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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Strage di Parigi, polizia ridicola. Chi ha depistato gli agenti?
«Com’era facilmente prevedibile, i due fratelli Kouachi sono stati entrambi uccisi durante un blitz delle teste di cuoio, portandosi nella tomba le risposte a molti interrogativi sull’attentato a “Charlie Hebdo”, che ha tutte le fattezze del terrorismo ascrivibile alla “strategia della tensione”». Un attentato falsa bandiera in stile New York 9/11? No, risponde Federico Dezzani su “Come Don Chisciotte”: «A ragion veduta è un’operazione di infiltrazione e sovversione in stile anni ’70, dove i fratelli franco-algerini rappresentano i brigatisti di basso rango che premono il grilletto», mentre «chi si occupa dalla pianificazione, organizzazione e logistica, il Br Mario Moretti del caso, probabilmente non sarà mai preso perché legato ai servizi». L’intelligence francese? Ne esce «sconfitta secondo i media che leggono il copione», ma invece «vincente in base agli obbiettivi programmati, e marcia fino al midollo per chi analizzi a fondo la vicenda in divenire». Il politologo Aldo Giannuli, storico dei servizi segreti, è più cauto: salvo restando l’idea di una strage di matrice islamica, «è possibile che ci siano stati inserimenti di altri, in una eterogenesi dei fini». Un’ipotesi, non ancora una verità.Said e Cherif Kouachi, franco-algerini di 32 e 34 anni, per Dezzani sono invece «terroristi talmente perfetti che sembravano coltivati in vitro: nati e cresciuti a Gennevilliers, banlieue a Nord di Parigi, rimangono orfani, poi sono dati in affidamento e suonano un po’ di rap crescendo nel mondo della piccola criminalità; il maggiore è arrestato nel 2008 in quanto affiliato alla rete Buttes-Chaumont che recluta volontari da spedire in Iraq. Sono perciò da almeno cinque anni nei radar delle forze di sicurezza». Dopodiché, in base alle informazioni che piovono a catinelle già a poche ore dall’attacco, sarebbero passati nei campi di addestramenti di Al-Qaeda in Yemen e avrebbero partecipato alla guerra in Siria. «Il primo grande quesito da porsi è: com’è possibile che non fossero pedinati a vista? Le informazioni in possesso dei giornali dopo un giorno dall’attentato non erano negli archivi dell’intelligence? Sembra assurdo, anche perché i due fratelli erano nella lista nera compilata dal “Terrorist Screening Center” statunitense». Il 7 gennaio, continua Dezzani, i due fratelli fanno irruzione della sede di “Charlie Hebdo” e uccidono 12 persone, urlando i nomi dei vignettisti. L’assalto avviene durante la riunione di redazione del giornale: quindi è altamente probabile che l’attentato sia stato accuratamente pianificato, gli orari della redazione studiati, memorizzati i nomi e il viso delle vittime.«Forse per dare un tono di dilettantismo all’operazione, è diffusa la notizia che gli attentatori non conoscessero il numero civico della redazione. Ma è possibile che chi conosce il nome dei vignettisti e gli orari della riunione settimanale della redazione non sappia dov’è la sede dell’attentato? Nessuno dei fratelli ha mai fatto un sopralluogo?». Altra incredibile leggerezza, per un efficiente commando che si sarebbe formato nei campi Al-Qaeda: “dimenticare” la carta d’identità nell’auto, abbandonata dopo l’attentato. «I due fratelli franco-algerini non sanno che la regola base per qualsiasi rapinatore o terrorista è di liberarsi di documenti, telefoni, orecchini o qualsiasi mezzo di riconoscimento per non essere identificati? Perché indossare i passamontagna per poi dimenticare il documento in auto?». Probabilmente, continua Dezzani, «il documento è stato aggiunto sulla scena del crimine dall’intelligence su soffiata della mente dell’operazione, il Br Mario Moretti del caso, che conosce il nome e il piano degli attentatori, perché è stato lui a progettarlo».Con il ritrovamento della carta si desiderava quindi instradare rapidamente la polizia sui colpevoli per liquidarli in poche ore? «Tutta la vicenda ha un triste e fresco precedente, che stranamente pochi ricordano: nel marzo del 2012 il franco-algerino Mohamed Merah uccide sette persone, sparando da uno scooter, prima di asserragliarsi in un appartamento dove è ucciso durante il blitz delle teste di cuoio. Si scoprirà che anche lui era nei radar dell’intelligence francese da tempo, essendo stato un collaboratore della Dgse per cui si era recato in Afghanistan raccogliendo informazioni sugli islamisti francesi». L’insuccesso della polizia dipende da errori e incapacità oppure da non volontà di prendere i responsabili? «La polizia e i servizi francesi sono ad un elevato livello di professionalità», ammette Aldo Giannuli: «I servizi francesi, per chi non lo sapesse, hanno sofisticate teorie di intelligence riflesse in una corposa produzione pubblicistica». Vero, «non sempre a un elevato livello teorico corrisponde altrettanta capacità operativa». Però «non appare probabile una serie di errori, lacune, incertezze di questo genere».Certo, non è da escludere «l’ipotesi della cattiva volontà e magari di una “manina” poliziesca nella vicenda, sul modello della strategia della tensione: la “sicurezza” ci sta facendo una tale figura che un comportamento del genere sarebbe masochistico». Ma strategia della tensione per cosa? «Qui ad avvantaggiarsene sarebbe l’opposizione lepenista, non il governo», ragiona Giannuli. Che aggiunge: «In via subordinata si può pensare anche a un settore di polizia che lo stia facendo per far cadere l’attuale gruppo dirigente della stessa polizia o favorire una sconfitta elettorale di Hollande». Anche qui «ipotesi possibile, ma molto poco probabile: soprattutto in assenza di elementi concreti, resta una congettura come un’altra». Dezzani però insiste sulle stranezze della vicenda: la fuga dei fratelli Kouachi, barricatisi insieme a un ostaggio in una tipografia di Dammartin-en-Goële, a nord-est di Parigi, dopo un inconcludente peregrinare nelle campagne del dipartimento Senna e Marna. «Perché uscire in fretta da Parigi nelle ore successive all’attentato per poi trascorre 36 ore da latitanti nella campagna francese e finire asserragliati in una piccola azienda?».Domande senza risposta: «Era previsto un punto di raccolta dove avrebbero dovuto essere prelevati e portarti in salvo, mentre sono stati ingannati e all’appuntamento non c’era nessuno?». Di certo, «eliminandoli si è persa ogni traccia per risalire ai vertici dell’organizzazione, dove si annida probabilmente il collegamento con i servizi d’informazione», ipotizza Dezzani. Nel frattempo un altro presunto terrorista, Amedy Coulibaly, è stato liquidato dopo aver preso in ostaggio cinque persone in un negozio kosher di Porte de Vincennes: sarebbe l’assassino della vigilessa uccisa l’8 gennaio. «Una rete quindi di tre o più terroristi, molti dei quali noti da anni alle forze dell’ordine, avrebbe tenuto in scacco Parigi per tre giorni quando i servizi algerini avrebbero allertato il 6 gennaio le autorità francesi che era in preparazione un attentato. Perché nessuno ha agito? A chi fa comodo quanto sta avvenendo?». Particolarmente inquietante, infine, la notizia della morte di uno degli investigatori, che si sarebbe suicidato nel suo ufficio di Limoges sparandosi con l’arma di servizio. Secondo il quotidiano “Le Populaire du Centre”, stava lavorando all’indagine della polizia giudiziaria sul caso “Charlie Hebdo”.Aldo Giannuli invita a riflettere con calma, evitando conclusioni poco lucide. Spesso, ricorda, nei delitti opachi e “mediatici” «c’è una catena di comando che va dal vertice politico a quello operativo, passa per i livelli dell’organizzazione, per arrivare agli esecutori che, spesso, sono assistiti nella fuga da uomini di copertura e poi nascosti in covi dell’organizzazione». Tanti passaggi, «durante i quali è possibile che ci siano infiltrazioni e intromissioni», in cui un “soggetto terzo”, con «interessi diversi da quelli degli attentatori», può «intervenire facilitando l’azione oppure forzando e deviando la mano agli esecutori o anche, dopo l’attentato, indirizzare gli investigatori verso una direzione piuttosto che un’altra». Attenzione: «Più sono le persone coinvolte e i gradi di passaggio, più è alta la probabilità che ci possano essere state interferenze». Per Giannuli, l’ipotesi più credibile è che «la polizia e i servizi siano caduti vittime di un colossale depistaggio», a cui fa pensare la strana faccenda della carta d’identità fatta ritrovare sul posto. «Una “intossicazione ambientale” partita sin da prima dell’attentato», per infilare gli inquirenti in un tunnel di errori. «Risultato che si può ottenere inquinando le fonti, producendo false prove, alimentando voci». Questo ovviamente «presuppone che non di una micro-cellula si tratti, ma di una organizzazione capace di agire a livelli professionali piuttosto alti».«Com’era facilmente prevedibile, i due fratelli Kouachi sono stati entrambi uccisi durante un blitz delle teste di cuoio, portandosi nella tomba le risposte a molti interrogativi sull’attentato a “Charlie Hebdo”, che ha tutte le fattezze del terrorismo ascrivibile alla “strategia della tensione”». Un attentato falsa bandiera in stile New York 9/11? No, risponde Federico Dezzani su “Come Don Chisciotte”: «A ragion veduta è un’operazione di infiltrazione e sovversione in stile anni ’70, dove i fratelli franco-algerini rappresentano i brigatisti di basso rango che premono il grilletto», mentre «chi si occupa dalla pianificazione, organizzazione e logistica, il Br Mario Moretti del caso, probabilmente non sarà mai preso perché legato ai servizi». L’intelligence francese? Ne esce «sconfitta secondo i media che leggono il copione», ma invece «vincente in base agli obbiettivi programmati, e marcia fino al midollo per chi analizzi a fondo la vicenda in divenire». Il politologo Aldo Giannuli, storico dei servizi segreti, è più cauto: salvo restando l’idea di una strage di matrice islamica, «è possibile che ci siano stati inserimenti di altri, in una eterogenesi dei fini». Un’ipotesi, non ancora una verità.
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Bricmont: terrorismo umanitario, presto il mondo ci punirà
«Ci sono almeno due cose più facili da iniziare che da finire: un amore e una guerra». Nessuno di coloro che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale si aspettava che durasse così a lungo o che avesse le conseguenze che ha avuto, ricorda il professor Jean Bricmont dell’università belga di Louvain, autore del saggio “Humanitarian Imperialism”. Tutti gli imperi che hanno partecipato alla Grande Guerra sono stati distrutti, inclusi quello britannico e quello francese. «E non è tutto: una guerra conduce a un’altra guerra». Per il filosofo inglese Bertrand Russell, la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese portò come esito a Napoleone, ma poi le guerre napoleoniche produssero il nazionalismo germanico, che a sua volta condusse a Bismarck, alla sconfitta francese di Sédan e all’annessione dell’Alsazia-Lorena. Tutto questo diede forza al revanscismo francese che portò, dopo la Prima Guerra Mondiale, al Trattato di Versailles, la cui iniquità diede un forte impulso al nazismo di Hitler.«Russell si fermò qui, ma la storia continua», scrive Bricmont in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «La sconfitta di Hitler portò alla guerra fredda e alla nascita di Israele. La “vittoria” dell’Occidente nella guerra fredda condusse al diffuso desiderio di schiacciare la Russia una volta per tutte. Quanto a Israele, la sua creazione produsse un conflitto permanente e creò una situazione inestricabile nel Medio Oriente». Ci vorrebbe un “pacifismo istituzionale”, dice Bricmont: istituzioni a guardia della pace. L’Onu? Doveva appunto «salvare l’umanità dalla “piaga della guerra”, in seguito all’esperienza della Seconda Guerra Mondiale». Sovranità degli Stati, dunque, «per impedire che le grandi potenze intervenissero militarmente contro le nazioni più deboli, a prescindere dal pretesto». Ma visto che «non esiste una forza di polizia internazionale che faccia valere il diritto internazionale», non resta che «un bilanciamento di potere», corollario dell’antica politica di potenza. Equilibrio ancora più precario dopo che l’Occidente ha interpretato la fine della guerra fredda «come una vittoria unilaterale del Bene contro il Male».Da qui il boom occidentale dell’ideologia dei diritti umani e del diritto agli “interventi militari umanitari”, sviluppata da influenti intellettuali occidentali già a partire dalla metà degli anni ’70, spesso sostenitori di Israele. Il “diritto” all’intervento umanitario, ricorda Bricmont, è stato respinto dalla maggioranza dell’umanità, anche dal Movimento dei Non Allineati a Kuala Lumpur nel febbraio 2003, alla vigilia dell’attacco Usa all’Iraq. L’intervento militare “umanitario”? «Non trova fondamento né nella Carta delle Nazioni Unite, né nel diritto internazionale». In Occidente, però, quel tipo di intervento «è quasi unanimemente accettato». L’intervento degli Stati Uniti, scrive Bricmont, «è eterogeneo ma costante, e viola sistematicamente lo spirito, e spesso anche la lettera, della Carta delle Nazioni Unite». Nonostante i principi di libertà e democrazia agitati come paravento, «l’intervento statunitense ha ripetutamente comportato conseguenze disastrose, in tutto il mondo.A pesare non solo «i milioni di morti dovuti alle guerre dirette e indirette, in Indocina, America Centrale, Sudafrica e Medio Oriente», ma anche «le opportunità perdute, “l’uccisione della speranza” per centinaia di milioni di persone che avrebbero tratto beneficio dalle politiche sociali progressiste iniziate da personaggi come Arbenz in Guatemala, Goulart in Brasile, Allende in Cile, Lumumba in Congo, Mossadegh in Iran, i Sandinisti in Nicaragua o Chavez in Venezuela, che sono stati sistematicamente rovesciati, deposti o assassinati con il pieno appoggio dell’Occidente». Inoltre, aggiunge Bricmont, «ogni aggressione compiuta dagli Stati Uniti provoca una reazione: il dispiegamento di uno scudo anti-missile produce più missili, non meno. Bombardare dei civili – sia deliberatamente, sia come “danno collaterale” – provoca più resistenza armata, non meno. Cercare di deporre o rovesciare dei governi produce più repressione interna, non meno. Incoraggiare le minoranze secessioniste dando loro l’impressione, spesso falsa, che l’unica Superpotenza verrà in loro aiuto in caso di repressione, porta a più violenza, odio e morte, non meno». E ancora: «Circondare una nazione con basi militari produce più spese per la difesa da parte di quella nazione, non meno. E il possesso di armi nucleari da parte di Israele incoraggia altri stati del Medio Oriente ad acquistare tali armi».L’ideologia dell’intervento umanitario, continua Bricmont, in realtà fa parte di una lunga storia degli atteggiamenti occidentali nei confronti del resto del mondo. «Quando i colonialisti occidentali sbarcarono sulle coste dell’America, dell’Africa o dell’Asia orientale, venivano sconvolti da ciò che noi ora definiremmo violazioni dei diritti umani, e che loro chiamavano “usanze barbare” – sacrifici umani, cannibalismo, donne costrette a legarsi i piedi». Quell’indignazione, reale o simulata, «è stata usata per giustificare o coprire i crimini delle potenze occidentali: il commercio degli schiavi, lo sterminio dei popoli indigeni e il furto sistematico di terre e risorse». Così, «questo atteggiamento di sincera indignazione è continuato fino ad oggi e sta alla base della pretesa che l’Occidente ha “il diritto di intervenire” e “il diritto di proteggere”, chiudendo al tempo stesso gli occhi di fronte a regimi oppressivi considerati “nostri amici”, ad una incessante militarizzazione e continue guerre, e allo sfruttamento massiccio del lavoro e delle risorse».I fautori dell’intervento “umanitario” rivendicano che il loro interventismo sia gestito dalla comunità internazionale? «Ma ad oggi non c’è nulla che si possa definire una vera comunità internazionale. In realtà – scrive Bricmont – niente può illustrare meglio l’ipocrisia dell’ideologia umanitaria quanto il contrasto tra la reazione occidentale alle richieste d’indipendenza del Kosovo e alla richiesta di autonomia dell’Ucraina dell’Est. In entrambi i casi vi è il rifiuto di negoziare, ma in un caso con il totale appoggio all’indipendenza, e nell’altro caso con la totale opposizione all’autonomia». I promotori dell’intervento umanitario lo presentano come l’inizio di una nuova era, ma nei fatti è la fine di una vecchia epoca, sostiene Bricmont: «La più grande trasformazione sociale del ventesimo secolo è stata la decolonizzazione. Continua oggi nella creazione di un mondo veramente democratico e multipolare, in cui il sole sarà tramontato sull’impero Usa, proprio come accadde per vecchi imperi europei». Lo pensano in molti, ormai, ancje in Occidente, anche se «purtroppo non viene riportato nei nostri mezzi di comunicazione».Aggiunge Bricmont: «Durante le recenti campagne isteriche anti-russe, i nostri media sembrano aver completamente abbandonato lo spirito critico dell’Illuminismo che l’Occidente pretende di possedere. L’ideologia dei diritti umani, che ci dipinge come i buoni contro i cattivi, presenta la caratteristica di tutte le fedi religiose, ed è particolarmente intrisa di fanatismo». Nella Prima Guerra Mondiale, «tutte le parti in causa pretendevano di avere Dio al proprio fianco». Oggi, conclude Bricmont, «l’ideologia dei diritti umani ha sostituito le antiche fedi, ma funziona come una religione ed è la base di un nuovo nazionalismo, quello degli Stati Uniti e dell’Unione Europea». C’è chi pensa che tutto questo bellicismo ideologico sia dovuto a calcoli economici razionali da parte di cinici profittatori? «Io penso che questa interpretazione sia troppo ottimista e che ignori, per citare nuovamente Russell, “l’oceano dell’umana follia sul quale la fragile barca della ragione umana naviga precariamente”. Le guerre sono state fatte per ogni tipo di ragioni non economiche, come la religione o la vendetta, o semplicemente per ostentare potere». Attenzione: «Se i cittadini occidentali non riescono a mobilitarsi contro i propri governi e mezzi di comunicazione per fermare l’attuale follia, starà ad altri paesi svolgere questo compito. C’è da sperare che possano riuscirvi, senza aggiungere un ulteriore capitolo sanguinoso alla storia che è iniziata con la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese».«Ci sono almeno due cose più facili da iniziare che da finire: un amore e una guerra». Nessuno di coloro che parteciparono alla Prima Guerra Mondiale si aspettava che durasse così a lungo o che avesse le conseguenze che ha avuto, ricorda il professor Jean Bricmont dell’università belga di Louvain, autore del saggio “Humanitarian Imperialism”. Tutti gli imperi che hanno partecipato alla Grande Guerra sono stati distrutti, inclusi quello britannico e quello francese. «E non è tutto: una guerra conduce a un’altra guerra». Per il filosofo inglese Bertrand Russell, la volontà delle monarchie europee di schiacciare la Rivoluzione Francese portò come esito a Napoleone, ma poi le guerre napoleoniche produssero il nazionalismo germanico, che a sua volta condusse a Bismarck, alla sconfitta francese di Sédan e all’annessione dell’Alsazia-Lorena. Tutto questo diede forza al revanscismo francese che portò, dopo la Prima Guerra Mondiale, al Trattato di Versailles, la cui iniquità diede un forte impulso al nazismo di Hitler.
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Io non sono Charlie, che è complice dei nostri veri assassini
Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.Accanita seminatrice di odio antislamico, beceramente razzista, un concentrato di volgarità, vuoi di solleticamenti pruriginosi (Wolinski), vuoi da ufficio propaganda dei macellai di musulmani, al servizio del suprematismo euro-atlantico-sionista e, dunque, vessillo della civiltà occidentale a tutti cara, pure alle banche. Tanto che queste la salvarono dal fallimento e le infilarono economisti di vaglia, come Bernard Maris, pure dirigente nel Consiglio Generale della Banca di Francia. Rientra in questo ordine di cose l’entusiasmo con cui il mattinale ha accolto l’opera del sodale Michel Houellebecq, celebratissimo e ora protettissimo romanziere, il cui capolavoro, “La sottomissione”, è uscito in felice sincronismo con l’attentato. La sottomissione deprecata per tutte le centinaia di pagine è quella dell’Occidente che ha “rinunciato a difendere i suoi valori” e “ha ceduto all’Islam, la più stupida delle religioni”. Non meraviglia che, sul “Il Fatto Quotidiano”, il vignettista Disegni solidarizzi con i colleghi parigini e, in particolare, con il già citato amico e maestro Wolinski.Chissà perché m’è venuto in mente il giorno, al tempo del disfacimento Nato della Jugoslavia, quando collaboravo a una sua rivista, in cui Disegni mi cacciò dal giornale, spiegandomi che non poteva tollerare nel suo giornale uno che stava dalla parte dei serbi. House Organ di sinistra, con altri (“Libération”, “Le Monde”), dei servizi segreti franco-israeliani, è anello fintamente satirico della catena psicoterrorista che ci deve ammanettare tutti e trascinarci convinti alla guerra contro democrazia e resto del mondo. L’attentato parigino, preceduto dagli altri tre grandi episodi della campagna per il Nuovo Ordine Mondiale, Torri Gemelle-Pentagono, metrò di Londra, ferrovia di Madrid (ma noi siamo stati gli antesignani: Piazza Fontana, Italicus, Brescia, Moro, le bombe del mafia-regime), si inserisce alla perfezione nella storia del terrorismo “false flag”. Minimo, o massimo, comune denominatore, un cui prodest che si risolve immancabilmente a vantaggio della vittima conclamata e a esiziale detrimento dei responsabili inventati.L’apocalisse scatenata dal capitalismo terrorista in tutto il mondo, come di prammatica anche stavolta è stata firmata dall’urlo Allah-U-Akbar. Prova inconfutabile di chi siano i mandanti, no? A prima vista, l’operazione rientra nella campagna di destabilizzazione dell’Europa che, attraverso sfascio economico-sociale, conflitti interetnici e misure di “sicurezza”, deve rafforzare la marcia verso Stati di polizia, politicamente ed economicamente assoggettati all’élite sovranazionale, ma controllati da proconsoli e signori incontrastati della vita dei loro sudditi. Si possono individuare due motivazioni specifiche: una punizione USraeliana a Hollande, che non si era peritato di invocare la revoca delle sanzioni al mostro russo, inaccettabile incrinatura del blocco bellico del Nuovo Ordine Mondiale (avviso alla Merkel e ad altri devianti), con effetti a lungo termine di disgregazione sociale e conflitto inter-etnico; oppure un contributo della casta antropofaga francese, in questo caso concordato con i padrini d’oltremare, alla guerra infinita esercitata, fuori, contro le colonie recuperande (Mali, Chad, Rca, Maghreb) e, a casa, contro il cuneo sociale islamico e l’insubordinazione di massa che compromettono le mire dei correligionari dei maestri di Tel Aviv, Hollande, Fabius, Sarkozy, Lagarde.Pensate alle ricadute della carneficina “islamista” di Parigi, ascoltate gli ululati delle mute di sciacalli che per un bel po’ avranno modo di cibarsi di cadaveri della verità. Quante ragioni di più avranno, agli occhi dei decerebrati dai media, i trogloditi nazifascisti e razzisti che si aggirano in sparuti ma vociferanti drappelli per l’Europa, e sono tanto utili a spostare il giudizio di estrema destra, di fascismo, dalla classe dirigente a queste bande di manipolati. Quanto si attenuerà la protesta per le immonde condizioni dei migranti invasori. Quanto ne saranno rafforzati l’impeto e l’impunità degli addetti alla repressione di “corpi estranei”, come dei dissidenti autoctoni: Ilva, Tav, Tap, Trivelle, basi militari, disoccupazione, miseria, Renzi che toglie gli ultimi lacciuoli ai grandi evasori (avete visto che chi guadagna di più potrà evadere di più) e a quelli in cui era stata costretta l’inclinazione a delinquere di Berlusconi. Sempre più degna dei suoi antichi e recenti titolari, si ergerà una civiltà partorita dai roghi e dagli squartamenti di mille Torquemada, dalle crociate da mille anni mai interrotte, dalla guerra infinita, dal dio bliblico, il più sanguinario e protervo della storia.Bonus aggiuntivo, la distrazione di massa occidentale dalla dittatura neoliberista in progress, dal genocidio sociale euro-atlantico e dalle guerre militari ed economiche che portano avanti. La distrazione, da noi, dalle canagliate, una dopo l’altra, che ci infliggono il ciarlatano zannuto e le sue risibili ancelle. Tutto questo si ripete nei secoli della tirannia feudalcapitalista, monotonamente e anche con trasparente pressapochismo, salvaguardato, però, dalle coperture mediatiche. Coperture nelle grandi occasioni condivise con passione sfrenata dal “Manifesto”: mobilitati tutti i furbi e i naives della redazione e del suo cerchio magico per ben 13 articoli fiammanti per 6 pagine, fotone e vignette, in difesa della libertà di stampa offesa. Ce ne fosse uno, tra questi pensosi guru del politically correct, che, sulla scorta di una storia clamorosa di “false flag” padronali, da Pearl Harbour al Golfo del Tonchino, dallo stesso 11 Settembre al piano del Pentagono (Northwoods) di far saltare per aria, sotto etichetta cubana, palazzi governativi negli Usa e abbattere un aereo di studenti statunitensi nel cielo dell’Isola, avesse osato un assolo problematico, dubbioso.Gli autori dell’eccidio, veri professionisti che non avevano nemmeno effettuato un sopralluogo sulla scena. Che bisogno c’era? Servono così, bruti selvaggi, tanto dietro hanno chi professionista lo è davvero. Kalachnikov alla mano e passamontagna sul viso, hanno sbagliato portone e cercato indicazioni da un passante. Sono stati identificati prima ancora che si asciugasse il sangue. Nuovamente esponenti di quella comunità islamica che stoltamente si è tollerata, che deve stare bagnata con la coda tra le gambe. Tre di quei 18mila tagliagole stranieri, perlopiù europei, di cui l’Intelligence e la polizia sapevano tutto e li tenevano fissi d’occhio e di intercettazioni, ma che potevano agevolmente espatriare, addestrarsi nelle basi governate da istruttori Usa-Nato e gestite dai subalterni giordani, turchi, qatarioti, sauditi. Per poi altrettanto agevolmente rientrare, sotto lo sguardo comprensivo dei protettori dello Stato, e dedicarsi al mercenariato imperiale domestico. Di conseguenza, si ammette, sorveglianza zero sui “potenziali terroristi”, pur celebrati dall’ossessiva vulgata del “nemico della porta accanto”.Ora, vista la figuraccia del mancato controllo su uscite verso il Medioriente e rientro, cambiano versione: quelli lì non sono affatto stati in Siria. Invece si sono addestrati sparacchiando qua e là per Parigi, con tanto di istruttori di rango, sempre fuori da sguardi e cimici indiscreti. Figuraccia al cubo. E così, dal momento in cui è iniziata la sparatoria, subito ripresa e telefonata dai giornalisti di “Ch” con telefonino e comunicata dal furgone della polizia sul posto, poi mitragliato, è passata quasi mezz’ora prima dell’arrivo di rinforzi, in una delle metropoli più sorvegliata e tecnologizzata del mondo. Chi fossero i tre, mica s’è saputo grazie al costante controllo su movimenti e discorsi scientificamente condotto dai modernissimi flic tecnologizzati francesi. Figurati, è bastata una carta d’identità abbandonata nella fuga da un attentatore che, comprensibilmente, terminata la sparatoria e in fuga frenetica dalla scena, ha ammazzato il tempo tirando fuori il portafoglio (per vedere se bastava per il taxi?) e frugatoci dentro, estratta la tessera, l’ha posta in bella evidenza sul sedile.Ricorda quell’umoristico passaporto di Mohammed Atta, presunto capofila dei dirottatori dell’11/9, trovato lindo e intonso nel pulviscolo di tre grattacieli disintegrati. Con Atta che dal padre viene rivelato vivo, nella disattenzione assoluta dei gazzettieri. Visto che ovviamente la carta d’identità è stata lasciata a bella posta, quale sarà stato lo scopo? Indicare una testa di legno come autore e coprire quelle vere? Vedremo, nei prossimi giorni, quanto questa operazioni prodest all’Obama in precipitoso calo di consensi (come lo era Bush al tempo delle Torri), a multinazionali, banche, Pentagono e armieri, tutti quelli che devono gestire il trasferimento di ricchezza dalla periferia al centro e dal basso verso l’alto. E poi, scendendo per li rami, a un’Ue di nominati da business e arsenali, in crisi di credibilità e fiducia; a despoti europei reclutati per fare da capro espiatorio pagatore nella guerra alla Russia e al resto del mondo; a produttori di tecnologie per il controllo sociale; alle combine mafiose tra Pd e soci e faccendieri. Allo sparaballe in carenza di aria fritta. Al papa che sollecita gli islamici, solo loro, a farla finita con il terrorismo. Dall’altra parte, vedremo di che prodest ci avvantaggeremo noi, comuni mortali, islamici, cristiani o niente, di che lacrime gronderemo e di che sangue….Concludendo, un esercizio di fantasia. Immaginiamo cosa sarebbe successo, in termini di esecrazione e persecuzione degli antisemiti, se quelle vignette su Allah a culo all’aria e Maometto stupratore bombarolo avessero preso di mira Jahve, Mosé, o un qualsiasi “eterno ebreo” alla Himmler. E immaginiamo anche cosa risponderebbero quelli delle attuali chiassate per la libertà di stampa, nel paese al 69° posto per libertà di stampa, Ordine dei giornalisti e categoria tutta, se gli si chiedesse di manifestare per le centinaia di giornalisti assassinati nei paesi sotto tutela amica, Iraq, Messico, Honduras. Sempre più urgente e credibile, fondata su potenzialità politico-economico-militari letali per la criminalità organizzata che regge un impero in decadenza, diventa la formazione del fronte antagonista avviato da Hugo Chavez e portato avanti con intelligenza e dinamismo da Vladimir Putin: blocco asiatico-latinoamericano di Russia, Cina, Brics, governi e masse insubordinati. Ne consegue l’urgenza di smascherare e spazzare via i contractors della sedicente “Sinistra” che abitano nei sottoscala del menzognificio imperiale e ne ripetono le deformazioni della realtà finalizzate alla criminalizzazione dei diversi non sottomessi: lo “zar” omofobo Putin, “dittatori” vari, i musulmani, “violenti” asociali di varia estrazione, purchè non militari e poliziotti.(Fulvio Grimaldi, “Io non sono Charlie”, dal blog di Grimaldi dell’8 gennaio 2014.Qui solo qualche veloce considerazione. L’attentato ha colpito un bersaglio perfetto per alimentare di magma vulcanico la “guerra al terrorismo”, tirarci dentro milionate di boccaloni destri e sinistri a sostegno di guerre e “misure di sicurezza”, fornire benzina ai piromani dell’universo mediatico e politico globalizzato. Tutto nel nome di quella sacra “libertà di stampa”, simbolo della nostra superiore civiltà, rappresentata da noi da becchini della libertà di stampa come la Botteri, Pigi Battista, Calabresi, Gramellini, Mauro, Scalfari e, nel resto dell’emisfero, da presstituti solo un tantino meno rozzi di questi. Un verminaio ora rimescolato e infoiato da un evento che gli dà la possibilità di coprire la propria abiezione con nuovi spurghi di odio e menzogne. “Charlie Hebdo” è una rivista satirica che ha la sua ragion d’essere nell’islamofobia, cioè nella guerra imperiale al “terrorismo” e contro diversi milioni di cittadini francesi satanizzati perché con nome arabo.
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DeLong: l’euro è un disastro, l’Ue non impara dalla storia
Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.«Nel mio piccolo – scrive DeLong in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – pensavo che tutti (o quanto meno tutti quelli che contavano qualcosa nel governo dell’economia mondiale) avessero imparato queste quattro lezioni che la storia (1919-1939) ci aveva così crudelmente impartito». E invece, i boss dell’Eurozona e i loro consulenti «guardavano fuori dalla finestra e spettegolavano su Facebook», scrive DeLong, evidentemente convinto che la causa della catastrofe europea sia imputabile a semplici, madornali errori, anziché a un calcolo cinico e lucido: costruire la crisi per contrarre lavoro e diritti, far esplodere i profitti dell’élite a spese del 99% della popolazione, far sparire lo Stato per privatizzare tutto, a cominciare dai servizi vitali. DeLong si limita a domande tecniche, chiedendosi «come si è arrivati a tanto». Ovvero: «Perché Maastricht non ha istituito un unico regolatore/supervisore bancario», per poter «allineare la politica finanziaria con quella monetaria?». Maastricht, inoltre, non ha previsto un sistema per trasferire i fondi necessari a quei paesi «che avrebbero potuto entrare in recessione (come inevitabilmente accade), quando gli altri paesi sono in grande espansione».Maastricht, poi, «ha lasciato un bel pezzo delle sue prerogative di “prestatore di ultima istanza” nelle mani dei governi nazionali, che non possono stampare denaro (e quindi ottemperare al ruolo), invece di mettere il tutto nelle mani della Banca Centrale Europea, che invece potrebbe». Inoltre, «visto che le esportazioni di un paese sono nient’altro che le importazioni di un altro», come mai «non scattano automaticamente quelle politiche idonee a che i paesi in deficit possano ridurre le loro importazioni ed aumentare le loro esportazioni?». Già, perché? «E perché, viceversa, non si adottano automaticamente le politiche idonee a che i paesi in surplus aumentino le loro importazioni e riducano le loro esportazioni?». DeLong sembra non “vedere” il disegno criminale, l’organizzazione del disastro: preferisce pensare a eurocrati imbranati, banchieri sprovveduti, tecnocrati dilettanti? L’economista francese Alain Parguez, già consulente dell’Eliseo ai tempi di Mitterrand, riferisce che Jacques Attali, uno dei massimi padri dell’euro, avrebbe pronunciato testualmente le seguenti parole: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che la moneta unica l’abbiamo creata per la loro felicità?».DeLong, invece, propende per l’ipotesi dell’ingenuità che avrebbe pesato sulle decisioni dei fondatori dell’Ue, certi che il tempo avrebbe corretto le imperfezioni iniziali. «In alcuni – scrive – c’era la convinzione che alcuni specifici dettagli, se posti nel Trattato Maastricht, avrebbero rimandato questo progetto per anni, o addirittura per decenni, mentre la logica degli eventi avrebbe inevitabilmente portato sia ad una crescita organica che allo sviluppo dei pezzi mancanti del Trattato». Secondo questa logica, continua DeLong, alla prima grande recessione l’unione monetaria avrebbe senz’altro istituito un sistema per i trasferimenti fiscali. E ancora, alla prima importante crisi bancaria, la Bce avrebbe senz’altro adottato le funzioni di “prestatore di ultima istanza” (e a seguire, si sarebbe velocemente realizzata l’Unione Bancaria). Gli altri paesi europei, continua l’economista, «avevano considerato il Trattato di Maastricht come un rinnovo dell’impegno politico tedesco in favore di una più stretta integrazione europea». Per questo l’Europa si è fidata, incautamente, della riunificazione tedesca? Sì, risponde DeLong: gli europei non-tedeschi erano convinti che «se si fosse scoperto che c’era qualcosa da pagare per le conseguenze non palesemente previste del Trattato di Maastricht, la Germania lo avrebbe fatto».Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.
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Chi e perché ha pianificato proprio adesso la strage di Parigi
«Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.«Se i segni di nervosismo e di insubordinazione in Europa dovessero aumentare, non escludo la possibilità di clamorosi e sanguinosi attacchi terroristici sul nostro continente», scriveva “Piotr” il 14 dicembre scorso su “Megachip”. Attentati «fatti per dimostrare che il “pericolo fondamentalista” è reale (e per dimostrare, a chi è in grado di udire, che il caos può essere usato ovunque, che non ci sono zone franche: tutto sommato, l’Italia non è stata bombardata terroristicamente per dieci anni di fila, negli anni Settanta?)». Allì’indomani della strage di Parigi, “Piotr” aggiunge: «I potenti, sghignazzando o piangendo lacrime di coccodrillo, si muovono sempre sopra le vittime innocenti, perché le vittime innocenti sono il complemento alla loro potenza. Hanno creato un mondo dove un giornale satirico è un bersaglio migliore di un “vulture fund”. E non per sbaglio». Lo stesso Aldo Giannuli, autore di saggi sulla strategia della tensione che utilizza il terrorismo come manovalanza, si domanda se non vi sia «qualche manina non islamica dietro gli attentatori». Vale la pena esplorare tutte le piste, sostiene Giannuli, dato che «a trarre giovamento da questa strage saranno in diversi: ad esempio il Fn che si appresta a fare vendemmia di voti, di conseguenza anche Putin che proprio sul Fn sta puntando per condizionare l’Europa sulla questione delle sanzioni».Ad “avvantaggiarsi” dal clima di sgomento creato dall’attentato, aggiunge Giannuli, c’è sicuramente anche Israele, «che rinsalda i vincoli con l’Europa ogni volta che c’è un episodio di questo genere». Inoltre, la strage di Parigi beneficia «chiunque voglia destabilizzare la Francia in particolare e l’Europa in generale». Giannuli ricorda il precedente francese dello stragista “solitario” Mohammed Merah, protagonista dell’eccidio di Tolosa: cecchino di origine algerina, «era stato a lungo collaboratore dei servizi segreti francesi in operazioni di infiltrazione del mondo jiadista e, ad un certo momento, era inspiegabilmente sfuggito di controllo e, sempre inspiegabilmente, aveva fatto quella strage. Peccato che non abbia potuto spiegare cosa gli fosse passato per la testa, perché crivellato di colpi al momento della cattura». Sulla stessa linea anche Giulietto Chiesa: «Guardarsi dalla spiegazione più semplice, che è quella di scatenare l’odio contro “i musulmani”. Chi organizza queste operazioni lo fa a ragion veduta e, appunto, per suggerire l’interpretazione che sia comprensibile “all’uomo della strada”. Non è quasi mai così».Certo, aggiunge Chiesa su “Megachip”, la strage «è l’ultimo anello di una catena insanguinata che accompagna da dieci anni una storia di vignette anti-islamiche». Chi alimentava lo “Scontro di Civiltà” ogni volta poteva gioire: «Aumentavano le divisioni, si rompeva ogni equilibrio delicato e provvisorio fra libertà di espressione e sentimenti religiosi. Aumentava l’odio, cioè la benzina della guerra». Attenzione: «Sopra questo panorama livido, c’è il futuro della Francia e dell’Europa: Parigi, Berlino e Bruxelles sono alla vigilia di scelte che possono cambiare il destino del continente». Il presidente François Hollande, ricorda Chiesa, in questi giorni aveva persino ipotizzato la revoca delle sanzioni alla Russia. «Ovunque si discute di un cambiamento della disciplina monetaria e finanziaria dell’Europa, per prevenire la bomba greca. I nervi sono tesi, perché siamo in cima a uno spartiacque della storia europea e mondiale e le decisioni politiche contano davvero. Se i politici sono ricattabili, tutto può essere visto come un ricatto. Figuriamoci le stragi».«Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.
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Nel nome di Roosevelt, per smascherare i vampiri del rigore
Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.Il nostro (ancora per poco) presidente della Repubblica, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” nell’aprile del 1978, ha distrutto con zelo e costanza il benessere italiano, avallando la formazione di governi direttamente funzionali ai desiderata di un manipolo di plutocrati globalizzati. Napolitano, adducendo una improbabile stanchezza, ha deciso di farsi da parte. Come mai un uomo come lui, abituato fin dai tempi dell’invasione sovietica in Ungheria a vivere il potere per il potere, ha inteso abbandonare anzitempo il suo ruolo? Forse perché alcuni riservati mondi, magari quegli stessi che aiutarono Alan Friedman a scrivere “Ammazziamo il Gattopardo”, gli hanno fatto capire con una certa perentorietà di non essere più gradito? Anche in Grecia, altra vittima designata della crudeltà di una Troika in versione Mengele, l’aria sembra essere cambiata. Il premier Samaras, iniziato come Napolitano presso la superloggia “Three Eyes”, non è riuscito a trovare i numeri in Parlamento per eleggere un nuovo presidente della Repubblica gradito al politburo di Bruxelles.Il dispiegarsi di tante minacce e blandizie, ad opera dei soliti noti, questa volta non è bastato per alterare il corso della democrazia ellenica. Solo pochi anni fa il premier greco in carica, il socialista Papandreou, fu invitato a rimangiarsi la promessa di indire un referendum per chiedere al suo popolo cosa ne pensasse delle politiche “lacrime e sangue” richieste da alcuni organismi finanziari sprovvisti di legittimità democratica. Allo stesso modo, alcuni emissari di specifiche Ur-Lodges, digrignando i denti, spaventarono fin da subito il molliccio Hollande, costringendo il presidente francese ad appiattirsi in silenzio ai voleri di Angela Merkel. Oggi invece, anche e soprattutto grazie al ritrovato protagonismo di alcuni massoni di ispirazione progressista come Gioele Magaldi, già iniziato presso la Ur-Lodge democratica “Thomas Paine”, il potere di “persuasione” dei sadici emissari tenuti al guinzaglio dai vari Draghi, Juncker e Lagarde è di molto diminuito.In Italia si gioca una partita decisiva per le sorti dell’intero pianeta. Molti italiani, nonostante i melliflui ragionamenti articolati dai vari Renzi e Napolitano, resistono di fronte alla prospettiva di una definitiva “cinesizzazione” del Belpaese. Questi italiani devono fare massa critica all’interno di un contenitore chiaro, visibile, limpido, forte ed efficace: questo contenitore si chiama “Movimento Roosevelt”. Il Movimento Roosevelt non è massonico né para-massonico. Il Movimento Roosevelt, inizialmente metapolitico, non intende entrare direttamente nell’agone elettorale, rivolgendosi invece a tutte le forze politiche già presenti sul territorio nazionale affinché abbandonino definitivamente i falsi miti del rigore e dell’austerità. Più saranno i cittadini pronti a combattere una battaglia di civiltà insieme a noi, maggiore sarà la nostra capacità di cambiare in meglio l’esistente.Tutti coloro i quali, pur contingentemente tesserati all’interno di partiti di destra, centro o sinistra, sentano di dover difendere i capisaldi della nostra civiltà, ovvero uguaglianza fra tutti gli uomini, diritto al lavoro, difesa del welfare e della sovranità popolare, non perdano altro tempo iscrivendosi immediatamente. Qualora i partiti esistenti, sordi di fronte alla volontà di cambiamento che sale dal basso, dovessero continuare a dare vita a governi consociativi eterodiretti dall’esterno, il Movimento Roosevelt si trasformerà in partito, chiedendo a viso aperto il consenso dei cittadini. Le migliaia di persone che si ritroveranno per la prima volta insieme a Perugia nel gennaio/febbraio del 2015 sono destinate a rendersi protagoniste di un processo storico, imitando dopo un secolo e mezzo l’epopea gloriosa dei mille garibaldini in camicia rossa. Chi non intende spendersi personalmente per difendere la democrazia, non la merita.(Francesco Maria Toscano, “Chi non difende la democrazia, non la merita”, da “Il Moralista” del 2 gennaio 2015. Sul sito, nella home page, è scaricabile il modulo di iscrizione al “Movimento Roosevelt”).Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.
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Foa: avremo un altro Napolitano, pronto a tradire l’Italia
L’alibi è sempre lo stesso, l’indifendibile Berlusconi, quello delle “cene eleganti” ad Arcore con la “nipote di Mubarak” mentre esplodeva la tempesta dello spread. Imbarazzante, e pure ingombrante: amico di Putin e di Gheddafi. L’Italia “non se lo può permettere”, recitava la propaganda mainstream allineata a un centrosinistra che per vent’anni gli aveva attribuito ogni male, fingendo di ignorare che la radice della crisi italiana – la fine della finanza pubblica, la grande privatizzazione, la precarizzazione del lavoro – è da imputare proprio alla sinistra “istituzionale” e tecnocratica dei vari Prodi, Ciampi, D’Alema, Padoa Schioppa. Una vicenda devastante, il cui ultimo decisivo capitolo l’ha scritto Giorgio Napolitano. Ripercorrendo la storia di questo decennio, scrive Marcello Foa sul “Giornale”, si scopre che, nei momenti più critici, Napolitano ha usato tutto il suo prestigio per spingere italiani e politici «nella direzione voluta dall’establishment europeo, che appare come un referente più forte, alto e influente della Costituzione italiana». Sicché, «parlare di tradimento del mandato non è improprio: di certo quello di Re Giorgio appare come un tradimento dell’Italia».Non illudiamoci che a Napolitano subentri un eletto «autenticamente patriottico», continua Foa, visto che le condizioni non sono affatto cambiate: il “padrone” è sempre l’élite finanziaria europea neoliberista, mercantilista, neo-feudale, quella a cui – probabilmente con l’eccezione del solo Berlusconi, peraltro prigioniero dei suoi conflitti d’interesse – ogni potente italiano ha sempre obbedito, negli ultimi decenni. Napolitano non fa certo eccezione: «Non è stato un buon presidente – scrive Foa – per la semplice ragione che non ha rispettato l’essenza, l’anima, la missione di un Capo dello Stato: che è quello di servire il popolo, di rispettare in modo inflessibile la Costituzione, di difendere la sovranità». L’uomo del Colle, invece, «appartiene a quella élite di politici che, in Italia ma non solo, di fatto si prodiga per svuotare di significato proprio la carica, le istituzioni e in ultima analisi il paese che dovrebbe difendere», anche se lo fa illudendo l’opinione pubblica con «il rispetto formale del mandato e della Costituzione», così come «i richiami ai valori nazionali e al senso dello Stato». Un copione «rituale, retorico, obbligato».Ma attenzione: «Il tono cambia quando il presidente parla di Unione Europea; in questo caso – osserva Foa – trapela l’appartenenza, la convinzione, il senso storico di una missione». Infatti, «il presidente che dovrebbe difendere la Costituzione curiosamente lancia continuamente appelli alla cessione di sovranità e di poteri a favore della Ue, di cui auspica l’unione politica», naturalmente «per il bene degli italiani». Peccato che Napolitano si sia prodigato «per difendere, proteggere e al momento giusto lanciare quei politici o quei tecnici che la pensano come lui e con cui condivide le stesse referenze sovranazionali», non esattamente “amiche” dell’Italia. «E’ stato Napolitano ad avallare il colpo di Stato con cui le élite europee hanno fatto cadere Berlusconi nel 2011, attribuendo simultaneamente l’incarico al suo grande amico e sodale Mario Monti, tra l’altro beneficiandolo della nomina improvvisa a senatore a vita; dunque rendendo possibile l’attuazione di un piano che, come ormai ampiamente dimostrato, è stato concepito mesi prima della caduta del Cavaliere».Poco dopo, è lo stesso Napolitano a spingere «un altro giovane emergente sodale», Enrico Letta, a Palazzo Chigi. E poi, dopo pochi mesi, a «benedire l’improvvisa ascesa, ma gradita a certi ambienti, di Matteo Renzi, superando un’antipatia e una diffidenza personale che ora traspare, ma a cui si è inchinato in ossequio a logiche che al popolo non vengono mai spiegate: un “obbedisco” a modo suo». Nessuna illusione sul futuro: le forze che dominano in Parlamento, inclusa Forza Italia, non osano infatti mettere in discussione i diktat del rigore, dal Fiscal Compact al pareggio di bilancio, cioè le misure (da tutti votate) che in tre anni hanno “suicidato” il paese, facendogli pagare una flessione del Pil da 450 miliardi e provocando la catastrofe della disoccupazione, il fallimento di migliaia di aziende, il crollo dei consumi e del gettito fiscale, l’esplosione di un debito pubblico micidiale perché non denominato in moneta sovrana. Gli italiani fiutano la rovina: tre anni di guerra, milioni di poveri, le pensioni tagliate dalla riforma Fornero votata anche dal Pd. Italia kaputt, come voleva il “padrone” tedesco che temeva la concorrenza del made in Italy. Ecco perché «via un Napolitano se ne farà un altro, che offra le stesse garanzie e vanti le stesse appartenenze», profetizza Foa. «Perché questa è la logica del potere che governa davvero l’Europa. E dunque anche quel che resta dell’Italia. Ma agli italiani non va detto e men che meno spiegato».L’alibi è sempre lo stesso, l’indifendibile Berlusconi, quello delle “cene eleganti” ad Arcore con la “nipote di Mubarak” mentre esplodeva la tempesta dello spread. Imbarazzante, e pure ingombrante: amico di Putin e di Gheddafi. L’Italia “non se lo può permettere”, recitava la propaganda mainstream allineata a un centrosinistra che per vent’anni gli aveva attribuito ogni male, fingendo di ignorare che la radice della crisi italiana – la fine della finanza pubblica, la grande privatizzazione, la precarizzazione del lavoro – è da imputare proprio all’obbedienza ai poteri forti da parte della sinistra “istituzionale” e tecnocratica dei vari Prodi, Ciampi, D’Alema, Padoa Schioppa. Una vicenda devastante, il cui ultimo decisivo capitolo l’ha scritto Giorgio Napolitano. Ripercorrendo la storia di questo decennio, scrive Marcello Foa sul “Giornale”, si scopre che, nei momenti più critici, Napolitano ha usato tutto il suo prestigio per spingere italiani e politici «nella direzione voluta dall’establishment europeo, che appare come un referente più forte, alto e influente della Costituzione italiana». Sicché, «parlare di tradimento del mandato non è improprio: di certo quello di Re Giorgio appare come un tradimento dell’Italia».
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Friaul, il nazi-Stato dei Cosacchi a insaputa dei friulani
Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».Il 7 maggio del ‘45, al castello di Hornstein, luogo dell’appuntamento, il “leiter” Franz Hradetzky parlò per l’ultima volta del Pfufferstaats Friaul, lo Stato che, se l’Asse avesse vinto la guerra, avrebbe dovuto proteggere i confini sud-occidentali dell’ex impero asburgico. La disposizione, ricorda Dato sul blog di Aldo Giannuli, era arrivata da Himmler. Dopo l’8 settembre del ‘43 e la costituzione del protettorato dell’Ozak (litorale adriatico), il capo delle SS aveva affidato a Hradetzky e ai suoi propagandisti del “Kommando Adria” un’operazione speciale: ridestare i «sentimenti nazionali nel popolo friulano», come premessa per l’istituzione del Friaul. Stretti i contatti tra le curie del Litorale e i funzionari agli ordini del comando nazista, decisivi per i rapporti coi sarcedoti sloveni e l’arruolamento forzoso della popolazione per costruire opere pubbliche per la difesa terrestre e antiaerea. Inoltre, «alcuni settori della Chiesa vedevano di buon occhio il progetto della Grande Austria», dopo che l’Armata Rossa «aveva ripreso controllo del mondo ortodosso e i soldati di Stalin e di Tito dilagavano negli Stati cattolici dell’Europa orientale e balcanica».Il principe arcivescovo di Salisburgo, Andreas Rohracher, insieme ad altri esponenti del Vaticano come Alois Hudal, tentò una disperata mediazione nell’aprile del ‘45, fra nazisti austriaci e servizi segreti inglesi e americani: «La Grande Austria – spiega Gaetano Dato – doveva comprendere anche la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania. Si trattava di un progetto con qualche saldatura col più vasto tentativo vaticano dell’Intermarium, una lega di Stati cattolici fra i mari Adriatico e Baltico capace di contenere il mondo sovietico». Vi guardavano con particolare attenzione il generale polacco Wladyslaw Anders e i suoi 100.000 soldati sparsi per l’Italia, in attesa di rientrare in patria e vendicare il massacro sovietico di Katyn. Naturalmente, né la Grande Austria né l’Intermarium poterono mai realizzarsi: «Il 1945 non era un tempo di restaurazioni. Il dominio dell’Europa era finito e il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Usa e Urss avevano già spartito il pianeta in sfere di influenza, e al massimo potevano lasciare agli inglesi la patata bollente della guerriglia greca», guidata dal comunista Markos Vafiadis.Gli americani, continua Dato, si erano inoltre presi la briga, coi britannici, di sostenere ustaša e cetnici, per tenere sulle spine Tito in Jugoslavia, ma forse solo perché erano a loro volta rimasti impantanati a Trieste per via del Territorio Libero. «Ma questo era tutto. Non c’era spazio per il terzaforzismo cattolico, che riuscì soltanto a mettere in salvo alcuni capi e gerarchi nazifascisti». L’offerta che Hradetzky aveva pensato di fare ai sopravvissuti del “Kommando Adria”, al momento dell’incontro in quel 7 maggio, non si era dunque ancora concretizzata nei modi opportuni. «La speranza era che in tempi brevissimi la mobilitazione per la nuova Grande Austria potesse salvare ciascuno dalla prigionia. Nulla di più sbagliato. Poco tempo dopo, lo stesso “leiter” dei corrispondenti di guerra fu arrestato dagli jugoslavi, e processato a Lubiana», insieme a molti altri responsabili dell’Ozak. Tuttavia scampò alla pena capitale e, dopo 16 anni di lavori forzati, riuscì a tornare in Austria: «Così, le sue testimonianze a Pier Arrigo Carrier negli anni Settanta hanno riportato alla luce la breve storia dei tentati preparativi per la costituzione del Friaul», in quella “Grande Austria” che nei sogni del “partito degli austriaci” avrebbe dovuto prendere il sopravvento sui tedeschi del nord, assorbendo anche la Boemia e persino la Baviera.Sarebbero state concesse ampie autonomie a croati e sloveni, attraverso la costituzione di Stati autonomi, ma federati al Reich. Agli sloveni in particolare sarebbe stata tolta la regione della Stiria slovena, da germanizzarsi completamente, e sarebbe stato ricostituito il ducato di Carniola, che era tramontato con la fine degli Asburgo. Il Pfufferstaats Friaul sarebbe stato un altro degli Stati autonomi federati, uno Stato cuscinetto con lo scopo di isolare ogni possibile “infezione” dal lato italiano, specialmente in direzione delle terre giuliane, dalmate e del Quarnero, in cui il sentimento irredentista aveva una certa presa. A tale scopo il Pfufferstaats Friaul avrebbe tagliato ogni continuità territoriale tra queste aree e la penisola italiana. Il “ribaltone” italiano dell’8 settembre 1943 aveva spinto Himmler a includere il Friuli nei piani di ingegneria etnica che avrebbero dovuto rettificare l’Europa del Nuovo Ordine. In Friuli, per l’Ozak, gli italiani erano «una minoranza», cioè appena 100.000 su una popolazione di 700.000 persone, di cui 200.000 «sloveni» e il resto, la maggioranza, erano friulani, «appartenenti al gruppo retoromanzo», lo stesso che abita «i Grigioni in Svizzera» e che in Tirolo «costituisce il gruppo dei Ladini».Era dunque opportuno agire per tempo e far sorgere la voglia di indipendenza ai friulani ben prima della fine della guerra. Il capo delle SS contattò quindi Hradetzky nell’autunno del 1943. «Fu redatto un piano che prevedeva la forzata nazionalizzazione delle masse friulane, previa la distillazione delle loro tradizioni popolari, per essere loro riproposte attraverso mass media ed eventi pubblici». Un modello di nazionalizzazione congeniale ai nazisti, basato sul meccanismo della “invenzione della tradizione” secondo lo schema classico analizzato da Eric Hobsbawm. Così, Hradetzky mise in piedi un gruppo di studio sulle tradizioni popolari, in cerca di un “eroe nazionale” friulano. Ercole Carletti, segretario della Filologica Friulana, società culturale perseguitata dal fascismo, rifiutò di collaborare: la Filologica si ispirava a Graziadio Isaia Ascoli, linguista ebreo e patriota del Risorgimento che nella seconda metà dell’800 studiò estensivamente il friulano. I nazisti ripiegarono su Ermes Cavassori, giornalista de “Il Popolo del Friuli”, il quotidiano fascista di Udine, e su altri soggetti coinvolti dallo stesso Cavassori, a cominciare dallo zio, il maestro Luigi Garzoni.Fabbricare una narrazione nazionale: sul fronte degli studiosi austriaci fu reclutato Karl Felix Wolff, già membro della commissione culturale dell’Alpenvorland, il protettorato che occupava il Trentino Alto Adige. Insieme ai suoi collaboratori, scrive Dato, Wolff aveva lavorato soprattutto a una raccolta di fiabe friulane, che però non giunse mai alla stampa, a causa del precipitare degli eventi. Alcuni dei “racconti friulani” fecero in tempo a uscire su “La Voce di Furlania”, periodico fondato da Cavassori e Garzoni. Temi prevalenti del giornale: tradizioni popolari, lotta all’internazionalità e inviti alla popolazione a collaborare con i tedeschi. Il titolo della testata dava anche il nome a una rivista teatrale messa in scena settimanalmente a Udine. Furono inoltre fondati oltre 40 gruppi corali, mentre altre associazioni provvedevano alla riscoperta delle tradizioni folcloristiche, a cominciare dagli abiti tradizionali. «Pare che, secondo Hradetzky, la popolazione avesse entusiasticamente aderito a queste iniziative, mostrando così un certo consenso nei confronti dell’amministrazione nazista. Naturalmente queste notizie venivano accolte con apprensione dal governo della Repubblica di Salò, ma ormai Mussolini e i fascisti non potevano fare molto per opporsi ai progetti di Berlino per il Nuovo Ordine». Ma l’operazione restava debole: «Fu impossibile riuscire a individuare, nella storia friulana, dei precedenti storici la cui strumentalizzazione potesse veicolare la trasformazione di un movimento per il risveglio culturale, in un movimento indipendentista».Dopo la fine del patriarcato di Aquileia, nel 1492, e la conseguente fine dell’indipendenza dell’area della ladinità, non esisteva alcun episodio in cui la popolazione locale avesse cercato di riacquistare una qualche precedente e mitizzata autonomia. I friulani, scrive Dato, erano sempre stati sottomessi, prima a Venezia prima e poi agli austriaci. Accolti solo nel 1866 nella giovane nazione italiana, «mai i friulani si erano interessati a una propria questione nazionale». Spiazzati, i nazisti, anche dall’assenza di un eroe “nazionale” friulano, l’equivalente di uno Skanderbeg per l’Albania. «Il massimo che riuscirono a recuperare fu la vicenda di Padre d’Aviano, diplomatico presso gli Absburgo e molto conosciuto per la sua lotta contro l’invasione turca». Ma il tutto «non andò oltre alla cerimonia di deposizione di una lapide ad Aviano». E il progetto di Himmler e Hradetzky, come molti altri, fu interrotto dalla guerra. «Rimane il dubbio su cosa pensassero al riguardo i cosacchi, che insieme ai caucasici, in 40.000 avevano occupato la Carnia nell’estate del 1944. “La Voce di Furlania” aveva parlato dei cosacchi solo una volta, per pubblicizzarne, manco a dirlo, uno spettacolo folcloristico, che pare stesse riscuotendo un grande successo in tutto il Kűnstenland».Il progetto della Grande Austria, nei piani del Nuovo Ordine, andava integrato con quello di un cordone di sicurezza che avrebbe dovuto circondare e isolare la Russia. Hitler voleva promuovere una schiera di Stati sottomessi alla sovranità tedesca, grazie anche a un’attenta alchimia fra le varie minoranze, che un calcolato piano di deportazioni avrebbe messo in atto. I paesi coinvolti sarebbero stati Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, la Nazione Tartara del bacino del Volga, una federazione di nazioni caucasiche, il Turkestan e infine uno Stato cosacco. Coinvolti da subito nell’invasione dell’Urss e pieni di speranze nel riuscire a vendicare le sconfitte della controrivoluzione del 1917-21, gli atamani cosacchi firmarono nel novembre del ‘43 un accordo col Reich che prevedeva una serie di garanzie. In primo luogo, l’affidamento di un vasto territorio da amministrare, oltre a un ruolo di primo piano nel governo della Russia. Tuttavia nell’accordo era prevista l’eventualità che, se l’andamento della guerra avesse impedito anche temporaneamente la consegna dei territori al governo cosacco (provvisoriamente insediato a Berlino), al “popolo della steppa” sarebbe stata riservata una regione in Europa occidentale.Nella primavera del 1944, poiché i partigiani friulani stavano rischiando di tagliare le comunicazioni fra i Balcani e il Reich, fu stabilito che quel territorio sarebbe stato proprio il Friuli. «Pertanto, nell’estate del 1944 un vasto contingente di soldati cosacchi, con le loro famiglie e i pope dalla lunga barba, si insediò a Tolmezzo e nel resto della Carnia». I tedeschi, ricorda Dato, presero a chiamare la zona “Kozakenland”, mentre per i nuovi arrivati la Carnia friulana era ormai “Cossackia”. Cominciarono persino a cambiare i nomi dei paesi e delle strade: Alesso, pressoché evacuato della sua popolazione autoctona, divenne Novočerkassk, come la città al cuore della controrivoluzione del Don, cosparsa di sangue dai massacri del 1920. «Ai friulani, intanto, non fu mai detto nulla di quell’accordo, che rimase a lungo segreto, anche se i cosacchi dicevano apertamente nei villaggi che quella terra era ormai diventata loro, almeno finché avessero potuto andarsene per tornare a invadere la Russia dei senzadio». Cosa sarebbe stato del Friuli, se avesse vinto l’Asse? «Forse – conclude Dato – sarebbe sorto un nuovo processo di etnogenesi, che avrebbe trasformato friulani e cosacchi in un nuovo popolo, in modo simile a quanto avvenuto in Europa con l’arrivo dei guerrieri della steppa nella tarda antichità. E del resto così li vedevano i friulani: come Unni giunti da lontano sul dorso dei cavalli, con i colbacchi pelosi e il pugnale sempre in vista».Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».
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Hathor Pentalpha e Isis, il romanzo criminale che ci attende
Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.Si tratta di massoni speciali, potentissimi, interconnessi fra loro nel super-network segreto delle Ur-Lodges. Uomini del massimo potere, abituati da sempre a influire nelle grandi decisioni geopolitiche, condizionando istituzioni che – in Occidente, a partire dagli Usa – vengono considerate esse stesse una sorta di emanazione massonica: senza il secolare impegno laico della “libera muratoria” europea nella lotta contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico, non avremmo avuto gli Stati moderni, la scienza moderna, la cultura moderna. Erano massoni i maggiori scienziati – da Newton a Einstein – così come i maggiori letterati e musicisti. Massoni anche i padri fondatori degli Stati Uniti. Massone l’americano Roosevelt, spettacolare campione della spesa pubblica vocata allo sviluppo della piena occupazione, secondo il credo del più grande economista del ‘900, il massone inglese John Maynard Keynes, su cui si basa tutta la sinistra europea marxista e post-marxista che ha messo in piedi il grandioso sistema di protezione sociale del welfare, fondato sulla sovranità democratica e monetaria per mitigare gli appetiti antisociali del “libero mercato”.La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt alle Nazioni Unite, l’assemblea planetaria eretta sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale, prefigura un’umanità redenta, liberata, globalizzata nei diritti e nelle aspirazioni al futuro. Esattamente il contrario dell’attuale globalizzazione neo-schiavistica, aristocratica, mercantilista, neo-feudale. Un disegno cinico e reazionario, oggi chiamato semplicemente “crisi”, sviluppato negli anni ‘70 dai ristrettissimi circoli elitari internazionali preoccupati dall’avanzata del loro grande nemico: la democrazia. Da qui il famigerato memorandum di Lewis Powell per stroncare la sinistra in tutto l’Occidente e il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e traviarlo, in modo che non servisse più l’interesse pubblico, ma obbedisse ai diktat delle grandi lobby, l’industria delle armi, le grandi multinazionali invadenti e totalitarie.Una storia già raccontata? Sì, anche, da diversi analisti “eretici”. Ma mai, finora, dallo sconcertante punto di osservazione del massone Magaldi, che fornisce dettagli inediti e spiegazioni spiazzanti, partendo da una rivelazione capitale: tutti gli uomini del massimo potere, nel ‘900, sono sempre stati accomunati dall’iniziazione esoterica. Questo fa di loro gli esponenti privilegiati di un circuito cosmopolita autoreferenziale e invisibile, protetto, ma al tempo stesso profondamente dialettico, non sempre concorde. Anzi, proprio alla guerra sotterranea che ha dilaniato il “terzo livello” del super-potere è dedicata la straordinaria contro-lettura di Magaldi: che nel golpe in Cile, ad esempio, non vede solo il noto complotto delle multinazionali americane per colpire il governo socialista, pericolosamente amico dei lavoratori e dei loro salari, ma anche – e soprattutto, in questo caso – il ruolo decisivo del massone Kissinger nel colpo di Stato promosso dalla Cia contro il massone Allende, come monito all’intera America Latina, da ridurre a periferia coloniale, e anche alla stessa Europa, dove le stesse “menti raffinatissime” hanno organizzato il “golpe dei colonnelli” in Grecia e i tre tentativi di colpo di Stato in Italia, affidati a Borghese e Sogno ma supervisionati da Licio Gelli, emissario della potentissima superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger.Sul fronte opposto, si è mossa nell’ombra la “fratellanza bianca” delle superlogge progressiste, per tentare di rintuzzare i colpi dei “grembiulini” oligarchici. Come in un romanzo di Dan Brown, in un film di Harry Potter? Non a caso, sostiene Magaldi: proprio nel cinema e nella letteratura, negli ultimi anni, si è concentrata l’azione delle Ur-Lodges democratiche, in attesa di una grande riscossa – pace contro guerra, diritti contro privilegi – di cui lo stesso libro del “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla superloggia progressista “Thomas Paine”, è parte integrante. Per credere a Magaldi, all’inizio della lettura, occorre accettare di indossare i suoi occhiali. Poi, però, già dopo poche pagine, diventa impossibile togliergli: quelli che aggiunge, infatti, sono preziosi tasselli che spiegano ancor meglio i passaggi-chiave della storia del “secolo breve”, senza mai discostarsi dalla verità accertata, dalla storiografia corrente. Solo (si fa per dire) Magaldi aggiunge nomi e cognomi. Completa la storia che già conosciamo integrandola con indizi inequivocabili, che illuminano retroscena finora rimasti in ombra.I riflessi della “grande guerra” che Magaldi racconta li stiamo pagando oggi: la crescita delle masse in Occidente è finita, e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Tutto è cominciato alla fine degli anni ‘60, prima con la morte di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, poi con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King, che le Ur-Lodges progressiste volevano entrambi alla Casa Bianca. Nessuno si stupisca, dice Magaldi, se da allora la sinistra è stata sconfitta in modo sistematico: hanno vinto “loro”, i padreterni neo-feudali che volevano confiscare i diritti democratici e le garanzie del lavoro, retrocedendo i cittadini occidentali al rango di sudditi impauriti dal futuro e assediati dal bisogno. Sempre “loro”, gli egemoni, si sarebbero persino abbandonati a un clamoroso regolamento di conti: il clan che voleva George Bush alla Casa Bianca avrebbe fatto sparare a Reagan, e i sostenitori occulti di Reagan, per rappresaglia, di lì a poco avrebbero promosso l’attentato simmetrico a Wojtyla, eletto Papa anche col sostegno occulto degli amici di Bush.Poi, su tutto, è calato l’ambiguo sudario della pax massonica, suggellato nello storico patto “United Freemasons for Globalization”, sottoscritto nel 1981 non solo dalle superlogge occidentali di destra e di sinistra, ma anche dai “confratelli” sovietici alla vigilia della Perestrojka di Gorbaciov e dagli stessi cinesi, in vista delle grandiose riforme del “fratello” Deng Xiaoping. Peccato che però qualcuno abbia “esagerato”, riconosce il super-massone oligarchico che si firma “Frater Kronos”, nella sconcertante appendice del libro di Magaldi, in cui quattro pesi massimi delle Ur-Lodges si confrontano sulla trattazione, dopo aver aiutato il massone italiano a mettere in piazza tanti segreti di famiglia. “Frater Kronos”, su cui si lesinano le informazioni personali per mascherarne l’identità, dimostra l’autorevolezza del grande vecchio del potere occidentale. «No, non sono il fratello Kissinger», scherza, quasi a suggerire che potrebbe trattarsi di un pari grado, del calibro di Zbigniew Brzezinski. Anche “Frater Kronos” – chiunque egli sia in realtà – conferma l’allarme: qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita a una superloggia definita inquietante, pericolosa e sanguinaria, denominata “Athor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro lo schermo della “primavera araba”. Il nuovo bersaglio è la Russia di Putin? C’è una precisa geopolitica del caos: e i golpisti occidentali puntano sempre sulla loro creatura più grottesca, il fondamentalismo islamico. Ci stanno lavorando dal lontano 2009, quando i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Regista dell’operazione? Sempre loro: la famiglia Bush. Per la precisione il fratello di George Walker, Jeb Bush, che vorrebbe fare di Al-Baghdadi il nuovo Bin Laden, da spendere per le presidenziali 2016. Dietrologia? Anche qui, “Massoni” fornisce chiavi inedite, partendo dall’attitudine esoterica degli iniziati: Isis non è solo il nome dell’orda terroristica messa in piedi da segmenti della Cia, è anche quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, carissima ai massoni che si definiscono anche “figli della vedova”. In alcuni testi antichi, Isis è chiamata anche con un altro nome, Athor. Proprio come la superloggia di Bush e Blair. Il Medio Oriente sta bruciando, è tornato lo spettacolo dell’orrore dei tagliatori di teste. “Frater Kronos” è preoccupato, il 2015 comincia male. Sicuri che non sia il caso di indossarli ancora, gli occhiali di Gioele Magaldi?(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.
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Il paradiso di Severgnini, questo falso Occidente criminale
È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).E poco importa se questi movimenti hanno storie e radici socioculturali diverse nelle diverse situazioni, tanto ormai si può giocare sul luogo comune di un Islam radicale globalizzato e omologato che esiste solo nell’imaginario dei media del “mondo libero” (salvo poi dover fare i salti mortali come in Siria, dove il mostro Bashar al-Assad e i “terroristi” del Pkk curdo vengono ora considerati alleati nella lotta contro i super mostri dell’Isis). Subito dopo la “cleptocrazia” di Putin che tenta di “riesumare la Grande Russia” aggredendo l’Ucraina; e qui – a parte la faccia tosta di definire cleptocrazia il regime russo quando si è cittadini della nazione più corrotta del mondo, come hanno appena dimostrato gli scandali Mose, Expo e Roma Mafia – c’è una palese inversione della realtà storica, visto che ad assediare la Russia e a tentare di colonizzare i paesi ex comunisti dell’Est Europa è stato semmai, dopo il 1989, proprio il “mondo libero” occidentale.Infine l’eterno, ridicolo (per la sua irrilevanza geopolitica) bersaglio di Pyongyang, un regime da operetta che viene presentato come una terribile minaccia per la libertà, solo per avere orchestrato alcuni attacchi informatici contro la Sony, che ha prodotto un film satirico in cui si dileggia il regime nordcoreano (nel mondo libero non si censura: ci si limita a nascondere al pubblico la verità, come hanno dimostrato le rivelazioni di Assange e Snowden, i quali, per avere rovinato l’immacolata immagine dei campioni della libera informazione, sono ora costretti a vivere in esilio). Questi “nuovi Erode” possono farci paura, tuona Severgnini, ma non si illudano: essi non possono vincere; a vincere saremo noi, il mondo libero occidentale, e lo faremo con la forza delle idee e non con la violenza (peccato che sulla testa delle centinaia di migliaia di civili massacrati in Iraq e in Afghanistan, per tacere delle tante altre guerre combattute in nome della libertà, siano piovute bombe e non idee). Ma vediamo quali sono queste idee vincenti.Pace (abbiamo appena accennato ai virtuosi massacri spacciati per guerre umanitarie); benessere (la crisi iniziata nel 2008 ha svelato la realtà di un mondo in cui le disuguaglianze sono tornate ai livelli dell’800 e dove all’arricchimento smisurato di un pugno di esponenti dell’alta finanza corrisponde l’immiserimento di milioni di cittadini comuni); istruzione (vogliamo parlare dei costi di un’istruzione superiore che torna ad essere appannaggio di ristrette élite?); tolleranza (quella di un paese “libero” come gli Stati Uniti, dove migliaia di cittadini di colore disarmati vengono assassinati da poliziotti che non solo non rischiano di essere incriminati ma conservano anche il posto?), rispetto per le donne (anche se dietro la retorica del politically correct si nasconde la realtà di un lavoro femminile che continua a essere sottopagato, per tacere dei femminicidi perpetrati nelle normali famiglie borghesi).Che dire poi della presunta superiorità del mercato garante di libertà e democrazia: finché dovremo ancora ascoltare questa baggianata? È vero che è passato molto tempo da quando i regimi nazifascisti si sono dimostrati del tutto compatibili con il libero mercato, ma oggi, con la Cina totalitaria che si avvia a diventare la maggiore potenza capitalistica mondiale, siamo di fronte a una smentita ancora più clamorosa. Insomma, se questi sono i suoi “valori”, allora non solo è possibile che l’Occidente perda, ma si può dire che ha già perso, perché di quei valori non ne è rimasto in piedi nemmeno uno: a combattere i “nuovi Erode” non c’è Gesù, ma un vecchio Erode non meno feroce dei suoi nemici. Eppure, scrive Severgnini, i migranti rischiano ancora la vita in mare «per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto». Rischiano la vita perché a casa loro crepano di fame, ma qui, più che pasti, letti e ospedali, trovano squallidi ghetti assediati da folle razziste (do you remember Tor Sapienza?) e, se non subiscono passivamente qualsiasi angheria, o se sono “irregolari”, tremano eccome davanti a un poliziotto.Alla fine, quasi prevedendo le sarcastiche obiezioni avanzate in questo articolo, Severgnini le rintuzza con il solito refrain: «Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato». È l’argomento con cui il pensiero unico neoliberista cerca di legittimare, sia pure con argomenti di basso profilo (“in fondo non abbiamo niente di meglio”), la propria egemonia culturale. Ed è proprio sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, che occorre lavorare per smontarlo, come alcuni (non moltissimi purtroppo) cercano di fare. Uno di questi era Hosea Jaffe, un economista sudafricano morto qualche giorno fa in Italia, dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita. Marxista eretico (i marxisti ufficiali non gli perdonavano di avere rinfacciato alle sinistre occidentali la loro complicità con il colonialismo), iconoclasta fino ad accusare gli stessi Marx ed Engels di eurocentrismo non senza venature razziste, Jaffe è stato in prima fila nelle lotte contro diversi regimi coloniali e neocoloniali africani, e si è battuto perché partiti e sindacati occidentali riconoscessero che parte delle loro conquiste salariali e sociali erano finanziate dal supersfruttamento dei popoli del Terzo Mondo.Oggi le sue idee trovano una sia pure parziale applicazione nelle lotte di quei movimenti sudamericani, africani e asiatici che hanno cominciato a capire di doversi inventare un’alternativa globale al “mondo libero”. Possiamo solo sperare che lavorino abbastanza in fretta per impedire che la rabbia dei milioni di disperati esclusi dai nostri “paradisi” trovi rappresentanza solo da parte dei nuovi Erode di cui sopra. Senza dimenticare che quella rabbia inizia a montare anche qui e, in assenza di un’alternativa di sinistra credibile, rischia di imboccare la strada che aveva imboccato negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, una strada in fondo alla quale ci aspetterebbero orrori peggiori di quelli che oggi inquietano i sogni dei pacifici borghesi occidentali.(Carlo Formenti, “Severgnini e la vecchia retorica del mondo libero contro l’impero del male”, da “Micromega” del 22 dicembre 2014).È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).
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L’eclissi di Napolitano e il clan occulto dei golpisti mondiali
Dopo nove anni passati sul Colle Giorgio Napolitano si appresta (forse) a lasciare. In poco tempo l’ex comunista migliorista ha trasformato un paese relativamente prospero come l’Italia in una valle di lacrime. In questo senso si può dire che Napolitano è stato molto efficace, riuscendo con abilità e costanza a realizzare gran parte degli obiettivi che alcuni occulti consessi gli avevano implicitamente affidato. Chi ha letto il libro di Magaldi, “Massoni”, sa come l’attuale presidente della Repubblica sia stato iniziato presso la Ur- Lodge “Three Eyes” nel lontano 1978. La “Three Eyes”, motore e centro decisionale di una offensiva reazionaria senza precedenti, supervisionò in passato una serie di accadimenti nefasti e sanguinari: dal golpe greco dei “colonnelli” fino all’operazione “Condor” in America Latina, molte delle tragedie conosciute e perpetuate dall’Uomo a partire dagli anni ’60 fino ai giorni nostri portano indiscutibile il timbro della famigerata loggia dai “tre occhi”.Napolitano è quindi epigono di una stagione tragica, violenta ed infingarda, fortunatamente destinata per consunzione a chiudersi per sempre. Negli stessi anni in cui Kissinger e soci “cucinavano” in giro per il mondo le dittature militari poi personificate dai vari Pinochet e Videla, in Italia si riaffacciava il pericolo golpista. I tentativi del principe Junio Valerio Borghese prima e quello di Edgardo Sogno poi rappresentavano infatti coerenti tasselli di un mosaico globale. Grazie al cielo Arthur Schlesinger Jr., già “maestro venerabile” della superloggia progressista “Thomas Paine”, riuscì a proteggere la democrazia italiana dalla grinfie di alcuni noti “contro-iniziati”. La P2, giova ripeterlo, altro non era se non il braccio italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, centro elitario ed occulto che muoveva come pedine i tanti “Gelli” allevati e pasciuti in giro per il mondo.Proprio l’organica appartenenza presso una delle Ur-Lodges in assoluto più influenti ha permesso a Giorgio Napolitano di devastare di fatto l’Italia tra gli applausi scroscianti di un sistema mediatico appositamente “addomesticato”. La massoneria reazionaria sovranazionale, nelle sue diverse articolazioni, ha oggi affinato metodi ed approcci. Il nazismo classico, ora improponibile in Europa, è stato sostituito da un tecno-nazismo soft che uccide cavalcando il mito della “purezza del bilancio” in luogo dell’oramai vetusta “purezza della razza”. Per completare una torsione oligarchica in grado di affamare una gran parte di cittadini resi sudditi dalla paura e dal bisogno, è necessario quindi che tutti gli attori in commedia recitino lo stesso copione. Dal 2011 fino ad oggi Napolitano ha di fatto commissariato l’Italia, nominando premier-fantoccio con il chiaro obiettivo di assecondare bramosie private. Monti, Letta e ora Renzi hanno difatti attuato politiche volutamente recessive, pensate per distruggere il tessuto economico italiano e diffondere miseria, disoccupazione e disperazione.Per questo la scelta del successore di Napolitano sarà indispensabile per capire quale piega prenderà l’Italia nei prossimi anni. Un nuovo Presidente della Repubblica organico alle Ur-Lodges neo-aristocratiche proverà infatti anche in futuro a neutralizzare gli esiti di una elezione libera e democratica, tenendo di continuo sotto scacco un Parlamento già declassato al ruolo di misero e decorativo orpello. Quelli che sperano nell’ascesa di un nuovo Presidente della Repubblica “tecnico” e “indipendente”, parlano in realtà in nome e per conto di quegli stessi mondi che da tempo selezionano ministri dell’Economia come Grilli, Saccomanni o Padoan. Chi esercita il potere in forza di un mandato popolare tenderà in linea di principio a difendere interessi diffusi. Chi, al contrario, come Monti o Padoan, ricopre posti di pubblica responsabilità senza avere un voto, evidentemente gode di altre fonti occulte di legittimità. Fonti che il libro “Massoni” smaschera, fornendo a chiunque le chiavi per comprendere genesi e ratio di alcuni accadimenti altrimenti apparentemente inspiegabili.(Francesco Maria Toscano, “L’eclissi di Giorgio di Napolitano, presidente della Repubblica in forza alla Ur-Lodge Three Eyes”, da “Il Moralista” del 22 dicembre 2014).Dopo nove anni passati sul Colle Giorgio Napolitano si appresta (forse) a lasciare. In poco tempo l’ex comunista migliorista ha trasformato un paese relativamente prospero come l’Italia in una valle di lacrime. In questo senso si può dire che Napolitano è stato molto efficace, riuscendo con abilità e costanza a realizzare gran parte degli obiettivi che alcuni occulti consessi gli avevano implicitamente affidato. Chi ha letto il libro di Magaldi, “Massoni”, sa come l’attuale presidente della Repubblica sia stato iniziato presso la Ur- Lodge “Three Eyes” nel lontano 1978. La “Three Eyes”, motore e centro decisionale di una offensiva reazionaria senza precedenti, supervisionò in passato una serie di accadimenti nefasti e sanguinari: dal golpe greco dei “colonnelli” fino all’operazione “Condor” in America Latina, molte delle tragedie conosciute e perpetuate dall’Uomo a partire dagli anni ’60 fino ai giorni nostri portano indiscutibile il timbro della famigerata loggia dai “tre occhi”.