Archivio del Tag ‘strage’
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Magaldi: da Nizza ad Ankara, nessuno vi racconta la verità
Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.Primo capitolo, la Francia: il paese è chiaramente sotto attacco a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo, le cui indagini sono state fermate dal governo Hollande con l’apposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura parigina, della triangolazione che ha coinvolto la Dgse, cioè i servizi segreti francesi, nella fornitura di armi al commando-killer (armi slovacche, acquistate in Belgio sotto la copertura dell’intelligence). Il grande spauracchio dell’ultimo scorcio si chiama Isis? Si tratta di un paravento, sostiene Magaldi, nonché di una “firma”: Isis è anche il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor, e Hathor Pentalpha è il nome della “loggia del sangue e della vendetta” fondata nel 1980 da Bush padre quando fu battuto da Reagan alle primarie repubblicane. A quella cupola di potere, sempre secondo Magaldi, è ascrivibile la regia dell’11 Settembre, con annessa “fabbricazione del nemico”, da Al-Qaeda a Saddam Hussein: della Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, hanno fatte parte sia Tony Blair, “l’inventore” delle armi di distruzione di massa irachene, sia Nicolas Sarkozy, il demolitore del regime di Gheddafi. E inoltre lo stesso Erdogan, il massimo padrino dell’Isis.«Da fonti riservate – racconta Magaldi a “Colors Radio” – sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno». Niente di più facile che il “sultano” l’abbia semplicemente anticipato, in modo farsesco, provando a disinnescare la minaccia. Ma attenzione: «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso». Cosa manca, al puzzle? Il piatto forte: le elezioni Usa. Solo allora, cioè dopo novembre, è plausibile che il quadro geopolitico possa chiarirsi. A cominciare da Ankara: al di là del chiasso organizzato in queste ore da Erdogan, dice Magaldi, la Turchia non ha ancora deciso “cosa fare da grande”. E soprattutto: come chiudere la pratica Isis, di cui resta la principale azionista.Quanto alla strage di Nizza, si tratta della «ripetizione ormai stanca» di un copione già invecchiato, quello dei tagliatori di teste che hanno seminato il terrore – con sapiente regia hollywoodiana – tra Iraq e Siria. La dominante, oggi, si chiama caos. E nessuno – tantomeno Erdogan – sa esattamente cosa accadrà domani, ovvero: su quale configurazione di forze si baseranno i poteri forti, anche super-massonici, che finora hanno assegnato precisi spazi agli attori sul terreno, da Obama a Putin, dalla Merkel a Erdogan. Sempre secondo Magaldi, il network trasversale della super-massoneria progressista si è impegnato con successo nelle primarie Usa, da un lato lanciando Bernie Sanders per spostare a sinistra la politica della Clinton, e dall’altro utilizzando Donald Trump come cavallo di Troia per eliminare dalla corsa il pericolo numero uno, Jeb Bush, ultimo esemplare della filiera Hathor Pentalpha. Comunque vada a novembre, conclude Magaldi, gli “architetti del terrore” dovrebbero finalmente perdere terreno: la stessa Clinton si starebbe smarcando da certi legami pericolosi con i settori più opachi del potere di Washington, e Trump non sarebbe certo disponibile a coprire azioni di macelleria internazionale come quelle a cui stiamo assistendo.Una grande retromarcia, dopo 15 anni di orrori? Qualche segnale lo stiamo già avendo, dice un altro analista dal solido retroterra massonica come Gianfranco Carpeoro: a inquietare i gestori del massimo potere è proprio la recente “diserzione” di una parte del vertice planetario, non più disposto ad avallare la strategia della tensione (da Bin Laden al Califfato) promossa dall’élite neo-aristocratica, quella che ha cinicamente ideato e gestito l’austerity europea incarnata da Draghi e Merkel. Se cresce il bilancio di sangue, anche in Europa – questa la tesi – è perché il potere oligarchico si sta indebolendo e teme di perdere la sua presa. E’ di ieri lo strappo del Brexit, e la Francia resta sotto tiro anche per via del suo ruolo-cardine in una struttura antidemocratica come l’attuale Unione Europea. I tempi stanno per cambiare? Se sì, a quanto pare, non sarà una passeggiata: è saggio aspettarsi di tutto, in questa fase di incertissima transizione. Certo, dice ancora Magaldi, bisogna tenere gli occhi aperti: è impensabile che la sicurezza francese abbia potuto “dimenticarsi” di quel camion-killer, parcheggiato da giorni sul lungomare di Nizza. E forse il primo a cadere sarà proprio il capo della “democratura” turca: «Erdogan sembra forte, ma in realtà è fragilissimo». Un consiglio? Allacciare le cinture, in attesa delle elezioni Usa.Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.
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I 5 Stelle: basta terrore, l’Italia si smarchi da Ue e Nato
Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».Dai 5 Stelle, dunque, anche una lettera ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso. «Ci troviamo in una fase cruciale e la paura è il denominatore comune che ci sta accompagnando in questi mesi convulsi, segnale dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico», scrivono i grillini. L’Unione Europea «appare come un ‘contenitore geopolitico’ incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e dare risposte in termini di sicurezza e lotta al terrorismo». Attenzione: «L’intera impalcatura su cui è costruito il potere del sistema euro-atlantico sembra essere ormai vicina al collasso». Consci della gravità del problema, i 5 Stelle questo chiedono «una svolta nella politica estera e una reale volontà politica nel farlo». In altre parole, «l’Italia ha l’obbligo di tornare ad esprimere una politica estera sempre più autonoma e che abbia come principale interesse la sicurezza nazionale. Una politica estera non più schiava di decisioni altrui che negli ultimi anni si sono rivelate drammatici fallimenti».Come forza principale di opposizione, i 5 Stelle chiedono di inserire nell’agenda parlamentare un dibattitto su temi strategici, a cominciare dalla «ridiscussione del ruolo e degli accordi con la Turchia, come principale alleato nella gestione dell’immigrazione, alla luce degli ultimi eventi». I grillini vogliono anche ridiscutere la decisione emersa nell’ultimo vertice Nato di proseguire la missione militare in Afghanistan, per la quale si chiede all’Italia un impegno più consistente. Altra proposta: «Non destinare più nostri finanziamenti a paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e i paesi del Golfo a causa della loro ambiguità con il terrorismo internazionale», oggi targato Isis, introducendo anche una moratoria sulle armi da fuoco. Infine, i parlamentari grillini chiedono al governo Renzi di instaurare «una collaborazione senza precedenti tra le forze di intelligence dei paesi Ue, Nato e della Federazione russa».Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».
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Oliver Stone: Putin e Trump meglio di Obama e Hillary
«Non è stato facile farmi coinvolgere in una storia controversa come questa, dopo i miei film in Sudamerica so bene che posso subire attacchi anche violenti, e per me è inconcepibile che si possa essere accusati solo perché si mostrano fatti in contrasto con le versioni ufficiali. Ma è importante che l’opinione pubblica conosca gli eventi dell’Ucraina orientale da una prospettiva diversa da come ci sono stati presentati». Oliver Stone parla di “Ukraine on fire” dell’ucraino Igor Lopatonok, cittadino americano dal 2008, presentato in anteprima mondiale al festival di Taormina, del quale non solo è coproduttore ma partecipa come intervistatore dell’ex presidente Viktor Yanukovich e del presidente russo Vladimir Putin. Il film, scrive Maria Pia Fusco su “Repubblica”, ricostruisce la storia del paese dal 1941 al 2014, ponendo l’accento sui movimenti nazionalisti che parteciparono alla seconda guerra mondiale affiancando i nazisti nella strage di ebrei e polacchi. E che, supportati dalla Cia durante la guerra fredda, si sono infiltrati nelle manifestazioni ucraine pacifiche degli ultimi anni.Oliver Stone parla di «necessità di una controinformazione» e cita Mark Twain: “Se non leggi i giornali non sei informato, se li leggi sei informato male”. «E’ importante per gli Usa e per l’Europa conoscere la realtà, perché tutto questo, che è anche una guerra fatta dai media, ha portato alle sanzioni, all’embargo, conseguenze dure per l’economia». È vero che in Ucraina molti manifestanti erano motivati da ragioni giuste e si sentivano oppressi, riconosce il regista, «ma noi raccontiamo la storia da prima della rivoluzione arancione, e come sappiamo in Ucraina ci son sempre stati governi corrotti. Sicuramente in questo governo, insediato da due anni, ci sono elementi che discendono da assassini, persone che si unirono al Reich. È il primo governo con elementi nazisti, è molto pericoloso. E negli Usa non c’è stata reazione, si parla solo dell’aggressione russa». Il ruolo dei media: così determinante? Eccome: «Sappiamo quante volte la Cia abbia usato il cosiddetto “soft power” per influenzare altri paesi, magari per scongiurare l’affermazione di governi di sinistra. Ma prima dell’Ucraina, gli Usa sono intervenuti in tanti paesi dell’ex Urss, con addestramenti delle forze Nato, storie che i grandi media non raccontano».A Stone, la Fusco chiede direttamente un giudizio su Putin come persona e come leader. «Un uomo molto intelligente, articolato, razionale, che conosce a fondo i problemi», risponde Stone. «Putin dal 2001 in poi sta cercando una sorta di alleanza con gli Usa: ha espresso la sua solidarietà dopo l’11 Settembre, ha cercato di affiancarli nell’Asia centrale e nella lotta al terrorismo, ma il comportamento degli americani è sempre lo stesso: abbattere i regimi ostili e crearne di compiacenti, senza cercare di capire le ragioni interne di un paese, la cultura, il disagio, le divisioni». E non è cambiato niente con la presidenza Obama?«L’ho votato due volte, ma sono deluso», amette il cineasta. «Aveva promesso di cambiare la politica estera di Bush, parlava di trasparenza, voleva smettere con le intercettazioni illegali. Non è successo niente, non ha capito che non si può lottare contro le idee, bisogna prima capirle». E il futuro? «Il sistema americano è troppo consolidato, penso che nessuno possa cambiarlo veramente: né Trump, né la Clinton. Anzi, Hillary mi sembra ancora più radicale di Obama in tema di politica estera».«Non è stato facile farmi coinvolgere in una storia controversa come questa, dopo i miei film in Sudamerica so bene che posso subire attacchi anche violenti, e per me è inconcepibile che si possa essere accusati solo perché si mostrano fatti in contrasto con le versioni ufficiali. Ma è importante che l’opinione pubblica conosca gli eventi dell’Ucraina orientale da una prospettiva diversa da come ci sono stati presentati». Oliver Stone parla di “Ukraine on fire” dell’ucraino Igor Lopatonok, cittadino americano dal 2008, presentato in anteprima mondiale al festival di Taormina, del quale non solo è coproduttore ma partecipa come intervistatore dell’ex presidente Viktor Yanukovich e del presidente russo Vladimir Putin. Il film, scrive Maria Pia Fusco su “Repubblica”, ricostruisce la storia del paese dal 1941 al 2014, ponendo l’accento sui movimenti nazionalisti che parteciparono alla seconda guerra mondiale affiancando i nazisti nella strage di ebrei e polacchi. E che, supportati dalla Cia durante la guerra fredda, si sono infiltrati nelle manifestazioni ucraine pacifiche degli ultimi anni.
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La strage a Dacca contro l’Italia schierata in Iraq e in Siria
Non ingannino le apparenze visto che tutto, nello spettacolare globale degli attentati, pare somigliarsi. La strage di italiani a Dacca non è simile e ad altre, dove sono rimasti coinvolti, e uccisi, altri nostri connazionali. Come accaduto in Egitto e in Tunisia, dove turisti italiani sono rimasti coinvolti in attentati che avevano come obiettivo di fermare i flussi turistici per penalizzare i governi di quei paesi. Stavolta gli italiani sono manifestamente parte dell’obiettivo principale. Visto che l’obiettivo della strage è stato un complesso di bar e ristoranti notoriamente frequentato da italiani, stando a fonti non sensazionalistiche, collocato molto vicino all’ambasciata del nostro paese in Bangladesh. Ma, si dirà, con il governo Renzi che ha rifiutato l’avventura coloniale in Libia, chi può lanciare un simile atto di guerra all’esecutivo, con una strage che non vedeva coinvolti un numero di italiani così alto dai tempi dell’attentato al treno del natale 1984?Beh, la risposta è semplice. E sta in Iraq e in Siria. Dove truppe italiane sono parte integrante del conflitto, che riguarda l’Isis e altre forze dell’islamismo radicale, mentre il parlamento non ne parla e le forze politiche discutono dell’Italicum. Basta scorrere un po’ di siti di intelligence per scoprire l’acqua calda: con l’arrivo a Erbil (Iraq) del reparto della Brigata Friuli per le operazioni di Personnell Recovery (secondo “Analisi Difesa”, 130 militari con 4 elicotteri Nh-90 e 4 elicotteri da attacco A-129D Mangusta) e delle prime aliquote del contingente, sulla base del 6° reggimento bersaglieri, destinato a schierarsi presso la Diga di Mosul (a 10 km dall’Isis), il comando delle forze italiane impegnate contro lo Stato Islamico (Operazione “Inherent Resolve”, per l’Italia “Prima Parthica”) è stato elevato al rango di generale di brigata. Questo per capire un paio di cose: la prima è che l’Italia è sul fronte Isis in Iraq, la seconda che l’operazione si fa così complessa da dover richiedere un rango più alto di comando sul campo.Su siti di intelligence si trovano poi informazioni sul fatto che l’identità dei militari in azione in Iraq è oscurata, assieme a qualsiasi foto che li riguardino, per motivi di sicurezza (e di informazione sui media, aggiungiamo). Niente però impedisce all’Isis, o a chi vuol mandare messaggi a Renzi, di uccidere italiani, ad esempio, in Bangladesh. Sono le regole del conflitto asimmetrico, applicate da più di un ventennio ormai. Non è finita qui, la stessa “Analisi Difesa”, fonte di destra ma preziosa per capire guerre anche dimenticate come l’Afghanistan (dove l’Italia continua ad esserci grazie anche al voto della allora sinistra superpacifista), ricorda che nel caldo fronte di guerra della Siria ci sono batterie di missili italiane con 135 artiglieri. Ufficialmente posizionati in Turchia ma con il compito di monitorare il fronte siriano. Non c’è da stupirsi, in presenza di un impegno militare italiano in Siria ed in Iraq che dei nostri connazionali vengano uccisi da islamisti radicali in Bangladesh. Una strage mirata, tipica della guerra asimmetrica: non ti colpisco sul fronte dove ti sei blindato, ma in uno delle tante retrovie dove sei sensibile, nella superficie globale.Il governo Renzi mostra così di essere in guerra, a bassa intensità e nascosta appena possibile, dove con la Brexit ha fatto vedere di essere dentro una guerra finanziaria, con il tracollo delle banche (del quale si prova a rimediare trattando con l’Ue e la Bce). Certo, il governo Renzi fa il suo mestiere: diluire gli eventi, decontestualizzarli, nel governo dei media. Fare in modo che l’impatto, sull’opinione pubblica, della guerra sul campo e di quella finanziaria sia minimo. Il modo da attribuire i disastri in corso ad altre cause mai contestualizzate tra loro. Desta invece stupore che le opposizioni, a vario titolo, non riescano ad andare più in là delle polemiche sulla legge elettorale appena entrata in vigore. Da gennaio a giugno la capitalizzazione delle banche si è dimezzata, poi l’attacco finanziario agli istituti bancari nazionali dopo la Brexit: minimo doveva esserci il parlamento mobilitato, od occupato, dalle opposizioni che dovevano proporre misure serie ed efficaci. Per non parlare di questo atto di guerra, asimmetrica, in risposta all’impegno militare italiano certificato sul campo.Al di là delle posizioni di rito, e di cordoglio, le opposizioni hanno risposto con l’encefalogramma piatto. Se il colmo di un governo, come quello Renzi, è comandare i media e rischiare di andare a casa lo stesso, quello delle opposizioni è farsi trascinare in una doppia guerra, finanziaria e sul campo, senza accorgersene. Ora i fatti continueranno il loro corso, senza la politica italiana, evidentemente. Restano i morti sul campo, con storie di esternalizzazione del tessile italiano in Bangladesh, e il paese in cui si è svolto l’attentato. Quasi 170 milioni di abitanti, uno dei paesi con la più alta densità di abitanti per km quadrato al mondo, e le contraddizioni acute tipiche della nazione “in via di sviluppo”, quelle che piacciono tanto al neoliberismo standard. E con l’islamismo radicale, feroce, cieco che svolge anche funzioni di reazione al liberismo, altrettanto feroce. Questo il mondo in cui siamo. Ed ora via ad un altro bel dibattito sulla legge elettorale.(“Dacca, strage di italiani per dichiarare guerra al governo Renzi”, da “Senza Soste” del 3 luglio 2016).Non ingannino le apparenze visto che tutto, nello spettacolare globale degli attentati, pare somigliarsi. La strage di italiani a Dacca non è simile e ad altre, dove sono rimasti coinvolti, e uccisi, altri nostri connazionali. Come accaduto in Egitto e in Tunisia, dove turisti italiani sono rimasti coinvolti in attentati che avevano come obiettivo di fermare i flussi turistici per penalizzare i governi di quei paesi. Stavolta gli italiani sono manifestamente parte dell’obiettivo principale. Visto che l’obiettivo della strage è stato un complesso di bar e ristoranti notoriamente frequentato da italiani, stando a fonti non sensazionalistiche, collocato molto vicino all’ambasciata del nostro paese in Bangladesh. Ma, si dirà, con il governo Renzi che ha rifiutato l’avventura coloniale in Libia, chi può lanciare un simile atto di guerra all’esecutivo, con una strage che non vedeva coinvolti un numero di italiani così alto dai tempi dell’attentato al treno del natale 1984?
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Barnard: ed ecco l’omicidio perfetto per fermare la Brexit
Citai quel terribile studio, anzi, appello, pubblicato dalla più prestigiosa rivista medica del mondo, il “The Lancet”, che gridava che la Ue della nomenklatura stava ammazzando al ritmo di un bombardamento della Seconda Guerra Mondiale, in Grecia. Vi ricordate i numeri? Migliaia di feti morti prematuri (aumento del 40%), aumento delle infezioni da Hiv del 3.000% (sì, tremila) a causa mancanza di siringhe nelle province, ammalati di tumore lasciati a urlare come cani senza morfina fino alla morte, la vita media retrocessa a livello degli anni ’40. E nessuno può calcolare quanti altri europei sono morti prematuramente a causa di questa catastrofe voluta a tavolino chiamata Maastricht & Eurozona, anche se il fatto che oggi l’11% degli italiani non si può più curare adeguatamente la dice lunga. Ieri è morta una splendida persona, la parlamentare inglese Jo Cox, donna dalle mille battaglie umanitarie ammazzata da un rivoltante pazzoide in strada. Si dice che l’uomo gridasse “Prima la Gran Bretagna!”, era ovviamente un fanatico pro Brexit, e la povera deputata era invece per rimanere nell’Unione. Sospendiamo per un attimo l’emotività e l’orrore per questo osceno incubo.Il fatto indubitabile è che l’opinione pubblica inglese ora con una probabilità vicina al 99% si sposterà verso il voto pro Ue, mentre gli ultimissimi sondaggi davano Brexit davanti. Anche perché la fanfara della nomenklatura strillerà a 8000 decibel che i pro Brexit sono una masnadsa di fascisti, hooligan, medievali nazionalisti, buffoni alla Farage, estremisti pericolosi ecc. Non finirà più di suonare da qui al 23 giugno. Credo – e spero tanto di sbagliarmi, ma no – che dovremo dire addio a Brexit, dire addio cioè alla più straordinaria opportunità della Storia di distruggere la nomenklatura di Bruxelles che, come detto sopra, uccide diecimila volte di più del bastardo cane assassino di Jo Cox. Sono senza parole. E giuro, e guardate che veramente lo scrivo con le dita che mi si stanno rattrappendo fino a spezzarmi le falangi, che non posso levarmi dalla testa l’idea che ho sempre ritenuto l’ultima idea che un giornalista vero debba mai intrattenere nel suo cervello, dopo aver esaurito ogni altra ricerca: il complotto.Cazzo, che caso, mi dice una parte della mia testa, Cameron a febbraio cospira con la mega azienda di private security Serco per far partire una campagna segreta di sputtanamento di Brexit. Tutta la nomenklatura dei peggiori ceffi di Bruxelles fa muro contro Brexit. I neo-nazi di Merkel-Schauble ragliano minacce di fuoco, ma tutto quello che ottengono è che i sondaggi volano sempre più verso il voto per uscire dalla Ue. Poi arriva la riunione del Bilderberg in Germania, e oplà, uno dei volti più belli e umanamente puliti del ‘Rimaniamo in Ue’ viene macellata a pochi giorni dal voto al grido di “Prima la Gran Bretagna!”. Oplà, eh? Ma io non sono un Blondet o un Mazzucco, io faccio un altro mestiere, il giornalista, e senza l’Edward Snowden del caso Cox io ficco il complotto nella spazzatura, e dico solo una cosa. Una morte ora rischia con altissime probabilità di permetterne altre decine di migliaia per decenni per ciò che ho scritto due paragrafi più sopra. Sono senza parole, I’m beyond words.(Paolo Barnard, “Un morto aiuterà a produrne altre decine di migliaia, goodbye Brexit?”, dal blog di Barnard del 17 giugno 2016).Citai quel terribile studio, anzi, appello, pubblicato dalla più prestigiosa rivista medica del mondo, il “The Lancet”, che gridava che la Ue della nomenklatura stava ammazzando al ritmo di un bombardamento della Seconda Guerra Mondiale, in Grecia. Vi ricordate i numeri? Migliaia di feti morti prematuri (aumento del 40%), aumento delle infezioni da Hiv del 3.000% (sì, tremila) a causa mancanza di siringhe nelle province, ammalati di tumore lasciati a urlare come cani senza morfina fino alla morte, la vita media retrocessa a livello degli anni ’40. E nessuno può calcolare quanti altri europei sono morti prematuramente a causa di questa catastrofe voluta a tavolino chiamata Maastricht & Eurozona, anche se il fatto che oggi l’11% degli italiani non si può più curare adeguatamente la dice lunga. Ieri è morta una splendida persona, la parlamentare inglese Jo Cox, donna dalle mille battaglie umanitarie ammazzata da un rivoltante pazzoide in strada. Si dice che l’uomo gridasse “Prima la Gran Bretagna!”, era ovviamente un fanatico pro Brexit, e la povera deputata era invece per rimanere nell’Unione. Sospendiamo per un attimo l’emotività e l’orrore per questo osceno incubo.
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Hersh: da Hillary Clinton il gas Sarin per la strage in Siria
Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.Ne parla ora sul sito “Free Thought Project” un veterano dei marines, Matt Agorist, già operatore di intelligence nella Nsa. I preliminari: un accordo, risalente al 2012, tra Barack Obama, Turchia, Qatar e Arabia Saudita «per imbastire un attacco con gas sarin e darne la colpa ad Assad», scrive “Voci dall’Estero”. «Tutte le prove punterebbero in una direzione: i precursori chimici del gas sarin sarebbero venuti dalla Libia, il sarin sarebbe stato “fatto in casa” e la colpa gettata sul governo siriano come pretesto perché gli Stati Uniti potessero finanziare e addestrare direttamente i ribelli siriani, come desideravano i sauditi intenzionati a rovesciare Assad. Responsabile della montatura, l’allora segretario di Stato Usa e attuale candidata alla presidenza per i Democrat, Hillary Clinton». Da quando gli Stati Uniti finanziano questi “ribelli moderati”, ricorda Agorist, sono state uccise più di 250.000 persone, cui si aggiungono oltre 7 milioni e mezzo di siriani sfollati all’interno del loro paese e altri 4 milioni di siriani fuggiti all’estero. «Tutta questa morte e distruzione portata da un sadico esercito di ribelli finanziati e armati dal governo degli Stati Uniti era basata – è quello che ora ci viene detto – su una completa montatura».Seymour Hersh, giornalista Premio Pulitzer, ha rivelato che l’amministrazione Obama ha falsamente accusato il governo di Bashar Assad per l’attacco con gas sarin. Obama stava cercando di usarlo come scusa per invadere la Siria. Come spiega Eric Zuesse in “Strategic Culture”, Hersh indica un rapporto dell’intelligence britannica che sosteneva che il sarin non veniva dalle scorte di Assad. «I finanziamenti venivano dalla Turchia, e parimenti dall’Arabia Saudita e dal Qatar; la Cia, con il sostegno del Mi6, aveva l’incarico di prendere armi dagli arsenali di Gheddafi in Libia». Molteplici rapporti indipendenti, continua Agorist, sostengono che la Libia di Gheddafi possedeva tali scorte, mentre il Consolato degli Stati Uniti a Bengasi, in Libia, controllava una “via di fuga” per le armi confiscate al regime di Gheddafi, verso la Siria attraverso la Turchia. «Anche se Hersch non ha specificamente detto che “la Clinton ha trasportato il gas”, l’ha implicata direttamente in questa “via di fuga” delle armi delle quale il gas sarin faceva parte».Riguardo al coinvolgimento della Clinton, Hersh cita l’ambasciatore americano Christopher Stevens, morto nell’assalto dell’ambasciata Bengasi: era al corrente della “via dei ratti” per trasferire tagliagole e armi letali in Siria, ed è impensabile che non ne avesse informato il suo “capo”, cioè Hillary. Lo conferma il giornalista investigativo Christof Lehmann, che ha scoperto prove che coinvolgono il capo di stato maggiore Martin Dempsey, il direttore della Cia John Brennan e il governo saudita. Alla Clinton, poi, non mancherebbero precedenti: secondo il “Free Thought Project”, «ha legami con i cartelli criminali internazionali che hanno finanziato lei e suo marito per decenni». Oltre 5 milioni di dollari, poi, sarebbero stati versati alla Fondazione Clinton dall’Arabia Saudita. Il grande movente della guerra contro la Siria? «La costruzione di un oleodotto per il petrolio dei Saud attraverso la Siria verso il più grande mercato del petrolio, l’Europa». Al primo golpe della Cia, nel dopoguerra, risposero colpi di Stato siriani, fino all’ascesa al potere di Hafez Assad, il padre di Bashar, nel 1970. Risultato: «L’oleodotto trans-arabico a lungo pianificato dai Saud non è ancora stato costruito. E la famiglia reale saudita, che possiede la più grande azienda mondiale di petrolio, l’Aramco, non vuole più aspettare».Obama, aggiunge Matt Agorist, è il primo presidente degli Stati Uniti ad aver seriamente tentato di svolgere il loro tanto desiderato “cambio di regime” in Siria, in modo da consentire la costruzione attraverso la Siria non solo dell’oleodotto trans-arabico dei Saud, ma anche del gasdotto Qatar-Turchia che la famiglia reale Thani (amica dei Saud), che possiede il Qatar, vuole che sia costruita lì. Gli Stati Uniti sono alleati con la famiglia Saud (e con i loro amici, le famiglie reali del Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman). La Russia, invece, è alleata con i leader della Siria – così come in precedenza lo era stata con Mossadeq in Iran, Arbenz in Guatemala, Allende in Cile, Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia e Yanukovich in Ucraina. Tutti rovesciati con successo dagli Stati Uniti, ad eccezione del partito Baath in Siria, quello degli Assad. Per abbatterlo, dunque, gli Usa hanno autorizzato anche l’uso di armi chimiche. E la persona che ha pronunciato il fatidico sì, secondo Hersh, era la Clinton: la donna che adesso sfida il “cattivone” Trump per la Casa Bianca.Hillary Clinton, candidata alla Casa Bianca, è la diretta responsabile – a livello politico – della fornitura di armi di distruzione di massa ai “ribelli” siriani, che il 21 agosto 2013 scatenarono un attacco col gas Sarin a Ghouta, periferia di Damasco, per poi far ricadere la colpa sull’esercito governativo di Assad. Si calcola che nella carneficina morirono oltre 1.700 civili. Seguì una drammatica escalation, con Usa e Nato a un passo dall’invasione della Siria. Vi si opposero con fermezza la Russia di Putin, che schierò una flotta da guerra a protezione del paese, e persino Papa Francesco, con una clamorosa giornata di preghiera per scongiurare il bombardamento. Da indagini accurate, emerse subito che i razzi col gas letale erano stati scagliati da territori controllati dai “ribelli” finanziati dagli Usa. Oggi, l’accusa è confermata da un grande giornalista americano come Seymour Hersh, che punta il dito contro Hillary Clinton: da segretario di Stato, autorizzò la creazione della “via dei ratti”, il canale clandestino per trasferire dalla Libia alla Siria migliaia di jihadisti, incluse le scorte di gas tossici di cui era in possesso il regime di Gheddafi.
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Gli italiani muoiono prima, nell’Italia di Renzi (e dell’euro)
«Dieci milioni di anni rubati a tutta la popolazione del nostro paese, è il più grande furto di vita dalla fine della guerra. Gli assassini sono tra noi: o li fermiamo o continueranno la loro opera», afferma Giorgio Cremaschi, sfogliando il report 2015 di “Osservasalute”, secondo cui – per la prima volta dal dopoguerra – la popolazione italiana subirà un calo nell’aspettativa di vita. Nel 2014 essa era di 80,3 mesi, l’anno dopo è scesa a 80,1 mesi. «Due mesi in meno a persona, che moltiplicati per i sessanta milioni di italiani fanno 120 milioni». Il calo dell’aspettativa di vita «è il più semplice e brutale segno del fallimento di un sistema», scrive Cremaschi su “Micromega”. «Se questo sistema ci fa morire prima vuol dire che sta andando contro gli interessi naturali di fondo della specie umana. Una specie che ha raggiunto con la scienza, la tecnica, le conoscenze economiche e sociali, gli strumenti per vivere di più, e che improvvisamente si trova di fronte all’inversione di un percorso di secoli». Secondo gli autori della ricerca, negli ultimi 15 anni abbiamo consumato tutti i progressi dei 40 anni precedenti. «Guarda caso abbiamo l’euro e le politiche che lo sostengono proprio da 15 anni».Quello dell’Italia ovviamente non è un caso isolato: quando è crollata l’Unione Sovietica e in quel paese si è abbattuto il saccheggio liberista, l’aspettativa di vita è crollata, e ancora oggi, nonostante anni di recupero, non ha ripreso i livelli perduti. Peggio ancora se uno si affaccia sulla catastrofe della Grecia. «Il furto di vita che stiamo subendo ha una sola semplice causa: le politiche liberiste di taglio dei servizi pubblici, a partire da quello sanitario, e di aumento della disoccupazione», sostiene Cremaschi. «Sono le politiche liberiste la causa criminale della riduzione della vita umana. Sono i patti di stabilità, le politiche di rigore, il pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, sono quelle banalità sui costi dello stato sociale che ogni giorno entrano nelle nostre teste come verità naturali, sono tutte le normali e corrette regole di una oculata gestione economica secondo i dettati di Maastricht, che uccidono», a cominciare dai più poveri, «sempre più esposti a disagi e malattie, impossibilitati a pagarsi cure e soprattutto prevenzione dei mali».Quei 10 milioni di anni di vita “rubati”, continua l’ex dirigente Fiom, non saranno sottratti a tutti, ma solo alla parte più povera della società, «che si ammalerà di più e morirà prima: già oggi l’Istat non riesce a far quadrare i conti per alcune decine di migliaia di morti in più, che non sono spiegabili in alcun modo se non con un improvviso drammatico peggioramento delle condizioni di vita». I ricchi, naturalmente, resteranno al riparo: «Nel medioevo la vita media era 40 anni, ma i nobili vivevano quasi come noi oggi e per i servi della gleba 30 anni erano già tanti. Lì stiamo tornando. Questa è la diseguaglianza sociale quando diventa biologia». Di fronte a questa “strage da capitalismo”, secondo Cremaschi ci sono solo due vie: e la prima è quella che la nostra società sta già percorrendo, «cioè quella di abituarsi e adattarsi ad essa. È la banalizzazione del male che ci circonda, che produce assuefazione mentre alimenta improvvisi e sempre più frequenti scatti di ferocia».La seconda via? Cambiare completamente: «Buttare a mare tutte, ma proprio tutte, le politiche economiche di questi ultimi trenta anni, dichiarandole contrarie agli interessi vitali della specie umana». E quindi: «Rovesciare le classi dirigenti che le hanno amministrate e che se ne sono servite per il proprio potere e riaffermare l’eguaglianza sociale come primo bene comune». E ancora: «Spazzar via, con la stessa forza con cui si distrusse il culto della magia medioevale, le credenze, i tabù, le ciarlatanerie del pensiero unico liberista. Non bisogna più credere a nulla di ciò che viene presentato come vero dal potere, e cominciare a seguire solo ciò che oggi il potere condanna come irrealistico». E farlo senza esitazioni: «Non bisogna avere paura di chiamare rivoluzione tutto questo», perché i “killer” sono già tra noi, con le loro infami “riforme”.«Dieci milioni di anni rubati a tutta la popolazione del nostro paese, è il più grande furto di vita dalla fine della guerra. Gli assassini sono tra noi: o li fermiamo o continueranno la loro opera», afferma Giorgio Cremaschi, sfogliando il report 2015 di “Osservasalute”, secondo cui – per la prima volta dal dopoguerra – la popolazione italiana subirà un calo nell’aspettativa di vita. Nel 2014 essa era di 80,3 mesi, l’anno dopo è scesa a 80,1 mesi. «Due mesi in meno a persona, che moltiplicati per i sessanta milioni di italiani fanno 120 milioni». Il calo dell’aspettativa di vita «è il più semplice e brutale segno del fallimento di un sistema», scrive Cremaschi su “Micromega”. «Se questo sistema ci fa morire prima vuol dire che sta andando contro gli interessi naturali di fondo della specie umana. Una specie che ha raggiunto con la scienza, la tecnica, le conoscenze economiche e sociali, gli strumenti per vivere di più, e che improvvisamente si trova di fronte all’inversione di un percorso di secoli». Secondo gli autori della ricerca, negli ultimi 15 anni abbiamo consumato tutti i progressi dei 40 anni precedenti. «Guarda caso abbiamo l’euro e le politiche che lo sostengono proprio da 15 anni».
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Campo di stelle, la ragazza e la cavalla con un occhio solo
La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?«Insensato cercare di assomigliargli, altrettanto insensato chiedergli di assomigliare a noi», scrive Paola di Isotta Raminga. Un cavallo puoi sempre domarlo, ma «è meno scontato conquistarne l’anima: per raggiungerla, occorre concedergli lo spazio per esprimerla, donargli la propria». L’anima, la grande assente del nostro desolato mainstream, desertificato dall’economia di regime, geopolitica e bellica. Il sistema, dice l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore del saggio “Le religioni”, ha letteralmente cancellato la spiritualità dal nostro paesaggio quotidiano, perché ne ha paura: guai, se sospettiamo che la realtà non si esaurisca nella narrazione che ci viene imposta. La pensa così anche Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence, oggi impegnato nel network “Coscienze in rete”: sopra ogni altra cosa, sostiene Carotenuto, il “main-power” teme che ognuno di noi riconquisti l’accesso alla sua dimensione spirituale, la porta della coscienza. A Paola e Isotta è accaduto tanti anni fa: duemila chilometri di meditazione quotidiana, nel silenzio dei grandi spazi. Qualcosa che ti costringe a fare i conti con la vita, senza finzioni.“Campo di Stelle”, singolare diario di viaggio – geografico e interiore – è un esempio di rarissimo nitore espressivo, straordinariamente intenso e coinvolgente: ti porta esattamente là, sul sentiero di Isotta, fra le trepidazioni dei passi alpini e pirenaici, le premure quotidiane per il cibo, la scelta di dove accamparsi per la notte, le incognite del viaggio, le sorprese di un’umanità inattesa. Partire soli, con un cavallo, silenzioso compagno di viaggio. L’animale «catalizza le emozioni, riconosce prima del cavaliere la sua serenità o le sue paure e inquietudini. Se si impara a conoscerlo, si può scoprire un’anima molto più potente del corpo che la contiene». Perché, prima ancora del peso del cavaliere, «sostiene il suo spirito, chiedendogli di vivere in pace e di pensare a una cosa per volta». E se il cavaliere decide inspiegabilmente di lasciare, all’improvviso, il più meraviglioso di tutti i luoghi raggiunti, solo perché è ora di riprendere il viaggio, il cavallo «si stupisce di queste faccende degli uomini che, a volte, non riescono ad accontentarsi di un bel prato e di una fresca fonte».Isotta Raminga è un esemplare arabo-avelignese, sauro, dalla criniera bionda. E’ speciale, «perché sa uscire incolume dalle situazioni più difficili», le fiuta in anticipo, «diventa seria e concentrata». Cessato il pericolo, «torna disincantata e noncurante, come se nulla fosse successo». A volte è distratta: «Quando si annoia dimentica l’attenzione e si fa male». L’occhio lo perse a causa di un calcio, rimediato da un altro cavallo. «La cicatrice dell’occhio che ho dovuto far asportare era appena guarita quando siamo partite», racconta Paola. «Il giorno della partenza, Isotta assomigliava ad un mostro. In Francia il primo impatto con le persone era di ribrezzo; mi chiedevano se avesse fatto la guerra. In un certo senso siamo tutti in guerra. C’è chi le ferite le mostra all’esterno e chi le riporta all’interno». “Campo di stelle” insegna che non esiste cicatrice che non possa rimarginare. Ma bisogna trovare il coraggio di lasciarsi alle spalle ogni certezza.«L’ultimo addio a qualcuno a cui volevo bene è stato a Briançon», scrive Paola, valicato il Monginevro. «Sto cominciando un’avventura desiderata, eppure un nodo mi stringe la gola». Poi, prevale l’incanto degli elementi: «La notte scorsa, poco sopra il Col des Ayes, il cielo ha buttato giù la prima neve». Giorni e notti, a passo lentissimo: la valle della Durance fino a Sisteron, la Provenza, appunti e incontri. Davide, un maniscalco: «Mi ha chiamata mentre passavo sulla strada, come se mi stesse aspettando». E Yves, «un uomo dai modi aristocratici e dall’aspetto selvatico», che vive «nell’umido fondovalle di queste colline profumate di lavanda», scappato da Parigi nel ‘58, quando aveva diciassette anni. «Tante persone stanno realizzando un’idea al limite dell’utopia, con un’armonia che, senza vedere, è difficile immaginare». A Forcalquier, una tribù ospitale: «Il pane viene cotto nel forno a legna una volta la settimana, la cucina è in comune e l’enorme refettorio anche. Mangio con loro, sparecchio e guardo le stelle». Curiosità: «Il ragazzo che si occupa dei cavalli mi chiede cosa mi spinge a partire il mattino seguente. Si chiede se, secondo me, esiste un posto migliore di quello per fermarsi».Acqua e cibo, cartine, la pista più adatta. I deserti pietrosi della Drome, la discesa in Camargue: «Tori, cavalli e fenicotteri oltre recinti di filo spinato». Quindi il Rodano e nuovi silenzi, quelli delle Cevennes. Notti di tregenda: tuoni e lampi, grandine. «Stavolta Isotta è sconsolata e io sono nera come il cielo». L’indomani ricomincia a piovere. «Urlo una bestemmia. Forte. Mi vergogno subito. Dalla casa di fronte si apre una finestra e una signora nigeriana con un sorriso gigante mi chiede, in italiano, se sono italiana». La donna scende in strada in vestaglia, con un ombrellino rosa: «In un attimo sono con lei e la sua pecora in un grande prato recintato con una tettoia, dove metto ad asciugare tutto». Ragazza e cavalla visitano «terre rosse e pietre nere», sostano accanto a una casa dalle cui finestre arriva la musica di un violoncello: «Una pace enorme inonda la terra, quando cala la notte e mi infilo nel sacco a pelo. Grilli e cicale rimbalzano la loro musica. Spengo la luce in ascolto e mi addormento». Altri chilometri, altre lingue: «È la prima notte in Spagna. L’aria è tersa e l’assenza di paesi e di luna fa splendere le stelle all’infinito. Non ho montato il telo».A Roncisvalle, compare una coppia straordinaria. Lei di Strasburgo, lui italiano. Si sono conosciuti in Madagascar. «L’amore è una faccenda tremenda che fa volare e precipitare con la stessa velocità e la stessa dolcezza, senza controllo né previsioni. Ciò che immagini possa funzionare scricchiola, ciò da cui ti aspetti un disastro è una meraviglia». Un saluto e la marcia riprende. Altra beata solitudine: «Immersa nella pozza di acqua limpida, i nodi della stanchezza si sciolgono». In mezzo alle montagne iberiche, a Beldorado, Paola rimedia una camicia bianca che le viene offerta: «Non ho detto di no. Dopo mesi di bivacchi e vita all’aria aperta, sempre vicino a un cavallo, il più possibile lontano dalla civilizzazione, si può diventare dei veri selvaggi». Infine, l’Atlantico: «L’ultimo tramonto d’Europa a questa data e a questa latitudine è verso le dieci e mezza di sera, molto tardi. Il progetto è di raggiungere il Capo di Finisterre per vedere il sole tuffarsi nell’oceano proprio in quel momento lì».Mesi di viaggio, dalla valle di Susa a Santiago de Compostela: «Quest’avventura l’abbiamo vissuta in due: una persona e una cavalla. Quando siamo partite, io sapevo che avremmo viaggiato a lungo. Lei si è accorta solamente che una mattina siamo andate da un’altra parte, e ci siamo fermate a dormire lontano. Il giorno dopo non siamo tornate indietro, abbiamo continuato a camminare verso ovest». Ogni giorno il ritmo era lo stesso, ma i posti sempre nuovi. «Ogni giorno si incontravano altri cavalli e altre persone. Ogni giorno c’erano fieno, orzo e acqua con sapori diversi». Partire, morire, rinascere. Il senso iniziatico do ogni vero viaggio: «Tutto quello che c’è tra oriente e occidente è solo cammino. Partendo è tutto da inventare e tornando diventa quello che riesci a scoprire». Pensieri e sensazioni, in perfetta simbiosi con la cavalla: «Isotta ha saputo tradurmeli mentre comprendeva i miei errori, insegnandomi un linguaggio». Poi dicono che gli animali non abbiano il dono della parola. «Da sola non sarei stata capace di vedere certe cose». L’occhio di Isotta, il cuore della terra: «È stato un pellegrinaggio, non è ancora finito».(Il libro: Paola Giacomini, “Campo di stelle. A Santiago a cavallo”, pagine …. disponibile su Amazon a 15 euro).La cavalla si chiama Isotta Raminga. Ha un occhio solo, ma vede lontanissimo. Il suo sguardo si allunga su quasi duemila chilometri, dalle Alpi a Finisterre, dove ha fatto il bagno nell’Atlantico insieme alla sua inseparabile compagna, Paola Giacomini, esperta di trekking estremi. Ragazza e cavalla, sole. Sella e taccuino, per annotare le tappe di un pellegrinaggio dell’anima, scoprendo giorno per giorno la poesia dell’andare, lo sgomento dei cieli infiniti, la durezza della fatica, la magia degli incontri lungo il sentiero. Tutto intorno, la geografia più remota del sud-ovest europeo. Era il 2006, un milione di anni fa. In Sicilia l’antimafia arrestava Provenzano, mentre in Cile moriva Pinochet, uno degli ultimi ruderi del ‘900. Il nuovo millennio già si dava da fare: Jack Dorsay lanciava Twitter, Julian Assange fondava Wikileaks. E ancora all’appello mancavano Lehman Brothers e Fukushima, Mario Draghi e la Troika, la macelleria della Grecia, Monti e Fornero, la fine di Gheddafi, la carneficina della Siria, il losco carnevale di sangue firmato Isis. Se il mondo è impazzito, chi può leggerlo meglio di un cavallo con un occhio solo?
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Quelli che credono che sia tutto falso, gli attentati e i morti
«Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere» (Jules Henri Poincarè). Hanno iniziato con l’11 Settembre. Dicevano che non era vero niente, che tutto quello che abbiamo visto in televisione era falso, che non c’era nessun aereo che ha colpito le Torri Gemelle, che era tutta una messinscena creata a tavolino con le tecnologie digitali. Lo si capiva – dicevano – perché il “naso” dell’aereo spuntava da una delle due torri, oppure perché in certi fotogrammi televisivi l’ala dell’aereo sembrava momentaneamente scomparire. Poi c’è stata Sandy Hook. Anche questa era tutta una messinscena governativa: i ragazzini morti non erano morti davvero, e i genitori che li piangevano erano soltanto degli attori professionisti, pagati per fingere. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che uno di loro addirittura rideva, mentre raccontava della strage, e lo si capiva dal fatto – dicevano – che le ombre sul terreno non coincidevano con l’orario in cui sarebbe avvenuta la sparatoria.Poi c’è stata la maratona di Boston. Anche quella tutta una messinscena, con morti e feriti che non erano altro che manichini o attori professionisti. Poco importava se addirittura si fosse vista l’esplosione della bomba in diretta Tv. Era chiaramente – dicevano – una finta bomba. Poi c’è stato l’assassinio in diretta tv della giornalista americana. Anche quello era tutto un falso, secondo queste persone, girato in studio davanti ad un greenscreen. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che le assi del pavimento visto dall’alto non combaciavano con quelle viste dalla prospettiva del telecronista. Poi c’è stato Charlie Hebdo. Tutto falso anche quello. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che il poliziotto colpito a terra non perdeva nemmeno una goccia di sangue, mentre gli sparavano in testa. Poi c’è stato il Bataclàn. Anche quello, secondo loro, era tutta una messa in scena. Non si spiegavano altrimenti – dicevano – le scarsissime foto dell’eccidio all’interno del locale parigino.E poi c’è stato Bruxelles, l’altro giorno. Anche quello, tutto falso. Tutto una grandiosa messa in scena. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che c’erano in giro pochissime foto dei morti e dei feriti all’aeroporto, e che il colore della parete del metrò di Bruxelles era diverso da quello delle fotografie. Le argomentazioni, in ciascuno dei casi, sono molto varie e molto articolate. Ma qui non si tratta di metterle in discussione una per una (l’abbiamo già fatto in abbondanza, caso per caso), quanto piuttosto di comprendere il meccanismo stesso che porta certe persone ad immaginare queste complicatissime messinscene, rifiutandosi poi di riconoscere la loro intrinseca assurdità. La prima domanda che bisognerebbe porsi, infatti, di fronte a questo genere di ipotesi, è un semplicissimo “perché”? Perché mai andare a complicarsi la vita con una manipolazione digitale, in un centinaio almeno di video diversi, creando addirittura dei falsi fori di entrata degli aerei (con esplosivi, si presume), quando in realtà sarebbe stato 1000 volte più semplice prendere due aerei e schiantarli veramente contro le torri gemelle? Dove sarebbe la logica, in una scelta del genere?Perché mai andare ad inventarsi un massacro nella scuola di Sandy Hook, che t’impone poi di far scomparire letteralmente dalla circolazione tutti coloro che hai elencato come vittime, quando in realtà è molto più semplice mettere una bomba e farla esplodere davvero? Perché mai raccontare che 130 persone sono morte massacrate, disseminando il pavimento di manichini, di sangue cinematografico e di falsi cadaveri, quando in realtà era molto più semplice ammazzare veramente 130 poveri sventurati? Perché dover ricorrere a degli attori – e stiamo parlando di centinaia di attori, nel caso di Bruxelles – per mettere in scena tutte quelle persone che fuggono sul piazzale dell’aeroporto, oppure che si riversano sui marciapiedi fuori dalla fermata del metrò, quando bastano due semplici bombe, piazzate negli stessi luoghi, per ottenere lo stesso risultato?Si potrebbe andare avanti all’infinito, ad elencare le complicazioni e le difficoltà – e quindi le scarsissime probabilità di riuscita – che incontrerebbe chiunque volesse mettere in piedi una messinscena così complicata, ma forse a questo punto conviene fare un’altra considerazione, e domandarsi perché si arrivi anche solo ad immaginare una tale mancanza di senso pratico, da parte di chi organizza gli attentati. Io ritengo che dopo l’11 Settembre (quello vero, perpetrato con veri aerei scagliati contro le Torri Gemelle) in molti di noi sia completamente crollato il muro delle certezze, al punto di non fidarsi più di nulla e di nessuno. Ci siamo sentiti abbandonati, soli, in balìa del nostro destino. In altre parole, con l’11 Settembre i media ci hanno così profondamente tradito, rispetto alla fiducia che riponevamo il loro, che da quel giorno non crediamo più assolutamente a nulla di quello che i media ci raccontano. Nemmeno al fatto che è esplosa una semplice bomba nella metropolitana di Bruxelles.(Massimo Mazzucco, “Quelli che «è tutto falso»”, da “Luogo Comune” del 28 marzo 2016).«Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere» (Jules Henri Poincarè). Hanno iniziato con l’11 Settembre. Dicevano che non era vero niente, che tutto quello che abbiamo visto in televisione era falso, che non c’era nessun aereo che ha colpito le Torri Gemelle, che era tutta una messinscena creata a tavolino con le tecnologie digitali. Lo si capiva – dicevano – perché il “naso” dell’aereo spuntava da una delle due torri, oppure perché in certi fotogrammi televisivi l’ala dell’aereo sembrava momentaneamente scomparire. Poi c’è stata Sandy Hook. Anche questa era tutta una messinscena governativa: i ragazzini morti non erano morti davvero, e i genitori che li piangevano erano soltanto degli attori professionisti, pagati per fingere. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che uno di loro addirittura rideva, mentre raccontava della strage, e lo si capiva dal fatto – dicevano – che le ombre sul terreno non coincidevano con l’orario in cui sarebbe avvenuta la sparatoria.
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Pilger: Terza Guerra Mondiale, solo Trump non la vuole
Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.Al mio ritorno, fermandomi all’aeroporto di Honolulu notai una rivista americana chiamata “Women’s Health”. Sulla copertina c’era una donna sorridente in bikini, e il titolo: “Anche voi, potete avere un corpo da bikini”. Pochi giorni prima, nelle Isole Marshall, avevo intervistato donne che hanno avuto “corpi da bikini” molto diversi; ognuna di loro soffriva di cancro alla tiroide e di altri tumori mortali. A differenza della donna sorridente sulla rivista, tutte erano povere: vittime e cavie umane di una superpotenza rapace che oggi è più pericolosa che mai. Racconto questa mia esperienza come avvertimento e per interrompere una confusione che ha stremato tanti di noi. Il fondatore della propaganda moderna, Edward Bernays, descrisse questo fenomeno come «la manipolazione consapevole e intelligente di abitudini e opinioni» delle società democratiche. Lo chiamò un «governo invisibile». Quante sono le persone consapevoli del fatto che una guerra mondiale è cominciata? Per il momento si tratta di una guerra di propaganda, di menzogne, di distrazione, ma tutto ciò può cambiare istantaneamente con il primo ordine sbagliato, con il primo missile.Nel 2009, il presidente Obama si trovava davanti ad una folla adorante nel centro di Praga, nel cuore dell’Europa. Lì si impegnò a rendere il mondo «libero da armi nucleari». La gente lo applaudì e alcuni piansero. Un torrente di banalità fluì da parte dei media. Successivamente, ad Obama fu assegnato il premio Nobel per la Pace. Era tutto falso. Stava mentendo. L’amministrazione Obama ha costruito più armi nucleari, più testate nucleari, più sistemi di distribuzione nucleari, più fabbriche nucleari. La sola spesa per le testate nucleari è cresciuta di più sotto Obama che sotto ogni altro presidente americano. Spalmato su trent’anni, il costo supera il trilione di dollari. Si sta pianificando la fabbricazione di una mini-bomba nucleare. È conosciuta come la B61 Modello 12. Non c’è mai stato nulla di simile. Il generale James Cartwright, un ex vice presidente del Joint Chiefs of Staff, ha detto: «Facendolo più piccolo [rende l'utilizzo di questo ordigno nucleare] un’arma più plausibile».Negli ultimi diciotto mesi, il più grande accumulo di forze militari dalla Seconda Guerra Mondiale – pianificato dagli Stati Uniti – si sta attuando lungo la frontiera occidentale della Russia. È dai tempi dell’invasione di Hitler all’Unione Sovietica che la Russia non subisce una minaccia tanto evidente da parte di truppe straniere. L’Ucraina – un tempo parte dell’Unione Sovietica – è diventata un parco a tema della Cia. Dopo aver orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington controlla effettivamente un regime che è vicino e ostile alla Russia: un regime letteralmente infestato da nazisti. Parlamentari ucraini di spicco sono i diretti discendenti politici dei famigerati fascisti dell’Oun e dell’Upa. Inneggiano apertamente a Hitler e chiedono l’oppressione e l’espulsione della minoranza di lingua russa. Raramente questo fa notizia in Occidente, o la si inverte per sopprimere la verità. In Lettonia, Lituania ed Estonia – alle porte della Russia – l’esercito americano sta schierando truppe da combattimento, carri armati, armi pesanti. Di questa estrema provocazione alla seconda potenza nucleare del mondo non si parla in Occidente.Quello che rende la prospettiva di una guerra nucleare ancora più pericolosa è una campagna parallela contro la Cina. Sono rari i giorni in cui la Cina non raggiunge il rango di “minaccia”. Secondo l’ammiraglio Harry Harris, comandante della flotta statunitense nel Pacifico, la Cina sta «costruendo un grande muro di sabbia nel Mar Cinese Meridionale». Ciò a cui fa riferimento è che la Cina sta approntando piste di atterraggio nelle Isole Spratly, che sono oggetto di un contenzioso con le Filippine – una controversia senza priorità fino a quando Washington non fece pressioni corrompendo il governo di Manila, mentre il Pentagono ha lanciato una campagna di propaganda chiamata “libertà di navigazione”. Cosa significa tutto ciò, in realtà? Significa che le navi da guerra americane hanno la libertà di pattugliare e dominare le acque costiere della Cina. Provate ad immaginare la reazione americana se navi da guerra cinesi facessero la stessa cosa al largo della costa della California.Ho girato un film intitolato “La Guerra che non vedete”, in cui ho intervistato illustri giornalisti in America e in Gran Bretagna: reporter del calibro di Dan Rather della “Cbs”, Rageh Omaar della “Bbc”, David Rose dell’“Observer”. Tutti hanno detto che se i giornalisti e le emittenti mediatiche avessero fatto il loro dovere e messo in discussione la propaganda che asseriva che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, e se le bugie di George W. Bush e Tony Blair non fossero state amplificate e riportate dai giornalisti, l’invasione dell’Iraq nel 2003 non sarebbe avvenuta, e centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero ancora vivi, oggi. In linea di principio la propaganda che sta preparando il terreno per una guerra contro la Russia e/o la Cina non è diversa. Per quanto ne so io, nessun giornalista occidentale tra i più quotati – uno come Dan Rather, per dire – chiede perché la Cina sta costruendo piste di atterraggio nel Mar Cinese Meridionale.La risposta dovrebbe essere palesamente ovvia. Gli Stati Uniti stanno circondando la Cina con una rete di basi con missili balistici, gruppi d’assalto, bombardieri armati di testate nucleari. Questo arco letale si estende dall’Australia alle isole del Pacifico, le Marianne e le Marshall e Guam nelle Filippine, quindi in Thailandia, a Okinawa, in Corea e in tutta l’Eurasia, in Afghanistan e in India. L’America ha appeso un cappio intorno al collo della Cina. Ma questo non fa notizia. Il silenzio dei media è guerra tramite i media. In tutta segretezza, nel 2015, gli Stati Uniti e l’Australia hanno inscenato la più grande esercitazione militare “aria-mare” della storia recente, chiamata “Talisman Sabre”. Lo scopo era quello di collaudare un piano di battaglia “aria-mare”, bloccando arterie marittime, come lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Lombok, che tagliano l’accesso della Cina al petrolio, gas e altre materie prime vitali che arrivano dal Medio Oriente e dall’Africa.Nel circo noto come la campagna presidenziale americana, Donald Trump è stato presentato come un pazzo, un fascista. Certamente odioso lo è; ma è anche una figura di odio mediatico. Questo da solo dovrebbe suscitare il nostro scetticismo. Il punto di vista di Trump sulla migrazione è grottesco, ma non più grottesco di quello di David Cameron. Non è Trump il “grande deportatore” dagli Stati Uniti, ma il vincitore del Premio Nobel per la Pace, Barack Obama. Secondo un geniale commentatore liberale, Trump sta «scatenando le forze oscure della violenza» negli Stati Uniti. Sta scatenando? Questo è il paese dove i poco più che lattanti sparano alle loro madri e dove la polizia ha dichiarato una guerra assassina contro i neri americani. Questo è il paese che ha attaccato e cercato di rovesciare più di 50 governi, molti dei quali democrazie, e bombardato dall’Asia al Medio Oriente, causando morte e privazioni a milioni di persone. Nessun paese può uguagliare questo sistematico record di violenza. La maggior parte delle guerre americane (quasi tutte contro paesi indifesi) sono stati lanciate non da presidenti repubblicani, ma da democratici liberali: Truman, Kennedy, Johnson, Carter, Clinton, Obama.Una serie di direttive del Consiglio di Sicurezza Nazionale, nel 1947, determinava che l’obiettivo primario della politica estera americana fosse “un mondo sostanzialmente fatto a propria [dell'America] immagine”. L’ideologia era l’americanismo messianico. Eravamo tutti americani. Altrimenti…. gli eretici sarebbero stati convertiti, sovvertiti, corrotti, macchiati o schiacciati. Donald Trump è un sintomo di tutto ciò, ma è anche un anticonformista. Dice che è stato un crimine invadere l’Iraq; lui non vuole andare in guerra contro la Russia e la Cina. Il pericolo per il resto di noi non è Trump, ma Hillary Clinton. Lei non è anticonformista. Lei incarna la resilienza e la violenza di un sistema il cui decantato “eccezionalismo” è totalitario, con un occasionale volto liberale. Mentre il giorno delle elezioni presidenziali si avvicina, la Clinton sarà salutata come il primo presidente donna, a prescindere dai suoi crimini e menzogne – proprio come Barack Obama è stato osannato come il primo presidente nero e i liberali si bevvero le sue sciocchezze sulla “speranza”. E lo sbavare continua.Descritto dal giornalista del “Guardian” Owen Jones come «divertente, affascinante, con un’impassibilità che sfugge praticamente ad ogni altro politico», l’altro giorno Obama ha inviato droni a macellare 150 persone in Somalia. Di solito lui uccide la gente il martedì, secondo quanto scrive il “New York Times”, quando gli viene consegnato un elenco di candidati per la morte da drone. Molto cool. Nella campagna presidenziale del 2008, Hillary Clinton minacciò di «annientare totalmente» l’Iran con armi nucleari. Come segretario di Stato sotto Obama, ha partecipato al rovesciamento del governo democratico dell’Honduras. Il suo contributo alla distruzione della Libia nel 2011 è stato quasi allegro. Quando il leader libico, il colonnello Gheddafi, fu pubblicamente sodomizzato con un coltello – un omicidio reso possibile dalla logistica americana – la Clinton gongolava per la sua morte: «Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto».Uno dei più stretti alleati della Clinton è Madeleine Albright, l’ex segretario di Stato, che ha attaccato le giovani donne che non sostengono “Hillary”. Questa è la stessa Madeleine Albright, tristemente ricordata per aver detto in tv che la morte di mezzo milione di bambini iracheni era «valsa la pena». Tra i più grandi sostenitori della Clinton troviamo la lobby israeliana e le società di armi che alimentano la violenza in Medio Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una fortuna da Wall Street, e lei sta per essere nominata come candidato delle donne, per sbarazzarsi del malvagio Trump, il demone ufficiale. I suoi sostenitori includono femministe illustri: gente del calibro di Gloria Steinem negli Stati Uniti e Anne Summers in Australia. Una generazione fa, un culto post-moderno ora conosciuto come “politica dell’identità” ha fatto sì che molte persone intelligenti e dalla mentalità liberale smettessero di esaminare le cause e gli individui che sostenevano – come le falsità di Obama e della Clinton, o come i fasulli movimenti progressisti tipo “Syriza” in Grecia, che hanno tradito il popolo di quel paese e si sono alleati con i loro nemici. L’essere assorbiti da se stessi, una sorta di “me-ismo”, è diventato il nuovo spirito del tempo nelle società occidentali privilegiate ed ha siglato la fine dei grandi movimenti collettivi contro la guerra, l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza, il razzismo e il sessismo.Oggi, il lungo sonno potrebbe essere terminato. I giovani si stanno scuotendo di nuovo, gradualmente. Le migliaia in Gran Bretagna che hanno sostenuto Jeremy Corbyn come leader laburista fanno parte di questo risveglio – come lo sono quelli che si sono radunati per sostenere il senatore Bernie Sanders. La settimana scorsa in Gran Bretagna, il più stretto alleato di Jeremy Corbyn, John McDonnell, ha impegnato un prossimo governo laburista a pagare i debiti delle banche piratesche, cioè a continuare di conseguenza, la cosiddetta austerità. Negli Stati Uniti, Bernie Sanders ha promesso di sostenere la Clinton se e quando sarà nominata come candidato presidenziale. Anche lui ha votato perché l’America usi la violenza contro altri paesi quando pensa che sia «giusto». Dice che Obama ha fatto «un ottimo lavoro».In Australia, c’è una sorta di politica mortuaria, in cui i noiosi giochi parlamentari vengono riproposti nei media, mentre i rifugiati e gli indigeni sono perseguitati e la disuguaglianza cresce, insieme al pericolo di guerra. Il governo di Malcolm Turnbull ha appena annunciato un cosiddetto bilancio per la difesa di 195 miliardi di dollari che avvicina alla guerra. Non c’è stato alcun dibattito. Silenzio. Dov’è andata a finire la grande tradizione di azione diretta popolare, slegata dai partiti? Dove sono il coraggio, la fantasia e l’impegno necessari per iniziare il lungo viaggio verso un migliore, giusto e pacifico mondo? Dove sono i dissidenti dell’arte, del cinema, del teatro, della letteratura? Dove sono quelli che romperanno il silenzio? O aspettiamo che venga sparato il primo missile nucleare?(John Pilger, riassunto di una recente lezione tenuta all’Università di Sydney, dal titolo “Una Guerra Mondiale è cominciata”; post ripreso dal sito “Counterpunch” del 23 marzo 2016 e tradotto da Gianni Ellena per “Come Don Chisciotte”. Di origine australiana, tra i più noti e prestigiosi giornalisti internazionali, Pilger ha ricevuto numerosi premi e dottorati per le sue battaglie per i diritti umani ed è stato nominato per ben due volte “Giornalista dell’anno” in Inghilterra).Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.
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Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
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Terrore surrealista, anche a Bruxelles il festival del falso
I morti sono veri, il resto no: a cominciare dalle immagini dell’aeroporto devastato dall’esplosivo, che non è quello di Bruxelles ma quello di Mosca, immagini del 2011 spacciate per attuali da tutte le televisioni. Dopo Charlie Hebdo e la strage del Bataclan, per Roberto Quaglia stiamo ormai viaggiando verso il “terrorismo surrealista”, costruito con una narrazione “impazzita”, senza più alcun legame con la realtà. «Il capo dei servizi segreti ucraini tiene ad informarci che “non si stupirebbe” se dietro agli attentati di Bruxelles ci fosse la Russia», mentre il dittatore turco Ergogan, finanziatore dell’Isis attraverso il traffico di petrolio, si dichiara pronto ad aiutare Bruxelles a combattere il terrorismo, pochi giorni dopo avere dichiarato che «non ci sono motivi perché le bombe esplose ad Ankara non possano esplodere a Bruxelles». Non solo: «Per esclusive ragioni di alto surrealismo dobbiamo anche ricordare che in un’intervista a “Bel-Rrt” del 26 aprile 2013 a proposito dei jihadisti belgi il ministro degli esteri belga Didier Reynders aveva dichiarato: “Forse gli faremo un monumento come eroi di una rivoluzione”. Qualcuno dovrebbe ora chiedergli: quel momento è venuto?».