Renzi deve perdere le città e poi il referendum
«Vedo più spettatori che votanti a queste primarie». Oppure: «C’era anche Renzi al funerale? Non l’ho visto». A parlare è un Massimo D’Alema che in questi giorni si mostra di insolita giovialità, quasi spensierato. E così, fra una battuta e l’altra, qualche sera fa, in una cena in cui c’era una giornalista, il lìder Massimo si è lasciato sfuggire una battuta «lieve come un’incudine sui piedi», ovvero: «Renzi è un agente del Mossad, bisogna farlo cadere». Il Mossad, nientemeno! Vero, Renzi «si è sempre mostrato assai comprensivo verso le ragioni di Israele», ammette Aldo Giannuli, che da tempo segnala grandi manovre per far fuori il Rottamatore, che peraltro ha come consigliere economico Yoram Gutgeld, già tenente colonnello dell’esercito israeliano. «Forse, quella del Conte Max era solo una battuta di spirito», aggiunge Giannuli, sarcastico, proprio mentre – da Napoli a Roma – il Pd renziano sta per andare incontro a un possibile disastro, alle amministrative. Il momento è delicato? Ed ecco che interviene D’Alema – un uomo che, per inciso, vanta relazioni europee di altissimo livello, come quelle con pesi massimi del super-potere, del calibro di Jacques Attali, già uomo-ombra di Mitterrand e da sempre presente nel vertice supremo, anche massonico, che pilota le istituzioni europee.A ottobre, ricorda Giannuli, c’è il referendum sulle riforme costituzionali: se passa il no, Renzi ha detto che si dimette (ma forse no), nel qual caso potrebbero esserci nuove elezioni: «In fondo, almeno formalmente, il motivo per cui questo incredibile Parlamento è restato in vita nonostante la sua palese illegittimità, è stata la necessità di attuare riforme costituzionali, venute meno le quali, non si capisce perché mai dovrebbe restare in carica». Se invece dovesse vincere il sì, «allora è proprio sicuro che voteremmo dopo pochi mesi», aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «perché un Renzi incoronato da un referendum passerebbe subito all’incasso». In ogni caso, «la squadra renziana (se non lui personalmente) procederebbe alla decimazione dei bersaniani nei gruppi parlamentari». Non solo: anche per il super-potere europeo (la Bce, la Merkel, le grandi banche d’affari) sarebbe più difficile «abbattere un premier fresco di unzione popolare». Quindi, gli anti-renziani «hanno pochi mesi per tentare il colpo», ed ecco spiegato anche l’improvviso attivismo di D’Alema: sa benissimo che, se Renzi supera il referendum, dopo sarà più difficile fermarlo.Scenari possibili, nel frattempo? Tanti. Per esempio, un voto contrario in Parlamento: «Cosa facile da farsi in Senato ma di dubbia efficacia, perché sino a quando resta segretario del partito non si potrebbe fare alcun altro governo e si andrebbe alle elezioni anticipate che probabilmente potrebbero essere vinte da Renzi». Piano-B: un congresso straordinario che lo metta in minoranza: «Cosa possibile solo se c’è una spallata fortissima, tale da mandare in frantumi il blocco dominante». Meno improbabile, forse, «un capitombolo sulla questione libica che produca una tale ondata di protesta popolare da spingere una bella fetta del gruppo dirigente ad offrire la testa di Renzi per salvarsi davanti all’elettorato». Ma Renzi non è certo uno sprovveduto: «Si sta dimostrando tutt’altro che propenso ad imbarcarsi in quella avventura». Il pericolo, per Renzi, cresce davvero solo se proviene da Bruxelles: una nuova tempesta dello spread, con lettere e richiami della Bce? Certo, Renzi è meno vulnerabile di Berlusconi – non ha le sue aziende, che in quei giorni persero il 26% del loro valore in Borsa. «Si può provare, ma la riuscita non è garantita», scrive Giannuli. «Poi, in un momento di grande instabilità finanziaria non sarebbe prudente introdurre un altro elemento di fibrillazione: in fondo, l’Italia rappresenta pur sempre il terzo debito mondiale».Altri frangenti scivolosi? «Un grosso scandalo, magari aiutato dall’intervento di qualche procura: e qui, fra l’Etruria, la Popolare di Vicenza e altro, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta sulla casella su cui fare la puntata. Però occorre che lo scandalo possa investire personalmente il presidente del Consiglio (non basterebbero uno o tre ministri) e dovrebbero esserci prove di qualche consistenza». Ma la prima pietra d’inciampo sono proprio le amministrative di giugno: l’aria non è buona per il Pd, Napoli e Roma sono piazze difficilissime, qualche problema potrebbe esserci a Torino o Bologna, e a decidere potrebbe essere Milano. «Renzi, che è furbo, ha fiutato il vento e ha già detto che non è su quel test che si misurerà, ma sul referendum: uno schema di gioco che può reggere se il risultato è dignitoso anche se sfavorevole». Oggi tutte le cinque maggiori città, eccetto Napoli, sono governate dal Pd: perdere in una delle altre quattro città sarebbe una sconfitta, ma accettabile (specie se si trattasse di Roma, dove la partita è proibitiva). Ma se a Napoli e Roma si aggiungesse un’altra città? E se la terza sconfitta fosse proprio a Milano? «Le cose andrebbero diversamente e si accenderebbe uno scontro interno al partito in cui potrebbe anche accadere che un pezzo della maggioranza si stacchi per dar vita ad una corrente di centro», cosa che inizierebbe a rendere difficile la vita al fiorentino, conclude Giannuli: difficile credere che non stia pensando proprio a questo, il Conte Max.«Vedo più spettatori che votanti a queste primarie». Oppure: «C’era anche Renzi al funerale? Non l’ho visto». A parlare è un Massimo D’Alema che in questi giorni si mostra di insolita giovialità, quasi spensierato. E così, fra una battuta e l’altra, qualche sera fa, in una cena in cui c’era una giornalista, il lìder Massimo si è lasciato sfuggire una battuta «lieve come un’incudine sui piedi», ovvero: «Renzi è un agente del Mossad, bisogna farlo cadere». Il Mossad, nientemeno! Vero, Renzi «si è sempre mostrato assai comprensivo verso le ragioni di Israele», ammette Aldo Giannuli, che da tempo segnala grandi manovre per far fuori il Rottamatore, che peraltro ha come consigliere economico Yoram Gutgeld, già tenente colonnello dell’esercito israeliano. «Forse, quella del Conte Max era solo una battuta di spirito», aggiunge Giannuli, sarcastico, proprio mentre – da Napoli a Roma – il Pd renziano sta per andare incontro a un possibile disastro, alle amministrative. Il momento è delicato? Ed ecco che interviene D’Alema – un uomo che, per inciso, vanta relazioni europee di altissimo livello, come quelle con pesi massimi del super-potere, del calibro di Jacques Attali, già uomo-ombra di Mitterrand e da sempre presente nel vertice supremo, anche massonico, che pilota le istituzioni europee.
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Stampa-Repubblica, pensiero unico in guerra contro di noi
La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».In una nota su “Sputink News”, Chiesa ricorda un recente passaggio dell’ex direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro che evoca la “logica della Fiat”, ovvero «perdere quote di sovranità pur di acquisire quella forza e quella superficie che è la miglior difesa del business e del lavoro in tempi di crisi». Dove la “superficie” metaforica di cui si parla «non è solo quella della dimensione di scala italiana, ma è quella dell’Alleanza Atlantica nel suo insieme». Torino e Roma contro Milano e il Nord-est (e anche contro il Sud del paese). «Qui c’è una parte della verità che sta sotto il tappeto. Di cui la vittima cartacea è il povero Corriere della Sera (con la moribonda Rcs abbandonata dalla Fiat, che la lascia nelle mani di Diego della Valle). Ma questi sono dettagli secondari. Come dettagli secondari sono la permanenza dei giornali della destra più o meno berlusconiana, e del solitario “Il Fatto Quotidiano”. Non è con queste forze che si potrà contrastare la marcia trionfale dei corifei unici del pensiero unico».Conclude Chiesa: «Sale in cattedra, con le sue falangi, e con il coro dei canali Rai al completo, la squadra comunicativa che tirerà la voltata di Matteo Renzi per il referendum decisivo che deciderà l’abbandono (se gli riesce, e non è ancora detto) della Costituzione Repubblicana nel corso del 2016». È la stessa squadra che in questi ultimi trent’anni ha in sostanza imposto al paese la «mappa dei valori liberal-democratici» (ancora Ezio Mauro), «stimolando la sinistra a evolversi in questa direzione». Qui, sottolinea Chiesa, “Repubblica” ha giocato il ruolo decisivo, prendendo in mano l’ex Pci «per traghettarlo, armi e bagagli, da sinistra a destra e per mettere i suoi rimasugli, mescolati a quelli della Democrazia Cristiana, nelle mani di Matteo Renzi». Unica “pecca”, di questa parabola, «il non piccolo dettaglio che, lungo la strada discendente, i valori liberaldemocratici sono stati abbandonati da qualche parte sul ciglio. Per essere sostituiti dal business e dalla guerra (che di questo gruppo editoriale nascente sarà senza alcun dubbio la doppia bandiera)».Il maxi-accordo editoriale tra i grandi giornali è perfettamente in linea con la situazione editoriale degli Usa, dove secondo Paul Craig Roberts i maggiori network mediatici della superpotenza sono ormai nelle mani di 5-6 soggetti. Idem, in Italia, il risvolto librario, con l’analogo matrimonio fra Mondadori e Rizzoli, che aumenta l’isolamento (e la debolezza, sul mercato) delle voci indipendenti. In compenso, rilevano diversi analisti, una quota sempre più importante di opinione pubblica ha smesso di fidarsi dei media mainstream, televisivi e cartacei: nessuna persona avveduta e consapevole, secondo lo stesso Craig Roberts, è più disposta a prendere sul serio la narrazione mainstream, preferendo informarsi sui blog. Per Fausto Carotenuto, già operatore strategico dei servizi segreti italiani ora militante nel network “Coscienze in Rete” che produce controinformazione, il super-potere sa di aver perso irrimediabilmente la fiducia del 20-30% della popolazione. Per questo si concentra sulla parte restante, cercando il consenso per la guerra globale in corso: contro i cittadini (perdita di diritti e quote di sovranità) e contro il resto del mondo, devastato da crisi, conflitti e terrorismi pilotati.La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».
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Top secret anche per i deputati: non osano divulgare il Ttip
Un covo di Cosa Nostra? No, la stanza super-segreta con gli atti del Ttip, il Trattato Trasatlantico che ridurrà a zero la residua sovranità europea: fine delle tutele su salute, servizi, cibo e lavoro. A dominare saranno le multinazionali, grazie a speciali tribunali che daranno loro ragione, contro gli Stati. E’ sotto choc la deputata tedesca Katja Kipping, della “Linke”, a cui è stato eccezionalmente permesso – insieme ad alcuni colleghi – di varcare le soglie del sancta sanctorum del nuovo super-potere euroatlantico che sta rimpiazzando il Wto. Due ore in tutto, per dare un’occhiata a documenti in gestazione da anni, ai quali lavorano in segreto 1.500 lobbysti. Sconcertante la procedura di accesso ai dati: «Secondo i piani, annunciati dal vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel, i parlamentari devono prima registrarsi per poter accedere alla stanza, e possono rimanere per solo due ore a leggere i documenti», scritti in inglese (esclusa la possibilità che i parlamentari possano portare con sé consulenti e interpreti). E ancora: «I telefoni cellulari e qualsiasi altro dispositivo elettronico devono essere depositati in una cassetta di sicurezza».
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Magaldi: Isis e austerity, doppia impostura e identici registi
Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).Loro, gli uomini del clan fondato dai Bush all’epoca dell’elezione di Reagan, avrebbero organizzato il disastro dell’11 Settembre. E oggi serebbero alle prese col nuovo copione del terrore, quello del Califfato. Per questo non bisogna mai credere all’Uomo Nero, aggiunge un altro massone, Gianfranco Carpeoro, schierato con Magaldi nel “Movimento Roosevelt”, associazione sorta per “risvegliare alla verità” la politica italiana (clamorosa la proposta, rivolta al Movimento 5 Stelle, di candidare a sindaco di Roma un valoroso combattente della democrazia come il grande economista Nino Galloni). L’Uomo Nero – ieri Bin Laden, oggi Al-Baghdadi – è sempre una creazione “magica” del potere: «Il loro obiettivo – ricorda Carpeoro a “Border Nights”, trasmissione radio via web – è sempre lo stesso: indurci a odiare il “nemico” di turno, anziché il sistema che l’ha prodotto». Ma l’Uomo Nero, per farci paura, ha bisogno di vaste coperture: politiche, diplomatiche, industriali, militari, finanziarie, mediatiche. I cosiddetti poteri forti. Attenzione, avverte Magaldi: non si tratta di una semplice élite di potere. I grandi burattinai sono tutti massoni, affiliati a superlogge segrete internazionali. E convinti che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi. Solo loro, gli “eletti”, auto-promossi in una sorta di “aristocrazia spirituale”, si credono in grado di stabilire cos’è bene e cos’è male.Sono gli uomini come il “venerabile” Mario Draghi, che Magaldi chiama “contro-iniziati”, cioè traditori della missione massonica originaria: “libertè, egalitè, fraternitè”, ideali su cui le logge del ‘700 basarono la storica guerra sotterranea contro l’assolutismo monarchico, innescando la Rivoluzione Francese e quella americana, quindi i Risorgimenti dell’800 e le grandi rivoluzioni del ‘900, compresa quella russa. Magaldi l’ha ripetuto in una lunga video-intervista che Claudio Messora ha realizzato e pubblicato sul seguitissimo blog “Byoblu”, vicino all’area grillina. Un’ora di rivelazioni a catena, per spiegare (anche) la candidatura romana di Galloni: «Se fosse eletto sindaco della capitale, esordirebbe con un gesto necessario e dirompente: la rottura del “patto di stabilità” che costringe artificiosamente gli enti pubblici a deprimere la spesa, mettendo in sofferenza i cittadini, non in nome di criteri economici ma solo di diktat ideologici imposti da quell’élite oligarchica che vuole semplicemente la fine della democrazia». L’autore di “Massoni” cita il politologo statunitense John Rawls e la sua “teoria della giustizia”: nulla in contrario alla ricchezza, se sudata, purché nella società non restino persone senza reddito, senza il diritto a un’esistenza dignitosa. Diritto al lavoro, da inserire nella Costituzione: «Oggi serve un’alta autorità deputata alla creazione della piena occupazione, in Italia», ben sapendo che la crisi – rigore, austerity, disoccupazione – è stata espressamente voluta: il bisogno e la paura del futuro trasformano i cittadini in sudditi, secondo la visione neo-feudale dell’élite dominante.Era un massone, Rawls, e purtroppo lo era anche Robert Nozick, il teorico dello “Stato minimo”: tagli drastici alla spesa sociale, come raccomandato anche dalla scuola austriaca, quella di Friedrich Von Hayek, altro massone, punto di riferimento di un esponente nostrano della massoneria neo-oligarchica, Mario Monti. Proprio la “libera muratoria”, insiste Magaldi, è il convitato di pietra dei nostri giorni: benché assente, clamorosamente, dalla storiografia, la massoneria ha letteralmente “fatto la storia”, creando le basi della modernità (democrazia, elezioni, Stato di diritto), e poi ha partorito un’élite di potere di segno opposto, reazionario, che ha dominato gli ultimi decenni. Un’élite di rinnegati e “contro-iniziati”, appunto: «Tradiscono l’ispirazione umanitaria della massoneria storica, che ha conferito ad ogni singolo cittadino, prima la prima volta, una quota di sovranità: prima non esistevano cittadini, ma solo sudditi, esposti all’arbitrio del monarca». Se non ci si decide a riconoscere finalmente il ruolo positivo e decisivo della “libera muratoria” come leva dello sviluppo civile democratico, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promossa da Eleanor Roosevelt, è impossibile capire fino in fondo chi abbiamo di fronte oggi, insiste Magaldi: è fondamentale la matrice massonica del nuovo super-potere, quello delle Ur-Lodges apolidi e affaristiche, pronte a manipolare la storia sociale del mondo in nome delle proprie convinzioni iniziatiche, corrotte dal suprematismo neo-aristocratico.Enorme, comunque, anche tra i commenti sul blog di Messora, la diffidenza nei confronti di Magaldi e della massoneria in generale. «In materia, in Italia, c’è un’ignoranza abissale», ammette lo stesso Magaldi, che nel suo libro denuncia il ruolo di Gelli e della P2 come longa manus della superloggia reazionaria e golpista “Three Eyes”, quella di Kissinger, a cui sarebbe stato affiliato anche Giorgio Napolitano. In polemica col “Grande Oriente d’Italia”, Magaldi ha condotto una battaglia per la trasparenza, fondando il “Grande Oriente Democratico”. Poi ha concepito il progetto editoriale “Massoni”, per scuotere le acque, affiliandosi anche alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Il “Movimento Roosevelt” è l’ultima creatura, apertamente politica, per contrastare l’emergenza attuale, fondata sull’artificio ideologico del rigore. Non è casuale, ovviamente, il richiamo al grande presidente americano: «Quando gli Usa agonizzavano, in preda alla Grande Depressione, il repubblicano Hoover condusse la sua campagna elettorale nel silenzio imbarazzato del suo stesso partito: nessuno più credeva alla ricetta dell’austerity, ed era il 1929. La riscossa venne proprio dal massone Roosevelt, grazie al genio economico di un altro massone, John Maynard Keynes, l’uomo della spesa pubblica espansiva: solo lo Stato ha il potere di risollevare le sorti dell’economia. A loro, l’Europa deve lo sviluppo e la prosperità del dopoguerra».Grandi personaggi, leader storici indiscussi, di cui però viene sempre regolarmente omessa l’appartenenza massonica. Un “buco nero” a cui probabilmente ha contribuito la massoneria stessa, con la sua tradizionale riservatezza, ereditata dall’epoca in cui gli inventori della democrazia rischiavano il cercere e la forca. Oggi la massoneria torna a fare notizia, ma generalmente in negativo: sinonimo di potere occulto, di network deviato e pericoloso. «Io sono orgogliosamente massone», protesta Magaldi, «e, come me, tanti “fratelli”, in Italia e nel mondo, decisi a contrastare questa leadership egemonica nefasta». Grande complotto, da parte dei neo-aristocratici? L’autore di “Massoni” preferisce parlare di “progetto”: «E’ comprensibile che, chi ha creato la modernità, pensi di poterla pilotare a suo piacimento. Comprensibile, ma sbagliato: il potere deve assolutamente e rapidamente tornare al popolo, per via democratica. E questo, anche se i libri di storia non lo spiegano, è un orientamento non soltanto giusto, ma anche profondamente massonico, nonostante il pessimo esempio fornito dai contro-iniziati come Draghi e Monti». Il viaggio di Gioele Magaldi continua, come le tappe della presentazione del suo libro, oscurato dai media mainstream. «Lei non ha paura?», gli domanda Messora. «Ricevo minacce di morte, ma vado avanti», assicura Magaldi, deciso a completare la missione: strappare il velo che ci impedisce di vedere che i burattinai dell’Isis e quelli dell’austerity europea sono le stesse persone.Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).
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Dominus del potere sub-europeo, Renzi manovra per durare
Durare nel tempo e imporsi come nuova struttura di potere: questo, per Alfonso Gianni, il senso della manovra varata da Renzi con la legge di stabilità. Operazione ambiziosa: da un lato l’apertura di una «lunga campagna elettorale, la cui prima tappa è costituita dalle amministrative della prossima primavera in quasi tutte le città più importanti del paese, vere e proprie “midterm elections in salsa italiana”». Ma, al di là del puro ritorno elettorale, la manovra «vuole consolidare un blocco di potere articolato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico rappresentante politico, anzi il dominus». L’esito delle elezioni 2016 non è scontato, visti i poco soddisfacenti risultati in precedenti elezioni locali, «a dimostrazione che la distruzione dei corpi intermedi, asse strategico dell’azione renziana, che comincia dalla liquidazione del suo stesso partito, ha degli effetti collaterali indesiderati, quali la mancanza di una classe dirigente diffusa e fedele». Inoltre, a orientare la manovra è il timore dei “censori” di Bruxelles, visto che il governo «ambisce ad essere niente altro che un’articolazione del sistema di potere delle élite economiche e politiche europee».Da qui, scrive Gianni sul “Manifesto”, la centralità della cosiddetta riforma fiscale, «definita con la consueta modestia una “rivoluzione copernicana”». I proprietari di 75.000 case di lusso e palazzi ne trarranno ampi benefici, almeno 2.800 euro in media a testa. «Non importa se a farne le spese sarà la sanità o altri istituti dello stato sociale, un tempo misura della nostra civiltà. Diceva il grande Petrolini: quando bisogna prendere i soldi li si cavano ai poveri, ne hanno pochi ma sono tanti. Quindi, se si fa il contrario, ovvero si concedono generosi sgravi fiscali, meglio farlo con i ricchi, perché sono meno e hanno più potere». Per questo, continua Gianni, «la più grande “riforma fiscale di tutti i tempi”, secondo un’altra sobria definizione del suo autore, va oltre al copia e incolla di quella berlusconiana». Il vecchio leader di Arcore, almeno, «ci metteva un po’ di populismo e parlava di una seconda fase dedicata all’alleggerimento della pressione fiscale sulle persone fisiche». Invece, «Renzi prevede che il secondo step deve riguardare le aziende, cioè l’Irap e l’Ires. Il resto viene dopo, se viene. E Squinzi, dopo qualche incomprensione, si riaccende di amore verso il governo».Il boss di Confindustria sembra confortato anche dai propositi del leader: intervenire d’autorità sullo svuotamento della rappresentanza sindacale e sulla liquidazione del contratto collettivo nazionale, «usando come piede di porco l’innocente salario minimo orario legale, ancora da definire». E qui, per Alfonso Gianni, «si scende negli inferi del diabolico». Il taglio dell’Ires? «Verrebbe condizionato al via libera della Ue sulla flessibilità per i costi dell’ondata migratoria. Ovvero i migranti e i profughi, quelli che sopravvivono alla guerra per terra e per mare in atto contro di loro, verrebbero usati come merce di scambio per ridurre le imposte sul reddito d’impresa. Ma un occhio di riguardo bisogna pur tenerlo anche per gli evasori fiscali: non pagano le tasse, ma votano come gli altri. Ecco quindi sbucare l’innalzamento della quota di contante da mille a tremila euro per ogni singolo pagamento, in modo da renderne impossibile la tracciabilità».Renzi vuole durare, insiste Gianni. «Per farlo, dopo la distruzione sistematica dei corpi intermedi della società civile, deve dare vita a un nuovo blocco di potere con collanti tenaci». Le “controriforme” costituzionali, istituzionali ed elettorali in atto potranno essere smantellate, forse, solo a colpi di referendum. Ma intanto il governo Renzi si fa cinghia di trasmissione del super-potere di Bruxelles, «espresso dagli organi ademocratici della Ue», e in Italia diventa «strumento di disarticolazione di ogni potenziale schieramento sociale antagonista», provando a cooptare «strati e settori sociali utili a puntellare un sistema che non sopporta la dualità sociale attiva, cioè il conflitto».Durare nel tempo e imporsi come nuova struttura di potere: questo, per Alfonso Gianni, il senso della manovra varata da Renzi con la legge di stabilità. Operazione ambiziosa: da un lato l’apertura di una «lunga campagna elettorale, la cui prima tappa è costituita dalle amministrative della prossima primavera in quasi tutte le città più importanti del paese, vere e proprie “midterm elections in salsa italiana”». Ma, al di là del puro ritorno elettorale, la manovra «vuole consolidare un blocco di potere articolato e allo stesso tempo coeso, di cui il Pd deve essere l’unico rappresentante politico, anzi il dominus». L’esito delle elezioni 2016 non è scontato, visti i poco soddisfacenti risultati in precedenti elezioni locali, «a dimostrazione che la distruzione dei corpi intermedi, asse strategico dell’azione renziana, che comincia dalla liquidazione del suo stesso partito, ha degli effetti collaterali indesiderati, quali la mancanza di una classe dirigente diffusa e fedele». Inoltre, a orientare la manovra è il timore dei “censori” di Bruxelles, visto che il governo «ambisce ad essere niente altro che un’articolazione del sistema di potere delle élite economiche e politiche europee».
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Wedel: élite-ombra, si nasconde per privatizzare il mondo
“Shadow Elite”, ovvero élite-ombra: è il titolo di un libro completamente ignorato, scritta da una docente universitaria molto rispettata, Janine Wedel, che «con straordinaria precisione documentaria spiega come operino le élite che riescono a condizionare democrazia e libero mercato», spiega Marcello Foa. La Wedel le definisce “flex-net” e porta numerosi esempi concreti, con tanto di nome e cognome. «La sua tesi, ampiamente comprovata, è che la fine della Guerra Fredda, l’avvento di nuove tecnologie soprattutto nel campo dell’informazione e della comunicazione, la diffusione della retorica di un finto neoliberismo, che solo in apparenza porta alla deregolamentazione e alla riduzione del ruolo dello Stato, abbiano permesso l’affermazione di queste nuove reti di potere». In realtà, «buona parte delle privatizzazioni sono finte: non portano a una vera concorrenza per abbattere i costi e migliorare i servizi, ma a incredibili regalìe monopolistiche». Un viaggio nel nuovo super-potere internazionale, quello che detta i tempi delle crisi, delle austerità e delle speculazioni.«La Wedel – continua Foa nel suo blog sul “Giornale” – spiega come queste élite possano essere di destra o di sinistra, a seconda delle convenienze, di come operino nelle istituzioni e nell’economia privata, di come i suoi me mbri possano assumere diverse identità e di come approfittino della globalizzazione con un solo scopo: l’arricchimento personale. E che se ne infischino degli interessi del proprio paese e del proprio popolo, benché apparentemente patriottici». Un saggio denso, documentatissimo, trascurato dai grandi media in America e in Europa. Intervistata da “Radio Free Europe”, l’autrice spiega: siamo alle prese con «una nuova generazione di giocatori, le cui manovre sono al di là dei tradizionali meccanismi». Lavorano come consulenti del governo e delle imprese, ma anche se appaiono sui media «è molto difficile, per il pubblico, sapere chi rappresentano, esattamente». In realtà «lavorano per conto di più organizzazioni, così sono meno trasparenti e meno responsabili».Secondo Janine Wedel, «viviamo in un’epoca molto più pericolosa di ogni altra, da quando siamo entrati nella storia dello Stato moderno». In sostanza, «chi soffre in questa storia è la democrazia». Idem il libero mercato: i signori delle lobby sabotano la concorrenza e costruiscono intrecci opachi tra governo e imprese, tra Stato e privato. E ottengono benefici di governo da utilizzare a loro vantaggio, alterando le regole del mercato. Lo dimostrano anche le rivelazioni di Wikileaks: la nuova élite-ombra vive di segretezza e teme ogni forma di trasparenza. «L’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione – continua la Wedel – è una delle ragioni principali per cui ci troviamo in questo nuovo sistema di potere e di influenza, che ancora una volta scavalca i meccanismi tradizionali di controllo democratico. Questo è il pericolo». Siamo in una nuova era: «Gran parte del nostro mondo, ora, è molto meno prevedibile: ogni giorno ci svegliamo e sempre nuove tecnologie appaiono all’orizzonte». E non siamo noi a controllarle, ma gli uomini invisibili della “Shadow Elite”.“Shadow Elite”, ovvero élite-ombra: è il titolo di un libro completamente ignorato, scritta da una docente universitaria molto rispettata, Janine Wedel, che «con straordinaria precisione documentaria spiega come operino le élite che riescono a condizionare democrazia e libero mercato», spiega Marcello Foa. La Wedel le definisce “flex-net” e porta numerosi esempi concreti, con tanto di nome e cognome. «La sua tesi, ampiamente comprovata, è che la fine della Guerra Fredda, l’avvento di nuove tecnologie soprattutto nel campo dell’informazione e della comunicazione, la diffusione della retorica di un finto neoliberismo, che solo in apparenza porta alla deregolamentazione e alla riduzione del ruolo dello Stato, abbiano permesso l’affermazione di queste nuove reti di potere». In realtà, «buona parte delle privatizzazioni sono finte: non portano a una vera concorrenza per abbattere i costi e migliorare i servizi, ma a incredibili regalìe monopolistiche». Un viaggio nel nuovo super-potere internazionale, quello che detta i tempi delle crisi, delle austerità e delle speculazioni.
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Barnard: via la dittatura? Solo grazie a un nuovo Gorbaciov
La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.Nicolas Micheletti è ottimista: Facebook, scrive, è un’arma decisamente sottovalutata. E’ vero, «può portare dipendenza patologica, ci stacca dalla realtà, ci toglie tempo libero per studiare testi che ci aprirebbero la mente». Ma il network creato da Zuckerberg può anche informare e sensibilizzare: «Con Facebook ogni persona può essere un “giornalista”, ogni persona può essere una rampa per l’informazione». Lorenzo Cortonesi invece non si fa illusioni: il social network ti concede sì di circuitare idee intelligenti, ma «a patto che non rompi troppo i coglioni». Ovvero: «Se tu arrivassi a 60 milioni di visualizzazioni», cioè «i numeri che davvero cambierebbero qualcosa», magari per parlare dell’“economicidio europeo”, «scompariresti nella nebbia in 20 secondi esatti». Motivo: «Non è concepibile usare Fb per fare “vero giornalismo”, semplicemente perchè non è stato creato per questo».Realismo: «Credi davvero che uno di noi o tanti di noi possano cambiare il mondo con Fb? Por favor». Davvero pensiamo che «una Merkel, un Draghi, non sappiano cos’è Facebook e che cosa potrebbe scatenare se davvero “funzionasse”?».«Nulla viene lasciato al caso, con multinazionali come queste», scrive Cortonesi, rispondendo a Micheletti. «Fb è solo quello che Paolo Barnard disse una volta (e con piena ragione) in una sua vecchia intervista a proposito di Grillo e il suo movimento di grillini: una valvola di sfogo. Io aggiungo, un luogo per apatici rincoglioniti, ridotti a postare mici e aforismi del cazzo. Nulla di più. E questo non preoccupa nessuno». Chi invece ha provato seriamente a fare informazione «è stato bannato, censurato, oscurato». I motivi? «Apparentemente tecnici o di comportamento», ma nella realtà «“rompi il cazzo e sei pericoloso”: ne abbiamo avuto prova proprio in questi giorni con la pagina di Paolo, rimossa più volte». Quindi, «non facciamoci abbindolare sempre da queste “visioni” salvifiche: non cambi niente da casa, seduto a scrivere un articolo». La verità è che «i “rentiers” se ne strafregano di Facebook perché sono loro che ci mettono i soldi per farlo campare». Ok. Che fare, allora? Solo lo 0,2% dell’opinione pubblica, secondo Barnard, «ha compreso che chi comanda la nostra vita in tutto ciò che conta sono oggi strutture sovranazionali immensamente potenti». Quindi, «quali strumenti e strategie dobbiamo usare per arginare The Machine?».Francamente: «Conta qualcosa fare cartelli con lo spray e sfilare per le strade? Conta Facebook? Conta informare la gente, e la… gggènte? Conta fare Onlus e associazioni? Conta uno sciopero della fame o mettere il proprio corpo contro proiettili di gomma?». Il grande giornalista, autore de “Il più grande crimine” (prima clamorosa denuncia contro il “golpe” finanziario dell’élite neo-feudale che sta rottamando la democrazia) propende per un’altra soluzione: forse, aggiunge, «l’unica cosa che conta davvero è starsene muti per 35 anni della propria vita, arrivare come colletti bianchi dentro le stanze di un ministero, dentro quelle di una megabanca, dentro quelle di una potente think tank, quelle della Bocconi, della Sapienza e, dall’interno, sferrare l’attacco». E spiega: «L’Urss non l’hanno neppure intaccata di una scheggia i sacrifici tragici ed eroici dei dissidenti spediti in manicomi o in Siberia, l’ha fatta crollare dall’interno proprio il suo presidente (e non certo Reagan o il Papa)». Per Barnard, «il colpo finale al Vero Potere, se mai accadrà, sarà sferrato da una coalizione di super-tecnocrati favorevoli all’Interesse Pubblico». Personaggi «dalla preparazione micidiale (spaccano un capello in due con uno sguardo…), già insediati in posizioni di potere». Semplificando, aggiunge Barnard, è «ciò che successe quando John Maynard Keynes, Piero Sraffa e alcuni intellettuali altolocati inglesi come William Beveridge, tutti interni al Potere britannico, teorizzarono lo Stato Sociale, la Piena Occupazione, e l’economia nell’interesse pubblico». Quegli uomini «cambiarono il mondo di allora in Europa».Accadde anche in Italia, nel 1970, grazie a Giacomo Brodolini e Gino Giugni, «autori del più avanzato Statuto dei Lavoratori (pro lavoratori) del mondo». Erano anch’essi «colletti bianchi già interni al Potere. Eccezionali». La missione, oggi, è proprio questa: indirizzare i nuovi Gino Giugni verso la Mosler Economics, la sovranità monetaria, per liberare lo Stato dal ricatto della finanza e riconvertire l’economia verso la piena occupazione. I nuovi insider dovranno crescere nell’ombra e scalare posizioni di potere per poi scardinare, un giorno, il dispositivo neo-feudale che sta cancellando la civiltà democratica europea. Come Gorbaciov, gli insider dovranno conquistare la piena fiducia della Macchina: e quindi «scalare posizioni nei partiti, nei governi, nelle amministrazioni, in Ue», come fossero «impassibili finti burattini del Vero Potere». Il rischio? E’ che, al momento buono, il loro attacco «venga soffocato anche dall’interno della stanza dei bottoni». E qui allora entrano finalmente in gioco le associazioni, le Ong, gli attivisti: senza mai svelare il loro collegamento con i «colletti bianchi infiltrati», i militanti devono fin d’ora «lavorare come pazzi per divulgare sul territorio e alla popolazione intellettualmente raggiungibile», cioè non la totalità dell’opinione pubblica, «il messaggio economico di salvezza nazionale che i colletti bianchi serbano nascosto».La missione, dunque, consiste nel «rivelare al popolo raggiungibile l’inganno fatale del Vero Potere di oggi». In altre parole, «devono fargli capire che non esiste un’altra strada, e che la distruzione della civiltà dei diritti è ormai completa». Massima urgenza, quindi. Quest’opera di “facilitazione”, spiega Barnard, serve a risolvere un punto cruciale: «Creare una relativa massa di opinione pubblica che sappia farsi sentire, o meglio rumoreggiare, quando i nostri colletti bianchi porteranno alla luce le loro proposte per l’Interesse Pubblico dentro il Vero Potere». Quando tenteranno di soffocarli, «se le opinioni pubbliche, anche in numeri esigui ma rumorosi, si faranno sentire, il Vero Potere si spaventerà». Infatti, sottolinea Barnard, «l’unica cosa al mondo che può intimidire il Potere sono le opinioni pubbliche che si ribellano, o anche solo… l’impressione che le opinioni pubbliche si siano sollevate». Non ne siete convinti? «Come credete che abbia fatto un Pannella a portare in Italia aborto e divorzio in un’epoca in cui il potere del Vaticano/Dc era stellare? Si mosse una fetta (piccola ma rumorosa) di opinione pubblica». La “gente” è meglio lasciarla perdere: la maggioranza «conta meno di una solida, determinata minoranza di cittadini che si fa sentire». Quindi va bene tutto, anche Facebook. Purché il disegno sia chiaro.La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.