Archivio del Tag ‘strategia della tensione’
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Flynn: Usa terroristi, l’Isis è in Siria grazie a Obama e Hillary
Un folle pilota americano ha abbattuto un aereo siriano che stava attaccando l’Isis. Questo conferma che Washington non sta combattendo i terroristi, ma li sta proteggendo, in quanto suoi agenti in Siria per rovesciarne il governo. Il generale Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha rivelato in un’intervista tv che Obama e la Clinton hanno voluto fortemente inviare l’Isis in Siria, contro il suo parere. L’Isis è la scusa per entrare abusivamente in Siria. Russia e Iran vi sono legalmente, invitati da un governo eletto. Gli americani invece sono lì come criminali di guerra. Secondo il diritto internazionale, stabilito dagli stessi yankees, è un crimine di guerra aggredire un paese che non ha sollevato un pugno contro di te. Ora che un pilota americano ha dimostrato che gli Usa sono in Siria solo per sostenere il proprio agente, l’Isis, nemmeno una “presstituta” come Megyn Kelly può credere alla versione di Washington. Russi, siriani e iraniani lo sapevano sin dall’inizio. Tuttavia, queste fonti ufficiali sono tutte considerate sospette dai media occidentali. Per questo, la bugia è rimasta in piedi, fino a quando l’idiota pilota americano ha tolto il velo dalla menzogna.Washington, naturalmente, mentirà spudoratamente. È l’unica cosa che sa fare. Dirà che era un “combattente della coalizione”, cioè che qualcun altro stava guidando gli F-18 americani. Non eravamo noi. Oppure affermeranno che il fighter siriano stava attaccando donne e bambini, oppure un gruppo di transgender o ancora un reparto maternità per donne violentate dalle “brutali truppe” di Assad. Il governo la girerà in qualche modo per rendere un aggressivo crimine di guerra un’eroica difesa di un gruppo di vittime. La domanda è: l’idiota pilota ha fatto tutto da solo, in stile Top Gun, oppure è stata un’iniziativa del complesso militare per iniziare un conflitto Stati Uniti-Russia che impedirebbe a Trump di calmare le tensioni con Putin? Sono in gioco 1 trilione di dollari annui pagati dai contribuenti americani. Non sappiamo se il pilota abbia agito da sé o su ordine. Quel che sappiamo è che non è andata giù ai russi. Il ministro della difesa ha dichiarato oggi che considera la decisione del comando statunitense come una «violazione intenzionale del memorandum per evitare incidenti di voli aerei nelle operazioni in Siria, firmato il 20 ottobre 2015». Che sorpresa! Gli americani hanno rotto un altro accordo fatto con la Russia.Quando capirà Mosca che un accordo firmato con Washington non ha senso? I nativi americani non lo hanno mai fatto. C’è una famosa maglietta in America: “Certo che puoi fidarti del governo: chiedi ad un nativo”. Il ministro della difesa russo ha annunciato oggi che il paese sta interrompendo tutte le interazioni con gli Stati Uniti nell’ambito del memorandum di prevenzione degli incidenti nei cieli siriani. Ha aggiunto inoltre che la difesa missilistica intercetterà qualsiasi aeromobile nella zona delle Forze Aerospaziali russe in Siria, e che «nelle aree in cui l’aviazione sta conducendo missioni di combattimento nei cieli siriani, qualsiasi oggetto volante, inclusi jet e veicoli aerei senza pilota della coalizione internazionale, scoperti ad ovest del fiume Eufrate, verranno seguiti da difese aeree e terrestri russe come bersagli aerei». In altre parole, la Russia ha velatamente indetto una “no-fly zone” in tutte le aree della Siria in cui operano le forze siriane e russe. Ogni intruso verrà colpito. Americani, israeliani, chiunque sarà fatto fuori.Poiché è la Russia, e non Washington, ad avere la superiorità aerea in Siria, tutto ciò che serve è un altro pilota americano sconsiderato, e i totali cretini di Washington dovranno ritirarsi o fare un errore. Date la stupidità e la hybris a D.C., i cretini commetteranno un errore. Non c’è nessuna intelligenza a Washington, solo arroganza. Nel quarto di secolo che ci sono stato ho visto le persone più stupide al mondo. Credo che la Russia e la sua abile leadership ne usciranno vincenti. Tuttavia, penso anche che abbia lasciato troppo che la crisi siriana si sviluppasse. Russia e Siria avrebbero vinto la guerra molto tempo fa, se Mosca avesse evitato di continuare a dichiarare una vittoria prematura, andandosene, dovendo tornare, sperando sempre di raggiungere un accordo con Washington. Raggiungere un accordo con gli americani era quasi più importante che vincere la guerra. Che cosa assurda. Sono gli americani che hanno fomentato il terrorismo in Cecenia.I russi sembrano non capire che non esistono terroristi indipendenti. Il terrorismo è un’arma di Washington. Come può dunque Mosca fare un accordo con un paese che le sta usando il terrorismo contro? Quale crede che sia il piano neocon di conquistare Siria ed Iran, se non portare più terrorismo in Russia? Putin è un leader esperto, forte e capace, forse l’unico fuori della Cina. Palesemente non ce n’è nessuno, in Occidente: un deserto di leadership. Pochi dubbi che sia un capo morale, che si oppone alla guerra e vuole il meglio per tutti i paesi. Tuttavia, cercando accordi con Washington, dà l’idea di essere debole e scavalcabile. Sarebbe molto meglio se Putin dicesse chiaramente: «Se volete la guerra, l’avrete in mezz’ora». Improvvisamente, la Russia verrebbe subito presa sul serio. Ammiro il presidente russo. Ma sta sbagliando mossa. Invece di parare l’aggressione di Washington, dovrebbe costringere Europa e Stati Uniti a venire da lui per una soluzione. Putin, il leader del mondo libero, non dovrebbe essere passivo rispetto ad un governo in bancarotta, corrotto e che si rotola nel male.(Paul Craig Roberts, “Un altro passo verso la guerra totale”, da “Information Clearing House” del 19 giugno, post tradotto da Hmg per “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts è stato viceministro del Tesoro nel governo di Ronald Reagan).Un folle pilota americano ha abbattuto un aereo siriano che stava attaccando l’Isis. Questo conferma che Washington non sta combattendo i terroristi, ma li sta proteggendo, in quanto suoi agenti in Siria per rovesciarne il governo. Il generale Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha rivelato in un’intervista tv che Obama e la Clinton hanno voluto fortemente inviare l’Isis in Siria, contro il suo parere. L’Isis è la scusa per entrare abusivamente in Siria. Russia e Iran vi sono legalmente, invitati da un governo eletto. Gli americani invece sono lì come criminali di guerra. Secondo il diritto internazionale, stabilito dagli stessi yankees, è un crimine di guerra aggredire un paese che non ha sollevato un pugno contro di te. Ora che un pilota americano ha dimostrato che gli Usa sono in Siria solo per sostenere il proprio agente, l’Isis, nemmeno una “presstituta” come Megyn Kelly può credere alla versione di Washington. Russi, siriani e iraniani lo sapevano sin dall’inizio. Tuttavia, queste fonti ufficiali sono tutte considerate sospette dai media occidentali. Per questo, la bugia è rimasta in piedi, fino a quando l’idiota pilota americano ha tolto il velo dalla menzogna.
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Berlino, la polizia ordina: non dite la verità sul terrorismo
Il “Corriere del Ticino”, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia criminale tedesca. Si intitola “Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti. La premessa dà già il tono: «Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica». Capito? E ancora: «Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (Stato islamico, ndr) o di Islam».L’autore dello scoop, Stefan Müller, cita un esempio concreto: l’attentato di Dortmund dell’11 aprile contro il bus dell’omonima squadra di calcio. La polizia, dopo una decina di giorni, annunciò che era stato compiuto da Sergej W. (28enne russo-tedesco, nel frattempo arrestato a Tubinga), che aveva ordito l’attentato per speculare in Borsa. Versione che all’epoca aveva suscitato non poche perplessità. Dal documento scoperto dal “Corriere del Ticino” si scopre che era giunta una rivendicazione dell’Isis, mai però comunicata ai media. Inevitabile chiedersi adesso: chi è stato davvero? Sergej o un fanatico del Califfo? Molto interessante anche la parte del documento in cui, rilevando un netto aumento dei fenomeni terroristici in Europa, si osserva che il quadro è andato peggiorando con «l’apertura delle frontiere da parte di Merkel». Ovvero, la polizia criminale tedesca avvalora l’equazione che le sinistre tendono a liquidare come un pregiudizio o un teorema populista: più immigrati fuori controllo, più terrorismo. La Bka parla di un traffico di passaporti rubati usati dagli attivisti dell’Isis in Europa.«Dieci milioni di visitatori stranieri all’anno entrano in Germania con passaporti falsi o rubati. In tal senso è possibile correlare la quantità di passaporti rubati con Al-Qaeda (Is) e le attività terroristiche islamiste». Sono menzognere anche le cifre sull’immigrazione clandestina, almeno quelle comunicate in Germania. Leggete questo passaggio del rapporto: «La percentuale degli ingressi illegali è cresciuta del 70%. I colleghi italiani prevedono l’arrivo di circa 350 mila, fino a 400 mila migranti dall’Africa nell’anno 2017. Verso l’esterno, alla stampa e ad altri media, indichiamo una cifra di 250 mila unità». E lo stesso vale per i crimini ordinari commessi dagli immigrati. Nel 2015 erano 309 mila, nel 2016 sono saliti a 465 mila. Queste cifre, peraltro, non contengono reati contro l’asilo e la socialità. Ma «ai media – si legge nel rapporto – si parla rispettivamente di 209 mila reati e di 295 mila». Ben 170 mila in meno. Decisamente esplosivo questo passaggio del rapporto: «Mai parlare di migranti economici. La sollecitazione giunge direttamente dal ministro della Cancelleria e dal portavoce del governo. Queste indicazioni sono tassative, per chi non le rispetta sono previste sanzioni severe, procedure disciplinari e il licenziamento dalla polizia».Sia chiaro: le autorità, da sempre, si riservano una certa discrezionalità nel diffondere le notizie più sensibili o per proteggere agenti infiltrati. Non dicono mai tutta la verità, com’è ovvio. Ma il quadro che emerge da questo rapporto va oltre i normali confini dell’intelligence. Quando si modificano sistematicamente le statistiche, quando si tenta di dissimulare gli attentati fino a dare istruzioni per fabbricare versioni credibili agli occhi dell’opinione pubblica, quando un governo vieta di parlare di “migranti economici” si è in presenza di un metodo per la creazione di post-verità governative o, se preferite, di una manipolazione sistematica delle informazioni. E tutto questo al fine di non turbare il processo elettorale, dunque di non intralciare la campagna elettorale della cancelliera Merkel. Cose che capitano nella democratica Germania.(Marcello Foa, “La polizia tedesca ordina: non dite la verità sul terrorismo islamico”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 20 giugno 2017).Il “Corriere del Ticino”, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia criminale tedesca. Si intitola “Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti. La premessa dà già il tono: «Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica». Capito? E ancora: «Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (Stato islamico, ndr) o di Islam».
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Potere terrorista: teme il nostro risveglio e sa che perderà
Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.In una lunga conversazione con David Gramiccioli ai microfoni di “Radio Roma Capitale”, già qualche anno fa, Carotenuto esponeva dati precisi: «Fino a vent’anni fa, a puntare consapevolmente sull’impulso a migliorare le cose era solo il 7-8% della popolazione, piccoli gruppi, nicchie, mistici. Oggi invece siamo alla riscoperta diffusa dell’ecologia, del cibo sano a chilometri zero, delle terapie alternative, dei “corpi sottili”. Fino a due o tre generazioni fa, un animale era soltanto cibo, per noi. E un albero era destinato solo a diventare un mobile, o legna da ardere». E’ cambiato tutto, alla velocità della luce, per almeno un essere umano su tre: «Si sta diffondendo una enorme cultura nuova. E’ l’ingresso dell’amore nel pensiero: si chiama coscienza. E questa rivoluzione avanza, cresce del 3% ogni anno». Attenzione: «Quella della coscienza non è l’unica rivoluzione che può cambiare il mondo: è l’unica che lo sta cambiando. Sta già avvenendo». Secondo Carotenuto, la “voglia di migliorare il mondo” è qualcosa di epocale: «E’ l’evento storico di massa più importante dell’umanità in duemila anni, anche se nessun talkshow ne parla. Al contrario: i media sono intasati di notizie infernali: crisi, guerra, terrorismo. Non a caso, secondo Carotenuto: «Il sistema dei poteri oscuri sta cercando di difendersi, mettendoci paura. Ma non ci riuscirà. E’ lui ad avere paura, perché vede benissimo quello che sta accadendo, e che i media non raccontano».Poteri oscuri: quelli per cui lo stesso Carotenuto ha lavorato, dapprima inconsapevolmente, per molti anni. Oggi, nella visione spiritualistica a cui è approdato, li chiama “forze dell’ostacolo”. E spiega: «In fondo, il male è una tattica del bene. In qualche modo ci aiuta a svegliarci. Se non avessimo qualcuno che ci dà il cattivo esempio, la nostra coscienza continuerebbe a dormire». Traduzione politico-spirituale: anche se l’élite “oscura” è ben lontana dal capirlo, «il ruolo ultimo di questa minoranza così cattiva, che ci governa da millenni, è proprio quello di svegliare la nostra coscienza». Un “training” involontario nonché spietato, feroce: «Dai campi magnetici, ai vaccini, alla politica: tutto è fatto per impedire il nostro risveglio». Ma i super-poteri sono in difficoltà: stanno verticalizzando i centri di controllo proprio per sottrarre sovranità e democrazia a questa nuova umanità “pericolosa”, che si starebbe svegliando. «Riducono i partiti, svuotano le Province, tolgono potere ai Comuni, alle Regioni. Ma è un’operazione difensiva: stanno perdendo pezzi. Questi poteri sono gli stessi che, ieri, controllavano le mafie, le lobby, la corruzione locale, i politici. Pur di verticalizzare, stanno obiettivamente combattendo lobby, mafie, scandali: per dare una ripulita, altrimenti la verticalizzazione non si può fare. Abbattono una classe politica corrotta, che era la loro, per sostituirla con una classe politica più pulita, più verticale e più forte contro le coscienze».Inforcando gli occhiali del suo vecchio mestiere, Carotenuto osserva l’evoluzione geopolitica in corso: «Hanno distrutto il laicismo nei paesi islamici. Iran, Egitto, Iraq, Siria, Tunisia, persino Libia. Obiettivo: radicalizzare l’Islam per fabbricare nemici, indispensabili per giustificare guerre e armamenti. Dopo il crollo dell’Urss dovevamo smontarla, la Nato. E invece quella struttura è cresciuta ancora, grazie a nemici artificiali: molti paesi islamici sono stati assegnati ai peggiori nemici dell’Occidente». L’ultima “invenzione” si chiama Isis. Serviva, «per rimpiazzare quella cosa ormai ridicola, non credibile, che era Al-Qaeda». Ma è tutto inutile, giura Carotenuto: «La gente, ad ogni latitudine, continua a svegliarsi giorno per giorno. Capisce che non può più fidarsi del mondo del potere. Si sta creando un mondo parallelo, solidale, senza più commistioni. Tutti ormai capiscono che il livello decisionale non è quello dei politici: la stanza dei bottoni è altrove». Il politico si limita a eseguire decisioni superiori, imposte da chi «decide di autorizzare un vaccino particolare, o un Ogm», anche con l’aiuto di «forme-pensiero orribili, devastanti», quotidianamente alimentate dal mainstream, «in trasmissioni come quelle di Bruno Vespa».Controllo dei circuiti e delle strategie: sono «coperture culturali, che poi vengono affiancate ai capi politici per guidarne i passi». Il frontman di turno magari si chiama Giuliano Amato o Romano Prodi, ma ha alle spalle «think-tanks politici, culturali e finanziari». Insiste Carotenuto: «Non se ne parla mai. Ma sopra il livello della politica c’è quello dei professori. Quando la politica viene ritenuta inadatta, si prende un professore e lo si mette a fare il politico. Ciampi, Prodi, Monti. In altri paesi si mette un Kissinger vicino a Nixon, un Brzezinski vicino a Carter. Proprio Brzeziznki l’ha detto chiaramente: il principale pericolo, per il potere, è il risveglio delle coscienze. E’ stato lucido: per la prima volta, una cosa così vera è stata affermata da un professore del potere», cioè del circuito universitario internazionale, «controllato da elementi religiosi e massonici», che svolge «un’operazione di fondo, molto forte, sulle forme-pensiero: e noi viviamo, in quelle forme-pensiero». Come sottrarsi alla morsa di questa manipolazione? «Basta guardarsi intorno, e dire: voglio migliorare la scuola dei miei figli, il parco vicino a casa. Voglio fare un’associazione che lo protegga, voglio alimentare il biologico. Mettiamo l’amore nella nostra vita quotidiana. Questa è l’unica arma per rivoluzionare veramente il mondo. E sta già funzionando: non facciamoci distrarre».Sul piano ufficiale e pubblico è una rivoluzione ben poco visibile, ammette Carotenuto: «Sui media non c’è, perché su questo c’è una congiura del silenzio. Non ci fanno talkshow, non ne parlano i giornali. Ma noi abbiamo occhi e orecchie. Se guardiamo le nostre famiglie, vediamo benissimo quanta gente ha cambiato orientamento o lo sta facendo. Anni fa, se facevi questi discorsi ti prendevano per matto. Adesso invece c’è sempre qualcuno che ti ascolta. Questa è la rivoluzione». Il risveglio è così forte, dice Carotenuto, da spingere i poteri a cercare in ogni modo di controllarlo. E’ stato fatto fin dall’inizio, infiltrando le associazioni pionere, portatrici di valori positivi. «Hanno detto: facciamole noi, le organizzazioni che si occupano dei loro temi. E così, appena nato l’ecologismo, hanno preso il principe Filippo (cacciatore) e il principe Bernardo d’Olanda (fondatore del Bilderberg, commerciante d’armi, piduista, petroliere Shell) e gli hanno fatto fondare il Wwf nel 1961».Carotenuto poi accende i riflettori su una «figura stranissima» come quella di Maurice Strong, grande petroliere canadese, «condannato negli Usa perché voleva appropriarsi di risorse idriche». Bene, quel signore è stato al vertice per 30-40 anni dell’ecologismo in sede Onu: è stato lui a organizzare le conferenze sul clima, da Kyoto a Stoccolma. Sono tutte fallite? «Logico: erano state create apposta per fallire. Per indurre l’idea che gli Stati sono incapaci. Per risolvere i grandi problemi, dicono, serve il super-Stato mondiale, il loro vero obiettivo». Sempre Strong ha redatto anche la Carta della Terra insieme a Gorbaciov, «che tutti considerano un santo», e di cui invece Carotenuto fornisce un profilo in controluce: «Era il pupillo di Andropov, ha messo ovunque uomini del Kgb trasformando l’Urss nel regno dei servizi segreti. Poi, con la Perestrojka, ha dato loro – privatamente – le risorse del paese. Adesso chi governa la Russia? Putin, che era un uomo del Kgb. Questa è stata l’operazione di Gorbaciov, e gli hanno dato il Nobel per la Pace».Gorbaciov se non altro ha “liberato” l’Est Europa, contribiendo ad archiviare l’incubo della guerra fredda. Ma il Nobel per la Pace l’hanno dato anche a Obama, «che per la pace nel mondo non ha fatto assolutamente niente». La vera funzione del Nobel? «Creare dei “santi” laici, con una credibilità fittizia». Il problema sta nel manico: Alfred Nobel, l’industriale della dinamite, aveva pessima fama. «Si era sparsa la voce, falsa, che fosse improvvisamente morto. Lui lesse i “coccodrilli” sui giornali: l’avevano trattato malissimo. Così, con l’Accademia di Stoccolma istituì il premio, per “ripulire” la propria immagine. Quindi il Nobel, in partenza, nasce da una non-verità». E’ l’ennesima maschera dei lupi che si travestono da agnelli: il potere che si accaparra il monopolio dei buoni sentimenti. Dal Nobel ai grandi think-tanks, stessa dinamica: centralizzare il futuro, sottrarlo alle persone comuni. Aurelio Peccei, braccio destro di Vittorio Valletta, esportò la Fiat nell’Urss. Poi negli anni ‘70 venne incaricato di fondare il Club di Roma. Tanti professori, grandi esponenti politici. E spuntò la tesi del super-Stato mondiale.«Verticalizzare il potere per frenare le coscienze, vecchia storia», osserva Carotenuto. «Dalla Prima Guerra Mondiale si uscì con la Società delle Nazioni, che non funzionò. Dalla Seconda si uscì con l’Onu. Il Club di Roma disse: non ce la faremo, la sovrappopolazione esplode, i consumi esauriranno le risorse della Terra in pochi anni. Ne avessero azzeccata una… Così, avendo sbagliato tutte le previsioni, si sono dedicati ad altro: il mutamento climatico, con Al Gore, uno dei loro». Beninteso: «Non è che questi problemi non esistano, sono importanti. Ma vengono forzati nel ragionamento: catastrofe assicurata, se in pochi anni non si arriva al super-Stato mondiale». Cioè la tattica in apparenza autolesionista di Maurice Strong all’Onu: far fallire le conferenze sul clima. Il guaio è che «il potere è in tutti i poteri», sintetizza Carotenuto. «Più è centrale e multinazionale, e più è facile che lobby, massonerie e congreghe varie riescano a determinare le nomine, figurarsi a livello di Ue. Ma voi Van Rompuy l’avete mai conosciuto? E Barroso? Chi sono? Perché stavano lì? Sono stati imposti da poteri che non si possono definire chiari».Peccano di scarsa chiarezza, secondo Carotenuto, anche movimenti che sembrano trasparenti come quello di Grillo: «I militanti sono bravi ragazzi, vorrebbero davvero migliorare il mondo. Ma non vedono che la “casa” del loro leader non è di vetro. E il non chiaro, il non conosciuto, è sempre lo spazio di una coscienza che non è la tua, ma è quella di qualcun altro». Certo il Belpaese è un po’ un caso a parte: «L’Italia è veramente un rebus, per il mondo dei poteri, perché è quasi incontrollabile. Gli italiani hanno una immensa risorsa, che è la fantasia». In qualche modo, sono riusciti a sopravvivere anche all’attacco più duro, l’omicidio di Aldo Moro, che per Carotenuto «era rimasto il coagulo di quello straordinario gruppo di uomini usciti dalla Resistenza, gli artefici della Costituzione: tutto volevano, tranne che svendere l’indipendenza dell’Italia, la sovranità e la dignità umana». Eliminato Moro, «c’è stato il dilagare dei poteri oscuri, che volevano togliere di mezzo l’indipendenza e la dignità italiana, la dignità umana in Italia». Hanno vinto? No, perché «tutti noi, oggi, siamo in grado di raccogliere quel messaggio: sempre di più vediamo chi sono questi poteri. E quindi la risposta è: mettiamo più amore in quello che facciamo».Non è una passeggiata: «Una delle cose che vogliono questi poteri è suscitare l’odio. Se uno odia, pensa che la colpa è sempre degli altri, e non fa mai niente. Pensa sempre di essere migliore, e non si migliora. E così il suo livello di coscienza rimane basso». La soluzione più semplice? «Amare di più, intorno a sé. E questo distrugge il mondo del potere, veramente». Un grande intellettuale dissidente come il linguista Noam Chomsky si chiede spesso: cosa possiamo fare? «La differenza rispetto a me – dice Carotenuto – è che Chomsky non ha una visione spirituale, quindi non ha speranza, in fondo. Io ho più di una speranza: ho una certezza. Perché il risveglio è già in corso. L’amore sta già trasformando il mondo: ce ne dobbiamo solo accorgere. E organizzarlo un po’ alla volta, senza la pretesa di abbattere il potere: perché il potere si scioglie dal di dentro». Qual è la base delle grandi piramidi di potere? Siamo noi: «Sono le nostre stesse scelte quotidiane, in favore del potere: compro il prodotto sbagliato, esprimo il voto sbagliato». Il rimedio? La crescita della coscienza: «Man mano che noi cresciamo, le piramidi crollano. E i grandi poteri lo sanno: per questo hanno paura, e stanno diventando sempre più violenti. Basta non farsi impressionare dal loro frastuono: stanno per cadere a pezzi, travolti dalla nostra rivoluzione inarrestabile, fondata sulla consapevolezza». Conclude Carotenuto: l’arma segreta si chiama amore, ed è invincibile: «Amore significa: voler fare un bene che ancora non c’è. E’ una forza inarrestabile, che silenziosamente sta già trionfando».Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.
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Terrorismo, il bugiardo copione della morte. Fino a quando?
Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?Mentre si prolunga il silenzio assordante dei media mainstream, che ignorano deliberamente le ormai migliaia di fonti – da Wikileaks in giù – che raccontano tutta un’altra storia, come quella dell’ambasciatore americano a Bengasi saltato in aria con tutte le sue carte dopo che il network di Assange aveva scoperto il traffico di ami chimiche dalla Libia verso la Siria (da cui l’emailgate di Hillary Cinton, con 1.400 messaggi precipitosamente cancellati), ammonta a ormai molti milioni di persone la platea internazionale degli “webeti” che vogliono sapere, informarsi, scoprire perché agli europei oggi tocca morire per strada, al bar, in metropolitana, al concerto, allo stadio. Voci eminenti hanno squarciato un velo di omissioni, falsità e depistaggi. Giornalisti, premi Pulitzer, ex ministri americani, ex militari d’alto rango, massoni, analisti, specialisti dell’intelligence. Raccontano tutti la stessa storia: un’élite impazzita ha il terrore di perdere il potere assoluto conquistato negli ultimi trent’anni, da quando – afflosciatasi la minaccia sovietica – il “partito della guerra”, il business degli armamenti, aveva assoluta necessità di “inventare” un altro nemico, necessario a giustificare il boom inesauribile della spesa militare, e così ha “fabbricato” la minaccia islamista.Lo ammette l’anziano Zbigniew Brzezisnki nelle sue memorie: fu lui a reclutare Bin Laden, fu lì che tutto cominciò. Il seguito è stato solo una tragica farsa, sanguinosissima: l’11 Settembre, le “armi di distruzione di massa” di Saddam, l’esercito barbarico del Califfo, le armi chimiche di Assad e quelle di Gheddafi, l’atomica dell’Iran. Ora siamo ai kamikaze, veri o presunti, ma comunque non sopravviventi: immancabilmente “già segnalati dall’intelligence”, regolarmente “sfuggiti al controllo”, prontamente individuati e riempiti di piombo. Terrorizzare un paese come la Francia, strategico per l’oligarchia finanziaria Ue, secondo alcuni osservatori è una misura preventiva: le leggi speciali frenano la protesta per le misure di rigore sociale in arrivo, e concorrono all’elezione in carrozza di un soggetto come Macron, creatura in vitro della supermassoneria reazionaria incarnata dall’onnipresente Jacques Attali, l’uomo che derise la “plebaglia europea”, illusasi che l’euro fosse stato creato per la sua felicità. Fino a quando durerà, questa recita, che attualmente insanguina il Regno Unito colpevole di aver scelto la Brexit? Se è vero che i signori del terrore hanno paura di perdere il regno, come sostiene qualcuno, c’è ragione di temere un maxi-attentato, stile 11 Settembre. A meno che, a monte, non accada qualcosa, e l’élite “nera” sia sconfitta. Ma non c’è caso che gli “webeti” vengano a saperlo da giornali e televisioni. Siamo nel 2017, e la verità non è mai stata così incerta e rischiosa, avara e tristemente clandestina.Qualcuno crede ancora che sia stato Osama Bin Laden, cioè il socio storico della famiglia Bush, poi agente speciale della Cia in Afghanistan, a far radere al suolo le Torri Gemelle, il giorno in cui – per la prima e unica volta nella storia degli Stati Uniti – l’aviazione era stata interamente impegnata in una decina di esercitazioni concomitanti, dall’Alaska alla West Cost, lasciando solo 4 aerei a guardia del cielo di New York e Washington? E qualcuno crede ancora che lo stesso Bin Laden sia stato davvero ucciso il 2 maggio 2011 ad Abbottabad in Pakistan, su ordine di Obama, dai Navy Seals poi tragicamente a loro volta uccisi (tutti) da un razzo dei Talebani all’aeroporto di Kabul? Qualcuno, davvero, crede che il fantomatico Abu Bakr Al-Baghdadi, misteriosamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca e poi fotografato in Siria in amena compagnia del senatore John McCain, non c’entri nulla con le reti di intelligence occidentale che hanno organizzato a tavolino la “guerra infinita” fabbricando, allo scopo, prima Al-Qaeda e poi lo Stato Islamico?
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Attali: Isis e leggi speciali, verso il dominio del mercato
Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.Il punto è che il presidente della repubblica ha molto meno potere di prima, si rammarica Attali: «Anzitutto non c’è più la pena di morte e non c’è più l’Unione Sovietica, quindi le due dimensioni fondamentali della taumaturgia, il diritto di vita e di morte, sono scomparse». Poi c’è l’euro: «Ecco un’altra buona ragione: fa sì che gran parte dell’economia politica sia divenuta europea». Quindi la decentralizzazione: «I grandi investimenti non sono più nello Stato, e la politica delle grandi infrastrutture non gli appartiene più». Avanti con le privatizzazioni: «Non c’è più politica industriale possibile». E’ la globalizzazione: «Il mercato ha ampiamente vinto. Ci sono moltissime cose che si credevano alla portata dello Stato, e non lo sono più». E’ stato “il mercato”, aggiunge Attali, a designare Macron come candidato: avrà solo la parte residua di potere che “il mercato” gli concederà. Cosa che ormai accade alla maggior parte dei politici: «Sì, appunto: non hanno potere reale. A parte la grandezza d’essere eletti dal popolo, non hanno potere reale sulla società». Men che meno in Europa: «Tutti coloro, fra cui io, che hanno avuto il privilegio di tenere la penna per stilare le prime versioni del trattato di Maastricht – scandisce Attali – si sono impegnati a fare in modo che uscire dalla Ue non sia possibile. Abbiamo avuto cura di dimenticare di scrivere l’articolo che permetta l’uscita».In pratica, osserva Blondet, Attali si dice onorato di aver impedito al popolo di auto-determinarsi: solo il mercato decide. Il suo obbiettivo è di ampliarne ulteriormente il potere. Ed ecco il futuro già segnato delle ulteriori vittorie del “mercato”, che «si estenderà a settori dove fino ad oggi non aveva accesso: per esempio la sanità, l’istruzione, la polizia, la giustizia, gli affari esteri». Contemporaneamente, «nella misura in cui non ci sono regole di diritto», il “mercato” «si estenderà a settori oggi considerati illegali, criminali: come la prostituzione, il commercio degli organi, delle armi, il racket». Quindi, aggiunge Attali, «si avrà un mercato che dominerà sempre più, determinando una concentrazione di ricchezze, una diseguaglianza crescente, una priorità data al breve termine e alla tirannia dell’istante e del denaro». Fino ad arrivare, alla fine, «alla commercializzazione della cosa più importante, ossia la vita: la trasformazione dell’essere umano in merce di scambio: lui stesso divenuto un clone e un robot di se stesso». Questa la visione dello stratega supermassonico Attali, esposta quasi con candore agli esterrefatti giornalisti televisivi francesi.Quanto a Internet, «rappresenta una minaccia per quelli che sanno e che decidono, perché dà accesso al sapere non secondo il cururs gerarchico». Nel video, una voce fuori campo prova a riassumere: il web è potenzialmente pericoloso per questo nuovo establishment, che utilizza presidenti e ministri come semplici comparse, incaricate di trasferire ulteriore potere al “mercato”: «Deregolare, impoverire e svuotare i servizi pubblici, aprire tutti i settori alla concorrenza, distruggere le protezioni dei salariati e dei cittadini. Si tratta di consegnare al mercato gli ultimi bastioni ancora tenuti dal popolo». E perché i cittadini tacciano, evitando di ribellarsi, è provvidenziale l’emergenza terroristica con le leggi speciali. «Nessun governo oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», infatti. «Per natura – afferma Attali – dobbiamo essere in permanenza nello stato d’eccezione; e il fatto di iscriverlo nelle istituzioni non è altro che esprimere e riconoscere una realtà». Un percorso tracciato, al quale sarà impossibile sfuggire, secondo Attali, che si spinge oltre all’attuale presidente: «So chi è colei che succederà a Macron», dice. E poco dopo, sogghignando, ribadisce: credo di conoscere colei che diventerà presidente dopo di lui.Dunque Attali, «cedendo alla vanità, la sua debolezza», dice di conoscere il nome del successore di Macron: sarà una donna. «Uno sguardo nel futuro lontano», aggiunge Blondet: «Se Macron completa il doppio mandato, se ne parla nel 2022». E Attali vuol far sapere che sarà “colei”, a salire all’Eliseo, secondo i piani invisibili dei poteri forti, quelli che stanno “mercatizzando” ogni forma di vita: «La sola legge del mondo – insiste Attali – sarà quella del mercato, che formerà un iper-impero inafferrabile e planetario dove anche la natura sarà messa a contribuzione». Così, osserva Blondet, si deduce che lo stato d’eccezione permanente, basato su misure repressive liberticide, «diventa necessario perché il “mercato” possa estendersi a settori da cui oggi è escluso, facendone fonte di profitti privati. Non solo sanità e istruzione, ma secondo Attali anche polizia, giustizia, affari esteri». Un incubo, nel quale compare anche il «commercio degli organi» (sottratto al mondo criminale, quindi legalizzato). E «alla fine del percorso, la commercializzazione della cosa più importante, la vita umana». Scrisse Attali: «Andiamo verso un’umanità unisex. Ciò risolverà un problema importante: le nostre capacità cognitive sono limitate dalla dimensione del cervello. Se il bambino nascesse da una matrice artficiale, la dimensione del suo cervello non avrebbe più limiti».E mentre il popolo francese sembra scomparso, consegnando proprio a Macron una schiacciante maggioranza parlamentare, la Francia dovrà vedersela innanzitutto con la riforma del lavoro imposta dal “mercato”, col trasferimento alle imprese di tutto il potere negoziale, a scapito dei lavoratori. Un po’ troppo, persino per i francesi “macronizzati” con la ricetta Attali? Nel caso dovesse svegliarsi l’opposizione, in Parlamento e in piazza, «ecco dunque lo stato d’eccezione reso permanente», dice Blondet. «Ed ecco l’utilità del “terrorismo islamico” che lo rende così inevitabile», grazie all’alibi della sicurezza. Chiosa Blondet: «Un mio cugino è stato addetto del consolato americano a Genova, quando ancora Genova era sede consolare. Il console un giorno buttò lì: “Le Brigate Rosse? Le controlliamo dalla nostra base di Lisbona”. Da quegli anni, molto prima di me, mio cugino è convinto – o meglio sa – che non esistono terroristi, atti terroristici, terrorismo alcuno che non sia gestito e teleguidato da servizi. Senza eccezione. Sono azioni che servono a imprimere nell’opinione pubblica spaventata reazioni, calcolate e previste al millimetro: “Ormai è una scienza esatta”).Emmanuel Macron ha un progetto: rendere permanente lo “stato d’emergenza” in vigore dalla strage terroristica di Charlie Hebdo. Lo rivela “Le Monde”, anticipando un progetto di legge in arrivo: domicilio coatto, perquisizioni diurne e notturne, chiusura dei luoghi di culto, zone di protezione e di sicurezza, cioè le misure adottate in questi 19 mesi di regime d’eccezione, diverranno “normali”. «Si tratta in sostanza delle misure emblematiche prese durante la guerra d’Algeria del 1955, stato d’eccezione vero», scrive Maurizio Blondet. A giustificarle, ora, è la “guerra il terrorismo”. Secondo Blondet, Macron ha preso l’idea direttamente dal “futurologo principe” Jacques Attali, il suo padrino, mentore e “creatore”, potentissimo supermassone reazionario e mondialista, intimo consigliere di tutti i presidenti socialisti. «Nessun governo, oggi, oserà più rinunciare allo stato d’eccezione», dice Attali in una video-intervista del 2016. «Non se ne uscirà mai più, perché ogni governo che uscisse dallo stato d’emergenza darebbe un segnale di debolezza». Una dinamica inesorabile, irreversibile. Con un anno di anticipo, Attali si disse certo che Macron sarebbe finito all’Eliseo. E dopo di lui, aggiunse, toccherà a una donna. Ma saranno presidenze dimezzate: l’unico vero vincitore sarà il mercato globalizzato.
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Il vero Brzezinski, grande architetto del terrorismo moderno
Era lui il vero “inventore” del cosiddetto “terrorismo islamico”. Zbigniew Brzezinski, già consulente per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, spentosi il 26 maggio 2017 all’età di 89 anni, è stato «il grande architetto del terrorismo moderno», secondo il blog “The AntiMedia”, che prova a riassumerne l’eredità. «Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’Isis, e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marziale quasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’Isis, la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno». Come spiega il “New York Times”, «il profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica» ha guidato molta della politica estera americana, «nel bene e nel male». Brzezinski sostenne l’invio di miliardi di dollari ai militanti islamisti che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. E incoraggiò tacitamente la Cina a mantenere il suo sostegno al brutale regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Urss, prendessero il controllo del paese. Ma il “New York Times” «non non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski».Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Usa si impegnarono a rovesciarlo con una serie di tentativi di colpi di Stato «tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli Usa», scrive “The AntiMedia” in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della Cia denominato “Operazione Ciclone”. «Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione». In un’intervista del 1998, Brzezinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava «consapevolmente aumentando la probabilità» che i sovietici intervenissero militarmente. In altre parole, Brzezinski suggerisce che gli Usa «avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica».Brzezinski disse poi: «Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’Urss il suo Vietnam». Questa affermazione, annota “The AntiMedia”, andava al di là del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate “From the Shadows“, Robert Gates – ex direttore della Cia sotto Ronald Reagan e George W. Bush, nonché segretario alla difesa sia sotto Bush junior che sotto Obama – confermò direttamente che quella operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i russi in un pantano in stile vietnamita. «Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden – una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire».Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla Cia, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori: «Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?». L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté: «Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno». Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: «Nonsense!». Cose di questo genere, osserva il blog, «succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado». Di fatto, il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di Al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. «Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze Nato».Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, «la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata», sottolinea “The AntiMedia”. «Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte: non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad». Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, a quel tempo incaricato d’affari presso l’ambasciata americana a Damasco, allude esplicitamente alla possibilità concreta di scommettere su «una crescente presenza di estremisti islamisti». Un po’ come con l’Operazione Ciclone in Afghanistan, sotto Barack Obama «la Cia ha speso circa un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani, affinché si impegnassero in tattiche terroristiche». E la maggioranza di questi ribelli «condivide l’ideologia fondamentalista dell’Isis e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria».Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli “avvertimenti” di Obama al presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe spinto la Russia verso un altro pantano in stile afghano. «Da chi può aver acquisito, Obama, queste tecniche “alla Brzezinski”, gettando la Siria nell’orrore di sei anni di guerra e di nuovo trascinando una grossa potenza nucleare in un conflitto pieno di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?». Ecco la risposta: «Le ha acquisite da Brzezinski stesso». Secondo Obama, Brzezinski è stato un suo mentore personale, un «amico eccezionale», dal quale ha imparato moltissimo. «Alla luce di questo, c’è forse da sorprendersi che siano sorti così tanti conflitti dal nulla durante la presidenza Obama?». Un’azione a tutto campo, dal Medio Oriente all’Ucraina: il 7 febbraio 2014, la “Bbc” ha pubblicato la trascrizione dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra l’assistente segretaria di Stato, Victoria Nuland, e l’ambasciatore americano in Ucraina, Geoffrey Pyatt. In quella conversazione, i due alti funzionari «stavano discutendo su chi avrebbero voluto piazzare al governo ucraino dopo il colpo di Stato che aveva cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovych».Ed ecco che Brzezinski stesso, nel suo libro del 1998, “La Grande Scacchiera”, sosteneva la necessità di prendere il controllo dell’Ucraina, dicendo che era «uno spazio nuovo e importante sulla scacchiera euroasiatica, un perno geopolitico, perché la sua stessa esistenza come nazione indipendente implicava che la Russia cessasse di essere un impero euroasiatico». Brzezinski ammoniva contro l’eventualità di permettere alla Russia di prendere il controllo dell’Ucraina, perché «la Russia si riprenderebbe automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente Stato imperiale, con influenze sia in Europa che in Asia». Dopo Obama, Donald Trump è salito in carica con tutta un’altra mentalità, con l’idea di lavorare con la Russia e con il governo siriano per combattere l’Isis. «Non c’è da sorprendersi che Brzezinski non abbia sostenuto la campagna di Trump per la presidenza, e abbia ritenuto che le idee di Trump sulla politica estera mancassero di coerenza», aggiunge “The AntiMedia”. Poi, forse, qualche ripensamento in extremis: l’anno scorso, Brzezinski è sembrato aver cambiato posizione sulla “geopolitica del terrore”, iniziando a sostenere una redistribuzione del potere globale, alla luce del fatto che gli Usa non sono più la grande potenza imperiale di un tempo.Tuttavia, Brzezinski sembrava ancora ritenere che, senza il ruolo-guida dell’America, il risultato sarebbe stato solo «il caos globale». Pare perciò improbabile che il suo cambiamento di posizione fosse fondato su un cambiamento reale e significativo sullo scacchiere geopolitico. «La stessa esistenza della Cia è fondata sull’idea di una minaccia russa, come è stato evidenziato dall’aggressione decisa da parte della stessa Cia contro l’amministrazione Trump non appena si è delineata una possibile distensione con l’ex Unione Sovietica», conclude “The AntiMedia”. «Brzezinski è morto nella tranquillità del suo letto di ospedale, a differenza di milioni di civili sfollati e assassinati, risucchiati nel suo contorto gioco di scacchi geopolitico, fatto di sangue e follia. La sua eredità è la militanza jihadista, la formazione di Al-Quaeda, il più devastante attacco su suolo americano che sia mai stato fatto da un’entità straniera nella storia recente, e la demonizzazione della Russia come eterno avversario, con il quale la pace non si può e non si deve fare».Era lui il vero “inventore” del cosiddetto “terrorismo islamico”. Zbigniew Brzezinski, già consulente per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, spentosi il 26 maggio 2017 all’età di 89 anni, è stato «il grande architetto del terrorismo moderno», secondo il blog “The AntiMedia”, che prova a riassumerne l’eredità. «Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’Isis, e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marziale quasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’Isis, la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno». Come spiega il “New York Times”, «il profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica» ha guidato molta della politica estera americana, «nel bene e nel male». Brzezinski sostenne l’invio di miliardi di dollari ai militanti islamisti che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. E incoraggiò tacitamente la Cina a mantenere il suo sostegno al brutale regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Urss, prendessero il controllo del paese. Ma il “New York Times” «non non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski».
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Siamo un virus che devasta la Terra: chi ci deviò il genoma?
«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – Matrix). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?Spesso si giustifica il male come un’assenza di bene, ma a guardare bene le azioni dell’uomo nella storia, non possiamo limitarci a descrivere il male come una carenza di bene, ma come una vera e propria perversione, una perversione del senso dell’essere e dell’esistere. Il male degrada e violenta l’uomo. Esso lo pone in contraddizione con se stesso. Non è altro, dunque, che nonsenso e perversione. La gente se lo chiede: esiste un problema nella relazione tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo e il creato? Esiste una ferita nell’armonia cosmica che contraddistingue il creato e che l’uomo non è in grado di realizzare nel suo rapporto con la natura e con se stesso? Da più parti giungono segnali di un disagio profondo nel cuore umano, come se questo mondo non fosse il nostro. Non si comprende bene se siamo noi umani stranieri ad esso, vermi ingordi precipitati qui per caso, e perchè abbiamo ridotto questo pianeta, un giorno nostra culla accogliente, in un mondo ostile e minaccioso, tale da fargli assumere i nostri connotati di avidità distruttiva e di cinismo indifferente.L’uomo, da custode a predatore del creato. Forse bisogna andare all’inconoscibile giorno in cui l’uomo non avvertì più se stesso come natura, come figlio della terra. Da uomo della natura si scopri uomo nella natura, con niente simile a sé. Fu allora che si sentì padrone della Terra e non più custode, dominatore di tutto, per dimenticare l’orrore della sua fragilità e del suo destino di morte. Egli ridusse tutte le cose ad “oggetti” da tenere a bada e da sfruttare a suo piacimento. E’ così che nasce la cultura umana, la cultura tecnologica, del dominio e dello sfruttamento razionale, freddo, della natura. Per un po’ le cose vanno bene. La tecnica dà una mano allo spadroneggiare dell’uomo sulla terra, fino a quando il criterio che dirige ogni scelta sul pianeta non diventa l’economia. L’uomo-padrone arraffa quanto è economicamente utile e nel modo in cui è economicamente vantaggioso. Se serve, si devasta un territorio, lo si avvelena anche. Se serve, si cura un nemico o un operaio ferito. Se non serve, lo si lascia morire.La “new economy”, come oggi la si definisce, oltre a devastare la natura, schiaccia l’uomo, gli impedisce di vivere, a meno che non appartenga ad un ristretto numero di privilegiati. Perchè il creato è stato scippato a tutti ed è diventato proprietà di alcuni, con la complicità di chi ha definito diritto divino la proprietà privata. Così l’economia diventa incertezza quotidiana, guerra, annullamento dei diritti umani, menzogna, sovvertimento insensato della natura. Dobbiamo all’economia se oggi a presiedere uno Stato, molto spesso, non è un presidente ma la “banca”. La tecnica è il braccio armato dell’economia, una economia che annulla la dignità umana e che lo asserve all’avidità di pochi gruppi che influenzano la vita dell’intero pianeta. L’atomo gli fa vincere una guerra, ma inquina generazioni e generazioni. La biologia ci assiste nella fecondità umana, ma non è un suo problema se un giorno programmeremo, secondo le nostre esigenze, una generazione di atleti senza sentimenti, oppure soldati ottusi ed ubbidienti, oppure carne per il consumo sessuale. Gli organismi geneticamente modificati possono aumentare la produzione, ma la Monsanto si sente innocente se poi magari scopriremo che ci siamo avvelenati coi nostri soldi. Paradossale ma vero: l’economia non sa che farsene dell’uomo, non vuole la natura umana che in sé è collegata col tutto; vuole solo la propria autoconservazione. Cioè, in fondo, l’idolatria del dollaro e delle merci.Questa civiltà che ogni giorno, rispetto ad uomini e cose, si connota con il cinico usa e getta, non è ancora riuscita a farci dimenticare che se non siamo padroni della natura, tuttavia siamo ad essa inscindibilmente collegati, tanto che deturpare il creato è gesto autodistruttivo, e disprezzare l’uomo predispone ad assalire il creato. Una umanità senza sentimenti, puramente tecnica, non si accorge nemmeno della scomparsa di migliaia di specie animali e vegetali. Non prova nessuna nostalgia per una bellezza sprofondata nel nulla dopo millenni di cammino sulla terra. Dopo averne privato una parte consistente dell’umanità, abbiamo anche privato di diritti animali e piante. Questo discorso, nella logica occidentale viene presa per idiozia! Può una pianta, un animale avere dei diritti? Il punto è che sentendoci padroni di tutto, riconosciamo il diritto alla vita a chi vogliamo noi, secondo le convenienze. Si comincia a ridurre la pianta e l’animale ad oggetto, aprendo così la strada a vergognarci di quanto di animale c’è in noi! Fino a dire che anche certi umani sono sottouomini, privi di ogni dignità. E stabiliamo noi che deve vivere e chi deve morire.L’uomo è nato per distruggere? E’ biologicamente destinato alla distruttività? Quali dinamiche ostacolano o agevolano la possibilità di una società multiculturale? Con la fine della Guerra fredda, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace, in cui tanta parte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore potesse indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non è andata così. E’ solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione di quelli fra Stati, un aumento dei conflitti interni internazionalizzati, ossia di quelli che pur mantenendo l’epicentro all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre nazioni, e una prosecuzione inalterata degli altri conflitti interni, ma con potenziale coinvolgimento di un numero sempre superiore di persone, anche in relazione alla diffusione del terrorismo.E’ possibile guardare da una prospettiva scientifica a questo fenomeno? Può la scienza aiutare a chiarire i principali fattori che influenzano il rischio di conflitti e di violenze di massa? La domanda potrà apparire fuori luogo, o quanto meno fuori epoca, a chi ritiene che con l’Olocausto e la bomba atomica la scienza abbia “perso l’innocenza” e posto fine all’ultima delle “grandi narrazioni” che avevano permesso la coesione sociale e ispirato le utopie che si sono succedute nella storia dell’umanità, per aprire le porte a quella società post-moderna descritta da tanti sociologi, da Jean-François Lyotard a Zygmunt Bauman, che, divenuta “liquida” e priva di un senso di comunità, cerca di ritrovarlo attraverso la creazione di ghetti identitari più indifferenti che tolleranti verso gli altri e sempre pronti a entrarvi in conflitto.L’umanità è un virus per la Terra? Tutti noi potremmo essere meno umani di quanto pensiamo. Quantomeno è ciò che suggerisce una nuova ricerca, rivelando che il genoma umano è in parte un virus, per la precisione il Bornavirus, portatore di morte per cavalli e pecore. Sembra che 2 milioni di anni fa, questo virus abbia inserito parte del suo materiale genetico nel nostro Dna. La scoperta, pubblicata su “Nature” del 7 gennaio, dimostra come questi virus di tipo Rna possono comportarsi come i retrovirus (ad esempio Hiv) ed integrarsi stabilmente come ospiti dei nostri geni. Questo lavoro di ricerca potrebbe consentire di capirne molto di più sulla nostra evoluzione, rivelando come il mondo attuale sia anche il frutto del lavoro di un virus contenuto in ognuno di noi. «La conoscenza di noi stessi come specie è stata leggermente mal interpretata», afferma Robert Gifford, paleo-virologo presso l’Aaron Diamond Aids Research Center. Insomma non abbiamo tenuto conto che il Dna umano si evoluto anche grazie al contributo di batteri ed altri microrganismi e che le nostre difese immunitarie hanno fatto ricorso a quel materiale genetico per difendersi dalle infezioni. Sembra che fino all’8% del nostro genoma potrebbe ospitare materiale genetico dei virus.Nello studio, ricercatori giapponesi hanno trovato copie di un gene del Bornavirus inserite in almeno quattro zone diverse del nostro genoma. Ricerche condotte su altri mammiferi hanno rivelato la sua presenza in una vasta quantità di specie per milioni di anni. «Hanno fornito le prove di un reperto fossile con tracce del Bornavirus», afferma John Coffin, virologo alla Tufts University School of Medicine di Boston e coautore dello studio “Questo ci dice anche che l’evoluzione dei virus non è andata come pensavamo”. Nei risultati dello studio, i ricercatori guidati da Keizo Tomonaga della Osaka University, hanno scoperto che due geni umani sono molto simili al gene del Bornavirus. Gli scienziati sostengono che il questa “infezione preistorica” potrebbe essere una fonte di mutazione umana, specialmente nei nostri neuroni. A questo punto non si può che dare ragione all’Agente Smith di “Matrix” nella sua convinzione che soltanto un altro organismo sul pianeta si comporta come l’uomo: il virus.Quel misterioso salto evolutivo dell’Homo Erectus. Zecharia Sitchin in molti dei suoi libri afferma la teoria secondo la quale, in un passato molto remoto, un gruppo di viaggiatori extraterrestri provenienti dal pianeta Nibiru, chiamati Anunnaki, sarebbero scesi sulla Terra per sfruttare le risorse minerarie del nostro pianeta. Secondo Sitchin, avendo bisogno di manodopera per l’estrazione di minerali, gli Anunnaki pensarono di manipolare geneticamente la specie terrestre più simile a loro, innestandovi il proprio Dna: fu scelto un ominide, l’Homo Erectus. E’ possibile che questo intervento possa aver alterato il corso della naturale evoluzione umana? La nostra rapida evoluzione, incapace di armonizzarsi con i tempi e le regole della natura, potrebbe dipendere da questo? Nuovi ritrovamenti complicano il dibattito fra quanti ritengono che l’Homo Erectus abbia avuto origine in Africa orientale e quanti sostengono un’origine asiatica. Homo Erectus sarebbe stato in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa, vale a dire almeno 300.000 anni prima di quanto si pensasse. Ad affermarlo è uno studio pubblicato su “Nature”, da un gruppo di paleoantropologi della Rutgers University e del Columbia University Lamont-Doherty Earth Observatory.Homo Erectus apparve circa 2 milioni di anni fa, andando a occupare vaste aree dell’Asia e dell’Africa. E proprio in Africa orientale si è ritenuto a lungo che si fosse evoluto, ma la scoperta nel 1990 di fossili altrettanto antichi in Georgia ha aperto la possibilità che esso abbia avuto origine in Asia. I nuovi reperti complicano ulteriormente la situazione in quanto gli strumenti trovati accanto ai fossili georgiani del sito di Dmanisi sono piccoli strumenti da taglio e raschiatori che mostrano caratteristiche piuttosto semplici simili a quelle della cultura di Olduvai, mentre fra quelli rinvenuti nella regione occidentale del Turkana, in Kenya, vi sono asce, picconi e altri strumenti innovativi che gli antropologi chiamano di tipo “acheuleano”, che permettevano di macellare e smembrare un animale per mangiarlo. Le abilità coinvolte nella produzione di uno strumento di questo tipo suggerisce fra l’altro che Homo Erectus fosse in grado di un pensiero “anticipatorio”.«Gli strumenti acheuleani rappresentano un grande salto tecnologico», ha osservato Dennis Kent, uno degli autori dello studio. «Perché Homo Erectus non avrebbe dovuto portare con sé questi strumenti con sé in Asia?». Gli strumenti analizzati provengono dal sito di Kokiselei, dove erano stati raccolti insieme a parte dei sedimenti immediatamente circostanti per poterne datare l’età. Parlando di salto tecnologico, vale la pena ricordare i misteriosi miti che narrano la nascita della civiltà e della tecnologia. Quasi tutte le culture umane raccontano di una divinità che nella notte dei tempi insegnò agli umani la fabbricazione di oggetti, l’agricoltura, le arti e le leggi civili. Basti pensare al mito greco di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini, oppure al dio dei Maya Quetzalcoatl, che agli albori della storia umana consegnò la sapienza agli uomini, ed infine, al racconto biblico del peccato originale nel quale l’uomo, sedotto da un serpente, esce dall’ordine cosmico per divenire “simile a Dio”.Gli antichi e misteriosi miti della “Colpa di Origine”. Quasi tutte le culture umane hanno miti che raccontano di una “colpa di origine”, di un evento antico che avrebbe “deviato” l’uomo dal suo percorso evolutivo naturale. Il più conosciuto è sicuramente quello raccontato dalla Bibbia e secondo l’interpretazione di un autore cristiano del III secolo, Ireneo di Lione, quello di Adamo è stato un peccato d’impazienza, un voler bruciare le tappe. Benchè già creato ad “immagine e somiglianza” di Dio, l’uomo cede alle lusinghe del serpente che gli promette di farlo diventare uguale a Dio. Ma chi è questo serpente? E’ possibile che antichi esseri extraterrestri abbiano modificato il genoma umano, intervenendo indebitamente sull’evoluzione naturale dell’umanità?(“Perché l’evoluzione umana è fuori dall’armonia del cosmo?”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, 2017).«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – “Matrix”). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?
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Il “fratello” Romano Prodi, globalizzatore in grembiulino
Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo ricevuto nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.Nel “primo round” delle sue clamorose rivelazioni – silenziate dal mainstrem in modo tombale – Magaldi ha scontato una critica ricorrente: non aver documentato le sue affermazioni, spesso esplosive, al punto da ridisegnare la mappa del vero potere, mettendo in relazione personaggi come Monti, Draghi e Napolitano con il mondo internazionale delle 36 Ur-Lodges che rappresentano il supremo vertice delle grandi decisioni. In realtà, Magaldi è stato chiaro dal principio: «Ogni mia affermazione è documentabile, dispongo di 6.000 pagine di dossier. Sono pronto a esibirle, se qualcuno contesterà quanto ho scritto». Ma gli interessati, naturalmente, si sono ben guardati dal fiatare: molto meglio la congiura del silenzio. E ora, dopo “La scoperta delle Ur-Lodges”, si avvicina la pubblicazione del sequel, “Globalizzazione e massoneria”, con retroscena sulla svolta oligarchica che ha svuotato le democrazie occidentali, imponendo politiche di rigore (e oggi anche terrorismo targato Isis) affidate a docili esecutori: come lo stesso Prodi, la cui vera identità – secondo Magaldi – è sfuggita alla maggior parte degli italiani. Un uomo di potere, in grembiulino. L’elettorato di sinistra lo ricorda con nostalgia? Sbaglia: il primo a metterlo in croce, quand’era a capo della Commissione Ue, fu Paolo Barnard su “Report”, che presentò il ritratto di un cinico tecnocrate, schierato con i peggiori oligarchi.Prodi è stato l’unico a battere Berlusconi, due volte su due? Vero, ammette Magaldi, parlando a “Colors Radio”: all’inizio, «quel grande carrozzone che è stato l’Ulivo individuò in modo perfetto, in Prodi, il suo leader». E Berlusconi, «grazie ai buoni uffici della Lega di Bossi, fu defenestrato, nel ‘94». Poi l’interregno di Lamberto Dini e quindi l’arrivo di Prodi nel ‘96. Con che esito? «L’effetto del governo Prodi è stato così ottimo, traghettandoci così bene in Europa, che nel 2001 Berlusconi ha rivinto». Poi c’è stata la seconda vittoria prodiana del 2006, di stretta misura, presto naufragata tra il Pd veltroniano, Bertinotti e Mastella, fino a rimettere Berlusconi al potere nel 2008. Certo, «Berlusconi si è rovinato con le sue mani: non è stato all’altezza della situazione». Ma a pesare, nel fallimento di Prodi, «sono state le pessime azioni di governo, da parte di Prodi e di tutti coloro che l’hanno accompagnato: il centrosinistra italiano, con Prodi e gli altri, non ha saputo produrre una politica lungimirante per questo paese». In altre parole, per Magaldi, «Prodi non ha saputo interpretare il post-1992 in un senso utile a costruire benessere, non dico uguale ma almeno di poco inferiore a quello della Prima Repubblica».Al pari del centrodestra di Berlusconi, il centrosinistra «ha fatto scempio dell’interesse del popolo italiano», piegandosi all’élite eurocratica. E quindi, «che benemerenza c’è nel fatto che Prodi si sia alternato a Berlusconi, battendolo?». In pratica, «sono due facce della stessa medaglia: centrodestra e centrosinistra si sono alternati senza nessuna vera differenza nella gestione di un paese che dipendeva da linee progettate altrove: costoro hanno soltanto fatto da esecutori, secondo una commedia dell’arte per cui, magari, apparentemente, mettevano ingredienti diversi, ma la sostanza rimaneva la medesima». Linee progettate altrove: nei santuari dell’oligarchia finanziaria, industriale, militare, che – partendo dai circuiti esclusivi delle superlogge internazionali – dirama vere e proprie direttive, declinate attraverso think-tank e organismi paramassonici (Trilaterale, Bilderberg, World Bank, Fmi) per poi scendere, a cascata, fino ai governi nazionali, ai leader come D’Alema, Prodi, Renzi. A volte, poi, l’élite supermassonica “commissaria” direttamente un paese: è accaduto con il “fratello” Monti, «che rappresenta quanto di peggio può offrire la rete massonica sovranazionale in senso neo-aristocratico».«Ho più rispetto e stima per un Mario Draghi, che reputo più pericoloso», dice Magaldi. «Monti è un massone che è stato vittima della propria tracotanza, della propria retorica manipolatoria. E appena ha avuto l’occasione di passare dal “back-office” al “front-office”, ha fallito miseramente per eccesso di narcisismo, avendo creduto lui stesso alla retorica che i media italiani avevano creato attorno alla sua figura e alle meraviglie presunte del suo governo». Per Magaldi, Mario Monti è comunque «un grande sconfitto, in questo tentativo di devastazione industriale, economica e sociale dell’Italia: ci ha provato, ha fatto dei danni, ma poi è stato preso a calci nel sedere dall’elettorato». Dopo di lui, è arrivato Enrico Letta, che secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, è un “paramassone”, in realtà in quota all’Opus Dei. «Non ne sentiamo la mancanza», assicura Magaldi. «Nessun rimpianto: se c’è una cosa buona che ha fatto Renzi, a parte la legge sulle unioni civili, è stata quella di aver mandato a casa Enrico Letta e il suo soporifero governo, che peraltro riprendeva e ricalcava pienamente le politiche di Monti». Quanto alle tentazioni massoniche dell’ex premier, Magaldi si è già espresso più volte: «Renzi ha ripetutamente bussato alle porte della supermassoneria reazionaria, attraverso il Council on Foreign Relations, ma non gli è stato aperto». A differenza del “fratello” Romano Prodi, che invece – secondo Magaldi – siede da lunghi anni nel salotto buono della super-massoneria di potere.Caro, vecchio Romano Prodi? Macchè: «Non è certo quel pacioccone bonaccione, quel bravo curato e padre di famiglia che è stato presentato all’immaginario collettivo degli italiani». Nonostante il piglio bonario, il professore bolognese «è un personaggio molto tagliente, molto abile, anche molto attento al proprio “particulare”». Un soggetto a tutto tondo, da raccontare: il Prodi “segreto” sarà tra gli argomenti del secondo volume di “Massoni”, che Gioele Magaldi sta per stare alle stampe. Con una sorpresa, tra le tante: «Prodi è anche lui parte di una rete massonica sovranazionale». Presidente dell’Iri e grande privatizzatore, poi capo del governo, presidente della Commissione Europea, advisor della Goldman Sachs. E, nel frattempo, anche massone: «Tra coloro che hanno contribuito in senso pessimo, per l’Italia e per l’Europa, agli svolgimenti politico-economici nell’era della globalizzazione, cioè nel post-1992, c’è il “fratello” Romano Prodi», il cattolico democristiano che nel 1978 evocò il nome “Gradoli” – per indicare il luogo della prigione di Moro – raccontando di averlo “ricevuto” nell’ambito di una seduta spiritica. Prodi supermassone? Ebbene sì: parola di Gioele Magaldi. Che, per il secondo volume della serie, potrebbe avvalersi del contributo di una superstar della massoneria mondiale, come il controverso George Soros.
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Prendi il telefono e scappa: abituarsi al terrore quotidiano
Come abituarsi al terrore quotidiano, verso una nuova (agghiacchiante) normalità, tra un attentato e l’altro. «Al terzo attacco terroristico in tre mesi Londra ha aperto le porte», scrive Giulia Zonca sulla “Stampa”: «Esiste ancora una reazione naturale davanti alla paura. La politica strilla trascinando l’ansia dentro le elezioni e la gente scrive, ancora oggi: divano disponibile, anzi #sofaforlondon». Era già successo a Parigi nella notte delle sparatorie attorno al Bataclan, e poi allo stadio di Dortmund quando la partita è stata rinviata per un agguato al pullman della squadra e i tifosi ospitanti si sono portati a casa quelli in trasferta. «A Londra sale il livello di allarme, del dibattito, dello spavento, però Facebook è considerato ancora una zona franca: il passaparola nella comunità virtuale regge mentre saltano gli schemi della quotidianità». Nella notte degli attentati a London Bridge e al Borought market, i residenti non si sono barricati in casa: «Hanno ospitato chi era stato evacuato dalla zona rossa durante il raid della polizia, un intero albergo sparso per i marciapiedi, qualcuno solo con i boxer e le infradito».Chi aveva un sacco a pelo in cantina lo ha steso in soggiorno, continua la “Stampa”: i locali appena fuori dall’area recintata hanno accolto fuggiaschi, «turisti sloggiati senza il tempo di prendere un giubbotto», e gli sfrattati dai b&b «hanno traslocato via app nel posto più vicino». Idem i trasporti: «I tassisti hanno girato gratuitamente raccogliendo chi era in giro, e Uber si è preso gli insulti perché ha raddoppiato le corse». Poi hanno risarcito chiunque abbia viaggiato in quella zona sabato notte: «Il sistema ha reagito alla domanda e, quando ci sono più richieste che auto in circolazione, il costo della corsa si alza seguendo l’algoritmo che lo muove». Ci hanno messo un po’ a intervenire, ma il sistema «ha risposto in automatico proprio come quello della rete di affittacamere che ha cercato nuove sistemazioni con un clic», ad esempio attraverso Facebook che «ha dato non solo una faccia, ma persino un profilo a chi cercava un tetto e qualche garanzia a chi lo voleva offrire».Secondo la giornalista del quotidiano torinese, «i social berciano parecchio» e addirittura «mandano in tilt la comunicazione con il veleno che schizza incontrollato da una nazione all’altra», dove forse per “veleno” si intendono le voci, immancabili sul web ma scarsissime sui media mainstream, riguardo le puntuali “stranezze” che contrassegnano sempre il neoterrorismo che spara nel mucchio: kamikaze già noti alle forze di sicurezza, a volte legati a elementi direttamente “coltivati” dall’intelligence, eppure lasciati liberissimi di muoversi, coordinarsi, armarsi e colpire. Più efficiente dell’antiterrorismo, a quanto pare, è il sistema dei social media: «Le app occupano persino la memoria del cervello, però offrono alternative», scrive Giulia Zonca. «Una rete tutt’altro che virtuale», offerta «a chi sta in mutande, perso in una notte di angoscia, senza soldi, documenti e riparo, e che guarda caso prima di scappare disperato ha afferrato solo una cosa: il telefono». Cittadini-soccorritori, gradualmente abituati alla strage sotto casa.Come abituarsi al terrore quotidiano, verso una nuova (agghiacchiante) normalità, tra un attentato e l’altro. «Al terzo attacco terroristico in tre mesi Londra ha aperto le porte», scrive Giulia Zonca sulla “Stampa”: «Esiste ancora una reazione naturale davanti alla paura. La politica strilla trascinando l’ansia dentro le elezioni e la gente scrive, ancora oggi: divano disponibile, anzi #sofaforlondon». Era già successo a Parigi nella notte delle sparatorie attorno al Bataclan, e poi allo stadio di Dortmund quando la partita è stata rinviata per un agguato al pullman della squadra e i tifosi ospitanti si sono portati a casa quelli in trasferta. «A Londra sale il livello di allarme, del dibattito, dello spavento, però Facebook è considerato ancora una zona franca: il passaparola nella comunità virtuale regge mentre saltano gli schemi della quotidianità». Nella notte degli attentati a London Bridge e al Borought market, i residenti non si sono barricati in casa: «Hanno ospitato chi era stato evacuato dalla zona rossa durante il raid della polizia, un intero albergo sparso per i marciapiedi, qualcuno solo con i boxer e le infradito».
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Corbyn tallona la May? Urge attentato elettorale, a Londra
Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.A Torino, nel tempo accuratamente costruito dal terrorismo di regime e media, in cui, se cade per terra un mazzo di chiavi, o esplode una miccetta, o qualcuno starnuta forte, scatta il panico da attentato e conseguente fuga tumultuosa che travolge e schiaccia chi non corre abbastanza veloce, o non trova varchi, o è inciampato, per una partita virtuale su maxischermo si contano mille feriti e alcuni a portata di Caronte. In entrambi i casi, come in tutti quelli del prima e del dopo, il risultato è raggiunto. Colpendo nel mucchio. Di quelli che non c’entrano niente. Di quelli spendibili. Non una volta che si spari una bazookata contro le finestre di Goldman Sachs, o si faccia saltare la corrente alla Nato a Bruxelles, o si infili un candelotto sotto il sedile dell’ambasciatore saudita. Che sia mai. Non facciamoci del male da soli.A cui si aggiunge un’altra considerazione. Social, vanterie degli specialisti e dei ministri della “sicurezza”, gole profonde della Nsa, perfino il “Report” disinquinato di Sigfrido Ranucci (Rai 3), o le voci alternative di Gianluigi Paragone (La7), ci informano a valanga di quanto tutti siamo controllati, di come non sfuggiamo neanche al cesso o nell’alcova, di come il nostro cellulare racconti al collegato di che pasta siamo fatti e che pasta consumiamo, insomma come nulla di nessuno sfugga al Grande Occhio. Grande Occhio onnivedente e onniconoscente che resta cieco o chiuso quando gli formicolano davanti migliaia di reclute dell’Isis (chiamiamole così, per non disturbare), istruite nelle carceri o nei campi di Siria e Iraq, pendolari tra sgozzamenti a Mosul e Raqqa e deflagrazioni o piraterie stradali in Europa. «Li conoscevamo, li abbiamo anche registrati, ma poi li abbiamo persi di vista…». Volatilità, volubilità, spensieratezze, disattenzioni, dei servizi di intelligence. Son ragazzi. Sempre meglio che farsi scoprire mandanti. «Tanto poi li secchiamo tutti». Basterebbe sparare alle gambe, o tirare una siringa come alle pantere randagie, o un po’ di gas come i russi nel teatro di Mosca… Ma i morti non parlano.(Fulvio Grimaldi, estratto dal post “Corbyn tallona May? Urge attentato”, pubblicato dal blog di Grimaldi il 4 giugo 2017).Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.
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Carpeoro e il segreto dei Romita: nel ‘46 vinse la monarchia
Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pierluigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro racconta: «Il socialdemocratico Pierluigi Romita, mio grande amico, fece il ministro molte volte e gli sempre venne garantita l’elezione da tutti i partiti». Era il pegno per custodire il “segreto” della storica manipolazione a cui il padre avrebbe presiduto. Pierluigi Romita «è stato un politico inaffondabile: e non aggiungo altro». Ulteriori rivelazioni sulla storia italiana del ‘900 sono in arrivo con il libro che Carpeoro sta per pubblicare sui clamorosi retroscena della caduta di Mussolini: la deposizione del 25 luglio 1943 sarebbe stata in realtà concordata con lo stesso “duce” per propiziare un’uscita meno traumatica dell’Italia dal secondo conflitto mondiale. Ma intervennero elementi (non ancora di pubblico dominio, nella storiografia) che fecero precipitare la situazione: l’invasione dell’Italia da parte delle truppe naziste sarebbe stata provocata da un complotto tra esponenti massonici e diplomazia vaticana, che sabotarono il piano iniziale di auto-siluramento “morbido” del regime fascista, aprendo la strada alla fucilazione di Ciano e alla tragedia dell’occupazione e della guerra civile.Perché il potere del primissimo dopoguerra preferì far vincere la repubblica piuttosto che la monarchia? Intanto perché il sovrano era troppo popolare, afferma Carpeoro: «Umberto II era ritenuto pericoloso, come raccoglitore di consensi, da parte di certi ambienti sia comunisti che democristiani». E poi, soprattutto: «Diventare repubblica è stato uno dei modi per poter trattare diversamente le condizioni di guerra, per De Gasperi, sul tavolo in cui si sono puniti quelli che avevano perso: assumere un assetto democratico ha consentito all’Italia una trattativa diversa, sul tavolo dei perdenti – la Germania ha dovuto pagare con lo smembramento: ci sono stati dei prezzi da pagare». Poi era inevitabile che elementi fascisti venissero traghettati nella nuova repubblica italiana: «Mussolini aveva praticamente creato lo Stato, inteso come struttura burocratica e amministrativa nazionale. Aveva creato l’Inps, l’Inail, l’Iri, la sanità pubblica. Le alte dirigenze non potevano certo essere sostituite traumaticamente: la prima legge repubblicana infatti fu quella della continuità amministrativa, per garantire il funzionamento della macchina statale». Molti, poi cambiarono bandiera: «Montanelli, Malaparte, Giorgio Bocca, Dario Fo erano repubblichini e diventarono di colpo, misteriosamente, partigiani o personalità della sinistra». Era fatale che parte del vecchio milieu confluisse nel nuovo regime. «Non mi meraviglia né mi scandalizza», chiosa Carpeoro, «ma non credo che abbiamo sempre scelto il meglio: potevamo calibrare di più le scelte tra cosa conservare e cosa archiviare».Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pier Luigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».
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Scarpinato: Falcone ucciso da mafia e 007, su ordine di chi?
Il 23 maggio 1992 esplose l’autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commissione” di Cosa Nostra che le deliberarono. Ma restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processuali, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-’93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali. Di che tipo? Lo diceva già in un’informativa del 1993 la Dia (Direzione Investigativa Antimafia): dietro le stragi si muoveva una «aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».Traduzione: insieme a personaggi come Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e altri boss che perseguivano interessi propri di Cosa Nostra, si mossero altre forze che utilizzarono la mafia come braccio armato, come “instrumentum regni” e come causale di copertura per i loro sofisticati disegni finalizzati a destabilizzare la politica. Questa convergenza di interessi criminali la rivelò per primo Elio Ciolini, un ambiguo personaggio implicato nelle indagini per la strage di Bologna, legato al mondo dei servizi segreti, della massoneria e dell’eversione nera. Nel 1992 era in carcere a Bologna e il 4 marzo e il 18 marzo, poco prima che si scatenasse l’inferno, anticipò ai magistrati che nel marzo-luglio del ’92 sarebbe stato ucciso un importante esponente della Dc, sarebbero state compiute stragi e poi si sarebbe distolto «l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia». Tutti quegli eventi puntualmente si verificarono: il 12 marzo ’92 fu assassinato l’eurodeputato Salvo Lima, proconsole di Andreotti in Sicilia; il 23 maggio fu consumata la strage di Capaci; il 19 luglio quella di via D’Amelio; poi – sempre come Ciolini aveva anticipato – la strategia stragista si spostò al Centro-Nord con le mattanze di Milano e Firenze e gli attentati a Roma.Tutte azioni rivendicate da comunicati a nome della “Falange Armata”, sigla di un’organizzazione eversiva che serviva appunto a distogliere l’opinione pubblica dal pericolo mafioso. Ma Ciolini non fu l’unico ad avere la “sfera di cristallo” che gli consentì di rivelare con così largo anticipo l’unitarietà e il respiro strategico della lunga campagna stragista. Il 21 e il 22 maggio 1992 l’agenzia di stampa “Repubblica”, vicina ai servizi segreti, pronosticò che di lì a poco ci sarebbe stato un bel “botto esterno” per giustificare uno voto di emergenza che avrebbe sparigliato i giochi di potere in corso per la elezione del nuovo presidente della Repubblica. Anche questo evento puntualmente si verificò il 23 maggio: il “botto esterno” di Capaci azzerò le manovre per portare alla presidenza della Repubblica il senatore Giulio Andreotti e contribuì all’elezione dell’outsider Oscar Luigi Scalfaro.Molti collaboratori di giustizia ci hanno confermato in seguito che un selezionato numero di capi della Commissione regionale di Cosa Nostra, riuniti alla fine del 1991 in un casolare della campagna di Enna, avevano discusso per vari giorni quel complesso progetto politico che stava dietro alle stragi. Un progetto che fu tenuto segreto ad altri capi e ai ranghi inferiori dell’organizzazione, ai quali venne fatto credere che le stragi servivano solo a scopi interni alla mafia, cioè a costringere lo Stato a scendere a patti, garantendo in vari modi impunità e benefici penitenziari. E invece – come la Dia evidenziò già nel 1993 – dietro quella campagna si celavano menti raffinate e soggetti esterni, il cui ruolo attivo emerge anche nella fase esecutiva delle stragi. Purtroppo, dopo 25 anni di indagini, non è stato ancora possibile identificarli. Sono ancora ignoti i personaggi che, dopo la strage di Capaci, si affrettarono a ispezionare i file del computer di Falcone (riguardanti Gladio e i delitti politico-mafiosi) nel suo ufficio romano al ministero della giustizia, alla ricerca di documenti scottanti di cui evidentemente conoscevano l’esistenza. E restano senza nome anche gli uomini degli apparati di sicurezza che fornirono ai mafiosi le riservatissime informazioni logistiche indispensabili per uccidere Falcone già nel 1989 nel momento in cui si sarebbe concesso un bagno sulla scogliera del suo villino all’Addaura.Da Falcone si passa poi a Borsellino, appena 57 giorni dopo. Chi era il personaggio non appartenente alla mafia che, come ha rivelato il collaboratore Gaspare Spatuzza, reo confesso della strage di via D’Amelio, assistette alle operazioni di caricamento dell’esplosivo nell’autovettura utilizzata per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta? Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi. Altri pezzi mancanti su via D’Amelio? Francesca Castellese, moglie del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, in un colloquio intercettato il 14 dicembre ’93, poco dopo il rapimento del loro figlio Giuseppe (avvenuto il 23 novembre), scongiurò il marito di non parlare ai magistrati degli “infiltrati” nell’esecuzione della strage di via D’Amelio. Quell’intercettazione è agli atti del processo, ma quegli “infiltrati” è stato impossibile identificarli e assicurarli alla giustizia.Chi è in possesso dell’agenda rossa di Paolo Borsellino trafugata, con una straordinaria e lucida tempistica, pochi minuti dopo l’immane esplosione di via D’Amelio? Su quell’agenda è noto che Paolo aveva annotato i terribili segreti intravisti negli ultimi mesi di vita. Segreti che l’avevano sconvolto e convinto di non avere scampo, perché – come confidò alla moglie Agnese – sarebbe stata la mafia a ucciderlo, ma solo quando altri lo avessero deciso. Chi erano questi “altri”? L’elenco delle domande che sinora non hanno avuto risposta disegna i contorni di un iceberg ancora sommerso che né le inchieste parlamentari né i processi sono mai riusciti a portare alla luce, per una pluralità di fattori che si sommano e delineano un quadro inquietante. Possibile che i magistrati che indagano da 25 anni non siano riusciti a fare luce su tutto questo? E come si fa, quando vengono sottratti ai magistrati documenti decisivi per l’accertamento di retroscena occulti? Ho già accennato alle carte di Falcone e all’agenda di Borsellino, episodi che si inscrivono in una lunga tradizione di carte rubate sui misteri d’Italia: dalla sparizione delle bobine con gli interrogatori di Aldo Moro nella prigione delle Br al trafugamento dei documenti segreti del generale Carlo Alberto dalla Chiesa dopo il suo assassinio.Ma penso anche alla miniera di tracce documentali custodita nella villa di via Bernini a Palermo, dove Salvatore Riina aveva abitato negli ultimi anni della sua latitanza. Si impedì ai magistrati di perquisire l’abitazione di Riina immediatamente dopo il suo arresto il 15 gennaio 1993: ci assicurarono che il luogo era strettamente sorvegliato giorno e notte, mentre in realtà fu abbandonato poche ore dopo quella stessa assicurazione, lasciando campo libero a squadre di “solerti pulitori” che ebbero agio per diversi giorni di far sparire ogni cosa, smurando persino la cassaforte e ridipingendo le pareti per eliminare eventuali tracce di Dna. Chi è in possesso da 24 anni di quei documenti e che uso ne ha fatto? Decine di mafiosi, anche boss di prima grandezza, hanno collaborato con la giustizia. Certamente più di molti uomini delle istituzioni. Purtroppo tacciono ancora tanti boss che sanno tutto: i fratelli Graviano, Santapaola, Madonia e altri capi detenuti. E anche alcuni collaboratori danno l’impressione di sapere molto più di quel che dicono, ma di autocensurarsi. E penso anche ai silenzi prolungati e all’amnesia generalizzata di alcuni esponenti delle istituzioni, che solo con il forcipe delle indagini penali si sono decisi, a distanza di anni, a rivelare brandelli di verità.Quali erano i segreti sul coinvolgimento di apparati deviati dello Stato in stragi e omicidi eseguiti dalla mafia che Giovanni Ilardo, capomafia legato ai servizi segreti e alla destra eversiva, aveva promesso di rivelare ai magistrati pochi giorni prima di essere assassinato il 10 maggio 1996, proprio mentre si apprestava a mettere a verbale le sue dichiarazioni iniziando a collaborare? Lo stesso Ilardo era stato il primo a indicare Pietro Rampulla, anch’egli mafioso ed estremista di destra, come l’artificiere della strage di Capaci, che infatti sarebbe stato poi condannato con sentenza definitiva. Alcuni eventi recenti, ancora in corso di verifica processuale, sembrano dimostrare che purtroppo questa non è solo una tragica storia del passato. Per esempio le recenti rivelazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, capo dell’importante mandamento di Resuttana, membro di una famiglia mafiosa implicata in stragi e delitti eccellenti del passato e vecchia amica di apparati deviati delle istituzioni. Racconta Galatolo che alla fine del 2012 il capo latitante di Cosa Nostra, Messina Denaro, protagonista della stagione stragista del 1992-’93, ha ordinato l’omicidio del pm Nino Di Matteo, impegnato nelle indagini sulla trattativa fra Stato e mafia, con un’autobomba.Galatolo ha dichiarato che sia lui sia altri capi erano rimasti colpiti dal fatto che l’identità dell’artificiere messo a disposizione da Messina Denaro, doveva restare ignota a tutti, compresi i capi di Cosa Nostra. Una circostanza che, ancora una volta, contrastava palesemente con le regole mafiose e indicava la partecipazione anche in quel progetto stragista di soggetti esterni, portatori di interessi criminali convergenti con quelli della mafia. Prima che Galatolo iniziasse a collaborare rivelando l’episodio, un esposto anonimo aveva già messo al corrente la magistratura che Messina Denaro aveva ordinato una strage su richiesta di suoi “amici romani” per interessi politici che andavano oltre quelli di Cosa Nostra. Continuare a ricercare la verità è un dovere non solo istituzionale, ma anche morale. Il modo più autentico per onorare la memoria, per dare un senso al sacrificio dei tanti servitori dello Stato e alla morte di tante vittime innocenti le cui vite sono state inghiottite nei gorghi tumultuosi di quello che Giovanni Falcone definì “il gioco grande del potere” una guerra sporca giocata con tutti i mezzi nel “fuori scena” della storia.(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate a Marco Travaglio per l’intervista “Strage di Capaci, una verità a brandelli: interessi politici oscuri tramano ancora”, pubblivata dal “Fatto Quotidiano” il 23 maggio 2017. Scarpinato, già membro del pool antimafia siciliano, è oggi procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo).Il 23 maggio 1992 esplose l’autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commissione” di Cosa Nostra che le deliberarono. Ma restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processuali, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-’93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali. Di che tipo? Lo diceva già in un’informativa del 1993 la Dia (Direzione Investigativa Antimafia): dietro le stragi si muoveva una «aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».