Archivio del Tag ‘storia’
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Grillo scelga i migliori, se vuol salvare la Terza Repubblica
Machiavelli scrisse il “Principe” per trovare soluzioni politiche pratiche e per immaginare un soggetto forte che le mettesse in atto. Pensava che nella crisi di allora ci fosse comunque un’opportunità. Anche nella crisi di oggi sorgono opportunità, cambieranno gli interpreti, muteranno i partiti politici. E in molti già ora vogliono dire la loro, esserci, sfiorare i panni che il “Principe” potrà vestire. Che “Principe” avremo nel 2013? Monti? Berlusconi? Bersani? O magari proprio Grillo, come si augura Pino Cabras? Stretto collaboratore di Giulietto Chiesa nel laboratorio politico “Alternativa”, Cabras lancia una proposta precisa: allargare la rappresentanza dei “5 Stelle”, aprire agli indipendenti, irrobustire le candidature e puntare su un programma forte, in grado di ribaltare per davvero il futuro della Terza Repubblica che si va preparando.
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Il ministro di ferro: contro i No-Tav, repressione europea
La rete è una miniera. Occorre tempo e pazienza, ma se si ha la fortuna di avere disponibili l’uno e l’altra si possono capire cose che a prima vista sfuggono. Per esempio che il vertice tra la Francia e l’Italia del 3 dicembre è stato ben altro che la firma dei dossier copia&incolla redatti dall’atelier vintage BessonVirano di quel che rimane (il buco) del sogno di mezzo secolo (scorso) Lyon-Torino. Appena un po’ più in là dei riflettori tutti accesi sui desiderata delle lobby bypartisan di banche e imprese, un giovane rampante in dieta punti e una non più giovanissima signora di taglia un po’ forte hanno siglato un impegno comune per la «lotta alla criminalità e al terrorismo, sicurezza stradale, normativa in materia di asilo e gestione dei flussi migratori». E – ancora pescando dal comunicato ufficiale – si apprende che «al termine del confronto è stata ribadita la comune volontà di rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza interna, a conferma dei già ottimi risultati raggiunti tra i due Paesi».
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Sinistra radicale? Giannuli: lasciate perdere, siete finiti
Diversi amici e compagni mi sollecitano un parere su cosa dovrebbe fare la sinistra radicale in vista delle elezioni. Risposta semplice: nulla, e passare la mano. Infatti, almeno per questo giro, non c’è nulla da fare, la sinistra radicale si è suicidata: non si possono perdere 4 anni e 10 mesi e pretendere di risolvere tutto con un tentativo degli ultimi due mesi, siamo seri! Iniziamo da Vendola: la scelta di sottoscrivere l’alleanza con il Pd si è risolta nel disastro che era stato facile prevedere. Nichi, che due anni fa di questi tempi, sognava di arrivare primo in elezioni primarie della sinistra (e forse avrebbe potuto anche farcela) non è arrivato neppure al secondo turno, surclassato da Renzi che ha preso il doppio dei suoi voti. Per cui, l’alternativa a Bersani non era alla sua sinistra ma alla sua destra ed a Nichi non resta che fare la ruota di scorta di un Pd esplicitamente orientato a mantenere la linea fallimentare del rigore montiano.
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Michele Serra: la crisi finirà solo con una guerra mondiale?
«Vicende come quella dell’Ilva alimentano un sospetto radicale. Che questa crisi non finirà mai: nel senso che questo sistema produttivo, questa organizzazione del lavoro, questi modelli di consumo hanno concluso la loro parabola ascendente, imboccando la china declinante. Se questo è vero – se, cioè, la crisi è davvero “strutturale” o “di sistema” come dicono in parecchi – chiunque annunci la fine della crisi mente; o si sbaglia; o si sente in dovere di dare conforto». Parola di Michele Serra, che si esprime così, il 28 novembre, su “L’Amaca”, la piccola rubrica quotidiana che tiene su “Repubblica”. Parole chiare, e tanto lontane – per fortuna – dall’ipocrisia che domina la narrazione generalista, le finte analisi della politica, i surreali salotti televisivi.
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Lester Brown: presto non ci sarà più da mangiare per tutti
Il mondo è in una fase di transizione, da un’epoca dominata dal surplus, ad una dominata dalla scarsità. Sono in atto varie tendenze, che interessano sia la domanda che l’offerta e che portano ad un impoverimento delle scorte alimentari mondiali e ad un aumento dei prezzi. Questa situazione non è temporanea, si tratta piuttosto di una transizione di lungo periodo dall’abbondanza alla scarsità. Sotto il punto di vista della domanda c’è l’aumento della popolazione; non è una novità, negli ultimi decenni siamo cresciuti al ritmo di ottanta milioni l’anno. In pratica significa che stasera ci saranno 219.000 persone sedute a cena che ieri sera non c’erano, e che domani ce ne saranno altre 219.000 in più. La crescita della popolazione è continua e non accenna a diminuire. Il secondo elemento che crea l’aumento della richiesta di cibo è l’aumento della ricchezza. Aumentando il reddito, la gente, indipendentemente da dove si trovi, sale nella catena alimentare, e consuma più carne e pollame.
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Pallante: scordiamoci questi partiti, non lavorano per noi
Per favore, lasciamo perdere i partiti: con loro è tempo perso. Sanno solo ripetere la fiaba della crescita, che si sta frantumando giorno per giorno sotto i nostri occhi. Di loro non c’è da fidarsi: sono alleati, da sempre, con la grande industria, la finanza e le multinazionali, comprese quelle degli armamenti, necessari per dominare il pianeta allo scopo di garantirsi il monopolio delle risorse planetarie. Il mondo si è rotto, e non saranno certo loro a ripararlo: serve una nuova alleanza sociale, che metta insieme movimenti liberi, cittadini attivi, sindacati indipendenti, piccole imprese, artigiani e agricoltori. Un patto, per invertire la rotta verso l’unica soluzione possibile: la “decrescita selettiva” della produzione di merci, creando occupazione “utile” fondata sui territori, tagliando gli sprechi. «Solo per l’energia, l’Occidente butta via il 70% di quello che produce». Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita, lancia un appello: uniamo le forze, da subito, per riscrivere l’agenda dell’Italia.
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Come siam piccoli, visti dal forziere energetico del pianeta
Spesso è proprio questione di punti di vista. Non è una grande novità, molti (io no) la pensano sempre così. Ma spesso è utile saper modificare il “punto di vista”: permette di vedere le cose in tre dimensioni, qualche volta di più. Per esempio, qualche tempo fa stavo a bordo del “Demian Bednij”, grossa nave che potrebbe fare la sua figura anche nel Mediterraneo, ma che non arriverà mai in questo mare nostrum. Forse dovrei dire anche chi era Demian Bednij che, in russo, vuol dire Demian “il povero”. Se gli hanno dedicato una grossa nave vuol dire che, per qualcuno, qualche merito lo avrà avuto. Infatti fu un grande poeta russo, che si chiamava in realtà Yefim Alekseevic Pridvorov, che fu amico di Trozkij e di Stalin, ma anche di Mandelstam, e poi odiato dal partito, ma anche il poeta preferito di Nikita Krushev. Eccetera. La storia della rivoluzione bolscevica è piena di queste singolarità, ma tutto questo non c’entra niente con la rivelazione della relatività che io ebbi a bordo del “Demian Bednij”.
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Il mondo ha fame: benvenuti nell’era degli agro-dollari
Se ci chiediamo quale valuta sia servita per l’acquisto delle materie prime o per rafforzare i sistemi nel corso del secolo passato della storia umana, non possiamo che pensare ai petrodollari: non è sbagliato dire che niente ha plasmato il mondo moderno quanto i 2.300 miliardi di dollari l’anno per l’esportazione di energia. Vera e propria “valuta di riserva”: tutti dollari Usa, anche se ora emergono alternative come quella della Turchia, che ha cominciato a pagare in oro il petrolio dell’Iran, mettendo in forse lo status quo dei petrodollari. Ma se le nuove tecnologie per le rinnovabili e il gas soppianteranno il petrolio, segneranno anche la fine dei petrodollari? Prima o poi potrebbe cominciare l’era degli agro-dollari, se – come si comincia ad osservare – lo squilibrio più evidente che definirà il profilo del commercio globale nei prossimi anni non sarà più quello energetico, ma quello alimentare.
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Usato sicuro, l’equivoco delle primarie targate Monti
Settimane di ipnosi mediatica totale, dopo lo choc della Sicilia “grillina”, grazie anche all’eclissi del centrodestra: tivù e giornali scatenati, nemmeno fossero state le primarie Usa, e non invece le piccole primarie del centrosinistra italiano, “trionfo di partecipazione democratrica” che ha coinvolto un’esigua minoranza, il 5% del paese, un italiano su venti. Finale scontato: grazie anche a Vendola, ormai ridotto a una costola del Pd, vince l’“usato sicuro” di Bersani, che rottama il giovane Renzi e si tiene stretto Mario Monti, pensando magari di “promuoverlo” al Quirinale – a meno che, come suggerisce Claudio Burlando, i sostenitori del professore imposto dai poteri forti non pensino di ripescare per il Colle nientemeno che Romano Prodi, l’uomo che più di ogni altro – firmando drammatici trattati-capestro – ha concorso all’euro-disastro nel quale si dibatte ora l’Italia, prigioniera dell’Eurozona.
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L’Olanda: chi vuole, lasci l’euro. Cadrà il Muro di Bruxelles?
Il governo olandese vuole consentire l’abbandono dell’euro ai paesi in crisi con le regole dell’unione monetaria ed economica. Una svolta annunciata da un’intervista del premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a “Süddeutsche Zeitung” e “Financial Times”, la prima effettuata dal leader dei liberali dopo la formazione del nuovo governo. L’esecutivo olandese, scrive il blog di Gad Lerner, si è contraddistinto finora per essere uno dei più fedeli alleati di Angela Merkel nella difesa dell’austerity come politica economica per risolvere la crisi dei debiti sovrani. E nonostante il recente cambio di maggioranza – al posto del centrodestra ora i Paesi Bassi sono governati da un’alleanza tra liberali e sinistra riformista – questa posizione non cambierà, almeno secondo Rutte. I paesi dell’eurozona che sono in difficoltà con i programmi di austerità però potrebbero lasciare la moneta unica, se lo volessero.
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Vendola sconfitto: non può attaccare Monti stando col Pd
Tocca ammetterlo, e dispiace soprattutto se almeno idealmente ci si sente vicini alle proposte e alla cultura di Nichi Vendola: ma l’unico vero sconfitto di queste primarie-concorso è proprio lui. La sua strategia – come tanti del suo mondo gli avevano già fatto notare – si è dimostrata un fallimento. E il misero 15 per cento era in realtà una storia già scritta. Praticamente da tre anni a questa parte il leader di Sel ha fatto fuoco e fiamme giorno per giorno: voleva le primarie, le voleva a tutti i costi. Perché le primarie erano il rumore del mare che un bambino ascolta dentro la conchiglia, e roba del genere, raccontava lui. Pareva quasi che il futuro della sinistra, che il riscatto dei lavoratori, degli studenti, della Fiom, degli sfruttati di tutto il mondo stesse lì: nelle primarie. Un modo un po’ edulcorato per rappresentare la realtà di un Paese, e soprattutto di una coalizione sorretta dal Pd, che nel frattempo ha votato tutti i provvedimenti del governo Monti (che a parole Vendola combatte).
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Sapelli: lavoro, non profitto. E bastano tre ore al giorno
Tre ore di lavoro al giorno? «Sono più che sufficienti», purché si tratti di «lavoro liberato» dalla schiavitù del profitto. Giulio Sapelli concorda con Keynes: ridurre l’orario di lavoro è possibile, eccome. «E sarebbe una grande liberazione». Parola d’ordine: cooperazione, al posto dell’attuale – fallimentare – competitività. Sembra l’annuncio di morte del capitalismo moderno, dopo oltre due secoli di industria. Lo pronuncia, senza imbarazzi, uno dei maggiori storici italiani dell’economia: professore alla London School of Economics e poi a Barcellona, Sapelli è un big di prima grandezza nel panorama economico e finanziario italiano: già consulente dell’Olivetti e consigliere di amministrazione dell’Eni, è stato presidente della fondazione del Monte dei Paschi di Siena e membro del Cda di Unicredit. Rappresentante per l’Italia di Transparency International, organizzazione che lotta contro la corruzione economica, dal 2002 è tra i componenti del World Oil Council e dal 2003 fa parte dell’International Board dell’Ocse per il settore no-profit.