Archivio del Tag ‘Stati Uniti’
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Il mondo produce beni, loro dollari. O così, o è guerra
Nel 1974 Richard Nixon strinse un accordo con l’Arabia Saudita, che potremmo definire come la più grande truffa nella storia degli Stati Uniti. In cambio di armi e di protezione, i sauditi avrebbero dovuto vendere il loro petrolio in dollari, che poi avrebbero dovuto di nuovo investire negli Stati Uniti. Si trattava di una questione di vita o di morte per il dollaro, in quel momento. Nixon aveva chiuso la finestra del sistema aureo tre anni prima, e ne era seguita una massiccia svalutazione del dollaro. Garantirsi che tutte le merci che venivano scambiate nel mondo e che sarebbero state commerciate in dollari, pagate in dollari, era l’unico sistema in grado di poter veramente puntellare il valore della valuta. Guardando indietro, fu una mossa strategica estremamente brillante. Il resto dell’Opec seguì lo stesso sistema e questo fu l’affare che ha determinato la supremazia finanziaria, politica e militare degli Stati Uniti per decenni. Erano nati i petrodollari.Oggi, il petrolio resta il bene largamente più commercializzato in tutto il mondo. E dato che tutte le nazioni acquistano o vendono petrolio, questo significa che ogni nazione deve possedere dei dollari. Però, per comodità, le banche estere, i governi e le banche centrali, anziché starsene sedute a controllare montagne di banconote, hanno preferito comprare dei buoni del Tesoro Usa, cioè hanno comprato un pezzetto del debito degli Stati Uniti. Ma questo significa anche che il governo degli Stati Uniti ha una scorta quasi illimitata di stranieri che vogliono impegnarsi e comprare i suoi dollari, i suoi debiti e il suo deficit. Tutto il resto del mondo deve faticare per produrre qualcosa: lavorano nei campi, fabbricano prodotti industriali, estraggono petrolio o gas dal terreno. Gli Stati Uniti, invece dal canto loro, stampano dollari. E poi usano questa carta per scambiarla con la roba che gli stranieri hanno prodotto e per la quale hanno dovuto lavorare veramente.E’ una truffa incredibile. Si sarebbe tentati di pensare che il governo degli Stati Uniti dovrebbe essere grato, e dovrebbe inviare almeno un cesto di frutta a tutti i paesi stranieri del mondo, trattandoli come amici a cui dare sempre il benvenuto. Ma non è questo, quello che fanno. In modo arrogante, il governo degli Stati Uniti dà ordini a tutte le banche del mondo che devono far riferimento all’Irs, buttano le bombe, mandano i droni e invadono paesi stranieri. Spiano sia i loro nemici che gli alleati, congelano i beni gestiti fuori dal sistema bancario Usa e multano le banche straniere che si permettono di fare affari con paesi “non graditi”. E’ una cosa incredibilmente stupida, è un comportamento che praticamente implora gli stranieri di abbandonare il sistema del dollaro e degli Stati Uniti. E questo sta cominciando ad accadere, proprio davanti ai nostri occhi.Gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere disposti ad andare in guerra pur di sostenere questo sistema basato sui petrodollari (Saddam Hussein ebbe il sostegno delle Nazioni Unite nei primi anni 2000 per vendere il suo petrolio in euro, ma poco dopo… se n’era andato). Quindi il fatto che in questo momento si cominci a intravedere un certo rilassamento della situazione è molto preoccupante, particolarmente se si considera che il campo di battaglia è già pronto in Ucraina.(Simon Black, “L’ultima volta che è successo, gli Usa entrarono in guerra per “difendere” i loro interessi”, da “Sovereign Man” del 6 settembre 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Nel 1974 Richard Nixon strinse un accordo con l’Arabia Saudita, che potremmo definire come la più grande truffa nella storia degli Stati Uniti. In cambio di armi e di protezione, i sauditi avrebbero dovuto vendere il loro petrolio in dollari, che poi avrebbero dovuto di nuovo investire negli Stati Uniti. Si trattava di una questione di vita o di morte per il dollaro, in quel momento. Nixon aveva chiuso la finestra del sistema aureo tre anni prima, e ne era seguita una massiccia svalutazione del dollaro. Garantirsi che tutte le merci che venivano scambiate nel mondo e che sarebbero state commerciate in dollari, pagate in dollari, era l’unico sistema in grado di poter veramente puntellare il valore della valuta. Guardando indietro, fu una mossa strategica estremamente brillante. Il resto dell’Opec seguì lo stesso sistema e questo fu l’affare che ha determinato la supremazia finanziaria, politica e militare degli Stati Uniti per decenni. Erano nati i petrodollari.
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De Bortoli l’anti-Renzi, un suicidio le sanzioni alla Russia
«Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe confidato tempo fa Ferruccio De Bortoli ad alcuni amici. Notizia filtrata sui media, poi indirettamente confortata dall’annuncio di Rcs: il direttore lascerà il “Corriere della Sera” nell’aprile 2015. Per fare politica? Lo ipotizza Gianni Gambarotta su “Formiche.net”, all’indomani dell’esplosivo editoriale di De Bortoli contro Renzi, dipinto come chiacchierone inconcludente, con in tasca l’accordo segreto con Berlusconi, il Patto del Nazareno, che “puzza di massoneria”. «È un passaggio molto intrigante e non è caduto per caso», dichiara Giancarlo Galli, saggista economico e editorialista di “Avvenire”, nonché autore di inchieste e libri che hanno messo in luce trame, ambizioni, rivalità e faide del ceto dirigente italiano. «La Toscana è una terra di forte e radicata tradizione massonica, così come gli Stati Uniti cui Renzi è frequentemente accostato». Ecco il punto: obbedendo a Obama nell’offensiva contro la Russia, Renzi sta gettando nel panico l’agonizzante imprenditoria italiana, che conta proprio sui mercati dell’Est. Pessimo affare, la “guerra” contro Putin. Avvertimento: il premier prenda nota, o sarà presto “scaricato”.«Renzi non mi convince», scrive De Bortoli sul “Corriere” il 24 settembre. «Se vorrà veramente “cambiare verso” a questo paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso». Ha «una personalità egocentrica», che è «irrinunciabile per un leader» ma nel suo caso è «ipertrofica». Fatto «non irrilevante», visto che Renzi è «un uomo solo al comando del paese (e del principale partito), senza veri rivali». Vuol fare tutto da solo, e la sua squadra di governo «è in qualche caso di una debolezza disarmante»: il sospetto è che alcuni ministri «siano stati scelti per non far ombra al premier». In troppi casi «la fedeltà (diversa dalla lealtà) fa premio sulla preparazione, sulla conoscenza dei dossier», e additrittura «a prevalere è la toscanità», non il valore. La competenza? «Un criterio secondario». L’esperienza? «Un intralcio, non una necessità». L’irruenza può scuotere la “palude”, ma «non sempre è preferibile alla saggezza negoziale». Inoltre, «la muscolarità tradisce a volte la debolezza delle idee, la superficialità degli slogan». Ovvero: «Un profluvio di tweet non annulla la fatica di scrivere un buon decreto».Se Renzi è un oratore travolgente, «il fascino che emana stinge facilmente nel fastidio se la comunicazione, pur brillante, è fine a se stessa». Il marketing della politica? «Se è sostanza è utile, se è solo cosmesi è dannoso». E in Europa, «meno inclini di noi a scambiare la simpatia e la parlantina per strumenti di governo, se ne sono già accorti». Attenzione: «Le controfigure renziane abbondano anche nella nuova segreteria del Pd, quasi un partito personale, simile a quello del suo antico rivale, l’ex Cavaliere». E qui sorge quello che De Bortoli definisce l’interrogativo più spinoso: «Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015». Quindi «sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti, liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria». Ultimo consiglio al premier: «Quando si specchia al mattino, indossando una camicia bianca, pensi che dietro di lui c’è un paese che non vuol rischiare di alzare nessuna bandiera straniera (leggi Troika), e tantomeno quella bianca».Il durissimo attacco di De Bortoli costituisce il punto culminante di un crescendo di critiche taglienti portate avanti dalle firme di punta di Via Solferino, scrive Edoardo Petti su “Formiche.net”. Prima Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sulla strategia economica del premier, poi i corsivi di Antonio Polito, Ernesto Galli della Loggia e Pierluigi Battista. Ora, l’intervento a gamba tesa del direttore. Per Giancarlo Galli, l’asprezza di De Bortoli riflette «lo stato d’animo di un mondo imprenditoriale lombardo e italiano che, tranne l’eccezione della Fiat ormai pienamente americana, è preoccupato per l’eccessivo filo-americanismo del premier». Le sanzioni contro la Russia? «Quella è la punta dell’iceberg», sostiene Galli. «La classe economica del nostro paese ritiene che gli sbocchi privilegiati delle attività commerciali italiane siano i mercati orientali, Russi e asiatici in primo luogo. E per questo motivo ha giudicato malissimo la politica muscolare perseguita dal presidente del Consiglio verso Mosca, da cui importiamo energia e soprattutto gas metano. Comparto fondamentale, in cui gli Usa si apprestano a far concorrenza alla Russia attraverso la ricerca e raffinazione dello “shale gas”». In più, aggiunge Galli, gli industriali italiani guardano con timore all’offensiva del premier contro l’articolo 18 e i sindacati: «Potrebbe creare una fase di turbolenza negli ambienti di lavoro, ed è l’ultima cosa di cui gli imprenditori hanno bisogno».Di fatto, scrive Gianni Gambarotta, Renzi e il suo modo di far politica sono stati demoliti: col suo editoriale, De Bortoli ha tagliato i ponti col palazzo che oggi conta. Dunque si dimostrano infondate «le voci che puntasse, dopo l’uscita da via Solferino nell’aprile prossimo, a una presidenza Rai». De Bortoli «non si prende nemmeno il disturbo di accennare, nel suo tacitiano articolo, al centro di potere che ruota attorno ai suoi editori». Ormai «gioca una sua partita di direttore di quotidiano libero da ogni vincolo». Ma che cosa ha in mente per il futuro? «Un futuro che si immagina ancora lungo e intenso, dato che Fdb ha solo 60 anni, e in 40 di brillante carriera ha dimostrato di essere un eccellente professionista e di amare molto il lavoro». Gambarotta ricorda che di De Bortoli si parlò come possibile sindaco di Milano dopo Gabriele Albertini. Non se ne fece nulla, «però quella mezza idea di tanti anni fa potrebbe essere ripescata dal cassetto, e magari non solo a livello locale», conclude Gambarotta. «La politica italiana di oggi è un immenso nulla nel quale rimbombano i bla-bla-bla di Renzi. In questo vuoto una personalità come de Bortoli sarebbe un gigante».«Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe confidato tempo fa Ferruccio De Bortoli ad alcuni amici. Notizia filtrata sui media, poi indirettamente confortata dall’annuncio di Rcs: il direttore lascerà il “Corriere della Sera” nell’aprile 2015. Per fare politica? Lo ipotizza Gianni Gambarotta su “Formiche.net”, all’indomani dell’esplosivo editoriale di De Bortoli contro Renzi, dipinto come chiacchierone inconcludente, con in tasca l’accordo segreto con Berlusconi, il Patto del Nazareno, che “puzza di massoneria”. «È un passaggio molto intrigante e non è caduto per caso», dichiara Giancarlo Galli, saggista economico e editorialista di “Avvenire”, nonché autore di inchieste e libri che hanno messo in luce trame, ambizioni, rivalità e faide del ceto dirigente italiano. «La Toscana è una terra di forte e radicata tradizione massonica, così come gli Stati Uniti cui Renzi è frequentemente accostato». Ecco il punto: obbedendo a Obama nell’offensiva contro la Russia, Renzi sta gettando nel panico l’agonizzante imprenditoria italiana, che conta proprio sui mercati dell’Est. Pessimo affare, la “guerra” contro Putin. Avvertimento: il premier prenda nota, o sarà presto “scaricato”.
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Roberts: mentecatti europei, pagati per portarvi in guerra
Pagliacci pericolosi, pagati per mentire. Dal portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea prima del degno sostituto Juncker, fino al danese Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato. Obbediscono agli ordini di chi li ha piazzati al vertice: gli Stati Uniti. E l’ordine è semplice: raccontare il contrario della verità, in modo da “orientare” l’opinione pubblica grazie ai media mainstream, anch’essi “zerbini” del super-potere come i loro editori, per nulla indipendenti. E’ la dura accusa lanciata sul blog “Counterpunch” da Paul Craig Roberts, già editor e viceministro di Reagan, indignato per la criminale manipolazione delle notizie sul fronte ucraino, orchestrata dallo staff di Obama. E perché gli europei non si ribellano, visto che hanno tutto da perdere in caso di un’escalation con la Russia? Perché noi americani li paghiamo, scrive Roberts: tutti i leader europei sono stati elevati a ruoli di comando dallo Zio Sam. Grazie agli Usa hanno fatto carriera e ricevuto denaro a palate. Per questo, sono pronti a dire (e fare) qualsiasi cosa. Anche la guerra, persino contro una superpotenza nucleare.«Herbert E. Meyer, un pazzo che per un periodo aveva occupato il ruolo di assistente speciale del direttore della Cia durante l’amministrazione Reagan, ha scritto un articolo invitando all’assassinio del presidente russo Vladimir Putin», riferisce Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Dice l’ex uomo Cia: «Se dobbiamo farlo uscire dal Cremlino con i piedi in avanti e un foro di proiettile nella nuca, non avremmo problemi». Assassinare Putin? «Come il folle Meyer spiega – ribatte Roberts – il delirio che Washington ha diffuso nel mondo non ha limiti». Lo provano, su un altro piano, le bugie di Barroso, «messo alla presidenza della Commissione Europea come burattino degli Usa». Dopo una recente telefonata con Putin, Barroso ha raccontato ai media che il capo del Cremlino avrebbe espresso la seguente minaccia: «Se volessi, potrei prendermi Kiev in due settimane». C’è da mettersi a ridere, dice Roberts: «Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la disparità tra le forze russe e ucraine sa più che bene che alla Russia basterebbero 14 ore, e non 14 giorni, per prendersi l’Ucraina».Basta ricordarsi cosa accadde all’armata georgiana «addestrata e armata da Usa e Israele quando Washington aveva piazzato i suoi bambolotti georgiani nell’Ossezia del Sud». Le forze georgiane, precisa Roberts, sono collassate sotto il contrattacco russo in appena 5 ore.In ogni caso, «Putin non ha minacciato nessuno: una minaccia non sarebbe coerente con l’intero approccio attendista di Putin alla minaccia strategica che Washington e i suoi burattini della Nato hanno mosso alla Russia in Ucraina». Il rappresentante permanente della Russia all’Ue, Vladimir Chizhov, ha detto che se la menzogna di Barroso non verrà ritrattata, la Russia divulgherà la registrazione dell’intera conversazione. «La bugia che la marionetta di Washington Barroso ha raccontato non è degna di una persona rispettabile», scrive Roberts. «Ma dove, in Europa, c’è qualcuno di rispettabile al potere? Da nessuna parte. Le poche persone serie sono del tutto fuori dai centri di potere».Al vertice c’è gente come Rasmussen: era solo il premier della piccola Danimarca, e un giorno capì che «avrebbe potuto salire oltre, diventando una marionetta degli Usa». Come? Per esempio supportando l’invasione illegale dell’Iraq. E quindi, mentendo: «Sappiamo – disse – che Saddam Hussein possiede armi di distruzione di massa». Il danese conosceva le regole: «Chi serve Washington fa carriera, e Rasmussen ne ha fatta». Osserva Craig Roberts: «Il problema del mettere in certe posizioni dei mentecatti è che essi rischierebbero il mondo per la loro carriera». Ora, secondo l’ex viceministro di Reagan, il segretario della Nato ha «messo a rischio la sopravvivenza di tutta l’Europa, occidentale e orientale», annunciando al vertice di Newport la creazione di una forza speciale di attacco capace di operazioni-lampo in Russia. Ciò che «il burattino di Washington chiama “piano di azione immediata”» è giustificato come una risposta al quello che viene definito «l’atteggiamento aggressivo della Russia in Ucraina». Tutto falso, ovviamente. Inoltre, la “forza d’attacco fulminea” di Rasmussen «verrà spazzata via così come ogni capitale europea». Aggiunge Roberts: «Che tipo di idiota provoca in questo modo una superpotenza nucleare?». Risposta: un “idiota” prezzolato, riempito di dollari e quindi ricattabile.Racconta Craig Roberts: «Il mio professore di dibattito all’università, che è diventato un alto ufficiale del Pentagono con il compito di terminare la guerra in Vietnam, in risposta alla mia domanda su come Washington faccia sempre fare all’Europa ciò che vuole ha detto: “Soldi, diamo loro soldi”. “Aiuti stranieri?”, ho chiesto. “No, diamo ai politici europei un sacco di soldi. Loro sono in vendita. Noi li compriamo, e loro ci rendono conto”. Forse – aggiunge Roberts – questo spiega i 50 milioni di dollari guadagnati da Blair, in un anno, con il suo ufficio». Facile prendersela con Mosca, inventando di sana pianta ogni accusa: «La Russia se ne è stata in disparte mentre il governo-marionetta di Kiev ha accerchiato e bombardato insediamenti civili, ospedali, scuole, e lanciato una serie costante di bugie». Putin ha persino respinto le richieste delle province ora indipendenti del Sud e dell’Est dell’Ucraina, in passato territori russi, di venire nuovamente annesse. La verità è esattamente opposta: «Sono le milizie naziste ucraine ad attaccare i civili nei territori che appartenevano alla Russia». Infatti, «molti militari ucraini hanno disertato a favore delle repubbliche indipendenti».A quei soldati disertori non piaceva l’idea di bombardare civili inermi e di combattere accanto a dei neonazisti, alcuni ripresi con la svastica stampata sull’elmetto. «L’Ucraina dell’Ovest – ricorda Craig Roberts – è la dimora delle divisioni ucraine delle SS che combatterono al fianco di Hitler. Oggi le milizie organizzate dal “Right Sector” e altri partiti politici di destra indossano la divisa delle divisioni ucraine delle SS. Queste sono le persone che Washington e l’Ue sostengono. Se i nazisti ucraini potessero vincere contro la Russia, e non possono, si rivolterebbero all’Occidente. Esattamente come l’Isis, creato da Washington, e che Washington ha sguinzagliato contro Siria e Libia. Ora l’Isis sta ricreando un Medio Oriente unito, e Washington non sembra in grado di reagire. William Binney, un ex ufficiale dell’Nsa, ha scritto alla cancelliera tedesca Angela Merkel avvertendola di difendersi dalle menzogne di Obama al summit della Nato in Galles. Gli ufficiali dell’intelligence statunitense avvertono la Merkel di ricordarsi delle “armi di distruzione di massa” irachene e di non farsi ingannare nuovamente, entrando stavolta in conflitto con la Russia».La domanda è: chi rappresenta la Merkel? Washington o la Germania? «Fino ad ora», nella vertenza con Mosca sull’Ucraina, la cancelliera «ha rappresentato Washington, non gli interessi dell’economia tedesca, non il popolo tedesco, non la Germania come nazione», sostiene Roberts, ricordando che in una manifestazione di protesta, a Dresda, una folla ha ostacolato il discorso della Merkel gridandole “kriegstreiber” (guerrafondaia), “bugiarda” e “nessuna guerra contro la Russia”. Nulla, comunque, che abbia perforato il muro dei media mainstream, silenzio e menzogna. «I media occidentali, la più grande casa chiusa del mondo, agognano la guerra». Craig Roberts denuncia il “Washington Post”, «un giornale-trofeo nelle mani del proprietario miliardario di “Amazon.com”», divenuto «un zimbello mondiale» per «le bugie di Washington» su Putin, «sbrodolate» in editoriali come quello del 31 agosto. Putin avrenne «resuscitato la tirannia» per ricostituire l’impero russo. «Come ex editore del “Wall Street Journal” – replica Paul Craig Roberts – posso dire con assoluta certezza che una propaganda di questo tipo, spacciata per editoriale, sarebbe conseguita nell’immediato licenziamento di tutte le persone coinvolte».I nostri media evitando persino di riferire quello che Kiev racconta al Fmi: e cioè che l’Ucraina non è mai stata invasa. In caso di invasione, infatti, la guerra sarebbe conclamata. E una Ucraina ufficialmente in guerra con un paese straniero non potrebbe neppure ricevere le agognate sovvenzioni del Fondo Monetario. «Ma i media occidentali non si interessano ai fatti: bastano le bugie, solo le bugie. Il “Washington Post”, il “New York Times”, la “Cnn”, “Fox News”, “Die Welt”, la stampa francese e quella inglese pregano in coro: “Per favore, Washington, dacci altre bugie sensazionali da sbandierare. La nostra circolazione ne ha bisogno. Chissenefrega della guerra e della razza umana, se in cambio possiamo avere stabilità finanziaria”». Siamo seri, aggiunge Roberts: se unità militari russe fossero davvero in azione nell’Est del paese, l’Ucraina «non esisterebbe più» e sarebbe di nuovo «parte della Russia, come secoli prima che Washington sfruttasse il crollo dell’Unione Sovietica per separarla».Piuttosto, c’è da domandarsi «quanto durerà la pazienza russa di fronte alle continue bugie e provocazioni dell’Occidente», visto che «le menzogne di Washington, insieme a quelle dei suoi bambolotti europei e dei media occidentali, rendono inutili gli sforzi della Russia per risolvere la situazione con la diplomazia e un comportamento non aggressivo». Per Roberts, «non c’è nulla che la Nato possa fare se la Russia decide che un’Ucraina nelle mani di Washington è una minaccia strategica troppo grande per i propri interessi». Niente da fare, se Mosca decissere davvero di “reincorporare” Kiev: «Qualsiasi forza d’intervento della Nato inizierebbe una guerra che non potrebbe vincere. E la popolazione tedesca, memore delle conseguenze della guerra contro la Russia, ribalterebbe il governo burattino di Washington». A quel punto, «la Nato e la Ue crollerebbero, se la Germania si staccasse dall’assurdo costrutto asservito agli interessi di Washington a spese dell’Europa». Solo allora, finalmente, «il mondo avrebbe pace».Pagliacci pericolosi, pagati per mentire. Dal portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea prima del degno sostituto Juncker, fino al danese Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato. Obbediscono agli ordini di chi li ha piazzati al vertice: gli Stati Uniti. E l’ordine è semplice: raccontare il contrario della verità, in modo da “orientare” l’opinione pubblica grazie ai media mainstream, anch’essi “zerbini” del super-potere come i loro editori, per nulla indipendenti. E’ la dura accusa lanciata sul blog “Counterpunch” da Paul Craig Roberts, già editor e viceministro di Reagan, indignato per la criminale manipolazione delle notizie sul fronte ucraino, orchestrata dallo staff di Obama. E perché gli europei non si ribellano, visto che hanno tutto da perdere in caso di un’escalation con la Russia? Perché noi americani li paghiamo, scrive Roberts: tutti i leader europei sono stati elevati a ruoli di comando dallo Zio Sam. Grazie agli Usa hanno fatto carriera e ricevuto denaro a palate. Per questo, sono pronti a dire (e fare) qualsiasi cosa. Anche la guerra, persino contro una superpotenza nucleare.
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Assange: Google è come la Cia, il suo business è spiarci
Julian Assange nel suo nuovo libro “When Google Met WikiLeaks” è durissimo: «Se volete una visione del futuro», scrive, «immaginate occhiali di Google promossi da Washington e legati a volti assenti – per sempre». L’accusa al colosso web è di mostrare addirittura «l’impenetrabile banalità del non fare il male». Se i rimandi sono a George Orwell e Hannah Arendt, l’accusa è diretta: Google è tutt’uno con la politica estera Usa, ed è anche un’entità che configura «una forma postmoderna di totalitarismo». Del resto, «il modello imprenditoriale di Google è spionistico», dichiara Assange alla “Bbc”. Il motore di ricerca? «Un colossale strumento di sorveglianza di massa, l’incarnazione dei più foschi incubi totalitaristici». Punto di partenza del libro, l’incontro tra il creatore di Wikileaks e l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, avvenuto nel 2011 in Inghilterra. Per il giornalista australiano, Google funziona esattamente come la Nsa, la struttura spionistica di massa smascherata da Edward Snowden.Google, rivela Assange, «fa più dell’80% del fatturato raccogliendo informazioni sulle persone, aggregandole, archiviandole e classificandole». Il super-motore di ricerca web «costruisce profili della gente per poterne prevedere gli interessi e il comportamento, e vende questi profili principalmente alle agenzie di pubblicità», sostiene Assange in un’intervista ripresa da “Megachip”. «Google è parte costituente dell’industria americana della difesa, con un ruolo ufficiale dal 2009». E’ praticamente una struttura organica alla politica estera degli Stati Uniti. Peraltro, aggiunge lo stesso Assange in un colloquio con “Repubblica”, non è affatto inconsueta l’alleanza tra tecnologia e dittatura: «Il totalitarismo che si è sviluppato nella Germania nazista e nell’Unione Sovietica era hi-tech». I nazisti, dichiara Assange a Fabio Chiusi, «sono stati la guida mondiale nello sviluppo tecnologico sotto diversi aspetti, e avevano l’ambizione ideologica di spingersi in un mondo inedito di nuove meraviglie tecnologiche». Certo, ovviamente Google «non è ancora per nulla vicina» allo spirito del brutale sistema nazista, «ma il desiderio totalizzante c’è».«Il modello di business di Google, la sorveglianza, colpisce miliardi di cittadini», continua Assange. Modello che consiste nel «raccogliere più informazioni possibile sulle persone, immagazzinarle, indicizzarle, usarle per creare modelli che prevedono i loro comportamenti e venderli ai pubblicitari. Essenzialmente, lo stesso modello di raccolta massiva dei dati che ha la Nsa. Il che spiega perché la Nsa si è garantita di accedervi», aggiunge Assange, sempre nell’intervista a “Repubblica”. «Google come compagnia e Larry Page hanno una visione totalizzante dell’azienda, che prevede un futuro in cui chiunque indosserà “Google Glass”, così da poter intercettare perfino il nostro sguardo, i luoghi, gli appuntamenti, controllare le automobili e i consigli su cosa fare e non fare. Tutto nel nome di ciò che sembra una massimizzazione dell’efficienza, senza alcuna considerazione per il sistema totalizzante che è stato costruito, che – al confronto – fa sembrare degli ignoranti gli assillanti burocrati stalinisti».Una bocciatura radicale che va oltre Google, osserva Chiusi. Nel suo precedente volume, “Cypherpunks”, Assange ha scritto che Internet è «il più pericoloso facilitatore del totalitarismo che abbiamo mai conosciuto». In quest’ultimo lavoro, però, il fondatore di “Wikileaks” sostiene che «la cosa migliore che sta accadendo è la radicalizzazione della gioventù che sa usare Internet». Abbastanza per opporsi alla prospettiva di una distopia digitale globale? «Ci sono un po’ di rimedi – possono essere sufficienti o meno, ma sono tutto ciò che abbiamo. Uno è l’educazione politica di massa, che ha cominciato a verificarsi su Internet, in risposta, e sta continuando. La capacità dei giovani di imparare e adattarsi a ciò che altrimenti sarebbe un sistema diretto verso il totalitarismo elettronico non dovrebbe essere sottovalutata. Per esempio, vediamo sorgere nuove forme organizzative, sistemi come Bitcoin che aggiungono uno strato sicuro, protetto dalla crittografia, a quello della rete compromessa».Dunque siamo alla sorveglianza di massa, mentre gli Usa si mobilitano contro l’ultimo nemico “artificiale”, ovvero il Califfato Islamico che oggi si fa chiamare semplicemente Is, Islamic State, mentre solo ieri era Isis, l’altro ieri Isil e fino a qualche tempo fa, semplicemente Al-Qaeda. In altre parole, i “cattivi ragazzi” reclutati e pagati per fare il lavoro sporco in Libia, Siria e Iraq, domani forse anche in Russia e in Cina. «Abbiamo pubblicato migliaia di documenti sull’Is fin dal 2007», afferma Assange. «Il Califfato non è, nella sua essenza, un fenomeno nuovo». Secondo Assange, l’Isis «comprende bene che, se vuole aumentare il sostegno a suo favore, deve essere attaccato». Quindi, deve suscitare orrore, paura e indignazione: «Quei video terribili delle decapitazioni servono a guadagnare sostenitori», e al tempo stesso ad attirare la “punizione”. La risposta degli Usa è sempre la stessa: «Trasformare qualunque cosa in una minaccia alla propria sicurezza, che lo sia o meno, così da terrorizzare l’opinione pubblica». E, ovviamente, giustificare la sorveglianza di massa. «Certo, sta già accadendo». Leggi anti-spionaggio? Illusioni: in fondo, aggiunge Assange, il ruolo della Nsa «è infrangere la legge».Julian Assange nel suo nuovo libro “When Google Met WikiLeaks” è durissimo: «Se volete una visione del futuro», scrive, «immaginate occhiali di Google promossi da Washington e legati a volti assenti – per sempre». L’accusa al colosso web è di mostrare addirittura «l’impenetrabile banalità del non fare il male». Se i rimandi sono a George Orwell e Hannah Arendt, l’accusa è diretta: Google è tutt’uno con la politica estera Usa, ed è anche un’entità che configura «una forma postmoderna di totalitarismo». Del resto, «il modello imprenditoriale di Google è spionistico», dichiara Assange alla “Bbc”. Il motore di ricerca? «Un colossale strumento di sorveglianza di massa, l’incarnazione dei più foschi incubi totalitaristici». Punto di partenza del libro, l’incontro tra il creatore di Wikileaks e l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, avvenuto nel 2011 in Inghilterra. Per il giornalista australiano, Google funziona esattamente come la Nsa, la struttura spionistica di massa smascherata da Edward Snowden.
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Nato e Ue, due guinzagli per lo stesso padrone: gli Usa
Se al summit di Praga nel 2002 si tratta si accogliere l’Est Europa verso ovest, lo storico vertice di Newport si incarica di impedire alla Cina e alla Russia di svilupparsi. Lo sostiene Thierry Meyssan, secondo cui l’appuntamento gallese della Nato è stato pianificato per impedire a Mosca e Pechino di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Politica estera a mano armata: è nella natura della Nato fin dal 1949. La prassi: «Manipolare i fatti per presentarsi come un’alleanza difensiva di fronte all’espansionismo sovietico». Era vero l’opposto: ad avere funzione di difesa era semmai il Patto di Varsavia, creato infatti sei anni dopo, nel 1955, per cercare di limitare l’imperialismo anglosassone. La Nato, poi, «non è un’alleanza fra uguali, ma la vassallizzazione degli eserciti partner da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito», mentre «il servizio segreto della Nato, la “Gladio”, sotto l’autorità congiunta di Washington e Londra, veglia affinché gli anti-imperialisti non possano mai arrivare al potere negli altri Stati membri. Per fare questo, la Nato non ha lesinato né sugli omicidi politici, e nemmeno sui colpi di Stato: in Francia, in Italia, in Grecia, a Cipro e in Turchia».Questa vassallizzazione, continua Meyssan in un’analisi tradotta da “Megachip”, contravviene ai principi dell’Onu, in quanto gli Stati membri perdono l’indipendenza della loro politica estera e di difesa. Il diktat atlantico fu contestato prima dall’Urss e poi dal presidente francese Charles De Gaulle che, «dopo aver affrontato una quarantina di tentativi di assassinio» da parte dell’Oas, l’organizzazione estremista «finanziata dalla Nato» ed essere riuscito a farsi rieleggere, «annunciò il ritiro immediato della Francia dal comando integrato e la riconsegna di 64.000 soldati e impiegati della Nato fuori dal territorio francese». Una pagina di indipendenza che cessò con l’elezione di Jacques Chirac: pochi mesi dopo il suo arrivo all’Eliseo, il nuovo presidente «reintegrò la Francia in seno al Consiglio dei ministri e al Comitato militare dell’Alleanza». Capitolo definitivamente archiviato «con il ritorno delle forze armate francesi sotto il comando statunitense, deciso da Nicolas Sarkozy nel 2009».Infine, aggiunge Meyssan, «la vassallizzazione degli Stati membri è proseguita con la creazione di numerose istituzioni civili, di cui la principale e la più efficace è l’Unione Europea». Lo dice in modo netto, il giornalista francese: «Contrariamente a un diffuso luogo comune, l’attuale Unione non ha avuto tanto a che fare con l’ideale dell’unità europea, quanto con la vocazione di fissare i membri della Nato fuori dall’influenza sovietica, poi russa, in conformità con le clausole segrete del Piano Marshall». Si trattava quindi di mantenere l’Europa saldamente divisa in due blocchi: la Russia da una parte, tutti gli altri con l’America. «Non è un dunque un caso che gli uffici della Nato e quelli dell’esecutivo europeo siano principalmente situati a Bruxelles e secondariamente in Lussemburgo. Ed è per consentire il controllo dell’Unione da parte degli anglosassoni, che questa si è dotata di una strana Commissione, la cui attività principale è quella di presentare “proposte”, economiche o politiche, tutte predefinite dalla Nato».Si ignora spesso che l’Alleanza non è semplicemente un patto militare. La Nato infatti «interviene nel dominio dell’economia», di fatto «è il primo cliente dell’industria della difesa in Europa». Attualmente, tre quarti del bilancio euroatlantico sono assicurati dai soli Stati Uniti, i quali «stanno progettando un confronto con la Cina» sin dall’11 Settembre, che Meyssan chiama «il colpo di stato del 2001». E spiega: il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle, mentre il mondo era ipnotizzato dagli attentati, «il presidente George W. Bush fu illegalmente rimosso dalle sue funzioni in virtù del programma di “continuità del governo”». Funzioni presidenziali che ritrovò «solo alla fine della giornata, dopo che il suo paese aveva cambiato radicalmente la sua politica estera e di difesa». Durante quella giornata, aggiunge Meyssan, «tutti i membri del Congresso e i loro staff furono collocati dalle autorità militari in domicilio sorvegliato, presso il complesso Greenbrier (West Virginia) e presso il Mount Weather (Virginia)». E’ da allora, dice Meyssan, che il vero obiettivo è la Cina. E, proprio in questa prospettiva, Obama ha annunciato il riposizionamento delle sue forze armate in Estremo Oriente. Problema: «Questo programma è stato perturbato dalla ripresa economica, politica e militare della Russia, che si è mostrata capace nel 2008 di difendere l’Ossetia del Sud attaccata dalla Georgia e, nel 2014 la Crimea minacciata dai golpisti di Kiev».La resurrezione della Russia di Putin ha inoltre indotto gli Usa ad abbandonare lo “scudo anti-missile” dell’Est Europa, presentato come un sistema di protezione contro i missili dell’Iran ma in realtà progettato per accerchiare la Russia e paralizzarla: i missili da fermare erano quelli che Mosca avrebbe potuto scagliare verso ovest, se attaccata. Ma perché concentrarsi sull’Europa orientale? Per colpire l’Ameirca, dice Meyssam, il percorso più breve è il Polo Nord. «Dopo aver minato per oltre un decennio le relazioni tra Washington e Mosca, il progetto viene abbandonato perché risulta tecnicamente impossibile distruggere in volo i missili russi intercontinentali di ultima generazione. Quindi è il principio stesso di “deterrenza nucleare” che viene abbandonato di fronte alla Russia, anche se rimane pertinente per gli altri Stati». Da Mosca a Pechino: «Washington ha esacerbato le tensioni tra la Cina e i suoi vicini, in particolare il Giappone. La Nato, che storicamente rende l’Europa vassalla del Nord America, si è dunque aperta a dei partner asiatici e dell’Oceania, tra cui Australia e Giappone, attraverso contratti di associazione. Nel frattempo, ha ampliato il suo campo d’azione a tutto il mondo».In questo periodo di restrizioni di bilancio, l’Alleanza, che a quanto pare non conosce crisi, sta costruendo una nuova sede a Bruxelles, per la somma sbalorditiva di un miliardo di euro: dovrebbe essere consegnata all’inizio del 2017. Nel frattempo si prevede di associare anche il Montenegro, mentre si invitano gli europei ad aumentare le spese militari. Intanto, a imporsi è sempre il Medio Oriente: «Nella preoccupazione di evitare che la Cina e la Russia controllino abbastanza materie prime da essere capaci di rivaleggiare con gli Stati Uniti», la Nato «si è aggiunta nel corso dell’estate la questione dell’Emirato islamico», il famoso Califfato. «Un’intensa campagna mediatica ha demonizzato l’organizzazione jihadista, i cui crimini non sono affatto nuovi, ma che deve solo attaccare il popolo iracheno». L’Isis è una cretatura occidentale. E, nonostante le apparenze, «la sua azione in Iraq è del tutto coerente con il piano Usa di dividere il paese in tre Stati separati», per sunniti, sciiti e curdi. «Per realizzare un progetto che costituisce un crimine contro l’umanità, perché presuppone la pulizia etnica, Washington ha fatto ricorso a un esercito privato che le spetta condannare pubblicamente intanto che però lo sostiene sottobanco». In realtà, infatti, i “tagliatori di teste” obbediscono agli ordini. Il Califfato è destinato a durare, assicura Meyssan: «Sebbene attualmente agisca soprattutto in Siria e in Iraq, è stato progettato per mettere a ferro e a fuoco a lungo termine la Russia, l’India e la Cina».La questione dell’Emirato islamico non doveva pertanto essere aggiunta all’ordine del giorno anti-russo e anti-cinese di Newport, perché ne faceva già parte. Inoltre, non volendo rischiare di vedere un qualche Stato membro esprimere i propri dubbi su questa mascherata, Washington ha spostato il dibattito a margine del vertice. Obama ha riunito altri otto altri Stati, più l’Australia (che non è membro Nato, ma solo associata) per «mettere a punto il suo piano di guerra». Così, è stato deciso di associare anche la Giordania a questo dispositivo. In appena una mattinata, il vertice del Galles ha poi sbrigato la questione della lunga presenza occidentale in Afghanistan: «Certo, la Nato ritirerà le sue truppe da combattimento, come previsto, entro la fine dell’anno, ma manterrà il controllo dell’esercito afghano e della sicurezza del paese», ipotecando inoltre le prossime elezioni presidenziali. Quanto all’Est Europa, il vertice ha accettato di estendere il controllo Nato anche sull’Ucraina, «solo per vedere quale sarà la reazione russa», ma non è andato oltre: «L’Atto costitutivo sulle relazioni Nato-Russia non è stato revocato e l’Ucraina non è stata incorporata nell’Alleanza. Ognuno ha preferito evocare un possibile cessate-il-fuoco tra Kiev e il Donbass».Molto rumore per nulla, dunque? In apparenza, sì: «A meno che le cose importanti non siano state decise a porte chiuse, in occasione della riunione dei capi di Stato di venerdì 5 settembre, non sembra che le guerre segrete siano state discusse al vertice, ma solo a margine del vertice e solo con alcuni alleati». Già nel 2011, ricorda Meyssan, la Nato aveva violato le sue regole istitutive, non riunendo il Consiglio Atlantico prima di bombardare Tripoli. «Sembrava in effetti impossibile che tutti accettassero di perpetrare un tale massacro». Per questo, «in gran segreto», Usa e Regno Unito riunirono a Napoli la Francia, l’Italia e la Turchia, «per pianificare un attacco che ha causato almeno 40.000 morti civili in una settimana». Cinicamente, il report del vertice gallese «afferma che l’Alleanza ha protetto il popolo libico», citando le risoluzioni 1970 e 1973 delle Nazioni Unite, in realtà utilizzate «per cambiare il regime uccidendo 160.000 libici e facendo precipitare il paese nel caos». In ultima analisi, conclude Meyssan, negli ultimi anni la Nato ha raggiunto i suoi obiettivi in Afghanistan, Iraq, Libia e nel nord-est della Siria, «cioè solo ed esclusivamente in paesi o regioni organizzate in società tribali: non sembra dunque in grado di entrare in conflitto diretto con la Russia e la Cina».Se al summit di Praga nel 2002 si tratta si accogliere l’Est Europa verso ovest, lo storico vertice di Newport si incarica di impedire alla Cina e alla Russia di svilupparsi. Lo sostiene Thierry Meyssan, secondo cui l’appuntamento gallese della Nato è stato pianificato per impedire a Mosca e Pechino di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Politica estera a mano armata: è nella natura della Nato fin dal 1949. La prassi: «Manipolare i fatti per presentarsi come un’alleanza difensiva di fronte all’espansionismo sovietico». Era vero l’opposto: ad avere funzione di difesa era semmai il Patto di Varsavia, creato infatti sei anni dopo, nel 1955, per cercare di limitare l’imperialismo anglosassone. La Nato, poi, «non è un’alleanza fra uguali, ma la vassallizzazione degli eserciti partner da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito», mentre «il servizio segreto della Nato, la “Gladio”, sotto l’autorità congiunta di Washington e Londra, veglia affinché gli anti-imperialisti non possano mai arrivare al potere negli altri Stati membri. Per fare questo, la Nato non ha lesinato né sugli omicidi politici, e nemmeno sui colpi di Stato: in Francia, in Italia, in Grecia, a Cipro e in Turchia».
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Isis, finto nemico. Obiettivo: negare il petrolio alla Cina
Trasformare la regione petrolifera in un teatro permanente di guerra, per sabotare il business del petrolio. Europa, Cina e India avranno sempre più bisogno di oro nero, mentre l’America potrebbe rendersi autonoma dal greggio nel giro di 6-7 anni. Lo sostiene Marcello Foa, che ritiene credibili i ripetuti annunci, di tono quasi trionfalistico, che accreditano gli Stati Uniti di riserve sterminate di “shale oil”, il petrolio che si ottiene con la frantumazione idraulica di rocce bituminose. Proprio questo calcolo motiverebbe la politica apparentemente folle di Obama, disposto a una lunga guerra in Medio Oriente contro l’ultima “creatura” della Cia, il Califfato dell’Isis. «La lotta al terrorismo è diventata una guerra perpetua al terrorismo», e la crescente instabilità dei paesi arabi, dal Golfo Persico al Nordafrica, comporta «conseguenze pesantissime per noi europei, che viviamo non lontano da quelle zone, e per tutti coloro – europei ma anche cinesi e indiani – che del petrolio mediorientale hanno bisogno». Se va in fiamme il business del greggio, coi prezzi alle stelle, e l’America resta immune dal contagio, ne otterrà un immenso vantaggio geopolitico. «Capito l’arcano?».Quando, oltre dieci anni da, Giulietto Chiesa dava alle stampe “La guerra infinita” (Feltrinelli), prima coraggiosa indagine sulle menzogne ufficiali dell’11 Settembre funzionali all’imposizione imperialista del “Nuovo Secolo Americano”, i media mainstream si guardavano bene anche solo dal riportarne le tesi. Oggi, dopo anni di crisi catastrofica e focolai di guerra accesi praticamente ovunque, un editorialista in doppiopetto come Foa può permettersi si far sentire la sua voce indipendente dalle pagine del “Giornale”, attraverso il suo blog. «Sieti sicuri di aver capito cosa sta accadendo in Iraq e perché Obama abbia dichiarato guerra all’Isis?». Siamo seri: «L’Isis non esce dal nulla ma è un “mostro” religioso e militare che proprio gli Usa e alcuni alleati strategici come il Qatar e l’Arabia Saudita negli ultimi due anni hanno incoraggiato e sostenuto». E’ l’erede di Al-Qaeda, il nemico di ieri. «Poi è venuto il tempo delle rivoluzioni colorate», a carattere popolare in Tunisia e in Egitto, deflagrate in guerra civile prima in Libia e poi in Siria. «Guerra durissima, spietata e sporca. Combattuta da chi? Da eroici rivoltosi sunniti siriani? Solo in parte».In Siria, a scendere in campo contro Assad sono stati «soprattutto guerriglieri provenienti da altri paesi, motivati dal denaro, dalla disperazione e dall’esaltazione religiosa». Una forza opaca, «composta dalle milizie che avevano combattuto in Iraq e che avevano contribuito a rovesciare Gheddafi». Fanatici ultra-religiosi, ammiratori di Al-Qaeda. «Ovvero, quell’estremismo terrorista che l’Occidente in teoria combatte dal 2001. Ma, si sa, le regole della politica internazionale non corrispondono a quelle della morale e le alleanze possono essere molto flessibili. Certi nemici, all’occorrenza, possono diventare amici. E così è stato. Arabia Saudita e soprattutto Qatar hanno fornito aiuti finanziari, gli americani e verosimilmente i turchi assistenza militare e fornitura d’armi. A posteriori – continua Foa – Hilllay Clinton si è addirittura rammaricata che l’aiuto fosse stato troppo timido. E nel frattempo l’America era stata sul punto di attaccare la Siria che era stata accusata da tutti di aver usato armi chimiche contro i ribelli, un attacco a cui si oppose con successo Putin con ottime ragioni: oggi sappiamo che a usare le armi chimiche furono proprio i ribelli che l’Occidente smaniava di soccorrere. Quali ribelli? Quelli dell’Isis».La guerra civile si è prolungata, Assad non è caduto e nella primavera del 2014 i guerriglieri dell’Isis, ben armati e ben finanziati, hanno cercato nuovi sbocchi: «Hanno girato i cannoni e i blindati e hanno iniziato a scorazzare verso sud-ovest, puntando l’Iraq filoamericano, spingendosi fino alle porte di Baghdad e di Mosul, mentre l’America lasciava fare». Fino a ieri, «Obama snobbava l’Isis, o più verosimilmente faceva finta». Come dire: sono giovani teste calde, non ci preoccupano. «Per lunghe settimane Washington ha lasciato fare, decidendosi tardivamente a sostenere il governo iracheno e decisamente controvoglia, ovvero con pochi raid. Intanto Qatar e sauditi continuavano a finanziare l’Isis». Poi, nelle ultime settimane, l’accelerazione: i media hanno iniziato a occuparsi quotidianamente dell’Isis, diffondendo storie umane agghiaccianti, racconti di stupri, violenze, brutalità, fino a quando sono state diffuse le drammatiche immagini della decapitazione dei due giornalisti americani. Così, «l’Isis è diventato improvvisamente il problema numero uno». L’opinione pubblica occidentale? «Scioccata, di fronte a immagini terribili». E indotta, ovviamente, «a invocare una reazione forte contro i fanatici». Si sa: «La gente comune non segue le sottigliezze geostrategiche, non conosce gli antefatti, ma reagisce emotivamente a immagini “che parlano da sole”».Obama, seguendo uno schema classico dello “spin”, ha risposto all’accorato appello di centinaia di milioni di americani giustamente preoccupati, «annunciando una guerra che sarà naturalmente “lunga”» e capace di coinvolgere, nello sforzo finanziario, «proprio quei paesi, Qatar e sauditi, che fino a ieri avevano finanziato l’Isis». Sicché, «nuovo ribaltamento di fronte: gli ex nemici, poi diventati amici, ora tornano ad essere nemici; anzi molto nemici. Gente da annientare». Risultato: Golfo Persico, Medio Oriente e Nordafrica sono in fiamme, «a oltre 11 anni dalla “guerra lampo” che avrebbe dovuto liberare l’Iraq». Disordine, violenza e morte divampano ovunque: dalla Libia a Gaza, passando per l’Egitto, la Siria, l’Iraq. E gli americani, guardacaso, «si trovano “costretti” ancora una volta a portare la liberazione, impiegando, in quello che appare un moto ormai perpetuo, la loro forza militare». Nel lontano 2002, Giulietto Chiesa l’aveva annunciata, col nome di “guerra infinita”. Oggi, il mainstream continua a evitare di collegare tra loro i singoli fotogrammi. E Foa aggiunge una possibile chiave di lettura: gli Usa infiammano il petrolio del Medio Oriente per toglierlo ai cinesi. E’ il piano per il “Nuovo Secolo Americano”: dall’attentato alle Torri Gemelle, di strada ne ha fatta parecchia.Trasformare la regione petrolifera in un teatro permanente di guerra, per sabotare il business del petrolio. Europa, Cina e India avranno sempre più bisogno di oro nero, mentre l’America potrebbe rendersi autonoma dal greggio nel giro di 6-7 anni. Lo sostiene Marcello Foa, che ritiene credibili i ripetuti annunci, di tono quasi trionfalistico, che accreditano gli Stati Uniti di riserve sterminate di “shale oil”, il petrolio che si ottiene con la frantumazione idraulica di rocce bituminose. Proprio questo calcolo motiverebbe la politica apparentemente folle di Obama, disposto a una lunga guerra in Medio Oriente contro l’ultima “creatura” della Cia, il Califfato dell’Isis. «La lotta al terrorismo è diventata una guerra perpetua al terrorismo», e la crescente instabilità dei paesi arabi, dal Golfo Persico al Nordafrica, comporta «conseguenze pesantissime per noi europei, che viviamo non lontano da quelle zone, e per tutti coloro – europei ma anche cinesi e indiani – che del petrolio mediorientale hanno bisogno». Se va in fiamme il business del greggio, coi prezzi alle stelle, e l’America resta immune dal contagio, ne otterrà un immenso vantaggio geopolitico. «Capito l’arcano?».
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Francia sfinita dai diktat di Berlino, l’Eurozona crollerà
Quanto sarebbero diverse le cose in Europa, oggi, se l’euro non fosse mai nato? Data l’enorme importanza – politica, economica e finanziaria – di paesi sovrani che condividono una moneta, è difficile persino fare congetture su come potrebbe apparire il mondo se i paesi europei avessero tenuto le loro sterline, franchi, marchi, lire e pesetas. Certo, non avremmo assistito dal clamoroso strappo del ministro francese dell’economia, Arnaud Montebourg, che ha avvertito: «La Francia è la seconda economia più grande dell’Eurozona, la quinta più grande potenza mondiale, e non intende allinearsi alle eccessive ossessioni dei conservatori tedeschi». Ha chiesto una «giusta e sana resistenza» alle politiche di austerità, secondo lui imposte dal governo tedesco (larghe intese) al resto d’Europa. Così, Montebourg ha perso la poltrona di ministro: troppo critico con l’Ue pilotata da Berlino. Per Dan O’Brien, l’asse franco-tedesco si sta sbriciolando: ed è «ancora più stupefacente» che Montebourg «abbia alluso alla Seconda Guerra Mondiale, parlando di Resistenza».Nell’ultimo mezzo secolo, scrive O’Brien sull’“Independent”, il superamento della sanguinosa storia di questi due paesi – ben tre guerre, tra il 1870 e il 1944 – è stato un imperativo per entrambe le nazioni. «L’attacco illustra lo stato terribile delle relazioni franco-tedesche, che sono state il rapporto bilaterale europeo più importante nell’era successiva alla Seconda Guerra Mondiale». Tutto questo, afferma il giornalista in un articolo ripreso da “Voci dall’Estero”, preannuncia guai seri tutti i paesi nell’Eurozona: «Se Parigi e Berlino non riescono ad andare d’accordo, la moneta unica e l’intero progetto di integrazione europea sono in pericolo». Ironia della storia: «Una valuta che è stata progettata per riunire l’Europa e contenere il potere della Germania unita sta ottenendo esattamente l’opposto», dal momento che «l’inevitabile necessità di regole condivise nell’area valutaria porta a scambi di accuse che stanno avvelenando i rapporti fra i suoi membri». Tendenza già evidente da tempo nella periferia europea, ma ora estesa al centro franco-tedesco.«Queste recriminazioni potrebbero svanire se l’economia europea si riprendesse per proprio conto o se venissero implementate delle modifiche di politica economica sostenute da tutti i paesi», continua O’Brien. «Ma se non dovesse accadere nessuna di queste due cose, il centro franco-tedesco della zona euro si indebolirà ulteriormente e probabilmente aumenterà ancora in entrambi i paesi il consenso verso i partiti favorevoli all’uscita dall’euro – compreso il Front National francese, che ha già il consenso di un elettore su quattro». Una ragione ancora più fondamentale per essere pessimisti sul futuro dell’euro, aggiunge O’Brien, è la difficoltà di trovare un modo condiviso di gestione del progetto euro, data la divergenza tra i due paesi sulla maggior parte delle questioni economiche. Se Francia e Germania credono ancora nella gestione pubblica di sanità, istruzione e welfare, «ci sono molte più differenze che somiglianze». I francesi, notoriamente, non si fidano del mercato, e per i servizi preferiscono uno Stato forte.Vale anche per le relazioni economiche internazionali: «Mentre la Francia è sempre tra i paesi Ue più restii a liberalizzare il commercio con altri paesi (inclusi, attualmente, gli Stati Uniti), la Germania è tradizionalmente nel campo pro-liberalizzazione. I loro diversi punti di vista sull’importanza relativa del mercato e dello Stato nella vita economica si riflettono anche nelle opinioni sulla gestione macroeconomica. Nessun governo francese, come si ricorda di continuo, ha presentato un bilancio in pareggio da quasi 40 anni, e le proposte di tagliare la spesa pubblica quasi inevitabilmente portano a proteste». I tedeschi, invece, hanno quasi un’ossessione per la disciplina fiscale. Per loro, un bilancio in rosso (cioè basato su un sano deficit positivo per sostenere la spesa pubblica) significa “vivere al di sopra dei loro mezzi”: «La Germania è una rarità, in quanto i politici che promettono tagli possono aspettarsi applausi, piuttosto che proteste». Così, le tendenze sulla politica monetaria sono diverse tanto quanto quelle sulla politica fiscale. «La classe politica francese chiede frequentemente alla Banca Centrale Europea di fare questa o quell’azione, mentre la loro controparte a est del Reno ritiene sacrosanta l’indipendenza dell’autorità monetaria e crede che anche il solo cercare di influenzarla comprometta tale indipendenza». Un po’ ipocrita, visto che poi la Bce prende ordini dalla Merkel e della Bundesbank.«Anche se l’euro fosse stato un club di soli due paesi – Francia e Germania – una serie dettagliata di regole avrebbero dovuto essere concordate, prima o poi, sulla falsariga del “Two Pack” e del “Six Pack” che ora governano l’Eurozona, continua O’Brien. E visto che la Germania «è economicamente e politicamente più forte della Francia», ne consegue che «la sua filosofia economica è dominante: ciò è particolarmente difficile da digerire per i francesi». Le parole di Montebourg «sottolineano non solo quanto molti in Francia già pensano», e cioè «che le politiche vengono loro imposte», ma dicono anche che «lasciare che ciò accada significa subire un’umiliazione, per un paese non incline a sottovalutare la sua grandeur». Proprio questo senso di umiliazione, osserva il giornalista dell’“Independent”, ha svolto un ruolo considerevole nell’ascesa del «reazionario» Jean-Marie Le Pen, «la cui retorica anti-Bruxelles è perfino più estrema di quella della maggior parte dei membri dell’Ukip in Gran Bretagna».Lo sfogo di Montebourg, insieme ad altri due membri di sinistra del governo che si sono uniti alla sua rivolta, ha costretto l’Eliseo al secondo rimpasto in soli quattro mesi. «La parola “crisi” non riesce nemmeno a descrivere la condizione della presidenza ormai biennale di François Hollande, ridicola perfino per gli standard di un elettorato francese perennemente scontento», scrive O’Brien. «Nessun presidente francese ha mai sperimentato gli infimi livelli che Hollande sta attualmente registrando nelle valutazioni di soddisfazione dell’elettorato». E anche se lo stato dell’economia francese non è ancora così tremendo come molti commentatori anglofoni sostengono, è comunque stagnante, esacerbato dall’assenza di crescita indotta proprio dal rigore euro-tedesco. «Non è chiaro se l’élite politica dell’Eurozona abbia pienamente interiorizzato la dimensione del cambiamento avvenuto con l’adesione all’euro», conclude O’Brien. In compenso, «è molto chiaro che l’élite politica francese non l’ha fatto». E questo, «insieme a una serie di altri fattori, porterà – prima o poi – a una rottura dell’Eurozona».Quanto sarebbero diverse le cose in Europa, oggi, se l’euro non fosse mai nato? Data l’enorme importanza – politica, economica e finanziaria – di paesi sovrani che condividono una moneta, è difficile persino fare congetture su come potrebbe apparire il mondo se i paesi europei avessero tenuto le loro sterline, franchi, marchi, lire e pesetas. Certo, non avremmo assistito dal clamoroso strappo del ministro francese dell’economia, Arnaud Montebourg, che ha avvertito: «La Francia è la seconda economia più grande dell’Eurozona, la quinta più grande potenza mondiale, e non intende allinearsi alle eccessive ossessioni dei conservatori tedeschi». Ha chiesto una «giusta e sana resistenza» alle politiche di austerità, secondo lui imposte dal governo tedesco (larghe intese) al resto d’Europa. Così, Montebourg ha perso la poltrona di ministro: troppo critico con l’Ue pilotata da Berlino. Per Dan O’Brien, l’asse franco-tedesco si sta sbriciolando: ed è «ancora più stupefacente» che Montebourg «abbia alluso alla Seconda Guerra Mondiale, parlando di Resistenza».
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Sempre e solo menzogne, e grazie a noi la fanno franca
Come pensavano di farla franca sostenendo che in Iraq ce n’erano grandi quantità di armi chimiche, biologiche e perfino nucleari? I disertori avevano chiaramente affermato che le armi chimiche e quelle biologiche (alcune fornite dagli stessi Usa) erano state distrutte. Gli ispettori avevano ispezionato quasi ogni centimetro dell’Iraq e avevano detto che mancavano ancora solo pochi centimetri, se gli avessero dato qualche giorno in più. L’Iraq stava urlando che non era in possesso di tali armi. Molte nazioni nel mondo gli davano ragione. Lo stesso staff di Colin Powell lo avvertiva che le sue affermazioni non sarebbero state considerate plausibili. Eppure, l’hanno fatta franca. Al punto che ancora oggi molta gente di buone intenzioni negli Stati Uniti sostiene che nessuno può essere certo che Bush, Cheney e gli altri sapessero che le loro dichiarazioni erano false al momento che le facevano.«Tutto ciò – scrisse Adolf Hitler – è ispirato dal principio che nella grande bugia esiste sempre una certa forza di credibilità; perché le vaste masse di una nazione sono sempre facilmente corruttibili nel profondo della loro natura emotiva piuttosto che coscientemente o volontariamente; e così nella primitiva semplicità delle loro menti cadono più facilmente vittime di una grande bugia anziché di una piccola, in quanto essi stessi dicono spesso delle piccole bugie su piccole cose ma si vergognerebbero di ricorrere a delle falsità su larga scala». I media americani hanno sostenuto ripetutamente che la Russia ha invaso l’Ucraina. Lo sostengono per un po’, poi si scopre che non c’è stata nessuna invasione, così fanno una pausa. Dopo lo sostengono ancora una volta. Oppure sostengono che un convoglio di aiuti costituisce un’invasione. Eppure questi convogli di aiuti sembrano proprio dei convogli di aiuti in tutte le fotografie, e nessuno è stato capace di produrre fotografie simili di un’invasione.Quando i mezzi corazzati ucraini entrarono nell’est del paese e vennero circondati dai civili, abbiamo visto le fotografie e i video. Ora esiste soltanto una foto satellitare della serie “reperti Colin-Powell”, fornita dalla Nato e che si suppone indichi artiglieria russa in Ucraina. L’invasione principale russa che apparentemente è in offerta speciale con un repellente per giornalisti, si dice consista di 1.000 soldati – ossia lo stesso numero di truppe che gli Usa hanno mandato ancora una volta in Iraq, della cui invasione evidentemente non ci dobbiamo preoccupare. Ma dove sono questi 1.000 soldati russi che invadono l’Ucraina? L’Ucraina sostiene di aver catturato 10 di questi, anche se questi 10 non sembrano concordare con questa versione. Che cosa è successo agli altri 990? Come è stato possibile per qualcuno avvicinarsi tanto da fare 10 prigionieri ma non aver potuto fare una fotografia degli altri 990?Nel frattempo la Russia smentisce tutto e sollecita pubblicamente gli Stati Uniti a impegnarsi diplomaticamente con l’Ucraina e il governo di quest’ultima di smettere di bombardare i propri cittadini e di elaborare un sistema federalista che rappresenti ognuno nelle proprie frontiere. Ma la Nato non ha tempo, è impegnata ad annunciare una contro-invasione per far fronte all’invisibile invasione russa. Come pensano che la faranno franca con questo? Vediamo. Nemmeno uno dei responsabili per le menzogne che causarono la distruzione dell’Iraq e la morte di alcune milioni di persone, insieme al prevedibile e previsto caos che ora tormenta il paese e tutta la regione, è stato mai ed in nessun modo chiamato a rispondere. La menzogna che Gheddafi stesse per massacrare degli innocenti, la bugia che ha facilitato l’attacco in Libia e l’inferno che sta regnando ora in quel paese: nessuno è stato chiamato a rispondere in qualsiasi modo. La menzogna che la Casa Bianca avesse le prove che Assad aveva usato armi biologiche? Nessuno è stato chiamato a rispondere. Addirittura nessuno si è sentito obbligato a giustificarsi quando hanno cambiato obbiettivo e proposto di bombardare i nemici di Assad.E la menzogna secondo cui gli attacchi dei droni non uccidono innocenti e non uccidono quelli che, invece, potrebbero essere arrestati facilmente? Nessuno è stato chiamato a rispondere. La menzogna che gli Stati Uniti avessero la prova che ad abbattere l’aereo sopra l’Ucraina fosse stata la Russia? Nessuno è stato chiamato a rispondere, e gli Usa si oppongono a una indagine indipendente. La menzogna che la tortura ci garantisce la sicurezza, una menzogna che ha portato gli Usa a torturare della gente? Nessuno, ai livelli degli uffici ad aria condizionata, è stato mai chiamato a rispondere. Perché pensano di poter farla franca? Perché tu glielo permetti. Perché non vuoi credere che commettono tali atrocità. Perché non vuoi credere che sono tanto bugiardi. Sai una cosa? Co sono persone che si sentono come degli idioti perché hanno creduto alle menzogne sull’Iraq. Immagina come si sentiranno quando scopriranno che avevano creduto all’invasione di una nazione che non era mai stata invasa.(David Swanson, “Sempre e solo menzogne, perché tu glielo permetti”, da “Information Clearing House” del 3 agosto 2014, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Come pensavano di farla franca sostenendo che in Iraq ce n’erano grandi quantità di armi chimiche, biologiche e perfino nucleari? I disertori avevano chiaramente affermato che le armi chimiche e quelle biologiche (alcune fornite dagli stessi Usa) erano state distrutte. Gli ispettori avevano ispezionato quasi ogni centimetro dell’Iraq e avevano detto che mancavano ancora solo pochi centimetri, se gli avessero dato qualche giorno in più. L’Iraq stava urlando che non era in possesso di tali armi. Molte nazioni nel mondo gli davano ragione. Lo stesso staff di Colin Powell lo avvertiva che le sue affermazioni non sarebbero state considerate plausibili. Eppure, l’hanno fatta franca. Al punto che ancora oggi molta gente di buone intenzioni negli Stati Uniti sostiene che nessuno può essere certo che Bush, Cheney e gli altri sapessero che le loro dichiarazioni erano false al momento che le facevano.
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A cena con l’assassino: così il Ttip ci avvelena il menù
Meno sicurezza alimentare significa più veleni, e quindi più malattie. E’ il grande business del colosso agroalimentare che sta facendo la parte del leone nelle trattative segrete tra Usa e Ue per il Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio destinato a sconvolgere l’equilibrio europeo delle tutele, frutto di mezzo secolo di leggi e conquiste. In questa partita epocale, condotta a porte chiuse sulla testa di mezzo miliardo di europei, il giornalista indipendente inglese Colin Todhunter svela il ruolo decisivo dei grandi industriali del cibo, decisi a fare piazza pulita degli «ostacoli normativi inutili». In altre parole: vogliono «indebolire le condizioni lavorative, sociali, ambientali e le norme a tutela dei consumatori». L’idea è dell’“High Level Working Group on Jobs and Growth”, super-lobby tecnocratica euroatlantica che dichiara di occuparsi di “crescita”. Oltre al settore delle biotecnologie, i gruppi di pressione per raggiungere l’accordo includono Toyota, General Motors, l’industria farmaceutica, Ibm e la Camera di Commercio degli Stati Uniti, massima lobby americana. Ma la fetta più grossa sarà quella dell’industria del cibo.“Business Europe”, la principale organizzazione che rappresenta i datori di lavoro in Europa, presentò la propria strategia in un trattato economico e commerciale Ue-Usa nei primi mesi del 2012, ricorda Todhunter in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. I suoi “suggerimenti” furono ampiamente inclusi nella bozza di mandato dell’Ue. «L’accordo potrebbe autorizzare le società a sfidare legalmente una vasta gamma di regolamenti che esse non gradiscono». Il piano: «Guidare l’attività decisionale “sottobanco”, evitando in tal modo il controllo democratico e permettendo alle aziende di “tenere in ostaggio” i processi normativi». In pratica, l’Ue dovrebbe “riconoscere” le leggi Usa, che in fatto di tutela sono quasi inesistenti, specie in settori come l’agricoltura. «La lobby del cibo “Food and Drink Europe” ha richiesto l’agevolazione della presenza di un livello minimo di colture geneticamente modificate», oggi non autorizzate in Europa. «Ciò viene anche appoggiato dai giganti commerciali dei mangimi e dei cereali, tra cui Cargill, Bunge, Adm e la grande lobby agricola Copa-Cogeca».E il peggio è che «i negoziati per questo accordo sono avvolti nel mistero». Associazioni, sindacati e Ong? Tutti «estromessi, a favore di un agenda guidata dalle aziende». E’ il sintomo «dell’etica generale e delle pratiche dei burocrati e funzionari di Bruxelles», scrive Todhunter: se fosse approvato, il Ttip cementerebbe «la progressiva ristrutturazione delle economie a favore degli interessi delle élite». E l’altra pessima notizia – per la salute degli europei – è che «nessun settore ha esercitato più pressioni sulla Commissione Europea» di quello agroalimentare, attraverso il “Dg Trade”, cioè la direzione generale del commercio Ue. Secondo il Ceo, “Corporate Europe Observatory”, «le multinazionali del cibo, i commercianti agricoli e i produttori di sementi hanno avuto più contatti con il dipartimento» che non «i lobbisti della farmaceutica, della chimica, dell’industria finanziaria e delle auto messi insieme». Dei 560 incontri con le lobby che “Dg Trade” ha tenuto per preparare i negoziati, 520 (il 92%) sono stati con i lobbisti aziendali, mentre solo 26 (il 4%) con i gruppi di interesse pubblico. Per ogni incontro con un sindacato o gruppo di consumatori, ve ne sono stati 20 con le aziende e le federazioni industriali.Come rivela Pia Eberhardt, attivista per la parte commerciale nel Ceo, «“Dg Trade” ha attivamente coinvolto gli affaristi delle lobby nel redigere la posizione dell’Ue per il Ttip tenendo a bada i “fastidiosi” sindacalisti e altri gruppi di interesse pubblico». Risultato: nell’agenda «viene prima di tutto il business, che mette in pericolo molte conquiste per le quali le persone in Europa hanno a lungo lottato, dalle norme di sicurezza alimentare alla tutela dell’ambiente». E in prima fila, nell’assalto alle normative europee, c’è proprio l’industria dell’alimentazione. Lo conferma Nina Holland, attivista nel settore agroalimentare in ambito Ceo: «Le lobby del settore agroalimentare, come l’industria dei pesticidi, hanno fortemente dato una spinta ai loro programmi tramite i negoziati del Ttip con l’obiettivo di minare le vigenti normative alimentari dell’Ue. Strumenti commerciali come il “mutuo riconoscimento” e la “cooperazione regolamentare” rischiano di portare a un’erosione degli standard di sicurezza alimentare nel lungo periodo. L’industria sta anche cercando di utilizzare il Ttip per far deragliare importanti iniziative comunitarie come quella di affrontare il problema delle sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino».Nella “grande abbuffata” ovviamente non mancano le telecomunicazioni e l’It (Information Technology), l’industria automobilistica, l’ingegneria e il settore chimico. A decidere, accanto agli statunitensi, sono soprattutto i colossi inglesi e tedeschi, rappresentati da “BusinessEurope” e dallo “European Service Forum”, una lobby a corredo di grandi società di servizi come Deutsche Bank e The City Uk. I dati, aggiunge Todhunter, rivelano poi che oltre il 30% (94 su 269) dei gruppi di interesse del settore privato che hanno esercitato pressioni sulla “Dg Trade” per il Ttip sono assenti dal Registro per la Trasparenza dell’Ue: tra questi, vi sono grandi aziende come Wal-Mart, Walt Disney, General Motors, France Telecom e Maersk. Alcune delle associazioni industriali che premono più duramente per il Ttip, come la Camera di Commercio degli Stati Uniti e “Transatlantic Business Council”, stanno esercitrando pressioni anche sotto il radar del registro delle lobby. E, a quanto pare, il boccone più grosso sarà quello che consentirà all’agribusiness di scegliere il nostro futuro menù, a scapito della qualità e della sicurezza di ciò che avremo nel piatto.Meno sicurezza alimentare significa più veleni, e quindi più malattie. E’ il grande business del colosso agroalimentare che sta facendo la parte del leone nelle trattative segrete tra Usa e Ue per il Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio destinato a sconvolgere l’equilibrio europeo delle tutele, frutto di mezzo secolo di leggi e conquiste. In questa partita epocale, condotta a porte chiuse sulla testa di mezzo miliardo di europei, il giornalista indipendente inglese Colin Todhunter svela il ruolo decisivo dei grandi industriali del cibo, decisi a fare piazza pulita degli «ostacoli normativi inutili». In altre parole: vogliono «indebolire le condizioni lavorative, sociali, ambientali e le norme a tutela dei consumatori». L’idea è dell’“High Level Working Group on Jobs and Growth”, super-lobby tecnocratica euroatlantica che dichiara di occuparsi di “crescita”. Oltre al settore delle biotecnologie, i gruppi di pressione per raggiungere l’accordo includono Toyota, General Motors, l’industria farmaceutica, Ibm e la Camera di Commercio degli Stati Uniti, massima lobby americana. Ma la fetta più grossa sarà quella dell’industria del cibo.
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Estulin: vogliono sterminarci, è la cupola dell’apocalisse
«Tutti gli eventi sono tra loro interconnessi. A leggere i giornali sembra che gli scontri in Ucraina siano un problema a sé, completamente slegati dagli scontri razziali di Ferguson o dalle persecuzioni razziali e religiose in Iraq e Siria». Prima di entrare nel merito delle tensioni tra la Russia e la Nato, Daniel Estulin (controverso autore del libro “La vera storia del club Bilderberg”) ci tiene a spiegare che «la Terra è un pianeta piccolo» e che, per andare fino in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché «noi siamo solo burattini». Estulin nasce nel 1966 a Vilnius. Della sua vita non si sa molto. Ma, chiacchierando, è lui stesso a raccontare delle battaglie del padre per una Russia più libera, della fuga in Canada e della passione per la politica, senza divisione tra interni e esteri, perché «la vera politica si svolge a un livello sovranazionale, al di sopra dei governi, tra quelle persone che governano il mondo da dietro le quinte». Li chiama “shadow master”, signori dell’oscurità, e cerca di smascherarli nei suoi libri, da “L’istituto Tavistock” in avanti.Perché la Nato sta alzando i toni con la Russia? «Per capirlo bisogna guardare a Detroit, uno scenario post-apocalittico degno di un film di Will Smith. Le persone che tirano le fila del mondo vogliono le guerre, la crescita zero e la deindustrializzazione, vogliono che ogni città del mondo assomigli a Detroit». Progresso e sviluppo non dovrebbero essere direttamente proporzionali alla densità di popolazione? «Grazie ai progressi tecnologici, le società si sviluppano, creano ricchezza e costruiscono. Ma chi tira le fila del mondo sa che la Terra è un pianeta molto piccolo, con risorse naturali limitate e una popolazione in continua crescita. Ora siamo 7 miliardi e stiamo già esaurendo le risorse naturali. Ci sarà sempre abbastanza spazio sul pianeta, ma non abbastanza cibo e acqua per tutti. Perché i potenti sopravvivano, noi dobbiamo morire». Come intendono fare? «Distruggendo le nazioni a vantaggio delle strutture sovranazionali controllate dal denaro che gestiscono. Le corporazioni governano il mondo per conto dei governi che esse controllano. Così è successo con l’Unione Europea».E Putin non rientra in questo disegno. «Pensavano di poterlo controllare». Perché non ci riescono? «La Russia è una superpotenza nucleare. È questo che la rende tremendamente pericolosa agli occhi di questa gente. La Cina, per esempio, ha una grande popolazione ma non è una potenza nucleare. E per questo non è un pericolo. Mentre l’economia cinese può essere distrutta nel giro di un minuto, le tecnologie russe non possono essere annientate». Dove vogliono arrivare col conflitto in Ucraina? «Togliere il gas all’Europa per farla morire di freddo… Quando parlo di potere, non lo identifico con persone che siedono su un trono, ma con un concetto sovranazionale. L’idea è appunto distruggere ogni nazione». Alla fine non ci sarà più alcuna patria? «L’alleanza è orientata verso una struttura mondiale, che per essere controllata ha bisogno di nazioni deboli». È possibile fare qualche nome? «Christine Lagarde, Mario Draghi, Mario Monti, Petro Oleksijovyč Porošenko. Tutte queste persone sono sostituibili. Prendete Renzi: la sua politica conduce alla distruzione dell’Italia. Perché lo fa, dal momento che dovrebbe fare l’interesse del vostro paese? Non è logico».Non è poi tanto diverso da Monti. «I vari Renzi, Monti, Prodi sono traditori dell’Italia, non lavorano nell’interesse del paese. Renzi non ha mandato politico, nessuna legittimazione, non è stato eletto». L’ultimo premier eletto democraticamente è stato Berlusconi. «E questo è il motivo per cui c’è stato uno sforzo così ben orchestrato per distruggerlo». È il Bilderberg a tirare le fila? «Il Bilderberg era molto influente negli anni Cinquanta, nel mondo postbellico. Ora è molto meno importante di quanto non si creda. Organizzazioni come il Bilderberg o la Trilaterale non sono il vertice di nulla. Sono la cinghia di trasmissione. I veri processi decisionali hanno luogo ancora più in alto. L’Aspen Institute è molto più importate del Bilderberg». Nessuno ne parla. «I giornali mainstream fanno parte di questo gioco. Pensare che media come il “New York Times”, il “Washington Post” o “Le Monde” siano indipendenti, è da idioti. I giornalisti lavorano per azionisti che decidono la linea editoriale del giornale». Vale anche per l’Italia? «Il “Corriere della Sera”, “La Stampa” e “Il Sole 24 Ore” siedono spesso alle riunioni del Bilderberg. Non c’è metodo più efficace che far passare le loro idee nella stampa mainstream».Anche l’estremismo e il terrorismo islamico rientrano in questo disegno? «Certamante. Non è possibile credere che Obama lavori nell’interesse degli Stati Uniti. Come è impensabile credere che un’organizzazione come l’Isis sia passata, nel giro di poche settimane, dall’anonimato più assoluto a rappresentare la peggiore organizzazione terroristica del mondo». Come si “costruisce” un nemico? «Con gruppi come Isis, Hamas, Hezbollah o Al-Qaeda, succede quello che chiamiamo “blow-back”, cioè quello che succede quando soffi il fumo e ti torna in faccia. L’effetto è sempre lo stesso: si costruisce e si finazia un gruppo terroristico, in Ucraina come in Medio Oriente, e dopo un certo periodo di gestazione questo ti torna indietro e ti colpisce. In ogni operazione non c’è mai un solo obiettivo, ma sempre molti obiettivi. Un obiettivo lavora per te, un altro contro di te».Tutto già calcolato? «Un qualsiasi attacco implica l’uso dell’esercito e, quindi, la necessità di investire soldi nell’industria bellica. La formula è la stessa, cambiano solo i giocatori. Oltre alla guerra ci sono modi diversi per ottenere lo stesso risultato: la fame, la siccità, le droghe, la malattie. Li stanno usando tutti. Così da un lato distruggono il mondo economicamente, dall’altro usano i soldi per sviluppare tecnologie così potenti e futuristiche da creare un gap tra noi e loro sempre più marcato». Eppure faticano a contrastare l’ebola… «Macché! È solo un esempio per vedere la reazione della popolazione mondiale. Viene presentata come un’epidemia ma ha ammazzato appena tremila persone negli ultimi dieci anni. Ogni anno raffreddore, tosse e influenza ne uccidono 30.000 solo negli Stati Uniti. La prossima volta che ci sarà una vera epidemia, conosceranno già le reazioni umane».(“Ecco chi tira i fili del terrore per sovvertire l’ordine mondiale”, intervista di Andrea Indini a Daniel Estulin, da “Il Giornale” dell’11 settembre 2014).«Tutti gli eventi sono tra loro interconnessi. A leggere i giornali sembra che gli scontri in Ucraina siano un problema a sé, completamente slegati dagli scontri razziali di Ferguson o dalle persecuzioni razziali e religiose in Iraq e Siria». Prima di entrare nel merito delle tensioni tra la Russia e la Nato, Daniel Estulin (controverso autore del libro “La vera storia del club Bilderberg”) ci tiene a spiegare che «la Terra è un pianeta piccolo» e che, per andare fino in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché «noi siamo solo burattini». Estulin nasce nel 1966 a Vilnius. Della sua vita non si sa molto. Ma, chiacchierando, è lui stesso a raccontare delle battaglie del padre per una Russia più libera, della fuga in Canada e della passione per la politica, senza divisione tra interni e esteri, perché «la vera politica si svolge a un livello sovranazionale, al di sopra dei governi, tra quelle persone che governano il mondo da dietro le quinte». Li chiama “shadow master”, signori dell’oscurità, e cerca di smascherarli nei suoi libri, da “L’istituto Tavistock” in avanti.
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Barack Osama e i ragazzi dell’Isis, reclutati dagli Usa
La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.Negli anni ’80, durante la guerra fredda, l’Islam conservatore era l’alleato degli Usa nel contenere la diffusione del comunismo e dell’influenza dell’Urss nel mondo arabo, scrive Maggioni in un post ripreso da “Informare per Resistere”. Sotto la presidenza Reagan, gli Usa «armarono e addestrarono i Talebani in Afghanistan» per rovesciare la repubblica popolare afghana e contrastare il successivo intervento sovietico. «Al-Qaeda nasce qui, con i soldi e il supporto americano, tanto che lo stesso Bin Laden (ricordiamolo: proveniente da una famiglia di affaristi sauditi in stretti rapporti con gli Usa) combatteva in Afghanistan e veniva intervistato da quotidiani occidentali come “The Indipendent” i quali lo definivano “freedom fighter”». I Talebani, aggiunge Maggioni, «vennero addirittura glorificati in film come “Rambo 3”», mentre «vari leader islamisti afghani furono ricevuti alla Casa Bianca da Reagan, che li definì “leader con gli stessi valori dei Padri Fondatori”».La medesima strategia è proseguita negli anni novanta con Clinton, «che poté intervenire in Jugoslavia al fianco dei narcotrafficanti dell’Uck in Kosovo spacciati come difensori del proprio popolo da non meglio precisati genocidi». Con Bush la strategia cambia: complice l’11 Settembre, gli amici di ieri diventano i nemici di oggi. Scatta così una campagna propagandistica mondiale, secondo cui l’Islam ha dichiarato guerra alla civiltà occidentale e ci sono arabi dietro ogni angolo pronti a farsi esplodere. «Con questa scusa parte la cosiddetta “guerra al terrore”, grazie alla quale vengono eliminati gli ex-alleati Talebani ora sfuggiti al controllo e si invade l’Iraq». Una guerra «totalmente priva di senso anche per la logica di Bush», in teoria, considerato che il governo di Saddam Hussein «apparteneva alla corrente del baathismo laico e di tutto poteva essere tacciato tranne che di islamismo».Con Obama la strategia cambia ancora: non esiste più la minaccia islamica, ma gli Stati Uniti devono intervenire per difendere i giovani della “primavera araba” in lotta contro i “dittatori”, «termine indicante tutti i capi di Stato non graditi all’America». E Bin Laden, «tenuto in vita come spauracchio durante l’epoca Bush», viene «fatto fuori in un lampo, ovviamente prima che possa parlare dei suoi passati legami con gli Usa». Gli islamisti di oggi sono nuovamente alleati dell’America. E tutti i peggiori integralisti, dal Fronte Al-Nusra siriano ai Fratelli Musulmani, vengono trasformati dai media in giovani nonviolenti, in lotta contro la dittatura. «Con questa scusa, Obama arma delle milizie islamiste in Libia e interviene in loro supporto per eliminare Gheddafi: ora la Libia è un inferno a cielo aperto in preda a gang islamiche, mentre gli americani ne saccheggiano il petrolio».Il copione viene replicato in Siria, dove gli Usa appoggiano «animali assetati di sangue come Al-Nusra e il famigerato Isis», presentati però sempre come «studenti che manifestano per i diritti umani». Fallito l’assalto al regime di Assad, però, i “bravi ragazzi” tornano utili ugualmente, sotto forma di “cattivi ragazzi”. Vengono infatti presentati come terroristi: la vecchia propaganda sulla “minaccia islamista” viene riciclata da Obama per giustificare l’inizio di operazioni militari in Iraq. «La situazione fa quasi sorridere – sottolinea Maggioni – considerando che l’Isis sostanzialmente sono i ribelli siriani presentati come sinceri democratici e a fianco dei quali meno di un anno fa lo stesso Obama voleva intervenire militarmente. Le stesse persone, al variare degli interessi in gioco, passano da combattenti per la libertà a sanguinari terroristi, a seconda che si trovino ad ovest o ad est del confine tra Siria e Iraq».L’Isis? E’ un gruppo integralista sunnita, che si propone l’obiettivo di creare uno Stato islamico, il Califfato, che comprenda i territori di Siria e Iran per portare avanti la jihad contro lo sciitismo. Il terreno fertile per la sua espansione è stato creato dall’intervento militare americano in Iraq del 2003, continua Maggioni: il rovesciamento di Saddam ha causato la caduta di uno dei pochi Stati laici della regione e fatto saltare il delicato equilibrio interno tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Nel caos e nell’anarchia seguenti, l’islamismo politico è potuto tornare a operare alla luce del sole, con spazi di manovra di cui prima era privo. «I gruppi islamisti sono riusciti in breve tempo a raccogliere un ampio consenso all’interno delle minoranze etniche sunnite», in un Iraq a maggioranza sciita: «Il che ha portato, dalla caduta di Saddam in poi, all’affermazione di governi guidati da forze politiche sciite, quale quello del presidente Al-Maliki».A partire dal 2011, questo quadro si è incrociato con lo scenario della guerra civile siriana, con in primo piano le infami milizie dell’Isis, un “mostro” «che cresce e si sviluppa grazie al supporto economico, diplomatico e militare di Washington», espandendosi a macchia d’olio in Iraq, «dove si guadagna un consistente supporto tra la popolazione sunnita e inizia una guerriglia contro il governo del presidente Al-Maliki». L’Isis, insiste Maggioni, è funzionale agli interessi americani anche in Iraq: dopo la caduta del sunnita Saddam, il paese si è avvicinato ai correligionari dell’Iran e di conseguenza anche alla Siria, alleato storico di Teheran, «creando negli Usa il timore di perdere la propria influenza sul paese». Basta osservare una cartina geografica per capire che si verrebbe a creare in questo modo un asse sciita filo-iraniano che si estenderebbe con continuità territoriale nel cuore del Medio Oriente, da Teheran fino agli Hezbollah libanesi alle porte di Israele. «Questo scenario è ovviamente inaccettabile per la Casa Bianca».Avendo come obiettivo della sua “guerra santa” l’Iran e gli sciiti, l’Isis fa dunque il gioco degli Usa. E Washington, prosegue Maggioni, vorrebbe rendere controllabile l’Iraq balcanizzandolo in tre aree (sunnita, sciita e curda), come apertamente auspicato dal vicepresidente americano Joe Biden. «Per questo l’Isis è stato lasciato agire fino a mettere alle strette il governo di Al-Maliki». Con la scusa dell’avanzata del Califfato, gli americani hanno potuto rientrare militarmente in Iraq, rimettendo in equilibrio il governo di Baghdad e lo “Stato Islamico”. «Un intervento volutamente tardivo, che se ne ha fermato l’avanzata ha permesso al Califfato di consolidare le posizioni già conquistate». Poi, approfittando del drammatico genocidio delle minoranze da parte del Califfato, gli Usa hanno cominciato a rifornire di armi i curdi Peshmerga, alleati degli americani durante l’invasione del 2003 e animati da intenti secessionisti. «La scelta di bypassare il governo iracheno e fornire armi direttamente ai curdi non è casuale, ma ha lo scopo di creare nella regione una forza armata filoamericana e separatista nei confronti di Baghdad, indebolendo ancora di più la posizione del governo centrale iracheno».Il risultato di tutto ciò, conclude Maggioni, è un Iraq sostanzialmente diviso in tre parti: una frazione sciita, debole e alla mercé degli aiuti militari americani, una regione curda che vada a costituire una sorta di “gendarme” americano locale, e poi il Califfato islamico, «formalmente avversato da Washington ma in realtà tollerato», dal momento che «continua la sua guerra regionale contro due Stati sgraditi agli Usa», cioè Siria e Iran, «facendo il lavoro sporco al posto degli americani». I “bravi ragazzi” dell’Isis potranno funzionare da alibi per consentire agli Usa di intervenire militarmente anche in Siria, dove un anno fa furono fermati dall’opposizione russo-cinese. Intanto, per bocca del proprio leader, il califfo Al-Baghdadi, l’Isis ha già indicato la Cina come “Stato nemico dell’Islam”, promettendo in un prossimo futuro di fornire aiuto ai gruppi islamisti Uighuri dello Xinjiang. «Casualmente – chiosa Maggioni – il principale avversario geopolitico degli Usa rientra tra gli obiettivi degli islamisti», che tra parentesi «durante tutto il periodo dei bombardamenti a Gaza non hanno detto una sola parola contro Israele». Miracoli della geopolitica, sotto il regno di “Barack Osama”.La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.
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I nemici alle porte: l’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro
Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».La risposta, per lui è chiara: «Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte». Ragionare con i matti, in particolare con quelli paranoici, non è sempre facile, perché richiede che si applichi una regola di buon senso, che si può riassumere così: 1) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore fu colpevole di alcuni omicidi avvenuti nella Belle Epoque londinese, se ne può discutere; 2) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore lanciò la bomba atomica su Hiroshima, ho il diritto di esprimere i miei dubbi, senza per questo diventare necessariamente un difensore del personaggio. Quindi, premetto che la parte antirussa degli ucraini ha tanti validi motivi per non voler restare nella sfera di Mosca, e non ho particolari simpatie per l’attuale governo russo (e nemmeno per altri governi, se è per questo). Però constato che nessuno sta cercando di conquistare né l’Ucraina, né l’Occidente: c’è la parte di ucraini – diciamo un terzo della popolazione – che si sente russa che non ha intenzione di farsi sottomettere o cacciare dalla parte antirussa, e in questo godono del sostegno del governo russo.Il signor Ezio Occidente sappia quindi che i russi non vogliono far abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, al massimo faranno abbeverare le loro Ferrari dai benzinai della Versilia. Per quanto riguarda l’Isis, non si tratta di una «parte del mondo» – come scrive Ezio Occidente – che ha come «nemico definitivo» l’Occidente. Si tratta piuttosto dell’ennesima tegola in testa agli iracheni, da quando hanno scoperto il petrolio da quelle parti. Mettere i fatti in ordine cronologico è istruttivo. A giugno l’Isis si è vantato di aver fucilato in un solo giorno tra 600 e 3.000 prigionieri iracheni (accusati di appartenere al “criminale esercito safavide”, un termine che mette insieme i concetti di sciita e di iraniano) catturati nell’ex-base statunitense di Camp Speicher. Tutto in video, ovviamente; e devo dire che è il video più terrificante che mi sia mai capitato di guardare. Lo so che ogni battaglia della Rivoluzione Messicana finiva con la fucilazione finale dei soldatini-contadini prigionieri; e più o meno lo stesso capitava durante tutti i grandi eventi del Novecento, però questa volta i media non hanno la scusa che non ci sono le immagini.Che cosa ne avrà pensato Ezio Occidente? Vado su Google: Nessun risultato trovato per “camp speicher”, “ezio mauro”. Evidentemente i soldatini sciiti non fanno Occidente Minacciato. Per sostenere il governo che avevano installato in Iraq, e perché una nuova guerra ogni tanto ci vuole, gli Stati Uniti hanno in seguito bombardato alcune basi dell’Isis. Basi, ricordiamo, messe in piedi grazie alla lunga accondiscendenza del governo turco. Infatti, l’Isis è il nemico più agguerrito e capace del governo siriano, un governo da anni ormai sotto sanzioni e minacce di ogni sorta proprio da parte dell’Occidente: lo scorso giugno, Obama ha proposto di dare 500 milioni di dollari per addestrare e armare chi sta combattendo contro il governo siriano. Anche il governo siriano avrà le sue pecche, ma non ha certo mai minacciato l’Occidente. Solo dopo i bombardamenti statunitensi, è avvenuto il video-omicidio del giornalista Sotloff: il decapitatore ha spiegato chiaramente il messaggio: «Un’occasione per avvertire i governi che entrano in questa malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico: si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». E, rivolto a Obama: «Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo». Non esiste, insomma, nessun pugnale puntato alla gola dell’Occidente.Non escludo che se l’aeronautica americana bombardasse di nuovo una città controllata dall’Isis, a qualche giovane esaltato potrebbe venire in mente di farsi saltare in aria in un supermercato di Parigi, e sarebbe una cosa sicuramente orribile. Ma il punto è che l’Occidente non salta per un supermercato che chiude (ne hanno chiuso uno dietro casa mia l’altro giorno, e ti assicuro che l’Occidente respira uguale). L’Occidente salterebbe, casomai, se non arrivasse più petrolio. Ma anche lì, non c’è da preoccuparsi. L’Isis, infatti, pare che viva del petrolio che riesce a vendere. Come tutto ciò che riguarda il Medio Oriente, sarà una cifra un po’ a caso, ma qualcuno calcola che l’Isis guadagni tre milioni di dollari al giorno grazie proprio al petrolio (e vendono pure l’energia elettrica prodotta dalla diga di Raqqa, che si sono ben guardati dal danneggiare).Passiamo a guardare la filosofia sottostante alla costruzione di Ezio Occidente. Lui che scrive e il lettore formano un “noi”, unito dal nemico che ci odia perché il nemico è intrinsecamente perverso: odia la libertà, la pace e probabilmente anche i bambini. Questa condivisione paranoica permette di spazzare sotto il tappeto tutto ciò che in realtà “ci” divide, a partire dal fatto che lui ha alle spalle Benetton – e io no, ad esempio. Il nemico viene ingigantito oltre ogni misura: stendiamo un velo pietoso sui disastrati villaggi polverosi da cui il Califfato emana i suoi video, sgozza i suoi sciiti e vende il suo petrolio. Ma anche il Pil di tutta la vasta Russia rimane inferiore a quello della nostra piccola Italia. La comunità paranoica non è mai dichiaratamente aggressiva: il suo motto è dobbiamo difenderci – dagli slavi, dagli sciiti, dagli ebrei, dagli arabi, dai cristiani, dai serbi, dai musulmani, dai neri che violentano le nostre donne, dagli Invasori di Lampedusa, dagli alieni di Zeta Reticuli… Il «bersaglio», scrive il direttore di Repubblica, «è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita».Una difesa da condurre, come scrive in tono sinistro il nostro (ricordiamo che sta parlando di un vertice della Nato, cioè della massima organizzazione armata del pianeta), «con ogni mezzo». Ma dietro le parole difensive, Ezio Occidente si lascia sfuggire un concetto interessante. Egli accusa infatti Putin di voler che si «fermi l’America, delimiti l’Europa». Nessuno osi delimitarci. Anzi, «la democrazia» (ricordiamo che per il nostro autore, i termini “Occidente”, “Ezio Mauro”, “democrazia” e “noi” sono tutti sinonimi perfettamente intercambiabili) ha un «carattere universale che può parlare a ogni latitudine». Che è all’incirca ciò che sostengono alcuni a proposito dell’Islam. I difensori paranoici non sono mai contenti. Lo scarto tra le loro fantasie di trionfo totale e la realtà la attribuiscono in genere a una caduta di morale.Il difensore paranoico vive sempre all’undicesima ora, in cui solo uno scossone potrà risvegliare la Fibra Morale; e quindi cerca avidamente i segni del declino e del pericolo, da agitare confusamente davanti a coloro che vorrebbe appunto risvegliare. E l’articolo di cui parliamo è pieno di preoccupazioni per i dubbi che pervadono un Occidente che invece dovrebbe pensare solo a combattere. Qui non ci piace giocare con la parola fascismo. Però nella sequenza filosofica che abbiamo esposto, credo che troverete la chiave per capire tante caratteristiche di movimenti che i media chiamano neofascisti. La differenza però è sempre quella del vecchio detto su chi rapina una banca e chi la fonda. Ezio Occidente non è Roberto Fiore perché Roberto Fiore non fa il direttore del principale quotidiano italiano.(Miguel Martinez, “L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro”, dal “Kelebekler Blog” del 6 settembre 2014).Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».