Archivio del Tag ‘strategia della tensione’
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Manchester Satanic e terroristi Nato, nessuno è innocente
Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.Ora, secondo l’“Independent”, Salman Abedi, il figlio stragista di Manchester, si trovava nella Libia Orientale nel 2011, quando gli aerei britannici bombardavano le truppe del governo libico per portare al potere i Takfiri. Era giovanissimo. Secondo i suoi compagni di scuola, cambiò allora: «Prima era un ragazzo di compagnia, beveva, fumava erba – ma quando tornò dalla Libia nel 2011 era un’altra persona. Diventò religioso. Per qualche tempo è stata innalzata una bandiera nera con scritte in arabo sul tetto della casa degli Abedi a Elsmore Road». Spero che i lettori non abbiano dimenticato come, sotto gli auspici di Hillary Clinton allora segretaria di Stato, carichi e carichi di armamenti saccheggiati dai forniti arsenali di Gheddafi furono spediti in Siria, per armare i Takfiri mercenari arruolati per abbattere il legittimo governo. Una sporchissima faccenda in cui trovò la morte l’ambasciatore Usa Chris Stevens, sacrificato con la sua scorta di Marines per non far saltare fuori la storia. Potevano essere salvati, un commando era pronto a decollare dalla Sicilia, fu dato l’ordine di “stand-down”. Insomma la strage “islamica” di Manchester è un effetto collaterale delle sovversioni britanniche in Libia e in Oriente in obbedienza ai neocon americani. A meno che non sia un’operazione voluta dagli stessi servizi britannici – l’attentatore era ben noto agli agenti – per distrarre l’opinione pubblica da qualcos’altro (Brexit? Elezioni?).Personalmente penso che valga più la prima ipotesi. Ma, come si dice: mai sprecare un disturbato mentale utilizzabile come islamista kamikaze. Quanto alla pop-star Ariana Grande, idolo delle giovanissime: nel 2014, in una intervista a “Billboard”, ha rivelato di essere divenuta “kabbalista” (complimenti) secondo «gli insegnamenti del rabbino Philip Berg», un agente d’assicurazione di New York, fondatore di una organizzazione magica chiamata Centro della Kabbala. Ariana Grande non è la sola celebrità ad aderirivi: Naomi Campbell, Madonna, Leonardo Di Caprio, Britney Spears, Demi Moore e (poteva mancare?) Paris Hilton si dice ne facciano parte. La giovanissima Ariana Grande ne deve essere particolarmente addentro, perché in una intervista ha parlato di come talora venga “abitata” da presenze inequivocabili: «Appena ho chiuso gli occhi ho sentito questa vampata davvero forte vicino alla mia testa… quando ho chiuso gli occhi ho iniziato di nuovo con i sussurri per molto tempo… ho iniziato a vedere questa immagine veramente inquietante, come con forme rosse».Sul web naturalmente si sono affollati complottisti che hanno intuito “messaggi” kabbalisti, per esempio, nell’età dell’attentatore e nella data della strage (22 è il numero delle lettere ebraiche su cui si basa la magia della Kabbala); altri hanno indicato simboli kabbalistici nei videoclip della piccola. La cosa ci stupirebbe poco e poco ci interessa. Oltretutto un produttore cinematografico che ha passato la vita ad Hollywood, Jon Robberson, ha appena accusato l’industria cinematografica hollywoodiana di essere «un nido di pedo-criminalità di natura luciferina». Il che, naturalmente, ci stupirà ancor meno. Stupirebbe di più il fatto che nessun giudice in Usa voglia riprendere in mano la faccenda della strana morte di Seth Rich, un addetto del comitato elettorale democratico che aveva rivelato a Wikileaks migliaia di mail compromettenti sul funzionamento interno del partito: fra cui i trucchi e i giochi sporchi con cui quel partito favoriva la Clinton e sabotava l’altro candidato, Bernie Sanders. «Seth Conrad Rich, 27 anni, fu assassinato per strada l’8 luglio in Washington Dc, da una o diverse persone che non gli rubarono nulla di quello che indossava, lasciando anche la sua ventiquattrore, il suo orologio o il cellulare». Julian Assange accusò Hillary come mandante dell’omicidio (Hillary: «Ma non c’è un drone, qualcosa, per ammazzarlo?»). Il fatto è che si stanno accumulando prove, indizi e testimonianze che puntano ai colpevoli nel Partito Democratico. Ma i giudici e i politici Usa sono tutti concentrati a cercare prove sul delitto originale di Trump, quello di essere un agente di Putin.(Maurizio Blondet, “Manchester Satanic, nessuno è innocente”, dal blog di Blondet del 25 maggio 2017).Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.
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Attali: bavaglio al web. Parguez: francesi, ora siete nei guai
«C’erano due opzioni, nel ballottaggio francese per l’Eliseo: estrema destra, contro estrema destra». A formulare l’amara battuta è l’economista francese Alain Parguez, già consigliere di Mitterrand. Fu lui a denuciare il ruolo-ombra, nella storica presidenza socialista, del supermassone reazionario Jacques Attali, il mentore di Macron, l’uomo a cui è attribuita la frase più sinistra, riguardo alla natura del regime oligarchico Ue: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo fatto per la loro felicità?». Dopo l’esperienza con Mitterrand, Attali ha lavorato con Sarkozy per poi lanciare il giovane Macron. «Ora avrebbe voluto essere parte del progetto di Macron, ma per quanto ne so è in disgrazia, nonostante le foto che girano», dichiara Parguez a Ivan Invernizzi di “Rete Mmt”. Nessun dubbio sulle prossime mosse di Macron: «Calcherà la mano con l’austerità ancor più di quanto non sia già stato fatto, distruggendo ciò che rimane di Stato sociale». Sul suo sito, lo stesso Attali – a caldo – descrive «l’immensità della gioia» provata per l’elezione del pupillo Macron, che ora ha davanti una sfida enorme: risollevare la Francia dalla crisi. Come? Tanto per cominciare, mettendo il bavaglio al web.I social media, scrive Attali, sono il luogo della violenza scatenata. «E anche se questa violenza è anonima, dice una verità: quando sei debole, devi gridare e persino insultare, in modo da poter essere ascoltato». Tuttavia, aggiunge, «sarà senza dubbio necessario completare i meccanismi esistenti, per far sì che scompaiano più in fretta tutte le menzogne e le diffamazioni che le reti sociali trasmettono così spesso». Un bel repulisti del web, ovviamente «nel pieno rispetto della democrazia». Dice sul serio, Attali: «Ogni parola deve essere pesata», puntando il dito contro certi contenuti e contro «coloro che possono, in mala fede, caricarli». Questa è la prima – e unica – ricetta che l’oligarca Attali si sente di raccomandare a Macron, dopo aver ammesso che «il paese è in uno stato terribile», visto che «c’è una grande privazione sociale e la meritocrazia è rotta». Vasta sofferenza, «al di là delle statistiche sulla disoccupazione e sulla povertà: molte persone percepiscono ansia di fronte a una simile povertà, anche se non lo sperimentano», e vedono compromesso l’avvenire dei propri figli. Il paese, riconosce Attali, «è profondamente diviso tra coloro che credono di poter avere un futuro migliore e coloro che pensano che solo il ritorno al passato possa salvare la nostra identità». La Francia è divisa, «tra coloro che credono che la ricchezza sia scandalosa e chi pensa che sia scandalosa la povertà».Jacques Attali, finanziere e banchiere internazionale, ci tiene a fotografare il suo protetto Macron, già attivo nel ramo francese della banca Rothschild, come personaggio presentabile, benché ricchissimo: «Non dobbiamo considerare il successo come sospetto e il risultato come malsano». Poi, piange un po’: «La consapevolezza etica del paese non esiste più. Tutti i principi che ci hanno tenuti insieme sono stati messi in discussione. I partiti politici che esistono da 100 anni sono crollati». Lacrime di coccodrillo: se è venuto giù un sistema, demolito dalle fondamenta, lo si deve all’edificazione oligarchica dell’Ue e dell’Eurozona, di cui proprio Attali è stato uno dei massimi architetti. E’ in corso una catastrofe, certo. E questo, chiosa l’anziano Alain Parguez, «mi auguro porterà le persone a radicalizzarsi politicamente». Ma non c’è da contarci troppo: sono tutti scoraggiati, ammette, e non c’è nessuno capace di mobilitare energie sul piano intellettuale. Parguez sostiene che, a questo, si è arrivati anche con il provvidenziale terrorismo a orologeria, targato Isis, utile a seminare il panico e indurre scelte elettorali considerate rassicuranti. Il terrorismo che la colpito la Francia è una provocazione, «è l’incendio del Reichstag». Solo che le pecorelle sono corse dalla parte sbagliata, verso il lupo che le sbranerà: più rigore per tutti, e – come suggerisce Attali – meno proteste sul web.«C’erano due opzioni, nel ballottaggio francese per l’Eliseo: estrema destra, contro estrema destra». A formulare l’amara battuta è l’economista francese Alain Parguez, già consigliere di Mitterrand. Fu lui a denuciare il ruolo-ombra, nella storica presidenza socialista, del supermassone reazionario Jacques Attali, il mentore di Macron, l’uomo a cui è attribuita la frase più sinistra, riguardo alla natura del regime oligarchico Ue: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo fatto per la loro felicità?». Dopo l’esperienza con Mitterrand, Attali ha lavorato con Sarkozy per poi lanciare il giovane Macron. «Ora avrebbe voluto essere parte del progetto di Macron, ma per quanto ne so è in disgrazia, nonostante le foto che girano», dichiara Parguez a Ivan Invernizzi di “Rete Mmt”. Nessun dubbio sulle prossime mosse di Macron: «Calcherà la mano con l’austerità ancor più di quanto non sia già stato fatto, distruggendo ciò che rimane di Stato sociale». Sul suo sito, lo stesso Attali – a caldo – descrive «l’immensità della gioia» provata per l’elezione del pupillo Macron, che ora ha davanti una sfida enorme: risollevare la Francia dalla crisi. Come? Tanto per cominciare, mettendo il bavaglio al web.
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Servizi deviati? No: a decidere è la politica (anche le stragi)
Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.Quando i servizi segreti italiani hanno ricevuto l’ordine di mettersi a disposizione della Gladio, l’operazione Stay Behind, l’hanno ricevuto da Cossiga, che era il ministro degli interni: dunque erano deviati loro o era deviato Cossiga? Certo che i servizi sono “al di sopra della legge”. E sono pure dotati della “licenza di uccidere”, proprio come il titolo del primo film di James Bond. Poi ci sono aspetti decisamente criminali, da parte di alcuni servizi segreti. C’è tutta una serie di attività di auto-finanziamento a cura di servizi come il Mossad (e, fino a dieci anni fa, i servizi bulgari), che fanno operazioni su commissione. Sono sempre autorizzate, questa operazioni: le autorità politiche non danno ai servizi tutti i soldi che loro richiedono, e quindi tollarano che, a scopo di auto-finanziamento, il servizio esegua azioni per conto terzi. A volte lavorano per qualche imprenditore che gli chiede qualche favore. Di mezzo c’è sempre, comunque, una responsabilità politica. In Italia i servizi rispondono solo a una commissione parlamentare e al ministro dell’interno, a cui si può contestare se è stato fedele, o meno, all’interesse nazionale. Da noi non puoi rivolgerti direttamente ai servizi: ti rivolgi al ministero dell’interno, chiedendo di attivare i servizi per monitorare ad esempio un’industria farmaceutica, o traffici finanziari. Ma tutto fa capo, sempre, al ministero.Il primo ministro può anche essere ignaro, dell’attività dei servizi, solo se non funziona il rapporto gerarchico con il referente diretto dei servizi, cioè il ministro dell’interno. Ma l’Italia è un paese bislacco, carente di responsabilità politica: da noi è capitato spesso che sia stato il presidente del Consiglio a chiedere espressamente al ministro dell’interno di non informarlo, su certe cose. E’ accaduto quando i servizi hanno gestito il pagamento del riscatto di certi sequestrati, e hanno pagato i rapitori con fondi che non dovevano comparire. Chi gestì quelle operazioni di liberazione, e con che soldi? Forse a questo punto vi date delle risposte, ricordando l’allora presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, già ministro dell’interno: rispose “non ci so”, quando gli chiesero dove fossero finiti certi famosi fondi neri. Scalfaro sapeva che gli sarebbe toccato tirar fuori l’elenco delle “operazioni” attuate per accumulare quei fondi neri. Quand’era ministro, il presidente del Consiglio aveva detto a Scalfaro: fa’ pure tutte quelle cose, ma fa’ in modo che io non ne sappia niente.Poi c’è l’ulteriore problema che è stato posto, ad esempio, durante il nazismo: la catena gerarchica ufficiale, che sotto il nazismo ha funzionato benissimo, era una catena perfetta. Gli ordini più terribili – uccidere, aprire i gas nei lager, sterminare ostaggi (come quelli delle Fosse Ardeatine) – gerarchicamente erano corretti. Ai soldati nazisti è stato contestato il fatto che, a certi ordini, bisognerebbe disobbedire. Ma è un problema molto delicato: perché, se fai passare questa linea, finisci col non ritrovartelo più, un esercito. Perché la linea gerarchica di un esercito, di un’operazione militare, dev’essere assoluta. Se tu la incrini, poi rimetti alle valutazioni individuali di ogni soldato a quale ordine obbedire e a quale no. Secondo voi sopravvive, un esercito, a questo? E’ un problema molto delicato, che vale anche per i servizi. Il servizio segreto che ha favorito la strage di Bologna, quello di Giannettini, si doveva rifiutare? Dire questo è eticamente giusto, però si stabilisce un principio che è contro la sopravvivenza di quell’organo: se uno mette in discussione la catena gerarchica, poi ognuno stabilisce per i fatti suoi quel che è giusto e quello che non è giusto, e quella cosa lì non esiste più.Attività criminali, come lo stragismo? Il rapporto con l’interesse nazionale lo stabilisce la responsabilità politica, siamo sempre lì. C’era una catena gerarchica che ha ritenuto utile, per l’interesse nazionale, la strategia della tensione e l’esistenza di opposti estremismi: “servivano” un estremismo violento di destra e un estremismo violento di sinistra, in maniera che la Dc sopravvivesse, potendo dire “noi, moderati, siamo i migliori”. Se c’è un potere politico che stabilisce qual è l’interesse nazionale, il funzionario dei servizi segreti esegue ordini. Ci sono dei campi in cui non esiste la libertà, etica, di fare o non fare una cosa: noi puoi rimettere alla valutazione di ciascun agente dei servizi quale ordine eseguire e quale no. A quel punto è meglio scioglierli, i servizi: fare a meno di averli. Quello che non si può fare è tenerli, e poi contestare il fatto che eseguano gli ordini che ricevono, dal potere politico, quando – per legge – sono assoggettati al potere politico.A volte i servizi segreti sono stati interessati ad acquisire informazioni dalla massoneria, altre volte sono stati interessati a utilizzare la massoneria come copertura per certe operazioni. A volte i servizi hanno avuto interesse ad affiancarsi a certe massonerie e non a certe altre, sperando che crescessero e proliferassero quelle più vicine al loro modus operandi. Ma è accaduto anche con i sindacati, con i partiti. Non fa una grossa differenza: se una funzione statuale come quella dei servizi, peraltro con uno status un po’ particolare, decide che per fare una certa operazione le è utile la Cgil, cerca di acquisire la collaborazione della Cgil. Anch’io ho avuto rapporti coi servizi: a suo tempo, mi era stato proposto anche di fare loro da consulente, con un bel compenso mensile. Solo che ho rifiutato. Ho detto: se la cosa è nell’interesse dello Stato la faccio gratis. Se non è nell’interesse dello Stato – e fortunamente non faccio parte di una catena gerarchica – perché dovrei farla pure a pagamento? Ho rifiutato proprio per quello: non volevo mettermi in un rapporto gerarchico, volevo essere io a valutare l’eticità di quello che mi veniva richiesto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web “Carpeoro Racconta” del 30 aprile 2017, ripresa su YouTube).Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.
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“Bin Laden e Isis agli ordini dei Bush, entro 2 anni le prove”
«Entro un paio d’anni il mondo verrà a sapere, ufficialmente, che Osama Bin Laden faceva parte della stessa organizzazione segreta di George W.Bush, la “Hathor Pentalpha”, alla quale appartiene lo stesso Al-Baghdadi, il leader dell’Isis». Non è una profezia, è una previsione. Porta la firma dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Un libro che ricostruisce il ruolo della supermassoneria internazionale nell’ambito di un particolare sistema di dominio che l’autore chiama “sovragestione”: strategia della tensione progettata da elementi dell’élite politica, economica, finanziaria e militare. Secondo Carpeoro, il “neoterrorismo” è direttamente coordinato da servizi segreti e affidato a manovalanza “islamista”, opportunamente coltivata. Al vertice della piramide si troverebbe una Ur-Lodge (superloggia) come la “Hathor Pentalpha”, fondata da Bush senior nel 1980. La “novità”, annunciata da Carpeoro alla web-radio “Forme d’Onda”, riguarda le rivelazioni che ci attendono: «Sono certo che Julian Assange è perfettamente al corrente di tutto ciò, ed è probabile che sarà Wikileaks a fornire le prove incontrovertibili dei legami più che imbarazzanti tra il vertice Usa, Al-Qaeda e il cosiddetto Stato Islamico».Il primo a rivelare pubblicamente l’esistenza di 36 “superlogge-ombra” al vertice della massoneria internazionale è stato Gioele Magaldi, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, a fine 2014. Nella trattazione – di cui Magaldi assicura di poter fornire le prove, custodite in 6.000 pagine di documenti – l’autore scrive che proprio alla “Hathor”, creata dal clan Bush reclutando l’intero vertice “neocon” più leader europei come Blair e Sarkozy nonché il turco Erdogan, si deve l’incubazione dell’attentato epocale dell’11 Settembre, casus belli “perfetto” per scatenare le guerre in Afghanistan, in Iraq e, a ruota, nel resto del Medio Oriente, fino alla Libia e alla Siria. Ufficialmente, gli storici riconoscono il ruolo di Bin Laden in Afghanistan negli anni ‘80, finanziato dalla Cia: una celebre foto lo ritrae con un supermassone come Zbigniew Brzezinski, già stratega di Jimmy Carter. Un’altra foto, molto più recente, immortala – questa volta in Siria – l’inviato di Obama, il potente senatore John McCain, accanto all’oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq.Alla lettura degli eventi, Magaldi fornisce il “collante invisibile” che spiega quegli incontri: Bin Laden e Al-Baghdadi, sostiene, sono stati entrambi affiliati alla “Hathor Pentalpha”, con il compito di fornire all’oligarchia occidentale il pretesto per le ultime guerre. Carpeoro aggiunge che a questa stessa “sovragestione” va ascritto l’opaco terrorismo che di recente ha colpito l’Europa, da Charlie Hebdo al Bataclan fino alla strage di Nizza, passando per gli attentati a Londra, a Bruxelles e in Germania. Massacri efferati, regolarmente “firmati” in modo simbolico (date, luoghi nomi), in modo da rivendicare, in codice, la matrice non islamica (ma sovra-massonica) degli ideatori.«Non bisognerebbe nemmeno chiamarli massoni», precisa Carpeoro, «ma sono loro ad accreditarsi così». La “novità” annunciata nella trasmissione web-radio dell’11 maggio è che il gioco, denunciato da più parti alla voce “terrorismo false flag”, sotto falsa bandiera e “fatto in casa”, sarà svelato definitivamente «entro un paio d’anni, carte alle mano», da più fonti, tra cui probabilmente la stessa Wikileaks, notoriamente in contatto con fonti di intelligence. «Sono convinto – aggiunge – che Assange abbia già più volte minacciato di esibire quei documenti, certamente in suo possesso, ogni volta che gli Usa hanno tentato di farlo estradare». E adesso, dice Carpeoro, prepariamoci: è solo questione di tempo, poi quelle carte usciranno. Così, anche i più scettici «avranno modo di fare qualche riflessione, sulla vera natura di questo neoterrorismo e sull’identità dei suoi reali, insospettabili mandanti».«Entro un paio d’anni il mondo verrà a sapere, ufficialmente, che Osama Bin Laden faceva parte della stessa organizzazione segreta di George W.Bush, la “Hathor Pentalpha”, alla quale appartiene lo stesso Al-Baghdadi, il leader dell’Isis». Non è una profezia, è una previsione. Porta la firma dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Un libro che ricostruisce il ruolo della supermassoneria internazionale nell’ambito di un particolare sistema di dominio che l’autore chiama “sovragestione”: strategia della tensione progettata da elementi dell’élite politica, economica, finanziaria e militare. Secondo Carpeoro, il “neoterrorismo” è direttamente coordinato da servizi segreti e affidato a manovalanza “islamista”, opportunamente coltivata. Al vertice della piramide si troverebbe una Ur-Lodge (superloggia) come la “Hathor Pentalpha”, fondata da Bush senior nel 1980. La “novità”, annunciata da Carpeoro alla web-radio “Forme d’Onda”, riguarda le rivelazioni che ci attendono: «Sono certo che Julian Assange è perfettamente al corrente di tutto ciò, ed è probabile che sarà Wikileaks a fornire le prove incontrovertibili dei legami più che imbarazzanti tra il vertice Usa, Al-Qaeda e il cosiddetto Stato Islamico».
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Hanno mangiato la brioche: Macron, capolavoro del potere
Oggi sono tutti contenti che Macron sia riuscito a sconfiggere il fascismo. Non è stato da meno di Reagan, Thatcher, Sarkozy, Merkel, Hollande, i Chicago boys e Pinochet i quali di volta in volta hanno salvato il popolo dalle insidie dell’“estrema sinistra”, del “populismo” del “castro-chavismo”, del “sovranismo”, del comunismo. Ora i francesi hanno la loro brioche e dunque potranno continuare la guerra in Siria, aiutare i nazisti ucraini, continuare a fare stragi in Africa per sostenere dittature tribali, non mettere mai più in dubbio la Nato, ma soprattutto potranno finalmente lasciarsi alle spalle gli obsoleti diritti del lavoro. Ben presto ci si accorgerà che in Francia ha vinto comunque la destra e dopo le legislative di giugno, Macron mostrerà il suo vero volto facendo scoprire che la sostanza marroncina con la quale è farcita la brioche non è precisamente crema al cioccolato. Del resto cosa ci si può attendere da uno la cui candidatura al potere è stata di fatto avanzata dal seguace dell’eugenetica Jacques Attali, a una riunione di Bilderberg nel 2014?E cosa ci si può aspettare da corpi elettorali sistematicamente frastornati da un’informazione divenuta cane da guardia del gregge e sempre più composti dalle generazioni perdute, rassegnate alla precarietà, votate al dilettantismo e orgogliose di “spiccicare” in inglese per poter imitare modelli di subordinazione e di primitivismo antropologico? Cosa ci si può attendere da giovani di apparente sinistra che affermano di aver dovuto scegliere tra fascismo e capitalismo? Nemmeno si accorgono che i capitalisti hanno scelto per loro fin dall’inizio, che hanno creato le condizioni per una dicotomia così ridicola tra una signora di provincia piuttosto confusa e dunque anche erratica sui temi della campagna e un giovanotto ricco, arrogante e del tutto irrilevante sul piano della politica e dell’intelligenza. Li hanno messi nel recinto lasciando che fossero loro stessi a chiuderlo; il vecchio fascismo è usato da quello nuovo come un’arma per la lotta di classe.Per quanta generosità e per quanta abilità possano avere i dirigenti che vengono da un altro mondo come Mélenchon, cosa possono mai fare con questa creta antropologica creata dal neoliberismo? E’ come se Michelangelo dovesse creare la Pietà col pongo e dipingere la Sistina con le bombolette. Infatti chi non voleva scegliere il capitalismo poteva astenersi invece di andare a fornire il proprio contributo, negare quanto meno il consenso, relativizzando la vittoria di Macron. E di certo non si ci saranno difficoltà per la potente macchina mediatica a riproporre lo stesso rozzo schema dicotomico alle legislative tra poco più di un mese. Sarà ancora capitalismo contro fascismo, democrazia contro comunismo, crescita contro i fantasmi di recessione annunciata, sicurezza contro libertà (magari con qualche sollecitato apporto del Califfo), il giovane presidente contro il vecchio Parlamento anche se a Macron non dovrebbe poi dispiacere: insomma la caricatura della dialettica, quella che è stata così efficace specie dopo il crollo del comunismo e il contemporaneo crollo della cultura politica.Mélenchon, il leader della sinistra, aveva rifiutato di cadere in questo semplicistico tranello, evitando la logica del meno peggio nella speranza di poter mettere un argine ai poteri finanziari almeno alle legislative, condizionando l’Eliseo, ma dai risultati che vediamo, dalla demonizzazione e dal ricatto che è stato esercitato su di lui e dalla esiguità della pattuglia dei non macronisti per necessità, si può legittimamente dare per fallito anche questo progetto. C’è chi pensa che questa situazione di impotenza porterà a una serie di secessioni interne nella sinistra, tra Francia periferica e Francia metropolitana, tra Francia repubblicana e Francia mussulmana, tra Francia operaia e Francia borghese, insomma a una decostruzione del paese. Ma questo è per l’appunto l’obiettivo del capitale globale: fare in modo che vi sia meno società collettiva possibile per potere dominare meglio: più un paese è spaccato all’interno, meglio è, nonostante i problemi che questo può creare. Quindi è vero che Macron all’Eliseo finirà per radicalizzare la battaglia politica, ma nel contesto attuale questo non potrà che portare acqua al mulino dei suoi burattinai.(“Hanno mangiato la brioche”, dal blog “Il Simplicissimus” dell’8 maggio 2017).Oggi sono tutti contenti che Macron sia riuscito a sconfiggere il fascismo. Non è stato da meno di Reagan, Thatcher, Sarkozy, Merkel, Hollande, i Chicago boys e Pinochet i quali di volta in volta hanno salvato il popolo dalle insidie dell’“estrema sinistra”, del “populismo” del “castro-chavismo”, del “sovranismo”, del comunismo. Ora i francesi hanno la loro brioche e dunque potranno continuare la guerra in Siria, aiutare i nazisti ucraini, continuare a fare stragi in Africa per sostenere dittature tribali, non mettere mai più in dubbio la Nato, ma soprattutto potranno finalmente lasciarsi alle spalle gli obsoleti diritti del lavoro. Ben presto ci si accorgerà che in Francia ha vinto comunque la destra e dopo le legislative di giugno, Macron mostrerà il suo vero volto facendo scoprire che la sostanza marroncina con la quale è farcita la brioche non è precisamente crema al cioccolato. Del resto cosa ci si può attendere da uno la cui candidatura al potere è stata di fatto avanzata dal seguace dell’eugenetica Jacques Attali, a una riunione di Bilderberg nel 2014?
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Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi. E nacque la Francia
«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amary, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.La disfatta di Muret fu l’inizio della fine per l’orgogliosa e libera contea di Tolosa, dove vivevano musulmani nei loro villaggi, le finanze della contea erano gestite dagli ebrei sefarditi fuggiti dall’Andausia, e i càtari potevano liberamente disputare di religione, in chiesa, accanto al clero cattolico. A scatenare il terrore non fu solo la pericolosità dell’eresia dualista incarnata dal catarismo balcanico introdotto in Linguadoca attraverso la Lombardia: un cristianesimo “alternativo” che riteneva il mondo materiale opera del Dio Straniero, il “principio del male”, paragonabile al Demiurgo degli gnostici e, prima ancora, ad Ahriman, l’antagonista della divinità celeste di Zoroastro. L’adesione al catarismo comportava la rinuncia alla proprietà privata e il divieto assoluto di giurare – decisamente eversivo in un sistema, come quello feudale, interamente basato sull’istituto del giuramento, per legittimare ogni forma di potere terreno, che si pretendeva investito dall’alto. La notizia sconvolgente, per il Vaticano, non era solo il dilagare dei “buoni cristiani”: Roma cominciò a tremare, al punto da scatenare la guerra, quando vide che ad aderire al catarismo non era solo la plebe, ma anche l’aristocrazia occitanica, la classe dirigente nobiliare di quella che, allora, era una delle regioni più evolute d’Europa, sul piano economico, sociale e culturale: fioriva la civiltà letteraria dei trovatori, in prospere cittadine dove il governo aristocratico era condiviso da “consoli” regolarmente eletti.Nel 1213, osserva la Veil nel libro-capolavoro “I Càtari e la civiltà mediterranea”, gli Stati feudali di Tolosa e Barcellona, accomunati persino dalla lingua (occitano e catalano sono lingue “gemelle”), rappresentavano una parte considerevole d’Europa: se avessero vinto, sostiene l’autrice, avremmo visto nascere un’altra Europa, con meno guerre e senza nessun Hitler, fondata su valori diversi dal “culto della forza” incarnato dai crociati, eredi dell’Impero Romano. Per veder risorgere la libertà di culto, sempre in Francia, c’è voluto mezzo millennio: il secolo dei Lumi, la presa della Bastiglia. Quindi la rivoluzione industriale e l’evoluzione continua della società, fino al socialismo. Oggi, sostengono svariati critici, siamo tornati – con l’Unione Europea – a un sistema neo-feudale. Il nuovo presidente francese Macron, già banchiere Rothschild ed ex ministro dell’incolore Hollande, prono ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, è una “creatura” di Jacques Attali, storico esponente della supermassoneria internazionale reazionaria. In molti hanno guardato alle elezioni francesi del 2017 come a un passaggio cruciale, storico: la possibilità di ribaltare il paradigma del rigore imposto dall’élite o, viceversa, la riaffermazione dell’ancient régime: non più militare ma elettorale, benché sospinta dalla paura, dopo anni di strategia della tensione affidata a un opaco terrorismo domestico, al servizio della logica perversa del dominio.«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amaury, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.
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Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché nonè successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
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Harry Potter all’Eliseo: partiti (e cittadini) non servono più
Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.E’ la fotografia – inquietante – che ormai scattano, sul fronte web, gli analisti più critici e pessimisti, allarmati da quello che appare uno scenario quotidiano di guerra, alimentato da crisi continue (economiche, finanziarie, climatiche, demografiche) e devastazioni sempre più dirompenti, di cui l’esodo biblico dei migranti sembra solo la vetta di un iceberg che persino gli osservatori meglio documentati faticano a misurare per intero, data la sua imponderabile vastità, in continua evoluzione. Un terremoto costante, senza più argini da parte di alcuna istituzione: il diritto internazionale sembra un residuato archeologico, smarrito nel feroce caos quotidiano, tra proiezioni, statistiche e “fake news” televisive, dove nessuno sembra in grado allungare davvero lo sguardo nemmeno sul semestre seguente, nell’unica certezza che il potere – quello dei veri decisori – sia lontanissimo, irraggiungibile e neppure coeso, ma dilaniato al suo interno da scontri durissimi. Guerre segrete senza quartiere, di cui al pubblico, qualche volta, può arrivare soltanto l’eco. Nonostante questo, si recita – ancora – lo spettacolo delle elezioni, la democrazia rappresentativa, che sa ancora generare fenomeni di auto-ipnosi fino alla tifoseria, dalla Brexit al referendum italiano, dal voto per la Casa Bianca a quello per la presidenza francese.I soliti esperti si affrettano a dichiarare chiusa la partita, in Francia, con la scontata vittoria di Macron, mentre altri osservatori – come il direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo – preferiscono la prudenza: messi insieme, i due candidati antisistema (Le Pen e Mélenchon) sono il “primo partito” francese, e non è detto che i grandi sconfitti del primo turno riescano a far convergere i loro voti sul “maghetto” dei Rothschild. Che cosa poi riuscirebbe davvero a fare la Le Pen, se eletta, non è dato immaginarlo. Se non altro, il suo Front National è un super-partito a tutto tondo, tradizionale, fatto di sezioni e votazioni congressuali. Un “luogo della democrazia” dove il consenso cresce per gradi, confrontando opzioni e programmi. Cioè esattamente quello che è andato scomparendo altrove, dall’ectoplasma post-politico del Pd renziano fino all’estremo esperimento “apartitico” di Macron, che celebra l’estinzione definitiva dell’entità-partito come ponte, teorico e pratico, tra il cittadino e l’istituzione. Sembra il compimento del Vangelo di Lewis Powell, 1971: svuotare la democrazia per demolire la sinistra dei diritti sociali, da cui l’azione della Trilaterale e i cantori della “crisi della democrazia”. Un piano inclinato, inesorabile: la Guerra del Golfo, e l’11 Settembre, il Medio Oriente trasformato in inferno per profughi. Fino alla follia della guerra con la Russia, subita da un’Europa letteralmente frastornata, messa in croce dall’Eurozona.Rassegnatevi: i partiti non servono, non serviranno più. E’ il messaggio che proviene dal mezzo successo francese di Macron. Mettetevi l’anima in pace: è finita per sempre l’epoca delle assemblee, dei delegati. E’ già nella spazzatura della storia, insieme ai sindacati. E in Italia, la presunta alternativa in campo – il Movimento 5 Stelle – è guidato da un leader che licenzia chiunque non gli piaccia. Non è mai stato celebrato un solo congresso. Le periodiche votazioni, che pure avvengono, si svolgono online. E chi partecipa può scegliere solo in base a un menù predefinito, a monte, da un vertice-fantasma che nessuno ha eletto. L’avatar Macron è il futuro che ci aspetta? Certamente sì, scommettono i più esasperati, se i cittadini non si decidono a riappropriarsi della loro sovranità essenziale, fondata sulla partecipazione. Gli strumenti di ieri sono tutti caduti, archiviati, rottamati. Per contro, cresce la frustrazione degli esclusi, che sospettano di essere ormai la grande maggioranza. Un vastissimo popolo, ancora immobile. Strattonato dalle crisi a testata multipla – lavoro, sicurezza – e intimidito ogni giorno da notizie spaventose, attentati, previsioni angoscianti. La scomparsa del futuro è ormai spacciata per normalità. Il calcio tiene ancora banco, più che mai. E nelle tabaccherie furoreggia il Superenalotto. C’è chi sostiene che i grandi decisori siano inquieti, che temano la rabbia dei delusi, elettoralmente espressa dai cosiddetti populismi. Ma basta fare un giro su Facebook, su WhatsApp, per scoprire che non ci sono rivoluzioni culturali in vista.Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo, funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.
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Bonnal: è un lager digitale. Vale tutto, tranne pensare
«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».Un analista indipendente come Michael Snyder ricorda che la polizia statunitense ha fermato dei cittadini di ritorno da un breve viaggio in Canada per controllare il contenuto, dopo averlo confiscato, del loro cellulare. «Questa polizia detiene tutti i doveri, tranne quello di poteggervi», scrive Bonnal. «È la polizia messa in piazza all’indomani degli attentati. Domandatevi innanzitutto a chi giova il terrorismo. Aboliscono il cash per ostacolare il terrorismo, e accusano i russi di hackerare le elezioni, avendo così una buona scusa per annullarle davvero». Il progresso tecnologico, continua Bonnal citando Guy Debord, ha permesso la creazione di un “presente informativo permanente” che annega tutta la verità «nell’idiota liquidità visiva». E’ un presente nel quale «la moda stessa, l’abbigliamento o la musica, si è fermata», perché «vuole dimenticare il passato e non sembra credere più in un avvenire». Questo “eterno presente” lo si ottiene «dall’incessante passaggio circolare dell’informazione, il ripetersi in un qualsiasi momento delle stesse inezie, annunciate appassionatamente come si trattasse di notizie importanti; mentre raramente passano, e per brevi momenti, le notizie veramente importanti, che riguardano ciò che cambia realmente».Autodistruzione programma del mondo? «Il problema è che, prima di autodistruggersi, questa macchina mondiale distruggerà noi: come lo scorpione di Orson Welles». Secondo Bonnal, «l’attuale Stato mondiale è ebbro della propria potenza e trasforma la Terra in un campo di concentramento elettronico: ovunque l’abolizione del cash, in Giappone per i suoi Giochi olimpici, a Taiwan, in India e in Europa. Controllo dell’oro e del denaro, controllo del vostro pensiero, censura dell’informazione grazie ai servili canali della disinformazione; tutto diventa possibile, per questo Stato Profondo che è anche uno Stato di superficie, uno Stato dello spettacolo (il presidente turco ha visitato i massoni, i rifugiati di Calais, i resistenti siriani, gli amici del Bilderberg) e una società di facciata. E il pubblico, come nella favola di Platone, se la gode». Anche le fondazioni di Bill Gates festeggiano, come scrive Lucien Cerise: «L’iniziativa comune di un Bill Gates e di un Rockefeller di creare sull’isola norvegese Svalbard una sorta di bunker “arca di Noè” contenente tutti i grani e le sementi del mondo è piuttosto inquietante. Perché lo fanno, cosa stanno combinando? Domande retoriche, il progetto è molto chiaro: si tratta di cominciare a privatizzare tutta la biosfera, cosa che permetterà di controllarla integralmente dopo averla distrutta. Siamo al cuore di Gestell e dell’ingegneria cibernetica, che condivide lo stesso orizzonte: l’automatizzazione completa del globo terrestre»Siamo arrivati ai televisori coreani Samsung «che rivelano i vostri pensieri e i vostri sussurri». Non li comprerete? «Ma “loro” potranno sempre inviare questa neopolizia, questa polizia parallela per controllare il vostro oro, il vostro giardino, il vostro consumo di acqua». Per Debord, la mondializzazione è stata facilitata dalla «pericolosa espansione tecnologica», che è sempre stata al servizio del potere. Lo conferma Paul Virilio. Oggi, “governo” è essenzialmente “controllo”: «La parola viene da rotula, che indica il rotolo, il cilindro in latino», scrive Bonnal. «È stato introdotto in Inghilterra dai terribili normanni conquistatori di Guglielmo. E serve, questo controllo a redigere il “Domesday book”, che calcola la ricchezza di questi poveri anglosassoni gallina per gallina, uovo per uovo». Il problema, per Bonnal è che «ci connettiamo, per lamentarci, invece di organizzarci nelle piazze: e il web, come vi suggerisce il suo nome, ci intrappola più facilmente nella rete. L’informatica ci blocca in casa invece di farci uscire». Poi, ovviamente, «ci sono cretini che scorrazzano per strada sopportando i quaranta gradi (li ho visti a Madrid) per correre dietro a un Pokémon».Non dimentichiamoci, aggiunge Bonnal, che i campioni della mondializzazione si considerano i pensatori globali. Neo-aristocratici, oligarchi. «Esagero? Pensate a come vi tratta il fisco. Pensate a come la polizia elettorale tratta il 96% dei francesi che non vogliono più il socialismo e cerca il proprio candidato con l’aiuto di un motore di ricerca. Guardate come vi tratta la polizia stradale. Pensate come la banca o l’aeroporto vi trattano. Guardate come vi trattano in Germania (in prigione) se siete contrari all’educazione della teoria gender per il vostro bambino. Pensate a come il tribunale vi tratterà se siete europei qui, americani laggiù». Questa civilizzazione, continua Bonnal, «è come il volo terrificante della GermanWings: è guidata da folli suicidi, non si può scendere in corsa e allora si schianterà in volo». Il giovane ribelle Étienne La Boétie, filosofo del ‘500, aveva le idee chiare: «Povera gente insensata, vi lasciate portar via sotto gli occhi tutti i vostri migliori guadagni, permettete che saccheggino i vostri campi, rubino nelle vostre case spogliandole dei vecchi mobili paterni! Vivete in condizione da non poter più vantare di possedere una cosa che sia vostra; e vi sembrerebbe addirittura di ricevere un gran favore se vi si lasciasse la metà dei vostri beni, delle vostre famiglie, delle vostre vite».Mentre noi «lavoriamo per pagare le imposte ai nostri super-Stati, profondi e superficiali», continua Bonnal, «abbiamo dimezzato il numero dei nostri bambini». E attenzione: «E’ la democrazia ad aver realizzato questo miracolo: il numero delle nascite si è dimezzata nella Germania dell’est postcomunisma e nella Spagna postfranchista. Fu Orson Welles a dichiarare in un’intervista che la Spagna tradizionale era stata distrutta dalla democrazia». Alexis de Tocqueville l’aveva chiamato «un potere immenso e tutelare», un potere «assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite». Somiglierebbe all’autorità paterna, se solo avesse lo scopo di «preparare gli uomini alla virilità», e invece «cerca di fissarli irrevocabilmente all’infanzia: ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi». Un potere che «lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore». Provvede alla loro sicurezza e ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, «tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità». A quel punto, «non potrebbe allora togliergli interamente la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso».«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».
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Addio Merkel, euro e Nato: il voto francese cambia il mondo
La Francia al bivio: Atlantico o Eurasia. «Se il 2017 ha tutte le caratteristiche per essere definito “l’anno della frattura”, lo spartiacque tra il vecchio ordine mondiale “liberale” a guida angloamericana e l’avvento di un nuovo assetto internazionale, ebbene, c’è un appuntamento più decisivo degli altri, quello capace di dispiegare tutto il potenziale rivoluzionario dell’anno in corso: le presidenziali francesi». Per un analista geopolitico come Federico Dezzani, il voto transalpino (primo turno, 23 aprile) è «l’appuntamento chiave del 2017, capace di innescare e/o accelerare dinamiche che travalicano i confini dell’Esagono per abbracciare l’intero scacchiere mondiale». Motivo: «Il malessere sociale e le drammatiche condizioni in cui versa l’economia della Francia, pienamente ascrivibile tra i paesi dell’europeriferia, hanno sgretolato il sistema politico transalpino, aprendo lo scenario di un inedito ballottaggio tra populisti di destra e populisti di sinistra: Marine Le Pen contro Jean-Luc Mélenchon». Secondo Dezzani, la sconfitta dei candidati europeisti accelererà la dissoluzione della moneta unica e dell’Unione Europea, compromettendo irreparabilmente l’intera architettura euro-atlantica edificata negli ultimi 70 anni: «Lo speculare rafforzamento della Russia dopo la vittoria di Marine Le Pen e l’ingrossarsi del blocco euroasiatico rischiano di portare il sistema internazionale al carico di rottura».In un’analisi pubblicata sul suo blog, Dezzani colloca le presidenziali francesi in una più ampia cornice geopolitica: «Solo chi nascondesse la testa sotto terra, potrebbe infatti affermare che l’imminente voto sia scollegato dalle rinnovate tensioni tra Nato e Russia e dai venti di guerra nella Corea del Nord». La Francia ripropone il medesimo schema politico che travaglia l’intera Europa: i partiti tradizionali, «legati a doppio filo all’establishment euro-atlantico», riusciranno o meno a respingere l’assalto “populista”, cioè l’avanzata di quei movimenti che predicano ricette economiche e una politica estera diametralmente opposta a quella dell’oligarchia al potere? «La risposta è quasi certamente “no”», sostiene Dezzani. «Di fronte all’eurocrisi scoppiata nel lontano 2009 e progressivamente incancrenitasi avendo mancato l’obiettivo di fondo (strappare il Tesoro Unico europeo e gli Stati Uniti d’Europa)», la Francia «è scivolata giorno dopo giorno verso l’euro-periferia, mostrando l’illusorietà del “motore franco-tedesco”». A collocare il paese «più vicino al Mediterraneo che al Reno» è ormai, «la galoppante crescita del debito pubblico francese, che dall’introduzione dell’euro è passato dal 60% al 97% del Pil», insieme ad altri indicatori sfavorevoli: «Gli alti deficit in funzione anti-ciclica, il cronico disavanzo della bilancia commerciale e la disoccupazione record (quella ufficiale si attesta attorno al 10% della forza lavoro)».Tra Parigi e Berlino, sottolinea Dezzani, c’è ancora una «parità formale», che attualmente scongiura quelle politiche di austerità imposte al resto dell’europeriferia: misure di austerity che potrebbero «innescare esplosive rivolte in una società come quella francese, abituata a ricevere generose prestazioni dallo Stato». Questo però «non impedisce che qualche “riforma strutturale” sia somministrata anche alla Francia: il “Job Act” gallico, la legge El Khomri, provoca reazioni impensabili in Italia, mobilitando sindacati e lavoratori per settimane e paralizzando diversi settori strategici dell’economia». L’assaggio di neoliberismo, il crescere incessante della disoccupazione e la parallela caduta verticale del presidente François Hollande in termini di popolarità, continua Dezzani, sono accompagnati dall’esplosione del terrorismo “islamista” che, avviato nel gennaio 2015 con la strage di Charlie Hebdo, semina morti fino alla strage di Nizza dello scorso luglio: «E’ la classica strategia della tensione utile a “sedare” un’opinione pubblica sul piede di guerra, a causa dell’impoverimento generalizzato e dei tagli allo Stato sociale».La strategia della tensione, però, secondo Dezzani ha fallito: doveva «compattare i francesi attorno al capo di Stato», quell’Hollande che – dopo aver ripeuto che «la France est en guerre» – è il primo presidente, dall’avvento della Quinta Repubblica, a scegliere di “abdicare”, rinunciando a correre per un secondo mandato: «L’obiettivo è quello di arrestare l’avanzata dei “populisti”, relegando il quinquennio di Hollande ad una triste parentesi, e puntando su volti nuovi». Ma ormai, aggiunge Dezzani, la ribellione dell’elettorato è troppo impetuosa per essere incanalata: «Il “filo-russo” François Fillon conquista la candidatura del centro-destra battendo l’esponente dell’establishment, Alain Juppé. Segue quindi una feroce campagna mediatica-giudiziaria per stroncare la corsa di Fillon verso l’Eliseo e lanciare verso il ballottaggio del 7 maggio il centrista e “outisider” Emmanuel Macron, ex-banchiere Rothschild: il calcolo politico si basa sulla convinzione che tutti i voti moderati si coaguleranno attorno all’europeista e filo-atlantico Macron, sancendo così la sconfitta della populista e filo-russa Marine Le Pen».Nella Francia del 2017, però, come nel resto dell’Occidente, i voti “moderati” sono ormai merce rara: «Il malessere diffuso, tre milioni di disoccupati (che salgono a sei considerando i lavoratori iscritti ad un corso di ricollocamento), l’insofferenza generalizzata verso la cricca di privilegiati che ruota attorno all’Eliseo e ai salotti buoni di Parigi, spinge l’elettorato sulle ali estreme dello schieramento politico: la candidatura del centrista Emmanuel Macron, presentato dalla maggior parte dei sondaggi e dei media compiacenti come il presidente in pectore, rischia di sgonfiarsi addirittura al primo turno, schiantandosi contro lo scoglio dell’elettorato». Ferma restando la possibile vittoria di Marine Le Pen, crescono infatti le probabilità che lo sfidante al ballottaggio del 7 maggio non sia l’ex-banchiere di Rothischild, ma il “populista rosso” Jean-Luc Mélenchon: storico esponente dell’ala sinistra del Partito socialista, fondatore del movimento “France insoumise” (la Francia ribelle). «Abile oratore e figura piuttosto carismatica, Mélenchon è la declinazione “giacobina” di Marine Le Pen». Tanti i tratti i comune: tra questi, «l’avversione all’ortodossia finanziaria di Bruxelles, l’intenzione di manovre fiscali espansive in forte deficit, il rifiuto dei dogmi liberisti e l’apertura al protezionismo».In politica estera, Le Pen e Mélenchon condividono anche «l’intenzione di traghettare la Francia fuori dalla Nato», che dimostra «la volontà di riconciliarsi con Mosca superando le varie discrepanze, in primis sulla Siria». Dezzani scommette che sarà Marine Le Pen a uscire vincitrice dal ballottaggio del 7 maggio, sospinta da diversi fattori: la voglia di cancellare la disastrosa presidenza Hollande, la crisi migratoria, l’emergenza-sicurezza nelle città e il vento nazionalista, sempre più forte a livello europeo. «Nelle attuali condizioni in cui versa l’Unione Europea – ragiona Dezzani – è però chiaro che, se dalle urne del 23 aprile dovesse emergere una sfida tra forze anti-sistema di sinistra e di destra, Bruxelles incasserebbe il colpo di grazia anche senza conoscere il verdetto finale delle presidenziali francesi». Si tratta pur sempre di «istituzioni europee così lacerate da assistere inermi alla ribellione degli Stati alla politica migratoria comune, alla puntuale disapplicazione di norme fino a poco tempo fa presentate come ineludibili (Fiscal Compact e bail-in), al tramonto di qualsiasi ulteriore integrazione necessaria a garantire la sopravvivenza dell’euro (in primis la garanzia unica sui depositi)».L’affermazione dei “populisti” Le Pen e Mélenchon al primo turno, continua Dezzani, «sancirebbe la rottura definitiva del motore franco-tedesco da tempo in panne». Rottura che, «aprendo una drammatica faglia nel cuore dell’Europa, porterebbe al collasso finale le già pericolanti istituzioni di Bruxelles». Al che, la dissoluzione dell’Unione Europea e il simultaneo ricollocamento di Parigi su posizioni filo-russe «sarebbero un vero terremoto geopolitico, scuotendo alle fondamenta l’intera architettura politico-militare consolidatasi in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale: le istituzioni di Bruxelles, sinonimo di Ue ma anche di Nato, sono infatti lo strumento con cui l’impero angloamericano ha prima blindato, e poi allargato, la testa di ponte sul continente euroasiatico, conquistata con due guerre mondiali». Scopo strategico del blocco Ue-Nato, infatti, «è attrarre verso l’Atlantico il maggior numero possibile di potenze europee», impedendo «il sorgere di qualsiasi alleanza tra la Russia e l’Europa occidentale». Il terremoto sovranista francese, quindi, stravolgerebbe «la settantennale strategia dell’establishment atlantico sul Vecchio Continente, incentratala sulla cooperazione franco-tedesca con la benedizione di Londra e Washington, e sul progressivo ampliamento verso est delle organizzazioni “transatlantiche”».Si materializzerebbe così il peggior scenario possibile per gli strateghi angloamericani, tratteggiato da Zbigniew Brzezinski nel suo libro “La Grande Scacchiera”, del 1997: vedremmo all’opera «una Francia nazionalista che, oppressa dall’egemonia della Germania schierata su posizioni filo-atlantiche, parte alla riconquista del primato continentale alleandosi con la Russia e riconoscendo a quest’ultima una legittima zona d’influenza nell’Est europeo». Sarebbe, in sostanza, «un patto franco-russo», progettato «per ridimensionare la Germania» e ridimensionare l’egemonia Usa sull’Europa. «Il quadro – aggiunge Dezzani – si farebbe ancora più drammatico per gli strateghi angloamericani se la Francia “nazionalista” non si saldasse soltanto alla Russia, ma al blocco euro-asiatico, che comprende anche la Cina e l’Iran e si irrobustisce giorno dopo giorno: la Francia, anziché lavorare per la caduta di Assad e il puntellamento del regime filo-saudita in Yemen, passerebbe così ad una condizione di neutralità o larvata ostilità nei confronti degli alleati regionali di Washington e Londra, compromettendo ulteriormente l’opera angloamericana di “contenimento” delle potenze euro-asiatiche».Gli Usa a quel punto, «espulsi dalla massa continentale anche grazie alla cooperazione francese, perderebbero automaticamente lo status di superpotenza mondiale». Per Dezzani, stiamo assistendo al manifestarsi di «una doppia minaccia mortale per l’impero angloamericano: il saldarsi della coalizione tra Russia, Cina e Iran, unito al nascere di un’intesa franco-russa». Si tratta di «quattro potenze distinte, unite dalla comune volontà di archiviare l’egemonia degli Usa e dell’oligarchia atlantica, per ridisegnare l’assetto mondiale». Meglio si spiega, quindi, «il clima di elevata tensione internazionale, caratterizzato dal precipitare delle relazioni russo-americane e dai concomitanti venti di guerra in Corea». La posta in gioco, insiste Dezzani, «supera i confini dell’Esagono». La probabile vittoria di Marine Le Pen «è in grado di compromettere ulteriormente la presa angloamericana sull’Europa, a beneficio di Mosca e delle altre potenze continentali». Attenzione: questo scenario «lascia supporre un ulteriore aumento della tensione in vista del ballottaggio del 7 maggio e negli immediati mesi successivi al voto: più la Ue si sfalda e il blocco euroasiatico si ingrossa, maggiori sono i rischi che il sistema internazionale raggiunga il carico i rottura, imprimendo agli eventi quella drammatica svolta che si sarebbe evitata soltanto se Donald Trump avesse mantenuto le promesse neo-isolazioniste della campagna elettorale».La Francia al bivio: Atlantico o Eurasia. «Se il 2017 ha tutte le caratteristiche per essere definito “l’anno della frattura”, lo spartiacque tra il vecchio ordine mondiale “liberale” a guida angloamericana e l’avvento di un nuovo assetto internazionale, ebbene, c’è un appuntamento più decisivo degli altri, quello capace di dispiegare tutto il potenziale rivoluzionario dell’anno in corso: le presidenziali francesi». Per un analista geopolitico come Federico Dezzani, il voto transalpino (primo turno, 23 aprile) è «l’appuntamento chiave del 2017, capace di innescare e/o accelerare dinamiche che travalicano i confini dell’Esagono per abbracciare l’intero scacchiere mondiale». Motivo: «Il malessere sociale e le drammatiche condizioni in cui versa l’economia della Francia, pienamente ascrivibile tra i paesi dell’europeriferia, hanno sgretolato il sistema politico transalpino, aprendo lo scenario di un inedito ballottaggio tra populisti di destra e populisti di sinistra: Marine Le Pen contro Jean-Luc Mélenchon». Secondo Dezzani, la sconfitta dei candidati europeisti accelererà la dissoluzione della moneta unica e dell’Unione Europea, compromettendo irreparabilmente l’intera architettura euro-atlantica edificata negli ultimi 70 anni: «Lo speculare rafforzamento della Russia dopo la vittoria di Marine Le Pen e l’ingrossarsi del blocco euroasiatico rischiano di portare il sistema internazionale al carico di rottura».
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Il killer di Olof Palme? Chiamatelo Isis, la mano è la stessa
«Probabilmente l’assassino di Olof Palme è ancora in vita, e nel delitto potrebbero essere coinvolti la polizia o qualche esponente dell’esercito». Lo afferma il noto criminologo Leif Gustav Willy Persson, che ha sempre dubitato della colpevolezza di Christer Pettersson, un criminale di strada inizialmente fermato, ma che apparentemente non aveva motivi per uccidere il premier socialdemocratico svedese, il primo leader europeo a essere assassinato nell’Europa democratica (il secondo sarà il serbo Zoran Dijndic, nel 2003). Un caso tuttora irrisolto, pieno di ombre: comprese quelle che si allungano sulla strana morte dello scrittore Stieg Larsson, colto da malore dopo aver consegnato alla polizia un imponente dossier sui legami tra presunti killer e servizi segreti. «Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta», scrisse dal Sudamerica un certo Licio Gelli, in un messaggio indirizzato a Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia il ruolo degli 007 nella strategia della tensione. Una regia occulta, da cui oggi proverrebbero gli attentati in Europa firmati Isis.Tre giorni dopo quello strano messaggio di Gelli sulle “palme” svedesi in procinto di essere “abbattute”, alle 23,21 del 28 febbraio 1986, Olof Palme venne ucciso da un sicario in una strada centrale di Stoccolma, non lontano dalla stazione. Palme era il leader del partito socialdemocratico, ed era in pima linea nella lotta contro l’apartheid e i regimi autoritari in Sud America. Venne freddato con due colpi di pistola. «Ma soprattutto – aggiunge il newsmagazine “BergamoPost” – l’episodio avvenne lontano dalle telecamere, e senza che il politico fosse seguito dalla scorta, motivo per il quale l’attentatore non fu mai trovato». Un caso che ricorda, da vicino, l’omicidio di Jfk a Dallas. Sempre il “BergamoPost” ha scovato un indizio curioso: l’ultimo a vedere Palme vivo fu un giovane italiano di origini pugliesi, Nicola, che all’epoca aveva 22 anni. Oggi vive nell’hinterland della capitale svedese e ha lavorato nella ristorazione proprio a Stoccolma. La sua testimonianza è stata utilizzata dalla polizia nei giorni successivi, e ha raccontato brevemente l’accaduto anche al giornale online bergamasco. «Ho incrociato i Palme qualche minuto prima dell’omicidio, Olof e la moglie Lisbeth. Dietro la coppia camminava un uomo: ovviamente non sono riuscito a dargli una connotazione, altrimenti sarei stato molto più utile».Quando si è reso conto dell’omicidio, Nicola? «Ho sentito gli spari in lontananza, poi ho realizzato che poteva essere Palme e mi sono girato, ho guardato per un po’ e poi mi sono rimesso in cammino». L’indagine, ricorda “BergamoPost”, è stata fra le più costose della storia e, con oltre 700mila pagine di documenti accumulati, è la più ampia in tutto il mondo. La polizia interrogò il giovane italiano solo un paio di volte: «La prima alcuni giorni dopo, la seconda l’anno seguente, quando – racconta – mi fecero osservare alcuni sospetti, dei quali non riconobbi nessuno». La ricostruzione degli eventi, resa pubblica nel corso delle indagini, indica come Nicola avesse incrociato la coppia all’altezza del numero 56 di Sveavägen, la stessa via in cui, all’incrocio successivo con Tunnelgatan (dai 2 ai 3 minuti a piedi), Palme venne ucciso e la moglie ferita lievemente. Nicola vide anche, dieci metri più avanti, un uomo con una grossa giacca blu, mentre seguiva con passo spedito la coppia. Dal report della polizia, l’italiano dichiara di aver pensato che si trattasse di una guardia del corpo in borghese, ma che sembrava anche troppo anziano per essere tale. La maggior parte dei testimoni che videro l’attentatore lo descrissero come una persona fra i 35 e i 40 anni. E il primo sospettato, Christer Pettersson, ne aveva 39.Ma dov’erano le guardie del corpo? «All’epoca, in Svezia non vi erano seri timori di agguati nei confronti di personaggi politici di spicco, e la sicurezza veniva impiegata per lo più in occasione di eventi pubblici», continua “Bergamo Post”. Olof Palme, la moglie Lisbeth, il figlio e la fidanzata di quest’ultimo trascorsero la serata al cinema Grand (sempre su Sveavägen) prima di ritornare a casa. «Mårten Palme, il figlio del primo ministro, riconobbe un uomo all’uscita del cinema, la cui figura poi venne prima associata a Pettersson, poi, in un recente sviluppo, all’agente segreto sudafricano Eugene De Kock, che sarebbe stato individuato dalle telecamere della Svt il giorno dopo all’aeroporto di Stoccolma, particolare che ha ipotizzato un coinvolgimento del Sudafrica nell’uccisione». Ma l’uomo ha negato di essere mai stato in Svezia. All’epoca dell’omicidio, De Kock aveva 37 anni. La sequenza di sangue è nota: il primo ministro e la sua famiglia arrivarono all’incrocio con Tunnelgatan quando l’attentatore si parò di fronte a Palme e lasciò partire due colpi di pistola verso il primo ministro (di cui uno fatale, al petto) e uno che colpì di striscio la moglie. Poi rimase qualche secondo ad assistere alla scena, tanto da essere riconosciuto da Lisbeth Palme (e dal figlio, che lo aveva visto di fronte al cinema prima di tornare a casa con la fidanzata), la cui testimonianza portò dapprima in carcere Pettersson.«Lo stesso Pettersson, che in passato era stato condannato per omicidio ed era coinvolto in piccole attività criminali, venne poi scarcerato per mancanza di indizi», aggiunge il giornale online. «Altre quattro persone si trovavano entro una ventina di metri, molto più vicine rispetto a Nicola, ma non riuscirono a identificare l’aggressore, di cui si persero le tracce una volta che egli svoltò sulla scalinata che sovrasta Tunnelgatan». Un caso non ancora risolto, dopo 31 anni. L’arma del delitto non è mai stata trovata, ma si tratta probabilmente di una 357 Magnum. Sigge Cedergren, un malavitoso che temeva Christer Pettersson, dichiarò di aver smarrito quel tipo di pistola e che il principale sospettato sapeva dove era nascosta. Nel 2006, continua “Bergamo Post”, venne ritrovata un’arma simile sul fondo di un lago nella Svezia centrale, ma era troppo arrugginita per poter permettere qualsiasi tipo di ricostruzione. La stessa scena del crimine fu inquinata dai numerosi passanti e curiosi che assistettero all’arrivo dell’ambulanza, e poi da chi lasciò fiori e ricordi di vario genere sul marciapiede. Le indagini sul Dna vennero introdotte solo a partire dagli anni ‘90 e non era possibile, all’epoca, poterle utilizzare.Christer Pettersson, a sua volta, «è morto nel 2004 in seguito a ferite al cranio mai chiarite». Pochi mesi prima, «si era rivolto a Mårten Palme, dicendo di volerlo incontrare per parlare della morte del padre». Sfortunatamente, «l’incontro non avvenne mai, e la morte di Pettersson mise fine a qualsiasi speranza». Strano, no? L’ex principale sospettato contatta il figlio della vittima ma, prima di portergli parlare, viene ucciso da “ferite al cranio mai chiarite”. Qualcuno sta dunque lavorando nell’ombra, ancora, per impedire che emerga la verità sul caso Palme? Ne è convinto l’avvocato Carpeoro, massone, che denuncia apertamente il ruolo criminale di una parte della massoneria internazionale, al centro di torbidi intrecci e depistaggi come quelli che tuttora inquinano le indagini sul terrorismo finto-islamico che colpisce a Parigi, Londra, Nizza, Bruxelles e Berlino. L’accusa: l’élite mondialista “reazionaria” si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Olof Palme? Un uomo-simbolo: «Era il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra: cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity». E se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, a “spegnere la luce” sulla democrazia «può intervenire anche il terrorismo». Allora impegnato nel movimento socialista europeo, Carpeoro assistette personalmente a congressi del partito svedese di Palme: era il politico che, più di ogni altro – per capacità, coraggio e autorevolezza – avrebbe impresso un’impronta “sociale” alla politica europea, sbarrando la strada, sul nascere, alla presente Ue degli orrori finanziari. «Un uomo come Palme rappresentava un pericolo mortale, per questa élite: andava tolto di mezzo».Nel suo libro, pubblicato da “Revoluzione”, Carpeoro sostiene che il pericolo è più che mai vicino: e denuncia il ruolo, in molti retroscena oscuri, del politologo Michael Ledeen, «uomo Cia, esponente nella super-massoneria reazionaria nonché del B’nai B’rith, la massoneria israeliana prossima al Mossad». Secondo Carpeoro, lo stesso Ledeen – definito “vicino” a Philip Guarino all’epoca del messaggio di Gelli alla vigilia dell’omicidio Palme – sarebbe un esponente-chiave della “sovragestione” politica dell’Italia, affidata a potenti apparati. Carpeoro dichiara che Ledeen avrebbe “sovragestito” «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e, contemporaneamente, il grillino Di Maio». Secondo questa tesi, lo stesso potere occulto manovra – da decenni – per condizionare, a nostra insaputa, il corso degli eventi. L’obiettivo sarebbe sempre lo stesso: sabotare la democrazia, di cui in Europa un leader come Olof Palme sarebbe stato un autentico campione, a danno delle lobby che oggi hanno in mano il bilancio degli Stati, per via bancaria, fino al paradosso della Bce che rappresenta l’unico, vero governo dell’Unione Europea, al riparo da qualsiasi “rischio” democratico.«Probabilmente l’assassino di Olof Palme è ancora in vita, e nel delitto potrebbero essere coinvolti la polizia o qualche esponente dell’esercito». Lo afferma il noto criminologo Leif Gustav Willy Persson, che ha sempre dubitato della colpevolezza di Christer Pettersson, un criminale di strada inizialmente fermato, ma che apparentemente non aveva motivi per uccidere il premier socialdemocratico svedese, il primo leader europeo a essere assassinato nell’Europa democratica (il secondo sarà il serbo Zoran Dijndic, nel 2003). Un caso tuttora irrisolto, pieno di ombre: comprese quelle che si allungano sulla strana morte dello scrittore Stieg Larsson, colto da malore dopo aver consegnato alla polizia un imponente dossier sui legami tra presunti killer e servizi segreti. «Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta», scrisse dal Sudamerica un certo Licio Gelli, in un messaggio indirizzato a Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive l’avvocato Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia il ruolo degli 007 nella strategia della tensione. Una regia occulta, da cui oggi proverrebbero gli attentati in Europa firmati Isis.
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Carpeoro: tutto resti com’è. Così l’Isis obbedisce al potere
Poteri forti? Grazie anche a cittadini deboli, sempre disposti a credere all’Uomo Nero, il nemico da odiare comodamente, cui attribuire ogni male. Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’avvocato Gianfranco Carpeoro inserisce un passaggio di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’ostilità”, che chiarisce il concetto: il gioco al massacro continuerà all’infinito, fino a quando le vittime non capiranno che il nemico di turno è solo un trucco del potere. «Il politico, il massone, il mafioso, il gesuita: in Italia non ci siamo fatti mancare niente. Gelli e Sindona, Craxi, Andreotti. Caduti i quali, è cambiato qualcosa?». Ecco il punto: «Non cambiare mai niente, nella sostanza. A questo serve l’odio del nemico. E attenzione: «Il lasciare tutto com’è è esattamente l’obiettivo di questo potere, che oggi ricorre in modo sistematico al terrorismo targato Isis». Tema che Carpeoro ha affrontato in un recente convegno, in Veneto, sul dominio occulto dell’élite paramassonica. Una situazione che si annuncia molto critica ormai anche per l’Italia: «L’ultimo report dei nostri servizi segreti parla di qualcosa come 5.000 “foreign fighters” provenienti dalla Siria, via Albania: sono perfettamente addestrati e si teme invadano la penisola per attuare attentati».Per capire il neo-terrorismo, ragiona Carpeoro, basta analizzarne il movente: «Ha un progetto politico, l’Isis?». Non se ne vede traccia: il cosiddetto Califfato Islamico è una barzelletta. «Ha una base etnica, lo Stato Islamico? Neppure: all’Islam aderiscono arabi sunniti, persiani sciiti, bosniaci ariani». E inoltre: «Provengono da un retroterra di profonde sofferenze, i miliziani jihadisti “foreign fighters”». Macché: «Il più delle volte sono figli di famiglie borghesi». Sono anche loro – più che mai – terroristi, certamente. «Ma non hanno niente in comune con un certo Pietro Micca, che nel 1706 fa saltare in aria mezza Torino per opporsi all’assedio francese». Carpeoro traccia una linea rossa che, attraverso svariate geografie, collega i “terrorismi” del passato, lontano e prossimo: da Pietro Micca ai palestinesi dell’Olp, passando per l’Ira irlandese, la Raf tedesca, le Brigate Rosse. «Ovviamente non posso approvare la violenza come metodo di lotta, ma almeno in quei casi si può leggere una coerenza, una proiezione di futuro: la liberazione di territori, la lotta politica per trasformare il governo del paese. I tedeschi della Baader-Meinhof combattevano a modo loro contro il governo di Bonn, inquinato dalla presenza di ex nazisti. Gli irlandesi volevano cacciare gli inglesi dalla loro terra. Le stesse Br aspiravano a una svolta rivoluzionaria in Italia». E l’Isis? Dov’è il suo progetto?Le cose si sono completamente ribaltate, sottolinea Carpeoro, «da quando il potere è finito nelle mani di un’élite oligarchica», che oggi «ha capito che non ha più nessuna chance democratica: non potrebbe in nessun modo godere del consenso popolare, della stima dei cittadini». E allora, per ottenere la loro obbedienza, «impugna l’arma della paura, attraverso il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, cioè attribuito agli islamici in modo fraudolento, ma in realtà concepito e diretto da menti massoniche occidentali, gestito da settori dei servizi segreti e affidato a sciagurata manovalanza che si dichiara islamista, pilotata e manipolata in modo da danneggiare innanzitutto l’Islam, che con il terrorismo non c’entra niente». E’ un massone (o meglio, un super-massone) lo stesso presunto capo dell’Isis, il sedicente “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain dopo esser stato improvvisamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca. Dopo Osama Bin Laden, Al-Baghdadi è l’ultima reincarnazione dell’Uomo Nero, il nemico brutto e cattivo. «Che effetto fa, allora, scoprire che quel tizio è stato iniziato alla stessa superloggia in cui sedevano sia George W. Bush che il capo di Al-Qaeda, Bin Laden?».Il primo a fare il nome di quell’organizzazione-ombra (Hathor Pentalpha, si chiama) è stato Gioele Magaldi nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato a fine 2014). Sta per uscire il “sequel”, con nuovi dettagli destinati ad aggravare ulteriormente la posizione della “loggia del sangue e della vendetta” fondata da Bush senior all’inizio degli anni ‘80, dopo la bruciante sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane. Al club aderiranno l’intero gruppo neocon statunitense ma anche politici europei, come l’inglese Tony Blair (quello delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam), il francese Nicolas Sarkozy (il killer politico di Gheddafi) e il turco Recep Tayyip Erdogan, invischiato fino al collo nell’invasione della Siria da parte dell’Isis. Ma nell’album di famiglia della “Hathor” non ci sono soltanto le peggiori menti dell’Occidente: accanto ai Bush e a Blair, a Sarkozy e a Erdogan «bisogna aggiungere prima Bin Laden, poi Al-Baghdadi». E’ indispensabile, per capire con chi abbiamo davvero a che fare: l’Uomo Nero è in azione, ma non è una scheggia impazzita come i suoi kamikaze. Sta obbedendo a ordini, a istruzioni precise, che partono dai piani più alti del potere mondiale, occidentale.Un potere che, oggi, non si fa scrupolo di sparare nel mucchio: «E’ il caso dei camion lanciati sulla folla a fare strage: un metodo semplice, economico e con pochi rischi, tranne che per l’attentatore». I terrorismi di ieri sparavano su obiettivi strategici: industriali, banchieri, politici. Oggi, invece, le vittime siamo noi. «Erano terroristi la cui azione – non approvabile, per carità – nasceva comunque da infinite sofferenze, come nel caso dei palestinesi». All’epoca dell’arresto di Renato Curcio, le stesse Br non avevano ancora ucciso nessuno: «Fu Curcio a fare fuoco, sul carabiniere che aveva ucciso sua moglie, Mara Cagol, colpendola alla schiena mentre stava scappando: può un carabiniere sparare alla schiena di qualcuno?», si domanda Carpeoro. Poi, certo, la storia del “vecchio” terrorismo è a doppio fondo, piena di infiltrazioni, in tutti sensi: terroristi “in buona fede” e terroristi “gestiti” dall’intelligence, 007 complici della strategia della tensione e agenti invece onesti, fedeli alle istituzioni. Un caos sanguinoso, infernale, con code processuali infinite, misteri irrisolti e vittime eccellenti – una su tutte, da noi: Aldo Moro.«Alla base, però, c’erano posizioni nette: da una parte una visione eversiva e rivoluzionaria, o irredentista, dall’altra lo Stato». Adesso, invece, a pilotare l’eversione è direttamente il lato oscuro del potere: non ha neppure “cavalcato” il furore dell’Isis, l’ha proprio progettato a tavolino, sfruttando la disperazione di paesi arabi a cui l’Occidente infligge sterminate sofferenze, attraverso la complitcità di dittature filo-occidentali. Questo “funziona” per ottenere la necessaria manovalanza, ma non certo per provocare una sollevazione politica delle popolazioni musulmane, che dell’Isis hanno orrore. «Ieri, i terroristi volevano cambiare tutto. I terroristi di oggi, invece, rispondono agli ordini di chi è deciso a non cambiare niente, dell’attuale sistema: pochissimi hanno in mano tutto, e così deve restare». Rimarremo al buio per sempre? «Oso sperare – azzarda Carpeoro – che magari, nel giro di due o tre generazioni, questa situazione cambierà». Smascherare i mandanti, liberare le nostre società dal ricatto della paura – perfettamente consonante con il ricatto economico dell’austerity, il rigore imposto per via finanziaria dall’élite privatizzatrice che, in Europa, a partire dall’omicidio di Olof Palme, ha stroncato il seme del socialismo democratico. Smontare il teatro del terrore? «A una condizione: che si smetta di dare la caccia all’Uomo Nero. E’ lì apposta per distrarci, per farci odiare qualcuno. E’ lo schema della magia, dell’illusionismo: il potere non fa altro che darci in pasto il cattivo di turno, da detestare. Se invece smettessimo di odiare, una buona volta, avremmo fatto un passo avanti enorme».Poteri forti? Grazie anche a cittadini deboli, sempre disposti a credere all’Uomo Nero, il nemico da odiare comodamente, cui attribuire ogni male. Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’avvocato Gianfranco Carpeoro inserisce un passaggio di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’ostilità”, che chiarisce il concetto: il gioco al massacro continuerà all’infinito, fino a quando le vittime non capiranno che il nemico di turno è solo un trucco del potere. «Il politico, il massone, il mafioso, il gesuita: in Italia non ci siamo fatti mancare niente. Gelli e Sindona, Craxi, Andreotti. Caduti i quali, è cambiato qualcosa?». Ecco il punto: «Non cambiare mai niente, nella sostanza. A questo serve l’odio del nemico. E attenzione: «Il lasciare tutto com’è è esattamente l’obiettivo di questo potere, che oggi ricorre in modo sistematico al terrorismo targato Isis». Tema che Carpeoro ha affrontato in un recente convegno, in Veneto (video su YouTube), sul dominio occulto dell’élite paramassonica. Una situazione che si annuncia molto critica ormai anche per l’Italia: «L’ultimo report dei nostri servizi segreti parla di qualcosa come 5.000 “foreign fighters” provenienti dalla Siria, via Albania: sono perfettamente addestrati e si teme invadano la penisola per attuare attentati».