Archivio del Tag ‘Stato’
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Appello al governo: vi regalo la prevenzione dei terremoti
Appello al governo italiano: Salvini e Di Maio se la sentono di prendere finalmente in considerazione il sistema di prevenzione sismica collaudato da Giampaolo Giuliani, l’ex tecnico dell’istituito di astrofisica del Gran Sasso che nel 2009 previde il catastrofico terremoto dell’Aquila? La notizia: pur di salvare vite umane, Giuliani regalerebbe volentieri allo Stato il suo rivoluzionario brevetto, per il quale ha ricevuto offerte milionarie. Si tratta di un dispositivo di rilevazione e allertamento, installato con successo in mezzo mondo, dall’America all’Asia. Ha dell’incredibile il fatto che una scoperta italiana venga completamente ignorata in patria, dove la terra ha ripreso a tremare – dall’Abruzzo alla Sicilia. «Trovo vergognoso che ancora oggi i telegiornali sostengano impunemente che i terremoti non si possano prevedere», protesta Gianfranco Pecoraro (Carpeoro), dirigente del Movimento Roosevelt. Carpeoro ha rilanciato l’offerta salva-vita di Giuliani in una diretta web-streaming su YouTube il 6 gennaio, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, in collegamento con lo stesso Giuliani.
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Ferrajoli: decreto Salvini, disobbedire è un dovere morale
Il rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza e vale a svelarne il carattere «disumano e criminogeno», secondo le parole del sindaco Orlando. E rappresenta una forte presa di posizione istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo, per chi non condivide statalismo etico e gius-positivismo ideologico, cioè la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della morale sul diritto quale che sia, che la disobbedienza civile alla legge palesemente ingiusta è un dovere morale. Ovviamente, al prezzo delle conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti. Ma qui non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza. L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte alla Corte Costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile.Esso è previsto nel corso di un giudizio, qualora il giudice ritenga la questione non manifestamente infondata e, inoltre, su iniziativa di una Regione, qualora essa ritenga che la legge statale o una sua parte invada la sfera delle sue competenze. Ci sono pertanto tre strumenti di tutela dei diritti fondamentali che potranno essere utilizzati contro l’applicazione di questa legge disumana e immorale. Il primo è affidato all’iniziativa degli stessi migranti, i cui diritti sono dalla legge vistosamente lesi. Consiste nell’attivazione della procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del codice di procedura civile, secondo il quale «chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito».In questo caso il «provvedimento d’urgenza» che i migranti possono chiedere al giudice per opporsi alla minaccia di «un pregiudizio imminente e irreparabile» ai loro diritti fondamentali è precisamente l’eccezione di incostituzionalità che lo stesso giudice ha il potere di promuovere davanti alla Corte Costituzionale contro le norme del decreto che ledono o minacciano tali diritti, tutti costituzionalmente stabiliti. Il secondo strumento è affidato all’iniziativa delle Regioni e richiede la deliberazione delle rispettive giunte regionali. È infatti indubbio che il decreto cosiddetto «sicurezza», sopprimendo il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha trasformato decine di migliaia di migranti in clandestini irregolari, privandoli di fatto delle garanzie dei loro diritti fondamentali, a cominciare dai diritti alla salute e all’istruzione. Ebbene, sia l’istruzione che la tutela della salute, secondo il terzo comma dell’articolo 117 della nostra Costituzione, sono «materie di legislazione concorrente» tra Stato e Regioni. Le norme del decreto che direttamente o indirettamente incidono su tali materie appartengono perciò alla competenza legislativa, sia pure concorrente, delle Regioni.Non solo. L’assistenza sociale, che il decreto Salvini rende impossibile a favore dei migranti da esso ridotti allo stato di clandestini, è materia di competenza esclusiva delle Regioni: una competenza esclusiva ribadita più volte dalla Corte Costituzionale, intervenuta in sua difesa con svariate pronunce (sentenze n. 300 del 2005; n. 156 del 2006; n. 50 del 2008; n. 124 del 2009; nn. 10, 134, 269 e 299 del 2010; nn. 40, 61 e 329 del 2011) contro le invadenze dello Stato. Di qui la legittimazione delle Regioni, prevista dall’articolo 127, 2° comma della Costituzione, a sollevare sul decreto Salvini la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 3 dicembre 2018. Ci sono ancora, in Italia, molte regioni governate da maggioranze democratiche, dal Lazio al Piemonte, dall’Emilia alla Toscana, dalle Marche alla Campania, dalle Puglie alla Calabria. La loro disponibilità a promuovere la questione davanti alla Corte Costituzionale sarà il banco di prova di quanto, al di là delle parole, queste Regioni a guida democratica intendono prendere sul serio i principi costituzionali. Infine c’è una terza via di accesso alla giustizia costituzionale, percorribile dagli stessi sindaci che hanno deciso di non dare applicazione al decreto Salvini.Oltre alla strada intrapresa dal sindaco Orlando – l’azione di accertamento, già sperimentata in materia elettorale, davanti al giudice civile perché questi chieda alla Corte Costituzionale se la legge è conforme o meno alla Costituzione – i sindaci disobbedienti potranno, qualora i loro provvedimenti venissero annullati dai prefetti, impugnare gli atti di annullamento di fronte ai Tar, cioè ai tribunali amministrativi, e, in quella sede, proporre l’eccezione di incostituzionalità delle norme da essi ritenute incostituzionali. Insomma, la battaglia in difesa della Costituzione è nuovamente aperta, grazie alla coraggiosa iniziativa dei sindaci antirazzisti. Ciò che ora occorre è una mobilitazione di massa a loro sostegno e a salvaguardia, di nuovo, della Costituzione della Repubblica, già difesa dal 60% degli elettori nel referendum costituzionale di poco più di un anno fa e oggi tradita dai nuovi governanti. Questa volta è in questione assai più della tenuta o della modifica delle regole formali sul funzionamento dei nostro organi di governo. Sono in gioco – direttamente – tutti i principi sostanziali della nostra democrazia: l’uguaglianza, la dignità delle persone, il rifiuto delle discriminazioni razziste, la solidarietà, i diritti fondamentali di tutti, la civile e pacifica convivenza.(Luigi Ferrajoli, “Disobbedire è un dovere morale. Gli strumenti contro il decreto Salvini ci sono. Serve mobilitarsi”, da “Il Manifesto” del 6 gennaio 2019).Il rifiuto dei sindaci di applicare il decreto Salvini è un atto ammirevole di disobbedienza civile e di obiezione di coscienza e vale a svelarne il carattere «disumano e criminogeno», secondo le parole del sindaco Orlando. E rappresenta una forte presa di posizione istituzionale in difesa dei diritti umani dei migranti. Aggiungo, per chi non condivide statalismo etico e gius-positivismo ideologico, cioè la confusione autoritaria tra diritto e morale e l’appiattimento della morale sul diritto quale che sia, che la disobbedienza civile alla legge palesemente ingiusta è un dovere morale. Ovviamente, al prezzo delle conseguenze giuridiche alle quali si espongono i disobbedienti. Ma qui non siamo di fronte a un semplice atto morale di obiezione di coscienza. L’obiezione, in questo caso, è motivata dalla convinzione del carattere incostituzionale del decreto perché lesivo dei diritti fondamentali delle persone. Naturalmente i sindaci non possono disapplicare la legge e neppure promuovere essi stessi la questione di illegittimità di fronte alla Corte Costituzionale. L’accesso alla Corte per ottenere una pronuncia di illegittimità della legge è tuttavia possibile.
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Noi ciechi, nella caverna di Platone chiamata neoliberismo
Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo-finanziario), va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche socio-politico-economiche e poiché costituisce quello che viene definito Pensiero Unico (che sostiene il primato dell’economia sulla politica). In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde ovviamente un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe (risalente già agli anni Venti del Novecento ma iniziato ad attuarsi negli anni Settanta) da parte della “classe dominante”; è la reazione delle élite che, nell’età contemporanea, tanto avevano perso in termini di potere e di ricchezza (soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi al secondo dopoguerra, quando le Costituzioni socialiste associate alle politiche economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie, tanto che nello studio “Crisi della democrazia” del 1975, commissionato dalla Trilaterale, si parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con l’introduzione di tecnocrazie).Quindi, partendo dalle teorie di Von Hayek e con la Scuola di Chicago di Friedman, andò imponendosi in campo accademico questo nuovo pensiero (grazie, tra le tante, alla influente Mount Pelerin Society fondata già nel 1947 da Hayek con l’intento di aggregare varie personalità del mondo intellettuale al fine di ridiscutere il liberalismo classico della “mano invisibile” di Adam Smith). Essi misero in discussione il liberismo espansivo con intervento statale di tipo keynesiano (l’embedded liberalism della piena occupazione e della redistribuzione della ricchezza) e suggerirono di passare alla deregulation, a politiche di tagli alla spesa sociale, alle privatizzazioni (degli utili, e socializzazione delle perdite), alla finanziarizzazione dell’economia, alla deificazione del mercato e quindi alla definitiva sottomissione dello Stato e della politica agli interessi economici dei potentati privati. Il tutto andò in porto grazie alla diffusione a reti unificate del nuovo credo tramite le “categorie previane” del circo mediatico, del clero giornalistico e accademico e del ceto intellettuale (che, con la sintassi di Bourdieu, è da sempre il gruppo dominato della classe dominante).Tutto iniziò dal “test pilota” dopo il golpe di Pinochet in Cile del ’73, e poi dai governi occidentali di Thatcher, Reagan, Mitterrand e Kohl per arrivare al capolavoro degli arbitrari parametri di Maastricht (fulcro dell’ordoliberismo) e della moneta unica europea a cambio fisso con banca centrale indipendente (e sostanzialmente privata). Fin da allora la distribuzione di ricchezza avrà un’inversione di tendenza e andrà concentrandosi sempre più nelle mani di quella che è di fatto un’oligarchia finanziaria che non fa che portare avanti programmi a proprio vantaggio e a detrimento dei popoli (vedasi dati oggettivi sulla sperequazione crescente). Ciò che si è riassunto in poche righe va contestualizzato all’epoca ed è solo la lotta di classe dopo la lotta di classe (Gallino) ovvero la ribellione delle élite (Lasch); è l’operato di un gruppo, dell’1%, che fa i propri interessi a spese di un altro, quello del 99% (come è lecito, anche se non etico). Il problema è stata la mancata risposta delle classi subalterne e dei loro rappresentanti (politici e sindacali) che non hanno saputo interpretare e comprendere i fatti e tendono a non vederli o capirli tuttora (alcuni “stupidamente”, altri in malafede, sia a destra che a sinistra, con l’esaurimento della storica dicotomia).Bisogna liberarsi dei mantra del “There Is No Alternative” (Thatcher) e dell’ineluttabile “fine della storia” (Fukuyama) che abbiamo introiettato; in realtà tutto è frutto di scelte politiche ed economiche deliberate e pianificate; il sistema socio-economico nel quale viviamo non è un fatto naturale e irriformabile e, in quanto tale, non è necessario subirlo, basta pensare ed agire altrimenti (poiché, parafrasando Einstein, non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato). Purtroppo però le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti (Marx). Per giungere ad un cambiamento è necessario arrivare ad una “massa critica” di persone consapevoli, che comprendano che è in atto una “guerra” (la mai estinta contrapposizione hegeliana servo-signore) e che si compattino riconoscendo il “nemico” comune da combattere (che personalmente, credo a ragione, ho identificato nel neoliberismo e nelle sue ricadute politiche e sociali).Cerco di spiegarmi meglio: dal sistema economico vigente scaturisce l’onnipervaviso e catechizzante Pensiero Unico, nel quale si innervano tutte le esiziali logiche sociali hobbesiane della competizione, dell’homo homini lupus, del mors tua vita mea, del do ut des, del narcisismo individualista, dell’egoismo, dell’edonismo, del materialismo, del consumismo e della spietatezza di cui è malata la nostra società nichilistica egocentrata, e che ci rendono “schiavi” perfetti poiché, come abitatori della caverna di Platone, siamo incapaci di vedere le nostre “catene” e quindi impossibilitati a liberarcene. All’interno di quel coagulo di interessi economici e di valori culturali e morali (il blocco storico di gramsciana memoria) appare chiaro come il pensiero economico egemone abbia influito cambiando la società che, come propugnava la Thatcher, davvero non esiste più, esistono solo gli individui: non più una comunità di animali sociali (Aristotele) ma una massa di homines oeconomici, di imprenditori di sé, di monadi (da qui, complice il politicamente corretto, l’attenzione focalizzata con successo esclusivamente sui diritti civili a spese di quelli sociali).Perciò, dunque, occorre una rivoluzione culturale che può partire solo da chi ha una propria coscienza infelice (Hegel) rifuggendo dalla crematistica e ritornando all’equilibrio e quindi ai concetti di misura e limite (come ci insegnano gli antichi greci). Rimane un unico problema che il già citato Platone conosceva fin da 2400 anni fa: l’eventuale “liberatore” verrà dapprima deriso e finanche ammazzato da quelli in “catene”. È davvero eloquente ed attuale l’allegoria della caverna, in cui Platone descrive come una realtà mediata e manipolata viene invece percepita come “verità” dagli sventurati protagonisti che, poiché nati in cattività, non possono immaginare un’esteriorità rispetto alla caverna stessa e quindi, non sapendosi schiavi ingannati, tantomeno ambire alla libertà.(Enrico Gatto, “Il problema – contro il quale unirsi”, da “L’Interferenza” del 2 gennaio 2018).Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo-finanziario), va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche socio-politico-economiche e poiché costituisce quello che viene definito Pensiero Unico (che sostiene il primato dell’economia sulla politica). In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde ovviamente un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe (risalente già agli anni Venti del Novecento ma iniziato ad attuarsi negli anni Settanta) da parte della “classe dominante”; è la reazione delle élite che, nell’età contemporanea, tanto avevano perso in termini di potere e di ricchezza (soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi al secondo dopoguerra, quando le Costituzioni socialiste associate alle politiche economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie, tanto che nello studio “Crisi della democrazia” del 1975, commissionato dalla Trilaterale, si parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con l’introduzione di tecnocrazie).
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I biologi: vaccini “sporchi”, con diserbanti e feti abortiti
Vaccini “sporchi”, con tracce di diserbante e Dna umano ricavato da feti abortiti. E vaccini anche inutili, cioè privi delle necessarie sostanze immunizzanti. E’ esplosiva la denuncia di Vincenzo D’Anna, presidente dell’ordine dei biologi, sulla scorta delle analisi effettuate su vaccini somministrati ai bambini italiani. Risultati-choc, quelli che D’Anna ha presentato in esclusiva a Franco Bechis, direttore del quotidiano “Il Tempo”. «In alcuni casi la prova scientifica ha dato l’esito che ci attenderebbe: vaccini prodotti a regola d’arte. In altri no». Per due di questi, aggiunge Bechis, gli esiti delle analisi biologico-genomiche sono stati «clamorosi e preoccupanti, perché i campioni prelevati da diversi lotti tutto sembravano meno che essere confezionati secondo le regole». In un caso, quello del vaccino da impiegare per morbillo, rosolia, parotite e varicella, «si è rilevata la totale assenza degli antigeni del virus della rosolia». Quegli stessi lotti sarebbero quindi stati utilizzati «per migliaia di vaccinazioni inutili». In assenza dell’antigene necessario, infatti, «chiunque sia stato vaccinato può prendersi la rosolia esattamente come non avesse mai visto un vaccino». Nel secondo referto di laboratorio, analisi e contro-analisi che riguardavano un altro vaccino multivalente (difterite, tetano, pertosse ed epatite B) è stata rilevata «la presenza di sostanze che non dovevano esserci (ad iniziare dal Dna umano)», sia pure in dosi microscopiche, eppure «potenzialmente dannose per la salute dell’uomo».Pubblicati su riviste scientifiche internazionali, questi risultati – spiega lo stesso Bechis il 23 dicembre sul “Tempo” – porteranno a un esposto che verrà presentato all’Agenzia italiana del Farmaco, alla sua “madre” europea (l’Ema), ai Nas dei carabinieri e alle competenti procure della Repubblica. Tanto per cominciare, Vincenzo D’Anna non è ostile ai vaccini: «Come tutti i biologi – premette – credo nella utilità delle vaccinazioni, sono un pro-vax». E le analisi appena svolte non volevano controllare l’efficacia dei vaccini, ma soltanto verificare «la qualità della realizzazione dei prodotti messi in commercio». Ed e lì che sono arrivate le sorprese: le analisi «hanno rilevato decine di impurità in più lotti». Al momento, rivela D’Anna, «sono state individuate 43 sostanze improprie, nel senso che lì non si sarebbero dovute trovare». Ovvero? «Anticrittogamici, diserbanti, glifosato, antibiotici, antimalarici». Spiega il presidente dei biologi italiani: «Un antibiotico non deve stare in un vaccino. Un antimalarico neppure. Come un erbicida». Nelle analisi, aggiunge, si è trovata «tutta una serie di inquinanti che lì non dovrebbero esserci». Si parla di nanogrammi, precidsa D’Anna: nanoparticelle. Ma attenzione: «Nn si tratta di sostanze ingerite, ma iniettate», quindi interamente assorbite. «E in alcuni casi (ad esempio l’alluminio) non smaltibili».Precisa ancora D’Anna: «Non è nostro compito accertare né la nocività, né la tossicità dei materiali». Però, aggiunge, da quelle analisi è venuto fuori altro, «come l’assenza del virus della rosolia, che in sé potrebbe configurare una frode in commercio». Infatti, «migliaia di bambini che si sono vaccinati con quel lotto non sarebbero coperti verso la rosolia». Altra sorpresa sconcertante: «Sono state rilevate quantità improprie di Dna fetale». Com’è possibile? Lo spiega il biologo: «I virus vengono fatti replicare per fare le dosi occorrenti su materiale fetale da aborto, oppure su uova di galline. Ed è per quello che trovi i diserbanti o il glifosato, gli anticrittogamici e gli antiparassitari». Inutile aggiunge che, in un vaccino, quelle tracce «non dovrebbero esserci». Domanda Bechis: ma non c’è stato un esame pubblico di laboratorio su quelle dosi? La risposta: «Lei l’ha visto? Ne conosce i risultati?». Purtroppo, dichiara D’Anna, «c’è una aporìa giuridica», un vicolo cielo procedurale. «I test sul prodotto finito non sono obbligatori per il produttore. Li dovrebbero fare le strutture statali che proteggono la salute dei cittadini. Ma io non le ho mai viste», aggiunge D’Anna, «anche perché qualsiasi risultato è tenuto segreto un po’ come la ricetta della Coca Cola, per evitare che qualche concorrente copi la formula industriale di produzione del vaccino».Ma cosa sarebbe accaduto, domanda Bechis, se nei laboratori di Stato fossero emersi i clamorosi risultati che stiamo citando? «Avrebbero dovuto chiamarsi il produttore dei vaccini e chiedere spiegazioni», risponde D’Anna. «Certo dovrebbero chiedere come fanno ad esserci gli anticorpi della rosolia, se non c’è l’antigene». Per quanto riguarda il vaccino per tetano e difterite, non sono stati trovati quattro distinti “tossoidi” (cioè antigeni proteici) come dovrebbe essere, ma una sola macromolecola fatta da queste quattro proteine (relative a tetano, pertosse, difterite, epatite) “denaturate” dalla presenza di un conservante come la formaldeide. «Questa macromolecola precipita al fondo della provetta e, attaccata con tripsina, non risponde». E’ un comportamento anomalo, chiarisce D’Anna: «Dovrebbero esserci le quattro proteine dei vaccini previsti che, se attaccate con tripsina, dovrebbero sciogliersi. Questo non accade, e quindi nella macromolecola non ci sono solo proteine. Faremo un esposto all’Aifa e all’Ema – aggiunge il biologo – per capire se sono a conoscenza di queste cose».Insiste D’Anna: «Anche tutto fosse lecito e innocuo, come minimo bisognerebbe informarne le autorità e i cittadini che usano i vaccini». Secondo problema: «In questi vaccini è stato riscontrato un numero significativo di peptidi (cioè frammenti corti di sequenze di aminoacidi) di origine batterica, probabilmente provenienti da batteri “avventizi” che contaminano le colture. A questi – prosegue il biologo – si aggiungono 65 sostanze chimiche contaminanti, 35% note, (finora abbiamo replicato i risultati su un solo lotto, l’unico disponibile tramite le farmacie su tutto il territorio italiano da oltre un anno), di cui 7 sono tossine chimiche». Anche questi composti, spiega D’Anna, «devono essere confermati nella struttura da uno studio con standard di controllo». E quindi «bisogna che le agenzie ripetano queste analisi, facciano i controlli e rendano pubblici sia i risultati che il loro giudizio». I biologi italiani non si tirano indietro: per il 25 gennaio a Roma, D’Anna anuncia un grande convegno, dal titolo “Vaccinare in sicurezza”, con la partecipazione di scienziati stranieri e italiani, tra i quali Giulio Tarro (da poco insignito negli Usa del premio di miglior virologo). Obiettivo: premete sulle autorità per avere la certezza che i vaccini somministrati ai bambini siano “puliti” e sicuri.Vaccini “sporchi”, con tracce di diserbante e Dna umano ricavato da feti abortiti. E vaccini anche inutili, cioè privi delle necessarie sostanze immunizzanti. E’ esplosiva la denuncia di Vincenzo D’Anna, presidente dell’ordine dei biologi, sulla scorta delle analisi effettuate su vaccini somministrati ai bambini italiani. Risultati-choc, quelli che D’Anna ha presentato in esclusiva a Franco Bechis, direttore del quotidiano “Il Tempo”. «In alcuni casi la prova scientifica ha dato l’esito che ci attenderebbe: vaccini prodotti a regola d’arte. In altri no». Per due di questi, aggiunge Bechis, gli esiti delle analisi biologico-genomiche sono stati «clamorosi e preoccupanti, perché i campioni prelevati da diversi lotti tutto sembravano meno che essere confezionati secondo le regole». In un caso, quello del vaccino da impiegare per morbillo, rosolia, parotite e varicella, «si è rilevata la totale assenza degli antigeni del virus della rosolia». Quegli stessi lotti sarebbero quindi stati utilizzati «per migliaia di vaccinazioni inutili». In assenza dell’antigene necessario, infatti, «chiunque sia stato vaccinato può prendersi la rosolia esattamente come non avesse mai visto un vaccino». Nel secondo referto di laboratorio, analisi e contro-analisi che riguardavano un altro vaccino multivalente (difterite, tetano, pertosse ed epatite B) è stata rilevata «la presenza di sostanze che non dovevano esserci (ad iniziare dal Dna umano)», sia pure in dosi microscopiche, eppure «potenzialmente dannose per la salute dell’uomo».
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Houellebecq: l’Europa non esiste, e la libertà sta finendo
L’Europa non esiste: è solo un incubo, dal quale ci sveglieremo. E La gamma di opinioni consentite, quelle cioè che le persone sono autorizzate a esprimere in pubblico, è in costante diminuzione. Lo afferma uno scrittore di culto come Michel Houellebecq, il cui recente bestseller “Sottomissione”, che mette in guardia la Francia da una “conquista islamica”, è stato pubblicato il giorno del massacro di Charlie Hebdo. Houellebecq è stato a sua volta preso di mira per avere sostenuto verità impopolari, ricorda Paul Joseph Watson su “InfoWars”, in una nota tradotta da “Voci dall’Estero”. Lo scrittore sarebbe tra le vittime di «una sorta di dittatura esercitata dal politicamente corretto». Secondo Houellebecq, inoltre, non esiste alcun popolo europeo che possa dare vita ad alcuno Stato democratico: in una parola, riassume “Voci dall’Estero”, l’idea di Europa unita è stata semplicemente «un’idea stupida», rivelatasi mostruosa come un brutto sogno e destinata a svanire. Lo stesso Watson avverte: Houllebecq «suona un campanello d’allarme per la libertà di parola». In un pezzo scritto per “Harper’s”, lo scrittore francese denuncia lo strangolamento della libertà di opinione. «Gli americani non sono più disposti a morire per la libertà di stampa», scrive. Ma scusate, «quale libertà di stampa?». E aggiunge: «Fin da quando avevo dodici anni ho visto la gamma di opinioni consentite sulla stampa restringersi costantemente».Lo stesso Houellebecq denuncia una nuova «battuta di caccia», in Francia, contro lo scrittore conservatore Éric Zemmour, autore di “The French Suicide”, che sostiene che la società francese sia stata fortemente danneggiata dal neoliberismo, dall’Islam e dall’ossequio al “politicamente corretto”. Recentemente, ricorda Watson su “InfoWars”, proprio Zemmour «ha fronteggiato una marea di critiche per aver avvertito che in Francia era in corso una “colonizzazione al contrario”, dovuta ai decenni di immigrazione di massa, causata dal disprezzo di sé della nazione». Nel 2002, aggiunge Watson, lo scrittore era stato addirittura portato in giudizio per odio razziale – e in seguito assolto – per avere dichiarato in un’intervista che l’Islam è «la religione più stupida». Inoltre, a periodi alterni, ha dovuto ricorrere a una scorta armata «dopo avere ricevuto minacce contro la sua vita da parte di terroristi islamici». Una storia che ricorda le gravissime intimidazioni cui fu sottoposto a partire dal 1988 Salman Rushdie, autore indiano naturalizzato britannico, “colpevole” di aver scritto il romanzo “I versi satanici”, che gli attirò la “fatwa” dell’ayatollah Khomeini. Il traduttore in italiano dell’opera, Ettore Capriolo (non protetto da nessuna scorta), nel ‘91 fu pugnalato – in modo non mortale – nella sua abitazione milanese.All’epoca però l’Europa era lontanissima da quella attuale: non si erano ancora visti gli effetti del crollo dell’Urss e mancava ancora un decennio all’11 Settembre e alle guerre che avrebbe innescato, attraverso cui l’Occidente avrebbe devastato i paesi islamici. Va da sé che il fenomeno migratorio verso il vecchio continente non fosse paragonabile, per dimensioni, all’attuale esodo. In un altro passo del suo articolo per “Harper’s”, sempre Houellebecq nota che l’Europa storicamente è sempre stata in lotta contro l’Islam, e che «quella lotta è semplicemente tornata in primo piano». L’autore francese, aggiunge Watson, «si aspetta anche che l’Unione Europea si dissolva e che la Francia diventi nuovamente un paese indipendente». Houellebecq è esplicito: «La mia convinzione – scrive – è che in Europa non abbiamo né una lingua comune, né valori comuni, né interessi comuni: in una parola, sono convinto che l’Europa non esiste, e che non costituirà mai un popolo né sosterrà una possibile democrazia (vedi l’etimologia del termine), semplicemente perché non vuole costituire un popolo». Letteralmente, chiosa Houellebecq, «l’Europa è solo un’idea stupida che si è gradualmente trasformata in un brutto sogno, dal quale alla fine ci sveglieremo».La provocazione di Houellebecq va inquadrata nella polemica montante contro il “regime mainstream” del politically correct, rispetto al quale si moltiplicano segnali di insofferenza come quelli espressi dai movimenti politici classificati come populisti e neo-sovranisti, irritati dal modello post-democratico dell’Ue che sta producendo l’attuale Disunione Europea. Quanto alla polemica con l’Islam, in cui riecheggia lo “scontro di civiltà” evocato da Oriana Fallaci, non si precisa quello che la storia dimostra: e cioè che è stata l’Europa cristiana, con le Crociate, a muovere guerra al mondo musulmano (che all’epoca dava protezione anche agli ebrei, ferocemente perseguitati dai cattolici). Se la rabbia anti-occidentale (palpabile in molti paesi arabi) è dovuta allo spietato colonialismo anglo-francese, è noto che deriva estremistica dell’Islam (fino al terrorismo, Al-Qaeda e Isis) fu deliberatamente progettata dall’intelligence Usa. Quanto alla Francia che secondo Houellebecq dovrebbe giustamente tornare sovrana, sarebbe ora che rendesse sovrane anche 14 sue ex colonie africane, che mantiene sottomesse e a cui spilla ogni anno, scandalosamente, 500 miliardi di euro.L’Europa non esiste: è solo un incubo, dal quale ci sveglieremo. E La gamma di opinioni consentite, quelle cioè che le persone sono autorizzate a esprimere in pubblico, è in costante diminuzione. Lo afferma uno scrittore di culto come Michel Houellebecq, il cui recente bestseller “Sottomissione”, che mette in guardia la Francia da una “conquista islamica”, è stato pubblicato il giorno del massacro di Charlie Hebdo. Houellebecq è stato a sua volta preso di mira per avere sostenuto verità impopolari, ricorda Paul Joseph Watson su “InfoWars”, in una nota tradotta da “Voci dall’Estero”. Lo scrittore sarebbe tra le vittime di «una sorta di dittatura esercitata dal politicamente corretto». Secondo Houellebecq, inoltre, non esiste alcun popolo europeo che possa dare vita ad alcuno Stato democratico: in una parola, riassume “Voci dall’Estero”, l’idea di Europa unita è stata semplicemente «un’idea stupida», rivelatasi mostruosa come un brutto sogno e destinata a svanire. Lo stesso Watson avverte: Houllebecq «suona un campanello d’allarme per la libertà di parola». In un pezzo scritto per “Harper’s”, lo scrittore francese denuncia lo strangolamento della libertà di opinione. «Gli americani non sono più disposti a morire per la libertà di stampa», scrive. Ma scusate, «quale libertà di stampa?». E aggiunge: «Fin da quando avevo dodici anni ho visto la gamma di opinioni consentite sulla stampa restringersi costantemente».
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2018, Immacolata Concezione gialloverde: tutti spiazzati
Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.Il lato “eroico” è la rivolta contro il politicamente corretto, sia la politica-politicante che il soffocante correttismo ideologico. Un’insurrezione popolare contro i potentati interni ed esteri. Nel 2018 la verginità è andata al potere; l’assenza di precedenti, di curriculum e di esperienza ha contato come una virtù anziché un difetto. Vergine è il premier, che è stato concepito senza passare dalle urne, in una specie di Immacolata Concezione che è un miracolo in democrazia ma un doppio miracolo per un’alleanza populista fondata sulla sovranità degli elettori. Vergine è il suo regista, Di Maio, che si muove con padronanza, ma il suo stadio precedente non è stato l’amministrazione locale, il tirocinio professionale o la formazione di studi, ma lo Stadio san Paolo. Non è Vergine assoluto ma è novizio nel suo ruolo anche il ragazzo della Nutella, Salvini il poliziotto d’Italia che distribuisce bacioni e ruspate. La faccia del 2018 è una e trina: è in quella terna lì, i due segnalinee del Contratto e l’arbitro che media tra i due e tra l’Italia e il resto del mondo, pedinato dai due gendarmi quirinalizi, il povero Tria e lo stranito Moavero.Eppure in questi mesi si sono visti pochi cambiamenti. Molti annunci, molte dichiarazioni epocali, molto fumo, poca ciccia. Gli atti più significativi, finora, sono stati simbolici. E in buona parte non sono stati a favore dei più ma contro alcune categorie elevate a bersaglio: privilegiati veri o presunti, clandestini o criminali. Il top del gesto simbolico resta la distruzione della Reggia radical kitsch dei Casamonica, che in un colpo solo sintetizzava la lotta alla delinquenza, all’abusivismo e ai rom, versione sinti. Il valore simbolico di quella ruspa è stato enorme, e se lo sono conteso Salvini, la Raggi e Zingaretti. Non si può del resto pretendere di quadrare il cerchio e pure il triangolo: risparmiare come impone l’Europa, far crescere l’Italia, assistere chi non ce la fa. Cioè far crescere il Paese in due direzioni opposte: generando dinamismo sociale e sviluppo come pensano i leghisti, alleggerendo la pressione fiscale, e insieme frenando le opere pubbliche e distribuendo soldi a chi se la passa male, come pensano i grillini. La Manovra è infatti il tentativo surreale di pagare i debiti, risparmiandoci l’aumento dell’Iva, mandare in pensione prima con la quota 100, elevare il minimo delle pensioni e aiutare chi non ha lavoro. Un miracolo triplo così non saprebbe farlo neanche Gesùcristo. Le nozze di Cana coi fichi secchi. Da nozze così, più che figli nascono divorzi. Ma continuiamo a tifare per l’Italia unita, risorgente e sovrana.(Marcello Veneziani, “L’anno che ha spiazzato tutti”, da “Il Tempo” del 30 dicembre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Chi l’avrebbe mai detto, alla fine dell’anno scorso, che il 2018 sarebbe stato un anno così. Chi avrebbe mai pensato di questi tempi a un governo giallo-verde, a Di Maio al governo, a Salvini leader più amato dagli italiani e più odiato dai media (le due cose di solito vanno insieme). Chi avrebbe mai pensato al prof. avv. Conte alla guida del governo, un Signor Nessuno che traffica coi potenti della terra… E ai grillini passati dal nulla al ministero, dalla piazza al comando. Il 2018 è stato l’anno che ha spiazzato tutti, anche coloro che volevano questa svolta. Ma era imprevisto l’esito, e soprattutto l’alleanza tra cani e gatti. Non ci sono governi in Europa che mantengono così alto il loro consenso, quasi il 60% a sei mesi dall’insediamento. Sono in gran parte governi di minoranza. Pensate a come se la passa male Macron, e la Merkel, e la May, e tutti gli altri. Per trovare un consenso popolare ancora alto dovete andare Oltreoceano, da Trump o da Bolsonaro. Il 2018 è stato l’anno del Cambiamento, non del Paese, non dello Stato, né della Sostanza delle cose, ma è cambiato davvero il verso dell’Italia, per dirla col linguaggio di un predecessore caduto sotto un plebiscito di antipatia.
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Galloni: rischio mega-crisi 2019, con l’Italia commissariata
Tra i vari scenari futuri che si potrebbero delineare già a partire dal 2019, ve ne è uno particolarmente complicato che potrebbe verificarsi osservando alcune delle condizioni che stanno maturando. Questo scenario, anche se non è il più probabile, è certamente possibile e, altrettanto certamente, il più negativo per l’Italia. Infatti, si può prevedere che nel 2019 vi sarà una crisi spaventosa. Le principali ragioni che ci possono portare a questa crisi sono palesi e ben note. Con la conclusione del 2018 assisteremo alla fine del quantitative easing (Qe) a cui seguirà, pochi mesi dopo, il programmato passaggio di consegne da Mario Draghi al nuovo presidente Bce, che sarà un tedesco. A quel punto, le politiche monetarie della Bce si saranno allineate su quelle, già adesso ben più restrittive, della Fed americana. È in ragione delle politiche della Fed che Trump è costretto a insistere sulle politiche dei dazi, perché senza svalutazione del dollaro è necessario che gli Usa trovino altri stratagemmi per difendere la propria economia. Anche Cina, India e Russia non hanno interesse a che il dollaro si svaluti, perché la moneta che questi paesi stampano e con la quale si stanno comprando il mondo è garantita dal dollaro, e poi perché un dollaro non debole favorisce il loro export.Gli Stati Uniti si stanno indebolendo dal punto di vista geopolitico; Cina, India e Russia, invece, si stanno rafforzando; scartando l’ipotesi guerra mondiale, perché sarebbe troppo devastante, prima che questi quattro paesi trovino degli accordi simili a una nuova Bretton Woods – che comunque sarebbe una soluzione apparente – è possibile che, nel 2019, la Germania si voglia staccare dall’euro dando la colpa all’Italia. La Germania potrebbe sfilarsi per guardare ad Est perché il suo modello industriale, basato sulla metalmeccanica, non ce la farebbe guardando soprattutto ad Ovest. Se la Germania tirerà dritta non vorrà certamente farsi carico del naufragio dell’euro, perché poi i mercati gliela farebbero pagare (non dimenticandosi che la Deutsche Bank ha ancora 70 mila miliardi di titoli tossici nei suoi bilanci). Ma prima che l’euro vada per aria quale sarà il problema maggiore per l’Italia? Se saremo sotto attacco della finanza internazionale e senza Qe, da una parte i nostri titoli verranno buttati sul mercato, le società di rating ci declasseranno e, se noi non ci saremmo già attrezzati (con una agenzia di rating alternativa) le banche non potranno più tenere i nostri titoli di Stato nei loro bilanci. E quindi, dove andremo a pescare la moneta che ci serve?Se l’Italia cartolarizzasse i 500 miliardi di crediti fiscali inesigibili, potrebbe vendere i titoli così creati alla Bce per finanziarsi con la liquidità che ne riceverebbe in cambio. Se il governo italiano saprà sfidare coraggiosamente i mercati, le cose miglioreranno per noi; ma se invece calerà le braghe, saranno dolori. Se l’Italia non può stamparsi da sola i soldi, non si dota di una moneta parallela, non si vuole tornare a prima del 1981, l’euro lo gestisce la Bce che potrebbe imporre politiche restrittive; il massimo che si può fare è emettere titoli, ma se poi i principali acquirenti (che sono le banche) non possono averli a bilancio, per noi è finita: in questo caso i regolamenti europei prevedono che la Bce ci compri i titoli direttamente, ma in cambio del commissariamento totale del paese. Quello che si voleva fare per la Grecia! E allora, vi immaginate il coro dei Renzi, Gentiloni, Martina, Berlusconi e soci?(Nino Galloni, “Tra le mie previsioni vedo una spaventosa crisi nel 2019”, da “Scenari Economici” del 27 dicembre 2018; il testo è estratto dall’introduzione al libro “L’economia spiegata facile” di Costantino Rover, 320 pagine, euro 19,70).Tra i vari scenari futuri che si potrebbero delineare già a partire dal 2019, ve ne è uno particolarmente complicato che potrebbe verificarsi osservando alcune delle condizioni che stanno maturando. Questo scenario, anche se non è il più probabile, è certamente possibile e, altrettanto certamente, il più negativo per l’Italia. Infatti, si può prevedere che nel 2019 vi sarà una crisi spaventosa. Le principali ragioni che ci possono portare a questa crisi sono palesi e ben note. Con la conclusione del 2018 assisteremo alla fine del quantitative easing (Qe) a cui seguirà, pochi mesi dopo, il programmato passaggio di consegne da Mario Draghi al nuovo presidente Bce, che sarà un tedesco. A quel punto, le politiche monetarie della Bce si saranno allineate su quelle, già adesso ben più restrittive, della Fed americana. È in ragione delle politiche della Fed che Trump è costretto a insistere sulle politiche dei dazi, perché senza svalutazione del dollaro è necessario che gli Usa trovino altri stratagemmi per difendere la propria economia. Anche Cina, India e Russia non hanno interesse a che il dollaro si svaluti, perché la moneta che questi paesi stampano e con la quale si stanno comprando il mondo è garantita dal dollaro, e poi perché un dollaro non debole favorisce il loro export.
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Populisti discesi dai Monti e dalle politiche ammazza-Italia
Egrego professor Monti, senatore a vita e presidente a morte, ed egregi esponenti del Fronte Impopolare che sbavate nell’attesa di vedere Salvini e Di Maio in ginocchio da Juncker e da Moscovici, non vi chiedo di convertirvi alle ragioni della sovranità popolare e nazionale. Ci mancherebbe. Ognuno faccia la sua parte e sostenga le sue posizioni fino in fondo. Ma il vostro problema è stato ed è ancora proprio quello, che non siete stati capaci di portare fino in fondo i vostri propositi. Quando eravate voi al governo, nessuno s’aspettava redditi di cittadinanza, elargizioni pop, pensioni a quota 100 e condoni a gogò. Ma ci aspettavamo che, forti della vostra indipendenza dall’elettorato e dalla politica, dai partiti e dai sondaggi, voi metteste mano a una drastica bonifica del nostro sistema. In che senso? Tagliando davvero i rami secchi e gli sprechi, sopprimendo le mance e le regalie politiche, dismettendo, potando le amministrazioni pubbliche, facendo davvero una ristrutturazione dello Stato, una grande riforma. Per esempio, lo spreco assoluto e primario in Italia sono le Regioni, ma i politici non le toccheranno mai perché sono posti e potere; avete mai studiato e tentato l’ipotesi di abolirle? Avete mai provato a dimezzare i costi dei Palazzi, dal Quirinale al Parlamento, il loro personale, scorte incluse?E semplificare davvero la nostra burocrazia, la selva di leggi e la pletora di documenti che occorrono per tutto, perché non ci avete provato voi che eravate i tecnici, i razionali, gli eroi impopolari dell’amministrazione? Conosco la vostra obiezione; ma il Parlamento non ce l’avrebbe permesso. Beh, non sarebbe stato utile e dignitoso porre l’aut-aut su queste riforme, mettere il Parlamento con le spalle al muro: o le facciamo o ce ne andiamo, ma non prima di aver detto agli italiani in una conferenza stampa a reti unificate che è stato impossibile realizzare il programma a causa degli stessi partiti che vi avevano dato il voto di fiducia? Non sarebbe finita meglio la vostra esperienza di governo, a testa alta, anziché raccattando qualche voto per sopravvivere, o qualche seggio, magari qualche scranno eterno (ottenuto come pagamento anticipato della prestazione)? L’osservazione la faccio ai tecnici ma la estendo a tutti quei rigorosi che stanno dalla parte dell’Europa o che furono coi governi seguenti. Volevate evitare l’avvento dei populisti? Bastava fare quei tagli, quelle riforme, quell’opera grandiosa e tosta di risanamento. Vi sarebbero stati grati, alla fine, sia l’Unione Europea che gli stessi italiani. E non avreste offerto alibi né spunti ai populisti e al malcontento in cui sono cresciuti.Insomma, cari Tecnici e grilli parlanti d’oggi, non vi rimprovero di essere incuranti del giudizio popolare e di snobbare i sondaggi, i messaggi pop, i tribuni della plebe. Ma il contrario, di non essere stati capaci di far funzionare il rigore. Ve la siete presa solo con gli italiani inermi, spremendoli e vessandoli ogni giorno con un sadismo infruttuoso: una tassa qua, un inasprimento là, l’annuncio di sacrifici, l’incattivimento del fisco. Salvo poi cambiar linea quando si trattava di sostenere le banche. E il debito cresceva… Ma ad aumentare le tasse sono buoni tutti, non c’era bisogno di avere i professoroni, i bocconiani, i tecnici o affini. Per questo leggo con fastidio le vostre interviste (come quella di Monti a Senaldi per “Libero”) e le vostre reprimende al governo in carica, i vostri giudizi e referti da dottor Balanzone. Non avete funzionato come tecnici, oltre che come politici, avete stressato la democrazia senza promuovere la meritocrazia, l’efficacia, la modernizzazione. Perciò gli ultimi che possono lamentarsi di avere ora i populisti incompetenti e antisviluppo al potere siete voi. Possiamo farlo noi, non voi che ce li avete portati.(Marcello Veneziani, “I populisti discesi dai Monti”, da “Il Tempo” del 12 dicembre 2018, articolo ripreso sul blog di Veneziani).Egrego professor Monti, senatore a vita e presidente a morte, ed egregi esponenti del Fronte Impopolare che sbavate nell’attesa di vedere Salvini e Di Maio in ginocchio da Juncker e da Moscovici, non vi chiedo di convertirvi alle ragioni della sovranità popolare e nazionale. Ci mancherebbe. Ognuno faccia la sua parte e sostenga le sue posizioni fino in fondo. Ma il vostro problema è stato ed è ancora proprio quello, che non siete stati capaci di portare fino in fondo i vostri propositi. Quando eravate voi al governo, nessuno s’aspettava redditi di cittadinanza, elargizioni pop, pensioni a quota 100 e condoni a gogò. Ma ci aspettavamo che, forti della vostra indipendenza dall’elettorato e dalla politica, dai partiti e dai sondaggi, voi metteste mano a una drastica bonifica del nostro sistema. In che senso? Tagliando davvero i rami secchi e gli sprechi, sopprimendo le mance e le regalie politiche, dismettendo, potando le amministrazioni pubbliche, facendo davvero una ristrutturazione dello Stato, una grande riforma. Per esempio, lo spreco assoluto e primario in Italia sono le Regioni, ma i politici non le toccheranno mai perché sono posti e potere; avete mai studiato e tentato l’ipotesi di abolirle? Avete mai provato a dimezzare i costi dei Palazzi, dal Quirinale al Parlamento, il loro personale, scorte incluse?
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Barnard: i buffoni che scoprono solo ora il bluff gialloverde
Italiani “buffoni”. Non quelli al governo, o quelli che l’esecutivo gialloverde l’hanno sempre e solo visto come un’epidemia di colera fascio-razzista in salsa populista. No, peggio: i veri buffoni, secondo Paolo Barnard, sono i connazionali che oggi – a fine 2018 – si stracciano le vesti, gridando al tradimento dei loro ex paladini. Lega e 5 Stelle: ieri bellicosi e polemici con la “dittatura” finto-europeista dell’Ue, e adesso già belanti e pronti a trattare, di fronte al muro di minacce e di ricatti innalzato da Bruxelles alle prime avvisaglie di deficit. E’ bastato poco: le provocazioni speculative dello spread, le intimidazioni di Moscovici e Juncker, la complicità mercenaria dell’eterno establishment italico “venduto allo straniero”. Fine del sogno irredentista: l’Italia si appresta a farsi rimettere in riga dai ragionieri dell’Unione Europea, tanto disonesti da accanirsi con noi – non tollerando neppure quel timido 2,4% di disavanzo – per poi affrettarsi a perdonare la Francia del “fratello” Macron, che per difendersi dalla rivolta dei Gilet Gialli annuncia che sforerà persino il mitologico 3% sancito da Maastricht sulla base di mere asserzioni “teologiche”, senza alcun rapporto con l’economia reale. O meglio: chi impose quel limite artificioso al deficit lo fece nella più clamorosa malafede, ben sapendo che tagliare le unghie agli Stati avrebbe terremotato i consumi e fatto sparire la classe media, deformando l’economia a esclusivo vantaggio dell’élite finanziaria.Il primo a raccontarlo, in Italia, fu proprio Paolo Barnard, solitario giornalista a tutto tondo (uno dei pochissimi in circolazione), capace di divorziare da “Report”, che aveva fondato insieme alla Gabanelli, per trasformarsi in un attivista d’avanguardia, impegnato a spiegare ai non-addetti le perverse alchimie della finanza e di una moneta, l’euro, fabbricata a scopo di dominazione, per confiscare la democrazia in Europa. Nel saggio “Il più grande crimine, uscito nel 2010, Barnard ricostruisce in termini addirittura criminologici la genesi dell’attuale Ue, imputandola all’azione (molto subdola) delle nuove oligarchie del denaro, vere e proprie eredi delle aristocrazie che furono. Missione: rimettere in piedi una sorta di Sacro Romano Impero governato da dogmi, da imporre agli ex-cittadini trasformati in neo-sudditi, cui infliggere crisi e disoccupazione, precarietà e insicurezza sociale, erosione dei risparmi, salari ridicoli e pensioni da fame. La scusa: non ci sono più soldi, il debito pubblico ci divora. La grande omissione: la moneta. Chi la controlla? Chi la detiene? Chi la emette? E’ lei, la moneta, la sola misura del debito. Un debito pubblico denominato in moneta sovrana non è un problema, in nessun caso. Usa, Cina e Russia non potranno fallire mai. Il Giappone ha il doppio del debito italiano, eppure non ne soffre. Solo in Europa – caso unico al mondo – mezzo miliardo di persone è in balia di macellai, come nel caso della Grecia, senza che nessuno si ribelli davvero.Potevano farlo Di Maio e Salvini? Dovevano farlo, stando alle rispettive campagne elettorali. In tanti li avevano presi sul serio: i loro avversari, Pd in testa, dichiaramente spaventati dal possibile nuovo corso, e poi ovviamente i loro sostenitori (almeno il 60% degli italiani, stando ai sondaggi), convinti di potersi fidare di questi due nuovissimi “salvatori della patria”. A storcere il naso fin dal principio, viaggiando come sempre “in direzione ostinata e contraria”, c’era lui: Paolo Barnard. Lo ricorda impietosamente, oggi, sul suo blog. Era il 31 maggio 2018 quando scriveva: «Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno inflitto agli elettori euroscettici italiani la più desolante umiliazione che chiunque potesse immaginare. Non male, per due “paladini” delle sovranità italiane. Ma molto peggio: hanno seppellito per sempre le speranze sovraniste italiane in un colpo solo». Nel senso: prima di sfidarlo, il nemico devi conoscerlo. E se è così potente, distruggendo te, scoraggerà chiunque altro vorrà provare a combatterlo. I gialloverdi? Pericolosamente velleitari, irresponsabili e cialtroni.«Esauriti i primi proclami di cosmesi, hanno già intrapreso il camino delle ceneri sul capo, verso le vie di Bruxelles e del Quirinale, precisamente come ogni altro fantoccio italiano dal 1993 in poi». Questo, aggiunge Barnard, accade «a tristissime spese dell’elettorato per l’impreparazione e la sprovvedutezza di Lega e 5 Stelle nell’aver grossolanamente sottovalutato l’avversario». Maggio 2018, e Barnard già scriveva: «Siamo infatti all’ennesima umiliazione nazionale, ora certa». Sei mesi dopo, qualche sassolino dalla scarpa se lo toglie, Barnard: «Chi fra i Socci, Fusaro, Becchi, e tutti ’sti delusi ragazzetti/e web che ora ragliano sui social “vi avevamo creduto! traditori!” condivise la mia previsione? Nessuno». E perché? «Perché ’sti personaggetti e i loro adoranti “ti metto 1 miliardo di like” tenevano i piedi in due staffe», scrive Barnard, che non perdona chi oggi – fuori tempo massimo – sta cambiando idea, giorno per giorno, di fronte al crollo della scommessa gialloverde. I supporter del “governo del cambiamento”? Piccoli opportunisti: «Sapete, non si sa mai: e se il carro dei vincitori vinceva? Comodo adesso saltar giù, buffoni».Italiani “buffoni”. Non quelli al governo, o quelli che l’esecutivo gialloverde l’hanno sempre e solo visto come un’epidemia di colera fascio-razzista in salsa populista. No, peggio: i veri buffoni, secondo Paolo Barnard, sono i connazionali che oggi – a fine 2018 – si stracciano le vesti, gridando al tradimento dei loro ex paladini. Lega e 5 Stelle: ieri bellicosi e polemici con la “dittatura” finto-europeista dell’Ue, e adesso già belanti e pronti a trattare, di fronte al muro di minacce e di ricatti innalzato da Bruxelles alle prime avvisaglie di deficit. E’ bastato poco: le provocazioni speculative dello spread, le intimidazioni di Moscovici e Juncker, la complicità mercenaria dell’eterno establishment italico “venduto allo straniero”. Fine del sogno irredentista: l’Italia si appresta a farsi rimettere in riga dai ragionieri dell’Unione Europea, tanto disonesti da accanirsi con noi – non tollerando neppure quel timido 2,4% di disavanzo – per poi affrettarsi a perdonare la Francia del “fratello” Macron, che per difendersi dalla rivolta dei Gilet Gialli annuncia che sforerà persino il mitologico 3% sancito da Maastricht sulla base di mere asserzioni “teologiche”, senza alcun rapporto con l’economia reale. O meglio: chi impose quel limite artificioso al deficit lo fece nella più clamorosa malafede, ben sapendo che tagliare le unghie agli Stati avrebbe terremotato i consumi e fatto sparire la classe media, deformando l’economia a esclusivo vantaggio dell’élite finanziaria.
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Cremaschi: Governo del Cedimento, pagheranno gli italiani
Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.Salvini e Di Maio hanno subìto dai mercati, dal grande padronato, dalla Ue, una pressione ben più leggera di quanto toccò alla Grecia di Tsipras nel 2014. Ma è bastato solo alludere alla stessa medicina somministrata allora dalla Troika, lo ha fatto anche Monti che ne possiede adeguate conoscenze, e i due fieri sovranisti si sono piegati come fuscelli. Dopo la tragedia greca la farsa italiana. Oramai la trattativa governo Ue ha un solo vero scopo: permettere di salvare la faccia ai gialloverdi, almeno fino alle elezioni europee. Il deficit infatti sarà ridotto dal 2,4 al 2 o anche più in basso. Questo vuol dire che, rispetto alla sua stessa manovra, il governo dovrà tagliare dai 7 ai 9 miliardi le misure che intende fare, o altre spese su altre voci. Complessivamente la manovra si configurerà come quella più liberista e austera dai tempi di Monti. Verrà stretto ancora il cappio che da più di venti anni strangola l’economia del paese, quello dell’attivo primario di bilancio. Cioè lo Stato, alla fine di tutte le partite di giro, ancora una volta restituirà ai cittadini molto meno di quello che riscuoterà in tasse e contributi.Tria ha inoltre promesso 18 miliardi di privatizzazioni all’anno per abbassare il debito. Non c’è male per chi aveva commentato la strage del Ponte Morandi riproponendo la necessità delle privatizzazioni. Ma con la disinvoltura che lo distingue è stato proprio Di Maio a propagandare la nuova grande privatizzazione. Aggiungendo che non riguarderà aziende, ma solo edifici e terreni. Se fosse vero, considerato che dopo averla regalata alla Ue questa svendita di beni pubblici sarà sottoposta a obblighi brutali, saremmo alla più grande dismissione di suolo pubblico ai privati da cento anni in qua. Nel paese dei disastri idrogeologici questa sarebbe davvero una scelta criminale. Il governo Salvini Di Maio era partito come il contestatore delle regole Ue e ne diventerà uno dei più ligi esecutori, privatizzazioni ed austerità saranno la sua vera politica, il resto propaganda. È vero dunque che la finanziaria che concorderanno Conte e Moscovici aggraverà la crisi economica, visto che l’Italia, assieme alla Germania e ad altri paesi di Europa, sta entrando in recessione. Gli industriali se ne sono accorti e, come hanno sempre fatto quando i guadagni calavano, dopo aver appoggiato il governo hanno iniziati a criticarlo. Con il solo scopo di rafforzare le posizioni liberiste di Salvini e di portarlo alla fine a guidare da solo il paese.Ma cosa resterà allora della manovra del popolo festeggiata dal balcone, tra tagli, privatizzazioni, rinvii di spesa? Ben poco. Le due operazioni bandiera, il reddito di cittadinanza e l’abolizione della legge Fornero si sgonfieranno e si ridurranno a poche misure di facciata, dello stesso segno e dimensione degli 80 euro e delle varie mance elettorali del governo Renzi. Il reddito di cittadinanza da tempo non è più tale, ma è diventato una social card come quella di Tremonti, che si aggiunge al reddito di inclusione del governo Gentiloni. Sì darà qualche soldo in più, da spendere subito e bene col bancomat di Stato, ad una ristretta platea di poveri, ma soprattutto si finanzieranno con danaro pubblico le paghe di fame di chi lavora. Se il padrone dà 400 euro al mese, lo Stato contribuirà per arrivare a 780, ammesso che questa cifra finale resti. Quindi il reddito di cittadinanza diventerà il mezzo per introdurre in Italia il sottolavoro finanziato dallo Stato, come ha fatto la famigerata legge Hartz IV, che in Germania ha prodotto milioni di lavori sottopagati. Le aziende saranno incentivate ad assunzioni precarie con salari vergognosi, perché lo Stato ci metterà una parte della paga. Come ha preteso la lega alla fine il reddito di cittadinanza diventerà soprattutto un finanziamento alle imprese.Per quanto riguarda la legge Fornero, Salvini e Di Maio dovranno sottoscrivere con la Ue la rinuncia ad ogni sua reale abolizione. Era questa infatti la misura che più preoccupava i governi europei, tutti intenzionati ad innalzare l’età della pensione. Nessun governo farebbe invece vere obiezioni di fronte a prepensionamenti temporanei, perché questi avvengono in ogni paese. Quindi il governo dovrà giurare alla Ue che i 67 anni, a crescere, dell’età della pensione per tutte e tutti non verranno toccati. Poi potrà contrattare, ovviamente coprendo i costi con altri tagli, per quanti si allargheranno le maglie della gabbia. Le ultime proposte cancellano definitivamente quota 100 come diritto valido per sempre e promettono il pensionamento anticipato, naturalmente con le penalizzazioni di legge, solo a chi avrà maturato il requisito negli ultimi due o tre anni. Per chi ci arriva dopo ciccia. Centomila prepensionamenti da spendere in campagna elettorale e poi chi s’è visto s’è visto. Questo è il tradimento più sfacciato delle promesse elettorali di Salvini e Di Maio.Tuttavia nulla cambierà fino a che l’opposizione ufficiale al governo sarà rappresentata dai residui del centrosinistra e del centrodestra e fino a che Salvini riuscirà, grazie anche ai mass media, a distrarre l’opinione pubblica con la caccia ai migranti e con la libertà di sparare. Il governo del cambiamento diventerà il governò del cedimento, ma continuerà a servire i potenti e a spadroneggiare coi più deboli, fino a che avrà di fronte chi ha fatto le stesse politiche liberiste e ora lo accusa di non farle altrettanto bene. Per questo bisogna costruire ed estendere una opposizione sociale e politica diversa, che lotti sia contro gli imbrogli e la resa di Salvini e Di Maio, sia contro l’austerità, le regole liberiste e i diktat della Ue. La Francia, in rivolta contro quel Macron che aveva votato quasi al settanta per cento, conferma che le glorie politiche oggi sono molto effimere e che le politiche di austerità divorano chi le fa, ma anche chi finge di combatterle.(Giorgio Cremaschi, “Il governo del cedimento”, da “Micromega” del 7 dicembre 2018).Il governo si è incamminato verso il cedimento completo alla Ue. Per questo la Borsa sta festeggiando da giorni e la finanza che manovra sullo spread ha preso atto della svolta e ha cominciato ad stringere la corda. Salvini e Di Maio sono e si sono incastrati sullo spread: dopo la sua discesa, a seguito della loro disponibilità a trattare con la Ue, non potranno certo farlo risalire con frasi né tantomeno con comportamenti di rottura. D’altra parte anche la Commissione Ue ha tutto l’interesse all’accordo, perché questo confermerebbe la sovranità limitata degli Stati del sud Europa, ridarebbe forza a trattati feroci come il Fiscal Compact, che in realtà nessuno Stato sta rispettando e può rispettare. E inoltre consoliderebbe la sempre più chiara alleanza tra la nuova Europa dei governi reazionari di Kurz e Orban e quella dei vecchi governi liberisti di Macron e Merkel. Salvini e Di Maio hanno preso una cantonata devastante quando si sono illusi che i partiti e i governi che li hanno sostenuti quando chiudevano i porti, li avrebbero appoggiati anche sulle pensioni e sul reddito. Non hanno capito che i reazionari del nord ed est Europa odiano i migranti, così come disprezzano gli italiani e tutti i popoli meridionali fannulloni e spendaccioni. E neppure hanno capito che i fascisti del sud, come il partito neofranchista Vox che è appena entrato nel Parlamento regionale dell’Andalusia in Spagna, sono tanto reazionari quanto europeisti.
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Galloni: folle tagliare il deficit, se è in arrivo la recessione
Fino a qualche settimana fa il governo italiano aveva annunciato il grande cambiamento: obiettivo strategico la crescita del Pil. Ma la trappola è scattata subito: obiettivo, sì, il Pil, ma vincolo – e come non potrebbe essere così? – i conti di bilancio. La Commissione sembra accanirsi sui decimali del deficit dopo il 2… quindi si passa dalle tragedie antiche dello 0 virgola e dell’1 virgola a quelle del 2 virgola. Salvini e Di Maio annunciano che il 2,4 di rapporto deficit/Pil è la linea del Piave. Tutti alzano la voce per consumare la tempesta perfetta nel bicchiere d’acqua. Intanto, fuori dal bicchiere d’acqua avvengono altre cose evidenti: i cosiddetti mercati si rallegrano se l’Italia crescerà un pochino; ma nessuno osserva che l’Italia sta registrando avanzi primari (lo Stato incamera sistematicamente imposte superiori alla spesa senza interessi, e poi si va in deficit con questi ultimi) e, che quindi l’effetto della manovra sul Pil non potrà essere significativo. Dopo qualche settimana di braccio di ferro Ue-Italia, la doccia fredda per tutti: Germania ed altri paesi, tra cui la stessa Italia, cominciano ad intravvedere il chiaro inizio di una recessione.A quel punto la Commissione cambia toni (ma è costretta a farlo pure l’Italia) e chiede più Pil. Se si fosse in presenza di gente seria, l’affacciarsi della recessione avrebbe dovuto imporre un maggiore deficit per stimolare investimenti e spese capaci di contrastare la caduta del Pil: certo, con un maggior deficit, l’Italia dovrà spendere di più anche di interessi sui nuovi titoli. In realtà, obiettivo Pil e vincolo di bilancio significherà che, per mantenere un deficit del 2% di Pil, se il Pil non cresce come programmato, bisognerà tagliare la spesa della differenza tra le previsioni della manovra e l’andamento effettivo. E saremmo punto e daccapo: lacrime e sangue, vale a dire la bella ricetta che ci porta in recessione. Ci sarebbero, almeno, tre considerazioni da fare. Primo, il Pil non può aumentare se, nei comparti ad alta redditività, la domanda di lavoro decresce più rapidamente dei risultati economico-finanziari; e se, nei comparti dove l’occupazione potrebbe crescere (cura delle persone, dell’ambiente e del patrimonio esistente), il costo – in gran parte il lavoro necessario – supera, salvo una minoranza di eccezioni, il fatturato. Quindi, o si interviene sul paradigma economico sociale o il Pil non crescerà o non crescerà abbastanza.Secondo, non si dovrebbe insistere sul parametro debito pubblico/Pil che era già sfavorevole all’Italia dalla fine degli anni ’80 ed è poco peggiorato in seguito; infatti, per valutare solidità e sostenibilità del debito di un paese, bisognerebbe aggiungere – al numeratore – il debito delle famiglie e quello delle imprese non finanziarie. Così si scoprirebbe che i paesi hanno debiti complessivi che vanno da poco più del 300% a meno del 500%, considerata dalle banche e dall’esperienza il limite da non valicare: non è forse vero che si ottiene un mutuo pari fino a 5 volte il reddito annuale del mutuatario? Non guasterebbe nemmeno la istituzione di un’agenzia di rating che impedisse la trasformazione in titoli spazzatura di effetti che, invece, il mercato chiede e sa apprezzare. Terzo, in funzione delle difficoltà di una crescita responsabile ed in rapporto alla esistenza di risorse inoccupate o sotto-utilizzate, perché non esercitare un po’ di sovranità monetaria degli Stati?L’euro resterebbe come unità di conto e come moneta avente corso legale in tutta l’Eurolandia (articolo 128 del Trattato di Lisbona), mentre una moneta parallela avente corso legale solo nazionale servirebbe per affrontare le maggiori spese per l’ambiente, la cura delle persone, il fabbisogno di giovani laureati nelle pubbliche amministrazioni. Non piace la parola moneta? Draghi dice che una moneta parallela sarebbe illegale? Ma quale legge la rende illegale? Essa, tuttalpiù, non è disciplinata perché il Trattato di Lisbona si occupa di altro. Ma niente paura! Lo Stato può emettere buoni spesa che poi accetterà in pagamento delle tasse: 200 euro per ogni occupato, disoccupato e pensionato per otto mesi genererà alla fine dell’anno un aumento di Pil di 48 miliardi e non si determinerà maggior deficit.(Nino Galloni, “Involuzione nel rapporto Ue-Italia, come uscirne?”, da “Scenari Economici” del 5 dicembre 2018).Fino a qualche settimana fa il governo italiano aveva annunciato il grande cambiamento: obiettivo strategico la crescita del Pil. Ma la trappola è scattata subito: obiettivo, sì, il Pil, ma vincolo – e come non potrebbe essere così? – i conti di bilancio. La Commissione sembra accanirsi sui decimali del deficit dopo il 2… quindi si passa dalle tragedie antiche dello 0 virgola e dell’1 virgola a quelle del 2 virgola. Salvini e Di Maio annunciano che il 2,4 di rapporto deficit/Pil è la linea del Piave. Tutti alzano la voce per consumare la tempesta perfetta nel bicchiere d’acqua. Intanto, fuori dal bicchiere d’acqua avvengono altre cose evidenti: i cosiddetti mercati si rallegrano se l’Italia crescerà un pochino; ma nessuno osserva che l’Italia sta registrando avanzi primari (lo Stato incamera sistematicamente imposte superiori alla spesa senza interessi, e poi si va in deficit con questi ultimi) e, che quindi l’effetto della manovra sul Pil non potrà essere significativo. Dopo qualche settimana di braccio di ferro Ue-Italia, la doccia fredda per tutti: Germania ed altri paesi, tra cui la stessa Italia, cominciano ad intravvedere il chiaro inizio di una recessione.
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Aiutare l’Africa nel solo modo possibile: andandocene via
«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma. Thomas Sankara arrivò al potere con un colpo di Stato che rovesciò la pseudo e corrottissima democrazia.Nei quattro anni del suo governo fece parecchie cose positive per il Burkina: si impegnò molto per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate, finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione estremamente povera, fece un’importante lotta alla desertificazione con il piantamento di milioni di alberi nel Sahel, cercò di svincolare il paese dalle importazioni forzate. Inoltre si rifiutò di pagare i debiti coloniali. Ma non fu questo rifiuto a perderlo, Francia e Inghilterra sapevano benissimo che quei debiti non potevano essere pagati. A perderlo fu il contenuto sociale della sua opera che i paesi occidentali non potevano tollerare. Tanto è vero che nel controcolpo di Stato che portò all’assassinio di Sankara, all’età di 38 anni come il Che, furono coinvolti oltre a Francia e Inghilterra anche gli Stati Uniti che ‘coloniali’ in senso stretto non erano stati.Sankara doveva quindi morire. Non approfittò mai del suo potere. Alla sua morte gli unici beni in suo possesso erano un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto. Questo discorso di Sankara è più importante di quello che Gheddafi avrebbe tenuto all’Onu nel settembre del 2009 e che gli sarebbe costato a sua volta la pelle. Gheddafi, in un linguaggio assolutamente laico, come laico era quello di Sankara, si limitò, in buona sostanza, a denunciare le sperequazioni istituzionali e legislative fra i paesi del Primo e del cosiddetto ‘Terzo Mondo’ (questa immonda e razzista definizione ha un’origine abbastanza recente, fu coniata dall’economista Alfred Sauvy nel 1952 – Poca terra – nel 2000). Sankara, a differenza di Gheddafi, centra l’autentico nocciolo della questione: le devastazioni economiche, sociali, ambientali provocate dall’introduzione in Africa Nera, spesso con il pretesto di aiutarla, del nostro modello di sviluppo. Ecco perché bisogna stare molto attenti quando, con parole pietistiche, si parla di “aiuti all’Africa”. Non per nulla parecchi anni fa durante un summit del G7 i sette paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin (Sankara era già stato ucciso) organizzarono un controsummit al grido di “Per favore non aiutateci più!” (mi pareva una notizia ma si guadagnò solo un trafiletto su “Repubblica”).Per questo tutti i discorsi che girano intorno al “aiutiamoli a casa loro”, che non appartengono solo a Salvini, sono pelosi. Noi questi paesi con la nostra presenza, anche qualora, raramente, sia in buonafede, non li aiutiamo affatto. Li aiutiamo a strangolarsi meglio, a nostro uso e consumo. Il solo modo per aiutare l’Africa Nera è che noi ci togliamo dai piedi. E dai piedi devono levarsi anche quelle Onlus come l’Africa Milele per cui lavora, o lavorava, Silvia Romano, attualmente prigioniera nelle boscaglie del Kenya, formate da pericolosi ‘dilettanti allo sbaraglio’. Pericolosi perché – e almeno questo dovrebbe far rizzare le orecchie al nostro governo – sono facili obbiettivi di ogni sorta di banditi o di islamisti radicali a cui poi lo Stato italiano, per ottenerne la liberazione, deve pagare cospicui riscatti. E’ stato il caso, vergognoso, delle “due Simone” e dell’inviata dilettante del Manifesto Giuliana Sgrena la cui liberazione costò, oltre al denaro che abbiamo sborsato, la vita a Nicola Calipari. In quest’ultimo caso il soldato americano Lozano, del tutto legittimamente perché avevamo fatto le cose di soppiatto senza avvertire la filiera militare statunitense, a un check-point sparò alla macchina che si avvicinava e uccise uno dei nostri migliori agenti segreti.(Massimo Fini, “Aiutiamo l’Africa andandocene via” dal “Fatto Quotidiano” del 29 novembre 2018; articolo ripreso sul blog di Fini).«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere… Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario». Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’“assemblea dei paesi non allineati”, Oua. Fu assassinato due mesi dopo. Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma.