Archivio del Tag ‘storia’
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Italia kaputt, a Palazzo Chigi il super-piazzista dell’euro
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Era il 1997 ed Enrico Letta annunciava, nel suo saggio pubblicato da Laterza, che sarebbe valsa la pena di morire per l’euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia”. «Non c’è un paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di una moneta unica», disse al “Corriere della Sera”, al termine del suo primo incarico importante, la partecipazione alla commissione per l’introduzione dell’euro. «Abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che, quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna: è impossibile che non abbiano successo, il mercato della moneta unica sarà una buona scuola, ci troveremo bene». Questo è l’uomo a cui l’appena rieletto Napolitano affida il “governissimo”.
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Hollande: diritti gay per mascherare le purghe neoliberiste
La chiamano “primavera francese”, in consonanza con le celebrate rivolte arabe: in apparenza, un milione di cittadini è sceso in piazza per opporsi al nuovo disegno di legge sui matrimoni gay, adozioni incluse, ma in realtà la folla protestava contro le nuove politiche neoliberali del detestato governo Hollande, che ha reagito con la brutalità della polizia antisommossa e l’arresto di 67 dimostranti. Stando ai sondaggi, il “compagno” Hollande è il presidente di gran lunga più impopolare di sempre: il suo partito, teoricamente socialista, «va avanti con le sue politiche neoliberali, stavolta d’accordo con sindacati docili». La malvagia Strega dell’Ovest è morta, ma il suo spirito è ancora con noi, dice Israel Shamir, riferendosi alla Thatcher. I ministri “con conti all’estero” stanno rovinando i francesi: col nuovo “accordo nazionale”, le aziende potranno aumentare le ore di lavoro, ridurre i salari al minimo e applicare la “mobilità lavorativa” coatta: chi rifiuta il trasferimento può essere licenziato su due piedi e senza indennizzo.
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Marini: il Pd è allo sbando, agli ordini dei poteri forti
Il Pd è in mano ai “potentati” che lo dominano e lo lacerano: parola di Franco Marini, bocciato il 17 aprile 2013 nella corsa per il Quirinale nonostante il sostegno dichiarato di Pd e Pdl, oltre a montiani e Lega. Il “tradimento”? Tutto interno al Pd, e non per colpa del solo Bersani, indeciso su tutto ma anche vittima dei veti incrociati che dilaniano un partito al tramonto, preda di un «dilagante opportunismo». Una piaga che «tocca larghissimamente il gruppo dirigente», dichiara Marini a Lucia Annunziata. Nel Pd «si sono rafforzati più i potentati che una idea larga di partito». E Renzi? «E’ uno che ha un livello di ambizione sfrenata, a volte parla e non si sa quello che dice, cerca solo i titoli sui giornali: se non modera questa ambizione finisce fuori strada». Parole dure e dirette, dall’ex presidente del Senato e già leader della Cisl. Fosse stato eletto al Quirinale, dicono diversi giornalisti, avrebbe probabilmente esordito con un discorso alla nazione pronunciato dal Sulcis o dall’Ilva di Taranto.
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Barnard: Harvard, stragisti falsari da impiccare in piazza
Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sono due economisti Neoclassici di Harvard (Usa) che qualche tempo fa scrissero uno studio che dimostrava come le nazioni gravate dal alto debito pubblico (+ del 90% del Pil soffrono inevitabilmente un crollo economico (meno crescita). Il loro lavoro, intitolato “Growth in a Time of Debt.”, datato 2010, è stato preso a modello da tutta la tecnocrazia europea che ha imposto a Italia, Irlanda, Spagna, Grecia, Portogallo, ma anche alla Francia e alla Germania, la più devastante disciplina delle Austerità economiche nella storia dell’Europa, con risultati ormai talmente agghiaccianti da non necessitare neppure più di commenti. Alla testa dei tecnodistruttori e primo ammiratore di “Growth in a Time of Debt” sta il Torquemada delle Austerità, l’ignobile Olli Rehn, responsabile finanziario della Commissione Europea.
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Il Palazzo dei morti si è arreso al diktat contro l’Italia
«Vilipendio al popolo italiano», tuona Giulietto Chiesa: l’inaudita rielezione di Napolitano al Quirinale, maturata con la resa del Pd ormai “suicidato” da Bersani, è un oltraggio per i milioni di italiani che invocavano, con Grillo, il nome di Stefano Rodotà come garante di una Costituzione calpestata dalla casta dei partiti e demolita giorno per giorno dall’oligarchia tecnocratica europea, che mira a cancellare lo Stato e il suo sistema di protezioni sociali, sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore. «Come avrete capito – protesta “Megachip” – riavremo un governo molto peggiore del terribile governo Monti. E si va allo scontro, politico e sociale». Drammatici gli appelli alla mobilitazione popolare: dal leader del “Movimento 5 Stelle”, che parla di “golpe”, a Paolo Flores d’Arcais che su “Micromega” esorta gli italiani che hanno assediato Montecitorio a restare in piazza, «contro la vergogna di un presidente dell’inciucio, e del salvacondotto per il Caimano».
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Temono Rodotà perché si rifiuterebbe di tradire l’Italia
Gesù ebbe dei guai quando fu tradito da appena un discepolo su dodici. Prodi e Bersani sono stati traditi da uno su quattro. Nei guai di Prodi e Bersani, un gorgo di guai, c’è tutta la sinistra degli ultimi vent’anni, ormai giunta al capolinea, definitivamente, senza rimedio. Si apre uno squarcio enorme nel sistema, un cataclisma che proietterà i suoi effetti per lungo tempo a venire. La crisi italiana è composta da tanti strati esplosivi: lo strato dell’economia, della politica, della giustizia, e altri ancora. Oggi è esploso definitivamente lo strato della crisi politica. Il Partito Democratico è decapitato nel modo peggiore. Andrea Scanzi, uno dei testimoni più lucidi in questi giorni convulsi, sintetizza così: «Si è dimesso il sicario del Pd. Sbagliando persino i tempi delle dimissioni. Lo ricorderemo come l’uomo che ha sbagliato tutto. Politicamente non ci mancherà. Come non ci mancherà la Bindi. Come non ci mancherebbero le Finocchiaro. Avete fallito. Andate via e non tornate.» Eppure una soluzione istituzionale era lì sotto gli occhi: Rodotà. Non l’hanno voluta, fino a immolarsi. Perché?
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Afghanistan, sotto la Nato l’eroina è aumentata di 40 volte
Via dall’Afghanistan, la più infame delle guerre. Lo chiedono i grillini in Parlamento, invocando il ritiro immediato delle nostre truppe. «A Kabul spendiamo circa 800 milioni l’anno, ma probabilmente i soldi sono molti di più, perché dubito che vengano registrati quelli che diamo ai talebani perché non ci attacchino», polemizza Massimo Fini. «Con un miliardo non si risana un’economia, però qualche problemino potrebbe essere risolto, poniamo quello degli esodati». Strana guerra, ufficialmente nata per cacciare i talebani, armati dallo stesso Occidente per sfrattare l’Armata Rossa, mentre Osama Bin Laden «se ne stava al calduccio nella sua villa pakistana premurosamente assistito dai servizi segreti di Islamabad». Se il terrorismo fu l’alibi dell’invasione, la parola-chiave in Afghanistan è un’altra: droga. Da quando al posto dei “cattivi” talebani ci sono i soldati Nato, la produzione di eroina è aumentata di 40 volte.
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Giulietto Chiesa: non azzardatevi a toccare il nostro oro
Dovrei parlare delle bombe di Boston, anche perché ho ricevuto numerose richieste di esprimermi in merito, ma non lo farò. Per due motivi: il primo è che non mi fido delle notizie finora giunte e di quello che dicono gli inquirenti di Boston, perché stanno emergendo – solo in Rete – particolari e interrogativi inquietanti circa preparativi o eventi che hanno preceduto di poco quelle esplosioni. Secondo la testimonianza di un noto maratoneta, un veterano, Alistair Stevenson, era in corso un’esercitazione con cani addestrati alla ricerca di bombe prima che gli eventi diventassero drammatici, cioè prima delle esplosioni, e l’esercitazione fu addirittura annunciata con gli altoparlanti dalla polizia. La stessa notizia la fornisce il “Boston Globe”, anch’esso in Rete. La polizia smentisce; noi ne prendiamo atto, in attesa di notizie più precise, e fermiamoci qui. Il secondo motivo per cui parlerò d’altro è che sono in corso esplosioni molto più drammatiche.
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Gino Giugni, un eroe democratico per salvare l’Italia
«Mi auguro, almeno, di non vedere più un partito socialista schierato con la destra». Sembrano scritte ieri queste parole di Gino Giugni, padre della più importante conquista nella storia democratica del paese: lo Statuto dei Lavoratori. Quello di Giugni – così simile a Stefano Rodotà per temperamento, trasparenza, sobrietà, fermezza e cultura politica – sarebbe il profilo perfetto per l’uomo chiamato, dal Quirinale, a guidare l’Italia nella spaventosa tempesta del 2013. «Il problema è che oggi questa figura non esiste», dice Paolo Barnard. Nostalgia Giugni: ovvero, il socialismo umanitario aggiornato al terzo millennio. La risposta democratica alla crisi, impugnando la dignità fondamentale della vera politica. «Sarà un po’ antico, ma l’unica via di salvezza resta il socialismo», è arrivato a confidare il più impervio degli intellettuali italiani, Guido Ceronetti, in un recente incontro coi ragazzi torinesi del Movimento per la Decrescita Felice fondato da Maurizio Pallante.
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Quirinale e governo: ecco i veri potenti che decidono tutto
Commissione Trilaterale, Bruegel, Aspen, Astrid. E in primo piano la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Questi i soli e veri tavoli abilitati a giocare la partita per la guida del paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale: una ragnatela di interessi di potere e personaggi collocati in ruoli di vertice, dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei paesi occidentali. A sorpresa, scrive “Dagospia” in un’analisi sui retroscena delle manovre, dentro gli organigrammi dei più “prestigiosi” istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato uscente. «Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato: proprio come ai tempi del Britannia», quando la transizione tra Prima e Seconda Repubblica fu “commissariata” dalle lobby mondiali delle privatizzazioni sul panfilo dei reali inglesi, nella cena in cui fu scelto il loro uomo: Mario Draghi.
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Marini e l’inciucio degli zombie, il suicidio finale del Pd
La parabola del Partito Democratico precipita nel baratro nella tarda serata del 17 aprile 2013. La candidatura di Marini alla presidenza della Repubblica, avanzata da Bersani nel plenum del Pd, spacca il partito in una decina di frammenti, che non saranno più ricomponibili in nessun modo duraturo. E trova il consenso entusiastico della destra. Un vero torrente di zombi fumanti invade le fognature televisive di un paese alla deriva in una palude stagnante. E’ l’inciucio più inverosimile della storia degl’inciuci: quello che ammazza uno degl’inciucianti. L’Italia, quella che ancora riesce a sopravvivere, osserva attonita. Che la casta fosse putrescente non c’erano dubbi, per i viventi. Ma che si giungesse a tanto, a un vaudeville così frastornante, pochi riuscivano a immaginare.
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Euro-tasse criminali: moneta sovrana, la sfida di Cantù
Chiudere bottega, strangolati dalle tasse? Neanche per sogno, meglio rifiutarsi di pagare le imposte: «In un sistema fiscale come quello dell’euro, evadere le tasse è un dovere patriottico». Parola di Paolo Barnard, giornalista convertitosi alla sovranità monetaria come unica via d’uscita dall’euro-tunnel della crisi. «Non possiamo distruggere il nostro futuro per un sistema fiscale criminale». La notizia però è un’altra: sono gli applausi fragorosi dei 180 spettatori radunatisi a Cantù, cuore della Lombardia produttiva. Sindaci, associazioni, organizzazioni politiche, cittadini e imprenditori. E’ il 14 aprile 2013, data a suo modo storica: «Potreste diventare il primo Comune Me-Mmt d’Italia». Il sindaco, l’indipendente Claudio Bizzozero, approva: la piccola Cantù, meno di 40.000 abitanti, in provincia di Como, è pronta a “fare qualcosa” per ribellarsi concretamente alla “dittatura del rigore” che mette alle corde gli enti locali e getta nella disperazione famiglie e imprese.