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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte il massone Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
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Strillo, dunque esisto. La Boldrini? Fa rimpiangere Andreotti
La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».La verità, agginge Barnard, è che i media “politically correct” non vi diranno mai che «nei Bar Sport di tutt’Italia le persone appena citate, e così represse, hanno bofonchiato in massa che Traini “ha fatto bene, ne avesse ammazzati di più”». Senza la loro rabbia repressa, «la percentuale di chi ha quell’opinione sarebbe oggi un ventesimo». La Boldrini? «La Presidenta deve capire che la sua persona è disprezzata dall’80% della popolazione italiana», sostiene Federica Francesconi. Il “politically correct”? «E’ in realtà strumento di repressione di massa del neoliberismo delle austerità, per rapinarci ma al contempo tapparci la bocca», scrive Barnard. «Ed è strumento della neo-arroganza del femminile occidentale», in una sua rivincita storica «del tutto cieca e alla deriva». Parafrasando Thomas Mann: «Una linea diretta unisce la follia della miseria popolana durante il Politically Correct – più le sue austerità – al Prossimo Reich e alla prossima valanga Fallocrate violenta… I milioni che sono oggi rapinati del loro diritto di esprimere rabbia, esasperazione, e sincere opinioni perché gli si tappa la bocca coi tabù politici o femminili del Politically Correct, stanno divenendo le masse con cui lavorano sempre più i partiti neo-nazisti e i venditori di stupri “tech”».Aggiunge Barnard: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, se vivi la precarietà economica per te e per i tuoi figli con angoscia, mentre vedi un immigrato e famiglia sepolto di sussidi pubblici – o vedi la Guardia di Finanza multare il macellaio per uno scontrino da 11 euro, ma i cinesi lavorano in nero in tutt’Italia e non gli capita mai nulla – ma osi lamentarti, allora scatta il Saviano Politically Correct a farti sentire una merda, un sub-umano razzista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi». Ancora: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, perché i magistrati rilasciano spacciatori e stupratori senza una traccia della certezza della pena, ma osi lamentarti, scatta la Boldrini Politically Correct a farti sentire una merda fascista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi. Nota: poi svolti l’angolo e prendi i volantini di Forza Nuova o Casa Pound». Sessismo alla rovescia, che gonfia «eserciti immensi di maschi oggi incarogniti che pagano sex-tech, porno e prostitute». Ogni maschio italiano, aggiunge Barnard, «oggi sa con assoluta precisione che la grande maggioranza dei compagni di genetica ha cisterne di veleno contro le donne, che “sono diventate incriticabili”».“Il futuro è donna”, recita il nuovo mantra che ti fa sentire misognino? «Poi svolti l’angolo e ordini da Amazon una donna-robot-stupro della TrueCompanion.com, o al meglio ti sfondi di porno o prostitute adorando quelle lì». E così, «ignorando le evidenze e l’allarme ormai grandi come un Tirannosauro in salotto, il Politically Correct ha tirato e continua a tirare quella linea diretta col Prossimo Reich e con la prossima valanga Fallocrate violenta». Beninteso: «Donne, le ragioni storiche le avete, ma non è con questa demenziale isteria di massa che avrete giustizia, anzi». E congratulazioni, da Barnard, «a voi Saviani e voi “Il Futuro è Donna” d’Italia», perché «le sopraccitate sono le masse con cui lavorerà Forza Nuova e con cui faranno miliardi le TrueCompanion.com, ancora più prostitute e ancora più porno. Alla fine verrete travolti e travolte da una Restaurazione abominevole di veri razzismi, di veri fallocrati, non quei poveracci spaventati di oggi senza voce». Quanto alla presidente (uscente) della Camera: senza i demenziali attacchi che subisce periodicamente sul web, qualcuno si sarebbe mai accorto della sua esistenza? A parte gli ovvi appelli “politically correct” sul rispetto dovuto all’umanità migrante, qualcuno ha mai sentito un’analisi politica da Laura Boldrini? Qualcuno le ha mai sentito dire qualcosa sui perché di questo esodo disperato, e sulle responsabilità di chi governa l’Europa e l’Occidente?La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».
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Centrodestra e Pd, lo squadrone dei candidati impresentabili
Chiuse le liste delle convocazioni dei partiti, dopo notti di lotte all’arma bianca nelle segrete stanze di Arcore e del Nazareno, in attesa di conoscere l’allenatore, ecco la formazione titolare con cui il centrodestra si schiera in campo. Con la fascia di capitano, candidato capolista al Senato in Campania, Luigi Cesaro, detto “Giggino a’ purpetta”, indagato per voto di scambio in riferimento alle ultime elezioni regionali e per minacce a pubblico ufficiale aggravato dalla finalità mafiosa: avrebbe fatto pressioni su una funzionaria del Comune di Marano, che si occupava dei controlli su opere costruite dall’impresa di Aniello e Raffaele Cesaro, suoi fratelli. Antonio Angelucci, premiato per la sua assidua presenza in Parlamento (99.59% di assenze) e per i risultati sul fronte giudiziario con una condanna in primo grado a un anno e 4 mesi per falso e tentata truffa per i contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani “Libero” e “Il Riformista”; oltre un indagine in corso in merito a un’inchiesta sugli appalti nella sanità della procura di Roma. Per lui il posto di capolista alla Camera nel Lazio.Ugo Cappellacci, capolista in Sardegna, ex governatore, per lui chiesta condanna per abuso d’ufficio nel processo scaturito nell’inchiesta sulla cosiddetta P3; condannato in secondo grado a restituire alla Regione Sardegna circa 220 mila euro. Condannato a due anni e mezzo di reclusione per il crac milionario della Sept Italia, società fallita nel 2010. Fresco di sentenza Michele Iorio, candidato al Senato in Molise, è stato condannato qualche giorno fa dalla corte d’appello di Campobasso a 6 mesi di reclusione per abuso d’ufficio e a un anno di interdizione dai pubblici uffici. In Puglia rispunta una vecchia conoscenza: Domenico Scilipoti. E’ stato condannato a versare 200 mila euro più spese legali per un vecchio debito non pagato. Ma è noto ai più per il suo triplo salto carpiato da Idv all’allora maggioranza, per salvare il governo Berlusconi nel 2010, dando addirittura vita a un neologismo: “scilipotismo”. In Sicilia continua la “dinastia Genovese”. Stavolta tocca a una donna di fiducia dell’ex deputato condannato Francantonio Genovese, Mariella Gullo. Anche lei raggiungerà quota 20mila come toccò prima al cognato e poi al nipote Luigi Genovese alle scorse regionali? Con lei, Urania Papatheu, candidata nel Catanese, con una condanna in primo grado per gli sperperi dell’ex Ente fiera di Messina.La nuove generazione delle Lega marca la sua presenza con Edoardo Rixi, assessore regionale in Liguria e imputato per le spese pazze in Regione Liguria: si sarebbe fatto rimborsare spese private con soldi pubblici. Facce nuove ma vecchi vizi. La Lega infatti candida anche tale Umberto Bossi, condannato a 2 anni e 3 mesi per aver usato i soldi del partito, quindi “provenienti dalle casse dello Stato” a fini privati. Sulla stessa onda, troviamo il redivivo Roberto Formigoni, condannato per corruzione a sei anni e imputato in altri processi: è candidato al Senato come capolista nella formazione del centrodestra ‘Noi con l’Italia’ in Lombardia. Nella stessa formazione, Raffaele Fitto alla Camera in Puglia, la Cassazione ha disposto che sarà un giudice civile a stabilire se, da presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto ha generato danno d’immagine all’ente, dopo che la corte d’appello di Bari l’aveva dichiarato prescritto ma lo condannava al risarcimento nei confronti della Regione.Il Pd, allenato da Renzi con Gentiloni pronto a sostituirlo a seconda dello scenario che si prospetterà, schiera invece in campo. Maria Elena Boschi, il capitano. Aveva promesso di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum e non l’ha fatto. Da ministro per le Riforme si è interessata della sorte di Banca Etruria, l’istituto bancario del padre. Ha sostenuto di averlo fatto per il territorio, infatti si candida a Bolzano nell’uninominale ed è stata piazzata in altri cinque collegi-paracadute: Cremona-Mantova, Lazio 3, Sicilia 1-02, Sicilia 2-03 e Sicilia 2-01. Tutto pur di non farle mollare la poltrona. In Campania c’è Piero De Luca, figlio del governatore della Campania, Vincenzo, capolista alla Camera ovviamente in Campania e candidato all’uninominale di Salerno, il “feudo” del padre. È imputato di bancarotta fraudolenta per il crac della società immobiliare “Ifil”, società satellite degli appalti del ‘sistema Salerno’ quando il padre era sindaco della città. Ma De Luca raddoppia, con la candidatura del suo ex capo staff, Franco Alfieri. Il “signore delle fritture” elogiato dal governatore campano perché sa fare le “clientele come Cristo comanda”, già condannato in appello a restituire 40.000 euro al Comune di Agropoli e imputato per omissione in atti d’ufficio e sottrazione di beni alla loro destinazione: avrebbe lasciato dei beni sequestrati alla camorra, e destinati al Comune di Agropoli, nella disponibilità dei vecchi proprietari. Per i pm non per dimenticanza, ma per ingraziarsi il “clan degli zingari”.In Campania c’è anche Umberto Del Basso De Caro, già sottosegretario ai Trasporti del governo Gentiloni, è indagato per tentata concussione e voto di scambio. In alcune conversazioni intercettate si evincerebbero, per l’accusa, le sue pressioni al dirigente generale di un ospedale per la rimozione o il trasferimento di alcuni funzionari “non graditi” alla moglie, dirigente amministrativo nello stesso nosocomio. In Abruzzo corre Luciano D’Alfonso, governatore in carica, indagato dalla procura de L’Aquila per corruzione, abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti per interventi di manutenzione di case popolari a Pescara e Penne. E’ stato scelto per meriti sul campo da Renzi come capolista del listino al Senato in Abruzzo. Nel Lazio schierati Claudio Mancini e Bruno Astorre, premiati per il rinvio a giudizio nell’inchiesta sui rimborsi e le spese di rappresentanza del gruppo Pd alla Pisana fra il 2010 e il 2012.Stesso criterio usato per le candidature nelle Marche, con Francesco Comi e Paolo Petrini, coinvolti nello scandalo sulle spese pazze in Regione, procedimento ancora aperto dopo che la Cassazione ha annullato il non luogo a procedere disposto dal gup. Anche in Calabria premiati Ferdinando Aiello, Brunello Censore e Antonio Scalzo per il processo disposto a loro carico nell’ambito dell’inchiesta “Rimborsopoli”. Scalzo, in più, ha visto di recente arrestato il suo capostruttura nell’operazione contro la ‘ndrangheta denominata “Stige”, in quanto accusato di concorso esterno alla potente cosca dei Farao-Marincola. Punta di diamante della formazione renziana, Luca Lotti, attuale ministro dello Sport, è indagato nella vicenda Consip, insieme a Renzi Senior e a gran parte del “giglio magico”, per favoreggiamento e rivelazione di segreto. E’ candidato in Toscana, nel collegio di Empoli 8.(“Lo squadrone di candidati impresentabili del centrodestra” e “Figli di e fritture di, gli impresentabili del Pd”, dal “Blog delle Stelle” del 3 febbraio 2018).Chiuse le liste delle convocazioni dei partiti, dopo notti di lotte all’arma bianca nelle segrete stanze di Arcore e del Nazareno, in attesa di conoscere l’allenatore, ecco la formazione titolare con cui il centrodestra si schiera in campo. Con la fascia di capitano, candidato capolista al Senato in Campania, Luigi Cesaro, detto “Giggino a’ purpetta”, indagato per voto di scambio in riferimento alle ultime elezioni regionali e per minacce a pubblico ufficiale aggravato dalla finalità mafiosa: avrebbe fatto pressioni su una funzionaria del Comune di Marano, che si occupava dei controlli su opere costruite dall’impresa di Aniello e Raffaele Cesaro, suoi fratelli. Antonio Angelucci, premiato per la sua assidua presenza in Parlamento (99.59% di assenze) e per i risultati sul fronte giudiziario con una condanna in primo grado a un anno e 4 mesi per falso e tentata truffa per i contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani “Libero” e “Il Riformista”; oltre un indagine in corso in merito a un’inchiesta sugli appalti nella sanità della procura di Roma. Per lui il posto di capolista alla Camera nel Lazio.
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Bin Laden massone, Kevin Spacey silurato dal Bohemian
Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria on Air” ai microfoni di “Colors Radio” il 29 gennaio. «Scusi, ma lei come fa a dire che Bin Laden era massone?», lo incalza un ascoltatore. «Lo seppi direttamente da chi lo iniziò», risponde Magaldi: «Fu Brzezinski a rivelarmelo», mostrandogli anche la documentazione comprovante l’affiliazione di Bin Laden alla “Three Eyes”, superloggia neo-conservatrice alla quale, secondo Magaldi, appartengono eminenti figure dell’attuale panorama istituzionale – fra gli italiani, Mario Draghi e Giorgio Napolitano, insieme a Marta Dassù (Finmeccanica) e Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), fino all’ex ministra renziana Federica Guidi. Un peso massimo, la “Three Eyes” (leader storico, Henry Kissinger) nell’ispirazione delle politiche neo-feudali e neoliberiste, fedelmente “eseguite” da personaggi come la francese Christine Lagarde (Fmi), l’americana Condoleezza Rice, il portoghese Pedro Passos Coelho, l’ex premier greco Antonis Samaras, l’olandese Mark Rutte. Ma Bin Laden? «Fu “reclutato” da Brzezinski per essere impiegato in Afghanistan in chiave anti-sovietica», poi però lo stesso Bin Laden lasciò la “Three Eyes”, spiazzando Brzezinski, per approdare alla “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush.La “Hathor” è la “loggia del sangue della vendetta” sospettata di aver orchestrato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Secondo Magaldi vi fanno parte l’inglese Blair, il francese Sarkozy, il turco Erdogan e lo stesso Abu Bakr Al-Bahdadi, il fantomatico capo dell’Isis, cioè l’ultima incarnazione della “strategia della tensione internazionale” che ha suscitato sconcerto persino tra i falchi della destra economica super-massonica. «Posso provare ogni mia affermazione, esibendo 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi. Qualcuno gliene ha fatto richiesta? Nessuno, mai. Silenzio assoluto, anche sui giornali, di fronte a notizie teoricamente esplosive, perché consentono di mappare il vero potere e smascherare molta ipocrisia ufficiale. Ma il mainstream, semplicemente, tace. Preferisce frugare tra le lenzuola di Woody Allen, fingendo di ignorare l’ipotesi più ovvia, «e cioè che Mia Farrow, moglie abbandonata, gli abbia “messo contro” i figli adottivi per metterlo in cattiva luce». Addirittura sinistro il caso di Spacey, anche lui accusato di molestie, dopo che “House of Cards” ha lasciato intravedere il ruolo del Bohemian Club, «nota associazione paramassonica mondialista che è lo schermo di alcune potentissime Ur-Lodges neo-aristocratiche».Per Magaldi, questo «nuovo maccartismo, di strano segno» non ha giustificazioni: «Le “bufale” esistono, per carità, ma – se costituiscono diffamazione – sono perseguibili per legge. Altra cosa, invece, è questo clima infame, da caccia alle streghe, degno dei regimi polizieschi di sovietica memoria: un metodo “perfetto”, per far fuori chiunque sia scomodo, prendendo per buone le accuse di qualcuno che ce l’ha con te e, per distruggerti, riesuma episodi vecchi di trent’anni. Hai voglia a difenderti in tribunale: finisci alla berlina all’istante, emarginato». Sta accadendo a Woody Allen, ormai in difficoltà con la distribuzione del suo ultimo film, anche per colpa di «attori anche mediocri, o magari vincitori di un Oscar proprio grazie a lui, che oggi lo scaricano in una gara di zelo verminoso, come fosse un appestato da mettere al bando». Il guaio? «Questo meccanismo, fondato sulla delazione indiscriminata e senza controllo, rende tutti più vulnerabili». Un sospetto: «Penso che alcune “manine” americane abbiano soffiato sul fuoco, per creare un clima adatto a eliminare personaggi non graditi al potere». “Manine” americane, fino agli esecutori italiani: «Da noi, grazie all’ineffabile Minniti, sarà la polizia – non la magistratura – a stabilire se una notizia web è vera o no. Siamo al Ministero della Verità di Orwell, sembra di tornare ai tempi dell’Inquisizione». E nel frattempo, silenzio di tomba sulle notizie più indigeste. Bin Laden? Ma certo, il fanatico islamico: il capo dei cattivi.Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».
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Il segreto di Renaissance, misteriosi matematici miliardari
Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».Grazie alle conoscenze di matematici e informatici di alto livello, Renaissance Technologies è diventato un colosso finanziario senza uguali al mondo: fa molto meglio di personaggi come Ray Dalio e George Soros, con un patrimonio (nel 2015) di oltre 60 miliardi di dollari. L’importanza della Renaissance è confermata dalla giornalista Katherine Burton, di “Bloomberg”, tra le pochissime voci a far luce sulla realtà di questo hedge fund. Il funzionamento dei loro sistemi dipenderebbe da un algoritmo che sarebbe «tra i segreti meglio celati al mondo». Una setta esoterica di matematici pitagorici, hanno definito i misteriosi “uomini d’oro” della Renaissance: «Nessuno lascia quel posto di lavoro: per tenersi stretti i dipendenti è stato creato un fondo ad hoc a loro riservato». Da quando è nato, il fondo Medallion ha guadagnato in media il 40% l’anno. «Chi all’inizio ha investito 1.000 dollari, ora si ritrova in tasca circa 14 milioni». Il famoso “algoritmo misterioso” sfrutterebbe il “machine learning”, «una branca dell’intelligenza artificiale che affida ai computer la capacità di imparare da soli, senza il bisogno che siano programmati esplicitamente».Robert Mercer, che ha sostituito Simons alla guida del fondo, è un noto esponente dell’estrema destra americana. «Ha investito 11 milioni di dollari nel giornale online “Breitbart” ed è il fautore dell’applicazione del machine learning all’interno delle campagne elettorali», scrive “Money.it”. «Il banco di prova sono state le elezioni Usa nel 2016: non riusciamo ad immaginare quanti soldi abbia guadagnato Renaissance Technologies con l’“inaspettata” vittoria di Donald Trump». Senz’altro c’è di mezzo la fisica quantistica, il cui lontano antenato è probabilmente la proto-scienza alchemica, arte di cui era un maestro lo stesso Isaac Newton. Lo stesso nome, “Tecnologie del Rinascimento”, sembra amiccare al periodo di massima fioritura dell’esoterismo rosacrociano, ipotizza una ricercatrice indipendente come Lara Pavanetto. «La cosa che più di ogni altra sbalordisce, della Renaissance, è che non ne parla mai nessuno: è ricchissima e potentissima, ma sostanzialmente invisibile, inaccesibile ai media, lontanissima dal mondo dell’informazione finanziaria che invece, ogni giorno, dà conto delle imprese di Dalio, Soros e colleghi».Il fondo Medallion, scrive Pavanetto nel suo blog, è uno dei grandi misteri della finanza: secondo la leggenda, sarebbe nato da un investimento iniziale di appena 1000 dollari. «Gli investitori sono i dipendenti stessi della società, che gestisce altri tre fondi aperti a investitori istituzionali per un totale di 25 miliardi di dollari». La Renaissance Technologies è stata fondata dal matematico Jim Simons nel 1982. Simons è stato a capo del dipartimento di matematica dell’università di Stony Brook e professore anche al Mit e ad Harvard. Un’inchiesta di “Bloomberg” ha cercato di far luce su questa misteriosa entità, scoprendo che la società «è un avanzatissimo laboratorio di matematica, con computer, complesse basi statistiche e un esercito di laureati votati alla sistematica ricerca di anomalie sui vari mercati». Molti uomini della società “invisibile” sono acquartierati a sessanta miglia da Wall Street, vicino a Long Island. Palazzi da milioni di dollari, in un villaggio chiamato Old Field. «Gli abitanti del posto hanno però dato un altro nome a questo territorio: la Riviera del Rinascimento. Questo perché i più ricchi residenti della zona sono scienziati, e lavorano per Renaissance Technologies, con sede nella vicina East Setauket».Questi scienziati, per lo più matematici, «sono i creatori e sorveglianti del fondo più grande del mondo: Medallion», che ha circa 300 dipendenti, il 90% dei quali laureati in matematica. «Renaissance è la versione commerciale del Progetto Manhattan», spiega Andrew Lo, professore di finanza alla Sloan School of Management del Mit e presidente di AlphaSimplex, una società di “ricerca quantitativa”. Andrew Lo lavora per Jim Simons, per riunire tanti scienziati a caccia di profitti economici: «Questi matematici sono l’apice dell’investimento “Quant”. Nessun altro vi è nemmeno lontanamente vicino». Tutti hanno sentito parlare della Renaissance, ma quasi nessuno sa ciò che accade all’interno: «Ricordano i pitagorici, cioè una setta filosofica di matematici». Quasi nulla si sa di questo piccolo gruppo di scienziati, «il cui vasto patrimonio influenza sempre di più la politica degli Stati Uniti», scrive Pavanetto. Proprietari e dirigenti evitano le interviste. Il loro sembra un sistema unico al mondo, «per il genio e l’eccentricità della sua dirigenza». Esempio: «Peter Brown, uno dei boss, di solito dorme su un letto nel suo ufficio. Il suo omologo, Robert Mercer, raramente parla. I due sono laureati in matematica e teorici della famosa “teoria delle stringhe”».Il mistero dei misteri? «E’ il modo in cui Medallion è riuscito a garantire rendimenti annuali di quasi l’80 per cento in un anno, al lordo delle commissioni». La spiegazione? I computer di Renaissance “pensano”, oltre a fare calcoli. Gli uomini Renaissance hanno più dati e meglio organizzati. Dispongono di più indizi su cui basare le loro previsioni e vantano modelli migliori per l’allocazione del capitale. Prestano molta attenzione al costo dei vari trade e di come il trading si muova sui mercati. «Molti di questi scienziati sono partiti dalla Ibm nel lontano 1980, dove hanno usato l’analisi statistica per affrontare le sfide più scoraggianti all’epoca pionieristica dei computer». Tuttavia, aggiunge Pavanetto, non è chiaro come sia possibile che nessuna informazione sia mai trapelata, in un mondo come quello dell’alta finanza, dove molti modelli sono simili e i dipendenti migrano da un hedge fund all’altro, dalla Goldman Sachs alla Jp Morgan. Invece da Renaissence non se ne è andato mai nessuno, o se qualcuno l’ha fatto è rimasto muto come una tomba. Non c’è fuga di segreti perché, davvero, a guadagnarci sono solo i dipendenti?Se così fosse, secondo Lara Pavanetto si paleserebbe un mistero ancora più grande: «Il modello avrebbe forti dosi di componenti deterministiche e le ottimizzazioni stocastiche interverrebbero solo nella parte residuale di un ipotetico “decision tree”, il che violerebbe il principio della aleatorietà dei mercati». Come dire che alla Reinassence sarebbero in possesso della legge deterministica dei mercati. «Un cosa che somiglierebbe molto alla “pietra filosofale”, tenendo conto che tale modello sarebbe stato concepito in un’epoca in cui le capacita computazionali erano un’infinitesimo di quanto lo sono oggi». Pochi sanno che James Simons, il fondatore di Reinassence, all’inizio della sua carriera fu un crittografo, sottolinea Pavanetto. Simons lavorò per la difesa degli Stati Uniti prima di essere licenziato, apparentemente, per il suo dissenso (a mezzo stampa) sulla Guerra del Vietnam. «Fece i suoi soldi inizialmente tramite un investimento in Colombia, e poi con il fondo Limroy, un precursore del fondo Medallion. Ha sempre reclutato personale che non ha mai lavorato a Wall Street. I suoi investitori inizialmente furono gente come Jimmy Meyer, uno dei più vecchi amici di Simons, e Edmundo Esquenazi, uomo d’affari di origine ebraica che fondò società emblematiche come Pavco, Mexichem Resinas Colombia (ex Petco) e Propilco».Ma il nome di Simons, continua Pavanetto, sarebbe anche legato all’affare Madoff, la truffa dello schema Ponzi (il cui nome viene da quello di un immigrato italiano che, agli inizi del Novecento, per primo lo mise in atto su grande scala). Il gioco: promettere agli investitori alti guadagni ma in modo fraudolendo, cioè pagando coi soldi dei nuovi investitori gli interessi maturati dai vecchi investitori. «La truffa consisteva nel fatto che Madoff versava l’ammontare degli interessi pagandoli con il capitale dei nuovi clienti. Il sistema saltò nel momento in cui i rimborsi richiesti superarono i nuovi investimenti». Nell’ultimo periodo le richieste di disinvestimento avevano raggiunto i 7 miliardi di dollari, al punto che Madoff non fu più in grado di onorare la remunerazione degli interessi promessi. Attenzione: «La dimensione della truffa messa in piedi da Madoff è almeno tre volte più grande dell’ammanco causato dal crac Parmalat». Dopo averli ascoltati, la Sec (autorità di vigilanza finanziaria) ha poi deciso di non procedere contro molti “senior partners” della Reinassence come Paul Broder, Henry Laufer, Nat Simons (figlio di Jim), Jimmy Meyer e vari “portfolio managers” del Meritage Fund, “gemello” di RenTech, uno dei fondi Reinassence.«Ciò che sorprende di più – scrive Pavanetto – è che la Renaissance Technologies non ha mai fatto cenno alla Sec», anche se Jimmy Meyer era «uno dei più vecchi amici di Jim Simons». Altra stranezza, infine: le strane morti attorno al mondo Reinassance. Due dei quattro figli dello stesso Jim Simons perdono la vita prematuramente Paul Simons muore nel 1996 investito da un’auto e suo fratello Nicholas annega nel 2003 nelle acque di Bali. Tre anni dopo, nel 2006, Alexander Astashkevich, impiegato (russo) di RenTech, uccide se stesso e sua moglie. Nel 2014 viene trovato impiccato William Broeksmit, un dipendente della Deutsche Bank che gestiva le opzioni di paniere di RenTech oggetto dell’investigazione americana Irs. «Le e-mail di Broeskmits che spiegavano l’uso del commercio da parte di RenTech sono state fornite agli investigatori statunitensi prima della sua morte», scrive Pavanetto, che cita anche l’ultima delle “strane morti”, quella di Scott Christianson, avvocato e giornalista, deceduto il 14 maggio 2017 “cadendo dalla scala di casa” doppo aver pubblicato, con il collega Greg Gordon, «un’indagine approfondita sui legami tra il presidente Donald Trump e il magnate dell’hedge fund Medallion Robert Mercer».Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».
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Ma la bufera sulle logge non sfiora la massoneria che conta
«Aboliamo la massoneria», titola “L’Espresso”, di fronte all’offensiva della commissione antimafia guidata da Rosy Bindi, dopo la denuncia di una trentina di massoni calabresi “dissidenti”, usciti allo scoperto in seguito a un’indagine su riciclaggio e narcotraffico. «Un’inchiesta politica e giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 mette sotto scacco il mondo degli incappucciati», scrive il settimanale di De Benedetti. « E la commissione antimafia vuole i nomi degli affiliati: era ora, ma non basta». Il reportage di Gianfrancesco Turano, che documenta l’attività investigativa allora in corso, risale a una anno fa e fotografa alla perfezione il clamore suscitato dalla Bindi, a mezzo stampa: «C’è da sperare che venga rieletta: in politica farebbe comunque meno danni che all’università, dove tornerebbe a insegnare», commenta sarcastico il massone Gianfranco Carpeoro, saggista, già a capo dell’autodisciolta Gran Loggia Serenissima di Piazza del Gesù. Carpeoro (al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso) è uno spietato giudice dei grembiulini nazionali: «Quella italiana è la peggior situazione massonica al mondo: quando va bene, entrare in una loggia oggi significa perdere il proprio tempo». Ancora più caustico un altro massone progressista, Gioele Magaldi, che contesta l’ipocrisia del sistema politico-mediatico: «Se la prendono sempre con le logge provinciali, fingendo di non sapere che i massimi vertici dello Stato militano nelle Ur-Lodges sovranazionali che hanno imposto all’Italia la tragedia dell’austerity».«Ci vogliono mettere il triangolo rosso come ai tempi delle persecuzioni naziste», protesta il gran maestro del Goi, Stefano Bisi, a capo di 23.000 affiliati distribuiti in oltre 800 logge. Sull’“Espresso”, Turano sostiene che le nuove indagini «hanno stretto i liberi muratori in una morsa politico-giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 (marzo 1981) quando Licio Gelli, il “venerabile” per eccellenza, gestiva un potere occulto, alternativo allo Stato democratico, raccogliendo un’oligarchia di deputati, ministri, generali, imprenditori e criminali che si erano sottratti alle leggi della Repubblica». Il giornale cita lo storico Aldo Mola, secondo cui la P2 non era affatto una loggia coperta, ma una cellula speciale regolarmente affiliata al Goi, con tre caratteristiche. «Primo: l’iniziazione non avveniva in loggia. Secondo: non c’era diritto di visita, ossia altri fratelli non potevano visitare la loggia. Terzo: non c’era obbligo di riunioni. Infatti la P2 non si è mai riunita». La loggia di Gelli, afferma Mola, era una replica della loggia Propaganda, costituita nel 1877 «come vetrina e fiore all’occhiello del Goi, tanto che i fratelli erano dispensati dal pagare le quote». Peraltro, si trattava di “capitazioni” ridicole: «Il cantante Claudio Villa versava 2 mila lire all’anno e lo scrittore Roberto Gervaso 60 mila. Erano somme piccole anche negli anni Settanta».Finisce lì, l’analisi sulla P2 offerta dall’“Espresso”. Secondo Gioele Magadi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) la P2 non era altro che il braccio operativo della superloggia sovranazionale “Three Eyes”, fondata da Kissinger e Rockefeller, “mente” storica della supermassoneria globalista neo-reazionaria, che avrebbe affiliato – tra gli altri – Giorgio Napolitano. Un circuito potentissimo, quello delle Ur-Lodges di ispirazione neo-aristocratica, che terrebbe insieme politici e tecnocrati, da Monti a Draghi passando per D’Alema e per il governatore Visco di Bankitalia, inclusi tutti i recenti ministri dell’economia (da Siniscalco a Grilli, da Saccomanni a Padoan), ridotti a cinghie di trasmissione dei diktat neoliberisti del super-potere globalista, quello delle crisi finanziarie e della disoccupazione di massa. Lo stesso Carpeoro, che nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione) svela i retroscena ben poco islamici degli attentati europei firmati Isis (chiamando in causa settori dell’intelligence Nato), sostiene che la P2 di Gelli serviva a “coprire” il vero ponte di comando del potere: «Si tratta della loggia P1, mai scoperta ufficialmente, responsabile della “sovragestione” che ha eterodiretto in Italia la strategia della tensione e poi la crisi degli ultimi anni».Fatevi qualche domanda, insiste Carpeoro: «Non è strano che nessun giornale, nemmeno per sbaglio, abbia mai evocato la P1?». La lettera P, come scrive lo stesso Mola, sta per “propaganda”: doveva essere una vetrina di iscritti prestigiosi, destinati a dare lustro al Grande Oriente. «E allora che senso ha, poi, fare la P2 e tenerla nascosta?». In proposito, Carpeoro ha le idee chiare: «Un tempo, ogni anno, la massoneria apriva le porte delle logge alla cittadinanza, ricordando i massoni illustri che avevano fatto qualcosa di meritevole per la loro città». Dal canto suo, Magaldi contesta il farisaismo della politica italiana: «Questo è uno Stato nato dalla massoneria risorgimentale», e non solo: era notoriamente massone Meuccio Ruini, capo della commissione per la Costituente, così come il giurista Pietro Calamandrei, uomo simbolo dell’antifascismo e della rinascita democratica del paese. Era massone – trentatreesimo grado del Rito Scozzese – lo stesso Giacomo Matteotti, martire antifascista, come ricorda Carpeoro nel saggio “Il compasso, il fascio e la mitra” (Uno Editori), che documenta lo strano “inciucio” tra massoneria e Vaticano all’origine del regime di Mussolini – col placet del sovrano Vittorio Emanuele III, che in cambio avrebbe intascato una maxi-tangente petrolifera dalla Sinclair Oil della famiglia Rockefeller.Grandi poteri, non beghe di cortile: il reportage dell’“Espresso” cita solo di striscio il drammatico caso Mps, che ha coinvolto il Goi nelle recenti inchieste. «Politica e giornali hanno attaccato il gran maestro Stefano Bisi – protesta Magaldi – guardandosi bene dal citare Anna Maria Tarantola e Mario Draghi, cioè i due tecnocrati allora ai vertici di Bankitalia che avrebbero dovuto vigilare sulle azioni del Montepaschi». Peggio: sul caso incombe la strana morte di David Rossi, alto funzionario della banca senese, precipitato da una finestra. Un suicidio da più parti ritenuto inverosimile, che secondo Carpeoro (intervistato da Fabio Frabetti di “Border Nights”) lascia pensare a una guerra inframassonica senza esclusione di colpi, tutta interna all’ala destra della supermassoneria internazionale oligarchica: «Da una parte il gruppo di Draghi, e dall’altra i suoi antagonisti, che probabilmente vogliono metterlo in difficoltà – con la tempesta su Mps – per poi arrivare a sostituirlo». Carpeoro e Magaldi, massoni entrambi (il primo uscito dal circuito delle logge, il secondo fondatore del Grande Oriente Democratico, che punta a creare una massoneria trasparente) sono tra i pochissimi a spiegare, in modo convincente, un mondo di cui sui giornali continua a non esservi traccia.Lo stesso libro “Massoni” (sottotitolo, “La scoperta delle Ur-Lodges”), dopo infinite ristampe che ne hanno fatto un bestseller italiano è stato recensito soltanto dal “Fatto Quotidiano”, nel silenzio assordante della grande stampa mainstream, quella che poi si scatena sulle inchieste che coinvolgono le periferie massoniche provinciali. «Come tutte le associazioni umane, anche la massoneria si degrada se smarrisce lo scopo iniziale e si riduce a essere una struttura, che poi diventa inevitabilmente appetibile per il potere», sintetizza Carpeoro: «L’architetto Christopher Wren, capo della massoneria inglese incaricato di ricostruire Londra dopo l’incendio che la distrusse nel 1666, riprogettò tutti i maggiori edifici tranne uno, il tempio massonico. Il 1717 è ufficialmente la data di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della sua morte». Magaldi non concorda appieno: «Dobbiamo a quella massoneria la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione Americana e persino la Rivoluzione d’Ottobre che abbattè lo zarismo. Lo Stato laico, la democrazia elettiva: valori che oggi diamo per scontati, ma che nascono dalla libera muratoria del ‘700».Per questo, sostiene Magaldi, è assolutamente disonesto sparare sulla massoneria tout-court. E lo dice uno che l’ha messa in croce, per iscritto, la supermassoneria oligarchica “contro-iniziatica” che ha letteralmente inquinato l’Occidente, sabotandone il percorso democratico. Nel suo libro, Magaldi ascrive alle Ur-Lodges reazionarie il colpo di Stato del massone Pinochet in Cile (contro il massone Allende) e il doppio omicidio di Bob Kennedy e del massone Martin Luther King, nonché i tentativi di golpe nell’Italia del dopoguerra, orchestrati con la collaborazione della P2 di Gelli su mandato della “Three Eyes”. Capolavoro europeo dell’offensiva neo-oligarchica, l’omicidio del premier svedese Olof Palme, assassinato nel 1986 alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu, come segretario generale. «Socialista democratico – sottolinea Carpeoro – Palme era un trentatreesimo grado del Rito Scozzese». Poco prima del delitto, Gelli inviò un telegramma negli Usa per avvertire che «la palma svedese» sarebbe stata abbattutta. «Il telegramma – scrive Carpeoro – era destinato a Philip Guarino, parlamentare allora vicino al politologo Michael Ledeen, massone e membro del B’nai B’rit sionista, negli anni ‘80 vicino a Craxi e poi a Di Pietro, quindi a Renzi ma al tempo stesso anche a Di Maio e Grillo».«Se Olof Palme fosse rimasto in campo, mai e poi mai avremmo visto nascere questo obbrobrio di Unione Europea», scommette Carpeoro, intenzionato – con Magaldi e il Movimento Roosevelt – a promuovere un convegno, a Milano, proprio sulla figura del leader svedese, «l’uomo che creò il miglior welfare europeo e scongiurò la disoccupazione impegnando direttamente lo Stato nelle imprese in crisi: la sua missione dichiarata era “tagliare le unghie al capitalismo”, contenerlo e limitarne l’egemonia». Non poteva non sapere, Olof Palme, che all’inzio degli anni ‘80 l’intera comunità delle potentissime Ur-Lodges, comprese quelle di ispirazione progressista, aveva firmato lo storico patto “United Freemasons for Globalization”, che diede il via alla mondializzazione definitiva dell’economia, archiviando decenni di diritti e conquiste democratiche. Era scomoda, la “palma svedese”: andava “abbattuta”. Per mano di fratelli massoni? «Nella ritualistica, l’iniziazione del maestro rievoca l’uccisione del mitico architetto Hiram Abif, assassinato proprio da due confratelli», sottolinea Carpeoro. «Lo stesso organizzatore del delitto Matteotti, il massone Filippo Naldi, fece in modo – con estrema perfidia – che fossero massoni i killer del leader socialista, massone anche lui».Analisi e retroscena, spiegazioni, ragionamenti in controluce che permettono di rileggere la storia da un’altra angolazione. Nulla che si possa rintracciare, tuttora, nella stampa mainstream. «Di certo Gelli, a poco più di un anno dalla sua morte, sembra avere seminato anche troppo bene», si limita a scrivere Turano sull’“Espresso”. «Come alla fine dell’Ottocento, è tornato di moda il motto del garibaldino e deputato Felice Cavallotti: “Non tutti i massoni sono delinquenti, ma tutti i delinquenti sono massoni”». Garibaldi, passato alla storia (spesso agiografica) come “l’eroe dei due mondi”, fu il primo gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Un altro massone, Cavour, fu il “cervello” del Risorgimento: se non fosse morto prematuramente, sostiene Carpeoro, non avremmo vissuto in modo così drammatico l’Unità d’Italia, con il Sud martizizzato dal militarismo di La Marmora e Cialdini e l’esodo di milioni di migranti. Massoni “delinquenti”? «Erano massoni anche Gandhi, Papa Giovanni XXIII e Nelson Mandela», protesta Magaldi. Problema: la storia ufficiale non ne fa cenno. Risultato: per il potere, il miglior massone resta il massone occulto, segreto. E per la gran parte dell’opinione pubblica italiana, la massoneria resta un mondo opaco e borderline, tra le indagini antimafia e il fantasma di Gelli. Anche per questo, grazie al silenzio dei media, la massoneria mondiale – quella vera – continuerà a stabilire a tavolino cosa deciderà il prossimo G20, che politica farà la Bce, come agirà Macron in Francia e cosa dichiarerà il Fondo Monetario Internazionale sulle pensioni italiane, a prescindere dalle prossime elezioni.«Aboliamo la massoneria», titola “L’Espresso”, di fronte all’offensiva della commissione antimafia guidata da Rosy Bindi, dopo la denuncia di una trentina di massoni calabresi “dissidenti”, usciti allo scoperto in seguito a un’indagine su riciclaggio e narcotraffico. «Un’inchiesta politica e giudiziaria senza precedenti dai tempi della P2 mette sotto scacco il mondo degli incappucciati», scrive il settimanale di De Benedetti. « E la commissione antimafia vuole i nomi degli affiliati: era ora, ma non basta». Il reportage di Gianfrancesco Turano, che documenta l’attività investigativa allora in corso, risale a una anno fa e fotografa alla perfezione il clamore suscitato dalla Bindi, a mezzo stampa: «C’è da sperare che venga rieletta: in politica farebbe comunque meno danni che all’università, dove tornerebbe a insegnare», commenta sarcastico il massone Gianfranco Carpeoro, saggista, già a capo dell’autodisciolta Gran Loggia Serenissima di Piazza del Gesù. Carpeoro (al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso) è uno spietato giudice dei grembiulini nazionali: «Quella italiana è la peggior situazione massonica al mondo: quando va bene, entrare in una loggia oggi significa perdere il proprio tempo». Ancora più caustico un altro massone progressista, Gioele Magaldi, che contesta l’ipocrisia del sistema politico-mediatico: «Se la prendono sempre con le logge provinciali, fingendo di non sapere che i massimi vertici dello Stato militano nelle Ur-Lodges sovranazionali che hanno imposto all’Italia la tragedia dell’austerity».
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Serve il coraggio politico di credere in un sogno realizzabile
E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.Inutile girarci attorno, inutile pensare di rimandare le prese di coscienza; per quante precauzioni e attenzioni del caso si possano prendere, la situazione è chiara: inquinamento alle stelle con conseguente deterioramento della salute e della qualità della vita, veloce esaurimento delle risorse, distruzione dell’ambiente, rischio desertificazione ed emergenza idrica, cambiamenti climatici fuori controllo che aggraveranno la situazione, cementificazione galoppante, persone sempre più prive di senso e stressate, in preda a mille paure e insicurezze dettate da un mondo che ha come unica direzione e obiettivo il vivere per i soldi e fregare il prossimo. E non si tratta di catastrofismo o allarmismo, è la situazione attuale, chiara e limpida, almeno per chi non crede ai telegiornali di regime e conseguente voce del padrone.Di fronte a questa situazione ci sono opportunità per invertire la rotta e fare del nostro paese un giardino fiorito e sono opportunità che danno le maggiori sicurezze e reali ricchezze. Ad oggi, conti alla mano, non c’è politica più lungimirante e foriera di risultati che puntare a quello di cui l’Italia ha potenzialità immense. Non ci sono campi di intervento e con garanzie di risultati maggiori di quelli del campo ambientale e nella fattispecie quelli legati alle energie rinnovabili, efficienza energetica e risparmio energetico. Puntando decisamente anche solo su questi settori, si riassorbirebbe gran parte della disoccupazione e si farebbe ripartire la vera economia che è quella che ha cura, non quella che distrugge. Ma con questi settori saremmo solo all’inizio; ci sarebbe poi il risparmio idrico, assolutamente fondamentale, poi l’agricoltura biologica da diffondere ovunque che è già uno dei pochi settori che scoppia di salute e che viene sempre più richiesto, con conseguente valorizzazione delle eccellenze locali che in Italia vuol dire agire dappertutto. Poi valorizzazione e salvaguardia del territorio che significa anche turismo di qualità ed inoltre riutilizzo, riuso, e recupero delle risorse in ogni forma e specificità per dare respiro ad una terra sempre più saccheggiata. Si tratta quindi di un vero e proprio progetto politico e culturale di rinascita con solide basi economiche e dalle grandi prospettive.Chiamatelo new deal verde, così è più cool, chiamatelo come vi pare ma da questa prospettiva non si scappa e prima ci si dirige velocemente e prima si salva il paese e si ottiene più consenso. Agire politicamente in questa direzione può spaventare solo i ladri, i disonesti o coloro a cui non interessa nulla nemmeno della sorte dei propri figli. Chiunque, onesto e serio, compresa anche la casalinga di Voghera, è in grado di capire e recepire la fattibilità e la lungimiranza di una politica in questo tipo poiché c’è tutto dentro. Ci sono i valori, c’è la salute, c’è l’occupazione, c’è l’economia, c’è il rispetto per l’ambiente e per gli altri, c’è la qualità della vita, c’è il senso di appartenenza e di comunità, c’è il genio italico, c’è la valorizzazione del territorio, c’è il non fare rimanere indietro nessuno, c’è la preservazione di quello che abbiamo per i nostri figli e nipoti, c’è la visione allargata che riesce ad abbracciare anche chi è lontano ma che può beneficiare delle conseguenze positive di quello che può fare un paese che si incamminasse decisamente in questa direzione, c’è la conservazione della memoria storica, c’è la salvaguardia e la valorizzazione del nostro immenso e meraviglioso patrimonio culturale. C’è tutto quello che può fare felici e serene le persone.Non si dica che è prematuro, che è troppo presto, che non è fattibile, che gli italiani non sono pronti, che non lo capirebbero, che si spaventerebbero, perché tanti lo hanno già capito e sono semmai sempre più spaventati davvero dal resto che hanno compreso li porterà dritti nel baratro. Quale infatti è l’alternativa a questa politica? Continuare a costruire in un paese già tutto cementificato e ad ogni alluvione piangere i morti? Continuare a costruire automobili e ad ogni statistica sull’inquinamento piangere i morti? Produrre e vendere oggetti e servizi superflui che impoveriscono le persone e non fanno che alimentare discariche e inceneritori e anche qui poi piangere i morti? Continuare ad inquinare tutto compreso il nostro meraviglioso mare? Dare lavori dannosi e insensati alle persone che le rendono infelici e preda di mutui e incombenze di ogni tipo, in grado di rovinare anche la famiglia più coesa? Non c’è nessuna prospettiva, tantomeno politica, nel percorrere una strada del genere. Tutto ciò non ha alcun futuro e sarà solo un infelice passato.(Paolo Ermani, “Il coraggio politico di credere a un sogno realizzabile”, da “Il Cambiamento” del 12 gennaio 2018).E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.
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Povera Europa, plaude alle “lezioni” del suo killer: la Merkel
Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremo a memo (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha visto crollare il suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra teologica al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.Una vera festa, la spettacolare crisi italiana, per l’industria tedesca che ha fatto shopping a prezzi di saldo accaparrandosi quote rilevanti dell’eccellenza del “made in Italy”, altro classico esempio di “cooperazione” ordoliberista di stampo teutonico. «La Germania è un problema cronico e fisiologico per l’Europa», sostiene Paolo Barnard, «proprio a causa del suo tipo di economia sbilanciato verso l’export». Il che significa compressione dei salari in patria (gli scandalosi mini-job da 450 euro mensili) e aggressività competitiva verso i paesi confinanti, trattati come colonie a cui rubare fatturato e sottrarre la miglior forza lavoro di formazione universitaria avanzata, dando vita al flagello della “fuga dei cervelli”. «I personaggi come la “sorella” Angela Merkel, esponente della Ur-Lodge reazionaria Golden Eurasia, sono i veri nemici dell’Europa unita, i veri e irriducibili antieuropeisti», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela i retroscena supermassonici del vero potere neoliberista. «Quelli che vengono spacciati per statisti sono in realtà pedine di interessi esclusivamente privati, che traggono i massimi profitti proprio dalla distruzione dell’unità europea: assistiamo infatti a una spietata concorrenza fra Stati, di cui il neo-mercantilismo tedesco è l’espressione più tristemente significativa».Sempre la Germania, racconta l’economista Nino Galloni (vicepresidente del Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi) ottenne – dalla Francia di Mitterrand, in cambio della rinuncia al marco – il via libera per la deindustrializzazione progressiva dell’Italia, cioè del massimo antagonista del sistema manifatturiero tedesco. E’ questa la motivazione di fondo – squisitamente industriale e concorrenziale – dietro alle politiche di austerity dell’Ue a trazione tedesca, che hanno tentato ininterrottamente di demolire il sistema economico italiano. E’ il Belpaese il vero bersaglio degli eurocrati tedeschi come Angela Merkel, ai piedi dei quali si sono genuflessi i vari Letta, Renzi e Gentiloni, dopo il “ko tecnico” procurato a Monti e Napolitano, commissari italiani del super-potere che tiene in scacco l’Europa utilizzando Berlino come cane da guardia. Per questo, le affermazioni della cancelleria a Davos suonano sincere quanto le parole del killer al funerale della propria vittima: «Nel mondo c’è tr6oppo egoismo nazionale», scandisce la professoressa. «Fin dai tempi dell’Impero Romano e della Grande Muraglia sappiamo che limitarci a rinchiuderci non aiuta». Viste dalla Grecia ridotta alla fame, queste parole – in una ipotetica, seconda Norimberga – assicurerebbero ad Angela Merkel una fucilazione di prima classe, con tutti gli onori che spettano ai grandi traditori.Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremmo a meno (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha assistito al crollo epocale del suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra “teologica” al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.
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Bagnai: Moscovici mente sul deficit, Parigi spende più di noi
C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.Portare il deficit oltre il 3% del Pil «sarebbe un controsenso», questo perché il tetto del 3% avrebbe un significato preciso, quello di evitare che il debito slitti ulteriormente, e quindi le elezioni italiane provocherebbero un «rischio politico» dato che da noi alcuni partiti si stanno interrogando sulla fondatezza di queste regole? Le dichiarazioni di Moscovici «sono non solo inopportune politicamente (come perfino Tajani è stato costretto ad ammettere, dando prova di buon senso e di un minimo di orgoglio nazionale), ma del tutto infondate sotto il profilo economico e anche storico», scrive Bagnai su “Goofynomics”. Tanto per cominciare, «prima di fare lezioncine, bisognerebbe verificare di essere stati coerenti con i principi che si sbandierano a beneficio degli altri paesi (ma che in patria ci si è guardati bene dall’applicare)». Bagnai esibisce un grafico eloquente, che mostra numeri impietosi: «Numeri che la nostra stampa, molto sensibile e accondiscendente verso interessi esterni al nostro paese, naturalmente non vi dà». Nel 2009 la spesa pubblica italiana rappresentava il 5% del Pil nazionale, mentre quella francese superava il 7%.Parigi è stabilmente sopra Roma, nel volume di spesa: anche in regime di austerity, a partire dal 2012, il deficit pubblico francese è sopra il 4%, mentre quello italiano è inchiodato al 3%. Di più: grazie alla “cura” dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, l’Italia della disoccupazione-record (milioni di persone senza più un lavoro) dal 2015 è scesa al di sotto del 3% (dati ufficiali Fmi), mentre la Francia resterà al di sopra di quella soglia anche nel 2019. Un grafico esauriente, quello mostrato da Bagnai: «Potrete inciderlo su una lastra di piombo, da arrotolare e sbattere sul musetto dei botoli ringhiosi dell’austerità». I francesi «sono sempre stati sopra a noi, e sempre oltre il parametro di Maastricht, con in più il fatto che il divario fra loro e noi è destinato ad aumentare». Secondo il Fondo Monetario Internazionale «saremo sempre più “virtuosi” di loro, oltre che in regola con Maastricht già da sei anni». Attenzione: «Sei anni di sacrifici che l’Europa ci riconosce così, sberteggiandoci». L’Italia, conclude Bagnai, «sarà un paese libero quando un giornalista vi darà i numeri che trovate qui».C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.
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Il Ministero della Verità: proteggere le fake news di regime
Stampa e politica tacciono o mentono? Logico, quindi, che chiamino “fake news” i brandelli di verità che emergono dal web. A cui ora dichiarano guerra: ma solo per finta, dice Marco Travaglio, perché siamo pur sempre in Italia, «dove ogni dramma diventa melodramma e ogni tragedia si muta in farsa». Si chiama Cnaipic, Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche, l’ufficio varato dal ministro dell’interno Marco Minniti e dal capo della polizia, Franco Gabrielli: un nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le “fake news”. L’idea che a decidere quali news sono “fake”, cioè false, siano il Viminale e la polizia di Gabrielli – ammette Travaglio, sul “Fatto” – allarma un po’: «Riporta alla mente il “ministero della Verità” di George Orwell in “1984”, che fra l’altro spacciava “fake news” a tutto spiano, le più pericolose e imperiture perché consacrate dal timbro dell’ufficialità». I celebri slogan del ministero orwelliano: “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”. Sembra la “neolingua” di ogni propaganda governativa: «È anche il sogno del nostro pericolante e tremebondo regimetto, in vista delle elezioni che potrebbero spazzarlo via dalla faccia della terra». Dunque che faranno le forze dell’ordine? «Disperderanno le presunte “fake news” con gli idranti? Le calpesteranno con plotoni di carabinieri a cavallo?».Niente paura, dice Travaglio: siamo in Italia. «La mirabolante guerra alle “fake news” sarà affidata a una decina di appuntati chiusi in un commissariato». I quali, nei ritagli di tempo, «raccoglieranno le segnalazioni dai privati che si sentiranno offesi dal tal sito, blog, social network; dopodiché dovranno rivolgersi al server per convincerlo a cancellare tutto e, se quello opporrà resistenza, chiameranno un pm perché indaghi sull’eventuale contenuto diffamatorio del messaggio incriminato ed eventualmente sequestri il corpo del reato (la “fake news”) o l’arma del delitto (il sito o la pagina Facebook, Twitter, Instagram». Già, perché «è dato per scontato che le “fake news” siano un’esclusiva della Rete». Invece, come noto, stampa e telegiornali «sono dei pozzi di scienza e verità, scevri come sono da conflitti d’interessi e da intenti propagandistici». Lo stesso sito della polizia di Stato suona l’allarme: in campagna elettorale «assistiamo a un’impennata nella diffusione di “fake news” via Internet e social network». Notizie «prive di fondamento, relative a fatti o personaggi di pubblico interesse», diffuse via web «al solo scopo di condizionare fraudolentemente l’opinione pubblica». L’ultimo esempio in ordine di tempo, aggiunge la polizia, «ha interessato la presidente della Camera, Laura Boldrini».E ti pareva, commenta Travaglio, citando – sempre dal sito della polizia – il fatto che, ai danni della Boldrini, è circolata su WhatsApp «la bufala virale secondo cui un ragazzo di 22 anni senza adeguate referenze professionali, presunto nipote della presidente, sarebbe stato assunto a Palazzo Chigi». Davvero? «La classica bufala a cui credono poche migliaia di gonzi», scrive il direttore del “Fatto”. Bufala comunque «mai ripresa da giornali o tg, dunque innocua». Invece, «contro le balle dei giornaloni, che di solito si muovono a testuggine, ripresi poi da tutti i tg, nulla è previsto». Per lorsignori, da Minniti in giù, il problema semplicemente non esiste: «E ci mancherebbe, visto che giornaloni e tg li controllano loro e spacciano solo le “fake news” che vogliono loro». C’è poi un altro non trascurabile aspetto, aggiunge Travaglio: «Che si fa, se le “fake news” le raccontano direttamente i politici? La polizia irrompe negli studi televisivi per imbavagliarli e ristabilire ipso facto la verità?». Interverrebbero i carabinieri, ad ammutolire Berlusconi quando svanvera sulla “flat tax”, sulla lotta all’evasione e sulla prossima abolizione dell’Imu (prima casa) già abolita due anni fa?Se poi la guerra alle “fake news” fosse retroattiva, continua Travaglio, «non vorremmo essere nei panni di Renzi che, tra un “Enrico stai sereno” e un “Se vince il No lascio la politica”, dovrebbe subire il sequestro della lingua a vita». Infine ci sarebbero anche «le “fake news” sulle “fake news”, tipo le balle senza prove sul mandante Putin, per nascondere le vere interferenze straniere nelle elezioni italiane: quelle degli americani e dei governi europei, ma anche della Ue (ultimo esemplare: il commissario Moscovici, lo stesso Nostradamus che nel 2016 vaticinò l’apocalisse “populista” in caso di No al referendum)». Ma di questo, chiosa il direttore del “Fatto Quotidiano”, «si occuperà senz’altro la “task force europea contro le fake news” istituita da Juncker al quarto whisky e composta da 39 “esperti”, fra cui Gianni Riotta. Quindi tranquilli, siamo in buone mani». Con tutto ciò, ovviamente, si evita di regimare in qualche modo il web, dove Facebook resta l’unico proprietario dei contenti su ogni pagina personale, e dove qualsiasi “cecchino” protetto da “nick name” può insultare chiunque: tanto, la legge – che c’è da sempre, e sanziona il reato di diffamazione – sul web non la fa rispettare nessuno. Meglio, appunto, la task force (elettorale) contro la bufala governativa delle “fake news”.Stampa e politica tacciono o mentono? Logico, quindi, che chiamino “fake news” i brandelli di verità che emergono dal web. A cui ora dichiarano guerra: ma solo per finta, dice Marco Travaglio, perché siamo pur sempre in Italia, «dove ogni dramma diventa melodramma e ogni tragedia si muta in farsa». Si chiama Cnaipic, Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche, l’ufficio varato dal ministro dell’interno Marco Minniti e dal capo della polizia, Franco Gabrielli: un nuovo servizio di segnalazione istantanea contro le “fake news”. L’idea che a decidere quali news sono “fake”, cioè false, siano il Viminale e la polizia di Gabrielli – ammette Travaglio, sul “Fatto” – allarma un po’: «Riporta alla mente il “ministero della Verità” di George Orwell in “1984”, che fra l’altro spacciava “fake news” a tutto spiano, le più pericolose e imperiture perché consacrate dal timbro dell’ufficialità». I celebri slogan del ministero orwelliano: “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”. Sembra la “neolingua” di ogni propaganda governativa: «È anche il sogno del nostro pericolante e tremebondo regimetto, in vista delle elezioni che potrebbero spazzarlo via dalla faccia della terra». Dunque che faranno le forze dell’ordine? «Disperderanno le presunte “fake news” con gli idranti? Le calpesteranno con plotoni di carabinieri a cavallo?».
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Se Cardini deforma i Catari: quella strage fa ancora paura?
«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.La crociata è stata invece pienamente giustificata, e alle perplessità espresse da Paolo Mieli sul fatto che si trattava di combattere contro dei cristiani, il professor Cardini ha risposto prontamente che i catari erano peggio degli infedeli, dato che – riporto le sue testuali parole: «con la loro azione impediscono ai cristiani di darsi alla guerra contro gli infedeli e quindi sono degli obiettivi alleati degli infedeli, però sono peggiori degli infedeli in quanto sono dei traditori della loro fede». Non si sa se ridere o piangere, tanta è l’insensatezza di quello che dice. L’odio di Cardini per i catari traspare da mille indizi, come quest’altra perla: «Vengono da Oriente, esattamente come la lebbra». Come non pensare qui a quelle splendide parole di Dante, che a proposito del luogo di nascita di San Francesco scrive:“Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole” (Paradiso XI, 49-54). Da Oriente viene la luce, e da un punto di vista spirituale ha un significato simbolico altissimo, basti pensare che anticamente le chiese dovevano essere “orientate”, ovvero costruite in modo che il fedele fosse rivolto verso Oriente. Ma siccome da Oriente vengono i catari – Cardini dice infatti che venivano chiamati «bulgari», cosa che è vera – allora si è sentito in dovere di aggiungere: «come la lebbra».Cardini evidentemente crede alle calunnie che all’epoca venivano diffuse sui catari. Ma è possibile che uno storico non sappia che i vincitori hanno sempre demonizzato e criminalizzato i vinti? Possibile che non sappia che non si possono ritenere affidabili al cento per cento le fonti, quando queste sono solo trattati scritti dagli inquisitori e verbali delle dichiarazioni rilasciate – magari sotto tortura – nei processi? Possibile che non sappia che da vent’anni è in atto una riscrittura di quella storia, con toni molto più amichevoli nei confronti dei catari e del loro cristianesimo aperto al dialogo, libero e gioioso? Cardini tutto questo lo ignora, e giustifica la crociata e l’Inquisizione. Certamente la Chiesa ha il diritto di pretendere l’ortodossia da parte dei fedeli. Ma anche di torturare e uccidere chi la pensa diversamente??? E non è tutto: era una trasmissione sull’eresia dei catari, ma non è stata spesa una parola sul catarismo italiano, che, come riferiscono già le fonti dell’epoca, era assai più consistente che non quello occitano. E allora ci dobbiamo chiedere: lo sa il professor Cardini? Se lo sa, è grave il fatto che non ne abbia parlato. Se non lo sa, è gravissimo.Quella del catarismo italiano è una storia affascinante, che si inserisce nelle lotte tra guelfi e ghibellini, dove nelle città rette dai ghibellini non erano ammessi i tribunali dell’Inquisizione. Contro gli inquisitori ci furono sommosse popolari in quasi tutte le città italiane, e qui l’Inquisizione operò per secoli, fino a tutto il Quattrocento. Poi ci sono gli aspetti macabri, come i processi postumi (famoso quello a Farinata degli Uberti), e le considerazioni sull’impoverimento che tutto ciò ha causato, impoverimento di cui soffriamo ancora oggi. Passato e presente è il nome della trasmissione, quasi a voler suggerire che il passato pesa sul presente. E questa pagina del passato, questa pagina grondante sangue, pesa ancora enormemente, nonostante gli sforzi della Chiesa e dei suoi lacchè per farla dimenticare. Ero talmente indignata e arrabbiata ad ascoltare simili parole in una trasmissione che trovo di alto livello e che seguo da tempo con interesse che ho deciso di scrivere a Paolo Mieli, il conduttore.Non mi aspettavo una risposta: avevo più che altro bisogno di sfogare la mia delusione. E invece ha risposto subito, con una mail molto gentile, scusandosi dei «giudizi sommari» e informandomi che cercheranno «di riparare anche tenendo conto dei suoi lavori e delle sue osservazioni». Vedremo. Sarebbe bello se la televisione pubblica, attraverso quello che è forse il suo programma più raffinato e serio di trasmissione della cultura, facesse luce su questa pagina tragica, dolorosa ma importantissima della nostra storia. E desse voce anche alle tante iniziative che dal Cuneese al Veneto, da Milano a Firenze stanno sorgendo, promosse non solo da professori, ma anche da cittadini che vogliono conoscere e far conoscere la storia del territorio in cui vivono e che, scoprendovi le tracce della presenza degli eretici catari sentono, come è già successo nella Francia del Sud, che non è una macchia da nascondere bensì una realtà di cui andar fieri.(Maria Soresina, “I catari la crociata… se la sono cercata!”, dalla pagina Facebook del progetto “Bogre”, documentario che Fredo Valla sta girando – fra Bulgaria, Italia e Francia – sull’eresia medievale cristiano-dualistica dei bogomili e dei catari, facendo appello anche al crowdfung attraverso il portale “Produzioni dal basso”. Storica milanese, Maria Soresina è consulente del progetto cinematografico; ha pubblicato importanti libri come “Le segrete cose. Dante tra induismo ed eresie medievali” e “Libertà va cercando. Il catarismo nella poesia di Dante”, pubblicati da Moretti & Vitali e favorevolmente recensiti dalla Rai e da giornali come il “Sole 24 Ore”, fino all’“Osservatore Romano”).«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.
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Promesse elettorali per mascherare la loro servitù alla Ue
Promesse elettorali favolose, con un unico vero obiettivo: mascherare la servitù al regime finanziario neoliberista che domina l’Unione Europea. Lo sostiene Dante Barontini su “Contropiano”, esaminando l’imbarazzante scenario della campagna elettorale in corso. A cosa servono queste elezioni? «Per tutti quelli che concorrono con qualche ambizione a conquistare una poltrona ministeriale il problema è uno solo: ottenere il benestare delle “istanze superiori”». Lo si capisce perfettamente leggendo i maggiori giornali, come “Repubblica” e il “Corriere”. Entrambe le ex “corazzate” della stampa italiana, ormai molto ridimensionate nei loro numeri, «convergono nel bastonate spietatamente la massa di promesse irrealizzabili dei vari protagonisti della campagna elettorale». La mette giù dura l’editoriale di Mario Calabresi, “Incapaci di immaginare il futuro”: «Ascoltiamo soltanto una grottesca cantilena di abolizioni», scrive il direttore di “Repubblica”. «Via l’obbligo di vaccini, via il canone Rai, via il bollo auto, via lo spesometro, via le tasse universitarie, via il redditometro, via la legge Fornero, via il Jobs Act, fino alla mirabolante promessa finale di cancellare migrazioni e migranti».Sullo stesso tono gli immarcescibili neoliberisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, «duo di economisti che non ne ha mai imbroccata una ma che si ripropone ogni volta come se fosse la prima volta», scrive Barontioni, citando il loro “Le favole da evitare sul debito pubblico”. Ma il bersaglio sono i 5 Stelle, a cominciare da Di Maio, «che sfarfalleggia da settimane per accreditarsi presso le “autorità superiori” (pellegrinaggi a Cernobbio e negli Usa, niente più uscita dall’euro, pronti a fare governi anche con altri partiti purché non lo si dica prima, ecc)». Il piano grillino per ridurre il debito è effettivamente un castello di carte, ammette Barontioni, rilevando però che i due teorici della fiaba dell’austerità espansiva, per i quali «se tagli la spesa pubblica il paese riprende a crescere», lo usano come pretesto per ripetere sempre la stessa giaculatoria: o si riducono le spese o si aumentano le tasse, tertium non datur. Sul fronte politico, continua “Contropiano”, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari «spinge in campo Veltroni e Prodi per “l’unità a sinistra” (Pd e bersaniani) nell’antichissimo schema del “fermare le destre”». Ma guardando più da vicino, sempre grazie a “Repubblica”, «emerge che ci sono solo due movimenti considerati inaffidabili nelle “alte sfere”: grillini e Lega. Tutti gli altri vanno naturalmente benissimo».Chi e perché? Ad essere approvati dal vero potere, l’establishment che conta (soprattutto fuori dall’Italia, al quale obbediscono i terminali nazionali) sono «tutti quelli che hanno da sempre accettato l’Unione Europea come amministratore unico delle faccende economico-finanziarie anche italiane, da cui dipende qualsiasi programma di gestione del paese», scrive Barontini. «Banalmente, se non puoi disporre liberamente delle risorse che vai producendo, non puoi fare nessun’altra politica se non quella prevista dai trattati europei e dalle indicazioni in tempo reale della Commissione Europea (tramite il Six Pack e il Two Pack)».A questo ampio club, continua Barontini, «si è iscritto da tempo anche Berlusconi», e lo ha dimostrato «promettendo (la mattina) di abolire il Jobs Act e garantendo (la sera) di mantenerlo così com’è». E dire che il Jobs Act è un peso per la spesa pubblica (la decontribuzione garantita alle imprese riduce le entrate statali), ma «la centralità degli interessi delle aziende è un dogma intoccabile per la Ue: dunque, su questo fronte si può continuare a spendere».Restano ai margini leghisti e pentastellati, peraltro pesantemente “lavorati ai fianchi”. La rinuncia di Roberto Maroni a un altro mandato da presidente della Lombardia? A prima vista incomprensibile, motivata da vaghe «ragioni personali», secondo Barontini comincia a rivelarsi un legnata a Salvini e «una candidatura per una poltrona di rilevo nell’unico governo a questo punto possibile». Quale? «Se si escludono M5S e (parte della) Lega, non restano molte alternative: un bel “governo del presidente” con dentro Pd, Forza Italia, “Liberi e Uguali” e frattagline varie (Lorenzin, democristiani di varia osservanza, singoli parlamentari che cambiano casacca)». Cosa li terrà insieme? «Il bastone dell’Unione Europea, che quest’anno trasformerà il Fiscal Compact da semplice “trattato intergovernativo” a “legge comunitaria”», ossia «da oggetto di flessibilità contrattata volta per volta a dispositivo automatico affidato a organismi tecnici». Conclude Barontini: «Come si fa a non augurarsi che il potere ritorni al popolo?».Promesse elettorali favolose, con un unico vero obiettivo: mascherare la servitù al regime finanziario neoliberista che domina l’Unione Europea. Lo sostiene Dante Barontini su “Contropiano”, esaminando l’imbarazzante scenario della campagna elettorale in corso. A cosa servono queste elezioni? «Per tutti quelli che concorrono con qualche ambizione a conquistare una poltrona ministeriale il problema è uno solo: ottenere il benestare delle “istanze superiori”». Lo si capisce perfettamente leggendo i maggiori giornali, come “Repubblica” e il “Corriere”. Entrambe le ex “corazzate” della stampa italiana, ormai molto ridimensionate nei loro numeri, «convergono nel bastonate spietatamente la massa di promesse irrealizzabili dei vari protagonisti della campagna elettorale». La mette giù dura l’editoriale di Mario Calabresi, “Incapaci di immaginare il futuro”: «Ascoltiamo soltanto una grottesca cantilena di abolizioni», scrive il direttore di “Repubblica”. «Via l’obbligo di vaccini, via il canone Rai, via il bollo auto, via lo spesometro, via le tasse universitarie, via il redditometro, via la legge Fornero, via il Jobs Act, fino alla mirabolante promessa finale di cancellare migrazioni e migranti».