Archivio del Tag ‘Stato’
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India, reddito universale in arrivo. L’Italia può sognarselo
In India sta partendo un esperimento di reddito universale da far impallidire il nostro misero reddito di cittadinanza: succede nello Stato himalayano del Sikkim. Si tratta della seconda più piccola entità statale della federazione indiana, al confine con la Cina. Nel Sikkim, all’avanguardia socialmente, tutti i 610.577 abitanti riceveranno un reddito-base universale, come riportato dal “Washington Post”. «Al posto di un insieme anche piuttosto confuso di contributi sociali, tutti riceveranno una somma di denaro», scrive Guido da Landriano su “Scenari Economici”. In questo, modo nessuno dovrà più preoccuparsi dei propri bisogni di base: saranno “stipendiati” tutti, indipendentemente dal reddito. Il Sikkim è un paese avanzato, per molti aspetti: «Con un tasso di alfabetizzazione del 98%, da diversi anni ha bandito completamente le borse di plastica: di recente è diventato il primo paese “biologico” al mondo, avendo messo al bando anche pesticidi e concimi chimici». Il piccolo Sikkim, aggiunge “Scenari Economici”, ha anche un tasso di povertà piuttosto basso, «soprattutto se comparato con il resto dell’India, in quanto solo l’8% della popolazione è in uno stato di indigenza, contro il 30% dell’India e il 10% dell’Italia».Il Sikkim ha un’economia basata sul un turismo di élite e sulla vendita dell’energia derivante dalle risorse idriche di cui dispone, alimentate dai ghiacciai dell’Himalaya. Lo Stato inolte garantisce la casa a tutti i cittadini, a cui ora darà anche un reddito. «La finalità della decisione è quella di accorciare il gap economico fra i cittadini, con la speranza che, almeno localmente, non segua il trend mondiale che vede i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri», spiega Guido da Landriano. “Scenari Economici” fa notare che esistono altri esperimenti in corso, nel mondo, sul reddito universale o reddito di cittadinanza: a Stockton, in California, tutti cittadini senza lavoro hanno ricevuto 630 dollari per 18 mesi. «Solo che nel Sikkim a ricevere il denaro saranno tutti i cittadini, indipendentemente dal fatto che ricevano un reddito o meno». Proprio la difficoltà nel dedurre l’identità degli aventi diritto ha invece paralizzato il governo italiano, a cui l’Unione Europea ha peraltro accorciato ulteriormente la “coperta” disponibile per soccorrere le fasce sociali più deboli.«A questo punto, viste le affermazioni dei politici italiani – chiosa “Scenari Economici” – ci sarà da attendere un boom di vendite della catena “Divani & Divani”, perché tutti i cittadini cesseranno di lavorare». Aggiunge, Guido da Landriano: «Tutti, poveri e ricchi, smetteranno di lavorare perché avranno un reddito minimo». C’è da sperare che, su quei divani, «si trasferiscano un po’ di deputati di Forza Italia e del Pd che, purtroppo, infestano il dibattito politico italiano». Se la cosiddetta opposizione spara a man salva sui provvedimenti sociali dell’esecutivo Conte, va però ricordato che gli stessi gialloverdi – dopo aver promesso un vero reddito di cittadinanza, nel “contratto di governo” – non hanno osato resistere al diktat neoliberista dell’Ue, votato al rigore più suicida: prima hanno proposto nel Def 2019 un timidissimo deficit al 2,4% (inferiore al tetto del 3% fissato arbitrariamente da Maastricht) e poi hanno rinunciato pure a quello, ripiegando sull’umiliante 2,04%. Tradotto: l’Italia non può fare come il Sikkim. Anche perché l’India è un paese sovrano, dotato di propria moneta: non deve rispondere a nessuna Ue, né tantomeno pagare per avere il denaro che le serve.In India sta partendo un esperimento di reddito universale da far impallidire il nostro misero reddito di cittadinanza: succede nello Stato himalayano del Sikkim. Si tratta della seconda più piccola entità statale della federazione indiana, al confine con la Cina. Nel Sikkim, all’avanguardia socialmente, tutti i 610.577 abitanti riceveranno un reddito-base universale, come riportato dal “Washington Post”. «Al posto di un insieme anche piuttosto confuso di contributi sociali, tutti riceveranno una somma di denaro», scrive Guido da Landriano su “Scenari Economici”. In questo, modo nessuno dovrà più preoccuparsi dei propri bisogni di base: saranno “stipendiati” tutti, indipendentemente dal reddito. Il Sikkim è un paese avanzato, per molti aspetti: «Con un tasso di alfabetizzazione del 98%, da diversi anni ha bandito completamente le borse di plastica: di recente è diventato il primo paese “biologico” al mondo, avendo messo al bando anche pesticidi e concimi chimici». Il piccolo Sikkim, aggiunge “Scenari Economici”, ha anche un tasso di povertà piuttosto basso, «soprattutto se comparato con il resto dell’India, in quanto solo l’8% della popolazione è in uno stato di indigenza, contro il 30% dell’India e il 10% dell’Italia».
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Schiaffo di Trump: declassa l’Ue, da Stato a ‘organizzazione’
Martedì 8 gennaio 2019, secondo fonti ufficiali, l’amministrazione Trump ha declassato lo status diplomatico della missione Ue a Washington, senza informarne Bruxelles né la missione stessa. Il declassamento da Stato nazionale a organizzazione internazionale rovescia una decisione presa nel 2016 dall’amministrazione Obama, che conferiva all’Ue un ruolo diplomatico più forte a Washington, e viene visto a Bruxelles come un affronto che riflette l’antipatia generale dell’amministrazione Trump verso l’Ue. Il presidente si è schierato a favore della Brexit e ha definito l’Ue «un nemico». Il cambiamento, che è stato segnalato per prima dall’emittente tedesca “Deutsche Welle”, significa potenzialmente che la missione dell’Ue avrebbe meno potere e accesso limitato all’amministrazione statunitense. «Ci risulta che ci sia stato un recente cambiamento nel modo in cui la lista delle priorità diplomatiche è implementata dal protocollo degli Stati Uniti», ha detto Maja Kocijančič, portavoce per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, che ha poi aggiunto: «Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dell’avvenuto cambiamento».«Stiamo discutendo assieme ai dipartimenti competenti nell’amministrazione le possibili implicazioni per la delegazione dell’Ue a Washington», ha affermato Kocijančič. «Ci aspettiamo che la prassi diplomatica stabilita negli ultimi anni venga rispettata». Alla richiesta di un commento, il Dipartimento di Stato ha inviato un messaggio automatico dicendo che, a causa dello “shutdown” governativo, «le comunicazioni con i media saranno limitate a eventi e questioni che riguardano la sicurezza di vite umane o la protezione di beni, o ritenute essenziali per la sicurezza nazionale». «Questo è un colpo basso all’Unione Europea del tutto irragionevole da parte dell’amministrazione Trump», ha detto Nicholas Burns, già sottosegretario di Stato per gli affari politici durante l’amministrazione di George W. Bush. «Tutto ciò in concomitanza con la campagna di Trump volta a raffigurare l’Ue come un concorrente, e non un partner, degli Stati Uniti. Continua, da parte dell’amministrazione Trump, la delegittimazione delle organizzazioni internazionali e dell’organizzazione sovranazionale che è l’Ue. Gli americani dovrebbero ricordare che l’Ue è il nostro più grande partner commerciale e il più grande investitore nella nostra economia», ha aggiunto Burns, secondo il quale «l’intera politica di Trump nei confronti dell’Ue continua a essere fuorviante e inefficace».(Julian Borger, “L’amministrazione Trump declassa lo status dell’Ue negli Stati Uniti, senza informare Bruxelles”, dal “Guardian” dell’8 gennaio 2019, articolo ripreso da Margherita Russo su “Voci dall’Estero”. Nel silenzio generale dei principali media italiani – scrive il newsmagazine – è passata la notizia secondo la quale il presidente Trump ha declassato l’Unione Europea allo status di semplice organizzazione internazionale. Il “downgrade” dello status diplomatico «non dovrebbe suscitare alcuna sorpresa, essendo soltanto la correzione della decisione alquanto azzardata di Obama di considerare l’Ue allo stesso rango di uno Stato sovrano». Eppure, sottolinea “Voci dall’Estero”, viene considerato – sia a Bruxelles che nei circoli di potere vicini alle amministrazioni precedenti a Trump – come un affronto, che rifletterebbe l’antipatia dell’attuale amministrazione americana verso l’Ue. «Un ulteriore colpo alla già traballante costruzione europea, in vista del sempre più probabile stravolgimento che si prospetta per le prossime elezioni del Parlamento Europeo»).Martedì 8 gennaio 2019, secondo fonti ufficiali, l’amministrazione Trump ha declassato lo status diplomatico della missione Ue a Washington, senza informarne Bruxelles né la missione stessa. Il declassamento da Stato nazionale a organizzazione internazionale rovescia una decisione presa nel 2016 dall’amministrazione Obama, che conferiva all’Ue un ruolo diplomatico più forte a Washington, e viene visto a Bruxelles come un affronto che riflette l’antipatia generale dell’amministrazione Trump verso l’Ue. Il presidente si è schierato a favore della Brexit e ha definito l’Ue «un nemico». Il cambiamento, che è stato segnalato per prima dall’emittente tedesca “Deutsche Welle”, significa potenzialmente che la missione dell’Ue avrebbe meno potere e accesso limitato all’amministrazione statunitense. «Ci risulta che ci sia stato un recente cambiamento nel modo in cui la lista delle priorità diplomatiche è implementata dal protocollo degli Stati Uniti», ha detto Maja Kocijančič, portavoce per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Ue, che ha poi aggiunto: «Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dell’avvenuto cambiamento».
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Mazzucco: vaccini, vergogna nazionale. E i 5 Stelle, complici
Vaccini non sempre utili e non sempre sicuri, non testati come gli altri farmaci, e in alcuni casi pericolosi (letali) per i bambini. Vaccini non “spiegati”, imposti senza la necessaria trasparenza. E pagati dai cittadini con le tasse, a prezzi salatissimi: il costo è schizzato alle stelle dopo l’introduzione dell’obbligatorietà. In caso di problemi, chi paga? Sempre noi, con le imposte, perché è lo Stato a risarcire i danneggiati. Peggio ancora: il piano, evidente, mira a imporre l’obbligo a tutti, anche agli adulti (come in Argentina, dove alle vaccinazioni è vincolato il rinnovo del passaporto, come quello della patente di guida). Come chiamarlo, questo schifo? E poi: possibile che non ci sia un cane di politico che lo denunci? Non dovevano essere lì per quello, i 5 Stelle? Non a caso, infatti, sono stati votati da milioni di italiani. Molti dei quali oggi sono letteralmente inferociti: «Il mio voto non lo avranno mai più», annuncia Massimo Mazzucco, che accusa Giulia Grillo di essere la fotocopia di Beatrice Lorenzin. I militanti più irriducibili “perdonano” i grillini, perché se non cedessero al ricatto-vaccini finirebbero fuori dal governo? Tanto meglio, dice Mazzucco: se avessero il coraggio di denunciare il marcio, avete idea di come la prenderebbero, gli elettori? Se i 5 Stelle si dimettessero in nome della sicurezza sanitaria dei cittadini, il giorno dopo verrebbe giù l’Italia. Ma non lo fanno: e questo ci fa capire chi sono, veramente.
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Reddito e pensioni, la truffa gialloverde che piace a Juncker
Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.Naturalmente qui faccio un esempio limite; ci sono spese, c’è la famiglia, si possono cumulare più redditi se in una famiglia ci sono più disoccupati maggiorenni, insomma bisogna andare al Caf e poi all’Inps con una pila di documenti, ad esempio per dimostrare quanto è vecchia l’auto, se se ne ha una. Tuttavia alla fine il concetto è chiaro: saranno davvero pochi coloro che incasseranno tutti i 780 euro mensili, che titolano il provvedimento. Anche il governo, per chiarire, ha scritto che comunque nessuno degli aventi diritto potrà avere meno di 480 euro all’anno, 40 al mese. Il reddito viene assegnato a tutti i residenti in Italia che ne abbiano diritto. Attenzione però, perché bisogna essere residenti da almeno 10 anni. Questo vale per i migranti, ma anche per cittadini italiani che siano andati a lavorare all’estero e poi siano tornati avendo perso lì il lavoro. Il limite avrebbe dovuto essere di soli 5 anni, ma Salvini è intervenuto per evitare che troppi migranti avessero il reddito. Così, per togliere soldi ai migranti, li hanno tolti anche agli italiani in difficoltà. Meditate, razzisti, meditate.Il reddito va anche ai pensionati con più di 65 anni che prendano meno di 780 euro mensili. Siccome questi sono milioni e si prevede di sostenerne solo una piccola quota, spetterà all’Inps fare una selezione sociale (come, lo vedremo). Il reddito verrà versato in una social card che ha degli obblighi di spesa. Chi la detiene potrà prelevare solo 100 euro al mese in contanti. Il resto dovrà essere speso direttamente e mensilmente. Ci sarà un controllo su come vengono spesi i soldi. In ogni caso i soldi sono sempre quelli, quanti che siano coloro che ne avrebbero diritto. In una clausola chiaramente concordata con Bruxelles, il governo si impegna a tenere fissa la spesa per il reddito. Per capirci: se alla fine ne avesse diritto un milione di persone, la spesa è 6 miliardi. Se però fossero tre i milioni a fare domanda, la spesa sarebbe sempre di 6 miliardi, quindi gli stessi soldi sarebbero divisi tra più persone. Altro che 780 euro. “Rimodulare”, si chiama, nel linguaggio del governo.Tutti gli interessati al reddito che hanno meno di 65 anni dovranno rendersi disponibili al cosiddetto Patto di Lavoro. Esso è indispensabile per ottenere il reddito, e chi lo sottoscrive entra nel gorgo della collocabilità. Che ha il doppio scopo di costringere le persone ad accettare lavori purchessia, o di far risparmiate tanti soldi allo Stato. Infatti il reddito dura 18 mesi, poi si salta un mese e successivamente lo si può riavere, ma a terribili condizioni. La principale delle quali è che non si può rifiutare nessuna proposta di lavoro in tutto il territorio nazionale. Un disoccupato calabrese che rifiuti un lavoro di 800 euro a Milano perderà il reddito. Ma la tagliola scatterà anche prima. Infatti solo la prima proposta di lavoro “congruo” (chissà che vuol dire) sarà entro 100 km e nei primi 6 mesi di reddito, poi scatteranno 250 km, che sono tanti, implicano già il trasferimento, e dopo 12 mesi questa proposta non potrà essere rifiutata. Insomma, alla fine o emigri o perdi tutto. Salvini odia i migranti esteri e vuole rimpiazzarli con tanti migranti interni.Il Patto di Lavoro implica 35 ore mensili medie di lavori socialmente utili, partecipazione obbligata a corsi di formazione e una partecipazione quotidiana alle piattaforme informatiche di collocamento istituite apposta. Il tutto sotto gli occhi di un tutore-collocatore. Le aziende che assumeranno i titolari di reddito riceveranno un premio se non li licenziano prima di 24 mesi; questo, per il governo, è l’assunzione a tempo indeterminato. Il premio sarà pari almeno a 5 mensilità di reddito. Lo stesso premio lo riceveranno i tutori-collocatori o gli enti bilaterali tra sindacati e imprese, che avranno un ruolo centrale in tutto il percorso formativo e che riceveranno almeno 5 mensilità per ogni lavoratore collocato. Sa un po’ di caporalato di Stato, ma tanti termini inglesi aggiusteranno tutto. In conclusione, il reddito di cittadinanza era stato presentato come un strumento atto a rendere più forti le persone nel mercato del lavoro, per impedire la concorrenza al ribasso sui salari. Qui invece si fa l’opposto, si usa il reddito per l’avviamento coatto al lavoro alle condizioni peggiori, “o mangi ’sta minestra o salti dalla finestra” è il motto che guida il reddito di cittadinanza sfruttata di Di Maio.Vediamo ora la “cosiddetta” quota 100. Come era chiaro da tempo, non c’è nessuna abolizione e neppure riforma della legge Fornero, che resta pienamente in vigore con alcuni interventi temporanei e con una finestra di pensionamenti anticipati e penalizzati che si chiuderà. Dal 1° aprile cominceranno ad andare in pensione coloro che hanno già maturato il requisito di 62 anni di età e 38 anni di contributi. Si procederà per scaglioni e, tra la maturazione del diritto e l’effettivo pensionamento, dovranno passare almeno tre mesi per i privati, sei mesi per i pubblici. Il provvedimento vale per il 2019, 2920 e 2021, poi scatterà l’innalzamento in base al legame con l’aspettativa di vita. Cioè è una finestra una tantum. La pensione viene penalizzata sulla base dei meccanismi, che restano in vigore, della legge Fornero. Cioè: si svalutano i contributi in proporzione alla distanza anagrafica dalla pensione di vecchiaia. Il governo riconosce questo, e pertanto favorisce gli accordi tra aziende e sindacati per integrare la pensione. Per capirci: così si aiutano banche e grandi aziende a svecchiare il personale. Per questo Confindustria & C sono felici del provvedimento: via dipendenti anziani e costosi, dentro giovani pagati la metà e senza articolo 18.Viene soppresso l’aumento di 5 mesi dell’età della pensione di vecchiaia e di quella d’anzianità, scattato il primo gennaio. Però c’è anche qui il trucco dei tre mesi. Chi arriva all’età della pensione deve aspettare almeno in questa misura. Così viene abolito l’aumento di cinque, ma se ne introduce uno di tre mesi, per giunta non pagato. Non so quanto convengano i due mesi risparmiati rispetto alla Fornero. Vengono confermate opzione-donna ed Ape Social, che però sono state fatte proprio da chi ha votato la legge Fornero e non hanno cambiato in nulla le iniquità del sistema pensionistico. I dipendenti pubblici che andranno in pensione a 62 anni dovranno aspettare quasi cinque anni per avere la liquidazione, anche qui in base alla legge Fornero. Tuttavia potranno farsi prestare i soldi da banche con cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero definire apposite convenzioni, con i relativi interessi. Cambiano i governi, ma porcate con le banche si fanno sempre.E a proposito di porcate, non ci saranno sostituzioni per chi esce, visto che le assunzioni pubbliche sono bloccate fino a novembre, cioè fino alla prossima finanziaria lacrime e sangue. Tutto qui, solo la propaganda menzognera del governo, con la stupidità complice delle opposizioni di Pd e Forza Italia, può far credere che qui si sia davvero istituito il reddito di cittadinanza o che sia stata colpita la legge Fornero, che invece continuerà a far danni. Salvini e Di Maio hanno solo varato una versione povera e feroce della legge tedesca Hartz IV e hanno concesso un prepensionamento per alcune generazioni di impiegati, cosa che fanno tutti i governi in tutti i paesi. Per questo Juncker ha messo il suo bollino sulla manovra: essa è perfettamente compatibile con le politiche liberiste della Ue. Anzi le realizza, finanziandole con un poderoso aumento dell’Iva e con i tagli alla scuola e allo stato sociale. Che naturalmente andranno in vigore dopo le elezioni europee. Intanto la montagna di promesse di Salvini e Di Maio ha partorito il topolino di Juncker.(Giorgio Cremaschi, “E la montagna di promesse di Salvini e Di Maio partorì il topolino di Juncker”, da “Micromega” del 9 gennaio 2019).Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.
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La verità sul debito italiano: siamo stati “rapinati” nel 1981
Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto “prezzo marginale d’asta”, che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%! Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil.Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione Europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil.Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati. Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotte a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onorare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “Tutta la verità sul debito pubblico, contro le menzogne di Bruxelles”, da “Il Primato Nazionale” del 10 gennaio 2019).Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano Tina, “there is no alternative”. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla “virtuosa” Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati. Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro.
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Abbiamo tradito ogni promessa? Almeno, sbranatevi Battisti
Cari italiani, consolatevi: non manteniamo nessuna delle promesse elettorali, ma in compenso vi diamo in pasto quel che resta di Cesare Battisti. Contenti? Pare questo il messaggio dietro al sorriso tronfio di Salvini, che – vestito da poliziotto – ha atteso all’aeroporto l’arrivo dell’ex terrorista, a lungo protetto dalla Francia e poi arrestato dalle autorità della Bolivia, paese in cui aveva cercato rifugio dopo che il Brasile di Jair Bolsonaro aveva promesso a Salvini di restituirlo all’Italia. Scrive Simone Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”: «Basterebbe guardare ai messaggi che si scambiano il figlio di Bolsonaro e Salvini (“il regalo è in arrivo”) per capire come persino la discutibile dignità di uno Stato, per questa gente, è stata subordinata a una gestione privatistica della cosa pubblica e persino della sua capacità repressiva. Roba da corti settecentesche, con scambi tra parenti su troni differenti, mentre nelle strade va maturando un cambio epocale di regime». Il poliziotto Salvini? «Che schianto di statista, si è scordato pure di ringraziare il presidente boliviano Morales forse solo perché comunista». Ma è accorso a Ciampino, a beneficio del «porno-shit mediatico», agghindato «con tanto di divisa PlayMobil di ordinanza, mentre filma la diretta del Big Brother Battisti cinto da militari».Ride largo, Salvini, come quando indossa l’uniforme dei vigili del fuoco o quando dispensa ai follower «la Nutella della buonanotte», forse anche per far dimenticare le imprese del governo, riassumibili nel motto “un giorno da leone e cento da pecorone”. Il “Ministro delle Interiora” si mostra «soddisfatto per la cattura del pericoloso vecchietto comunista, felice di essersi vendicato di un certo mondo che l’ha sempre odiato». E’ bravo, nel «propagandare l’italianità più triviale alla “maggioranza silenziosa” che lo segue», utilizzando «le parole che userebbe l’uomo di strada, anzi, da bar sport». Battisti? Ovvio: deve “marcire in galera”. «Termini brutali e disumani che un ministro, un politico, ma anche un qualsiasi uomo non dovrebbe mai usare, soprattutto dopo che si è catturata la pericolosa preda», scrive Galgano. «Questo infierire su un cadavere freddo oramai ritualizzato ha qualcosa di veramente pornografico, volgare, direi necrofilo, e solo un cinico strumento del potere come Salvini, poteva in questa impresa dell’orrore». Secondo “Maestro di Dietrologia”, «Salvini è la piazza virtuale che si contrappone a quella fisica, la terribile astinenza da rogo per soddisfare ubriachi demagoghi in cerca di stellette». Domanda: «Cosa è successo a questo comunista padano?». Sono lontani i tempi in cui frequentava con passione il Lonecavallo: «Deve essere successo qualcosa di traumatico, forse una fidanzatina rubata dall’amico anarchico?».Montanelli, scrive Galgano, diede «affettuosamente» del pagliaccio a Garibaldi, per il vezzo di indossare mantelli e divise sgargianti. Salvini? «Ci tiene a veicolarsi sbirro in mezzo agli sbirri, mentre poliziotto non è e non deve essere, in uno Stato democratico». Ma è più forte di lui: «Deve indossare la sua bella divisa per l’occasione e fare propaganda anche quando bisognerebbe astenersi, mostrando sobrietà e rispetto per i ruoli istituzionali». Sciacallaggio? Speculare sui “cadaveri” politici come Battisti può depistare il pubblico dalla grande criminalità impunita, «come quel Locatelli bergamasco narcotrafficante superiore a qualsiasi Riina, ma che nessuno politico sui media cita e pare conoscere». Per non parlare del terrorismo nero e di quel Delfo Zorzi, «grande criminale fascista relegato all’oblio collettivo, sfuggito in Nipponia tra un sushi e una setta di efebi samurai». Protesta Galgano: siamo saturi della propaganda quotidiana, «di questo carnevale orwelliano senza fine», tra abbracci a capi ultras e picchiatori patentati, per poi «mostrare con orgoglio ruspe contro i Casamonica», dopo che i loro beni erano già stati requisiti dal governo precedente.«Quando finirà questa eterna campagna elettorale dell’orrore? Non vi daremo il promesso “reddito di cittadinanza”, ma solo un obolo se siete pronti a farvi schiavi? Beh, ma abbiamo preso Battisti, siamo forti e risoluti. Non vi sentite già meglio, più ricchi e sereni?». Il welfare? Spianato dal rigore imposto da Bruxelles. Infatti: «Non vi daremo lo smantellamento della “Fornero”, ma solo una trappola che – se vuoi andartene in pensione – ci devi lasciare un bel pezzo dell’assegno e vedere la liquidazione tra cinque anni? Beh, ma abbiamo preso Battisti, siamo forti e risoluti: non vi sentite già meglio, più ricchi e sereni?». Ancora: «Non potrete neanche protestare perché abbiamo fatto un “decreto sicurezza” incostituzionale facendovi credere che era per la vostra sicurezza? Beh, ma abbiamo preso Battisti, siamo forti e risoluti… Mica vorrete fare la sua fine, no?».Cari italiani, consolatevi: non manteniamo nessuna delle promesse elettorali, ma in compenso vi diamo in pasto quel che resta di Cesare Battisti. Contenti? Pare questo il messaggio dietro al sorriso tronfio di Salvini, che – vestito da poliziotto – ha atteso all’aeroporto l’arrivo dell’ex terrorista, a lungo protetto dalla Francia e poi arrestato dalle autorità della Bolivia, paese in cui aveva cercato rifugio dopo che il Brasile di Jair Bolsonaro aveva promesso a Salvini di restituirlo all’Italia. Scrive Simone Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”: «Basterebbe guardare ai messaggi che si scambiano il figlio di Bolsonaro e Salvini (“il regalo è in arrivo”) per capire come persino la discutibile dignità di uno Stato, per questa gente, è stata subordinata a una gestione privatistica della cosa pubblica e persino della sua capacità repressiva. Roba da corti settecentesche, con scambi tra parenti su troni differenti, mentre nelle strade va maturando un cambio epocale di regime». Il poliziotto Salvini? «Che schianto di statista, si è scordato pure di ringraziare il presidente boliviano Morales forse solo perché comunista». Ma è accorso a Ciampino, a beneficio del «porno-shit mediatico», agghindato «con tanto di divisa PlayMobil di ordinanza, mentre filma la diretta del Big Brother Battisti cinto da militari».
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I cent’anni di Andreotti, super-democristiano avanti Cristo
Oggi Giulio Andreotti avrebbe compiuto cent’anni, ma lui fu democristiano avanti Cristo. Aveva quattro giorni quando nacque il Partito Popolare che era il nome da signorina della Democrazia Cristiana. Ma non è escluso che quel 18 gennaio del 1919, alla destra del padre, don Luigi Sturzo, ci fosse già il piccolo Giulio con la gobbina e il doppiopetto in fasce, a suggerire cosa fare e soprattutto come. De Gasperi fu statista prima di essere democristiano, e austriaco prima di essere italiano, Moro o Fanfani furono professori, teorici catto-fascisti prima di diventare democristiani. Andreotti no, fu la Dc. Andreotti non fu mai presidente della Repubblica né segretario della Dc, non fu mai presidente del Senato o della Camera, non fu mai sindaco o vescovo di Roma, semplicemente perché lui fu l’anima, la ragnatela e l’icona della Repubblica italiana, della Dc, dei governi, della Curia, delle due Camere riunite in un solo emiciclo, volgarmente denominato gobba; fu il simbolo vivente della Roma di potere e sacrestia, figlio di Santa Romanesca Chiesa, come diceva il cardinal Ottaviani.Andreotti fece la comunione senza mai passare per la confessione. Ebbe sette vite, come i gatti e i sette colli di Roma, e guidò sette governi brevi; rappresentò l’immortalità al potere, inquietante ma rassicurante. Disse che il potere logora chi non ce l’ha, e fu di parola. Quando non ebbe più potere, si logorò, volse la gobba a levante e si costituì dopo lunga contumacia al Titolare. Non fu statista ma statico, inamovibile. Andreotti ebbe più senso del potere che dello Stato, della curia più che della nazione, della sacrestia più che del pulpito. Fu minimalista, antieroico e antidecisionista, rappresentò l’italianissima trinità Dio, pasta e famiglia, sostituendo la patria con la pajata e sognando un dio che patteggia col diavolo. Il suo ideologo fu Alberto Sordi, il precursore Aldo Fabrizi. Guidò l’Italia con passo felpato nelle vacanze dalla storia. Fu vicino ai suoi elettori, attento alle loro richieste, alle cresime e alle nozze. E’ mitico l’armadio nel suo studio di piazza Dan Lorenzo in Lucina, gestito dalla segretaria Enea, coi vassoi d’argento da mandare ai matrimoni, pare divisi in tre fasce.Per secoli fu ritenuto l’Incarnazione del Male, la Medusa che pietrifica e a volte cementifica. Ai tempi di Mani Pulite, nella sua Ciociaria, il fascista galantuomo Romano Misserville organizzò un processo-spettacolo ad Andreotti; calò il gelo nei suoi confronti di tanti suoi galoppini del passato che pure gli dovevano molto. Andreotti non lasciò riforme dello Stato e grandi opere, ma un metodo, uno stile, un modo di vedere, intravisto dalle fessure dei suoi occhi, anche per non lasciare prove compromettenti sulla retina. Primato assoluto della sopravvivenza, personale e popolare, alle intemperie della storia. Fu moderato fino all’estremo e devoto ma remoto da paradisi e santità. In politica estera fece arabeschi, fu filo-mediterraneo, non filo-atlantico e filo-israeliano, come del resto anche Moro e Craxi. Accusato d’essere il Capo della Cupola non fu poi condannato perché l’accusa inverosimile rimosse anche ogni colpa verosimile. Volevano infliggergli l’ergastolo ma alla fine fu lui a infliggere l’ergastolo all’Italia, diventando senatore a vita. Ma tra tanti imbucati, lui meritava il laticlavio.Sopravvisse alla Dc e ai suoi capi storici, ai suoi stessi bracci destri (aveva infatti molte chele), sopravvisse ai suoi nemici e perfino a Oreste Lionello che fece di lui una caricatura complice. Arguto quand’era in vena, come si usa dire degli spiritosi e dei vampiri (e lui fu ambedue), Andreotti non fu solo l’anima della Dc e della Prima Repubblica ma anche il top model dello Stivale. Somatizzò l’Italia. Le mani giunte e intrecciate per l’indole cattolica, il corpo rispecchiava un paese invertebrato, disossato e militesente, esonerato dalla ginnastica e incapace di mostrare muscoli (neanche nel sorriso Andreotti ha mai mostrato i denti, ma solo un fil di labbra; a tavola beveva brodini per non addentare). Tutti lo immaginavano bassino, ma lo era per tattica e umiltà; in realtà era alto, e sarebbe stato più alto se avessero srotolato il nastro della sua curva pericolosa. L’assenza del collo fugava ogni indizio di mobilità e superbia, la voce sibilante e romanesca, confidenziale e domestica era emessa da una fessura; sussurrava come dietro le grate di un confessionale. E le spalle curve per custodire la sua compromettente scatola nera nella gobba (lo scrissi nel ’93 e fu poi ripreso da tanti, tra cui Beppe Grillo).Figurò l’italiano-tipo piegato su se stesso a tutelare il suo particulare. Il suo volto di sfinge, l’assenza di colorito, impenetrabile al sole per non modificare la cera, la testa piantata direttamente sulle spalle come l’aracnide cefalotoracica e le orecchie estroverse per captare ogni minimo fruscìo; gli occhi pechinesi, salvo illusioni ottiche che a volte li ingrandivano, grazie alle lenti bifocali; il passo circospetto e l’obliqua figura, il fideismo ironico e la ferocia minuziosa, la devozione curiale e la visione nichilista sulle sorti dell’umanità. Non fu arcitaliano ma casto e asessuato, non rappresentò l’indole pomiciona e fanfarona degli italiani. Ma la sua figura, metà bigotta e metà malandrina, ironica e pregante, rappresentava l’ambiguità d’un paese devoto e peccatore, che adora Gesù ma tresca con Belzebù. Brillante nelle conversazioni, reticente nei diari; sapeva fior di retroscena, ma preferì l’omertà. Nei libri raccontava come non erano andati i fatti. Visse a lungo, per godersi pure la nostalgia di quando c’era lui al potere. Andreotti restò un punto interrogativo, come la sua sagoma curva. Non fece la storia ma la consuetudine; nutrì l’aneddotica, il thriller e la leggenda. Come sua madre, cucì all’Italia un abito su misura per i suoi difetti.(Marcello Veneziani, “Andreotti democristiano avanti Cristo”, da “La Verità” del 13 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Oggi Giulio Andreotti avrebbe compiuto cent’anni, ma lui fu democristiano avanti Cristo. Aveva quattro giorni quando nacque il Partito Popolare che era il nome da signorina della Democrazia Cristiana. Ma non è escluso che quel 18 gennaio del 1919, alla destra del padre, don Luigi Sturzo, ci fosse già il piccolo Giulio con la gobbina e il doppiopetto in fasce, a suggerire cosa fare e soprattutto come. De Gasperi fu statista prima di essere democristiano, e austriaco prima di essere italiano, Moro o Fanfani furono professori, teorici catto-fascisti prima di diventare democristiani. Andreotti no, fu la Dc. Andreotti non fu mai presidente della Repubblica né segretario della Dc, non fu mai presidente del Senato o della Camera, non fu mai sindaco o vescovo di Roma, semplicemente perché lui fu l’anima, la ragnatela e l’icona della Repubblica italiana, della Dc, dei governi, della Curia, delle due Camere riunite in un solo emiciclo, volgarmente denominato gobba; fu il simbolo vivente della Roma di potere e sacrestia, figlio di Santa Romanesca Chiesa, come diceva il cardinal Ottaviani.
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Mazzucco: che pena, se Grillo si allinea anche sui vaccini
Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».Roberto Burioni è l’immunologo che fa fatto della crociata-vaccini una ragione di vita. Grillo ha detto di non conoscerlo neppure. «Curioso, non vi pare?». Povero Beppe: «Che fa, firma un documento come quello senza accorgersi che, tra le righe, propone di silenziare – per legge – anche scienziati come il presidente dei biologi, Vincenzo D’Anna, che ha scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci? Non si rende conto, Grillo, che così facendo sdogana il pensiero unico di Big Pharma come il solo ammissibile, negando agli italiani il diritto democratico di essere innanzitutto informati sulla sicurezza dei vaccini che vengono iniettati ai neonati?». Porta lontano, l’amarezza che Mazzucco esprime nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Per principio – sottolinea – non escludo mai la buona fede di nessuno, quindi neppure quella di Grillo: che in ogni caso è ancora in tempo a prendere le distanze da quel documento, se l’ha firmato incautamente, ritirando la sua firma». Certo però che siamo di fronte all’ennesima retromarcia tattica: uno dopo l’altro, tutti i cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle finiscono in soffitta. Al punto da far dilagare il sospetto che Grillo non sia mai stato altro che un abile “gatekeeper”, un dirottatore del dissenso, da “addormentare” poi con calma, affidando a personaggi come Di Maio il pensionamento progressivo, e sempre più sbiadito, delle dirompenti denunce di un tempo.C’era una volta il Beppe Grillo rampante, il trascinatore dei teatri: tuonava contro i vaccini e gli abusi di Big Pharma, contro l’acquisto degli inutili F-35, contro l’euro e contro il bieco signoraggio bancario. «Tutti temi mai più riproposti, ora che ci sarebbe la possibilità – coi 5 Stelle al governo – di affrontarli in modo finalmente incisivo». Su un tema, dice Mazzucco, Grillo non si era scatenato nemmeno prima, quand’era ancora un battitore libero: «Lo avvicinai per chiedergli supporto, riguardo ai miei documentari e ai libri di Giulietto Chiesa, ma lui mi disse che, se si fosse messo a parlare anche di 11 Settembre, il suo pubblico non l’avrebbe più seguito». Fabio Frabetti conferma: in uno dei suoi spettacoli, una sera, Grillo citò la denuncia di Thierry Meyssan: interamente falsa la versione ufficiale, secondo cui le Torri Gemelle sarebbero crollate per via dell’impatto con gli aerei. «La sala praticamente ammutolì», segno che il timore di Grillo era fondato: sarebbe stato troppo, per quel pubblico, accettare anche quella verità. Grillo “gatekeeper”? «Mi rifiuto di crederlo – taglia corto Mazzucco – anche perché parliamo di spettacoli di molti anni fa».Piuttosto, ragione l’autore di “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, il più delle volte la realtà è più semplice. «Succede che arrivi nella stanza dei bottoni, e quel giorno “qualcuno” ti spiega che devi rinunciare a molte delle tue idee. Accade per gradi, senza che vi sia per forza chissà quale complotto, già in partenza». E’ uno schema che si ripete sempre, insiste Mazzucco, citando gli anni di piombo: «Le Brigate Rosse non le avevano inventate i servizi segreti che poi le hanno infiltrate. All’inizio, erano un fenomeno spontaneo. Poi, un giorno, i fondatori delle prime Br – Curcio e gli altri – sono finiti tutti in galera. Da quel momento le nuove leve hanno comiciato a sparare e uccidere, fino alla tragedia di Aldo Moro». E oggi rieccoci qua, con i due Grillo all’opera: la ministra Giulia, che si guarda bene dal bocciare la legge Lorenzin, e l’ex mattatore Beppe, che si mette a tifare per i Talebani della vaccinazione universale, da imporre per legge e a scatola chiusa. Il governo gialloverde? «Non si capisce in cosa si differenzi dai precedenti, visto il poco o nulla che sta combinando, allineato com’è al volere dei soliti poteri forti». Elettori ingannati fin dall’inizio o traditi da politici non all’altezza della situazione? Mazzucco propende per la seconda ipotesi: al di là delle ciance, a Lega e 5 Stelle mancano “gli attributi” per imporsi, e difendere – davvero – gli italiani.Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».
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Vaccini, Carpeoro ai pm: inquisite Burioni, il Patto è illegale
Vaccini, associazione a delinquere: «Il reato è così grave che non c’è bisogno di sporgere denuncia: qualunque Procura dalla Repubblica può procedere d’ufficio». È un appello ai pm italiani, oltre che al presidente Mattarella, quello che l’avvocato Gianfranco Pecoraro (in arte Carpeoro) rivolge, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il 13 gennaio. Pietra dello scandalo, il “patto per la scienza” promosso dall’immunologo Roberto Burioni e sottoscritto da Beppe Grillo, Matteo Renzi, Enrico Mentana, Carlo Calenda, Vittoria Brambilla e molti altri. Secondo Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt, la magistratura deve intervenire: quel testo configura gravissime ipotesi di reato, fino all’attentato alla Costituzione, dal momento che si propone di abolire la libertà d’opinione e la libertà di ricerca scientifica, entrambe tutelate dalla Carta costituzionale. Se mai diventasse legge, lo sciagurato “patto” proposto da Burioni, secondo Carpeoro segnerebbe la fine della ricerca scientifica in Italia: per questo, insiste, va fermato subito, per via giudiziaria, prima che sia troppo tardi, in nome della democrazia e dello Stato di diritto.«Se il potere si coagula attorno a questo patto – dice Carpeoro – saremmo poi costretti a cambiare le leggi, cosa molto più difficile. Ecco perché io chiamo tutti quanti alla mobilitazione per fermare il patto: configura il reato, associativo, di attentato alla Costituzione». Carpeoro punta il dito contro Burioni, professore ordinario di microbiologia e virologia presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Quella del San Raffaele – dice – è l’università dove insegnava il professor Cacciari, che aveva come splendida studentessa la figlia di Berlusconi. Un’università ben frequentata: come assistente odontotecnica vi lavorava anche una bella ragazza come Nicole Minetti». Ma, a parte le credenziali accademiche di Burioni, Carpeoro si concentra sul testo del suo “patto”: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano a sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità”. Aria fritta: c’è qualcuno che potrebbe non impegnarsi a sostenere la scienza come valore universale? Valore che ovviamente “non ha alcun colore politico”, avendo lo scopo di “aumentare la conoscenza umana e migliorare la qualità di vita dei nostri simili”.Sempre aria fritta, aggiunge Carpeoro: chi mai, in Italia, ha evitato di sostenere la scienza? «Il problema – obietta – è che Burioni è convinto che “la scienza” sia lui. E allora, tutti quelli che non sostengono Burioni, non sostengono la scienza. È come il Re Sole: “l’État c’est moi!”, “dopo di me il diluvio”. E siccome Burioni è convinto che la scienza sia lui, tutti quanti devono firmare queste politiche: devono firmare un patto dove si sostiene lui». Continua il testo: “Nessuna forza politica italiana si presta a sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o di pseudomedicina che mettono a repentaglio la salute pubblica (i.e., negazionismo dell’Aids, anti-vaccinismo, terapie non basate sull’evidenza scientifica, etc.)”. Anche questa è aria fritta, sottolinea Carpeoro, «ma con qualche effetto un po’ più grave, perché bisogna stabilire chi decide qual è la scienza e qual è la “pseudoscienza”, qual è la medicina e qual è la “pseudomedicina”. E sotto questo profilo, Burioni mi deve dire chi lo ha nominato arbitro di questa valutazione».Per il resto, aggiunge Carpeoro, se uno fa una ricerca sull’Aids partendo da presupposti alternativi, o una ricerca sull’efficacia o meno di certi vaccini, questo è perfettamente lecito, in Italia. «Qui stiamo parlando di ricerca: poi è lo Stato che decide. Burioni invece vuole proprio proibire la ricerca – e criminalizzarla, se è alternativa alla sua. Quanto alle politiche sanitarie nazionali, quelle le decide lo Stato: non le decide né Burioni né il suo “patto”». Ma fin qui, prosegue Carpeoro, siamo di fronte solo a delle emerite stupidaggini, non ancora a ipotesi di reato. La musica, secondo l’avvocato, comincia a invece a cambiare a partire dal punto 3 del “patto” di Burioni, dove si legge: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano a governare e legiferare in modo tale da fermare l’operato di quegli pseudoscienziati che, con affermazioni non-dimostrate ed allarmiste, creano paure ingiustificate tra la popolazione nei confronti di presidi terapeutici validati dall’evidenza scientifica e medica”. Tanto per cominciare, premette Carpeoro, non può esistere nessun “patto” che impegni le forze politiche italiane a “legiferare e governare”, come dice Burioni, «perché le leggi le approva il Parlamento senza impegni preventivi, dato che i nostri deputati e senatori sono liberi da vincolo di mandato».Ma il peggio viene dopo, dove si propone di “fermare l’operato” dei liberi ricercatori (come i biologi coordinati da Vincenzo D’Anna, che hanno appena scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci, privi degli agenti immunizzanti). «Sapete cosa significa, “fermare l’operato di quegli pseudoscienziati”? Significa fermare la ricerca», sottolinea Carpeoro. «Tutte le ricerche alternative a quelle che Burioni considera “scienza” non devono essere fatte. Non si potrà più ricercare, in Italia, perché le forze politiche italiane hanno fatto un patto con Burioni. E se domani si scopre che una determinata cosa, oggi considerata certa, non lo è più?». Secondo Carpeoro, «questo è un reato di attentato alle libertà costituzionali. Il reato è: attentato alla Costituzione. E tutti coloro che hanno firmato – Grillo, Renzi, Mentana – concorrono al reato associativo di associazione per delinquere, per commettere il reato di attentato alla Costituzione. Perché questo testo è contrario al dettato costituzionale di cui all’articolo 21 della Carta costituzionale, che è la libertà di opinione. E inoltre è contrario a un altro articolo, che tutela specificamente la libertà di ricerca scientifica».Sempre secondo Carpeoro, Burioni «lo rincalza, il reato», laddove scrive: “Tutte le forze politiche italiane si impegnano ad implementare programmi capillari di informazione sulla scienza per la popolazione”. Ovvero: «Informazione non sulla scienza: su quello che pensa Burioni». E questa informazione unilaterale andrebbe imposta “a partire dalla scuola dell’obbligo, e coinvolgendo media, divulgatori, comunicatori, ed ogni categoria di professionisti della ricerca e della sanità”. Per Carpeoro, «Burioni vuole instaurare il Minculpop», il ministero della propaganda mussoliniana, «in modo che nessuno – fin dalla scuola dell’obbligo – possa pensarla diversamente, da come la vede lui». Infine, l’avvocato segnala l’articolo che sembra il meno importante, ma è quello a cui probabilmente Burioni tiene di più: tutte le forze politiche italiane si impegnano affinché si assicurino alla scienza («cioè a Burioni»), “adeguati finanziamenti pubblici, a partire da un immediato raddoppio dei fondi ministeriali per la ricerca biomedica di base”. Burioni dice che i soldi devono finire solo a chi la pensa come lui? Quindi, di fatto, si vieterebbero «tutte le forme di ricerca che comportino il mettere in discussione anche cose che sembrano certe». Assurdo: «Nella scienza, tutto è sempre in discussione».Come si può pretendere di limitare il raggio d’azione della ricerca? A quanto pare, Burioni lo taglierebbe in modo netto. E attenzione: «Vuole farlo con un patto di potere. E il potere si è saldato». Ragiona Carpeoro: «Che Grillo, Renzi, Mentana e compagnia cantante si trovino su quello stesso versante, è il segnale che il potere – su quell’argomento – si è saldato». L’avvocato non si rivolge personalmente né a Grillo, né a Renzi, né a Mentana: «So perfettamente che sarebbe inutile, magari per tre tipi diversi di motivi». Spiega: «A Mentana “fa immagine”, il fatto di essere tra queste firme». Renzi? «È un naufrago, alla ricerca disperata di zattere». E Grillo «non l’ha neanche letto, questo “patto”, o se l’ha letto non l’ha capito, e anche ammesso che non l’abbia capito, qualcuno gli ha detto: firma lo stesso». Carpeoro si rivolge direttamente al capo dello Stato, anche in virtù della sua specifica esperienza di costituzionalista: «Gli chiedo se sia ammissibile che circoli, tra la popolazione, un “patto” che contiene due capoversi che esprimono la volontà di attentare alle libertà costituzionali, la libertà di opinione e la libertà di ricerca scientifica».Il suo appello è diretto anche al potere giudiziario: «Mi rivolgo alla magistratura: quelli che ho evidenziato sono reati procedibili d’ufficio», dichiara Carpeoro. «Non c’è bisogno che i “no-vax” sporgano delle denunce. Perché il problema di questo “patto” è che vuole andare a monte: non vuole proibire posizioni politiche di disapprovazione di obblighi vaccinali, vuole proibire che venga svolta tutta quella vasta gamma di ricerca, e di possibilità di ricerca, che possa mettere in discussione certezze scientifiche che non sappiamo se siano di effettiva valenza scientifica o di esclusivo comodo e sfruttamento commerciale». E questo, aggiunge Carpeoro, è un dubbio che tutta l’Italia ha. «E probabilmente, un “governo del cambiamento” dovrebbe porsi il problema di questo dubbio e cercare di fugarlo, nei modi legittimi, legali e trasparenti, previsti dalle nostre leggi». Quindi, aggiunge Carpeoro, «mi appello a tutti i magistrati d’Italia: chiunque di loro può aprire un fascicolo, d’ufficio, per un reato di questo tipo, iscrivendo nel registro degli indagati – da subito – il signor Burioni, il signor Mentana, il signor Renzi, il signor Grillo e tutti gli altri firmatari. Burioni come responsabile, e gli altri come associati al reato, nell’ipotesi del reato associativo (associazione per delinquere), che poi dovrà essere vagliata in sede istruttoria».Aggiunge Carpeoro: «Questo appello lo faccio ufficialmente, perché penso che una cosa così grave meriti una risposta netta, ferma e trasparente. Non sto commettendo nessun reato, nel chiedere giustizia. Chiedo giustizia nei confronti delle persone che ho nominato. Purtroppo, a meno che non realizzino un comportamento di “desistenza operante”, cioè revochino la loro firma a quest’accordo, questi signori sono associati a reato – per il solo fatto di aver firmato questo appello – perché hanno gli strumenti culturali e personali per valutare la gravità di questo appello, nei suoi termini di attentato alla democrazia». Per Carpeoro, quello promosso da Burioni è un testo «gravissimo», di cui le istituzioni – politica, Quirinale e magistrati – dovrebbero valutare seriamente le conseguenze: una precettazione di questo tipo va bloccata sul nascere, sottoponendo al vaglio della magistratura «le persone che hanno pensato di poter fare questo, in uno Stato democratico».Per chiarezza, Carporo ribadisce la sua posizione in merito all’obbligo vaccinale: «Teniamo presente che io non sono un “no-vax”. L’ho detto più volte: voglio solo poter verificare, di volta in volta, e avendo un ampio spettro di informazioni da parte di scienziati che ne capiscano, l’opportunità relativa a stabilire un obbligo per un determinato tipo di vaccino e la conoscenza degli effetti, anche di quelli collaterali, di quel vaccino. Cosa fondamentale, sulla quale, sì, le forze politiche dovrebbero firmare un patto, ben diverso da quello proposto da Burioni». Certo, i vaccini sono anche un business: «Quando la loro utilità e necessità non sono scientificamente dimostrate, e quando non sono spiegati in modo trasparente al pubblico, sono l’espressione di un modo assolutamente perverso di fare del business sulla pelle della gente». Precisa ancora Carpeoro: «Non mi assocerò mai a chi criminalizza i vaccini in quanto tali, o a chi esprime disistima nei confronti dei medici. Bisogna procedere esaminando caso per caso, senza mai giudicare per schemi generali». Aggiunge: «Sull’obbligo vaccinale, in Italia, c’è stata poca chiarezza, e la chiarezza è fondamentale: quando lo Stato stabilisce degli obblighi e tocca il corpo delle persone, ha il dovere legale e morale di essere trasparente. Deve spiegarle bene, le cose: deve spiegare che cosa ti vuole iniettare, anche utilizzando pagine intere sui giornali. Questo non è stato fatto: non sono state chiarite tutta una serie di perplessità sui contenuti di alcuni vaccini».(“Vaccini, associazione a delinquere. Carpeoro ai pm: indagate Burioni, Grillo, Renzi, Mentana e gli altri firmatari del “patto” che chiede di limitare la ricerca scientifica, violando la Costituzione”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 gennaio 2019).Vaccini, associazione a delinquere: «Il reato è così grave che non c’è bisogno di sporgere denuncia: qualunque Procura dalla Repubblica può procedere d’ufficio». È un appello ai pm italiani, oltre che al presidente Mattarella, quello che l’avvocato Gianfranco Pecoraro (in arte Carpeoro) rivolge, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il 13 gennaio. Pietra dello scandalo, il “patto per la scienza” promosso dall’immunologo Roberto Burioni e sottoscritto da Beppe Grillo, Matteo Renzi, Enrico Mentana, Carlo Calenda, Vittoria Brambilla e molti altri. Secondo Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt, la magistratura deve intervenire: quel testo configura gravissime ipotesi di reato, fino all’attentato alla Costituzione, dal momento che si propone di abolire la libertà d’opinione e la libertà di ricerca scientifica, entrambe tutelate dalla Carta costituzionale. Se mai diventasse legge, lo sciagurato “patto” proposto da Burioni, secondo Carpeoro segnerebbe la fine della ricerca scientifica in Italia: per questo, insiste, va fermato subito, per via giudiziaria, prima che sia troppo tardi, in nome della democrazia e dello Stato di diritto.
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Magaldi: la sinistra ignorante che vorrebbe spegnere Rinaldi
Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiedere l’allontanamento dell’economista dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’appartenenza supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?Nonostante lo sgangherato assalto al promotore del blog “Scenari Economici”, liquidato come «narcisista e caciarone», economista senza prestigio accademico e piccolo opportunista a caccia di poltrone, Magaldi invita lo stesso Steven Forti, e gli analoghi missionari neoliberali asserragliati tra i ranghi dell’ex sinistra, a farsi avanti in modo aperto: perché non intervistare lo stesso Magaldi, per parlare finalmente del suo libro e magari anche del Movimento Roosevelt e del “partito che serve all’Italia”, progetto al quale Antonio Maria Rinaldi si è accostato in modo interlocutorio, «come battitore libero e autonomo pensatore», per prendere nota di quanto si va discutendo? Scoprirebbero, Steven Forti e i suoi sodali, che i problemi del mondo hanno sempre almeno due spiegazioni, in democrazia. Sono le famose due campane, che un tempo i giornalisti si peritavano di ascoltare, non foss’altro che per un elementare rispetto dei loro lettori. Intanto prendano nota, alla redazione di “Rolling Stone”: sono tutti invitati alla London Metropolitan University, il 30 marzo, dove parleranno un bel po’ di economisti post-keynesiani, impegnati a spiegare come mai questa Europa è sempre in crisi, perde i pezzi (Gran Bretagna) ed è diventata una Disunione Europea dove tutti si fanno le scarpe a vicenda. Vuoi vedere che la politica di austerity introdotta dall’Eurozona è una catastrofe, e in ultima analisi si è trasformata in una fabbrica di sovranismi, nazionalisti, populismi e Gilet Gialli?Il mainstream che si trincera dietro il politically correct non perdona a Rinaldi di tifare per i gialloverdi: fa scialo del più convenzionale corredo squadristico a base di insulti (razzismo, xenofobia, fascismo) per infangare Salvini, il nuovo mostro da sbattere in prima pagina, ma si guarda bene dall’interrogarsi sulle ragioni del fenomeno. Pensiero magico: la demonizzazione dell’Uomo Nero a questo serve, a evitare di chiedersi il perché delle cose. Un consiglio? Tornare a essere laici, smettendo i panni del fanatismo religioso. E magari, cessare di considerare l’avversario un nemico da abbattere. In altre parole, converrebbe ragionare. A proposito, aggiunge Magaldi: hanno una proposta, i coristi “di sinistra” come Steven Forti, su come uscire dalla crisi? Sono bravissimi a censurare le idee altrui, e a demolirle in modo unilaterale, senza mai dialogo, quando non riescono più a soffocarle (come nel caso di Rinaldi, spesso ospitato in televisione). Ma ce l’hanno, in tasca, un Piano-B? E se ce l’hanno, perché non ne parlano mai? Non sarebbe ora di cominciare a farlo? «Informo Steven Forti che diversi esponenti di quella che immagino sia la sua area di riferimento, cioè il Pd e LeU, fanno parte del Movimento Roosevelt». Non solo, aggiunge Magaldi: «Alcuni di loro, come Rinaldi, guardano con interesse anche alla prospettiva del “partito che serve all’Italia”, dato che – dalle loro parti – vedono che si va verso il disfacimento».“Rolling Stone” definisce «un gruppetto», la pattuglia di intellettuali, da Nino Galloni a Ilaria Bifarini, aggregati per ora nelle prime riunioni convocate per valutare la possibilità del nuovo soggetto politico, «il cui sviluppo, a partire dal nome, sarà a cura dei costituenti, dato il rispetto che abbiamo per il metodo democratico». Gruppetto? Sui numeri sarà il tempo a dire la sua, perché siamo solo ai preliminari, assicura Magaldi. Che però aggiunge: anche se alla fine non fossimo in tantissimi, «informo Steven forti che un “gruppetto” di massoni riuniti intorno alla Loggia delle Nove Sorelle, alla fine del ‘700, determinò tanto i preparativi per la Rivoluzione Americana, quindi per la Guerra d’Indipendenza, che quelli per la Rivoluzione Francese: talvolta i gruppetti, se ben coesi e agguerriti, fanno le rivoluzioni». Se Steven Forti non afferra il concetto, prosegue Magaldi, forse è perché «non ha grande dimestichezza con lo studio della storia», benché il suo curruculum accademico lo accrediti come esperto in storia contemporanea. Iniste Magadi: «Steven Forti mi sembra carente di letture», se in qualche modo associa la massoneria al cospirazionismo. L’autore di “Massoni”, libro che smonta moltissime tesi complottistiche, cita il filosofo Gian Mario Cazzaniga, che nel saggio “La religione dei moderni” «spiega come la religione dei moderni sia la politica, e spiega anche che la politica, nel senso moderno e contemporaneo, l’hanno creata i proprio massoni».Altre letture consigliate alla redazione di “Rolling Stone”: le opere di un grande sociologo come Jürgen Habermas, «che ha spiegato come lo stesso concetto di opinione pubblica sia nato da ambienti massonici». E cioè: si prenda atto, meglio tardi che mai, che «la massoneria è un soggetto storico importante». Se poi il giovane Steven Forti leggesse pure il saggio di Magaldi, scoprirebbe che negli ultimi decenni un’élite massonica internazionale, reazionaria e neoaristocratica, ha progettatto e gestito la globalizzazione neoliberista che ha privatizzato il pianeta, rottamando i caposaldi del welfare tanto cari alla sinistra, a loro volta “fabbricati” sempre da massoni, ancorché progressisti, come il massimo economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes, e il connazionale William Beveridge, l’inventore del “welfare system”. Per inciso: il progressista Keynes era iscritto al partito liberale. I laburisti, invece – come i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e l’ex Pci italiano – sono stati i più zelanti esecutori, negli ultimi decenni, delle direttive antidemocratiche dell’élite globalista: è stata proprio la sedicente sinistra a obbedire alla peggiore destra economica. In Italia l’ha fatto prima con Prodi e Draghi, poi con il governo Monti: Fiscal Compact votato senza fiatare, così come la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio inserito proditoriamente nella Costituzione, con lo Stato terremotato dal ricatto dallo spread.Non la si vuole vedere, la realtà? E allora all’intellighenzia dell’ex sinistra non resta che godersi Salvini, dandogli ogni giorno del fascista. Almeno, puntualizza Magaldi, si eviti di scadere nella disinformazione più scorretta, rinfacciando come una colpa – a un uomo come Antonio Maria Rinaldi – la libertà intellettuale di cui gode: avrà diritto o no, di dirsi scontento della manovra economica del governo gialloverde? Proprio non glielo si vuole riconoscere, il diritto di aspettarsi di più dall’esecutivo Conte? Scherno, disprezzo e criminalizzazione di chi non la pensa come te, riassume Magaldi, non fanno parte dell’abc dell’informazione, che può essere anche fortemente critica, ma mai scorretta. I media mainstream sembrano lo specchio della politica italiana, basata su scontri quotidiani dal sapore tribale. Puoi anche farlo cadere, un avversario, ma poi sapresti come agire, al suo posto? Qualcuno ricorda un’idea – una sola – che negli ultimi vent’anni la sedicente sinistra abbia partorito, per migliorare la situazione, mentre passava il tempo a tuonare contro l’orrido Berlusconi – per poi fare persino peggio, una volta a Palazzo Chigi? Il punto è che c’è bisogno di tutti, sembra dire Magaldi. Oggi più che mai, nessuno deve sentirsi escluso. Lo gridano, gli elettori, quando votano per i cosiddetti populisti. Ormai vedono benissimo quant’è infame, la post-democrazia Ue. E’ tanto comodo, ricamare indignati elzeviri sui tweet di Salvini: serve a continuare a non vedere cosa sta succedendo, lassù, dove un pugno di decisori tiene in ostaggio mezzo miliardo di persone, in Europa. Fino a quando?Uso criminoso della televisione: manca solo la formula del famigerato “editto bulgaro” di berlusconiana memoria, all’invettiva di Steven Forti su “Rolling Stone” contro Antonio Maria Rinaldi, per chiederne l’allontanamento dalle reti televisive italiane, evidentemente inquinate da un economista non-mainstream, non-neoliberista, estraneo all’autismo del pensiero unico. Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nel libro “M, il figlio del secolo”, Antonio Scurati ricorda che Benito Mussolini, direttore socialista de “L’Avanti” prima di diventare Duce, almeno una cosa l’aveva detta giusta: e cioè che «la gran parte dei giornalisti italiani sono dei pennivendoli con la schiena poco dritta». Lo sottolinea Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, in una video-chat su YouTube con Marco Moiso. Tema: l’ordinaria macelleria giornalistica che trasforma in carne di porco chiunque non canti nel coro – il sovranista Rinaldi e lo stesso Magaldi, definito (comicamente) «scrittore complottista, fissato col pericolo massonico». E per giunta «vittimista», per via della congiura del silenzio che ha oscurato il suo bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014 e tuttora in vetta classifiche Ibs. Figurarsi: come farebbero, gli attuali talkshow, a citare un saggio che rivela l’identità supermassonica di personaggi come Monti, Draghi, D’Alema e Napolitano?
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La sinistra coi migranti, i gialloverdi con i Gilet Gialli europei
Leoluca Orlando e Luigi de Magistris si schierano coi migranti, mentre Luigi Di Maio (e Matteo Salvini) tifano per i Gilet Gialli, provocando l’Eliseo. Posizioni speculari: i titolari della sedicente sinistra difendono gli africani disperati, mentre gli esponenti gialloverdi scelgono gli europei che stanno male, italiani e francesi. «Gilet gialli, non mollate!», scrive Di Maio sul “Blog delle Stelle” a sostegno del movimento che da otto settimane protesta contro Emmanuel Macron. «Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire», scrive il vicepremier grillino. «In Francia, come in Italia, la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: “fateci partecipare!”». Fa eco il leghista Salvini, che da parte sua assicura «sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo». Un vero e proprio affronto, per Nathalie Loiseau, ministro francese degli affari europei, che replica piccata: «La Francia si guarda bene dal dare lezioni all’Italia. Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia in casa loro».La Francia non ci dà lezioni? «Proprio Macron ci aveva paragonato alla lebbra», la rimbecca Di Maio. Ha ragione: il primo ad attaccare fu proprio Macron, che non esitò a insultare l’Italia. Il suo partito dichiarò «vomitevole» la politica gialloverde sui migranti. C’è dell’altro, naturalmente: Di Maio si spinge a offrire ai Gilet Janunes la piattaforma Rousseu dei 5 Stelle per aggregare singoli e gruppi. All’orizzonte, naturalmente, una possibile alleanza in vista delle europee. Jacline Mouraud, tra i rappresentanti dell’ala moderata del movimento francese, annuncia di lavorare alla creazione del proprio partito politico: lo rivela “France Info”. Obiettivo del partito (battezzato “Les Emergents”, gli emergenti) è una grande riforma fiscale e il «ritorno del sociale» nell’agenda politica. Gilet Gialloverdi? Sicuramente utile, la protesta francese, per ridare fiato al governo Conte, costretto alla resa da Bruxelles sul deficit 2019. Un passo indietro, nella speranza di tornare all’attacco dopo le elezioni di maggio? Applaudire i Gilet Gialli – ostili a Macron, detestato dagli italiani – aiuta certamente i gialloverdi nostrani, impantanati nella palude delle promesse impossibili da mantenere, per via dell’intransigenza austeritaria dell’oligarchia tecnocratica europea.Sul fronte opposto, l’ex sinistra brancola nel buio: sposando la causa dei migranti, punta tutto sui diritti civili (e mette in ombra i diritti sociali confiscati proprio dal potere di Bruxelles, lo stesso contro cui si agitano i Gilet Gialli ora sostenuti anche dall’Italia). Intestandosi la “rivolta dei sindaci” contro il rilancio securitario di Salvini, osserva Carlo Formenti su “Micromega”, le sinistre spostano ulteriormente il baricentro dell’iniziativa politica sul tema dei diritti civili (con priorità assoluta al problema dei migranti) sperando così di dimostrare la propria superiorità morale nei confronti della controparte. In questo modo, non solo non indeboliscono l’avversario, ma – come dimostrato dall’esperienza anche recente – rischiano di rafforzarlo. La sinistra, dice Formenti, è diventata anti-statalista: i gruppi più radicali «concepiscono lo Stato nazionale come un nemico in quanto tale, perché sinonimo di gerarchia, autoritarismo, se non di totalitarismo». Poi ci sono le rivendicazioni di autogoverno di una “società civile” «identificata, di volta in volta, con questa o quella istituzione locale (Comuni, Province, Regioni o altro), per definizione “più vicina ai cittadini”», fino alle “cyber utopie” anarco-capitaliste «che hanno visto i social network (governati da imprese giganti!) scalzare progressivamente le prime comunità virtuali come candidate alla costruzione di forme di democrazia diretta alternative a partiti e corpi intermedi».Avendo sposato queste ideologie, aggiunge Formenti, «non stupisce che le sinistre coltivino l’utopia di una Unione Europea riformata, in cui si creerebbero le condizioni per una governance realmente democratica, e in cui potrebbero sbocciare i “cento fiori” delle più svariate esperienze di autogestione comunitaria locale». È su questo terreno, prosegue l’analista, che le sinistre radicali «finiscono inconsapevolmente per convergere con socialdemocratici e liberali i quali, mentre costruiscono le istituzioni sovranazionali e totalitarie delle grandi lobby finanziarie e industriali, distruggendo le tradizionali istituzioni della democrazia nazionale e del welfare, strizzano l’occhio a volontariato, Ong, no profit e persino alle forme più radicali di autonomia di una società civile chiamata a tappare i buchi di un mondo lacerato dalla colonizzazione del libero mercato». La “guerra” allo Stato-nazione in nome del mito della democrazia diretta e del localismo «non apre la strada alla costruzione di più ampi spazi di democrazia, nella cornice di istituzioni sovranazionali “flessibili”». Al contrario, «accelera il lavoro di distruzione delle garanzie costituzionali che decenni di lotta di classe avevano consentito di conquistare alle classi subalterne».Formenti cita il Subcomandante Marcos: «Nella nuova fase del capitalismo si verifica una distruzione dello Stato nazionale: si sta distruggendo il concetto di nazione, di patria, e non soltanto nella borghesia, ma anche nelle classi governanti». Ancora: «Il progetto neoliberista esige questa internazionalizzazione della storia; pretende di cancellare la storia nazionale e farla diventare internazionale; pretende di cancellare le frontiere culturali». E quindi, «un processo rivoluzionario deve cominciare a recuperare i concetti di nazione e di patria». Nozioni che appartengono sicuramente al caotico “patriottismo rivoluzionario” dei Gilet Gialli, cui ora le forze gialloverdi italiane promettono di dare manforte. Non può sfuggire la visione macroscopica dello scenario: l’ex sinistra italiana si aggrappa ai migranti per tentare di danneggiare Lega e 5 Stelle, che invece guardano alla rivolta francese per provare a colpire il nemico comune, cioè i gestori tecnocratici della Disunione Europea. E quello italiano è tuttora l’unico governo all’opposizione di Bruxelles: teoricamente, un avamposto strategico per il “secondo round” che potrebbe aprirsi dopo le europee. Sempre che – come auspica Di Maio – i Gilet Gialli tengano duro. E che la Francia, nel frattempo, non venga tramortita dai soliti “jihadisti” che sparano sulla folla, dopo aver lasciato il loro passaporto a disposizione del solerte antiterrorismo.Leoluca Orlando e Luigi de Magistris si schierano coi migranti, mentre Luigi Di Maio (e Matteo Salvini) tifano per i Gilet Gialli, provocando l’Eliseo. Posizioni speculari: i titolari della sedicente sinistra difendono gli africani disperati, mentre gli esponenti gialloverdi scelgono gli europei che stanno male, italiani e francesi. «Gilet gialli, non mollate!», scrive Di Maio sul “Blog delle Stelle” a sostegno del movimento che da otto settimane protesta contro Emmanuel Macron. «Sappiamo cosa anima il vostro spirito e perché avete deciso di scendere in piazza per farvi sentire», scrive il vicepremier grillino. «In Francia, come in Italia, la politica è diventata sorda alle esigenze dei cittadini che sono stati tenuti fuori dalle decisioni più importanti che riguardano il popolo. Il grido che si alza forte dalle piazze francesi è in definitiva uno: “fateci partecipare!”». Fa eco il leghista Salvini, che da parte sua assicura «sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo». Un vero e proprio affronto, per Nathalie Loiseau, ministro francese degli affari europei, che replica piccata: «La Francia si guarda bene dal dare lezioni all’Italia. Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia in casa loro».
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Contro Salvini i Tg, Papa Mattarella e il presidente Bergoglio
Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.Sulla rivolta dei sindaci populisti – Leoluca Orlando e Giggino de Magistris sono due tribuni della plebe, e nasce populista pure l’ex grillino e neo-furbino Pizzarotti – l’informazione nazionale, la rappresentazione pubblica, è dalla parte loro, vede il mondo coi loro occhi, col loro linguaggio. Il ministro dell’interno è trattato come un esterno, un cocciuto nemico dell’umanità che oppone ai sindaci non una legge votata dal Parlamento ma – dicono molti Tg e rassegne stampa – “un muro”, che è la parola infame nel gergo mediatico-ideologico per bollare tutti i Trump e i trumpettieri del pianeta. Penso ai tempi bui in cui c’era la lottizzazione, il manuale Cencelli, la spartizione. In quel tempo c’era un criterio non detto ma praticato che grosso modo era questo: un terzo degli spazi va al governo, un terzo alla maggioranza che lo sostiene e un terzo all’opposizione. Regola becera ma a suo modo equilibrata, dosaggio chimico in uso soprattutto nell’ammiraglia della Rai che di fatto dava due terzi di rilievo e di ragione a chi governa e un terzo a chi si oppone. Poi arrivò Renzi e riuscì a fare perfino peggio della lottizzazione, tutto venne renzizzato. Ora, sarò un maldestro spettatore ma a me pare che, salvo fatti e sfumature, l’intonazione generale è la stessa di prima, la linea è rimasta quella (si salva un po’ il Tg2).La presenza delle opposizioni in video è ampia e articolata, quella della maggioranza è didascalica e minore. E’ fuori dal racconto. Il dosaggio delle notizie e delle facce a malapena è cambiato perché la realtà di fatto è cambiata: ma la rappresentazione è sempre la stessa. Gli oppositori sono dentro il racconto, i governativi lo interrompono. Figurano come Paolini, il disturbatore dei Tg. Certo, non si cambia dall’oggi al domani. Certo, se cambi i vertici, il personale poi resta sempre lo stesso, la stessa provenienza, lo stesso sindacato, la stessa trafila di carriera e la stessa ideologia. Certo, anche le figure nominate sono più o meno dell’area di prima, non vengono dalla luna, hanno lo stesso pedigrèe catto-vago-sinistrese; ma questo succede se vai al governo sprovvisto di una classe dirigente, tu e il popolo o la rete e in mezzo niente… «Ho preso il Tg e la rete ma non so cosa mettermi addosso». Sulla Tv in generale, è normale poi che devi sciropparti le stesse robe di sempre, le fiction, i programmi preconfezionati e decisi in epoca antecedente. Siamo ancora sotto effetto dei farmaci e delle indigestioni precedenti. D’altra parte per essere realmente alternativo devi avere una tua interpretazione storica, una visione culturale… Se non ce l’hai soccombi, ti limiti a sparare tweet e video.Al governo ci sono i marziani, o meglio i marziani e i saturniani insieme, e invece la rappresentazione del paese è la stessa di prima. Cambia solo l’annuncio dei provvedimenti di governo: ogni giorno una versione diversa delle pensioni, del reddito di cittadinanza, di quota 100 e roba varia. L’effetto comico è che agli occhi dei Tg, perfino il Pd sembra una cosa viva, seria, unita. Quanto a lungo potremo vivere con questo schema bipolare, ma nel senso del disturbo psichiatrico e non dell’alternanza democratica? Quanto potrà durare questa schizofrenia tra la realtà e la rappresentazione? Il governo da una parte, l’egemonia dall’altra. Non è una preoccupazione di ordine elettorale, perché più le fabbriche del pregiudizio stampano moneta falsa più la gente va in direzione opposta. Semmai ci preoccupa proprio l’effetto che producono, la diffidenza della gente verso i media, il disgusto e il fastidio, l’alibi per non leggere, non ascoltare, non documentarsi, tanto è sempre la stessa minestra. Preoccupa un paese dove l’ideologia oscura i fatti e deforma la verità; che non sono mai solo da una parte.(Marcello Veneziani, “Tutto come prima”, da “La Verità” del 4 gennaio 2019: articolo ripreso sul blog di Veneziani).Apro le finestre, lo smartphone, l’i-pad, la tv, i talk show, la radio e i giornali e mi chiedo: ma è cambiato qualcosa da quando sono al governo i populisti e i sovranisti? Il racconto quotidiano è rimasto lo stesso. Gli stessi temi, la stessa versione, le stesse storie. Cambiano le notizie, non la rappresentazione. Va ancora in onda il vecchio film. Prendi un Tg, di Stato e non solo, a partire dal Tg1 e vedi che gli ingredienti sono gli stessi, l’enfasi e la copertina sono sempre dedicate al tema migranti, all’europeismo a tappetino, ai buoni sentimenti di Papa Mattarella e del Presidente Bergoglio, all’aiutismo a nostro carico dei sindaci umanitari, di Riace o di Palermo non cambia. Ciò che è legge di questo governo, approvata dal Parlamento e promulgata dal capo dello Stato, è incostituzionale nel racconto pubblico dominante. E poi le Ong, i migranti, la retorica gay, l’antirazzismo, l’antisessismo, le sparate contro Trump, Putin e Bolsonaro, poi i soliti nazisti, i frullati di storia a senso unico, il volontariato buono, cioè di sinistra, le vittime che valgono assai se sono progressiste, valgono poco se a colpirle sono state le categorie protette.