Archivio del Tag ‘strage’
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Cia e Wikileaks: nuova Gladio per piegare la Norvegia?
False flag, depistaggio: mentre i media inquadrano gli occhi gelidi del “mostro” Breivik, il “killer solitario” di Oslo e Utøya, si sospetta che sull’isola della strage i macellai armati fossero almeno due, e nient’affatto isolati. La polizia norvegese è costretta a fare i conti con una struttura denominata “Simas”, creata dall’intelligence Usa reclutando agenti in congedo, un po’ come la Gladio italiana. La bomba nel centro di Oslo? E’ esplosa 48 dopo una strana esercitazione “antiterrorismo”. E Washington aveva messo la Norvegia in cima a una lista nera, da quando la piccola democrazia scandinava aveva annunciato il ritiro dalla Libia. Prima ancora, la Norvegia aveva rifiutato di enfatizzare l’allarme “Al-Qaeda”, irritando americani e inglesi. Fino ai sinistri avvertimenti di Wikileaks: la Norvegia sottovaluta il terrorismo. Vuoi vedere che prima o poi sarà costretta a cambiare idea?
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Oslo, strana strage 48 ore dopo il test antiterrorismo
Perfino a Oslo, ancora una volta, un evento terroristico di grande portata si è dispiegato a ridosso di un’esercitazione di sicurezza che aveva ad oggetto proprio un grande attentato: la polizia di Oslo appena 48 ore prima delle stragi stava conducendo un massiccio wargame ubicato nei pressi della Operahuset, il Teatro dell’Opera della capitale norvegese. Le stragi di Oslo si mostrano subito con uno scenario pieno di piste contrastanti. A caldo, così come è accaduto per lo stragismo italiano e per le stragi del decennio post 11 settembre, si creano e si cancellano rivendicazioni e ipotesi che si rincorrono: dal presunto comunicato islamista fino all’ipotesi investigativa sulla pista interna. Rimane questo fatto – l’esercitazione – che in sé non basta ancora dimostrare nulla, ma che sarebbe sbagliato ignorare, dati i precedenti.
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Preso Mladic, il macellaio: ultimo atto di un’atroce farsa
“Le ragazze bosniache puzzano”. Slogan razzista: serbo? No: olandese. Campeggia sulle pareti della caserma di Potocari, alle porte di Srebrenica, dove i caschi blu europei l’11 luglio 1995 restarono spettatori della feroce pulizia etnica condotta dal macellaio serbo Ratko Mladić, l’uomo finalmente arrestato dalla polizia di Belgrado quindici anni dopo, il 26 maggio 2011, per permettere alla Serbia di entrare nell’Unione Europea. Stratega dell’assedio di Sarajevo, Mladić sarà incarcerato all’Aja insieme al suo leader, Radovan Karadzić, nelle celle dove morì il loro capo supremo, Slobodan Milosević, portando con sé tutti i segreti della sua “guerra sporca”. L’altro macellaio, Zeliko Raznatović, detto Arkan, era già stato assassinato a Belgrado. E se per molti serbi lo stesso Mladić è stato un eroe, a lungo protetto dalle autorità locali, a evitare di dargli la caccia sono stati soprattutto gli Usa.
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Strage in Siria, Assad nel panico fa sparare sulla protesta
Anche la Siria è in fiamme: almeno 100 morti sono il tragico bilancio della protesta del “venerdì santo”, soffocata dalla feroce repressione scatenata il 22 aprile che ha suscitato le proteste di Usa e Onu. Libertà e democrazia, elezioni, via la censura e la legge marziale che schiaccia il paese da decenni. Risposte: prima promesse vane e ora pallottole, con l’esercito in campo a sparare sulla folla inferocita, nel paese-chiave del Medio Oriente, in bilico fra Turchia e Iran e in attrito permanente con Israele. Il presidente Bashar Assad non sa rispondere alla protesta con validi argomenti e ricorre alla violenza più brutale, prenotando probabilmente il suo suicidio politico, in un autentico bagno di sangue.
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Misurata come Sarajevo, due reporter caduti sul campo
Misurata come Sarajevo: le forze di Gheddafi sparano a casaccio sulle case e seminano strage, uccidendo anche giornalisti e fotoreporter. Le ultime due vittime sono l’inglese Tim Hetherington e l’americano Chris Hondros, caduti sul campo il 20 aprile, sotto il colpi dell’artiglieria che da settimane sta terrorizzando la terza città libica stretta nella morsa dell’assedio. Unico collegamento col resto del mondo, il porto: le imbarcazioni dei ribelli, cariche di aiuti, sono protette dalla marina militare della Nato che presidia il golfo. Inefficace invece la copertura aerea: i tank del regime sono penetrati in città, rendendo impossibile sganciare bombe senza fare vittime civili.
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Vittorio mai così vivo: per restare umani bisogna morire?
Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell’aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenby, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono “con arte”, senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.
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Rotta su Gaza: anche la mamma di Vittorio con la Flotilla
Rotta su Gaza, nel nome di Vittorio Arrigoni: anche la madre, Egidia Beretta, viaggerà a bordo della flotta umanitaria che salperà da diversi porti del Mediterraneo a fine maggio. «Voglio vedere Gaza che mio figlio amava tanto, e per cui si è sacrificato», dichiara la signora Beretta. «Voglio incontrare la brava gente che vive là, e di cui mio figlio Vittorio parlava sempre». Un viaggio rischioso: come già l’anno scorso, i militari israeliani potrebbero sparare e uccidere. Nonostante ciò, proprio la feroce esecuzione di Vittorio Arrigoni sta gonfiando le liste dei partenti: la nave italiana “Stefano Chiarini” salperà da Genova.
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Moni Ovadia: in Israele i mandanti dei killer di Arrigoni
È stato ferocemente giustiziato Vittorio Arrigoni, uno dei nostri. Non il militante di una fazione, non solo o non tanto un pacifista o un sostenitore della causa palestinese ma un essere umano che conosceva il significato di questa parola. Essa implica un dovere animato da una passione irreprimibile. Il dovere di stare a fianco al povero, all’oppresso, al perseguitato; i brutali esecutori dell’orrore sarebbero degli islamisti salafiti, vedremo. Ma i mandanti non sono loro. Il mandante della violenza è l’oppressione, l’ingiustizia, il privilegio, il razzismo.
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Arrigoni era condannato: Israele temeva la sua voce
La salma di Vittorio Arrigoni arriverà in Italia attraverso l’Egitto, evitando il territorio di Israele: una risposta simbolica, postuma, a chi aveva fatto di tutto per far tacere la sua voce. Lo aveva minacciato, arrestato, torturato. Fino a farlo uccidere, per mano di killer “salafiti”? A rilanciare questa tesi è Patrizia Cecconi, presidente dell’associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese: sapevamo – dice commossa da piazza Montecitorio il 15 aprile – che Vittorio a Gaza aveva le ore contate. «Lo dicevano già Golda Meir e Ben Gurion: Israele teme i poeti più che le bombe». Drammatico preavviso, l’omicidio di un altro testimone chiave delle atrocità israeliane, il regista Juliano Mer-Khamis.
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Thyssen, condanna storica: fermerà le stragi sul lavoro?
La sentenza a carico dei dirigenti della ThyssenKrupp è molto dura. Su un punto fondamentale, quello di giudicare gli investimenti in tema di sicurezza consapevolmente non effettuati come prova di omicidio volontario da parte dell’amministratore delegato, la Corte ha accolto in pieno le richieste dell’accusa. Come si aspettavano familiari e compagni delle vittime. Condannando la massima autorità dell’impresa al massimo della pena proposta dai Pm, sedici anni, e cinque dirigenti a pene che vanno da dieci anni – un anno in più rispetto alla richiesta – a tredici e mezzo, la sentenza riafferma con estrema forza un principio cruciale: di lavoro non si può, non si deve morire.
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Ucciso Arrigoni: denunciò le atrocità di Israele a Gaza
Era la spina nel fianco di Israele, la voce di Gaza sotto le bombe al fosforo bianco. Lo hanno ritrovato con gli occhi bendati: non doveva vedere più. Il corpo senza vita di Vittorio Arrigoni, 36 anni, coraggioso reporter indipendente, è stato rinvenuto nella notte fra il 14 e il 15 aprile in un appartamento di Gaza City al termine del blitz organizzato da Hamas per tentare di salvarlo. Sarebbe stato soffocato o strangolato, molto prima dell’ultimatum lanciato dai rapitori, appartenenti – secondo le rivendicazioni ufficiali – a un gruppo salafita islamico ultra-radicale, vicino ad Al Qaeda. L’atroce morte di Arrigoni rappresenta in realtà una svolta per i “falchi” di Tel Aviv: Vittorio era rimasto l’unico, sul campo, a testimoniare le atrocità israeliane contro la popolazione palestinese.
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Fuga dalla Libia, strage in mare: ed è solo l’inizio
Trecento migranti caduti in mare, solo 53 recuperati: gli altri sono morti o dispersi, nelle acque tra Lampedusa e Malta. «Erano in gran parte eritrei e somali, scappati da Tripoli prima che la guerra arrivasse anche lì», scrive Gabriele Del Grande su “Fortress Europe”, il newsmagazine che compie un accurato monitoraggio dell’esodo. Una catastrofe: «Dagli anni Novanta, nel Canale di Sicilia hanno perso la vita almeno 4.500 persone». Gli ultimi naufraghi, scrive Del Grande, si erano appena imbarcati a Zuwarah sulla rotta libica per Lampedusa, che da un paio di settimane sembra essersi riaperta, «evidentemente con il consenso di Gheddafi e delle sue milizie».