Archivio del Tag ‘stragi’
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Perché i palestinesi devono sparire dalla faccia della terra
La sociologia delle relazioni etniche/razziali identifica 3 tipi distinti di strutture razziste, ossia le relazioni strutturali tra i gruppi dominanti e le minoranze. Una è quella che è stata chiamata delle “minoranze di intermediari”. In questa struttura, il gruppo minoritario ha una relazione di mediazione tra il dominante e i gruppi subordinati. Questa è stata storicamente l’esperienza dei commercianti cinesi d’oltremare in Asia, dei libanesi e siriani nell’Africa occidentale, degli indiani nell’est Africa, dei meticci in Sudafrica e degli ebrei in Europa. Quando le “minoranze di intermediari” perdono la loro funzione mano a mano che cambiano le strutture, possono essere assorbite dal nuovo ordine o possono diventare capri espiatori, o addirittura subire un genocidio. Gli ebrei occuparono storicamente questo ruolo di “minoranza di intermediari” nell’Europa feudale e nel capitalismo in nuce. La struttura dell’Europa feudale assegnò agli ebrei certe funzioni vitali per l’espansione della società feudale europea. Queste includevano la gestione del commercio a lunga distanza e il prestito di denaro.Queste attività furono vietate dalla Chiesa cattolica e non erano parte normale delle relazioni tra padrone-servo nel cuore del feudalesimo; nonostante ciò erano vitali per il mantenimento del sistema. Quando il capitalismo si sviluppè nei secoli XIX e XX, nuovi gruppi capitalisti assunsero le funzioni di commercio e bancarie, perciò il ruolo degli ebrei risultò superfluo per le nuove classi dominanti. Come risultato gli ebrei in Europa soffrirono intense pressioni mano a mano che il capitalismo si sviluppava e sporadicamente soffrirono il genocidio, come capro espiatorio delle difficoltà del capitalismo, la perdita del loro ruolo economico che prima era vitale, la crisi mondiale del 1930, l’ideologia e il programma nazista. Un secondo tipo di struttura razzista è quella che chiamiamo “il supersfruttamento e/o la disorganizzazione della classe operaia”. Questa è una situazione nella quale il settore razziale subordinato e oppresso dentro la classe sfruttata occupa i gradini più bassi dell’economia e della società, in particolare dentro una classe operaia razziale o etnicamente stratificata. Il concetto chiave qui è che il lavoro del gruppo subordinato (i loro corpi, la loro esistenza) è necessario per il sistema dominante, anche se il gruppo sperimenta emarginazione culturale e sociale e la privazione dei diritti politici.Questa fu l’esperienza storica schiavista degli afroamericani in Usa, così come quella degli irlandesi in Inghilterra, dei latini attualmente in Usa, degli indios Maya in Guatemala, degli africani in Sudafrica sotto l’apartheid e così successivamente. Questi gruppi sono con frequenza subordinati sociali, culturali e politici sia che questo sia di fatto o per legge. Rappresentano il settore dei supersfruttati e discriminati, lavorativamente, razzialmente e etnicamente divisi e situati nelle classi popolari. Questa fu l’esperienza dei palestinesi nell’economia politica israeliana fino a poco tempo fa e nelle circostanze uniche di Israele e della Palestina nel XX secolo. La struttura razzista finale è l’esclusione e l’appropriazione delle risorse naturali. Questa è una situazione nella quale il gruppo dominante necessita delle risorse del gruppo subordinato, ma non del loro lavoro (né dei loro corpi, né della loro esistenza fisica). Questa è la struttura razzista che più facilmente conduce a un genocidio.Fu l’esperienza dei nativi americani nell’America del nord. I gruppi dominanti necessitavano della loro terra, però non del loro lavoro o dei loro corpi, dato che gli schiavi africani e gli europei già offrivano la mano d’opera necessaria per il nuovo sistema, e pertanto furono vittime del genocidio. E’ stata l’esperienza dei gruppi indigeni dell’Amazzonia. Lì furono scoperte, nella loro terra, nuove e enormi risorse minerarie e energetiche. E nondimeno e letteralmente, anche se non sono necessari, questi indigeni interpongono i loro corpi nel cammino del capitale verso le risorse. Per questo attualmente ci sono pressioni per riattivare il genocidio. Questa è la situazione più recente che gli afroamericani affrontano negli Usa. Molti afroamericani passarono dallo stare nel settore dei supersfruttati della classe operaia all’emarginazione quando i datori di lavoro cambiarono la mano d’opera sfruttata afroamericana per quella degli immigranti latini che diventarono i supersfruttati. Come gli afrostatunitensi, in quantità significativa, diventarono strutturalmente emarginati; sono oggetto di una crescente privazione dei loro diritti, di criminalizzazione, della falsa “guerra contro le droghe”, della incarcerazione di massa e del terrore della polizia e dello Stato. Sono visti dal sistema come necessari per controllare una popolazione non necessaria e ribelle.Allora, come i nativi americani prima di loro (e a differenza dei sudafricani neri) i corpi palestinesi non sono più necessari e semplicemente stanno intralciando lo Stato sionista, i gruppi dirigenti, i coloni e gli aspiranti coloni che necessitano delle risorse palestinesi, specificamente la terra, però non dei palestinesi. In verità, anche se i lavoratori palestinesi vengono eliminati dall’economia israeliana, migliaia di palestinesi di Cisgiordania ancora lavorano in Israele. Gli immigrati ebrei russi e altri che sostituirono la mano d’opera palestinese in Israele nella decade dei ‘90 continuarono negli anni seguenti confidando nel proprio privilegio razziale per entrare nella classe media israeliana, dato che non vogliono occupare posti di lavoro relazionati con gli arabi. Così successe che gli africani, gli asiatici e altri immigranti del Sud globalizzato continuarono ad arrivare in Israele. Questo cambio di direzione volta a farli divenire “l’umanità in eccesso” sembra essere più avanzato per gli abitanti di Gaza, che rimangono bloccati e relegati nel campo di concentramento nel quale Gaza si è convertita. I palestinesi di Gaza appaiono come il primo gruppo che affronta il tormento del genocidio.I sionisti e i difensori di Israele considerano come una grande offesa qualsiasi analogia tra i nazisti e le azioni dello stato di Israele, inclusa l’accusa di genocidio, in parte a causa del fatto che l’olocausto ebreo è utilizzato dallo Stato di Israele e del progetto politico sionista come meccanismo di legittimazione; perciò parlare di queste analogie significa rivelare il discorso di legittimazione israeliano. E’ cruciale indicare ciò, perché questo discorso è arrivato poco a poco a legittimare le politiche o le proposte israeliane in corso, che dimostrano una similitudine ogni volta più allarmante con altri esempi storici di genocidio. Il notevole storico israeliano Benny Morris, professore dell’università Ben Gurion del Negev, che si identifica strettamente con Israele, concesse una lunga intervista al periodico “Haaretz” nel 2004, dove si riferiva al genocidio dei nativi americani al riguardo di ciò che sono oggi gli Stati Uniti d’America con il fine di suggerire che il genocidio può essere accettabile. Disse nell’intervista: «Anche la grande democrazia statunitense non poté essere creata senza l’annichilazione degli indios. Ci sono casi nei quali il bene finale globale giustifica atti aggressivi e crudeli che si commettono nel corso della storia».Successivamente, fece un richiamo alla pulizia etnica dei palestinesi, dicendo: «Bisogna costruire per loro qualcosa di simile a una gabbia. So che suona terribile. E’ realmente crudele. Però non c’è altra opzione. C’è un animale selvaggio che bisogna rinchiudere in un modo o nell’altro». Le opinioni di Morris non rappresentano il consenso dentro Israele, molto meno nell’ambito internazionale e ci sono varie divisioni, punti di tensione e contraddizioni tra i gruppi di potere israeliani e transnazionali. C’è anche un crescente movimento mondiale di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (Bds) che fa pressione sui gruppi dominanti per arrivare a un accordo che difenda i loro propri interessi economici. Questo è un momento imprevedibile. Ci siano o no pressioni strutturali in favore del genocidio, in realtà la materializzazione del progetto di genocidio dipenderà dalla congiuntura storica della crisi, dalle condizioni politiche e ideologiche che fanno del genocidio una possibilità e un agente dello Stato con i mezzi e la volontà per attuarlo. Visibilmente a Gaza è già cominciato un genocidio al rallentatore, dove ci sono stati assedi israeliani per mesi ogni pochi anni che mietono migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, centinaia di migliaia di profughi e tutta la popolazione privata delle condizioni basilari di vita, con l’eclatante appoggio pubblico israeliano che appoggia queste campagne. Queste condizioni generali necessarie a un progetto di genocidio sono lontane dal materializzarsi, però certamente in questo momento si stanno infiltrando. Tocca alla comunità internazionale lottare a fianco dei palestinesi e degli israeliani decenti per evitare tale risultato.(William Robinson, “La sociologia del razzismo e del genocidio, da Ferguson ai Territori Occupati”, estratto dall’articolo “L’economia politica dell’apartheid israeliano e lo spettro del genocidio”, pubblicato da “Truth-Out” il 19 agosto 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”. Robinson è professore di sociologia, studi globali e latinoamericani nell’università di California a Santa Barbara. Il suo libro più recente è “Il capitalismo globale e la crisi dell’umanità”).La sociologia delle relazioni etniche/razziali identifica 3 tipi distinti di strutture razziste, ossia le relazioni strutturali tra i gruppi dominanti e le minoranze. Una è quella che è stata chiamata delle “minoranze di intermediari”. In questa struttura, il gruppo minoritario ha una relazione di mediazione tra il dominante e i gruppi subordinati. Questa è stata storicamente l’esperienza dei commercianti cinesi d’oltremare in Asia, dei libanesi e siriani nell’Africa occidentale, degli indiani nell’est Africa, dei meticci in Sudafrica e degli ebrei in Europa. Quando le “minoranze di intermediari” perdono la loro funzione mano a mano che cambiano le strutture, possono essere assorbite dal nuovo ordine o possono diventare capri espiatori, o addirittura subire un genocidio. Gli ebrei occuparono storicamente questo ruolo di “minoranza di intermediari” nell’Europa feudale e nel capitalismo in nuce. La struttura dell’Europa feudale assegnò agli ebrei certe funzioni vitali per l’espansione della società feudale europea. Queste includevano la gestione del commercio a lunga distanza e il prestito di denaro.
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Cancellare le conquiste del popolo: da Pinochet a Renzi
Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.La strage fascista di piazza della Loggia a Brescia aveva ricevuto una risposta popolare enorme che aveva messo in crisi i disegni autoritari di settori degli apparati dello Stato e della eversione nera. Nelle scuole entravano i metalmeccanici che avevano da poco conquistato il diritto a studiare con permessi di 150 ore. Tutta la società italiana, nonostante tensioni e contraddizioni, era in crescita attorno alla crescita dei diritti del lavoro. Chi allora avrebbe potuto aver già in mente che, appena quattro anni dopo il varo della legge 300, si sarebbe dovuto cancellare l’articolo 18? Mi domando davvero come Renzi abbia potuto parlare di quaranta anni di ritardo nelle riforme, e siccome son convinto che non si sia sbagliato, posso arrivare ad una sola conclusione. Che egli faccia proprio lo spirito di vandea capitalista che proprio in quegli anni cominciava a definirsi nelle élites economico finanziarie mondiali.Nel 1973 il sanguinoso colpo di Stato di Pinochet contro Allende in Cile serviva per la prima volta a sperimentare con la forza di una feroce dittatura le politiche liberiste dei “Chicago boys” di Milton Friedman. Che poi sarebbero dilagate nel mondo. Sempre nel 1973 una organizzazione multinazionale di banchieri e industriali, politici e ricconi guidata dalle élites statunitensi, la Trilaterale, aveva prodotto un manifesto programmatico nel quale si affermava la necessità che il mondo retrocedesse dall’eccesso di domanda di democrazia e garanzie sociali che si era diffuso. Quindi è vero che sotto la superficie del progresso generale si annidavano e preparavano le forze che avrebbero avviato quella controriforma liberista che dura da più di trenta anni.Certo a nessuno nell’Italia del 1974, se non a Licio Gelli, sarebbe venuto in mente di chiedere la cancellazione della reintegra per i licenziamenti ingiusti, e di tornare così alla legge del 1966 che, come l’attuale Jobact, prevedeva solo il risarcimento monetario. Ma nell’Italia di oggi questo invece può essere affermato e presentato come innovazione. Ci sono voluti decenni, ma alla fine lo spirito di rivincita sociale che già elaborava il suo rancore in quegli anni, ha trovato un fiero interprete in Matteo Renzi. Che, parafrasando il linguaggio di un altro capo di governo non proprio democratico, ha potuto alla fine affermare: «Con lo Statuto dei Lavoratori abbiamo pazientato quarant’anni, ora basta».(Giorgio Cramaschi, La Vandea capitalista di Renzi, da Contropiano del 10 ottobre 2014).Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.
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Putin agli Usa: agite da nemici, sappiate che resisteremo
A Sochi, nell’ottobre 2014, Putin ha “resettato” drasticamente il rapporto tra la sua Russia e Washington. Un discorso ben meditato, che sarebbe grave errore, per tutti, sottovalutare. Molto più forte, a tratti drammatico nella sua chiarezza, di quello da lui pronunciato a Monaco, nel 2007. Nei 14 anni del suo potere il presidente russo non si era mai spinto fino a questo punto. E si capisce il perché solo seguendo il suo ragionamento. Vediamo di quale reset si tratta. Fino all’altro ieri Putin era rimasto “dentro” lo schema del post guerra fredda. C’era rimasto sia perché non aveva scelte diverse da fare, sia perché – con ogni probabilità – a quello schema credeva e lo riteneva utile e realistico. La crisi era già visibile. La Russia ci stava dentro scomoda. Ma rimaneva l’intenzione di superarla, con il tempo, costruendo una nuova architettura della sicurezza mondiale assieme agli Stati Uniti. Per anni, dopo il crollo del Muro, la Russia ha dovuto sopportare molti “sgarbi”. È un eufemismo. In molti casi la parola giusta sarebbe schiaffi.La Russia è stata emarginata da numerosi momenti decisionali di rilievo internazionale, messa in secondo piano, scartata senza troppi complimenti. Era (anche) un modo per farle capire che non contava e che non si voleva che contasse. Espulsa dalla gestione dei conflitti africani, ignorata nel dibattito finanziario, messa in fila per il Wto. E duramente offesa nell’intera vicenda jugoslava, fino al bombardamento di Belgrado e all’indipendenza del Kosovo. Ammessa in sala riunioni solo là dove era indispensabile che ci fosse, nel negoziato con l’Iran e nella crisi siriana. Peggio ancora: con gli ultimi presidenti americani, da Clinton, via George Bush Junior, fino a tutto Obama compreso, gli Stati Uniti hanno manovrato su scala planetaria ignorando platealmente ogni riconoscimento delle zone d’influenza russa, passeggiandovi dentro senza alcun riguardo diplomatico. Tutta l’Asia centrale ex sovietica è stata praticamente occupata dalle loro iniziative: dall’Azerbaigian fino alla Kirghisia. Non dovunque con gli stessi successi. Ma quello che conta, è il significato: Washington semplicemente mandava a dire a Mosca che non avrebbe tenuto in alcun conto il peso della Russia in quelle aree.Per non parlare della Nato, la cui espansione a est – dopo la fine del patto di Varsavia – ha proceduto senza soste, alla pari con l’allargamento dell’Unione Europea su tutta l’Europa orientale, fin dentro alcuni territori che erano stati parte dell’Unione Sovietica, come le tre repubbliche baltiche. Il tutto violando gli accordi, verbali e scritti, che impegnavano la Nato a non portare basi e armamenti nelle nuove repubbliche che via via aderivano all’Unione Europea. Espansione accompagnata da dichiarazioni sempre più incongruenti con i fatti, secondo cui l’estensione della Nato non sarebbe stata indirizzata all’accerchiamento progressivo della Russia. Infine le operazioni degli ultimissimi anni, con l’inserimento della Georgia di Saakashvili nei meccanismi Nato e la promessa di un futuro ingresso a vele spiegate nella Nato della quarta repubblica ex sovietica; e con le analoghe pressioni e promesse nei confronti della Moldavia. Da ricordare la “guerra georgiana”, conclusasi con la secca sconfitta di Tbilisi dopo il massacro di Tzkhinvali e l’intervento delle forze armate russe per ricacciare indietro i georgiani dal territorio dell’Ossetia del Sud.Il riconoscimento russo delle due repubbliche di Abkhazia e Ossetia del Sud (che Putin non aveva concesso fino all’agosto 2008) fu il primo segnale che il Cremlino aveva deciso – sebbene non di propria iniziativa ma pressato dall’iniziativa avversaria – di alzare il segnale di stop verso Washington. Tutto questo è stato superato, d’un colpo, dall’avventura spericolata del colpo di stato a Kiev, dal rovesciamento violento di Yanukovic e dal varo di una nuova Ucraina dichiaratamente ostile e bellicosa nei confronti di Mosca. Il tutto non solo con il consenso ma con il finanziamento, la direzione, il controllo americano delle operazioni sul territorio, e politiche e, infine, militari. Non si comprende la sintesi putiniana di Sochi se non tenendo conto della sommatoria di questi eventi. La conclusione è esplicita: la leadership americana non prevede alcun multipolarismo, né alcun rispetto delle regole di un qualsivoglia partenariato tra eguali. Non ci sono più regole condivise. Esiste uno stato di caos, senza alcuna direzione. Putin prende atto – senza dirlo esplicitamente, ma facendo capire che ha ben compreso – che il bersaglio è lui in persona. Che le sanzioni non sono cominciate colpendo la Russia, ma colpendo il suo stesso entourage. Che negli atteggiamenti e nelle dichiarazioni dei leader occidentali è riconoscibile l’idea che Putin non rappresenta la Russia e che, dunque, una volta eliminato lui, la Russia sarà ricondotta all’ovile. In altri termini: l’Occidente non intende negoziare con la Russia fino a che Putin sarà alla sua testa.La risposta di Sochi è ora nettissima, un vero e proprio punto di non ritorno. Poggiato su alcuni pilastri. Il primo è l’idea che l’unità dell’Occidente è precaria. L’Europa non è compatta dietro l’America. Resta un partner, anche se si trova sotto costrizione. Lo dicono i numeri delle relazioni economiche e commerciali, oltre che la storia del dopoguerra. Questo è il primo pilastro. Potrebbe essere una scommessa che non si verificherà. Ma è un modo per tenere aperto un campo di manovra. Putin mostra di sapere perfettamente che la Russia che si trova tra le mani è incastonata in mille modi nel sistema occidentale. Anche nei suoi quattordici anni di potere, non solo in quelli elstsiniani, la Russia si è legata mani e piedi ai destini dell’Occidente. Dunque è vulnerabile e dovrà pagare prezzi salati, forse salatissimi. Qui Putin è con le spalle al muro, e dovrà dimostrare ai suoi cittadini che riesce a svincolarsene. Lo spazio potrà forse aprirsi come effetto della crisi politica di questa Europa.Lo sfaldamento della tenuta dei partiti politici tradizionali, quasi dovunque, mostra che ci possono essere altri interlocutori, oltre ai conservatori tradizionali, ormai avvinghiati alle sinistre socialdemocratiche, tutte emigrate oltre Oceano. L’Europa popolare va a destra, si muove in senso antieuropeo, antiamericano e antiglobalista, e converge sull’altro pilastro su cui Putin si appoggia: quello del patriottismo, del conservatorismo etico, dei valori tradizionali della famiglia, dell’educazione, del rispetto della memoria. La “famiglia europea” potrebbe cambiare di segno nei prossimi anni. E c’è un altro pilastro, ormai evidente: l’Oriente, la Cina, l’Iran, il resto del mondo. Verso quella direzione – andassero male i tentativi verso l’Occidente – guarderà l’aquila bifronte. Le sanzioni – dice Putin – non fermeranno questa Russia, che nelle parole di Putin appare vicina, risvegliata, compatta come non lo era da molti decenni.È una specie di preludio a un governo di salvezza nazionale, in cui entreranno forse i comunisti di Ziuganov, i liberal-democratici di Zhirinovskij, i nazionalisti di destra e di sinistra, saltando a piè pari le distinzioni europee-occidentali che in Russia hanno sempre contato poco. L’America di Obama, l’America che Mosca vede come in preda a una crisi senza ritorno (perché dopo Obama potrebbe venire il peggio, con una Hillary Clinton che vince le elezioni con il programma dei repubblicani più forsennati), non è più un partner. L’orso russo – proprio questo ha detto Putin – non intende uscire dal suo habitat. Non ha ambizioni espansive. Ma non è disposto a farsi sloggiare. Putin a questa conclusione è giunto. Questo è il suo piano di resistenza. Si tratta ora di vedere se è in condizione di reggerlo. E con un’America che gioca alla “o la va o la spacca”, sarà una partita dura. È dura quando entrambi i contendenti hanno le spalle al muro.(Giulietto Chiesa, “Il reset di Putin”, da “Megachip” del 26 ottobre 2014).A Sochi, nell’ottobre 2014, Putin ha “resettato” drasticamente il rapporto tra la sua Russia e Washington. Un discorso ben meditato, che sarebbe grave errore, per tutti, sottovalutare. Molto più forte, a tratti drammatico nella sua chiarezza, di quello da lui pronunciato a Monaco, nel 2007. Nei 14 anni del suo potere il presidente russo non si era mai spinto fino a questo punto. E si capisce il perché solo seguendo il suo ragionamento. Vediamo di quale reset si tratta. Fino all’altro ieri Putin era rimasto “dentro” lo schema del post guerra fredda. C’era rimasto sia perché non aveva scelte diverse da fare, sia perché – con ogni probabilità – a quello schema credeva e lo riteneva utile e realistico. La crisi era già visibile. La Russia ci stava dentro scomoda. Ma rimaneva l’intenzione di superarla, con il tempo, costruendo una nuova architettura della sicurezza mondiale assieme agli Stati Uniti. Per anni, dopo il crollo del Muro, la Russia ha dovuto sopportare molti “sgarbi”. È un eufemismo. In molti casi la parola giusta sarebbe schiaffi.
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Oggi teorie cospirative, domani verità: lo dice la storia
Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.«L’idea che i governi e le agenzie di intelligence svolgano atti di terrorismo sotto falsa bandiera è stata a lungo derisa dai media del sistema come una teoria della cospirazione, nonostante ci sia una pletora di casi storicamente documentati». Paul Joseph Watson e Alex Jones ne citano almeno dieci, famosi o famosissimi. Come l’Operarazione Ajax, che nel 1953 rovesciò il governo di Mohammed Mossadeq in Iran. La Cia ha ammesso il proprio ruolo nel golpe solo dopo mezzo secolo, nel 2013. Bilancio dell’attività terroristica: almeno 300 civili uccisi. Altra clamorosa “false flag”, lo scontro navale dell’estate del 1964 nel Golfo del Tonchino, che fornì il pretesto per la guerra del Vietnam. Peccato che nessuno sparò mai un solo colpo di cannone contro la flotta statunitense. Eppure, il 4 agosto 1964, il presidente Lyndon Johnson andò in televisione e disse al paese che il Vietnam del Nord aveva attaccato delle navi americane: «I ripetuti atti di violenza contro le forze armate degli Stati Uniti devono ricevere una risposta», dichiarò.Il Congresso approvò subito la Risoluzione del Golfo del Tonchino, che fornì a Johnson l’autorità per condurre operazioni militari contro il Vietnam del Nord. Nel 1969, oltre 500.000 soldati stavano già combattendo nel sud-est asiatico. «Johnson e il suo segretario alla difesa, Robert McNamara, avevano ingannato il Congresso e il popolo americano», scrivono Watson e Jones in un post su “Infowars”, tradotto da “Come Don Chisciotte”. «In realtà, il Vietnam del Nord non aveva attaccato la Uss Maddox, come il Pentagono aveva sostenuto, e la “prova inequivocabile” di un “non provocato” secondo attacco contro la nave da guerra degli Stati Uniti era uno stratagemma». Interamente all’insegna della “false flag” fu l’Operazione Gladio, cioè «il terrore sponsorizzato dallo Stato e imputato alla sinistra». In piena guerra fredda, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Cia e la britannica Mi6 collaborarono assieme alla Nato nell’Operazione Gladio per creare un esercito clandestino, o “stay behind”, al fine di combattere il comunismo nel caso di una invasione sovietica dell’Europa occidentale. Ben presto, però, la rete difensiva anti-Urss si trasformò in un esercito terrorista incaricato di intimidire l’opinione pubblica dell’Europa occidentale.«Gladio – precisano Watson e Jones – trascese rapidamente la sua missione originaria e divenne una rete terroristica segreta composta da milizie di destra, elementi della criminalità organizzata, agenti provocatori e unità militari segrete». Le forze armate “stay behind” erano attive in Francia, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Germania, e Svizzera. La “strategia della tensione”, quella che straziò l’Italia per due decenni, «venne progettata per far figurare i gruppi politici di sinistra europei come terroristici e per spaventare la popolazione, inducendola così a votare per governi autoritari». Dalla bomba di piazza Fontana a quella dell’Italicus, dai misteri del sequestro Moro (eseguito dalle Brigate Rosse ma “assistito” da una rete invisibile di protezione, anche all’insaputa degli stessi brigatisti), fino alla strage della stazione di Bologna: un retroterra torbido, popolato da servizi segreti molto opachi, infiltrati da organismi come la P2 di Licio Gelli, potente loggia massonica “deviata”, in collaborazione con gruppi neofascisti (Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale), impiegati come manovalanza per le stragi. In ultima analisi, rilevano Watson e Jones, l’Operazione Gladio «ha causato la morte di centinaia di persone in tutta Europa». Secondo Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista di Gladio all’ergastolo per l’assassinio di un poliziotto, la ragione di “stay behind” era semplice: l’organizzazione era stata progettata «per costringere la gente, i cittadini italiani, a pretendere dallo Stato maggiore sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e gli attentati che restano impuniti, perché lo Stato non può condannare se stesso o dichiararsi responsabile di quanto è accaduto».Alla guerra segreta contro il regime comunista di Fidel Castro a Cuba appartiene invece l’Operazione Northwood: nell’ambito dell’Operazione Mangusta della Cia, «lo stato maggiore Usa propose all’unanimità di realizzare azioni terroristiche sponsorizzate dallo Stato all’interno degli Stati Uniti». Il piano, aggiungono Watson e Jones, «prevedeva l’abbattimento di aerei americani dirottati, l’affondamento di navi americane e l’uccisione di cittadini americani, a colpi di arma da fuoco, per le strade di Washington». Lo scandaloso piano «includeva anche lo scenario di un disastro alla Nasa, che prevedeva la morte dell’astronauta John Glenn». Il presidente John Fitzgerald Kennedy, ancora vacillante dopo l’imbarazzante fallimento della Cia per l’invasione di Cuba alla Baia dei Porci, «respinse il piano nel marzo del 1962». E pochi mesi dopo, lo stesso Kennedy «negò all’autore del piano, il generale Lyman Lemnitzer, un secondo mandato come militare di rango più alto della nazione». Poco dopo, nel novembre del 1963, Kennedy fu assassinato a Dallas, in Texas.Si chiama invece “Fast and Furious” l’operazione in cui «il governo Obama ha fornito armi ai signori messicani della droga con l’apparente scopo di seguirne le tracce al fine di distruggere le gang». Secondo Watson e Jones, «era in realtà parte di un piano cospirativo per demonizzare il secondo emendamento», cioè il diritto del cittadino americano di portare armi. I documenti ottenuti da “Cbs News” nel dicembre 2011 dimostrano che gli agenti speciali dell’Atf avevano discusso su come avrebbero potuto collegare le armi coinvolte nelle violenze in Messico ai negozianti di armi degli Stati Uniti, al fine di far approvare normative più restrittive sul controllo delle armi. Una fonte della polizia ha detto a “Cbs News” che le email indicano che l’Atf ha “montato” il caso, come parte di una manovra politica: «È come se l’Atf avesse creato o incrementato il problema, in modo da poter essere proprio lei a fornire la soluzione». Quanto alla droga, i narcos non sono solo messicani o colombiani: la stessa Cia «è stata implicata in operazioni di traffico di droga in tutto il mondo, anche a livello nazionale, in particolare durante l’affare Iran-Contras».«Con la benedizione della Cia», i miliziani che dall’Honduras contrastavano i guerriglieri di dinistra del Salvador e del Nicaragua «contrabbandarono negli Stati Uniti cocaina che venne poi distribuita come droga di prima qualità a Los Angeles, e i cui profitti furono poi versati ai Contras». Michael Ruppert, allora agente della polizia di Los Angeles, ha anche testimoniato di aveva assistito al traffico di droga della Cia. «I boss della droga messicani, come Jesus Vicente Zambada Niebla, hanno perfino dichiarato pubblicamente di esser stati ingaggiati dal governo Usa per operazioni di traffico di droga». Per Watson e Jones, «c’è un voluminoso corpo di prove che conferma che la Cia e i giganti bancari degli Stati Uniti sono i maggiori players in un commercio mondiale di droga del valore di centinaia di miliardi di dollari l’anno», come confermano anche le informazioni pubblicate da svariati osservatori, tra cui Gary Webb, su autorevoli blog d’inchiesta come “Prison Planet”. Banchieri e droga? Sì, e anche sigarette: secondo la Bbc, le aziende americane del tabacco sono state “prese con le mani nel sacco” nell’ingegnerizzare deliberatamente le “bionde”, additivandole con prodotti chimici che ne incrementano artificialmente la dipendenza. Per Clive Bates, direttore di “Ash” (Action on Smoking and Health), la scoperta ha messo alla luce «uno scandalo in cui le aziende del tabacco deliberatamente utilizzano additivi per rendere i loro dannosi prodotti ancora peggiori».Poi c’è lo sterminato capitolo dello spionaggio, fino alla sorveglianza di massa dell’National Security Agency. «Negli anni ‘90, quando gli attivisti anti-sorveglianza e i personaggi dei media stavano mettendo in guardia sulla vasta operazione di spionaggio della Nsa, vennero trattati come teorici paranoici della cospirazione», riordano Watson e Jones. «Ben più di un decennio prima delle rivelazioni di Snowden», l’agenzia di intelligence «era impegnata a intercettare e registrare tutte le comunicazioni elettroniche di tutto il mondo nel quadro del programma “Echelon”». Sorveglianza globale: “Echelon” era in grado di intercettare «ogni chiamata internazionale via telefono, fa, e-mail o trasmissione radio del pianeta». Nel 1999, il governo australiano ha ammesso di farvi parte, assieme a Stati Uniti e Gran Bretagna. In cabina di regia, già allora, c’era la Nsa. Un dossier del Parlamento Europeo risalente al 2001 afferma: «In Europa, tutte le comunicazioni e-mail, telefono e fax sono regolarmente intercettate», dall’agenzia smascherata da Snowden.Vastissimo, infine, il capitolo delle morti in apparenza accidentali. Non è solo cinema: nell’arsenale degli 007, anche il “dardo invisibile” che provoca l’infarto cardiaco. Ne parlò il Senato degli Usa già nel 1975, durante una testimonianza sulle attività illegali della Cia: «Fu rivelato che l’agenzia aveva sviluppato un’arma a dardi che causa un attacco di cuore». Nella prima udienza televisiva, svolta nella sala Caucus del Senato, intervenne Frank Church, senatore dell’Idaho e presidente della commissione d’inchiesta sul caso Watergate. «Church mostrò una pistola a dardi velenosi della Cia, rivelando così che la commissione era venuta a conoscenza del fatto che l’agenzia aveva violato un ordine presidenziale diretto, conservando uno stock di tossine di molluschi che sarebbe stato sufficiente a uccidere migliaia di persone», come conferma ancora oggi una pagina web del sito ufficiale del Senato statunitense. Il veleno penetra nel sangue e provoca l’arresto cardiaco. Al massimo, la vittima percepisce il fastidio di una puntura di zanzara. Veleno micidiale e invisibile: tutto ciò che resta è un puntino rosso sulla pelle. «Una volta che il danno è fatto, il veleno denatura rapidamente, in modo che nell’autopsia è molto improbabile rilevare che l’infarto è stato provocato da qualcosa di diverso da cause naturali».Forse, la prima vera operazione “false flag” dell’epoca moderna fu “l’incidente di Gleiwitz”, provocato dai nazisti nel 1939 vicino alla frontiera orientale: indossate le uniformi dell’esercito polacco, unità delle SS attaccarono una stazione radio tedesca per poi dare la colpa alla Polonia. Durante il blitz, le SS trasmisero un breve messaggio di propaganda in polacco. Poi uccisero dei prigionieri di un campo di concentramento vestiti con uniformi polacche e li lasciarono sulla scena, per far apparire l’incidente come un atto di aggressione progettato da Varsavia. Il giorno successivo, quando la Germania invase il paese confinante dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale, Hitler citò l’episodio come uno dei pretesti. Nove giorni prima dell’incidente, Hitler aveva detto ai suoi generali: «Provvederò a un casus belli per la propaganda. La sua credibilità non ha importanza. Al vincitore non verrà chiesto se ha detto la verità». Anche se il termine “teoria del complotto” è diventato un dispregiativo usato contro chiunque metta in discussione la versione ufficiale degli eventi, innumerevoli esempi in tutta la storia delle cospirazioni hanno confermato i peggiori sospetti.
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Troppi testimoni uccisi, non chiamatelo Mostro di Firenze
Ho deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.L’ostinato occultamento delle prove affinché non si giunga alla verità, grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti; l’inefficienza degli apparati statali nel reprimere queste situazioni; l’impreparazione culturale quando si tratta di affrontare questioni che esulano da un nomale omicidio o rapina in banca e si toccano temi esoterici. Dal 1968 al 1985 vengono uccise otto coppie di giovani nelle campagne di Firenze. In 4 di questi duplici omicidi vengono prelevate delle parti di cadavere, seni e pube in particolare. La vera e propria caccia al Mostro comincia dopo il terzo omicidio, quando si capisce che dietro ad essi c’è la stessa mano. Dopo errori giudiziari, e vicende varie, si arriva all’incriminazione di Pietro Pacciani nel 1994. Appare chiaro che Pacciani è colpevole, o perlomeno che è gravemente coinvolto in questi omicidi. Gli indizi infatti sono gravi, precisi e concordanti: in particolare lo inchiodano il ritrovamento di un bossolo di pistola nel suo giardino, inequivocabilmente proveniente dalla pistola del Mostro (una beretta calibro 22); l’asta guidamolla della pistola del Mostro, inviata agli investigatori avvolta in un pezzo di panno identico a quello poi trovato in casa Pacciani; e soprattutto un portasapone e un blocco da disegno, di marca tedesca, che verrà riconosciuto come appartenente alla coppia tedesca uccisa dal Mostro.C’era poi un biglietto trovato in casa sua, con scritto “coppia” e un numero di targa corrispondente a quello di una coppia uccisa. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali poi fecero il resto, mostrando che Pacciani mentiva, celando agli investigatori diverse cose importanti. Eppure il processo fa acqua da tutte le parti. Tante cose, troppe, non quadrano in quel processo. Non quadra il movente, perché Pacciani – benché violento e benché in passato avesse già ucciso, per giunta con modalità che a tratti ricordano quelle di alcuni delitti – non sembra il ritratto del serial killer. Non quadrano alcuni particolari (ad esempio le perizie stabiliranno che l’uomo che ha sparato doveva essere alto almeno un metro e ottanta, mentre Pacciani è alto molto meno). Inoltre durante il processo alcuni dei suoi amici mentono palesemente per coprirlo, sembrando quasi colludere con lui. Perché mentono? In primo grado Pacciani verrà condannato. In secondo grado verrà assolto. L’impianto accusatorio, in effetti, era abbastanza fragile. Però proprio il giorno prima della sentenza di secondo grado, la Procura di Firenze riesce a trovare nuovi testimoni (quattro) che inchiodano Pacciani e soprattutto riescono a spiegare il motivo di alcune incongruenze. Due di questi testimoni sono infatti complici di Pacciani e, autoaccusandosi, svelano che in realtà quei delitti erano commessi in gruppo.Ma la Corte di appello di Firenze decide di non sentire questi testimoni, e assolve Pacciani. La sentenza verrà annullata dalla Cassazione, ma nel frattempo Pacciani muore in circostanze poco chiare. Apparentemente muore di infarto, ma Giuttari, il commissario che segue le indagini per la Procura di Firenze, sospetta un omicidio. Nel 2002 l’indagine sul Mostro si riapre, ma a Perugia. Per capire come e perché si riapre però dobbiamo fare un passo indietro. Il 13 ottobre del 1985 viene trovato nel Lago Trasimeno il corpo di un giovane medico perugino, Francesco Narducci. Il caso viene archiviato come un suicidio, anche se la moglie non crede a questa versione dei fatti. E sono in molti a non crederlo. Anzi, da subito alcuni giornali ipotizzano un coinvolgimento del Narducci nei fatti di Firenze. Nel 2002 la procura di Perugia, intercettando per caso alcune telefonate, sospetta che il medico perugino sia stato assassinato e fa riesumare il cadavere. Il cadavere riesumato ha abiti diversi rispetto a quelli indossati dal cadavere nel 1985.Altri, numerosi e gravi indizi, nonché le testimonianze della gente che quel giorno era presente al ritrovamento, portano a ritenere che il cadavere ripescato allora non fosse quello di Narducci, e che solo in un secondo tempo sia stata riposta la salma del vero Narducci al posto giusto. Indagando sul caso, il Pm di Perugia, Mignini, scopre che il giorno del ritrovamento le procedure per la tumulazione furono irregolari; che quel giorno sul molo convogliarono diverse autorità, tutte iscritte alla massoneria, come del resto era iscritto alla massoneria il padre del medico morto e il medico stesso. E si scopre che il Narducci era probabilmente coinvolto negli omicidi del Mostro di Firenze. Anzi, forse era proprio lui che, in alcune occasioni, asportò le parti di cadavere. Le indagini portano ad ipotizzare una pluralità di mandanti coinvolti negli omicidi del mostro, che commissionavano questi omicidi per poi utilizzare le parti di cadavere per alcuni riti satanici. In particolare, il Lotti confessa che questi omicidi venivano pagati da un medico. E con un accertamento sulle finanza di Pacciani verranno trovati capitali per centinaia di milioni, di provenienza assolutamente inspiegabile.Vengono mandati 4 avvisi di garanzia a 4 persone, tra cui il farmacista di San Casciano Calamandrei, un medico e un avvocato, che sarebbero i mandanti dei delitti del Mostro di Firenze. Mentre per occultamento di cadavere, sviamento di indagini e altri reati minori (che inevitabilmente andranno in prescrizione) vengono rinviate a giudizio il padre di Ugo Narducci e i fratelli di Francesco; il questore di Perugia Francesco Trio, il colonnello dei carabinieri Di Carlo, l’ispettore Napoleoni, l’avvocato Fabio Dean e molti altri, quasi tutti iscritti alla stessa loggia massonica, la Bellucci di Perugia, e alcuni di essi, compreso il padre di Narducci, collegati addirittura alla P2. Appartengono alla P2 Narducci e il questore Trio, mentre l’avvocato Fabio Dean è il figlio dell’avvocato Dean, uno dei legali di Gelli. In questa vicenda sono presenti ancora una volta i servizi segreti e i loro depistaggi, nonché tutte le mosse tipiche che vengono attuate quando occorre depistare.In pratica l’indagine conosce una prima fase, che arriva fino al processo di appello di Pacciani, in cui essa scorre senza problematiche particolari, tranne ovviamente quella tipica di ogni indagine, e cioè l’individuazione dei colpevoli. Ma appena si apre la pista dei mandanti si scatena un vero inferno. Anzitutto lo screditamento degli inquirenti, che vengono derisi, sminuiti; vengono continuamente sottolineati gli errori fatti da costoro (come se fosse semplice condurre un’indagine del genere senza commetterne); la Procura fiorentina viene spesso presentata dai giornali come una Procura che vuole a tutti i costi incastrare degli innocenti; Giuttari viene presentato come uno che vuole farsi pubblicità; un pazzo che crede alla folle pista satanista; quando il commissario è vicino alla verità lo si isola, oppure si cerca di trasferirlo con una meritata promozione (che però metterebbe in crisi tutta l’inchiesta). Più volte giornali e televisioni annunceranno scoop fantastici tesi a demolire il lavoro di anni della Procura di Firenze, e di Perugia. Alcuni giornalisti che ipotizzano il collegamento tra massoneria, delitti del Mostro e sette sataniche vengono querelati, anche se le querele verranno poi ritirate.Vengono fatte indagini parallele e non ufficiali, di cui non vengono informati gli inquirenti. Il Pm Mignini scopre che dopo l’ultimo delitto del Mostro la polizia di Perugia aveva indagato su Narducci e sul Mostro, e ciò risulta dai prospetti di lavoro, datati 10 settembre 1985. Ma di queste indagini non viene avvisata la Procura di Firenze. Ma in compenso anche i carabinieri, per non essere da meno, fanno le loro indagini parallele di cui non informano gli inquirenti. Alcuni carabinieri confidano che anni prima avevano fatto un’irruzione nell’appartamento fiorentino del Narducci per trovare le parti di cadavere che il Narducci teneva nell’appartamento, ma che erano stati “preceduti”. Anche di questi fatti la Procura di Firenze non viene informata. Queste indagini parallele erano coordinate a Perugia dall’ispettore Napoleoni, che pare agisse addirittura all’insaputa del suo diretto superiore, Speroni (così scrive Licciardi nel suo libro). Su Narducci c’era un fascicolo da tempo, ma il fascicolo venne smarrito, e ritrovato dopo anni privo di varie parti. Così come scomparvero misteriosamente molti reperti che erano stato acquisiti durante le indagini, come la famosa pietra a forma di piramide trovata sulla scena di uno dei delitti.Non manca poi – stando alla ricostruzione di Giuttari nel suo libro – anche il procuratore capo di Firenze, Nannucci (che è sempre stato contrario all’indagine sui mandanti) che avvisa un indagato, il giornalista Mario Spezi, dell’imminente indagine; questo fatto verrà segnalato alla Procura di Genova, che però archivierà la posizione del procuratore. Infine, ci sono gli immancabili depistaggi dei servizi segreti deviati. Il Sisde aveva già dai tempi del terzo delitto preparato un dossier che ipotizzava che non fosse coinvolto un solo serial killer, ma i componenti di una setta satanica che agivano in gruppo, e ciò appariva evidente da alcuni particolari della scena del delitto. Ma questo dossier – che porta la data del 1980 – non viene mai consegnato agli inquirenti di Firenze. Il dossier era firmato da Francesco Bruno, consulente del Sisde. In totale, sono tre gli studi commissionati dal Sisde che si persero misteriosamente per strada e non arrivarono mai sulle scrivanie degli inquirenti fiorentini. Guarda caso, proprio quei dossier che ricostruivano la pista dei mandanti plurimi e delle messe nere. Ma qualche anno dopo Francesco Bruno, intervistato, sosterrà che a suo parere il serial killer è un mostro isolato, ancora in libertà.Ci sono poi le solite morti sospette tipiche di tutte le grosse vicende giudiziarie italiane. Una vera strage, in realtà. O meglio, una strage nella strage. La prima morte sospetta è quella del medico perugino trovato morto nel Lago Trasimeno. Poi la morte di Pacciani, per la quale la Procura di Firenze apre un fascicolo per omicidio. E poi la solita mattanza di testimoni. Elisabetta Ciabiani, una ragazza di venti anni che aveva lavorato nell’albergo dove Narducci e la sua loggia massonica si riunivano e che aveva rivelato al suo psicologo, Maurizio Antonello (fondatore dell’Associazione per la ricerca e l’informazione delle sette) il nome di alcuni mandanti del Mostro e aveva rivelato il coinvolgimento della Rosa Rossa nei delitti: Elisabetta verrà trovata uccisa a colpi di coltello, compresa una coltellata al pube, ma il caso venne archiviato come suicidio. Mentre lo psicologo Maurizio Antonello verrà trovato “suicidato”, impiccato al parapetto della sua casa di campagna.Renato Malatesta, marito di Antonietta Sperduto, l’amante di Pacciani, che viene trovato impiccato, ma con i piedi che toccano per terra; uno degli innumerevoli casi di suicidi in ginocchio, che non fanno certo l’onore delle nostre forze di polizia subito pronte ad archiviare il caso come suicidio nonostante l’evidenza dei fatti. Francesco Vinci e Angelo Vargiu, sospettati di essere tra i compagni di merende di Pacciani (il primo è anche amante di Milva Malatesta) trovati morti carbonizzati nell’auto. Anna Milva Mattei, anche lei bruciata in auto. Claudio Pitocchi, morto per un incidente di moto, che sbanda ed esce di strada all’improvviso, senza cause apparenti. Anche questa è una modalità che troviamo in tutte le vicende italiane in cui sono coinvolti servizi segreti e massoneria: Ustica, soprattutto, e poi nel caso Clementina Forleo. Milva Malatesta e il suo figlio Mirko, anche loro trovati carbonizzati nell’auto; una fine curiosamente simile a quella che volevano far fare al perito del Moby Prince poche settimane fa. La stessa tecnica. Così come la tecnica dei suicidi in ginocchio è identica a quella dei morti di Ustica e di tutte le altre stragi che hanno insanguinato l’Italia. Tecniche identiche, che fanno ipotizzare una firma unica: quella dei servizi segreti deviati.Rolf Reineke, che aveva visto una delle coppiette uccise poche ore prima della loro morte, che muore di infarto nel 1983. Domenico, un fruttivendolo di Prato che scompare nel nulla nell’agosto del 1994 e venne considerato un caso di lupara bianca. E poi ce ne sono tanti altri. C’è il caso di tre prostitute, una suicidatasi e due accoltellate, che avevano avuto rapporti a vario titolo con i “compagni di merende”, e chissà quanti alltri di cui si non si saprà mai nulla. Un discorso a parte va fatto per Luciano Petrini. Consulente informatico, nel 1996 avvicinò una persona (anche lei testimone al processo), Gabriella Pasquali Carlizzi, dandole alcune informazioni sul Mostro e mostrando di sapere molto su questa vicenda; ma il 9 maggio fu ucciso nel suo bagno, colpito ripetutamente con un portasciugamani a cui tolsero la guarnizione per renderlo più tagliente. Nella casa non compaiono segni di scasso o effrazione. Conclusioni: omicidio gay. Nessuno prende in considerazione altre piste. Nessuno prende in considerazione – soprattutto – l’ipotesi più evidente: Petrini aveva svolto consulenza nel caso Ustica, sul suicidio del colonnello dell’aereonautica Mario Ferraro, quel Mario Ferraro che venne trovato impiccato al portasciugamani del bagno. Ma il fatto che sia stato ucciso – guarda caso – proprio con un portasciugamani, non induce a sospettare di nulla. Omicidio gay!?!?La verità sul mostro di Firenze non si saprà mai. Non si sapranno mai i nomi dei mandanti, perlomeno non di tutti. Non mi interessa poi così tanto capire se Pacciani era il vero Mostro o fu solo incastrato. Se Narducci era il Mostro, o se erano altri. Se Pietro Toni, il procuratore che chiese l’assoluzione di Pacciani e definì «aria fritta» l’ipotesi dei mandanti sia in mala fede oppure se gli sia sfuggito un “leggerissimo” particolare: che una simile mattanza di testimoni e di occultamenti presuppone un’organizzazione dietro tutto questo. E che a fronte dei depistaggi, delle sparizioni di fascicoli, dei tentativi di insabbiamento, l’ipotesi del mandante isolato diventa fantascientifica, perché in tal caso si impone di presupporre che tutti gli investigatori che si sono occupati delle vicende del mostro siano impazziti o si siano messi d’accordo per fregare Pacciani e gli altri, e che tutti i testimoni siano morti per delle coincidenze. Atteniamoci quindi ad un dato di fatto. Quando in un’indagine importante compare il binomio massoneria-servizi segreti, questo binomio indica che sono coinvolti dei mandanti eccellenti, al di là di ogni immaginazione.Finisco questo articolo riportando le parole di un mio amico di infanzia, ufficiale dei carabinieri di un paese della Toscana. Mi ha detto: «Certo, Paolo, che dietro ai delitti del Mostro di Firenze ci sono alcune sette sataniche legate a logge deviate della massoneria. I fatti di Perugia parlano chiaro. Noi spesso sappiamo chi sono e cosa fanno certi personaggi. Ma abbiamo l’ordine di non indagare. Vedi, un tempo, se toccavi il tasto mafia-politica e indagavi su questo filone, o scrivevi un pezzo di giornale, morivi. Oggi la politica ha capito che è inutile uccidere per questo, perché i magistrati si possono trasferire, i reati vanno in prescrizione. Insomma, ci sono altri mezzi per insabbiare un’inchiesta. Ma il tasto delle sette sataniche, e dei coinvolgimenti eccellenti in queste sette, non si può toccare, altrimenti si muore. Pensa che ogni anno, in Italia, spariscono migliaia di bambini. Oltre ai dati ufficiali della polizia di Stato, ce ne sono molti altri – Rom, immigrati clandestini – che non compaiono nelle statistiche. E questi bambini finiscono nel circuito delle sette sataniche, che sono collegate spesso al circuito dei sadici e pedofili, che pagano cifre astronomiche per video ove i bambini muoiono veramente».Questo mio amico non sapeva, all’epoca, che ero coinvolto anch’io in vicende che riguardavano la massoneria deviata e raccontò queste cose con tranquillità, davanti alla mia fidanzata dell’epoca, mentre eravamo seduti in un bar. Tempo dopo, quando lo venne a sapere e gli feci delle domande, negò di avermi mai dato quelle informazioni. Ma, lo ripeto, quello che importa non sono i nomi. Non è se Tizio o Caio sia coinvolto, e in che cosa sia coinvolto. Anche perché il singolo nome talvolta può essere il frutto di un errore, di un tentativo di screditare qualcuno. E francamente a me non è questo che fa paura. Ciò che fa paura è la vastità delle connivenze; il fatto che per delitti di questa gravità ed efferatezza ci possano essere coperture eccellenti e che la macchina della giustizia sia paralizzata. Il fatto che gli organi investigativi siano impreparati quando si affrontano vicende che sfiorano l’esoterismo e i servizi segreti deviati. Eppure la vicenda del Mostro di Firenze dovrebbe interessare tutti, non solo gli amanti dei gialli, dell’horror e dell’esoterismo. Il vero mostro, in questa vicenda, non è solo chi ha ucciso, ma anche tutte le persone che hanno coperto la verità, che in virtù dei loro legami con la massoneria deviata o con pezzi deviati dello Stato hanno coperto, colluso, e taciuto. Il vero mostro è la massoneria deviata, che come una piovra si è insinuata in tutti i punti vitali dello Stato. Il Mostro di Firenze è solo uno dei suoi tentacoli.(Paolo Franceschetti, estratti da “Il Mostro di Firenze: quella piovra che si insinua nello Stato”, dal blog di Franceschetti del 16 dicembre 2007).http://paolofranceschetti.blogspot.it/2007/12/il-mostro-di-firenze-quella-piovra-che.htmlHo deciso di scrivere questo articolo dopo la vicenda del perito nella vicenda Moby Prince, sfuggito per miracolo alla morte; qualche giorno fa l’uomo, dopo essere stato narcotizzato da 4 persone incappucciate è stato poi messo in un’auto a cui hanno dato fuoco. Si è salvato per un pelo, essendosi risvegliato in tempo dal narcotico. L’incidente è identico a molti altri capitati a testimoni di processi importanti della storia d’Italia. Non tutti però sanno che gli stessi identici incidenti sono capitati a molti dei testimoni nella vicenda del Mostro di Firenze. Se n’è scritto tanto, e i dubbi sono tanti. Pacciani era davvero colpevole? C’erano veramente dei mandanti che commissionavano gli omicidi? Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.
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Ue, sogno massonico: la rivincita storica dei Templari
E’ un caso che il cittadino europeo oggi non abbia più alcun potere, visto che il suo governo è sottomesso a Bruxelles a partire dai conti pubblici? Ovviamente no, si tratta di un piano. Ben sintetizzato dal più singolare “mostro” giuridico dell’Ue, il Trattato di Lisbona, 400 pagine di leggi «scritte in una forma volutamente pesante e incomprensibile». I Parlamenti le hanno ratificate senza discuterle, senza neppure leggerle. Quel corpus giuridico, per l’avvocato Paolo Franceschetti «rappresenta una delle ultime tappe del coronamento del sogno massonico del Nuovo Ordine Mondiale», cioè la fine delle sovranità nazionali e la centralizzazione assoluta del potere, a cominciare dal rafforzamento dell’Ue e dalla «creazione di una moneta unica elettronica». Studioso di storia esoterica, Franceschetti tira in ballo la massoneria: istituzione a cui dobbiamo moltissimo, precisa, perché contrastò l’oscurantismo secolare del Vaticano. Ma, aggiunge, se non se ne conosce la vicenda storica – con le sue “deviazioni” – non si può comprendere l’origine della pulsione egemonica e oligarchica delle élite che, di fatto, oggi hanno preso il potere nell’indifferenza generale.Secondo Franceschetti, il Trattato di Lisbona è uno strumento perfetto di questo progetto di dominio, perché aumenta i poteri del Consiglio Europeo, organismo «che nessuno conosce», e dispone «la diminuzione dei poteri del Parlamento Europeo» insieme alla «ulteriore perdita di sovranità degli Stati centrali in alcune materie chiave». Che c’entrano massoneria e Rosacroce con tutto questo? Suggestioni storico-leggendarie? Niente affattato, sostiene Franceschetti, secondo cui tutto comincia molti secoli fa, addirittura coi Templari, di cui il Trattato di Lisbona sarebbe «la vendetta ideale», dopo la fine dell’ordine cavalleresco all’inizio del ‘300. Vendetta che il capo dei Templari, Jacques de Molay, giurò contro il Papa e l’imperatore. «Se Jacques de Molay fosse vivo sarebbe senz’altro soddisfatto: la sua vendetta si realizza ogni giorno di più e tra pochi anni sarà completa», scrive Franceschetti, ripercorrendo la storia dell’ordine cristiano creato da nel 1139 da Ugo De Payns.Strano ordine: i Templari erano abili guerrieri, chiamati a proteggere le rotte dei pellegrini in Terra Santa, ma erano anche monaci e vivevano seguendo la regola dell’estrema povertà, poi codificata da San Bernardo. In più, erano onestissimi: per questo, ricevevano in custodia il denaro dei ricchi, dei nobili e dei sovrani. Diventeranno così «i primi banchieri al mondo». I Templari, continua Franceschetti, crearono «il primo sistema bancario mondiale», tanto da essere considerati «gli inventori del bancomat». Chiunque, infatti, «poteva depositare beni presso i centri templari che si impegnavano a custodirli». Al momento della consegna del denaro, «i Templari rilasciavano un attestato che dichiarava l’avvenuto deposito». Così, chi avesse depositato valori a Parigi poteva poi recuperarli anche in Italia, in Germania o in un qualsiasi altro centro templare, «che gli avrebbe rilasciato una identica quantità di oro».Sui Templari si è scritto di tutto, ma «quel che è certo è che acquisirono delle conoscenze e una sapienza particolari per quell’epoca», grazie al contatto con l’Oriente che permise loro di sviluppare «un patrimonio di conoscenze tratte sia dalla cultura cattolica ufficiale europea che dalla cultura cabalistica orientale». Divennero potenti, i Templari: troppo potenti. Alla fine del 1200, erano il super-potere dell’Europa cristiana: rispettati dagli imperatori, rispondevano solo al Papa. A decretarne la fine fu il sovrano francese Filippo il Bello, a corto di soldi, deciso a impossessarsi del “tesoro” dei cavalieri. Il Papa, Clemente V, non si oppose. Anzi, «soppresse l’ordine templare, depredò i loro beni e mandò al rogo migliaia di appartenenti all’ordine». Jacques de Molay, l’ultimo dei maestri templari, venne arso vivo il 18 marzo 1314. «Maledì il Papa e l’imperatore, i quali morirono nello stesso anno in circostanze “misteriose”».Molti Templari si rifugiarono in Svizzera, dove «crearono l’attuale sistema bancario» elvetico, continua Franceschetti. Nella Confederazione, «difesero le frontiere dagli invasori e continuarono la loro attività di banchieri». Nelle epoche successive, «molti sovrani depositavano in Svizzera i loro beni, e questa è la ragione della secolare neutralità svizzera durante tutta la storia europea: nessun sovrano avrebbe distrutto una nazione ove lui stesso aveva interessi economici». Non a caso, aggiunge l’avvocato Franceschetti, molti cantoni elvetici – e la stessa bandiera svizzera – recano «le insegne templari, o degli Ospitalieri di San Giovanni», “erranti” come gli stessi Cavalieri di Malta. Di fatto, i Templari perseguitati dalla Chiesa «conservarono la loro struttura, che sopravvisse in segreto».Struttura, continua Franceschetti, dalla quale «germinò la maggior parte delle società segrete che esistono anche oggi: Templari, Rosacroce, Massoneria, “Skull and Bones”, Illuminati». I Rosacroce, «la massoneria più potente e segreta», secondo lo studioso «altro non è che un ordine templare a cui apparteneva anche Dante Alighieri, che infatti è considerato un po’ il padre dei Rosacroce attuali». Non a caso, aggiunge l’avvocato, indagatore di molti “misteri irrisolti” della nostra storia recente, gli «omicidi massonici» vengono compiuti tutt’oggi con la regola del contrappasso dantesco: «Povero Dante! Se sapesse come è stata interpretata la sua “Divina Commedia” probabilmente si suiciderebbe da solo, e forse per la prima volta avremmo un suicidio vero, in questa Italia».Per Franceschetti, in ogni caso, ricostruire i passaggi-chiave della storia esoterica europea è fondamentale per capire meglio la storia ufficiale, fino alle attuali convulsioni sempre più autoritarie dell’Ue. Per questo è bene tener d’occhio i Templari, che “risorsero” in segreto nel 1313 in Scozia, con un nuovo emblema raffigurante un uccello, il pellicano, che è «uno dei simboli dei Rosacroce». All’interno della Chiesa Templare, «approvato dal Papa», nacque poi il “Sacro Collegio dei 33 Frati Maggiori della RosaCroce”, continua Franceschetti. Ma il «silenzio secolare» dei Rosacroce è rotto solo nel 1614, quando «entrano in scena ufficialmente, pubblicano il loro primo manifesto, la “Fama Fraternitas”, e si fanno conoscere in tutta Europa».Nel 1717, continua l’avvocato, i Rosacroce e i Templari «danno vita alla massoneria moderna, quella per così dire ufficiale». Mezzo secolo dopo, nel 1776, nasce l’ordine degli Illuminati «ad opera di Adam Weishaupt», ma secondo molti storici «questi altro non sono che un particolare ramo dei Rosacroce». Tutta l’Europa di quei secoli, dice Franceschetti, «è intrisa di cultura rosacrociana e massonica: basti pensare che sono “Rosacroce” Leonardo Da Vinci, Paracelso, Nostradamus, Bacone, Galileo, Giordano Bruno, Comenio, Cartesio, Newton, Leibniz, ma anche scrittori e romanzieri come Bram Stocker, Mary Shelley e Giulio Verne». Si badi: il fenomeno «è assolutamente positivo per la società di quel tempo: solo grazie ai Rosacroce, infatti, la ricerca scientifica e alchemica poté proseguire senza la persecuzione dei Papi e degli imperatori».Sono infatti «i ricercatori massonici, rosacrociani e templari» a battersi per lo sviluppo “eretico”, cioè libero, della conoscenza. Ovviamente, con tutte le cautele del caso: «Per sfuggire alle persecuzioni papali e imperiali, i Templari e i Rosacroce dovettero operare in segreto». Sullo sfondo, due avversari storici, da abbattere: la Chiesa cattolica, nemica del progresso dell’umanità, e il suo grande alleato, l’assolutismo monarchico nemico della libertà. Secondo Franceschetti, «molti Rosacroce, primo tra tutti Dante», coltivavano propositi più che altro riformisti, ma «il Rosacrocianesimo, come movimento mondialista anticattolico, ha potuto accogliere sotto le sue ali sia movimenti e idee positivi, come il buddismo, sia i movimenti satanisti o praticanti un esoterismo “nero”, come l’attuale Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’oro, ovverossia la “Rosa Rossa”». Attraverso i secoli, la Chiesa ha dovuto quindi lottare per difendere la sopravvivenza del suo potere. «A un certo punto, resasi conto che non poteva vincere in un attacco frontale con la Chiesa, la massoneria decise per la strategia più ovvia: corrompere la Chiesa dall’interno, affiliando alla massoneria vescovi, cardinali e anche Papi».Sempre secondo Franceschetti, si può leggere anche come «il coronamento del sogno massonico» la decisione di Paolo VI di abolire la scomunica ai massoni. «E chissà che risate deve essersi fatto, il nostro Jacques de Molay, quando Paolo VI aprì le porte del Vaticano a Licio Gelli e Umberto Ortolani, i due padri della P2, nonché a Sindona». Ortolani venne addirittura nominato “Gentiluomo di Sua santità”, «onorificenza che gli permetteva di accedere alla residenza papale in qualsiasi momento, senza preavviso», mentre Gelli fu nominato commendatore “de equitem ordinis Sancti Silvestri Papae” nel 1965. Gelli e Ortolani «facevano entrambi parte dei Cavalieri di Malta, l’unico ordine cavalleresco ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa». Il colpo mortale al Vasticano? «C’è stato con lo Ior, la banca vaticana», quando «la massoneria ha fatto affluire nella casse dello Ior ad opera delle banche Rotschild e Chase Manhattan ingenti flussi di denaro», trasformandolo in «un centro di riciclaggio del denaro per la criminalità organizzata di tutto il mondo, con un vincolo di segretezza superiore addirittura a quello delle banche svizzere».Spietata nemesi: «La corruzione, la violenza e l’intolleranza che la Chiesa ha dimostrato nei secoli, hanno permesso l’infiltrazione della massoneria per minare alla base il potere ecclesiale». Ma attenzione, «nessun fenomeno esiste se non ci sono i presupposti culturali e politici perché quel fenomeno cresca», con complicità ad ogni livello. Di massoneria, si sa, era intriso il Risorgimento: «Garibaldi e Mazzini furono due Maestri del Grande Oriente d’Italia». Abbattute le monarchie, però, «l’opera era solo all’inizio: occorreva realizzare quella comunità mondiale che era nel progetto rosacrociano». Per il passo successivo, in sostanza, serviva qualcosa come l’Unione Europea. Ci si arriva più facilmente con l’adozione del bipolarismo, che sforna pochi leader “controllabili” eliminando il “rischio” della democrazia reale. «Questo risultato in Italia è stato raggiunto mediante la cosiddetta strategia della tensione», sostiene Franceschetti: «Tutte le stragi degli anni di piombo, rosse e nere, fino alla stragi del ‘92, avevano infatti la regia unica di Gladio e della P2, con l’intento di trasformare il sistema-Italia da multipartitico a bipartitico».Facile osservare come la maggior parte del piano sia stata ormai realizzata, conclude Franceschetti: il bipolarismo introdotto nella maggioranza degli Stati e il Trattato di Lisbona che riduce l’Europa a un unico super-Stato. Che ne penserà il vecchio Jacques De Molay? «Avevano abbattuto e massacrato i suoi Templari perché stavano costituendo una specie di Stato sovranazionale pericoloso per gli imperi di allora; ma oggi la massoneria, che è la vera erede del sapere e delle tradizioni templari, ha ripreso il controllo della situazione creando un’organizzazione che è al di sopra degli Stati e che, anzi, ha in pugno gli Stati e i governanti». Un potere che, «come allora, ha il suo cuore nelle banche centrali», come la Bce, che non risponde neppure al Parlamento Europeo. Stati, governi, Parlamenti? Ridotti a pura rappresentanza, perché il potere è ormai «detenuto dalle banche» e la politica è completamente asservita alla finanza. A loro volta, banche e politica «sono controllate dalla massoneria», dice Franceschetti. «I Templari, insomma, hanno ricreato se stessi nel segreto, e oggi sono più potenti che mai», anche si mantengono “invisibili” (solo in Italia, le sigle riconducibili al mondo massonico sono tantissime: Grande Oriente, Gran Loggia Regolare, Umsoi, Stella D’Oriente, Roundtable, Cavalieri di Malta).C’è una storia parallela, sostiene Franceschetti, che resta sempre nell’ombra: come la militanza massonica di personaggi come Dante, Freud, Jung, Mozart. E’ tutto molto paradossale: anche grazie alla massoneria, «siamo transitati dal vecchio ordine mondiale fondato sul Papato e sugli imperi assoluti, a quello attuale». Purtroppo, in Italia, il transito verso la modernità liberale è stata pagata a caro prezzo: «Le stragi di Stato, i testimoni dei processi morti in modo inspiegabile, i poliziotti e i magistrati uccisi perché credevano di vivere in un sistema libero». E’ come se fossero stati sistematicamente uccisi «tutti quelli che in qualche modo si avvicinavano alla verità e arrivavano al cuore del sistema». E questo, perché i due grandi antagonisti – Vaticano e massoneria – «hanno avuto un curioso destino, praticamente identico». Sono nati «da due messaggi meravigliosi, quello di Cristo da una parte e quello del libero pensiero dall’altra», ma poi sono stati entrambi manipolati da «alcuni personaggi», decisi a trasformarli in «strumenti di potere», arrivando anche a usare «il crimine e la sopraffazione», quindi «rinnegando il messaggio originale».Non resta che sperare che, «da entrambi gli schieramenti, gli uomini più “illuminati” pongano fine a questa situazione per cercare nuove vie politiche, culturali, economiche, che siano più a misura d’uomo». Nel frattempo, mentre i “negazionisti” dominano la scena, il disegno oligarchico avanza incontrastato. Di Nuovo Ordine Mondiale, ricorda Franceschetti, parlava già nel 1600 il celebre Comenio, «teologo e filosofo rosacrociano». Oggi siamo a questo: abolire la sovranità nazionale degli Stati e sottometterli all’autorità di organizzazioni internazionali. E tra le “previsioni” degli ordinovisti non manca la guerra mondiale: esito evocato apertemente nel lontano 1870, lungo le pagine del carteggio tra Mazzini e Albert Pike. In quei documenti, sintetizza Franceschetti, se ne prefigurano addirittura tre: una prima guerra mondiale, per abbattere lo zarismo e instaurare il comunismo, anche in chiave anti-cattolica. Poi una seconda guerra mondiale per consentire, tra le altre cose, la creazione dello Stato di Israele. E infine una terza, originata dallo scontro tra sionismo e mondo islamico. Tutto questo, un secolo e mezzo fa. Studiare la storia della massoneria, insiste Franceschetti, ci permette di capire meglio cosa sta succedendo oggi.E’ un caso che il cittadino europeo oggi non abbia più alcun potere, visto che il suo governo è sottomesso a Bruxelles a partire dai conti pubblici? Ovviamente no, si tratta di un piano. Ben sintetizzato dal più singolare “mostro” giuridico dell’Ue, il Trattato di Lisbona, 400 pagine di leggi «scritte in una forma volutamente pesante e incomprensibile». I Parlamenti le hanno ratificate senza discuterle, senza neppure leggerle. Quel corpus giuridico, per l’avvocato Paolo Franceschetti «rappresenta una delle ultime tappe del coronamento del sogno massonico del Nuovo Ordine Mondiale», cioè la fine delle sovranità nazionali e la centralizzazione assoluta del potere, a cominciare dal rafforzamento dell’Ue e dalla «creazione di una moneta unica elettronica». Studioso di storia esoterica, Franceschetti tira in ballo la massoneria: istituzione a cui dobbiamo moltissimo, precisa, perché contrastò l’oscurantismo secolare del Vaticano. Ma, aggiunge, se non se ne conosce la vicenda storica – con le sue “deviazioni” – non si può comprendere l’origine della pulsione egemonica e oligarchica delle élite che, di fatto, oggi hanno preso il potere nell’indifferenza generale.
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Pasolini profetizzò gli orrori di oggi: chi l’ha ucciso?
Nell’aprile di quest’anno il Vaticano, che aveva a suo tempo perseguitato Pasolini e ne aveva appoggiato una condanna per blasfemia, ha definito il suo capolavoro, “Il Vangelo secondo San Matteo”, «il miglior film mai realizzato su Gesù Cristo». Questa espressione della fede radicale di Pasolini dipinge Gesù come un rivoluzionario “Messia rosso”, secondo la dottrina francescana della santa povertà, che ha una parziale influenza sull’attuale pontefice Francesco. Ma l’attenzione ossessiva per la sua morte è meno spiegabile: nel 2010 l’ex sindaco di Roma e leader del Partito Democratico di centro-sinistra Walter Veltroni chiese che il caso venisse riaperto sulla base di un insieme di strane circostanze convergenti e politicamente rilevanti. Pasolini venne ucciso il giorno dopo il suo ritorno da Stoccolma, dove aveva incontrato Ingmar Bergman e altri dell’avanguardia cinematografica svedese, e aveva rilasciato un’esplosiva intervista al settimanale “L’Espresso”, in cui aveva esplicitato il suo argomento preferito: «Ritengo che il consumismo sia una forma di fascismo peggiore delle versioni classiche».La visione di Pasolini di un nuovo totalitarismo, in cui l’ipermaterialismo distrugge la cultura italiana, può essere considerata un’acuta previsione di ciò che è avvenuto in tutto il mondo nell’era di Internet. Ma la sua critica era stata, per molti mesi prima dell’assassinio, più specifica. Aveva accusato la televisione di esercitare un’influenza estremamente pericolosa, prevedendo con grande anticipo l’emergere e la presa del potere di un soggetto come il magnate mediatico e primo ministro Silvio Berlusconi. Ancor più nello specifico, aveva scritto una serie di articoli per il “Corriere della Sera” di denuncia della dirigenza del partito al potere, la Democrazia Cristiana, come pervasa dall’influenza della mafia, prefigurando gli scandali della cosiddetta Tangentopoli di 15 anni dopo, quando un’intera classe politica venne messa agli arresti nei primi anni ’90. Nei suoi articoli, Pasolini affermava che la dirigenza democristiana doveva essere processata non solo per corruzione, ma per associazione con il terrorismo neofascista, come le bombe sui treni e i fatti di Milano.Un ulteriore elemento agghiacciante: quelli erano i cosiddetti “anni di piombo” in Italia, culminati nella bomba alla stazione di Bologna cinque anni dopo la morte di Pasolini, per mano di neofascisti in collaborazione coi servizi segreti, che uccise 82 persone. Io ero uno studente nella turbolenta Firenze del 1973, dove ritornai da allora ogni anno, e militante in un’organizzazione radicale chiamata Lotta Continua; e ricordo bene che il giornale “Lotta Continua” riceveva contributi da Pasolini, benché il suo rapporto con i movimenti radicali nati nel 1968 fosse ambiguo. Lui si identificava con i poliziotti contro gli studenti che manifestavano, perché, diceva, loro erano “figli dei poveri” attaccati dai borghesi “figli di papà”. Sta di fatto che al momento dell’omicidio nel 1975, le persone vicine a Pasolini videro la mano del potere dietro al suo assassinio. Non sarebbe stato il primo caso: eminenti personaggi della sinistra furono spesso aggrediti o uccisi; la femminista Franca Rame, che avrebbe sposato l’artista anarchico Dario Fo, venne rapita da neofascisti appoggiati dai carabinieri.Membri della famiglia di Pasolini, il giro dei suoi amici, e gli scrittori Oriana Fallaci e Enzo Siciliano evidenziarono possibili motivi politici per l’assassinio e fornirono prove che contraddicevano la confessione di Pelosi, come un maglione verde ritrovato nella macchina che non apparteneva né a Pasolini né a Pelosi, e un’impronta insanguinata della mano di Pasolini sul tetto (c’era appena qualche macchia di sangue su Pelosi). Dei motociclisti ed un’altra macchina furono visti seguire l’Alfa Romeo. Nel gennaio 2001 uscì un articolo su “La Stampa”, che portava la teoria della cospirazione su un terreno pesante. Si trattava della morte, nel 1962, in un incidente aereo, di Enrico Mattei, presidente del gigante dell’energia Eni, su cui fu girato un famoso film da Francesco Rosi, con cui Pasolini aveva lavorato. L’autore dell’articolo, Filippo Ceccarelli – uno dei più esperti giornalisti politici italiani – citava le inchieste di un giudice, Vincenzo Calia, sugli intrighi politici interni ad Eni, che rivelarono che l’aereo era stato abbattuto. Il giudice Calia coinvolse il successore di Mattei, Eugenio Cefis, in connivenza con leaders politici. Il rapporto citava un giornalista, Mauro di Mauro, che aveva lavorato con Rosi per il film “L’affare Mattei”, che fu rapito e di cui si perse ogni traccia.Molto prima dell’indagine di Calia, pubblicata nel 2003, Pasolini aveva lavorato al volume “Petrolio”, pubblicato postumo, in cui si delineavano le figure, a malapena dissimulate, di Mattei e Cefis, e si mostrava a conoscenza di come lo scandalo Eni e l’assassinio conducessero al cuore del potere e della loggia massonica P2, di cui Cefis era membro fondatore. «Con 25 anni di anticipo», scrisse Ceccarelli, «lo scrittore Pasolini era consapevole dell’esito di una lunga indagine». Poi, nel 2005, si ruppero gli argini. Pelosi, intervistato in televisione, ritrattò la confessione, dichiarando che due fratelli e un altro uomo avevano ucciso Pasolini, chiamandolo “pervertito” e “sporco comunista”, mentre lo colpivano a morte. Disse che essi frequentavano la sede tiburtina del partito neofascista Msi. Tre anni dopo, Pelosi fece altri nomi in un saggio dal titolo “Profondo Nero”, pubblicato dall’editore radicale “Chiarelettere”, in cui rivelava connessioni con cellule fasciste ancor più estreme, legate ai servizi segreti, dicendo che non aveva osato parlare prima, a causa di minacce alla sua famiglia.Uno degli amici più stretti di Pasolini, l’aiuto regista Sergio Citti, uscì allo scoperto dicendo che le sue personali indagini avevano condotto a prove del tutto trascurate: dei pezzi di bastone insanguinati scaricati vicino al campo di calcio, e un testimone, ignorato dall’indagine ufficiale, che aveva visto cinque uomini tirare fuori Pasolini dalla macchina. Citti introdusse un nuovo argomento: il furto delle bobine dell’ultimo film di Pasolini, “Salò”, di cui aveva tentato di negoziare la restituzione. Venne fuori che la banda di ladri frequentava lo stesso bar del biliardo di Pelosi, e aveva contattato Pasolini l’ultimo giorno della sua vita per combinare un incontro. Un’altra ricerca dello scrittore Fulvio Abbate collegava gli assassini alla famosa banda criminale della Magliana, che operava nella periferia del litorale romano. Il caso è ormai chiuso, e c’è chi, nella cerchia di Pasolini come nella classe politica, preferisce così.(Ed Vulliamy, estratto da “Chi ha davvero ucciso Pier Paolo Pasolini?”, articolo pubblicato sul “Guardian” il 24 agosto 2014 e tradotto da “Come Don Chisciotte”, in occasione della presentazione a Venezia del film di Abel Ferrara, che ricostruisce la figura del grande intellettuale partendo dalla sua tragica e misteriosa fine, il 1° novembre 1975, nel corso di un’esecuzione in cui risultò dapprima coinvolto il giovane Giuseppe “Pino” Pelosi).Nell’aprile di quest’anno il Vaticano, che aveva a suo tempo perseguitato Pasolini e ne aveva appoggiato una condanna per blasfemia, ha definito il suo capolavoro, “Il Vangelo secondo San Matteo”, «il miglior film mai realizzato su Gesù Cristo». Questa espressione della fede radicale di Pasolini dipinge Gesù come un rivoluzionario “Messia rosso”, secondo la dottrina francescana della santa povertà, che ha una parziale influenza sull’attuale pontefice Francesco. Ma l’attenzione ossessiva per la sua morte è meno spiegabile: nel 2010 l’ex sindaco di Roma e leader del Partito Democratico di centro-sinistra Walter Veltroni chiese che il caso venisse riaperto sulla base di un insieme di strane circostanze convergenti e politicamente rilevanti. Pasolini venne ucciso il giorno dopo il suo ritorno da Stoccolma, dove aveva incontrato Ingmar Bergman e altri dell’avanguardia cinematografica svedese, e aveva rilasciato un’esplosiva intervista al settimanale “L’Espresso”, in cui aveva esplicitato il suo argomento preferito: «Ritengo che il consumismo sia una forma di fascismo peggiore delle versioni classiche».
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In Ucraina, la guerra europea degli idioti pericolosi
Le menti geostrategiche di Usa e Ue avevano già convincentemente manifestato il loro livello di intelligenza e lungimiranza nelle campagne di pacificazione, stabilizzazione e democratizzazione di Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto. In Siria mesi fa stavano per aiutare gli insorti jihadisti bombardando l’esercito siriano, e ora, costretti dai fatti, aiutano l’esercito siriano bombardando i jihadisti. Mentre le fabbriche licenziano e chiudono e l’economia comunitaria si contrae perfino in Germania, e mentre si avvicina un freddo inverno, le sullodate menti si lanciano in una campagna di sanzioni, dirette a parole contro la Russia, ma nei fatti contro le imprese, i lavoratori, i consumatori dell’Europa Occidentale. Penso alle ditte che, a seguito delle sanzioni, non possono più esportare verso il più grande paese del nostro continente, quindi vanno a gambe all’aria. Con le sanzioni in vigore ad oggi e con le contromisure russe, l’Italia rischia 800.000 posti di lavoro e, solo di esportazioni agroalimentari perde 200 milioni, cioè il 24%. L’Ue perderà circa 5 miliardi.Qual è il fine degli illuminati strateghi? Indurre Mosca a decurtarci i prodotti energetici per costringerci ad affidarci ai fornitori Usa, così da aumentare anche la nostra sudditanza politica verso Washington, e con un passaggio per forti rincari che si tradurranno in maggiori costi per riscaldarsi, per viaggiare, per fabbricare? Dopo che la loro geniale e felicissima guerra in Libia (voluta da Londra e Parigi, appoggiata da Washington, e a cui Berlusconi fu spinto a partecipare da Napolitano) ci ha privato di quella preziosa fonte alternativa, in cui avevamo investito molto, è logico che adesso puntino a privarci anche del fornitore russo, per metterci completamente in pugno a quello americano. Intanto – ripeto – è assodato che queste stupide sanzioni ci stanno facendo perdere punti di Pil e guadagnare punti di disoccupazione. Ma per distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi, dalla depressione economica, da chi fa gli affari sulla pelle delle nazioni, da chi si mangia i diritti della gente – per distrarre gli europei dal problema dei conflitti oggettivi e interni di interessi all’Ue, tra paesi dominanti (Germania in testa) e paesi subalterni – si costruiscono conflitti esterni e nemici esterni, meglio se con connotazioni morali e ideologiche. E’ una costante storica.Non meno balorda è la motivazione delle sanzioni medesime. Le menti strategiche dei nostri leaders, dopo aver inglobato nella Nato e armato contro la Russia diversi paesi dell’area ex-sovietica, anche nel Caucaso e nella zona altaica, fino all’Afghanistan, ora vorrebbero estendere la Nato all’Ucraina, portando i loro missili a poche centinaia di chilometri da Mosca. E’ pensabile che Mosca accetti ciò senza combattere? Che accetti un accerchiamento che le arriva sotto casa? Quanto vogliamo tirare questa corda? Non è meglio, non è più sicuro, magari, creare uno Stato-cuscinetto nel Donbass, libero da armi strategiche? Non è meglio lasciare alla Russia le sue tre provincie storiche ed etniche, piuttosto che rischiare una guerra nucleare, o anche solo un ulteriore tracollo economico?Infatti, la Russia rivuole semplicemente indietro le sue tre provincie, che da secoli sono abitate in maggioranza da russi, e che Krushev, a tavolino, aveva passato amministrativamente all’Ucraina nel 1953, in un contesto che rendeva pressoché indifferente questo passaggio. E’ chiaro che i recenti rivolgimenti in Ucraina hanno cambiato le carte in tavola, che è emersa e si sta consolidando una forma di nazionalismo ucraino il quale, verso la minoranza russa, va dal non amichevole all’ostile, e che politicamente si estende dal liberismo capitalista al fascismo. Santa Julya Tymoshenko, celebrata leader filoeuropea ed eroina della democrazia di Kiev, è stata intercettata mentre diceva di voler eliminare i separatisti russi con le armi nucleari. Dopo questo, e dopo le stragi che sono state consumate, come si può onestamente pensare a una pacifica convivenza della minoranza russa con la maggioranza ucraina entro il medesimo Stato e sotto il medesimo governo?La divisione umana che si è aperta è incolmabile e insanabile; meglio prenderne atto, e tracciare un confine che metta fine alla guerra e alle carneficine, prima che prenda corpo il fenomeno che già è iniziato, ossia dei volontari stranieri, perlopiù di estrema destra, che vanno a combattere in Ucraina contro i comunisti russi, e che, a differenza dei soldati ucraini, non si fanno scrupolo di sparare anche sui civili, identificandoli come nemico etno-ideologico. Si aggiungono i mercenari e i contractors occidentali, i mercenari delle multinazionali Usa che supportano Kiev, assieme a neonazisti svedesi. Combattenti francesi, americani, serbi, polacchi, israeliani, britannici, etc., già versano il loro sangue, perlopiù per motivi ideali, soprattutto a difesa dei russi. Hanno formato una brigata sotto il nome “United Continent”. Stanno così risvegliandosi gli odii atavici e tradizionali del Vecchio Continente, complicati, oltre che dalla stupidità dei vari fanatismi, dalla contrapposizione ideologica e dalla valenza di lotta paneuropea contro l’invadente presenza del capitalismo americano.Una deriva, questa, di cui i cauti media non ci informano, ma che è ovviamente assai pericolosa, che tende a coinvolgere altri paesi e a far evolvere un conflitto etnico locale in qualcosa di incomparabilmente peggiore e che può portare all’uso di armi nucleari in Europa, quindi a conseguenze mortifere o persino peggio che mortifere anche per noi dell’Europa occidentale. La guerra di Ucraina è già adesso una guerra europea. Assomiglia alla guerra civile spagnola. Ma a differenza di quella, tocca direttamente una superpotenza nucleare. Perciò ripeto: basta sanzioni idiote contro la Russia, tracciare un confine per separare le opposte forze armate, porre fine alla guerra, lasciare alla Russia ciò che è della Russia, e prendersi pure il resto. Ma senza piazzarci armi strategiche.(Marco Della Luna, “Ucraina, la guerra europea degli idioti pericolosi”, dal blog di Della Luna del 1° settembre 2014).Le menti geostrategiche di Usa e Ue avevano già convincentemente manifestato il loro livello di intelligenza e lungimiranza nelle campagne di pacificazione, stabilizzazione e democratizzazione di Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto. In Siria mesi fa stavano per aiutare gli insorti jihadisti bombardando l’esercito siriano, e ora, costretti dai fatti, aiutano l’esercito siriano bombardando i jihadisti. Mentre le fabbriche licenziano e chiudono e l’economia comunitaria si contrae perfino in Germania, e mentre si avvicina un freddo inverno, le sullodate menti si lanciano in una campagna di sanzioni, dirette a parole contro la Russia, ma nei fatti contro le imprese, i lavoratori, i consumatori dell’Europa Occidentale. Penso alle ditte che, a seguito delle sanzioni, non possono più esportare verso il più grande paese del nostro continente, quindi vanno a gambe all’aria. Con le sanzioni in vigore ad oggi e con le contromisure russe, l’Italia rischia 800.000 posti di lavoro e, solo di esportazioni agroalimentari perde 200 milioni, cioè il 24%. L’Ue perderà circa 5 miliardi.
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Smith: un nuovo 11 Settembre firmato Isis, cioè Cia
L’Isis è una creatura dell’Occidente al 100%: perché non aspettarsi che siano proprio gli “alleati coperti” del Califfato Islamico a firmare l’eventuale prossimo replay dell’11 Settembre? Se lo domanda Brandon Smith, in una lucida analisi nella quale mette a fuoco la storia recente e recentissima. «Il terrorismo “false flag” architettato dai governi è un fatto storico accertato: per secoli, le élite politiche e finanziarie hanno affondato navi, incendiato edifici, assassinato diplomatici, rimosso leader eletti e fatto saltare la gente per aria, per poi incolpare di questi disastri un conveniente capro espiatorio, così da generare paura nel pubblico e acquisire più potere». Gli scettici potranno discutere se una qualche specifica calamità sia stata o meno un evento terroristico “sotto falsa bandiera”, ma nessuno può negare che queste tattiche, in passato, siano state usate puntualmente, in tutto l’Occidente. «I governi hanno ammesso apertamente di creare tragedie sanguinarie e catalizzatrici con falsi pretesti, come l’Operazione Gladio, un programma false-flag in Europa, supportato dai servizi segreti europei e americani, che durò per decenni, dagli anni ’50 ai ’90».
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Cabras: siam pronti anche noi alla macelleria della guerra?
Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.«Sarà l’Ucraina, sarà il richiamo bellico dell’anno quattordici, sarà che ormai le dichiarazioni di molti politici europei già annunciano la carneficina all’orizzonte», moltiplicando ogni giorno le nuove evocazioni di una guerra mondiale, ma intanto «cresce per molti una sensazione di pericolo», scrive Pino Cabras su “Megachip”. «Evocare è facile, ma essere davvero pronti all’anticamera dell’Apocalisse è un’altra cosa». Chi è davvero pronto per la guerra? Certo non i popoli europei: «Vivono in una bolla televisiva che fa loro sperare di essere ancora a lungo i consumatori che sono stati negli ultimi decenni. La cuccagna non è stata ancora smontata, perciò il ricordo dell’ultima guerra mondiale rimane annacquato. Gli europei medi – continua Cabras – non riescono più a immaginare la guerra come catastrofe. I telegiornali e i grandi quotidiani li ammaestrano all’isteria bellica, alla propaganda più sfacciata, alla russofobia, questo sì. Ma occultano l’idea che la distruzione possa entrare nelle loro case o sommergere intere coorti dei loro figli».Il peggio è che «nessun europeo medio ha saputo cosa è accaduto in Ucraina negli ultimi sei mesi, dal golpe in poi. Tanto meno sa cosa c’era prima. Né sa che il governo di Kiev ha martoriato la popolazione civile delle regioni orientali». L’europeo medio «ignora gli interessi predatori di quei capitalisti mafiosi che vorrebbero svuotare quelle regioni dei loro abitanti russofoni», non sa che «le forze di sicurezza ucraine sono in mano ad avventurieri imbevuti di ideologie naziste». E naturalmente «non sa nulla della Russia, non sa nulla di nulla: e si ritroverà nella guerra vasta che annuncia il neopresidente polacco del Consiglio Europeo, Donald Tusk (un burattino atlantista), e peggio di lui il ministro della difesa ucraino Gheletei, senza sapere ancora nulla». Certamente a scalpitare è Tusk, il regime dell’Ue è al guinzaglio di Washington, lo stesso Cameron sembra avere il dito sul grilletto. La Nato sembra abbozzare una frenata – su richiesta della Merkel, cioè dell’export tedesco danneggiato dalle sanzioni contro Mosca – ma intanto prepara una forza di pronto intervento per l’Est. In teoria, era pronta alla guerra anche la giunta golpista di Kiev, «ma in modo totalmente irresponsabile, con una tragica incapacità di valutare gli interessi dei russi e – di questi – la determinazione (cioè una prontezza reale) a pagare e infliggere il prezzo di una guerra vera».Quel che accade ora in Ucraina, dice Cabras, misura le reali dimensioni di queste diverse “prontezze”. Da un lato i popoli occidentali «anestetizzati dai loro media», popoli «che non hanno alcuna misura dei fatti», e in più il popolo ucraino «che si sorprende di dover subire una disfatta (in Italia si direbbe una Caporetto), come nel caso delle mamme e sorelle disperate che chiedono conto delle notizie di una brigata di 4.700 uomini, di cui sono tornati con le proprie gambe in appena 83». Queste famiglie «hanno appena riscoperto il concetto di “carne da cannone”», quello della Grande Guerra. «Sono le avanguardie delle mamme che ripeteranno la scena in tante altre lingue, anche da noi, nelle capitali in bancarotta dell’Europa ai comandi di Bruxelles e Francoforte». Dall’altro lato della barricata, ecco invece i militari del Donbass: «Colpisce la sicurezza e l’agghiacciante autorevolezza – in un dosaggio di gravitas e brutale ironia – con cui questi partigiani dei nostri giorni parlano di migliaia di vittime di guerra». La “gravitas” è quella che annuncia l’avvenuta strage dei militari mandati allo sbaraglio dagli aggressori incoraggiati dalla Nato. L’ironia è quella della sfilata dei prigionieri: a marciare (disarmati e sconfitti) il 24 agosto sono stati gli ucraini di Kiev, quelli che avevano annunciato con troppa fretta la conquista di Donesk, con tanto di parata dal sapore hitleriano.«Purtroppo, cari giornalisti, l’Occidente cerca di invaderci con una frequenza di 30-50 anni», dicono i resistenti dell’Est. «Ogni 30-50 anni la civiltà occidentale cerca di imporci la sua opinione e il suo modo di vivere. La Prima Guerra Mondiale, la Grande guerra patriottica, la guerra di Crimea prima ancora, e così via nelle profondità della storia. Come risultato, l’Occidente tradizionalmente ottiene la caduta di Berlino, di Parigi. L’Occidente arriva ogni 30-50 anni per ottenere ciò che si merita. Ora, nel 2014, sono un po’ in ritardo», ma il copione sembra lo stesso. Loro, sì, sono pronti alla guerra. Lo hanno dimostrato. E lo spiegano in modo chiarissimo: «Diremo a chiunque venga a farci del male sul nostro territorio: ci batteremo con le unghie e con i denti per la nostra patria. Kiev e l’Occidente hanno fatto un grosso sbaglio a risvegliarci. Noi siamo gente laboriosa. Mentre altri saltavano a Maidan per 300 grivne, la nostra gente era giù in miniera a estrarre carbone, a fondere metallo e a seminare le colture. Nessuno di noi ha avuto il tempo di saltare, eravamo impegnati a lavorare». Poi, quando li hanno presi a cannonate, si sono ribellati.«Quando un tizio che appena ieri lavorava con un martello pneumatico o guidava una mietitrebbia, oggi si trova alla guida di un carro armato o di un Grad, o a raccogliere un mitra, la linea è stata passata e non lo potete più fermare», dicono i militari dell’Est. «Quello che ha dovuto lasciare il proprio lavoro sa che combatterà fino alla fine e fino al suo ultimo respiro». E l’Occidente è pronto è combattere “fino all’ultimo respiro”? Certo non lo è la nuova Lady Pesc, Federica Mogherini, che si abbandona a dichiarazioni desolanti, del tipo: «Se non esiste più un partenariato strategico è per scelta di Mosca». Ovvero: nessuna autocritica ai piani alti dell’Ovest. «Ecco, Mogherini non è pronta», scrive Cabras. «Fa interamente sua tutta l’eredità della Nato e della Ue in questi anni di crisi internazionali, destabilizzazioni, aggressioni ed escalation: cioè un bilancio disastroso e criminale, dall’Iraq all’Afghanistan al dossier libico, alla Siria, e ora all’Ucraina».Il bilancio occidentale di questi anni? «Un caos funesto interamente imputabile alla lunga “guerra infinita” scatenata dalle capitali dell’atlantismo», subito dopo l’opaco super-attentato dell’11 Settembre. Lo stesso Cabras ricorda che, all’indomani della guerra-lampo nell’Ossezia del Sud attaccata dall’esercito georgiano armato da Bush e poi travolto dai russi, nel 2008 il “Times” ricordava le parole di Lord Salisbury, ministro degli esteri e primo ministro ai tempi dell’Impero Britannico», un uomo che «irradiò un potere globale immenso». Di fronte a proposte pericolose, in cui Londra minacciava seriamente altri paesi, Salisbury avrebbe guardato i suoi colleghi negli occhi, chiedendo semplicemente: «Siete davvero pronti a combattere? Altrimenti, non imbarcatevi in questa politica».Già: siete davvero pronti a combattere? «E’ la domanda giusta, quella che non vi hanno ancora fatto», osserva Cabras. «Nell’Europa politicamente desertificata dall’obbedienza alla Nato si continua ad agire come se la Russia fosse ancora oggi lo Stato esausto degli anni novanta, su cui si muoveva etilicamente Boris Eltsin e sul cui collo si stringeva il capestro del Fondo Monetario Internazionale. La situazione è completamente diversa, eppure si va lo stesso allo scontro. O si va proprio per questo, nel momento in cui i Brics picconano il Dollar Standard. E gli Usa non possono accettare un mondo multipolare in cui il dollaro non sia l’architrave». Allora, siamo pronti a combattere? La risposta la anticipano – a distanza – i comandanti militari dell’Est ucraino, che a questa guerra hanno già preso le misure. «Potete dirlo in giro: non svegliate la bestia», raccomandano. «Non fatelo, davvero. Finché c’è ancora la possibilità, lasciate che le madri risparmino i propri figli».Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.
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Il segreto di Mayak, peggio di Chernobyl e Fukushima
Chernobyl e Fukushima non sono state le uniche catastrofi nucleari planetarie. Dietro gli Urali, nella regione di Chelyabinsk, una delle più inquinate di tutta la Russia, si sono infatti verificati tre gravissimi incidenti. La centrale di Mayak (che in russo significa “faro”) nacque nel 1949 per produrre plutonio per armi nucleari, e dal 1949 al 1952 riversò circa 76 milioni di metri cubi di rifiuti liquidi altamente radioattivi – principalmente cesio e stronzio – nel Techa, fiume lungo il quale vivevano circa 124.000 persone, divise in villaggi dediti all’agricoltura e all’allevamento. Nel 1957, nell’impianto di Mayak esplose un serbatoio di rifiuti radioattivi e, oltre al cesio e allo stronzio, si aggiunse il ben più pericoloso plutonio; l’esplosione formò una nube radioattiva che coprì un’area di circa 23.000 chilometri quadrati, creando l’area della “East Ural Radioactive Trace” e sprigionando almeno il doppio dei radionuclidi dell’incidente di Chernobyl.Il terzo incidente ebbe luogo nel 1967, quando il Lago Karachay, usato per lo smaltimento dei rifiuti nucleari più pericolosi, si asciugò a causa di un’estate torrida, e i venti spazzarono le sue polveri radioattive per un’area di circa 2.000 chilometri quadrati. Questi incidenti, la cui gravità si evince anche solo dai numeri, furono tenuti completamente segreti fino all’esplosione di Chernobyl. Dopo questo incidente, che più di quello di Three Mile Island (Usa) focalizzò l’attenzione dell’intero pianeta sulla pericolosità della produzione di energia da fonte nucleare, il governo sovietico non fu più in grado di nascondere i disastri precedenti. Oggi, a cercare di fare luce su queste remote stragi ambientali e sociali sono tre italiani: il documentarista Alessandro Tesei, già autore del pluripremiato film Fukushame, in cui si mostrano le falle del sistema giapponese nell’affrontare la strage di Fukushima, il fotoreporter Pierpaolo Mittica e il ricercatore e antropologo Michele Marcolin. Obiettivo dei tre? Raccontare in un documentario cosa è successo in quei luoghi dimenticati dalla storia.«La ricerca si è sviluppata tra visite nei luoghi contaminati e interviste a persone coinvolte all’epoca dai vari incidenti, per capire come hanno vissuto in quegli anni, e come ora affrontano l’aumento esponenziale di morti per tumore e di malformazioni e problemi mentali alla nascita», racconta Tesei: «Abbiamo trovato una grande confusione, e diversi modi di trattare sia il problema che le persone: alcune vivono ancora a ridosso del fiume Techa, e il governo russo gli concede una misera pensione di circa 6 euro al mese. Altre sono state evacuate in zone ugualmente contaminate. Altre ancora sono riuscite, dopo intense battaglie legali, a ottenere dei risarcimenti che gli hanno permesso di spostarsi in zone più salubri». Il farsi riconoscere lo status di vittima della contaminazione è però complesso, aggiunge il filmaker, «e ovviamente il governo russo, così come sta facendo a Fukushima quello giapponese, crea dei muri di burocrazia che confondono e spesso dissuadono le persone dal far valere i propri diritti».I documentaristi italiani sono stati guidati in questo viaggio da Nadezhda Kutepova, storica attivista e avvocatessa che aiuta le persone di quelle zone a farsi valere tramite azioni legali. «Grazie a lei abbiamo avuto addirittura la possibilità di assistere a un processo per il riconoscimento dello status di vittima delle radiazioni, che è stato vinto dalla sua assistita. Una spinta per tutti quelli che pensano di rinunciare in partenza, spaventati dalle prime difficoltà», rivela Tesei. «Molte altre cose ci sarebbero da aggiungere – conclude il regista marchigiano – ma ciò che davvero spaventa e lascia increduli è il fatto che ogni governo, sia esso russo, giapponese o italiano, nel corso del tempo e perfettamente consapevole delle conseguenze di scelte scellerate, continui imperterrito a comportarsi in maniera criminale ai danni della comunità». Da Kyshym a Fukushima sono passati 54 anni. Ma la storia, in effetti, sembra sempre la stessa.(Andrea Bertaglio, “Nel 1957 a Mayak la catastrofe nucleare più grave della storia”, da “La Stampa” del 2 agosto 2014).Chernobyl e Fukushima non sono state le uniche catastrofi nucleari planetarie. Dietro gli Urali, nella regione di Chelyabinsk, una delle più inquinate di tutta la Russia, si sono infatti verificati tre gravissimi incidenti. La centrale di Mayak (che in russo significa “faro”) nacque nel 1949 per produrre plutonio per armi nucleari, e dal 1949 al 1952 riversò circa 76 milioni di metri cubi di rifiuti liquidi altamente radioattivi – principalmente cesio e stronzio – nel Techa, fiume lungo il quale vivevano circa 124.000 persone, divise in villaggi dediti all’agricoltura e all’allevamento. Nel 1957, nell’impianto di Mayak esplose un serbatoio di rifiuti radioattivi e, oltre al cesio e allo stronzio, si aggiunse il ben più pericoloso plutonio; l’esplosione formò una nube radioattiva che coprì un’area di circa 23.000 chilometri quadrati, creando l’area della “East Ural Radioactive Trace” e sprigionando almeno il doppio dei radionuclidi dell’incidente di Chernobyl.
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Ledeen, l’amico americano che tiene al guinzaglio il Pd
Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.In un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, Ali evoca una lobby come il “Gruppo di Georgetown”, capitanato da quel Kissinger che definì Napolitano «il mio comunista preferito», corretto immediatamente da Napolitano (ex comunista, prego). «E Renzi. Matteo Renzi con la sua rete di amicizie internazionali, attraverso Marco Carrai. Davide Serra (con forti interessi in Israele e che porta in dote i legami con la Morgan Stanley), Marco Bernabè (sempre con Tel Aviv con il fondo Wadi Ventures e il padre, Franco, e le sue dorsali telefoniche Italia-Israele), Yoram Gutgeld (israeliano e suo consulente economico – porta in anche dote l’esperienza McKinsey di cui era socio anziano fino al marzo 2013)». Ma sopratutto Ledeen, cioè «la figura più inquietante», che «si allunga dietro tutte le stragi, tutti i depistaggi che hanno attraversato l’Italia e non solo». L’ammiraglio Fulvio Martini, all’epoca capo del Sismi, lo definì «non gradito all’Italia». Ledeen, racconta Ali, fu «sdoganato da Berlusconi appena giunto al potere», e così «imperversò nelle sue televisioni sotto la forma di “commentatore politico internazionale”».Secondo Ali, Ledeen è stato in grado di «ordinare a Matteo Renzi» la cessione degli aeroporti toscani al magnate argentino Eduardo Eurnekian. Secondo il blogger, «Henry Kissinger, Michael Ledeen e le strutture israeliane sono di nuovo (e da sempre) i padroni della scena». C’è chi dice che il Pd è la nuova Dc? Peggio: il partito fondato da Veltroni «ha ormai da tempo tradito le origini, ma con il binomio Renzi-Napolitano è diventato l’antitesi della storia della sinistra». Secondo Stefano Ali, «è l’erede di tutto quel fronte anticomunista che si asservì e asservì l’Italia alla destra conservatrice Usa di Kissinger e Ledeen e del Mossad». Il “muro di gomma” delle stragi impunite? Frutto del blocco di potere «“garante” della subalternità e della sottomissione dello Stato italiano agli interessi del “Gruppo di Georgetown”». Linea diretta coi rottamatori? «Per le referenze su Federica Mogherini, Renzi dice: “Chiedete a John Kerry”». L’esponente Pd fu «ammessa agli incontri segreti con agenti Usa sin dal 2006», scrive Ali, che illumina il retroterra del presunto potere occulto di ieri e di oggi basandosi anche sul testimonianze come quelle del senatore Giovanni Pellegrino, fino al 2001 presidente della Commissione Stragi, autore del libro-denuncia “Segreto di Stato”.«Ciò che può sembrare intreccio di fantascienza complottistica è solo il frutto di un lavoro certosino fatto dalla Commissione Stragi», avverte Ali. «Teniamolo sempre a mente, anche quando sembra di precipitare nelle allucinazioni ansiogene». Nella sua analisi, Pellegrino parte da una premessa ancora attuale: l’Italia non è mai stata una democrazia “normale”, perché – dal Trattato di Yalta – è stata sempre considerata “marca di frontiera”, al doppio crocevia est-ovest e nord-sud. Sovranità limitata: «Una specie di portaerei Nato nel Mediterraneo». A questo, oltre alla pesante presenza del Vaticano, si aggiunga «una spaccatura verticale interna, determinata da post-fascismo e post-Resistenza», tra italiani «anticomunisti» e italiani «antifascisti». Tutta la storia del dopoguerra, secondo Pellegrino, va interpretata in quest’ottica. E’ per questo che certi fili non si spezzano: l’attuale capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia e allora giornalista dell’“Espresso”, secondo un report del Sisde risalente al lontano 1984 ebbe «rapporti molto stretti» con Ledeen, dopodiché fu promosso consigliere di amministrazione dell’“Editoriale L’Espresso” e ricoprì l’incarico di addetto stampa di Francesco Cossiga durante il sequestro Moro. Stefano Ali parla di connessioni sotterranee con la P2, che faceva da tramite col super-potere Usa, di cui il Mossad israeliano sarebbe stato un braccio operativo nella stagione della strategia della tensione, fra attentati e depistaggi.Se la stagione della guerra fredda aveva permesso lo sviluppo della cosiddetta “Gladio Rossa”, formata da “Lotta Continua”, “Potere Operaio” e le prime Brigate Rosse, fino cioè all’arresto di Curcio e Franceschini, «con la svolta parlamentare del Pci, l’isolamento di Secchia e soprattutto la morte di Feltrinelli», di fatto l’eversione “rossa” «si dissolse, per confluire nelle Brigate Rosse», che però finirono sotto il controllo di Mario Moretti, scampato alla retata che fruttò la cattura dei fondatori grazie a Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, un classico infiltrato. Da quel momento, scrive Ali, al di là della facciata “di sinistra” delle Br di Moretti, «connotazione ideologica utilizzata solo per fomentare i militanti», i vertici delle strutture “eversive” passarono – tutti – sotto il controllo «degli ambienti della destra repubblicana Usa». Versione controversa: secondo altri analisti, rimase forte anche l’influenza dell’Urss, attraverso la Stasi, l’intelligence della Germania Est. L’Italia, in ogni caso, era un campo di battaglia. E gli attori – sulla sponda occidentale – sono ormai noti. La notizia? Un vecchio arnese come Ledeen, molto «vicino» a Zanda in quegli anni secondo il Sisde, è un super-consigliere di Renzi.«Mossad e destra repubblicana Usa – continua Ali – erano già riusciti a instaurare (in Grecia, Spagna e Portogallo) regimi fascisti». Le stragi italiane, fino al 1969 dovevano quindi servire «affinché, nel dicembre del 1969, Mariano Rumor dichiarasse lo “stato d’emergenza” che ne consentisse l’instaurazione anche in Italia». Rumor, però, non dichiarò lo stato d’emergenza. E il tentato “golpe Borghese” del 1970 fu l’ultimo tentativo, anche quello andato a vuoto. «Da notare che già dagli anni ‘60 la P2 di Gelli era molto attiva: con la sua rete di iscritti soprattutto nelle forze armate e nei servizi segreti, era nelle condizioni di garantire tutta la copertura necessaria». Secondo Ali, da vari documenti risulta che Kissinger e Ledeen «fossero iscritti alla P2 nel “Comitato di Montecarlo” (o “Superloggia”)», un “braccio” della P2 «che si occupava di traffico internazionale di armi e al quale venne fatta risalire in modo diretto l’organizzazione della strage di Bologna». Se Gelli era «solo una sorta di segretario», significa che «le “menti” stavano altrove». Il vero leader? Rimasto nell’ombra, fino ad oggi. In compenso, conclude Ali, molti nomi di allora sono rimasti al loro posto. E qualcuno, oggi, è vicinissimo al governo Renzi. Pronti a tutto, nel caso gli eventi precipitassero in Ucraina con l’offensiva Usa contro la Russia di Putin?Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.